Scarica Angela Davis: Donne, Razza e Classe e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Filosofia solo su Docsity! ANGELA DEVIS 1 L’EREDITA’ DELLA SCHIAVITU’. PRINCIPI PER UNA NUOVA CONDIZIONE DELLE DONNE. Quando l’autorevole studioso ULRICH B. PHILIPS dichiarò nel 1918 che lo schiavismo aveva impresso il glorioso timbro della civiltà sui selvaggi africani e suoi loro discendenti lungo e appassionato dibattito. ULRICH: “le condizioni del nostro problema sono le seguenti: - uno o due secoli fa i Negri erano selvaggi che vivevano nei luoghi impervi dell’Africa – quelli portati in America e i loro discendenti hanno raggiunto un certo livello di civiltà e sono adesso in certa misura adeguati alla vita della moderna società civilizzata – questi progressi dei Negri sono in larga misura il risultato della loro prossimità con i bianchi civilizzati – un’immensa massa di Negri rimarrà sicuramente per un periodo indefinito all’interno di una nazione civile bianca. Il problema è: cosa possiamo fare per garantire loro una pacifica residenza e un ulteriore progresso in questa nazione di uomini bianchi e come possiamo proteggerci da una loro ricaduta nella barbarie? Come possibile soluzione a questo problema: sistema delle piantagioni. Gli storici si dichiaravano fiduciosi di aver decifrato il vero significato di quella “peculiare istituzione”. La situazione specifica della schiava donna è rimasta in ombra. Le incessanti dispute sulla “promiscuità sessuale/ inclinazioni matriarcali” oscuravano la comprensione della condizione delle donne nere durante la schiavitù. Durante gli anni ’70 il dibattito sulla schiavitù è riemerso con rinnovato rigore. In questa marea di pubblicazioni di nota l’assenza di un libro che affronti in maniera esplicita il tema della schiave. Deludente scoprire che, con l’eccezione delle annose questioni sulla “promiscuità” contro “matrimonio” e “sesso coatto con gli uomini bianchi” contro “sesso volontario”, dagli autori di queste nuove pubblicazioni è stata rivolta scarsa attenzione alle donne. Tra gli studi recenti il più illuminante è la ricerca di HERBERT GUTMAN sulla famiglia Nera. Fornendo prove documentare che la vitalità della famiglia si dimostrò più forte dei rigori disumanizzanti dello schiavismo, GUTMAN ha detronizzato la tesi del matriarcato nero, resa popolare dal saggio di DANIEL MOYNIHAN nel 1965. Le sue osservazioni sulle schiave sono generalmente indirizzate a riconfermate le propensioni matrimoniali delle donne, ne discende facilmente che le Nere differirebbero dalle bianche solo nella misura in cui le aspirazioni domestiche delle prime erano frustate dalle esigenze del sistema schiavistico. Sebbene le norme istituzionali del sistema schiavistico concedessero alle donne un’ampia libertà sessuale prematrimoniale, queste alla fine si adattavano a un matrimonio stabile e costruivano delle famiglie a cui contribuivano sia la moglie che il marito. Gli argomenti di GUTMAN contro la tesi del matriarcato sono preziosi, ma sarebbe potuto essere ancora più potente se avesse concretamente esplorato il ruolo multidimensionale delle donne Nere nella famiglia e nella comunità di schiavi presa nel suo insieme. Un tale studio: - Fini di precisione storiografica - Le lezioni apprese dagli anni della schiavitù possono illuminare le battaglie dei nostri giorni per l’emancipazione, sia delle donne Nere che delle donne in generale. DAVIS: alcune idee: condurre a un riesame della storia delle donne Nere durante la schiavitù. Rispetto alle loro sorelle bianche, le donne Nere hanno sempre lavorato al di fuori delle proprie abitazioni domestiche. L’enorme spazio che oggi il lavoro occupa nella vite delle donne Nere segue un modello avviato durante i primissimi tempi della schiavitù. Da schiave, il lavoro coatto sovrastava ogni altro aspetto della loro esistenza: il punto di partenza per ogni ricerca sulle vite delle donne Nere durante la schiavitù dovrebbe essere l’analisi del loro ruolo in quanto lavoratrici. Il sistema schiavistico classificava i Neri come beni mobili. Le donne erano considerate “entità lavorative” redditizie, al pari degli uomini, dal punto di vista dello schiavista potevano anche essere prive di genere. Le donne nere erano di fatto delle anomalie, dal punto di vista dell’ideologia della femminilità sviluppatasi del diciannovesimo secolo. Le donne nere hanno goduto di pochi dei dubbi benefici dell’ideologia della femminilità, si dà talvolta per scontato che la tipica donna schiava fosse una domestica. Stereotipi che si presumeva catturassero l’essenza del ruolo della donna Nera durante la schiavitù. La realtà sta agli antipodi del mito. Le donne schiave, come la maggioranza degli uomini schiavi, lavoravano nei campi. Mentre una proporzione significativa di schiave, negli stati che furono quelli della fascia di confine tra unionisti e confederati potrebbero essere state impiegate come domestiche, quelle del profondo sud (il vero cuore della schiavocrazia) erano principalmente lavoratrici agricole. Quando si trattava di lavorare, sotto la minaccia della frusta, l’energia e la produttività pesavano più delle questioni di genere. L’oppressione delle donne era identica all’oppressione degli uomini. Male donne soffrivano anche in altri maniere perché erano vittime di abusi sessuali e di altri barbari maltrattamenti che potevano essere inflitti solo alle donne. Era il profitto a determinare i comportamenti del proprietario schiavista verso le schiave: quando era redditizio sfruttarle come se fossero dei maschi, erano di fatto considerare asessuate, ma quando le si poteva sfruttare, reprimere e punire in forme adatte solo alle donne, allora venivano rinchiuse dentro ruoli esclusivamente femminili. L’abolizione della tratta internazionale degli schiavi espansione ella giovane industria del cotone. La classe degli schiavisti fu costretta ad affidarsi alla riproduzione naturale come metodo più sicuro per il rifornimento e l’incremento della popolazione nazionale di schiavi. = si fissò allora un premio per la capacità riproduttiva della schiava. Decenni precedenti alla Guerra Civile: valutate in base alla loro fertilità: valeva un tesoro. Questo non significa che le donne Nere godessero di uno status migliore di quello che avevano in quanto lavoratrici. L’esaltazione ideologica della maternità, tanto popolare nel diciannovesimo secolo, non si applicava alle schiave: agli occhi del padrone, le donne non erano madri: erano degli strumenti che garantivano la crescita della forza lavoro schiavizzata. Erano “riproduttrici”, animali il cui valore monetario poteva essere precisamente calcolato nei termini della loro capacità di moltiplicazione numerica. Siccome le donne schiave erano considerate come “animali da riproduzione” i loro bambini potevano essere venduti e allontanati come si fa con i vitelli della vacca. Un anno dopo il blocco dell’importazione di schiavi dall’Africa un tribunale della South Carolina dichiarò che le schiave non avevano alcun tipo legale sui propri bambini i bambini potevano in qualsiasi momento essere venduti. Vulnerabili a ogni coercizione sessuale. Punizione per gli uomini: mutilazioni e fustigazioni. Donne + stupro. Stupro: espressione esplicita della supremazia economica del proprietario e del controllo del sorvegliante sulle donne Nere in quanto lavoratrici. Gli speciali abusi inflitti alle donne facilitavano quindi il crudele sfruttamento economico del loro lavoro. Le esigenze di questo sfruttamento indussero gli schiavisti a mettere da parte i loro atteggiamenti conservatori e sessisti in quanto non erano motivati dai fini repressivi. Le Nere erano a malapena considerate “donne”: pertanto il sistema schiavista doveva scoraggiare la supremazia maschile dei Neri sulle Nere. La promozione di una supremazia maschile tra gli schiavi avrebbe potuto provocare una pericolosa rottura nella catena di comando. Donne Nere: non potevano essere definite “sesso debole” gli uomini Neri non potevano candidarsi alla figura di “capofamiglia”. Tutti “provvedevano” alla classe proprietaria degli schiavi. Proprietari: sistemi per calcolare il rendimento degli schiavi in termini di tariffe medie di produttività richiesta. (es: quarto di mani/ piene mani) Dimostrando l’esistenza di una complessa vita familiare che comprendeva alla stessa maniera marito e moglie, GUTMAN ha distrutto uno dei principali pilastri su cui si basava la tesi del matriarcato. Non ha messo in discussione l’assunto complementare secondo il quale, laddove vi erano famiglie con due genitori, la donna dominasse l’uomo. + Confermato dalle sue ricerche, la vita sociale nei quartieri degli schiavi era in gran parte un’estensione ella vita familiare: il ruolo delle donne all’interno della famiglia doveva essere definito dal loro status sociale all’interno della comunità degli schiavi, presa nel suo insieme. La maggior parte degli studi accademici hanno interpretato la vita della famiglia di schiavi elevando le donne e svalutando gli uomini. ELKINS: “il ruolo della madre sembrava molto più vasto agli occhi del bambino di quello del padre”. La designazione sistematica degli uomini schiavi col termine “boy” da parte del padrone, secondo ELIKINS era un riflesso dell’incapacità dei maschi Neri a prendersi carico delle proprie responsabilità paterne. KENNETH STAMPP: spinge questa linea di ragionamento più avanti: “la tipica famiglia di schiavi aveva una forma matriarcale, perché il ruolo della madre era molto più importante di quello del padre. Il marito era al massimo l’assistente della moglie, il suo compagno e partner sessuale” È vero che la vita domestica aveva un’importanza esagerata nella socialità degli schiavi, perché forniva loro l’unico spazio in cui potessero sentirsi veramente degli esseri umani. Le donne Nere per questa ragione (e anche perché erano lavoratrici quanto gli uomini) non furono svilite nelle proprie funzioni domestiche come invece accadde alle bianche. Al contrario della loro controparte bianca non potevano essere considerate solo come “donne di casa”. Ma sostenere che per questo dominassero i propri uomini significa sostanzialmente distorcere la realtà della vita degli schiavi. Saggio 1971 DAVIS definito la portata delle funzioni domestiche della donna schiava: “provvedere ai bisogni degli uomini e dei figli che la circondavano realizzava l’unico lavoro della comunità di schiavi che non poteva essere direttamente e immediatamente richiesto dall’oppressore. Il lavoro domestico era l’unico lavoro sensato per la comunità di schiavi nel suo complesso. La nera in catene poteva contribuire a mettere le basi di una qualche autonomia, sia per sé che per gli uomini. Essenziale alla sopravvivenza della comunità”. Lavoro che non era esclusivamente femminile. Gli uomini schiavi svolgevano importanti mansioni domestiche. Questa divisione di genere del lavoro domestico non sembrava essere di tipo gerarchico: i compiti degli uomini non erano certamente superiori né inferiori al lavoro realizzato dalle donne. Erano entrambi egualmente necessari. La divisione del lavoro tra i sessi non fosse sempre più rigorosa: gli uomini potevano lavorare nella capanna e le donne curare l’orto. L’aspetto rilevante che emerge dal lavoro domestico negli alloggi degli schiavi è quello dell’uguaglianza di genere. All’interno della propria famiglia e della vita comunitaria i Neri sono riusciti a compiere una vera e propria impresa: hanno trasformato un’uguaglianza negativa (che promanava da un’uguale oppressione patita in quanto schiavi) in una qualità positiva: l’egualitarismo che caratterizzava le loro relazioni sociali. Tesi principale di EUGENE GENOVESE in ROLL, JORDAN, ROLL è quantomeno problematica (ossia che il popolo Nero accettasse il paternalismo associato alla schiavitù) fornisce una penetrante immagine, per quanto limitata, della vita domestica degli schiavi: “una revisione dell’effettiva posizione degli uomini in quanto mariti e padri suggerisce che il ruolo delle donne fosse più complesso di quanto si ritiene di solito. La loro attitudine verso il lavoro domestico e verso la propria condizione smentisce il punto di vista convenzionale secondo il quale le Nere inconsapevolmente contribuiscono a mandare in rovina i loro uomini imponendosi nella casa”. GENOVESE riconosce chiaramente che: “quella che è stata di solito considerata una debilitante supremazia femminile era in realtà un’approssimazione a una salutare uguaglianza di genere nei rapporti familiari”. Il punto più affascinante che GENOVESE solleva è che le donne spesso difendevano i propri uomini dai tentativi di umiliazione portati avanti dal sistema schiavista. Sostiene che molte donne avevano compreso che se i loro uomini fossero stati degradati, lo stesso sarebbe successo a loro. I loro ragazzi avevano bisogno di forti modelli maschili tanto quanto le loro ragazze avevano bisogno di forti modelli femminili. Se le Nere hanno sostenuto il fardello dell’uguaglianza nell’oppressione, se hanno goduto della parità con i propri uomini negli ambienti domestici, poi hanno anche rivendicato aggressivamente quell’uguaglianza sfidando l’istituzione disumana della schiavitù. HERBERT APTHEKER: nella sua opera pioneristica AMERICAN NEGRO SLAVE REVOLTS: le donne avvelenarono i propri padroni, si unirono alle comunità maroon di fuggiaschi. La donna che accettava il destino di schiava era più un’eccezione che la regola. FREDRICK DUGLASS: propria iniziazione infantile alla spietata violenza della schiavitù: torture e le fustigazioni di molte donne ribelli. Sua cugina fu picchiata per aver resistito a un’aggressione sessuale. Numerose donne sono fuggite dalla schiavitù riparando nel nord. Es: giovane donna ANN WOOD: si mise a capo di un carro di ragazzi e ragazze armati, in fuga verso la libertà. Vigilia di Natale del 1855. Es: così tante fustigazioni da “non poter trovare lo spazio di un dito tra le cicatrici”. Tenuta prigioniera con un pesante collare d’acciaio le fu anche estratto un dente come elemento di riconoscimento. (proprietari: cristiani e caritatevoli). Le donne resistevano e sfidavano continuamente la schiavitù. Le comunità maroon, formate da schiavi fuggiaschi e i loro discendenti, erano diffuse in tutto il SUD degli USA già tra il 1862 e il 1864. 1816 fu scoperta una comunità grande e prospera: 300 schiavi fuggiaschi avevano occupato un forte in Florida. Al loro rifiuto di arrendersi l’esercito intraprese una battaglia che durò 10 giorni. Le donne combatterono quanto gli uomini. La resistenza a volta era più ingegnosa e non si limitava a rivolte, fughe e sabotaggi: acquisizione clandestina e condivisione con altri delle competenze di lettura e scrittura. (“scuola di mezzanotte” gestita da una schiava). Tributo a HARRIET TUBMAN per le straordinarie imprese che realizzò conducendo più di 300 persone lungo la FERROVIA sotterranea. Giovinezza tipica di molte giovani schiave. Da operaia agricola nel Maryland imparò, lavorando, di avere in quanto donna le stesse potenzialità di un uomo. Padre le dava lezioni indispensabili: le insegnò a camminare senza fare rumore nei boschi e a nutrirsi e curarsi con piante, radici ed erbe. Il fatto che non sia mai stata sconfitta è senza dubbio da attribuire all’educazione ricevuta dal padre. Durante la Guerra Civile HARRIET ha continuato la sua inesorabile opposizione alla schiavitù e ancora adesso detiene il riconoscimento di essere stata l’unica donna degli USA ad aver guidato delle truppe in battaglia. Quel che ha fatto è stato semplicemente esprimere a modo proprio la forza e la perseveranza che così tante altre donne della sua razza avevano acquisito. Questo conferma che le donne Nere, nel subire l’oppressione, fossero uguali ai loro uomini. Questo è uno dei grandi paradossi del sistema schiavistico: soggiogando le donne con il più crudele sfruttamento immaginabile (che non conosceva distinzioni di sesso) si gettarono le fondamenta affinché queste, attraverso atti di resistenza, reclamassero la propria uguaglianza nelle relazioni sociali. Una scoperta terrificante per i padroni: rompere questa catena di uguaglianza attraverso una brutale repressione riservata in special misura alle donne. Sarebbe un errore considerare il modello istituzionalizzato di stupro all’interno del sistema della schiavitù come un’espressione del desiderio sessuale degli uomini bianchi. Lo stupro era un’arma di dominio, un’arma di repressione, il cui fine nascosto era la distruzione della volontà di resistere delle schiave, demoralizzando al tempo stesso i loro uomini. Osservazioni sulla funzione dello stupro durante la guerra nel Vietnam solo valide anche per lo schiavismo: “in Vietnam il comando militare statunitense ha reso lo stupro “moralmente accettato”. (perquisizione). Forgiando un’arma di terrorismo politico di massa. Visto che le donne vietnamite si distinguevano per l’eroico contributo alla lotta di liberazione del proprio popolo. Le donne non erano certo immuni alla violenza inflitta sugli uomini, ma sono state scelte in maniera deliberata come vittime del terrorismo di una forza militare sessista governata dal principio che la guerra fosse esclusivamente un affare maschile. Come lo stupro era un elemento istituzionalizzato dell’aggressione condotta contro il popolo vietnamita, volto a intimidire e terrorizzare le donne, alla stessa maniera i proprietari di schiavi incoraggiavano l’uso terroristico della violenza sessuale per rimettere al proprio posto le donne nere. Gli schiavisti potrebbero aver fatto proprio questo ragionamento: dato che le donne hanno conquistato una consapevolezza della propria forza e un forte desiderio di resistenza, gli assalti sessuali violenti ricorderanno loro la propria condizione essenziale e inalterabile. Nella visione suprematista maschile di quel periodo, questa condizione implicava passività, acquiescenza e debolezza. Ogni narrazione sulla schiavitù del diciannovesimo secolo contiene resoconti della vittimizzazione sessuale delle donne schiave ad opera di padroni e sorveglianti. Il tema degli abusi non è stato affatto considerato dalla tradizionale letteratura sulla schiavitù. A volta si dà addirittura per contato che le donne fossero compiacenti e incoraggiassero le attenzioni sessuali degli uomini bianchi. Quel che accadeva loro non sarebbe stato sfruttamento sessuale quanto piuttosto “mescolanza razziale”. ROLL, JORDAN, ROLL GENOVESE: sezione dedicata al sesso interrazziale sostiene che il problema dello stupro impallidisce in rapporto agli spietati tabù che circondavano la mescolanza razziale. “molti uomini bianchi che avevano iniziato a stuprare una schiava, finivano poi per amare lei e il bambino” La tragedia della mescolanza razziale ha a che fare “ con la terribile pressione a negare il piacere, l’affetto e l’amore che spesso crescevano da ignobili inizi”. L’intero approccio di GENOVESE si impernia sul paternalismo. Gli schiavi più o meno accettavano l’attitudine paternalistica dei loro padroni e i padroni erano spinti dal loro paternalismo a riconoscere le pretese umanitarie degli schiavi. Agli occhi degli schiavisti l’umanità dei Neri era nella migliore delle ipotesi infantile. GENOVESE ritiene di aver scoperto un nucleo di quell’umanità nella mescolanza razziale. Non è riuscito a comprendere che difficilmente potevano esserci le basi per “il piacere, l’affetto e l’amore” fintantoché gli uomini bianchi, in virtù della loro posizione economica, avevano accesso illimitato ai corpi delle donne Nere. Era in qualità di oppressori (agente oppressore) che gli uomini bianchi di avvicinavano ai corpi delle donne Nere. FRANKLIN FRAZIER pensava di aver individuato nella “mescolanza razziale” la più importante conquista culturale del popolo Nero durante gli anni della schiavitù: “rappresentavano il trionfo del rituale sociale di fronte ai sentimenti più profondi di solidarietà umana” Al tempo stesso non può ignorare completamente quelle donne che non si sottomettevano senza lottare: “la coercizione fisica fu a volte necessaria per assicurarsi la sottomissione delle donne. Ci sono prove storiche”. Le donne bianche che partecipavano al movimento abolizionista si sentivano particolarmente offese dalle aggressioni sessuali verso le Nere. Queste donne bianche hanno contribuito in maniera inestimabile alla campagna contro la schiavitù ma spesso non sono riuscite a comprendere la complessità della condizione delle schiave. Le donne Nere erano donne ma le loro esperienze durante la schiavitù le avevano portate a sviluppare tratti della personalità che le distinguevano dalle donne bianche. CAPANNA DELLO ZIO TOM di HARRIET BEECHER STOWE è uno dei più popolari prodotti della letteratura abolizionista e ha raccolto un vasto numero di persone a sostegno della causa antischiavista. ABRAHAM LINCOLN: parlò di STOWE come della donne che aveva lanciato la Guerra Civile. Totale distorsione della vita degli schiavi. La figura femminile centrale è una parodia della donna Nera, una trasposizione ingenua della figura materna, omaggiata dalla propaganda culturale dell’epoca trasferita dalla società bianca alla comunità schiava. (Eliza). Forse la speranza di STOWE era che le lettrici bianche del suo romanzo di identificassero con Eliza. I cittadini si opposero: “il governo degli USA, la nazione con tutte le sue istituzioni di diritto, appartengono agli uomini bianchi” CRANDALL non solo aveva violato il loro codice di segregazione razziale, ma anche sfidato le norme tradizionali di condotta delle signore bianche. I commercianti si rifiutarono di venderle i prodotti, il dottore si rifiutò di visitare i suoi studenti… L’autorità del Connecticut ordinarono il suo arresto CRANDALL emerse come un simbolo di vittoria. Gli eventi di Canterbury nel 1833 eruppero all’inizio di una nuova era. Come la rivolta di Nat Turner, come la nascita del LIBERATOR di GARRISON o la fondazione della prima organizzazione nazionale contro lo schiavismo, annunciarono l’avvento di un’epoca di intense lotte sociali. La salda difesa del diritto allo studio di CRANDALL è stato un esempio per quelle donne bianche che stavano soffrendo il travaglio di una nuova consapevolezza politica le sue azioni illuminavano ampi spazi di possibilità per la lotta di liberazione se le donne bianche avessero solidarizzato in massa con le proprie sorelle nere. GARRISON: LIBERATOR: ampio gruppo di abbonati neri e bianchi. Anche le operaie banche erano tra coloro che concordavano facilmente con la posizione antischiavista militante di GARRISON. + Una volta organizzatosi il movimento abolizionista, le donne di fabbrica portarono un decisivo supporto alla causa. Tuttavia le donne bianche più in vista nella campagna contro la schiavitù erano quelle che non erano obbligate a lavorare donne della classe media e della nascente borghesia. 1833: come “casalinghe” di una nuova era di capitalismo industriale, avevano perso ogni importanza nelle loro stesse case, e il loro status sociale in quanto donne aveva patito una conseguente svalutazione. Nel frattempo avevano guadagnato tempo libero da dedicare alla lettura diventare riformiste sociali od organizzatrici attive della campagna abolizionista. L’abolizionismo conferiva loro l’opportunità d lanciare una protesta implicita contro l’oppressione dei propri ruoli domestici. Solo quattro donne furono invitate a partecipare all’assemblea di fondazione della AMERICAN ANTI-SLAVERY SOCIETY: solo nelle vesti di “ascoltatrici e spettatrici”. LUCRETIA MOTT: rivolgersi coraggiosamente agli uomini dell’assemblea e argomentò contro una mozione che voleva posticipare l’incontro a causa dell’assenza di un importante uomo di Philadelphia. “i giusti principi sono più forti dei nomi”. Era un pastore quacchero. In chiusura dell’assemblea né lei né le altre donne furono invitate a firmare la DECLARATION OF SENTIMENTS AND PURPOSES: il sessismo impedì di coinvolgere nel movimento abolizionista un vasto potenziale di donne. MOTT: organizzò l’assemblea inaugurale del PHILADELPHIA FEMALE ANTI-SLAVERY SOCIETY nei giorni successivi al congresso maschile. Destinata a diventare una figura di primo piano del movimento antischiavista. Il suo impegno a favore dell’abolizionismo comportava altri pericoli perché la sua casa di Philadelphia era una stazione molto trafficata della Ferrovia sotterranea, dove fecero tappa molti famosi schiavi fuggitivi. Lavorando all’interno del movimento abolizionista le donne bianche approfondirono la conoscenza della natura dell’oppressione umana e del proprio assoggettamento. Affermando il proprio diritto di opporsi alla schiavitù protestavano contro la propria esclusione dall’arena politica. Il movimento abolizionista offriva alle donne ella classe media l’opportunità di provare il proprio valore secondo criteri che non erano legati al ruolo di mogli o madri nella campagna contro la schiavitù le donne erano stimate per la loro attività concreta. Il loro impegno politico nella battaglia contro la schiavitù fu così intenso perché stavano sperimentando un’emozione alternativa alla propria vita domestica. + Impararono a sfidare la supremazia maschile all’interno del movimento contro la schiavitù. Scoprirono che il sessismo poteva essere messo in discussione e combattuto nell’arena della lotta politica. Le donne bianche erano chiamate a difendere fieramente i propri diritti di conne al fine di combattere per l’emancipazione del popolo Nero. le abolizioniste accumularono un’esperienza politica inestimabile, senza la quale più di un decennio dopo non avrebbero potuto lanciare tanto efficacemente la campagna per i diritti delle donne. Appresero l’uso della petizione, che sarebbe diventata l’arma centrale della campagna per i diritti delle donne. Mentre presentavano petizioni contro la schiavitù, allo stesso tempo erano obbligate a battersi per il proprio diritto a impegnarsi nel lavoro politico. Tra le prime donne abolizioniste: sorelle SARAH e ANGELINA GRIMKE della South Carolina: hanno collegato meglio di chiunque il tema della schiavitù all’oppressione delle donne. Agli inizi della loro carriera di conferenziere furono obbligate a difendere il loro diritto in quanto donne a sostenere pubblicamente la causa dell’abolizione. Nate in una famiglia di proprietari di schiavi della South Carolina decisero da adulte di spostarsi nel nord. Adesione nel 1838 all’abolizionismo cominciarono a tenere conferenze nel New England sulla propria vita e sui loro incontri quotidiani con le inaudite perversioni della schiavitù. Questi incontri erano sostenuti dalle associazioni femminili dell’abolizionismo ma un numero sempre crescente di uomini cominciò a parteciparvi. Queste assemblee non avevano precedenti perché nessuna donna era mai riuscita a rivolgersi regolarmente a un pubblico misto senza trovarsi davanti urla di disprezzo lanciate da uomini che consideravano un privilegio maschile prendere la parola in pubblico. Autorità religiose: 28 luglio 1837: lettera pastorale che puniva le sorelle per il loro impegno in attività che sovvertivano il ruolo delle donne prescritto dalla divinità: secondo quei pastori le azioni delle sorelle avevano procurato “dei pericoli che minacciano la natura femminile con offese profonde e durature”. “quando prende il tono della voce e il posto di un uomo perde quel potere che Dio le ha dato a sua protezione, e la sua indole di fa innaturale”. Inquadrata nel contesto della diffusa confessione protestante del Massachusetts, questa lettera pastorale produsse immense ripercussioni. Se i pastori avevano ragione, allora le sorelle commettevano il più atroce dei peccati: sfidavano la volontà di Dio. L’eco di questo assalto terminò solo quando le GRIMKE alla fine decisero di smettere di tenere conferenze. GRIMKE: la loro priorità era quella di mettere in luce l’essenza inumana e immorale del sistema schiavistico e la speciale responsabilità delle donne nella sua riproduzione. Ma una volta iniziati gli attacchi dei suprematisti maschi contro di loro, si resero conto che se non si fossero difese in quanto donne sarebbero state escluse per sempre dalla campagna di liberazione degli schiavi. ANGELINA: oratrice SARAH: genio teorico scrivere una serie di lettere poi raccolte in un’opera. Completato nel 1838 il saggio di SARAH rappresenta una delle prime analisi della condizione femminile scritta da una donna negli USA. SARAH metteva in discussione che la disuguaglianza tra i sessi fosse condannata da Dio: “uomini e donne sono creati uguali: sono entrambi esseri umani moralmente responsabili”. Contestò in maniera diretta l’accusa dei pastori secondo cui le donne che esprimevano una leadership nei movimento di riforma sociale fossero contro natura, sostenendo invece che “quel che è giusto per un uomo, è giusto per una donna”. Alcuni uomini di spicco della campagna abolizionista sostenevano che l’argomento dei diritti delle donne avrebbe confuso e allontanato le simpatie di coloro che erano interessati solo a sconfiggere la schiavitù. Risposta ANGELINA: comprensione dei potenti legami che collegavano i diritti delle donne all’abolizionismo: “cosa può fare una donna per lo schiavo se lei stessa sta sotto il piede di un uomo, oscurata nel silenzio?” Le sorelle GRIMKE spronavano le donne a resistere al destino di passività e dipendenza che la società aveva imposto, in modo da prendersi il ruolo che spettava loro nella lotta per la giustizia e i diritti umani. Saggio di ANGELINA del 1837: “Bonaparte un giorno rimproverò una donna perché si occupava di politica. “in un paese in cui le donne sono messe a morte, è naturale che le donne vogliano sapere perché questo avviene. È certo che in un paese del genere sia naturale che le donne vogliano sapere la ragione per la quale questo avviene. La negazione del nostro diritto di agire è sfrontata e se non abbiamo questo diritto, allora possiamo anche essere definite schiave bianche del nord, perché come i nostri fratelli in catene dobbiamo sigillare le nostre labbra nel silenzio e sparire”. Dimostra come le sorelle GRIMKE sostenessero la necessità che le donne bianche del nord e del sud prendessero coscienza dei particolari legami che le legavano alle sorelle nere che soffrivano le pene della schiavitù. Dato che l’abolizione della schiavitù era la necessaria politica prioritaria dell’epoca, spronarono le donne a partecipare a quelle lotta ben sapendo che la loro stessa oppressione era alimentata e perpetuata dalla permanenza del sistema schiavistico. Le sorelle avevano una profonda consapevolezza dell’inseparabilità della lotta per la liberazione dei Neri e di quella per la liberazione delle donne, non caddero mai nel tranello ideologico di sostenere che una fosse più importante dell’altra, riconoscendo il carattere dialettico della relazione tra le due. Nella campagna contro la schiavitù, le GRIMKE insistettero più di ogni altra sull’inclusione del tema dei diritti delle donne. Al tempo stesso sostennero che non avrebbero mai conquistato la propria libertà indipendentemente dal popolo Nero. “identificata col Negro”. PRUDENCE CRANDALL aveva messo a repentaglio la propria vita per difendere il diritto all’educazione dei bambini neri, se la sua posizione portava in sé il germe di una fruttuosa e potente alleanza, allora l’analisi presentata da SARAH-ANGELINA GRIMKE mettono assieme le donne e i Neri per realizzare un comune sogno di liberazione, era l’espressione teorica più profonda e commovente di quella promessa di unità. 3 CLASSE E RAZZA DEGLI ALBORI DELLA LOTTA PER I DIRITTI DELLE DONNE “LUCRETIA MOTT-ELIZABETH CADY si trovarono d’accordo sul fatto di tenere un congresso sui diritti delle donne al loro ritorno in America, uomini avevano grande bisogno di educazione sull’argomento. Fu così inaugurato il lavoro missionario dell’emancipazione delle donne nella terra dei liberi e nella casa dei coraggiosi”. Questa conversazione: Londra in occasione dell’apertura della WORLD ANTI-SLAVERY CONVENTION del s1840 e secondo molto segna l’inizio del movimento organizzato delle donne negli USA. Questo aneddoto e le circostanze che lo circondano sono diventati la base di un’interpretazione comune che vede il movimento per i diritti delle donne originariamente ispirato da un’intollerabile supremazia maschile all’interno del movimento antischiavista. Le donne statunitensi che parteciparono alla conferenza di Londra divennero furiose quando si ritrovarono escluse dal vito della maggioranza. MOTT e le altre che rappresentavano ufficialmente L’AMERICAN ANTI-SLAVERY SOCIETY aveva ulteriori ragioni per essere arrabbiata. Era appena uscita da una lotta turbolenta attorno al tema del diritto delle donne abolizionista a partecipare in piena uguaglianza ai lavori della ANTI-SLAVERY SOCIETY. Sette anni prima era stata esclusa dalla stessa associazione. Se durante gli eventi londinesi era stata ispirata a combattere per i diritti delle donne (“i principali leader radicali, i più preoccupati dalle inuguaglianze sociali, a loro volta discriminavano le donne”) quell’ispirazione aveva comunque origini anteriori al 1840. ELIZABETH CADY STANTON: non aveva esperienze e partecipò a quel primo meeting antischiavista da moglie di un leader abolizionista. HISTORY OF WOMEN SUFFRAGE scrisse (insieme a SUSAN B. ANTHONY) che durante la conversazione del 1840 con MOTT “venne così inaugurato il lavoro missionario dell’emancipazione delle donne”, le sue considerazioni non tenevano conto delle lezioni elaborate in almeno un decennio in cui le abolizioniste si erano battute per la propria emancipazione politica in quanto donne. Sconfitte al congresso di Londra le abolizioniste avevano comunque raggiunto dei risultati positivi. Al loro fianco c’erano alcuni leader antischiavisti uomini, che si opposero alla scelta di escluderle (GARRISON- CHARLES REMOND rimasero in galleria, come degli spettatori). Nonostante il suo interesse verso l’abolizionismo fosse recente, STANTON aveva condotto in giovinezza una lotta personale contro il sessismo: incoraggiata dal padre (un ricco giudice conservatore) aveva sfidato l’ortodossia nell’educazione come nel tempo libero. Aveva studiato greco e matematica e imparato ad andare a cavallo. A 16 anni era l’unica ragazza a frequentare l’ultimo anno della scuola superiore. Prima del matrimonio trascorreva gran parte del tempo con il padre e sotto la sua guida aveva anche iniziato a studiare seriamente diritto. Vivendo con il marito a Seneca Falls (New York) la sua vita frustrante e monotona la rendeva particolarmente sensibile alla situazione problematica delle donne bianche di classe media. Spiegando la propria decisione di contattare MOTT STANTON fece riferimento alla situazione familiare come ragione principale per lanciare un appello al congresso femminile. La vita della STANTON manifestava tutti gli elementi fondamentali, nella forma più contraddittoria, del dilemma della donna di classe media. Le svariate maniere con cui aveva coltivato le proprie competenze intellettuali, tutto questo non l’aveva portata a nulla. Il matrimonio e la maternità le precludevano la conquista di quelle mete che si era proposta di raggiungere da single. L’assenza delle Nere al congresso di Seneca Falls era anche più evidente alla luce dei precedenti contributi alla lotta per i diritti delle donne. Più di un decennio prima di questo meeting MARIA STEWART: questa donna Nera era la prima conferenziera femmina nata negli USA a rivolgersi a un pubblico di uomini e donne. Nel 1827 il FREEDOM’S JOURNAL (il primo giornale Nero degli USA) aveva pubblicato la lettera di una Nera sui diritti delle donne. “Matilda” chiedeva educazione per le Nere in un’epoca in cui il diritto allo studio per le donne era un argomento controverso e impopolare. La sua lettera comparve l’anno prima che FRANCES WRIGHT cominciasse a dare conferenze sul diritto delle donne a un’educazione uguale a quella degli uomini. Molto prima di questa congresso delle donne, le bianche di classe media avevano combattuto per il diritto allo studio. Le parole di “Matilda” dimostravano che le bianche e le Nere erano unite da un forte desiderio di istruzione. Sfortunatamente il congresso di Seneca Falls non riconobbe questo legame. Il mancato riconoscimento del potenziale di un movimento abolizionista che integrasse bianche e Nere episodio estate 1848. Coinvolte la figlia di DOUGLASS. Dopo la sua ammissione ufficiale in un istituto femminile di Rochester venne formalmente vietato a sua figlia di partecipare alle lezioni assieme alle ragazze bianche. La preside (un’abolizionista) chiese a ogni ragazza di votare favore ammissione. La preside si rivolse ai genitori. Il fatto che nel nord una donna bianca associata al movimento abolizionista potesse assumere un atteggiamento razzista indicava una profonda debolezza del movimento antischiavista: la sua incapacità di promuovere un’ampia consapevolezza antirazzista. Questo rilevante difetto (criticato dalle GRIMKE) fu ereditato anche dal movimento per i diritti delle donne. Per quanto le prime attiviste per i diritti delle donne fossero sorde ai lamenti delle sorelle Nere, l’eco del nuovo movimento di faceva sentire nelle organizzazioni per la liberazione dei Neri. NATIONAL CONVENTION OF COLORED FREEDON nel 1848 aveva fatto passare una risoluzione sull’uguaglianza delle donne. DOUGLASS: (incontro Cleveland) aveva deciso che le donne dovessero essere elette come delegate alla pari degli uomini Dopo, a Philadelphia, un congresso di Neri invitò a partecipare alle donne nere e, riconoscendo il nuovo movimento lanciato a Seneca Falls, chiede anche a delle bianche di unirsi al gruppo. MOTT partecipò. Due anni dpo il congresso di Seneca Falls, a Worchester nel Massachusetts, si svolse la prima convention nazionale sui diritti delle donne. Tra i partecipanti c’era SOJOURNER TRUTH solidarietà delle Nere con la nuova causa. Aspiravano alla libertà dall’oppressione razzista ma anche dal dominio sessista. “non sono una donna?” congresso delle donne a Akron, in Ohio. Da sola salvò il meeting delle donne di Akron dall’ironia distruttiva di un gruppo di maschi ostili. TRUTH: innegabile carisma e notevoli capacita oratorie spazzò via con logica irrefrenabile le pretese secondo cui la debolezza femminile era incompatibile con il suffragio. (provocatori: ridicolo per le donne desiderare di votare, dato che non riuscivano a saltare una pozza o montare su un carro senza aiuto). Era l’unica nera al congresso di Akron. Aveva impartito una pesante sconfitta alla tesi maschilista del “sesso debole” respingendo anche l’idea che il suprematismo maschile fosse un principio cristiano (perché Cristo era maschio): “ma Cristo com’è nato?” “da Dio e da una donna. I maschi non c’entrano nulla” Anche l’orrendo peccato commesso da Eva non era una prova a scapito delle possibilità delle donne. Al contrario, era un punto a loro favore: “se la prima donna che Dio ha fatto era abbastanza forte da rovesciare il mondo, allora tutte queste donne assieme possono metterlo sottosopra”. FRANCES DANA GAGE: presidente del congresso di Akron. non poche donne presenti a Akron all’inizio erano contrarie al fatto che le Nere potessero parlare durante il congresso e chi si opponeva ai diritti delle donne cercò di trarre vantaggio da questo razzismo. Quando TRUTH si alzò a parlare, le sue risposte ai maschi suprematisti diedero una profonda lezione anche alle donne bianche: “non sono forse una donna?” mise a nudo il razzismo e il classismo del nuovo movimento. Non tutte le donne erano bianche e non tutte le donne godevano dei beni materiali della classe media e della borghesia. Erano diverse per razza e per ceto economico, ma questo non annullava la loro condizione di donne. Da Nera, la sua pretesa di avere uguali diritti non era meno legittima di quella delle donne di classe media bianche. Alla metà del diciannovesimo secolo le assemblee nazionali e locali attrassero un numero crescente di donne nella campagna per l’uguaglianza. In rappresentanza delle sorelle Nere (sia le schiave che le “libere”) regalò al movimento per i diritti delle donne uno spirito combattivo contributo storico irripetibile. Nel frattempo un vasto numero di Nere stava manifestando il proprio impegno verso la libertà e l’uguaglianza in maniere meno direttamente connesse con il nuovo movimento per i diritti delle donne la Ferrovia sotterranea assorbiva le energie di numerose donne nere del nord. Anche i più radicali abolizionisti bianchi, basando la propria opposizione alla schiavitù su fondamenta umanitarie e morali, non riuscivano a capire che il capitalismo che si stava velocemente sviluppando nel nord era un sistema oppressivo. Consideravano la schiavitù un’istituzione disumana e detestabile, una forma arcaica di trasgressione della giustizia. Ma non volevano ammettere che il lavoratore e l’operaia bianchi del nord non erano diversi dal “lavoratore” schiavo del sud: entrambi erano vittime dell’oppressione economica. Alcuni militanti come GARRISON si opposero con forza al diritto di organizzazione dei lavoratori salariati: denunciava i tentativi degli operai di Boston di formare un partito politico. Di norma gli abolizionisti bianchi o difendevano i capitalisti industriali oppure non esprimevano alcuna consapevole appartenenza di classe: questa accettazione del sistema economico capitalista era evidente anche nel programma del movimento per i diritti delle donne. Se molti abolizionisti consideravano la schiavitù come un’orribile macchia che andava eliminata, molte sostenitrici dei diritti delle donne consideravano alla stessa stregua il suprematismo maschile: come una pecca immorale in una società per il resto accettabile. Le leader del movimento per i diritti delle donne non avevano il sospetto che ci potesse essere un legame sistemico tra la schiavitù dei Neri al sud, lo sfruttamento economico degli operai al nord e l’oppressione sociale delle donne. Operaie bianche: molte sostenevano la campagna abolizionista, non riuscendo a integrare la loro coscienza antischiavista con un’analisi dell’oppressione femminile. Allo scoppio della Guerra Civile le leader del movimento delle donne decisero di rivolgere le proprie energie a sostegno della causa unionista. Interrompendo le proprie attività a favore dell’uguaglianza di genere, compresero quanto il razzismo fosse radicato sul suolo statunitense. STANTON-MOTT-ANTHON: non si erano rese conto che il sud non aveva il monopolio del razzismo: l’esperienza di agitatrici per la causa dell’Unione insegnò loro che era presente anche al nord e che poteva essere brutale. Quando fu istituita la leva militare al nord le forze favorevoli allo schiavismo organizzarono rivolte nei maggiori centri urbani violenza e morte contro la popolazione dei Neri liberi. NY nel luglio 1863 violenta rivolta (molti furono uccisi, bruciarono l’asilo per orfani neri). STANTON-ANTHONY: concordavano con i radicali abolizionisti che la Guerra Civile sarebbe potuta rapidamente terminare emancipando gli schiavi e reclutandoli nell’esercito unionista. Organizzare una WOMAN LOYAL LEAGUE: al meeting centinaia di donne di dichiararono concordi al sostegno dell’impegno bellico diffondendo petizioni per l’emancipazione degli schiavi. Non ci fu però troppa unanimità in risposta alla petizione di ANTHONY che collegava i diritti delle donne alla liberazione dei Neri. La risoluzione sosteneva che non poteva esserci vera pace nella repubblica fino a quando non fossero stati di fatto riconosciuti “i diritti civili e politici di tutti i cittadini di origine africana e delle donne”. Agli sviluppi del dopoguerra sembra che questa risoluzione potrebbe essere stata motivata dalla paura che le donne bianche potessero rimanere indietro dopo la liberazione degli schiavi. ANGELINA GRIMKE: propose una difesa di principio dell’unità tra liberazione dei Neri e quella delle donne: “fino a quando lui non avrà i propri diritti, noi non avremo mai i nostri” Durante l’assemblea inaugurale della WOMEN LOYAL LEAGUE ANGELINA GRIMKE propose la più avanzata interpretazione della guerra, descritta come “la nostra seconda rivoluzione”. “in questa guerra l’uomo Nero è stato la prima vittima, l’operaio la seconda” Nel suo discorso proponeva una teoria e una pratica radicali che potevano essere ralizzate attraverso un’alleanza tra operai, Neri e donne. Se, come scriveva KARL MARX “il lavoratore di pelle bianca non può essere libero fino a che il lavoratore di pelle nera resta in catene”, era anche vero, come ha sostenuto ANGELINA, che le lotte democratiche dell’epoca, specialmente le lotte per l’uguaglianza delle donne, potevano essere combattute in maniera efficace solo se associate alla lotta per la liberazione dei Neri. 4 IL RAZZISMO NEL MOVIMENTO PER IL SUFFRAGIO FEMMINILE “è meglio essere schiavo di un uomo bianco colto che di un nero ignorante e degradato” Lettera alla redazione del NY STANDARD, datata 25 dicembre 1865, era firmata dalla STANTON. Le idee razziste dimostravano che la sua comprensione della relazione tra la battaglia per la liberazione dei Neri e la lotta per i diritti delle donne fosse perlomeno superficiale. Era determinata a impedire ulteriori progressi per i Neri se quel progresso non avesse procurato immediati benefici alle donne bianche. La lettera della STANTON solleva serie questioni sulla proposta di amalgamare la causa della donna con quella dei Neri, avanzata nei primi meeting per i diritti delle donne alla vigilia della Guerra Civile. All’assemblea di NY del maggio 1866 le delegate avevano deciso di fondare un’EQUAL RIGHTS ASSOCIATION che avrebbe incorporato le lotte dei Neri e quelle per il suffragio femminile in un unico movimento. ANTHONY: “allargare la nostra piattaforma per i diritti delle donne e fare in forma concreta quel che finora era valso in maniera stratta: una piattaforma dei diritti umani”. Ma l’influenza razzista nei lavori del congresso era evidente. Importanti discorsi dell’assemblea: abolizionista HENRY WARD BEECHER sostenne che le donne bianche, colte e nate negli USA, avevano più diritto a votare degli immigrati e dei Neri. Profondi legami ideologici tra razzismo, classismo e suprematismo maschile e le donne bianche sono descritte col linguaggio degli stereotipi sessisti dell’epoca. (benessere dei bambini, della nostra casa, nostro nome e reputazione). Al primo meeting annuale della EQUAL RIGHTS ASSOCIATION maggio 1867, STANTON richiamò la tesi di BEECHER per cui era più importante che ottenessero il diritto di voto le donne (donne bianche di origine anglosassone) che gli uomini Neri. L’argomento principale di questo congresso fu l’imminente concessione del diritto di voto ai neri. STANTON: credevano che l’emancipazione avesse reso i Neri “uguali” alle donne banche, si opponevano con ogni forza al suffragio maschile dei Neri perché questo ai loro occhi li avrebbe resi “superiori”. C’era anche chi si rendeva conto che l’abolizione della schiavitù non aveva abolito l’oppressione economica dei Neri. Allo scoppio della Guerra Civile la STANTON aveva spinto le sue colleghe femministe a dedicare le proprie energie, durante gli anni della guerra, alla campagna contro la schiavitù. In seguito sostenne che le militanti per i diritti delle donne avevano commesso un errore strategico subordinandosi alla causa dell’abolizionismo. Ammise che nei circoli repubblicani le donne furono elogiate per il loro attivismo patriottico. “ma quando gli schiavi furono emancipati” si lamentava “tutte queste virtù trascendenti svanirono come rugiada davanti al sole del mattino”. STANTON: la morale che le donne (le donne bianche) dovevano trarre dalle esperienze della Guerra Civile era che non dovessero mai “lavorare per assecondare gli sforzi dell’uomo e mai esaltare il sesso maschile a svantaggio di quello femminile”. Forte elemento di ingenuità politica e vulnerabile all’ideologia razzista. Non appena l’esercito unionista trionfò sui confederati lei e le sue collaboratrici chiesero al Partito Repubblicano di essere ricompensate per il proprio impegno bellico ricompensa che chiedevano: suffragio femminile. I repubblicani non concessero il loro sostegno al suffragio femminile dopo la vittoria unionista perché guardavano agli interessi economici dominanti del periodo. STONE e suo marito, che avevano difeso la ratifica del XV emendamento all’interno della EQUAL, fondarono AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION. Lo scioglimento della EQUAL mise fine alle tenue e potenzialmente straordinaria alleanza tra il movimento per la liberazione dei neri e quello per la liberazione delle donne. Il fatto che i maschi neri potessero esibire attitudini sessiste non erano certo una buona ragione per arrestare il progresso della lotta per la liberazione dei neri nel suo complesso. Secondo il parere di tutti gli storici DOUGLASS rimane di gran lunga il più importante sostenitore maschile dell’emancipazione delle donne di tutto il diciannovesimo secolo. Se si merita critiche severe per la condotta nella controversia sugli emendamenti XIV/XV è per la fiducia incondizionata verso il potere del voto all’interno dei confini del Partito repubblicano. Il decennio della Ricostruzione radicale nel sud, che si basava sul nuovo diritto di voto per i neri, era un’epoca di progresso senza paragoni, sia per gli ex schiavi che per i bianchi poveri. Tuttavia il Partito repubblicano sostanzialmente si opponeva alle richieste rivoluzionarie della popolazione Nera. Una volta che i capitalisti del nord avevano imposto la propria egemonia nel sud, il Partito repubblicano, che rappresentava gli interessi dei capitalisti, partecipò in maniera sistematica alla privazione dei diritti civili del popolo Nero. DOUGLASS non comprese pienamente il vincolo di fedeltà al capitalismo del Partito repubblicano, per cui il razzismo divenne un espediente tanto quanto l’iniziale sostegno al suffragio dei neri. La visione di DOUGLASS del vito come panacea di tutti i mali del popolo nero può aver incoraggiato la rigidità razzista della posizione delle femministe sul suffragio delle donne. 5 IL SIGNIFICATO DELL’EMANCIPAZIONE SECONDO LE DONNE NERE Dopo un quarto di secolo di “libertà” un gran numero di donne nere lavorava ancora nei campi. Solo un numero infinitesimale di nere era riuscito a fuggire dai campi, dalle cucine o dalle lavanderie. Censimento 1890. Le poche che trovavano lavoro nell’industria di solito di occupavano delle mansioni più sporche e peggio pagate. Alle nere del 1890 la libertà doveva sembrare ancora più lontana degli anni della fine della Guerra civile. Durante le schiavitù le donne nere che lavoravano nell’agricoltura non erano meno oppresse degli uomini con cui faticavano nel corso della giornata. Spesso erano costrette a firmare “contratti” coi proprietari terrieri che volevano replicare le condizioni precedenti alla guerra. Data di fine contratto mera formalità. Dopo l’emancipazione le masse di neri si ritrovarono in un indefinito stato di peonaggio. I mezzadri non stavano meglio dei braccianti. Coloro che avevano preso “in affitto” la terra subito dopo l’emancipazione, di rado possedevano il denaro per saldare le rate dell’affitto o per acquistare dei beni prima del raccolto. Attraverso un sistema di lavori forzati i neri erano obbligati a stare dentro ai soliti ruoli scolpiti negli anni della schiavitù. Uomini e donne erano arrestati e imprigionati col minimo pretesto per poi essere dati in affitto dalle autorità come lavoratori forzati. Cautele non erano necessarie per i proprietari di piantagioni che affittavano dei prigionieri neri per tempi relativamente brevi “in molti casi i prigionieri malati vengono fatti sgobbare fino a quando non cadono a terra morti”. Usando la schiavitù come modello, il sistema dei lavori forzati non faceva differenza tra lavoro maschile/femminile. Uomini e donne erano spesso ospitati insieme nella stessa prigione militare e costretti con un giogo o una catena a lavorare assieme di giorno. Risoluzione approvata nel 1883 TEXAS STATE CONVENTION OF NEGROES: “la pratica di aggiogare o incatenare assieme prigionieri maschi e femmine era fortemente condannata”. DUBOIS: il sistema di affitto della manodopera prigioniera persuasero molto proprietari di piantagioni del sud ad affidarsi in maniera esclusiva alla manodopera carceraria. Di conseguenza sia i latifondisti che le autorità statali acquisirono un irresistibile interesse economico nell’incrementare la popolazione penitenziaria. “dal 1876 arrestati per la minima provocazione”. Abusi sessuali non mi fermarono con l’avvento dell’emancipazione. Durane il periodo successivo allo schiavismo molte operaie nere che non sgobbavano nei campi furono costrette a diventare domestiche. familiare impronta della schiavitù. La schiavitù veniva chiamata “istituzione domestica”: servitori domestici/servizio domestico. Agli occhi degli ex proprietari di schiavi “servizio domestico” era una formula cortese per un’occupazione disprezzabile non troppo differente della schiavitù. Le donne bianche del sud rifiutavano unanimemente di occuparsi di questi mestieri. Fuori dal sud le donne bianche che lavoravano come domestiche erano generalmente immigrate europee. Storia di una domestica della Georgia, raccolta da un giornalista di NY nel 1912: Lavorando 14 ore al giorno aveva diritto a far visita alla propria famiglia solo un pomeriggio ogni due settimane. Uno degli aspetti più umilianti del servizio domestico nel sud (altri indice di affinità con lo schiavismo) era la revoca temporanea delle leggi di JIM CROW nel momento in cui un servitore Nero si trovava ad accompagnare un bianco. Dalla RICOSTRUZIONE le donne nere che lavorano in casa considerano l’abuso sessuale perpetuato “dall’uomo di casa” come uno dei principali rischi professionali. Nel corso del tempo sono state vittime di estorsioni sul luogo di lavoro, obbligate a scegliere tra la sottomissione sessuale e l’assoluta povertà per se stesse e per le proprie famiglie. Come durante la schiavitù, il Nero che protestava contro questi trattamento infitti alla propria sorella/moglie/figlia poteva sempre aspettarsi di essere punito. Testimonianza donna: “questa corte non prenderà mai per buona la parola di una Negra contro quella di un uomo bianco”. Nel 1919, quando le leader degli stati del sud della NATIONAL ASSOCIATION OF COLORED WOMAN condivisero le proprie lamentale, in cime alla lista c’erano le condizioni del lavoro domestico. Protestavano contro quella che definivano “l’esposizione alla tentazione morale” sul lavoro. Dalla schiavitù, la condizione vulnerabile delle lavoratrici domestiche ha continuato ad alimentare i persistenti miti sull’”immoralità” delle Nere. Il lavoro domestico è considerato degradante perché viene svolto in maniera massiccia da donne nere, che sono a loro volta viste come “inette/promiscue”. Quando i neri incominciarono a migrare verso il nord: scoprirono che i loro datori di lavoro, fuori dal sud, non avevano verso gli schiavi appena liberati un atteggiamento sostanzialmente diverso da quello dei precedenti proprietari. “i negri sono servitori, i servitori sono negri”. Censimento del 1890 il Delawere era l’unico stato fuori dal sud dove i Neri erano in maggioranza contadini e braccianti e non servitori domestici. Il censimento divenne una prova della tesi per cui i negri sono servitori, i servitori sono negri La ricerca di ISABEL EATON sul servizio domestico: saggio del 1899 di DUBOIS THE PHILADELPHIA NEGRO: il 60% di tutti i lavoratori neri della Pennsylvania era impegnato in una qualche forma di lavoro domestico. Non c’erano altre occupazioni disponibili per loro. State licenziate per “pregiudizi”. Il razzismo funziona in maniera contorta: i datori di lavoro che pensavano di fare dei complimenti ai neri dichiarando di preferirli ai bianchi stavano in realtà sostenendo che i neri erano destinati a fare i servitori. Il buon servitore è sempre fedele, affidabile e riconoscente. La definizione tautologica dei neri come servitori è un puntello essenziale dell’ideologia razzista. Razzismo e sessismo frequentemente convergono e la condizione delle donne lavoratrici bianche è spesso legata allo status oppressivo delle donne di colore. Le paghe ricevute dalle domestiche bianche sono sempre state fissate dai criteri razzisti usati per calcolare le paghe delle servitrici nere. Per quanto riguarda i loro potenziali salari erano molto più vicine alle sorelle nere che ai fratelli bianchi che lavoravano per guadagnarsi la vita. le donne nere sono state intrappolate in queste mansioni almeno fino all’arrivo della Seconda Guerra Mondiale. Anni ’40 del secolo scorso: mercati di NY che invitavano le donne bianche a fare la propria scelta dalla massa di nere in cerca di impiego. Articolo pubblicato nel 1938 su THE NATION intitolato “le nostre massaie feudali”, si diceva che queste donne lavorassero 72 ore la settimana ricevendo la paga più bassa tra tutte le occupazioni. Il lavoro domestico era anche il più difficile da sindacalizzare: agli inizi del 1888 le domestiche erano tra le donne che aderirono al KNIGHTS OF LABOR quando questa associazione sindacale tolse il veto di tesseramento femminile. Molti decenni dopo gli organizzatori sindacali che cercavano di unificare le lavoratrici domestiche si trovarono di fronte gli stessi ostacoli dei loro predecessori. DORA JONES fondò e diresse la NY DOMESTIC WORKERS UNION durante gli anni ’30 del ‘900. 1939 (5 anni prima della fondazione del sindacato): sindacalizzate solo 350 domestiche su centomila. Le donne bianche (incluse le femministe) hanno manifestato una storica riluttanza a riconoscere le lotte delle domestiche. L’omissione interessata di questi problemi dal programma delle femministe di “classe media” altro non era se non una velata giustificazione del loro trattamento vessatorio nei confronti delle proprie domestiche. 1902: articolo “una giornata lavorativa di 9 ore per le domestiche” descriveva una conversazione con un’amica femminista che le aveva chiesto di firmare una petizione per obbligare i datori di lavoro a fornire delle sedie alle commesse: il suo comportamento contraddittorio e la sua scarsa e disordinata sensibilità hanno comunque una spiegazione: le persone che lavorano come servitrici sono generalmente viste come subumane. HEGEL: il costante tentativo di annichilire la coscienza del servo è inerente alla dialettica servo-padrone (o signora- domestica). La commessa era una lavoratrice salariata, un essere umano che possedeva almeno un briciolo di indipendenza dal suo datore di lavoro e dalla sua occupazione. La servitrice lavorava solo allo scopo di soddisfare i bisogni della signora. Considerando probabilmente la serva come una mera estensione di se stessa, la femminista non era consapevole del proprio ruolo attivo come agente di oppressione. ANGELINA GRIMKE: le donne bianche che non mettevano in discussione la schiavitù avevano pesanti responsabilità riguarda la disumanità di questa istituzione. Allo stesso modo la DOMESTIC WORKERS UNION mise a nudo il ruolo delle casalinghe di classe media nell’oppressione delle lavoratrici domestiche nere. Scoppio della Seconda guerra mondiale. Quando gli USA entrarono in guerra e il lavoro femminile fece girare l’economia bellica le donne nere dissero addio ai lavori domestici. All’apice della guerra il loro numero nell’industria era più che raddoppiato. Alla fine degli anni ’60 del ‘900: almeno un terzo delle donne nere rimaneva incatenato ai soliti impeghi domestici, mentre l’altro quinti si occupava di lavori di servitù in ambito non domestico. DUBOIS: sosteneva che fino a quando il servizio domestico dei neri fosse rimasto in regola, l’emancipazione sarebbe sempre rimasta un concetto astratto. I cambiamenti prodotti della Seconda guerra mondiale fornirono solo una spinta al progresso. 6 EDUCAZIONE E LIBERAZIONE: LE PROSPETTIVE DELLE DONNE Quando arrivò l’emancipazione il popolo nero ebbe difficoltà a celebrare i principi astratti della libertà. Il popolo nero non diede sfogo a fervori religiosi. Sapevano esattamente quel che volevano: donne e uomini volevano la terra, volevano il diritto di voto ed “erano arsi dal desiderio di studiare”. Quegli esseri umani che celebravano l’emancipazione si erano da tempo resi conto che “la conoscenza rende un bambino inadatto a essere uno schiavo”. Ma criticò la ANTHONY per non aver fatto della propria lotta personale contro il razzismo un elemento pubblico del movimento suffragista. ANTHONY non aveva mai mancato di elogiare DOUGLASS: il primo uomo a chiedere pubblicamente il diritto di voto alle donne tuttavia lo mise da parte al fine di reclutare donne bianche del sud nel movimento per il suffragio femminile: “quando l’associazione andrò ad Atlanta, in Georgia, conoscendo i sentimento del sud riguardo la partecipazione dei negri e all’uguaglianza con i bianchi, chiesi io stessa a DOUGLASS di non venire. Non volevo che fosse umiliato e non volevo che niente impedisse alle donne bianche di entrare nell’associazione per il suffragio”. ANTHONY continuava spiegando di essersi rifiutata di sostenere gli sforzi di alcune donne nere che volevano formare una sezione dell’associazione suffragista. Non voleva risvegliare l’ostilità verso i neri delle associate bianche del sud, che avrebbero potuto ritirarsi dall’organizzazione se fossero entrate delle donne di colore. Questa conversazione ebbe luogo nel 1894. ANTHONY per sua stessa ammissione, capitolò di fronte al razzismo “per ragioni tattiche”. WELLS mise in guardia ANTHONY per il fatto che stava legittimando la deriva delle donne bianche del sud verso la segregazione. In quel periodo il razzismo stava obiettivamente crescendo e i diritti e le vite del popolo nero erano in pericolo. Nel 1894 erano già molto radicato la messa in discussione dei diritti elettorali dei neri al sud, il sistema legale della segregazione e la legge di Lync, ossia i linciaggi dei neri. Più di ogni altro periodo della Guerra civile, quegli anni chiedevano una protesta forte e ben fondata contro il razzismo. La tesi “tattica” di ANTHONY e delle sue colleghe era una debole giustificazione per l’indifferenza delle suffragiste verso le pressanti richieste dell’epoca. 1888: Mississippi emanò una serie di normative che legalizzavano la segregazione razziale ed entro il 1890 lo stato aveva ratificato una nuova costituzione che privava i neri del diritto di voto. Altri stati meridionali emanarono nuove costituzioni per ottenere la privazione dei diritti elettorali del popolo nero. Due anni prima del loro dibattito su razzismo e suffragio, WELLS aveva subito un traumatico incontro diretto con la violenza razzista delle squadracce. Dopo le rivolte di Memphis del 1866 ci fu un altro linciaggio. (amici). la ispirò a investigare e mettere a nudo quel tipo di omicidi squadristi che si stava rapidamente diffondendo negli stati del sud. 1893 viaggiava in Inghilterra e condannò il silenzio che circondava migliaia di episodi di violenza squadrista. La posizione evidentemente “neutrale” che la leadership della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION adottò sulla “questione razziale” in realtà incoraggiò la proliferazione di idee esplicitamente razziste nelle fila del movimento suffragista. Congresso 1895: “pressione perché il sud adottasse il suffragio femminile come una soluzione al problema dei neri”. Questo “problema dei neri” poteva essere rivolto semplicemente, HENRY BLACKWELL, collegando il diritto di voto alla capacità di saper legger e scrivere: “ma in ogni stato a parte uno, ci sono più donne bianche colte di tutti gli analfabeti con diritto di voto, bianchi o neri, nativi o stranieri”. Paradossalmente questo ragionamento, volto a persuadere i bianchi del sud che il suffragio femminile avrebbe portato grandi vantaggi per il suprematismo bianco, fu inizialmente proposto da BLACKWELL quando annunciò il proprio sostegno al XIV/XV emendamento. 1867: rivolto un appello “alle assemblee legislative degli stati del sud” chiedendo loro di prendere nota del fatto che il diritto di voto alle donne poteva potenzialmente eliminare l’incombente peso politico della popolazione nera. Il noto abolizionista assicurava i politici sudisti dell’epoca che il suffragio femminile potesse riconciliare nord e sud. BLACKWELL e sua moglie, LUCY STONE, assistettero STANTON-ANTHONY durante la loro campagna del 1867: in quel frangente che ANTHONY- STANTON hanno dato il benvenuto a un famigerato democratico il cui programma era “la donna prima e il negro per ultimo” è un indice del consenso verso la logica razzista di BLACKWELL. “chi può esitare di scegliere tra una donna colta e un negro ignorante?” Ultimo decennio del diciannovesimo secolo che la campagna per il suffragio femminile comincia ad accettare definitivamente l’abbrabbio del suprematismo bianco. Le due fazioni, quella di STANTON-ANTHONY e quella di BLACKWELL-STONE, si erano divise sul tema del XIV/XV emendamento, si riuniscono nel 1890. 1892: STANTON era disillusa del potenziale liberatorio del voto per le donne e cedette la presidenza della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION alla sua collega ANTHONY. Durante il secondo anno del mandato di ANTHONY l’associazione approvò una rivoluzione che era una variante della tesi datata, razzista e classista, di BLACKWELL. “in ogni stato del sud ci sono più donne bianche che possono leggere e scrivere di tutti i votanti negri” Questa risoluzione respingeva in modo elegante i diritti delle donne nere e immigrate assieme ai diritti dei loro compagni di sesso maschile: si trattava di un tradimento degli ideali democratici che non poteva più essere giustificato da vecchie considerazioni tattiche. Nella logica di questa risoluzione vi era un attacco implicito alla classe lavoratrice nel suo complesso e una volontà di fare causa comune con i nuovi capitalisti monoppolisti la cui ricerca indiscriminata di profitti non conosceva limiti umani. Adottando la risoluzione del 1893 le suffragiste stavano dicendo che se avessero avuto il potere di voto, in quanto donne bianche della classe media e della borghesia, avrebbero rapidamente soggiogato i tre elementi principali della working class statunitense: i neri, gli immigrati e gli operai bianchi analfabeti i tre gruppi di persone il cui lavoro veniva sfruttato. Controllavano i lavoratori immigrati del nord come gli ex schiavi e i poveri operai bianchi che costruivano le nuove ferrovie, le miniere e le acciaierie del sud. Il terrore e la violenza obbligavano gli operai neri del sud ad accettare salari da schiavi e condizioni di lavoro che spesso erano peggio della schiavitù era questa la logica che stava dietro le crescenti ondate dei linciaggi e gli standard di privazione dei diritti elettorali al sud. Nel 1893, l’anno della fatale risoluzione della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION, la Corte suprema annullò il Civil Rights Act del 1875: con questa decisione le leggi di Jim Crow e di Linch (un nuovo modello di schiavismo razzista) ottennero una ratificazione giuridica. 3 anni dopo, la sentenza “Plessy vs Ferguson” inaugurò la dottrina del “separati ma uguali” che consolidava il nuovo sistema di segregazione razziale del sud. Ultimo decennio del diciannovesimo secolo: momento critico nello sviluppo del razzismo moderno: giustificazioni ideologiche. Espansione imperialista nelle Filippine, Hawaii, Cuba e Porto Rico. Le stesse forze che cercavano di soggiogare i popoli di quei paesi erano responsabili del peggioramento delle condizioni dei neri e dell’intera working class statunitense. Il razzismo alimentava le avventure imperialiste ed era probabilmente condizionato dalle strategie colonialiste e scioviniste. Nel 1899 le suffragiste si sbrigarono a fornire prove della loro tenace lealtà verso l’avido capitalismo monopolista. I precetti del razzismo e dello sciovinismo avevano dato forma alla politica della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION nei confronti della working class statunitense, così che le nuove gesta imperialiste furono accettate senza esitazioni. ANTHONY: non era arrabbiata per le nuove conquiste territoriali ma “era stata sommersa dalla rabbia per la proposta di inserire delle forme di governo semi-barbariche su Hawaii e sui nuovi possedimenti”. ANTHONY: di conseguenza avanzo la richiesta di “dare diritto di voto alle donne dei nuovi possedimenti, alle stesse condizioni degli uomini”. Come se le donne delle Hawaii o di Porto Rico dovessero rivendicare il proprio diritto di essere vittime dell’imperialismo statunitense tanto quanto i propri uomini. Congresso del 1890 della NATIONAL AMERICAN WOMAN SUFFRAGE ASSOCIATION emerse una contraddizione di fondo: mentre le suffragiste invocavano il loro “dovere verso le donne dei nostri possedimenti”, l’appello di una nera per una risoluzione contro le leggi di Jim Crow restò praticamente inosservato. Suffragista nera LOTTIE WILSON JACKSON: patito le indegne politiche segregazioniste delle ferrovie. ANTHONY: portò la discussione su questa risoluzione a chiudersi con un nulla di fatto. “noi donne siamo una classe priva di voto e di aiuti. Abbiamo le mani legate. Finché ci troviamo in questa condizione, non è bene che facciamo passare risoluzioni contro l’industria delle ferrovie o altre simili”. Rifiutando di difendere quella sorella nera la NATIONAL abbandonava simbolicamente l’intero popolo nero nel momento della sua più intensa sofferenza dell’epoca dell’emancipazione: questa posizione certificava in via definitiva che l’associazione di suffragiste era una forza politica potenzialmente reazionaria pronta ad andare incontro alle richieste dei suprematisti bianchi. Il rifiuto di affrontare la questione del razzismo incoraggiato l’espressione di pregiudizi contro i neri all’interno dell’organizzazione. Si lanciava un invito alle donne del sud a non rinunciare alla loro inclinazione verso il suprematismo bianco. Se ANTHONY avesse seriamente riflettuto sulle ricerche della sua amica WELLS si sarebbe resa conto che una posizione evasiva sul razzismo significava restare neutrali anche di fronte al linciaggio e all’assassinio di migliaia di neri. Nel 1899, quando ANTHONY appoggiò la bocciatura della risoluzione contro le leggi di Jim Crow, i neri denunciarono in massa il sostegno del presidente MCKINLEY al suprematismo bianco. Nessuna parola da parte del presidente fu pronunciata dopo uno dei più famigerati linciaggi dell’epoca: il rogo di SAM HOUSE, quello stesso anno, in Georgia. Documenti storici confermarono l’atmosfera di aggressioni razziste e al tempo stesso registrarono le potenti sfide lanciate dai neri nel 1899. (documento particolarmente simbolico è l’appello lanciato ai neri dal NATIONAL AFRO AMERICAN COUNCIL per osservare il 2 giungo un giorno di preghiera e digiuno). Come poteva pretendere ANTHONY si credere nei diritti umani e nell’uguaglianza politica e consigliare al tempo stesso ai membri della sua organizzazione di rimanere in silenzio sul tema del razzismo? L’ideologia borghese (in particolare i suoi ingredienti razzisti) possiede per davvero la capacità di dissolvere le concrete immagini di terrore nell’oscurità e nell’insignificanza. Col nuovo secolo un profondo matrimonio ideologico aveva legato in una nuova foggia razzismo e sessismo. Il suprematismo bianco e il maschilismo di abbracciarono. Primi anni del ventesimo secolo l’influenza delle idee razziste fu più forte che mai. Il clima intellettuale: infettato da nazioni irrazionali sulla superiorità della razza anglosassone. La promozione sempre più amplificata della propaganda razzista era accompagnata dalla diffusione parallela di idee sull’inferiorità delle donne. Le bianche imparavano che in quanto madri avevano una speciale responsabilità nella lotta per la salvaguardia della supremazia dei bianchi madri della razza. Mentre il razzismo sviluppava radici durature all’interno delle organizzazioni femminili bianche, anche il culto sessista della maternità si infiltrava in quel movimento che pretendeva di eliminare la supremazia maschilista. Razzismo e maschilismo di fortificavano a vicenda. 1901 il convegno della NATIONAL: nuova presidente CARRIE CHAPMAN CATT. Le considerazioni di ANTHONY riflettevano l’influenza eugenetica. Mentre le donne, sosteneva, in passato erano state corrotte “dai desideri e dalle passioni degli uomini”, era arrivato adesso il momento di soddisfare il loro scopo: diventare le salvatrici della razza. Attraverso l’intelligente emancipazione delle donne “la razza sarà purificata. Immediata e incondizionata emancipazione da ogni soggezione politica, industriale e religiosa”. Il discorso tenuto da CATT metteva in evidenza tre “grandi ostacoli” per il suffragio delle donne: “militarismo, prostituzione e l’inerzia nella crescita delle democrazia che è arrivata in conseguenza dei movimenti aggressivi che volevano concedere in tutta fretta il diritto di voto allo straniero, al negro e all’indiano”. Nel 1903 la NATIONAL fu testimone di un’esplosione di argomentazioni razziste: le propugnatrici della supremazia bianca erano decise a prendere il controllo dell’organizzazione (non a caso il congresso del 1903 fu tenuto a New Orleans, nel sud). Non è una coincidenza che le tesi razziste udite dalle delegate si associassero al culto della maternità. MARY CHASE: delegata del New Hampshire le donne avessero diritto al voto “in quanto naturali guardiane e protettrici della casa”. Il pioneristico WOMEN’S ERA CLUB di Boston continuava la strenua difesa delle persone nere. Quando la conferenza nazionale della Chiesa unitariana rifiutò di approvare una risoluzione contro il linciaggio, le componenti del NEW ERA protestarono vigorosamente e pubblicarono una lettera aperta destinata a una delle donne a capo della chiesa. Dopo aver sottolineato le privazioni di spazi di formazione e cultura subita dalle donne nere, la lettera di denuncia faceva appello a una protesta di massa contro il linciaggio: “e facciamo appello a tutti i cristiani di ogni parte del paese a fare lo stesso se non vorranno essere additati come sostenitori di assassini” Nel 1895 fu indetta a Boston la FIRST NATIONAL CONFERENCE OF COLORED WOMEN. Non era semplicemente un’emulazione della controparte bianca. Il club delle donne nere si erano riuniti per decidere una strategia comune di resistenza alle aggressioni propagandistiche contro le nere e al dispotismo della legge su linciaggio. FANNIE BARRIER WILLIAMS, esclusa da un club di Chicago delle socie bianche, propose una sintesi delle differenze tra i club delle bianche e i club della propria gente: “il movimento delle donne dei club delle donne di colore tocca i problemi della nostra razza intera. È piuttosto la forza di una nuova intelligenza contro la vecchia ignoranza”. Mentre il movimento dei club delle donne nere dedicava tutto il suo impegno alla lotta per la liberazione dei neri, le dirigenti di ceto medio adottavano a volte degli atteggiamenti elitari nei confronti delle masse popolari. WILLIAMS; concepiva i club delle donne come “la nuova intelligenza, la coscienza illuminata”: “per le bianche i club sono un movimento di avanguardia delle migliori donne nell’interesse della migliore condizione femminile. Per le donne di colore, invece, il club è lo sforzo di una minoranza competente a nome di una maggioranza incompetente”. Prima che si stabilisse definitivamente un’organizzazione nazionale del club delle donne nere tra le dirigenti intercorse una spiacevole rivalità. Nel 1895 la conferenza di Boston convocata da RUFFIN gettò le basi per la fondazione, nello stesso anno, della NATIONAL FEDERATION OF AFRO-AMERICAN WOMEN. MARGARET MURRAY WASHINGTON su eletta come presidente. Nel 1896 fu fondata a Washington la NATIONAL LEAGUE OF COLORED WOMEN con MARY CHRUCH TERREL come presidente. Le due organizzazioni, benché in competizione, decisero nel giro di poco tempo di fondersi dando vita alla NATIONAL ASSOCIATION OF COLORED WOMEN’S CLUB, che assegnò a TERRELL la carica più alta. Anni successivi TERREL e WELLS espressero in seno al movimento un’ostilità reciproca. WELLS denuncia di essere stata esclusa per opera di TERRELL dal congresso della NATIONAL che si tenne a Chicago nel 1899 la preoccupazione di non essere rieletta presidente portò TERRELL a escludere l’ex giornalista e a minimizzare, durante il congresso, la questione della lotta al linciaggi che la sua rivale era arrivata di fatto a personificare. TERRELL era figlia di uno schiavo che aveva ricevuto, in seguito all’emancipazione, una considerevole eredità dal padrone (che era anche suo padre). Poté godere di opportunità di studio eccezionali. Divenne la terza donna nera diplomata nel paese. Insegnante di liceo e più avanti professoressa universitaria, TERRELL divenne la prima donna nera a ricevere un incarico dal Board of Education del distretto di Columbia. La preoccupazione per la liberazione collettiva della propria gente la portò a dedicare tutta la vita adulta alla lotta per la liberazione dei neri. TERRELL fu una forza trainante che trasformò il movimento dei club delle donne nere una potente organizzazione politica. WELLS: nata da una famiglia di ex schiavi. Tentò la carriera di insegnante per badare ai suoi fratelli + intraprese un percorso di attivismo antirazzista. 22 anni decise di intentare una causa contro il servizio ferroviario per aver subito discriminazione razziale durante un viaggio in treno. In seguito all’assassinio di 3 suoi amici ad opera di un gruppo di razzisti decise di trasformare il proprio giornale in una potente arma contro il linciaggio. Quando i razzisti minacciarono la sua vita e distrussero gli uffici del giornale fu costretta all’esilio. Facendo appello in egual misura a bianchi e neri perché in massa si opponessero al regime del linguaggio. Alla vigilia della sua morta era ancora la militante si sempre, in testa alla manifestazione delle donne nere di Chicago contro le politiche segregazioniste del più importante hotel della città. Nella sua lunga crociata contro il linciaggio WELLS divenne un’esperta di tattiche di agitazione e conflitto. Ma poche uguagliavano TERRELL come promotrice della liberazione dei neri. Le sue armi di lotta erano il ragionamento logico e la persuasione. TERRELL portò avanti con perseveranza e solidi principi la lotta per l’uguaglianza dei neri e per il diritto di voto alle donne, così come quelle per i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici. WELLS-TERRELL: la loro faida personale andò avanti per decenni e fu una drammatica costante nella storia del movimento dei club delle donne nere. 9 LAVORATRICI, DONNE NERE, E LA STORIA DEL MOVIMENTO SUFFRAGISTA Nel gennaio 1868, quando ANTHONY pubblicò il primo numero di REVOLUTION, le donne lavoratrici avevano da poco ingrossato i ranghi della forza lavoro, difendendo con le lotte i propri diritti. Durante la Guerra civile un numero senza precedenti di donne bianche era andato a lavorare al di fuori delle proprie abitazioni. Nell’industria dell’abbigliamento erano già diventate la maggioranza. A quell’epoca il movimento operaio si stava sviluppando rapidamente e contava una trentina di organizzazioni sindacali nazionali. All’interno del movimento operaio il maschilismo predominava: solo i lavoratori della manifattura del tabacco e i tipografi avevano aperto le porta delle loro organizzazioni alle donne. Nel corso della Guerra civile e nell’immediato dopoguerra le lavoratrici del tessile costituirono il più ampio gruppo di donne a lavorare fuori casa. Nel 1866 quando fu fondata la NATIONAL LABOR UNION i suoi delegati furono obbligati a riconoscere gli sforzi organizzativi delle lavoratrici del tessile. WILLIAM SYLVIS il congresso inaugurale decise di sostenere non solo le “figlie della fatica nel paese” (come venivano chiamate la lavoratrici del tessile) ma la generale sindacalizzazione delle donne e la piena uguaglianza salariale tra i sessi. Dopo la sua elezione a presidente la NATIONAL LABOR UNION riscosse la partecipazione di numerose delegate donne tra le quali STANTON- ANTHONY. Congresso si vide costretto a approvare risoluzioni più radicali sostenendo la lotta per i diritti delle lavoratrici con maggior serietà. Al congresso di fondazione della NATIONAL COLORED LABOR UNION, 1869, le donne invece furono accolte fin dall’inizio. I lavoratori neri non volevano commettere “l’errore, commesso fino a quel momento dai loro concittadini bianchi, di escludere le donne”. Questo sindacato nero, nato a causa delle politiche escludenti delle organizzazioni bianche: maggiormente impegnato verso i diritti delle lavoratrici rispetto alle omologhe, e precedenti, organizzazioni bianche. Mentre la NATIONAL LABOR UNION aveva di fatto solamente approvato delle risoluzioni a favore dell’uguaglianza delle donne, la NATIONAL COLORED LABOR UNION elesse una donna (CAREY) nel comitato politico ed esecutivo. ANTHONY-STANTON: nei loro scritti non parlarono mai dei traguardi antisessisti del sindacato nero. Primo numero di REVOLUTION di ANTHONY, il giornale finanziato dal razzista TRAIN del Partito democratico, il messaggio rivolto alle donne era di lottare per il diritto al voto. Una volta ottenuto il suffragio femminile, così sembrava dicesse il giornale, si sarebbe finalmente realizzato il trionfo della morale in tutta la nazione. REVOLUTION: ruolo molto importante nelle lotte delle lavoratrici. Il giornale sostenne a più riprese la rivendicazione della giornata lavorativa di 8 ore come lo slogan antisessista “uguale salario per uguale lavoro”. Durante il primo anno di pubblicazione del giornale lei e STANTON utilizzarono gli uffici per organizzare la tipografia della WORKING WOMEN’S ASSOCIATION. Poco dopo la NATIONAL TYPOGRAPHERS divenne il secondo sindacato ad ammettere le donne. Grazie all’iniziativa della ANTHONY fu successivamente fondata una seconda associazione di donne tra le lavoratrici del tessile. Nonostante i contributi fondamentali alla lotta delle lavoratrici ANTHONY-STANTON non accettarono mai fino in fondo i principi del sindacalismo: non abbracciarono mai del tutti i principi fondamentali dell’unità e della solidarietà di classe senza i quali il movimento operaio sarebbe rimasto impotente. Dal punto di vista di queste suffragiste la “donna” aveva la priorità: se si doveva portare avanti la causa delle donne, per loro non era sbagliato che facessero le crumire quando gli uomini scioperavano. ANTHONY fu esclusa dal congresso della NATIONAL nel 1869: “gli uomini subiscono grandi ingiustizie schiaccianti nella morsa del lavoro e capitale ma queste ingiustizie, paragonate a quelle subite dalle donne non solo altro che una goccia nell’oceano”. La posizione della ANTHONY- STANTON in questo episodio ricorsa la posizione delle suffragiste razziste della EQUAL RIGHTS ASSOCIATION: così come queste attaccarono gli uomini neri quando realizzarono che gli ex schiavi avrebbero potuto voltare prima delle donne bianche, allo stesso modo ANTHONY-STANTON se la presero con gli uomini della classe operaia. “i peggiori nemici del suffragio femminile sarebbero sempre stati gli uomini della classe lavoratrice”. La “donna” era la loro priorità, ma evidentemente non tutte le donne. Le nere rimasero invisibili nel corso di tutta la campagna per il suffragio femminile. La stesse lavoratrici non dimostrarono alcun entusiasmo per la causa del suffragio femminile: le masse lavoratrici erano troppo preoccupate dai loro problemi immediati (salario, orario, condizioni di lavoro) per mettersi a lottare per una causa che sembrava così astratta. Le donne lavoratrici sapevano tutte fin troppo bene, i loro padri, fratelli, mariti e figli che esercitavano il diritto di voto continuavano ad essere dei poveri sfruttati nelle mani dei ricchi datori di lavoro. L’uguaglianza politica non apriva le porte all’uguaglianza economica. ANTHONY criticava apertamente la propensione delle lavoratrici a focalizzarsi sui propri bisogni immediati. Ma queste cercavano giustamente soluzioni concrete ai problemi economici quotidiani. Persino le aderenti alla WORKING WOMEN’S ASSOCIATION, organizzate da ANTHONY, decisero di non partecipare alla lotta per il suffragio. Sin dagli inizi dell’attività ANTHONY aveva sostenuto che il voto avrebbe portato alla vera emancipazione delle donne e che il sessismo in quanto tale era molto più oppressivo del razzismo e della disuguaglianza di classe: “la più odiosa oligarchia mai affermata sulla faccia della terra” era la dominazione degli uomini sulle donne. La devota posizione femminista della ANTHONY era anche un riflesso della sua devozione all’ideologia borghese. Ed era probabile a causa del potere accecante di quella ideologia che ANTHONY non riuscì a rendersi conto che le lavoratrici, così come le nere, erano profondamente legate ai propri uomini dallo sfruttamento di classe e dall’opposizione razzista da non poter fare distinzioni di sesso. Il vero nemico (il nemico comune) era il padrone, il capitalista, o chiunque fosse responsabile dei salari da fame, delle condizioni di lavoro estenuanti e delle discriminazioni razziste e sessiste sul lavoro. La lavoratrici non rivendicarono in massa il suffragio fino agli inizi del ventesimo secolo, quando le proprie lotte diedero loro delle specifiche motivazioni per chiedere il diritto di voto. Durante l’inverno 1909-1910 le lavoratrici dell’industria tessile di NY scesero in sciopero nella famosa “Insurrezione delle ventimila”, fu solo allora che il voto iniziò ad acquisire un’importanza specifica per le loro lotte: le lavoratrici avrebbero potuto utilizzare il voto per rivendicare salari più alti e migliori condizioni di lavoro. Il suffragio femminile sarebbe servito come potente arma per la lotta di classe. In seguito al tragico incendio della NY TRIANGLE COMPANY la necessità di una regolamentazione delle condizioni di lavoro. Le lavoratrici avevano bisogno del voto per garantire la propria stessa sopravvivenza. Una dirigente della NY SOUFFRAGE LEAGUE, LEONORA O’REILLY difese il diritto di voto per le donne da una prospettiva working class. Le donne operaie erano disposte a lottare per il voto ma in realtà se ne sarebbero servite per rimuovere dal loro incarico tutti quei legislatori le cui simpatie andavano al mondo degli affari. Le donne della classe lavoratrice rivendicavano il diritto di voto come arma supplementare per avanzare nella lotta di classe. Questa nuova prospettiva: tesmonianza dell’influenza crescente del movimento socialista. LUCY PARSONS Una di quelle poche donne nere: cronache del movimento operaio statunitense. È quasi sempre identificata in modo riduttivo come la “devota moglie” di ALGERT PARSONS, martire di HAYMARKET. La sua attività giornalistica militante in difesa della classe operaia proseguì per più di 60 anni. La sua partecipazione alle lotte operaie ebbe inizio quasi 10 anni prima del massacro di HAYMARKET. Il suo percorso politico oscillò dalle posizioni anarchiche della gioventù all’adesione al COMMUNISTI PARTY in età adulta. Nata nel 1853 PARSONS aderì al SOCIALIT PARTY nel 1877. Negli anni a seguire iniziò a militare nella CHICAGO WORKING WOMEN’S UNION. Scontri a fuoco del 1 maggio del 1886 di HAYMARKET a Chicago, il marito fu uno degli 8 dirigenti operai radicali arrestati dalle autorità. Viaggiando per tutto il paese divenne una nota leader del movimento operaio e grande sostenitrice dell’anarchismo. Benché fosse nera (cosa che dovette spesso dissimulare a causa delle leggi che proibivano il matrimonio misto) e nonostante fosse una donna PARSONS sostenne che il razzismo e il sessismo fossero questioni di second’ordine rispetto allo sfruttamento capitalista della classe lavoratrice. I neri e le donne subivano lo sfruttamento capitalistico non meno dei bianchi e degli uomini, tutte le energie dovevano essere dedicate alla lotta di classe. I neri e le donne non subivano alcuna forma specifica di oppressione e non esisteva a suo parere la necessità di un movimento di massa delle persone oppresse dal razzismo e dal sessismo. Il sesso e la razza erano solamente delle circostanza esistenziali strumentalizzate dal padronato per giustificare un maggiore sfruttamento delle donne e delle persone di colore. Se i neri subivano la brutalità del linciaggio era perché la povertà li aveva resi il gruppo di lavoratori più vulnerabile di tutte. PARSONS- MOTHER MARY JONES furono le prime due donne ad unirsi all’organizzazione radicale operaia degli INDUSTRIAL. Durante il congressi di fondazione degli WOBBLIES del 1905: entrambe invitate a sedere affianco alla direzione (DEBS- BIG BILL). PARSONS: rivelò la sua particolare sensibilità per l’oppressione delle donne lavoratrici che, dal suo punto di vista, erano strumentalizzate dai capitalisti al ine di ridurre i salari dell’intera classe operaia. Anni ’20 del 900 iniziò a sentirsi sempre più vicina alle lotte del neonato COMMUNISTI PARTY. Impressionata dalla rivoluzione dei lavoratori russi del 1917 divenne fiduciosa che col tempo la working class avrebbe trionfato anche negli USA. 1939 aderì ufficialmente al PARTITO COMUNISTA. Morì nel 1942. ELLA REEVE BLOOR Nata nel 1862 e nota anche come MOTHER BLOOR, fu una straordinaria sindacalista, una militante per i diritti delle donne, dei neri, per la pace e il socialismo. Entrò nei SOCIALIST PARTY subito dopo la sua fondazione e vi militò fino a divenirne una dirigente oltre che una leggenda vivente per la classe lavoratrice di tutto il paese. Cuore e l’anima di un numero incalcolabile di scioperi. Da socialista la sua conoscenza di classe non teneva conto dell’oppressione specifica dei neri. Da comunista invece lottò contro tante espressioni di razzismo, esortando gli altri a fare lo stesso. Durante i primi anni ’30 del 900 incontro a LOUP CITY, in Nebraska: sostegno delle lavoratrici di un’azienda avicola che avevano scioperato contro il loro padrone. A causa della presenza di persone nere all’assemblea, le scioperanti furono aggredite da un gruppo di razzisti. BLOOR fu arrestata insieme a una nera e a suo marito: FLOYD BOOTH dirigeva un comitato pacifista locale e suo marito era un attivista. Rifiutò di uscire di prigione fino a che i BOOTH non fossero usciti insieme a lei. Organizzò la partecipazione di una delegazione statunitense a una conferenza internazionale delle donne a Parigi. Quattro di queste donne erano nere: CAPITOLA TASKER- MABEL BYRD- LULIA JACKSON (la rappresentante nera dei minatori della Pennsylvania). LULIA sostenne che la guerra contro il fascismo era il solo mezzo per garantire una pace effettiva. Donna: non dobbiamo lottare. Risposta “io non posso accettarlo. Conosciamo tutte la causa della guarra: il capitalismo”. Come sosteneva MARY BLOOR con i suoi compagni del COMMUNIST PARTY, la classe lavoratrice non avrebbe mai potuto assumere il ruolo storico di forza rivoluzionaria se i lavoratori e le lavoratrici non avessero lottato incessantemente contro il veleno sociale del razzismo. ELLA REEVE BLOOR: questa donna comunista bianca fu una solida e profonda alleata del movimento di liberazione dei neri. ANITA WHITNEY Nacque nel 1867 da una famiglia benestante di San Francisco. Diventare presidente del COMMUNIST PARTY in California. Appena diplimata a Wesley, il prestigioso college femminile nel New England, iniziò a partecipare come volontaria a organizzazioni di beneficenza e di assistenza sociale. Poco dopo aderì alla campagna per il suffragio femminile. Ritornata in California entrò a far parte della EQUAL SUFFRAGE LEAGUE e fu eletta presidente proprio quando il suo stato divenne il sesto negli USA a estendere il diritto di voto alle donne. 1914 aderì al SOCIALIST PARTY: appoggiò con convinzione molte lotte antirazziste. Fondata la sezione di San Francisco Bay Area della NATIONAL ASSOCIATION FOR THE ADVANCEMENT OF COLORED PEOPLE entrò a far parte del comitato esecutivo. Divenne nel 1919 una delle fondatrici del COMMUNIST LABOR PARTY. Poco dopo l’organizzazione confluì nel COMMUNIST PARTY degli USA. 1919 fu l’anno delle ignobili irruzioni della polizia contro i comunisti promosse dal procuratore generale ALEXANDER MITCHELL PARLMER. 28 novembre 1919 “il problema negro negli USA”: affrontò la questione del linciaggio: “fare la nostra parte per cancellare questa situazione”. 1919 era ancora molto raro che una persona bianca esortasse altri della sua razza a sollevarsi contro la piaga del linciaggio. La propaganda razzista generalizzata e la diffusione del mito dello stupratore nero avevano alimentato segregazione ed emarginazione. Anche nei circoli progressisti le persone bianche spesso esitavano a esprimersi contro il linciaggio poiché era giustificato come una reazione alle aggressioni sessuali degli uomini neri sulle donne bianche del sud. ANITA decise di parlare del tema del linciaggio al club delle donne bianche di Oakland: denunciata dalle autorità per sindacalismo criminale. ANITA fu sicuramente una delle prime donne bianche del ventesimo secolo a lottare contro il razzismo. Insieme ai suoi compagni neri e ad altri bianchi sensibili alla questione, mise a punto la strategia del COMMUNIST PARTY per l’emancipazione della classe lavoratrice. In questa strategia di lotta per la liberazione dei Neri era un elemento centrale. Nel 1936 divenne la presidente della sezione californiana del COMMUNIST PARTY e fu eletta poco dopo nel comitato nazionale del partito. ELIZABETH GURLEY FLYNN Quando morì nel 1964 aveva militato per la causa socialista e comunista per circa sessant’anni. Cresciuta da due genitore anch’essi del SOCIALIST PARTY, scoprì in età precoce la sua affinità con la lotta dei socialisti contro la classe capitalista. 16 anni: suo primo discorso pubblico in difesa del socialismo. Accompagnando il padre imparò a tenere comizi per strada. All’età di 16 anni la sua carriera come agitatrice in difesa dei diritti della classe operaia era già iniziata. Il suo primo incarico fu la difesa di BIG BILL colpito da una macchinazione di accuse istigata dai trust del rame. Si unì alle lotte dei WOBBLIES. Dopo due anni di attivismo del SOCIALIST PARTY, divenne una militante dei WOBBLIES. Si dimise dall’organizzazione socialista ormai “convinta che fosse sterile e settaria in confronto a questo movimento radicato tra le masse popolati, che si stava ampliando nel paese”. Ne 1912 si diresse a Lawrence, in Massachussetts, quando le lavoratrici del tessile erano in agitazione (meno di 7 dollari a settimana). Come agitatrice, in viaggio con gli INDUSTRIAL, ogni tanto lavorava insieme e FRANK LITTLE, celebre leader nativo americano. 1916 rappresentarono i WOBBLIES durante lo sciopero dei lavoratori del distretto minerario di Mesabi, nel Minnesota. Meno di un anno dopo venne a sapere che FRANK LITTLE era stato linciato a Butte, nel Montana fu aggredito da un gruppo di razzisti dopo aver promosso uno sciopero di minatori. Un mese dopo la morte di LITTLE un’indagine federale denunciò delle persone per “aver cospirato insieme a lui allo scopo di impedire l’esecuzione delle leggi degli USA”. ELIZABETH fu la sola donna tra gli accusati. Dalla sua autobiografia emerge che fosse consapevole fin dai primi tempi del suo attivismo dell’oppressione specifica subita dalle persone nere. La coscienza dell’importanza della lotta antirazzista senza dubbio si intensificò con la militanza dei WOBBLIES. Ma i WOBBLIES erano un’organizzazione sindacale radicata tra i lavoratori del settore industriale che, a causa della discriminazione razzista, all’epoca erano quasi tutti bianchi. Nella ristretta minoranza di operai neri le donne erano quasi del tutto assenti perché bandite dall’occupazione industriale. la maggior parte delle nere/neri era occupata nel settore agricolo o nei servizi domestici. 1937: entrò a far parte del COMMUNIST PARTY. Sviluppò una nuova lettura della centralità della liberazione dei neri nella battaglia per l’emancipazione della classe lavoratrice. Criticando la disuguaglianza tra le donne e gli uomini veterani di guerra, FLYNN ricordò ai suoi lettori che le donne nere veterane soffrivano ancora di più delle loro sorelle bianche: soggiogate da una triplice oppressione: “ogni disuguaglianza e diritto negato alle donne americane è mille volte più grave per le donne negre, che sono sfruttate tre volte: come negre, come lavoratrici e come donne”. Questa stessa analisi del “triplice rischio” fu proposta più avanti anche dalle nere che cercarono di influenzare sin dal principio l’odierno movimento di liberazione delle donne. Durante l’attacco al COMMUNIST PARTY negli anni del maccartismo FLYNN fu arrestata a NY, insieme ad altre 3 donne, e denunciata per “insegnamento ed esortazione al rovesciamento violento delle istituzioni”. MARIAN BACHRACH- BETTY GANNET- CLAUDIA JONES (nera). Nel giugno del 1951 le 4 comuniste furono prese dalla polizia e portate nella NY WOMEN’S HOUSE OF DETENTION. Dopo il processo per violazione dello SMITH ACT, le 3 donne (no marian) furono condannate a scontare la loro pena al FEDERAL REFORMATORY FOR WOMEN in Virginia. Poco prima del loro arrivo la prigione aveva ricevuto mandato dal tribunale di sopprimere la segregazione razziale nelle strutture carcerarie. L’abolizione per legge della segregazione nelle prigioni non aveva sancito la fine della discriminazione razziale. Le nere continuavano a essere assegnate ai lavori più duri. Come leader del COMMUNIST PARTY FLYNN aveva maturato un profondo impegno nella lotta per la liberazione dei neri ed era arrivata a realizzare che la loro resistenza non era sempre coscientemente politica. Tra le prigioniere di Aldenson: c’era una maggiore solidarietà tra le negre. Mi sembrava avessero un carattere migliore rispetto alle detenute bianche: meno inclini al pentimento o a fare la spia. CLAUDIA JONES Nata nell’isola di Trinidad quando ancora faceva parte delle Indie occidentali britanniche, JONES immigrò negli USA da ragazzina insieme ai suoi genitori. Più avanti si unì insieme a tanti altri neri al movimento per liberare gli SCOTTSBORO NINE. Grazie al suo attivismo negli SCOTTSBORO DEFESE COMMITTEE che fece conoscenza con alcuni membri del COMMUNIST PARTY, a cui decise di aderire. Da ventenne assunse un ruolo di responsabilità nella commissione nazionale femminile del partito. Studio fenomenico degli abusi: SUSAN BROWNMILLER sostiene che l’oppressione storica degli uomini neri abbia reso loro inaccessibili molte delle espressioni “legittime” di maschilismo e che per questo ricorrano ad atti maniesti di violenza sessuale. La rivista TIME la selezionò come una delle donne dell’anno per il 1976 descrivendo il suo libro come “l’opera più rigorosa e provocatoria mei emersa dal movimento femminista”. Altri ambienti: severe critiche per aver riabilitato il vecchio mito razzista dello stupratore nero. L’opera di BROWNMILLER è senza dubbio un contributo d’avanguardia alla ricerca contemporanea sulla questione della violenza. Ma molte delle sue tesi sono pervase dall’ideologia razzista. Reinterpretazione nel suo saggio del caso di EMMETT TILL: linciato nel 1953 a 14 anni: aveva fischiato dietro a una donna bianca: “era stato più di una ragazzata”. “EMMETT TILL aveva intenzione di dimostrare ai suoi compagni che lui (e di conseguenza loro) avrebbe potuto avere una donna bianca. In gioco c’era l’accessibilità di tutte le donne bianche. Fu un deliberato insulto, un a micro-aggressione fisica. Aveva intenzione di possederla” Rappresentazione del giovane nero come colpevole di un gesto sessista. Sia per TILL che per i suoi assassini la sola preoccupazione era il diritto di possedere le donne. MACKELLAR: propaganda razzista: il 90% degli stupri denunciati negli USA erano commessi da neri. FBI: 47% dei casi. Studi più recenti sullo stupro negli USA hanno riconosciuto la disparità tra l’effettiva incidenza delle aggressioni sessuali e quelle che sono denunciate alla polizia. Uno studio pubblicato dal gruppo NY RADICAL FEMINISTI ha concluso che le denunce corrispondono a meno del 5% degli stupri. Se questo schema persiste sarà praticamente impossibile individuare le reali cause sociali del fenomeno. DIANA RUSSEL: “stupratore tipo” sia un uomo di colore- oppure, se bianco, povero o appartenente alla working class. BROWNMILLER-MACKELLAR-RUSSERL sono sicuramente più sottili rispetto ai primi ideologi del razzismo, la le loro conclusioni sono purtroppo le stesse di teorici universitari del razzismo come WINFELD COLLINS: “le due caratteristiche più rilevanti del negro sono la totale mancanza di castità e la completa assenza di sincerità. Li la natura ha sviluppato in lui un’intensa passiona sessuale per compensare l’alto tasso di mortalità”. Se COLLINS sostiene tesi pseudo-biologiche, BROWNMILLER-RUSSER-MACKELLAR sostengono teorie del condizionamento ambientale, ma le analisi conclusive affermano tutte che gli uomini neri sono inclini per natura a commettere violenza sessuale contro le donne. Uno dei primo studi teorici emersi dal movimento femminista contemporaneo sul nesso tra razza-stupro è LA DIALETTICA DEI SESSI. AUTORITARISMO MASCHILE E SOCIETA’ TARDO-CAPITALISTICA di SHULAMITH FIRESTONE: interpreta il razzismo come un’estensione del sessismo. Riprendendo il passo biblico secondo cui “le razze non sono atro che i vari genitori e fratelli della Famiglia dell’Uomo”, l’autrice ridefinisce l’uomo bianco come il padre, la donna bianca come moglie e madre e i neri come i figli. Trasponendo di fatto la teoria freudiana del complesso di Edipo in termini razziali teorizza che gli uomini neri covino un desiderio irrefrenabile di avere rapporti sessuali con le donne bianche: vogliono uccidere il padre e giacere con la madre. Così, per potere “essere uomo”. Anche FIRESTONE cade nel vecchio sofisma razzista dell’addossare colpe alla vittima. Le loro affermazioni hanno contribuito alla ripresa del vecchio mito dello stupratore nero. Impedisce di comprendere che l’idea del nero come stupratore rinforza ulteriormente la legittimità degli uomini bianchi a disporre dei corpi delle nere come oggetti sessuali. La rappresentazione stereotipica dello stupratore nero ha sempre alimentato l’immaginario della donna nera come promiscua. L’intera razza nera è investita di bestialità. Viste come donne facili e prostitute, le grida d’aiuto delle nere stuprate perdono legittimità. Studioso nero contemporaneo, CALVIN HERNTON: sopraffatto dal peso delle calunnie sulle donne nere. Nel suo saggio sostiene: “durante la schiavitù la donna negra iniziò a maturare un’idea disprezzante di sé, non solo in quando donna, ma anche in quando essere umano”. “dopo aver esperito l’incontenibile immoralità sessuale del bianco del sud, la negra divenne promiscua e facile e disponibile come oggetto sessuale”. L’autore cade nella trappola del dare la colpa alla vittima per la punizione feroce che le è stata storicamente inflitta. Le nere hanno manifestato una consapevolezza collettiva della propria condizione di vittime di violenza sessuale. Hanno anche compreso che non potevano resistere alle aggressioni sessuali senza attaccare allo stesso tempo la falsa accusa dello stupro come alibi per i linciaggi. Il ricorso agli abusi come strumento di terrore da parte del suprematismo bianco ha anticipato in molti stati l’istituzionalizzazione del linciaggio. Durante la schiavitù il linciaggio dei neri non si verificò in maniera diffusa per il semplice motivo che i proprietari erano riluttanti a distruggere le loro preziose proprietà. Stupro: arma di ordinaria repressione. I linciaggi avvenuti prima della Guerra civile si rivolsero principalmente verso gli abolizionisti bianchi, che non avevano valore sul mercato. LIBERATOR di WILLIAM LLOYD GARRISON: il tasso dei linciaggi aumentò quando la campagna contro la schiavitù iniziò a guadagnare potere e influenza. Con l’emancipazione degli schiavi i neri persero valore di mercato per gli ex padroni e di conseguenza “la pratica del linciaggio subì un profondo cambiamento”. Il mito dello stupratore nero è stato costruito in relazione a questi linciaggi. Soltanto l’irrazionalità dell’ideologia razzista poté legittimare questa terribile pratica. Il mito dello stupratore nero fu un’invenzione politica. DOUGLASS: durante la schiavitù gli uomini neri non erano etichettati come violentatori. Durante la Guerra civile, infatti, non un solo uomo nero fu pubblicamente accusato di aver abusato di una donna bianca. Se gli uomini neri avessero posseduto un’esigenza animalesca di stupratore questo presunto istinto alla violenza si sarebbe certamente attivato quando gli uomini lasciavano le donne indifese per andare a combattere nell’esercito confederato. Immediato dopoguerra: stupratore nero non era ancora apparso. I linciaggi, riservati durante la schiavitù agli abolizionisti bianchi, iniziarono a dare prova di essere una valida arma politica. Prima che si consolidasse come istituzione la sua brutalità e i suoi orrori dovettero essere giustificati in maniera convincente. Queste circostanze generarono il mito dello stupratore nero e lo stupro emerse come il mezzo più efficace per giustificare il linciaggio dei neri. Questa istituzione, complementare all’abuso delle donne nere, divenne un ingrediente essenziale della strategia postbellica di terrore razzista: in questo modo lo sfruttamento brutale del lavoro dei neri era garantito e, dopo il tradimento della Ricostruzione, fu assicurata anche la dominazione politica sulle persone nere. Durante la prima grande ondata di linciaggi la propaganda che esortava alla difesa delle donne bianche dagli istinti irrefrenabili degli uomini neri brillava per la sua pochezza. DOUGLASS: le uccisioni al di fuori della legge di persone nere erano sempre più spesso descritte come una misura preventiva per dissuadere le masse nere dal sollevarsi in rivolta. All’epoca la funzione pubblica degli omicidi degli squadristi venne a galla: il linciaggio era una forma esplicita di contro-insurrezione, una garanzia che i neri non avrennero avuto le forze di raggiungere gli obiettivi ella cittadinanza e dell’uguaglianza economica. “mai veniva pronunciata una parola su abusi commessi da negri contro le donne bianche e i bambini”. Quando divenne evidente che queste cospirazioni, complotto e insurrezioni erano delle montature che non si materializzavano mai, fu modificata la giustificazione del linciaggio. Anni successivi al 1872: ovvero negli anni dell’ascesa delle ronde come quelle del KU KLUX CLAN fu escogitato un nuovo pretesto: i linciaggi furono rappresentati come una misura necessaria per impedire la supremazia nera sulle persone bianche, in altre parole per riaffermare la supremazia bianca. Dopo il tradimento della Ricostruzione e la conseguente privazione dei neri dei diritti civili, lo spettro della supremazia politica nera come pretesto per il linciaggio divenne obsoleto. Eppure, quando la struttura economica postbellica prese forma, consolidando l’per sfruttamento del lavoro delle persone nere, il numero di linciaggi continuò ad aumentare. Lo stupro emerse come principale giustificazione per i linciaggi. La teoria di DOUGLASS sulle motivazioni politiche che hanno spinto alla creazione del mito dello stupratore nero si basano sull’analisi del modo in cui l’ideologia si trasforma per incontrare nuove condizioni storiche. Il linciaggio era ora spiegato e razionalizzato come metodo per vendicarsi delle aggressioni da parte degli uomini neri sulle donne bianche del sud. Il linciaggio era necessario per mantenere il controllo sui negri del sud. Benché la maggior parte dei linciaggi non avesse a che fare con l’accusa di aggressione sessuale, l’allarme razzista sullo stupro divenne una motivazione diffusa e fu molto più efficace dei precedenti tentativi di giustificare le aggressioni sui neri. In una società in cui il maschilismo era pervasivo gli uomini (motivati dal dovere di difendere le donne) potevano esser scusati di ogni possibile eccesso. L’efficacia della nuova motivazione fu dimostrata dalla ferocia che ne conseguì. Senatore BEN TILLMAN del Sud Carolina: “quando gli uomini bianchi mettono a morte un essere dalle sembianze umane, essi vendicano il più grande degli errori, il più nero dei crimini”. “azione istintiva in queste circostanze è sempre stata quella di uccidere, uccidere, uccidere” Le ripercussioni di questo nuovo mito furono immense Riuscì a soffocare ogni opposizione al linciaggio + riuscì a indebolire il supporto dei bianchi alla causa dell’uguaglianza dei neri. La rappresentazione degli uomini neri come degli stupratori provocò un’incredibile confusione tra le fila del movimento progressista. DOUGLASS-WELLS: nelle loro rispettive analisi non appena l’allarme propagandistico dello stupro divenne il nuovo pretesto per i linciaggi molti sostenitori dell’uguaglianza dei neri iniziarono a preoccuparsi di essere associati alla lotta di liberazione dei neri. DOUGLASS descrisse l’impatto catastrofico della false accuse di stupro sul movimento per l’uguaglianza dei neri: “hanno tirato in inganno gli amici del nord e molti buoni amici del sud, perché quasi tutti loro hanno preso per vere queste accuse nei confronti dei neri”. Il numero degli stupri effettivi non era nemmeno comparabile con il numero di accuse che si diffusero a causa di questo mito. Durante la Guerra civile non si registrò nemmeno un caso di stupro di una donna bianca da parte di uno schiavo. DOUGLASS: sostiene che accusare i neri di stupro non era credibile per la semplice ragione che questo avrebbe implicato un cambiamento radicale e istantaneo del carattere morale e mentale delle persone di colore. “in tutta la storia non si è mai verificato un caso di trasformazione di personalità così estrema, innaturale e totale in un gruppo di esseri umani, come quella implicita in questa accusa. Il cambiamento è troppo grande e il periodo in questione troppo breve”. Anche le circostanze reali di molti linciaggi contraddicevano il mito dello stupratore nero. La maggior parte non riguardava nemmeno l’accusa di stupro. Molti linciaggi ebbero luogo per altre ragioni. Sstudio pubblicato nel 1931 della SOUTHERN COMMISSION ON THE STUDY OG LYNCHING fu rivelato che tra il 1889 e il 1929 solo un sesto delle vittime di assalti da parte di folle erano accusati di stupro. (omicidio, aggressione criminale, furto). Ma la maggioranza di queste accuse era sorprendentemente futile. Benché le loro argomentazioni fossero smentite dai fatti, molti apologeti del linciaggio rivendicavano il dovere degli uomini bianchi di difendere le proprie donne. BEN TILLMAN al Senato degli USA: 1892: aveva dichiarato, nel luogo in cui 8 uomini neri erano appena stati impiccati, che avrebbe personalmente condotto una folla al linciaggio contro un nero che avesse osato stuprare una donna bianca. Durante il suo incarico di governatore consegnò un uomo nero al linciaggio anche se la vittima era stata pubblicamente discolpata dalla donna che aveva denunciato lo stupro. La colonizzazione dell’economia del sud da parte dei capitalisti del nord diede un vigoro impulso ai linciaggi. internazionali. Sia il razzismo che il sessismo, centrali per la sua strategia si sfruttamento economico sempe più intenso, vengono alimentati oggi più che mai. Non è una mera coincidenza che mentre l’incidenza degli stupri aumentava, la condizione delle lavoratrici peggiorasse visibilmente. Le perdite economiche delle donne sono così pesanti che i loro salari sono ancora più bassi di quanto già non fossero dieci anni fa. La proliferazione della violenza sessuale è il volto brutale dell’intensificazione generalizzata del sessismo è il volto brutale dell’intensificazione generalizzata del sessismo che necessariamente accompagna questa aggressione economica. Seguendo uno schema stabilito dal razzismo, la subalternità delle donne rispecchia la situazione degradante dei lavoratori di colore e la crescente influenza del razzismo nel sistema giudiziario, scolastico e nelle politiche del governo, caratterizzate da un colpevole disinteresse verso la condizione dei neri e di altre persone di colore. Il segno più drammatico della tragica ripresa del razzismo è la nuova visibilità del KU KLUX CLAN e la relativa epidemia di aggressioni violente. L’attuale epidemia di stupri ha una somiglianza straordinaria con questa violenza accese dal razzismo. Data la complessità del contesto sociale in cui si verifica lo stupro, ogni tentativo di trattarlo come fenomeno isolato è destinato a naufragare. Un’effettiva strategia deve porsi un obiettivo più avanzato dello sradicamento dello stupro e persino del sessismo. La lotta contro il razzismo deve essere una questione permanente nel movimento contro gli abusi, che deve difendere non soltanto le donne di colore ma anche le molte vittime della strumentalizzazione razzista dell’accusa di stupro. Le dimensioni critiche della violenza sessuale costituiscono un aspetto di una profonda e permanente crisi del capitalismo. In quanto violenta faccia del sessismo, la minaccia di violenza continuerò a esistere fino a quando l’oppressione delle donne farà da stampelle al capitalismo. Il movimento contro lo stupro e la sua importante attività (dal sostegno psicologico e lagare dell’autodifesa e alla campagne educative) deve collocarsi in un contesto strategico che punti alla sconfitta definitiva del capitalismo monopolistico. 12 RAZZISMO, CONTROLLO DELLE NASCITE E DIRITTI RIPRODUTTIVI La campagna per il controllo delle nascite ha origine nel diciannovesimo secolo, quando le femministe rivendicarono per la prima volta la “maternità consapevole”. L sue promotrici furono oggetto della stessa denigrazione che colpì agli inizi il movimento delle suffragiste. Alla fine il controllo delle nascite, così come il diritto di voto alle donne, entrò a far parte del senso comune negli USA. Eppure nel 1970, a un secolo di distanza, l’appello per un aborto legale e accessibile non è stato meno controverso della questione della maternità scelta. Il controllo della nascite, la possibilità di una scelta individuale, i metodi contraccettivi sicuri, così come l’aborto se necessario, sono tutti requisiti fondamentali per l’emancipazione delle donne. Questo movimento è riuscito raramente a unire le donne di diversa estrazione sociale, e solo in rare occasioni le leader hanno dato voce alle preoccupazioni specifiche di quelle della classe lavoratrice. Inoltre le argomentazioni delle fautrici del controllo della nascite si sono basate, a volte, su premesse razziste. Questo movimento lascia molto a desiderare sul terreno della lotta al razzismo e allo sfruttamento di classe. La più importante vittoria del movimento contemporaneo per il controllo delle nascite è avvenuta nei primi anni ’70 legalizzazione dell’aborto. La lotta per il diritto all’aborto canalizzò tutto l’entusiasmo e le energie militanti del giovane movimento. Tra le attiviste della campagna per il diritto all’aborto non vu furono mai numeri consistenti di donne di colore. Vista la composizione razziale del movimento per la liberazione delle donne nel suo complesso, questo dato non era sorprendente. Quando si pose il problema dell’assenza delle donne oppresse dal razzismo nella lotta per il diritto all’aborto, nel dibattito e nella letteratura del periodo venivano generalmente date 2 spiegazioni: - Le donne nere erano sovraccaricate alla lotta contro il razzismo - Non avevano ancora preso coscienza della centralità del sessismo Il reale motivo non risiedeva nella scarsa coscienza o nella miopia politica delle donne di colore: la verità è nascosta nelle fondamenta ideologiche del movimento per il controllo delle nascite. L’incapacità della campagna per il diritto all’aborto di produrre un’analisi storica del proprio percorso, condusse a una valutazione pericolosamente superficiale della differenza delle persone nere verso questo tema. Neri: controllo delle nascite= genocidio (alcuni). Le attiviste bianche per l’aborto ignorarono un argomento cruciale: queste accuse di genocidio erano importanti sintomi delle modalità di sviluppo del movimento es: difeso la sterilizzazione forzata. Le donne non potranno ma godere del diritto di pianificare le proprie gravidanze fino a quando le misure legali e accessibili di controllo delle nascite non si accompagneranno alla fine della sterilizzazione forzata. Rispetto alle loro sorelle bianche avevano molta più familiarità con i bisturi. Es: NY prima della depenalizzazione, per molti anni circa l’80% delle morti causate da aborti illegali riguardò donne nere e portoricane. Subito dopo l’introduzione della nuova legge, circa la metà degli aborti legali fu praticata a nere. Se nella campagna per il diritto all’aborto dei primi anni ’70 sarebbe stato necessario ricordarsi che le donne di colore volevano disperatamente sfuggire ai retrobottega degli abortisti ciarlatani, sarebbe stato fondamentali anche accorgersi che queste stese donne non erano pronte a esprimersi a favore dell’aborto. Erano a favore del diritto all’aborto ma non per questo sostenitrici dell’aborto. Il desiderio di interrompere la gravidanza quanto le condizioni sociali miserabili che le dissuadono dal portare nuove vite sulla terra. Le donne nere hanno sempre abortito da sole sin dai primi tempi della schiavitù. Un medico in Georgia: notò che le interruzioni di gravidanza e gli aborti spontanei erano molto più comuni tra le sue pazienti schiave che tra le bianche le donne nere lavoravano troppo duramente oppure “le nere possiedono una capacità segreta di distruggere il feto nelle prime fasi della gestazione” questo dottore non si fermò a considerare quanto fosse invece “innaturale” crescere bambini sotto un sistema schiavistico. Es: MARGARET GARNER: la schiava fuggitiva che uccise la propria figlia e tentò il suicidio. Donne nere erano disperate. Nelle fasi iniziali della campagna per il diritto all’aborto troppo spesso si affermò che la sua legalizzazione avrebbe fornito una valida alternativa alla miriade di problemi posto alla povertà. Come se avere meno bambini potesse creare più lavoro, salari più alti, scuole migliori… questa affermazione rifletteva la tendenza a offuscare la distinzione tra il diritto all’aborto e una posizione a favore degli aborti. La campagna spesso non riuscì a dare voce alle donne che volevano che questo diritto fosse legale ma si lamentavano delle condizioni sociali che proibivano loro di mettere al mondo dei bambini. L’offensiva contro l’aborto tornata in auge alla fine degli anni ’70 ha reso assolutamente necessario focalizzare l’attenzione sulle necessità specifiche delle donne povere e oppresse dal razzismo. A partire dal 1977 l’approvazione dell’emendamento HYDE al Congresso impose la sospensione dei finanziamenti federali alle interruzioni di gravidanza. Le donne nere, portoricane, chicane e native americane, insieme alle loro sorelle bianche impoverite, furono così effettivamente espropriate dei diritti all’aborto legale. poiché la sterilizzazione chirurgica finanziata dal DEPARTMENT OF HEALTH, EDUCATION AND WELFARE rimase gratuita e su richiesta, sempre più donne povere furono costrette a optare per l’infertilità permanente. Il desiderio di controllare il proprio sistema riproduttivo è probabilmente vecchio quanto la storia umana. Nel 1844 “ricette/ lozioni per prevenire le nascite”. Le donne hanno probabilmente sempre sognato metodi contraccettivi infallibili, fu soltanto a partire dal movimento per i diritti riproduttivi che questa rivendicazione acquistò legittimità. Saggio “MATRIMONIO” anni ’50 del ‘800 SARA GRIMKE “il diritto della donna di decidere quando diventare madre, quanto spesso e in quali circostanze” + “il diritto di affrontare la questione è stato quasi sempre negato alla donna”. SARA GRIMKE difendeva il diritto all’assistenza sessuale. (matrimonio emancipato LUCY STONE-HENRY BLACKWELL) L’idea che le donne potessero rifiutarsi di sottomettersi alle richieste dei loro mariti, nel tempo, divenne l’idea centrale dell’appello per la maternità consapevole. A partire dagli anni ’70 dell’800, quando il movimento per il suffragio femminile aveva raggiunto il suo apice, le femministe difesero pubblicamente la maternità come libera scelta. Non è un caso che la coscienza sui diritti riproduttivi delle donne sia nata all’interno del movimento per la loro uguaglianza. I sogni di fare carriera o di realizzarsi al di fuori del matrimonio e della maternità potevano concretizzarsi solo limitando e pianificando le gravidanze. In questo senso lo slogan “maternità scelta” conteneva una nuova versione autenticamente progressista alla condizione femminile. Tuttavia questo era possibile solo nelle vite delle classi medie e borghesi. La rivendicazione della maternità scelta non si confaceva alla situazione delle donne della classe lavoratrice, impegnate com’erano nella lotta per la sopravvivenza economica. Verso la fine del diciannovesimo secolo il tasso si natalità tra i bianchi negli USA registrava un significativo desclino. Poiché nessuna innovazione contraccettiva era ancora stata ufficialmente introdotta, la diminuzione delle nascite sottintendeva dal fatto che le donne stessero limitando la loro attività sessuale. A partire dal 1890 la “tipica” donna vianche statunitense non metteva al mondo più di 4 bambini. Poiché la società si stava progressivamente urbanizzando, questa nuova tendenza non poteva sorprendere. La vita di campagna richiedeva famiglie numerose che non erano adatte alla vita in città. Eppure questo fenomeno fu pubblicamente interpretato in chiave razzista e anti-operaia dagli ideologi del capitalismo monopolistico. Poiché le donne bianche statunitensi stavano mettendo al mondo sempre meno bambini, negli ambienti ufficiali iniziò ad aggirarsi lo spettro del “suicidio della razza”. Nel 1905 il presidente THEODORE ROOSEVELT concluse il suo discorso alla cena del LUNCOLN DAY proclamando che “la purezza della razza deve essere salvaguardata”. ROOSEVELT ammonì le donne bianche in buona condizione economiche che si ostinavano alla “sterilità volontaria”. Questi commenti iniziarono a diffondersi in un perioso di accelerazione del razzismo e di grande ondate di linciaggi. + Il presidente ROOSEVELT stava cercando di guadagnare sostegno al tentativo di conquista delle Filippine l’ultima avventura imperialista degli USA. Studiosa storia: la strategia propagandista del presidente fu un fallimento perché contribuì a legittimarlo. LINDA GORDON: questa controversia “fece emergere proprio quelle questioni che separavano radicalmente le femministe dai poveri e dalla classe lavoratrice”. “accadde in due modi: - Le femministe enfatizzarono il controllo della nascite come soluzione per fare carriera e accedere ai livelli più alti di formazione, obiettivi fuori dalla portata delle donne povere, con o senza contraccezione - Le femministe a favore del controllo delle nascite iniziarono a diffondere l’idea che le persone povere avessero l’obbligo morale di controllare la grandezza delle proprie famiglie perché i nuclei numerosi assorbivano le spese fiscali e caritatevoli delle famiglie agiate, e perché i bambini poveri avevano meno probabilità di ascesa sociale”. Il sostegno alla tesi del suicidio della razza rifletteva la condizione di un movimento, quello per il suffragio femminile, che aveva ormai ceduto alle posizioni razziste delle sudiste. Mentre le suffragiste tolleravano le tesi sull’estensione del voto alle donne come arma per salvaguardia della supremazia bianca, le fautrici della contraccezione acconsentivano o almeo tolleravano il controllo delle nascite come mezzo per prevenire la proliferazione delle “classi inferiori” e come antidoto al suicidio della razza. Così classismo e razzismo fecero breccia nel movimento per il controllo delle nascite quando era ancora nelle sue primissime fasi. Ciò che veniva rivendicato come un “diritto” dalle privilegiate finì per essere interpretato come un “dovere” pr le povere. MARGARET SANGER: lunga crociata per il diritto al controllo delle nascite sembrava che i toni razzisti e classisti del passato potessero essere lasciati alle spalle. Proveniva da una famiglia di classe operaia. Sua madre era morta a 48 anni dopo aver messo al mondo 11 figli. Confermavano la convinzione che le donne della classe operaia avessero il diritto a pianificare e distanziare in autonomia le proprie gravidanze. Adesione al movimento socialista sperare che prendesse una direzione progressista. Aderì al SOCIALIST PART nel 1912. La familiarità di STANGER con i quartieri popolari di NY derivava dalle due numerose visite come infermiera professionale nelle zone più povere della città. L’indagine del 1975: AMERICAN CIVIL LIBERTIES UNION: solo il 30% degli ospedali esaminati stava cercando di conformarsi alle linee guida. Emendamento di HYDE del 1977 ha fornito un’ulteriore incentivo alla sterilizzazione forzata. I fondi federali per le interruzioni di gravidanza sono stati eliminati tranne che per i casi di stupro, rischio di morte o malattia grave. Prima vittima dell’emendamento di HYDE è stata una donna chicana di 27 anni del Texas: in seguito al taglio dei finanziamenti per le interruzioni di gravidanza è morta durante un aborto clandestino in Messico. Molte altre vittime: le donne per le quali la sterilizzazione è rimasta l’unica alternativa all’aborto, ormai fuori dalle loro possibilità economiche. Le sterilizzazioni continuano a essere invece finanziate e gratuite, su richiesta, per le donne povere. Durante l’ultimo decennio la lotta contro la sterilizzazione forzata è stata pportata avanti innanzitutto dalle donne portoricane, nere, chicane e native americane. Il movimento delle donne non ha ancora abbracciato la loro causa. Nelle organizzazioni che rappresentavano gli interessi della classe media è emersa una certa riluttanza a sostenere le rivendicazioni della campagna contro la sterilizzazione forzata perché a queste donne è stato spesso negato il diritto di essere sterilizzate quando loro stesse desideravano compiere questo passo. Se le donne di colore sono sollecitate, ad ogni occasione, a divenire sterili, le donne bianche benestanti sono invece sollecitate, da quelle stesse forze, a riprodursi. È per questo che “il periodo di riflessione” e altri dettagli della domanda per il “consenso informato” alla sterilizzazione sono stati denunciati come ulteriori inconvenienti per le donne di quel ceto sociale. In gioco c’è la negazione di un diritto riproduttivo fondamentale per tutte le donne povere razzialmente oppresse. 13 VERSO LA FINE DEL LAVORO DOMESTICO: UNA PROSPETTIVA WORKING CLASS Le infinite faccende conosciute comunemente come “lavori domestici” occupano mediamente dalle 3 alle 4 mila ore l’anno della vita di una casalinga. Questi dati non tengono minimamente conto della costante e non quantificabile attenzione che le madri devono dare ai figli. Le cure materne sono date talmente per scontate che la dura attività svolta in casa di rado attira gli apprezzamenti della famiglia. Il lavoro domestico dopotutto è praticamente invisibile “nessuno lo nota fino a quando non viene più eseguito”. La nuova presa di coscienza dell’attuale movimento delle donne ha incoraggiato la richiesta di sgravarsi, almeno in parte, questo lavoro ingrato. Le donne probabilmente saluterebbero con entusiasmo l’avvento dell’”uomo di casa”, ma la desessulizzazione del lavoro domestico non ne altererebbe la natura oppressiva: né le donne né gli uomini dovrebbero perdere il loro tempo prezioso con un lavoro che non è né stimolante, né creativo né produttivo. Uno dei segreti meglio custoditi dalle società a capitalismo avanzato riguarda la possibilità di una trasformazione radicale della natura del lavoro domestico. Oggigiorno gran parte dei compiti di una casalinga potrebbe essere incorporata nell’economia industriale. Il lavoro domestico non ha più bisogno di essere necessariamente considerato un’attività a carattere privato. Se si progettassero macchinari a tecnologia avanzata per le pulizie, delle squadre di lavoratori qualificati e ben pagati potrebbero passare di casa in casa e compiere rapidamente ed efficacemente ciò che oggi una casalinga fa a fatica e con mezzi primitivi. L’economia capitalistica è strutturalmente ostile all’industrializzazione del lavoro domestico. La socializzazione del lavoro domestico implicherebbe consistenti sussidi statali per garantire l’accesso al servizio anche alle famiglie della classe lavoratrice che più ne avrebbe necessità. Poiché ne deriverebbe un profitto molto ridotto, il lavoro domestico industrializzato sarebbe una maledizione per l’economia capitalista. La rapida espansione della forza lavoro femminile indica che sempre più donne stanno trovando difficoltà nell’adempiere al loro ruolo di “donne di casa” secondo gli standard tradizionali. L’industrializzazione e la socializzazione del lavoro di cura sono diventate ormai delle oggettive necessità sociali. Il lavoro domestico come responsabilità privata e individuale, assegnata alle donne e limitata da una tecnologia primitiva, può avvicinarsi al superamento storico. Eppure nelle rappresentazioni sociali ancora oggi prevalenti la condizioni femminile è associata l’immagine di scopa e paletta. Effettivamente il lavoro delle donne, da un’epoca all’altra, è stato generalmente associato al focolare. Ma il lavoro domestico femminile non è sempre stato come lo conosciamo oggi perché, come ogni fenomeno sociale, il lavoro è un prodotto mutevole della storia la portata e la qualità del lavoro domestico hanno subito trasformazioni radicali. FREDERIK ENGELS L’ORIGINE DELLA FAMIGLIA, DELLA PROPRIETA’ PRIVATA E DELLO STATO: La disparità dei sessi come la conosciamo oggi non esisteva prima dell’avvento della proprietà privata. Nelle prime epoche della storia umana la divisione sessuale del lavoro nel sistema di produzione economica era complementare ma non gerarchica. Entrambi i sessi svolgevano un compito economico che era ugualmente essenziale per la sopravvivenza della collettività. Poiché la comunità a quell’epoca era essenzialmente una famiglia allargata, il ruolo centrale delle donne nelle faccende domestiche assicurava il loro rispetto e il valore attribuito ai membri produttivi. DEVIS: centralità del lavoro domestico delle donne delle culture pre-capitaliste: viaggio 1973 nelle pianure Masai. (donne: responsabili delle attività domestiche e costruzione di abitazioni). Nell’economia nomade e pre-capitalista dei masai quindi il lavoro domestico delle donne non è meno produttivo né meno essenziale del contributo economico degli uomini. Godono di un importante status sociale. Nelle società a capitalismo avanzato, invece, l’attività domestica delle donne è un compito di assistenza che raramente produce un’evidenza tangibile e che ne sminuisce lo status sociale. La donna di casa secondo l’ideologia borghese è la serva del proprio marito per tutta la vita. Nella storia relativamente breve degli USA la figura della “casalinga” come prodotto storico fatto e finito risale a poco più di un secolo fa. Il lavoro domestico in epoca coloniale era completamente differente dalle attività routinarie della casalinga statunitense di oggi: “ogni cosa che la famiglia usava o mangiava era prodotta in casa sotto la sua direzione”. Nell’economia agricola del Nordamerica preidustriale una donna che svolgeva i compiti domestici era dunque una filatrice, una tessitrice, una sarta, ma anche una panettiera e una produttrice di burro. Di conseguenza: “la produzione domestica lasciava molto poco temo per i compiti che oggi chiameremmo “faccende domestiche”. Le donne prima della rivoluzione industriale fossero delle casalinghe decisamente approssimative. Invece della pulizia quotidiana o settimanale esistevano le pulizie di primavera”. Durante il periodo coloniale le donne non erano “donne delle pulizie” o “donne di servizio”, ma lavoratrici a pieno titolo in un sistema economico a base domestica. Erano anche le garanti della salute sia del loro nucleo che della comunità. Le attività domestiche svolte dalle donne nell’America coloniale avevano un ruolo fondamentale e complementare a quello delle attività economiche che le donne svolgevano al di fuori di casa. Niente impediva loro di aprire una taverna. Il picco di industrializzazione dell’epoca postorivoluzionaria portò a una proliferazione di fabbriche nel settore nordorientale del paese. Gli stabilimenti tessili del New England furono i primi impianti industriali di successo. Filatura: le donne furono le prime lavoratrici reclutate degli stabilimenti perché lavorassero ai nuovi telai meccanici. Il fatto che le prime operaie fossero delle donne è uno dei più grandi paradossi della storia economica di questo paese dato che furono poi escluse dal mondo della produzione. Man mano che l’industrializzazione avanzava, e dislocava la produzione dalla casa alla fabbrica, il lavoro domestico delle donne perse strutturalmente importanza. Ne uscirono perdenti in due sensi: - I loro lavori tradizionali erano usurpati dal nuovo sistema delle fabbriche - L’intera economia si allontanava dalla casa privando molte donne di un ruolo economico significativo “l’’industrializzazione era arrivata e aveva messo il telaio in soffitta e la pentola del sapone nel ripostiglio”. Il consolidamento del capitalismo industriale ha aumentato la spaccatura tra il nuovo e il vecchio sistema di produzione economica, la cui ricollocazione fisica provocata dalla diffusione del sistema di fabbrica fu senza dubbio una trasformazione drastica. Ancora più radicale fu la ridefinizione generale della produzione imposta dal nuovo sistema economico. Mentre i prodotti lavorati in casa derivavano il proprio valore innanzitutto dalla capacità di soddisfare i bisogni basilari della famiglia, le merci prodotte in fabbrica si definivano per il proprio valore di scambio, ovvero la capacità di soddisfare la domanda e il profitto degli imprenditori. Questa nuova concezione della produzione economica rivelava una fondamentale separazione strutturale tra l’economia domestica e l’economia orientata al profitto. Poiché il lavoro domestico non genera profitto, fu definito naturalmente come una forma inferiore in confronto al lavoro salariato di matrice capitalista. Un significativo effetto collaterale di questa radicale trasformazione economica fu la nascita della “casalinga”. Le donne iniziarono a essere ridefinite ideologicamente come le custodi di una vita domestica ormai svuotata dal suo valore. Questa ridefinizione fu fisicamente contraddetta dalla quantità di donne immigrate che inondarono le file della classe lavoratrice del nord est. Queste immigrate, bianche, erano innanzitutto delle salariate e solo in secondo luogo delle casalinghe. E poi c’erano le altre donne costrette a sopportare lontano da casa le pene del lavoro forzato nell’economia schiavista del sud. La realtà dei fatti sul ruolo delle donne nella società statunitense del diciannovesimo secolo parla di donne bianche che passavano le giornate a far funzionare macchinari industriali per salari da miseria e di donne nere che lavoravano in condizione di schiavitù. La “casalinga” rifletteva una realtà parziale: personificava la prosperità economica delle classi medie emergenti. Benché questa figura avesse le sue radici nelle condizioni sociali della borghesia e delle classi medie, l’ideologia del diciannovesimo secolo impose il ruolo della casalinga e della madre come modelli universali di femminilità. Poiché l’ideologia dominante rappresentava il lavoro domestico femminile come una vocazione di tutte le donne, quelle che erano costrette a svolgere un impiego salariato iniziarono a essere trattate da complete estranee nel mondo maschile dell’economia pubblica. Avendo messo piede al di fuori del loro ambito “naturale” le donne non potevano essere trattate come lavoratrici salariate a pieno titolo. Il sessismo divenne per i capitalisti una fonte ulteriore di profitto. La separazione strutturale dell’economia pubblica del capitalismo e dell’economia privata della casa è stata continuamente rafforzata dall’arretratezza del lavoro domestico che non è avanzato qualitativamente grazie ai progressi tecnologici apportati dal capitalismo industriale e consuma ancora migliaia di ore l’anno nella vita di una casalinga media. 1903 CHARLOTTE PERKINS GILMAN: definizione di lavoro domestico che rifletteva i cambiamenti radicali in termini di struttura quanto di contenuto che lo avevano ridefinito negli USA: “l’espressione lavoro domestico non si applica a una tipologia specifica di lavoro, ma a una certa qualità di lavoro, a uno studio di sviluppo da cui passano tutte le tipologie di lavoro. Tutte le industrie un tempo erano “domestiche” tutte le industrie sono poi progredite verso stadi più avanzati, eccetto una o due che non hanno mai lasciato il loro stadio primitivo”. “la casa non si è sviluppata proporzionalmente alle nostre altre istituzioni”. L’economia domestica: “la persistenza di occupazioni primitive in una comunità industriale moderna, il confinamento delle donne in queste occupazioni e la loro limitata area di espressione personale” Il lavoro domestico minaccia l’umanità delle donne: “lei non è umana così come lui è umano, a vita di casa non fa venir fuori la nostra umanità perché tutti i segni distintivi del progresso umano risiedono al di fuori di essa”. La verità dell’affermazione d GILMAN è avvalorata dalla traiettoria storica delle donne nere negli USA. Negli scorsi secoli la maggioranza di loro lavorava al di fuori delle proprie case. Durante la schiavitù lavoravano duramente al fianco degli uomini nei campi di cotone e tabacco. Quando nel sud si affermò l’industria le nere furono portate a lavorare. Nel contesto lavorativo le schiave erano uguali agli schiavi uomini. Per questo anche a casa, negli alloggi degli schiavi, le nere godevano di una maggiore uguaglianza di genere rispetto alle loro sorelle bianche che erano “casalinghe”. Per via delle occupazioni svolte fuori casa il lavoro domestico non è mai stato la proprietà nella vita delle donne nere. Sono sfuggite dal danno psicologico che il capitalismo industriale ha inflitto alle casalinghe bianche di classe media, le cui supposte virtù erano la vulnerabilità femminile e la sottomissione coniugale. Le nere hanno dimostrato la propria energia attraverso del lavoro implacabile. Tuttavia hanno pagato a caro prezzo la forza che hanno acquisite e la relativa indipendenza di cui hanno goduto. loro fratelli, e sfidare i capitalisti sul terreno della produzione. In quanto lavoratrici, in quanto militanti nel movimento operaio, le donne possono generare una reale forza in grado di demolire i pilastri del sessismo, ovvero il sistema capitalistico. Se la strategia del salario alle casalinghe non riesce a fornire una soluzione a lungo termine al problema dell’oppressione delle donne, tantomeno riesce a rispondere in maniera convincete al profondo malcontento delle casalinghe di oggi. Interviste ANN OAKLEY: anche le casalinghe che in apparenza sembravano appagate dal lavoro domestico alla fine esprimevano una profonda insoddisfazione. Conclusione: il lavoro domestico (in particolare quando si tratta di lavoro a tempo pieno) pervade talmente la personalità femminile che la casalinga non è più distinguibile dal suo lavoro. “la casalinga, essenzialmente, è il suo lavoro: separare gli elementi soggettivi e oggettivi di questa condizione è quasi impossibile”. La conseguenza psicologica più frequente è un disturbo della personalità caratterizzato da sentimenti ossessivi di inferiorità. La liberazione psicologica si raggiunge difficilmente attraverso la remunerazione del lavoro domestico. Altri sociologi hanno confermato un sentimento di profonda disperazione sofferto dalle casalinghe. Inutile dure che la maggior parte delle lavoratrici non svolgeva delle professioni particolarmente soddisfacenti: cameriere, operaie, stenografe, commesse… eppure la possibilità di allontanarsi dall’isolamento delle loro abitazioni e di “uscire a vedere altre persone” era importante per loro quanto il salario. La donna che si lamentava del fatto che “stare a casa tutto il giorno è come stare in prigione”. La sola via di fuga è la ricerca di un lavoro fuori di casa. Il crescente numero di donne statunitensi attive nel mondo del lavoro sono una ragione in più per invocare la necessità di una riduzione del lavoro domestico. I capitalisti più dinamici hanno già iniziato a sfruttare la necessità delle donne di emanciparsi dal ruolo di casalinghe. Fast food come MCDONALD’S. Maggior numero di donne al lavoro significa meno pasti preparati in casa. Nonostante i livelli di sfruttamento in quelle imprese, operazioni commerciali di questo tipo dimostrano il declino della figura della casalinga. Ciò che diventa necessario, chiaramente, sono dei nuovi servizi sociali che siano in grado di svolgere una buona parte del vecchio lavoro delle casalinghe. Questa è la sfida che proviene dall’espansione femminile della classe lavoratrice la rivendicazione di un sistema di servizi di assistenza all’infanzia è una diretta conseguenza del numero crescente di madri lavoratrici. Probabilmente è proprio vero che “la schiavitù alla catena di montaggio” non significa di per sé “liberazione dal lavandino della cucina”, ma la catena di montaggio è senza dubbio il più potente incentivo per le donne a lottare per l’eliminazione del loro storico asservimento domestico. L’abolizione del lavoro domestico in quanto responsabilità individuale di ogni donna è un obiettivo strategico per la liberazione delle donne. Ma la socializzazione del lavoro domestico (che deve comprendere la preparazione dei pasti e la cura dei bambini) presuppone la fine del regime del profitto economico. I soli sforzi significativi verso la fine della schiavitù domestica sono stati compiuti dai paesi socialisti oggi esistenti. E sotto il capitalismo le campagne a favore di condizioni di lavoro egualitarie tra i generi, combinate con la rivendicazione di un servizio pubblico per l’infanzia, contengono un potenziale rivoluzionario esplosivo. Questa strategia mette in discussione la validità del capitalismo monopolistico e traccia la strada verso il socialismo.