Scarica Appunti anno 21/22 lezioni di Diritto Privato e più Appunti in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! NOZIONI INTRODUTTIVE Cosa significa diritto? Abbiamo il diritto oggettivo o soggettivo, capisci dal contesto la tipologia di diritto. Diritto oggettivo, cioè la norma giuridica, una regola socialmente garantita nella vita di relazione, una norma o un insieme di norme giuridiche (es. diritto di famiglia o diritto privato). Diritto soggettivo, è una posizione di vantaggio che è tutelata da una norma giuridica (io ho il diritto a farmi pagare, come venditore, di ricevere il prezzo della compravendita). Quando si parla di diritto in senso oggettivo viene in rilievo l’ordinamento giuridico, cioè l'insieme delle norme dettate per una certa società, nel caso dell’ordinamento giuridico italiano sono le norme che valgono per la società italiana, le norme imposte e riconosciute dallo Stato italiano (nel nostro caso si parla di un ordinamento giuridico plurilivello perché facciamo parte dell’Unione Europea; noi e gli altri stati membri dell’UE limitiamo la nostra sovranità per dare spazio ad un ordinamento giuridico sovranazionale). I caratteri della norma giuridica, o del diritto in senso oggettivo, si caratterizzano per la sanzionabilità, vi è una conseguenza sfavorevole prevista in caso di inosservanza della norma giuridica, cioè la privazione di un bene o di un effetto vantaggioso. Le sanzioni giuridiche sono di vario tipo: ● le sanzioni penali, proprie del diritto penale (sottospecie, sottocategoria del diritto pubblico), essa può comportare una punizione personale verso il trasgressore. Ci sono sanzioni penali che consistono nel pagamento di una somma di denaro, non sempre si tratta di privazioni di libertà personale; ● le sanzioni esecutorie, sanzioni che riguardano il diritto privato in senso stretto ed esse attuano specificamente l’interesse leso. Di fronte all’inadempimento dell’obbligo di consegnare un bene ci sia il rilascio coattivo di un bene, esso viene rilasciato forzosamente attraverso le forze pubbliche; ● le sanzioni risarcitorie sono molto rilevanti, negli ultimi decenni abbiamo vissuto un fenomeno dell’esplosione della responsabilità civile nella società, nella nostra società si è arrivati a chiedere i danni, un risarcimento, in molto casi in cui in passato non si chiedeva; 1 ● le sanzioni invalidatorie portano all’invalidità di un atto, portano alla perdita di efficacia di un atto (se faccio la vendita di un appartamento in forma orale ho fatto un contratto nullo, cioè non produce alcun effetto, questa è una sanzione invalidatoria poiché porta alla nullità di un atto). 2 La norma giuridica dovrebbe avere una sanzione e ha come altra caratteristica quella della imperatività, non è una caratteristica di tutte le norme giuridiche, alcune sono o non sono cogenti o inderogabili; la norma imperativa è quella che gli interessati non possono modificare, che non possono sostituire nella sua applicazione con altre norme legali o convenzionali. La norma imperativa è quella che i soggetti interessati non possono superare con una loro diversa volontà. Esistono anche le norme derogabili, o dispositive, quelle che le parti possono derogare con un loro accordo, sono quelle norme “di default” che valgono solo in mancanza di un accordo diverso. Un esempio può essere che il contratto di vendita di un immobile deve essere fatto in forma scritta altrimenti nulla, è inderogabile (art. 1350). (Norma dispositiva 3) La generalità e l’astrattezza sono caratteristiche importanti. Con generalità si intende che una norma giuridica non è fatta a personam ma esiste una generalità di destinatari 4; la norma giuridica è astratta perché non regola uno specifico caso ma una serie indefinita di casi concreti, essa contempla un’ipotesi astratta che prescinde dalla realtà, da essa possono essere ricondotti vari casi, si parla di fattispecie astratta 5. La norma giuridica contempla una fattispecie astratta, un’ipotesi scollegata dalla realtà alla quale possono connettersi i più diversi casi astratti. Ad ogni norma possono essere collegati tantissimi casi concreti. Eccezionalmente accade che le leggi contengano previsioni diverse, che riguardino un certo soggetto o caso completo, sicuramente non è formato così il codice civile. La generalità è molto importante per il nostro ordinamento giuridico, che si basa su degli articoli e/o principi fondamentali, essa si basa sul principio di uguaglianza che dice che siamo tutti uguali di fronte alla legge ecc. il fatto che le norme giuridiche siano generali è una garanzia di uguaglianza e fa sì che tutti i cittadini vengano trattati allo stesso modo. 5 Art. 10, uso dell’immagine altrui, sono tanti i casi che possono entrare in questa legge, astrattezza. 4 Art. 6, si parla del diritto al nome, si parla di ogni persona, generalità. 3Art. 1282, interessi nei debiti di denaro, quando io devo pagare una somma di denaro, automaticamente devo pagarci sopra gli interessi salvo che la legge o il titolo (o accordo tra le parti) decidono diversamente → norma dispositiva 2 Art. 1350, esempio sui contratti di vendita, se fatto in forma solo orale è nullo e quindi è invalidatorio. 1 Art. 2043, esempio dei due coniugi, uno dei due tradisce e lede l’onore dell’altro, questo chiede un risarcimento. Rapporto tra diritto oggettivo in genere ed altre discipline come il rapporto tra diritto e morale; la norma morale possiamo definirla come un dovere assoluto che l’uomo avverte come necessario a prescindere dalla propria convenienza e dall’altrui giudizio, è un imperativo morale. Anche da essa derivano alcune regole, sono dei doveri assoluti che si avvertono nella propria coscienza. La differenza tra diritto e morale è che il diritto è per noi il diritto posto (positum) da qualcuno che ha l’autorità di farlo, quindi le fonti del diritto, la morale invece è qualcosa che potrebbe variare da persona a persona. Il diritto si ricava da certe fonti che sono nel nostro ordinamento fonti scritte e non dalla propria educazione o simile; accade che il diritto non coincida, sia in contrasto con la morale, poiché sono due complessi normativi diversi. Ci sono anche alcune clausole generali che contengono regole di estremo dettaglio oppure contengono delle clausole generali che permettono al giudice un margine di apprezzamento anche alla luce della morale, come il buon costume; si dice che è nullo il contratto che contrasta con il buon costume, il buon costume non è definito nel codice, il giudice farà una valutazione flessibile che potrà non contenere termini giuridici. Oppure anche che il contratto deve essere eseguito secondo buona fede, cioè in senso oggettivo è una regola di comportamento secondo una condotta di solidarietà sociale. Diritto e sociologia, la sociologia è quella disciplina che indaga i rapporti sociali, quando si parla di matrimoni o simili si fanno ricerche sociologiche. La comunione dei beni nel matrimonio è stata introdotta nel 1975 quando c’era la situazione delle famiglie dove lavorava spesso solo l’uomo e la comunione dei beni serviva per riequilibrare questa situazione. Non c’è più un coniuge debole da tutelare oggi, nonostante sia cambiata la società il codice civile è uguale; la sociologia è utilissima per capire i comportamenti ma non può modificare le fonti del diritto. Diritto ed economia, esistono ancora giuristi che sostengono l’”analisi economica del diritto”, una scuola americana molto diffusa negli anni passati, l’idea di questa prospettiva è quella in generale, di una sottoposizione del diritto all’economia; il diritto dovrebbe essere interpretato e applicato in favore delle leggi economiche (diritto servente dell’economia). Nel nostro sistemaliberale, in generale il diritto non deve imbrigliare l’economia ma gli organi competenti possono emanare norme giuridiche che governano l’economia in certi settori e con certe finalità. Quando si parla di iniziativa economica si parla anche di funzione sociale, il nostro diritto tutela l’economia ma mette al centro le persona umana e i suoi interessi. Il diritto dobbiamo considerarlo come diritto privato e pubblico, questa è una summa divisio, distinzione di base presente bene o male in tutti i paesi; il diritto privato è quello che regola i rapporti di soggetti in posizione paritaria, i consociati e possono essere rapporti di diverso tipo, economici, personali, contratti, responsabilità civile ecc, ma sempre con soggetti in posizione paritaria. Il diritto pubblico adotta una prospettiva diversa, quella dei rapporti autoritari-speciali, rapporti dove un ente è in posizione di supremazia (per un omicidio si va in carcere poiché un pubblico ministero (agise come rappresentante dello Stato italiano) ha una posizione di supremzia; anche nel diritto amministrativo si vede questo, non solo in quello penale). Per quanto riguarda il diritto privato ci sono vari sotto-settori, così come nel diritto pubblico. LE FONTI DEL DIRITTO Con fonti del diritto si intende qualcosa da cui scaturisce qual cos’altro. All’apice delle fonti del diritto troviamo la Costituzione repubblicana, entrata in vigore nel 1948, essa è all’apice di tutte le altre fonti del diritto, tutte le altre norme giuridiche devono rispettare la costituzione. Qui c’è quello che ci tiene uniti come società, costituzione che fu fatta dopo la IIGM, avevamo una società lacerata, con forze politiche con orientamento diverso che riescono a trovare un compromesso su regole di base che ci tengono uniti nonostante le differenze di ognuno. La Costituzione è un compromesso di idee opposte di alto livello. 6 La Costituzione sta sopra le leggi ordinarie, nonostante essa venga emanata dal parlamento, può essere fatta cadere dalla costituzione perché le leggi ordinarie devono rispettarla. Il parlamento con una maggioranza qualificata (maggioranza più elevata del normale) o con una maggioranza significativa ed un referendum popolare può creare una legge costituzionale. Questa legge permette di modificare la costituzione ma essa può essere completamente modificata? Attraverso eventi importantissimi come un colpo di stato; un articolo dice che la monarchia non può essere introdotta neanche con una legge costituzionale. Ci sono diritti delle persone collegati direttamente alla democrazia, nemmeno qualcosa di contrastante con la democrazia o simili può essere cambiata. Testi di rango costituzionale sono carte che sono paragonabili alla costituzione come le normative europee; il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), sono due trattati di rango costituzionale e la Carta di Nizza, molto simile alla prima parte della nostra costituzione italiana, è molto importante perché riguarda la vita dei cittadini ed i loro diritti fondamentali ed è entrato in vigore nel 2009 con il 6 Art. 41, abbiamo visioni opposte, il liberismo sfrenato e il comunismo e l’articolo è stato creato con un compromesso. tale (oggi è per la maggior parte prussiana); il codice con altra importanza storica è il codice civile austriaco del 1911 (ABGB). Nel codice civile Italiano del 1865 si traduce il codice civile francese che viene scelto dai Savoia (Piemonte), poiché erano vicini ad essa ed era un codice convalidato. Si introducono per la materia privatistica il codice civile e il codice di commercio, un codice che riguardava i commercianti e uno che riguardava i comuni cittadini; la compravendita di un bene si attuava con due modalità diverse se la persona che comprava era un cittadino o un commerciante. Con il passare degli anni il codice di commercio (anche questo era una traduzione di quello francese) viene modificato e si arriva ad un nuovo codice di commercio italiano del 1942, codice che sostituisce non solo il codice del 1865 ma anche il codice di commercio del 1882, perché una delle scelte di fondo compiute dal codice civile è quella che è stata chiamata commercializzazione del diritto civile, una scelta lungimirante per il tempo. Oggi si tende ad apprezzare sempre più la scelta alla quale molti paesi stranieri non sono ancora arrivati, cioè la volontà di riunire in un unico codice civile regole unitarie a prescindere che i contraenti (soggetti presi in considerazione) siano cittadini o commercianti, c’è una disciplina unitaria. Il codice civile è stato adottato in epoca fascista e con la IIGM e ciò nonostante è sopravvissuto; anche a Mussolini il codice civile stava molto a cuore. I maggiori giuristi del tempo hanno scritto il codice civile che nonostante le loro ideologie politiche hanno fatto i tecnici e non i politici; il vantaggio è che il codice è relativamente giovane rispetto agli altri. Struttura Codice Civile L’obiettivo da perseguire è quello di saper utilizzare velocemente il codice, non saperlo a memoria; la cosa essenziale da sapere è che il codice civile si divide in 6 “libri”, il libro in questo caso è una partizione ideale, raggruppamenti di articoli. Il codice si compone di sei libri complessivi: 1. Libro I - persone e famiglia, sono circa i primi 450 articoli; 2. Libro II - successioni (e donazioni), circa dall’articolo 450 a , quì si intende successione a causa di morte mortis causa, quel fenomeno che si verifica quando qualcuno muore e concerne l’attribuzione del patrimonio e dei diritti patrimoniali dopo la morte a qualcun’altro. Esiste la successione testamentaria (un testamento per decidere come regolare i rapporti giuridici) se esso manca si apre la successione legittima, è la legge che dice a chi finiscono i beni e i debiti del defunto (oggi c’è una tutela molto forte del coniuge). Se non si trova nessuno a cui dare le cose i beni vanno allo Stato. Nel caso della successione necessaria, in cui ci sia un testamento che lascia tutto ad un estraneo, i familiari possono chiederne una parte (riguarda solo 3-4 categorie di soggetti, il coniuge, i figli → riguarda questa cosa). La donazione è un contratto perché non è un atto unilaterale ma deve essere consentita da entrambe le parti; le donazioni hanno effetti successori, per questo non fa parte del libro quarto sui contratti. 3. LIbro III - proprietà (e altri diritti reali e possesso); il possesso non è un diritto ma un potere di fatto. 4. LIbro IV - obbligazioni (e contratti e responsabilità civile); libro più ampio e strutturato, ci sono molte regole importanti (importante l’articolo 2043, lo abbiamo analizzato insieme). 5. Libro V - del lavoro; qui si vede l’impostazione del 1942, un po’ fascista, si vede l’impostazione ideologica dell’epoca dove tutti dovevano avere il loro posto all’interno della società. E’ disciplinata anche la posizione dell’imprenditore, dell’azienda, c’è il lavoro subordinato e quello non subordinato, il lavoro autonomo anche del professionista intellettuale, il contratto d’opera (contratto che in quanto tale poteva stare nel libro IV ma si è ritenuto adeguato al libro V). ci sono anche i vari tipi di società; quella delle società e dell’imprenditore sono temi di diritto commerciale che stavano nel codice di commercio ma che poi sono state trasferite lì. 6. Libro VI - tutela dei diritti; altra particolarità come quella del lavoro, c’è questa distinzione tra la sostanza delle regole che ci permette di capire chi ha torto o ragione e la procedura, da seguire per applicare poi la regola sostanziale. Il libro VI è una sorta di ponte tra la sostanza e la procedura, qui sono contenute le norme fondamentali del processo civile, quelle che hanno più collegamento con la sostanza; in questo libro troviamo anche altri aspetti formali; tutti i diritti si estinguono, cioè muoiono, per il semplice fatto che sia passato un certo periodo di tempo (questa è la prescrizione articoli 2934 e seguenti). La decadenza riguarda la perdita di diritti sempre per il decorso del tempo, i termini di decadenza sono più brevi. Ogni libro al suo interno è suddiviso in altre parti con una struttura molto ordinata e logica. Ogni libro è suddiviso in tot. titoli; ciascun titolo è a loro volta suddiviso in capi e le sezioni sono ulteriori divisioni. C’è l’articolo con il suo numero e c’è la rubrica legis, che sarebbe l’intitolazione e gli articoli possono essere divisi in commi, periodi che suddividono con “a capo”. Interpretazione Il linguaggio spesso è equivoco, il linguaggio è un qualcosa che non è detto venga inteso nel senso che si voleva dare; questo è qualcosa di intrinseco dal linguaggio. Anche quando si ha un testo scritto non è facile l’interpretazione, quell’atto che determina il significato di qualcos’altro. L'interpretazione giuridica si fa seguendo le pre-leggi, le disposizioni preliminari al codice civile (articolo 12 delle preleggi, due commi), qui si hanno le regole ermeneutiche, interpretative del diritto, sono regole che devono essere seguite da chi vuole capire le leggi e deve seguirle anche il giudice quando applica la legge. Ci sono quindi vari criteri interpretativi. - L’interpretazione letterale consiste nell’attribuire il significato proprio a quella parola per come è stata scritta. In claris non fit interpretatio, se il significato letterario è chiaro non serve altra interpretazione. Dobbiamo anche guardare alla connessione di queste parole, devo guardare il contesto in cui è inserita la parola e bisogna guardare anche all’intenzione del legislatore; l’intenzione del legislatore (il legislatore è il parlamento o il governo) non è in senso soggettivo, ma è un’intenzione oggettiva, bisogna chiedersi qual è l’obiettivo della legge o di una norma. Si può vedere il dibattito che è stato fatto in parlamento. - L’interpretazione funzionale si basa sulla funzione, sulla finalità di un testo di legge e fa leva sulla sua funzione per restringere (esclude casi) o estendere (include casi che potrebbero entrate) il suo significato letterale. - Alla luce dell’intero codice civile e dell’intero ordinamento giuridico dovremmo cercare un’interpretazione sistematica, che sia in linea con tutto il sistema del diritto. - L’interpretazione evolutiva che si ha quando una norma di legge è rimasta scritta in un certo modo e che è diventato però anacronistico alla luce di tante altre leggi che sono entrate in vigore; le leggi devono evolversi con il tempo, ci sono tante altre norme giuridiche che imponevano di limitare gli effetti di, ad esempio, la legge della potestà maritale, che non era stata ancora eliminata (parità di genere). Si tende a dare un significato mutato ad una certa norma alla luce del mutamento del complessivo ordinamento giuridico, quando l’articolo scritto della potestà maritale si voleva dire quello ma dopo, più avanti nel tempo, doveva assumere un significato diverso. Se il giudice non trova una legge per risolvere una certa controversia e non può quindi seguire queste tipologie di interpretazione si deve parlare dell’analogia. L’analogia L’analogia legis o analogia di leggi (quella iuris, di diritto, significa decidere secondo i principi generali dell’ordinamento giuridico) significa trovare una regola prevista per un caso diverso da quello che sto seguendo ma simile; l’ultimo passaggio è quello di applicare i principi generali dell'ordinamento giuridico se non il giudice non sa cosa fare. L’analogia legis (di legge) si può fare solo in presenza di tre presupposti, lacuna legis, un elemento di identità tra il caso previsto e non previsto e l’eadem ratio (identica ragione giustificativa) possiamo applicare la regola di un certo caso ad un caso diverso. Il caso che ho di fronte è un caso non regolato, manca una precisa disposizione di legge, io devo trovare allora una regola che concerne un caso diverso dal mio e questa regola deve avere un elemento di identità rispetto al mio caso non regolato e l’elemento di identità tra i due casi (regolato e non regolato dalla legge) deve essere la ratio, la ragione giustificativa, dei due casi; la regola che intendo applicare al mio caso non regolare deve essere disciplinata per la ratio che integra l’elemento di identità tra i due casi. Questo è un simbolo di come si ricerchi l’uguaglianza tra i vari casi. Esempio: da tanti decenni si hanno i codici sulla navigazione, anche prima degli aerei; quando questi sono stati inventati e si ha iniziato a usare le regole per il traffico marittimo per il traffico aereo, dovevamo considerare se la singola regola concernente il traffico marittimo era dettata per quale finalità? Se la finalità era disciplinare lo spostamento di un mezzo di trasporto in uno spazio aperto l’analogia con l’aereo nello spazio aperto c’era; se le regole concernenti al traffico marittimo era dettata riguardo alle peculiarità del mare allora questa era una finalità diversa tra gli elementi di identità quindi l’analogia era preclusa (dobbiamo tenere in considerazione le singole leggi). Il nostro ordinamento giuridico ha vari principi generali relativi a vari argomenti (come l’autonomia testataria o l’autonomia privata, salvo limitazioni eccezionali ciascun cittadino regola i propri diritti civili come crede e può stipulare contratti atipici, non regolati dalla legge). L’analogia iuris (di diritto) non è sempre fattibile. Non sono applicabili in via analogica le leggi penali e per le norme eccezionali, anche se ci sono tutti e tre i presupposti, quindi l’analogia è vietata per le norme eccezionali. Le norme eccezionali sono quelle che derogano rispetto a principi generali dell’ordinamento giuridico (come l’art. 1350), le norme che prevedono una particolare forma (scritta) non valgono, richiedono qualcosa di più rispetto al normale. Fatti e atti giuridici Ci sono alcune categorie che vengono utilizzate comunemente nel diritto privato, categorie che il codice civile non contempla come tali, sono però usate comunemente (sono categorie dottrinali che non si trovano nel codice). In questa classificazione si vede l’influsso della dottrina “pandettistica”: le pandette sono i testi dell’antica roma, che nel 1700-1800 sono stati studiati soprattutto da giuristi di area tedesca-olandese, e questi giuristi hanno usato le fonti antiche per elaborare delle regole e delle categorie da applicare a quel tempo nella società tedesca e olandese. Il diritto dell’antica roma era molto casistico, aveva un approccio molto concettuale, ritenevano che le regole antiche potessero valere anche ora; queste categorie si trovano nel codice civile tedesco, l’idea è fare qualcosa per specialisti, solo che il tecnico giurista sappia usare questi testi (l’obiettivo del testo francese è fare in modo che possa essere letto e capito dal comune cittadino, di conseguenza quello italiano è simile). I fatti giuridici sono quegli eventi ai quali l’ordinamento giuridico ricollega effetti giuridici, essi li possiamo distinguere in due categorie: quelli naturali cioè eventi della natura (caduta di un albero accidentale che colpisce un’auto in strada) può essere che questo albero sia proprietà di qualcuno e che l’auto sia nella pubblica via quindi il proprietario dell’auto può richiedere un risarcimento danni al proprietario dell’albero; diversi sono gli atti giuridici, poiché sono comportamenti umani, riconducibili all’uomo. Essi possono essere di vario tipo, ci sono quelli illeciti, cioè comportamenti umani (che devono essere consapevoli e volontari) che sono contrari all’ordinamento giuridico (art. 2043) (un soggetto insulta e umilia un altro), oppure quelli leciti i quali si distinguono in almeno due categorie, quelli materiali che comportano una modifica materiale del mondo esterno (consegna di un bene, costruzione di un manufatto), o quelli consistenti in dichiarazioni, cioè fatti comunicativi dell’opinione o della volontà di qualcuno (dell'autore o autori delle dichiarazioni). Le categorie più importanti che troviamo sotto le dichiarazioni sono i negozi giuridici, il negozio è un concetto astratto, una dichiarazione o manifestazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici, dove essi si producono perché c’è la volontà di produrli; tutto questo ha senso perché i principali atti della vita di un cittadino sono legati alla sua volontà come il matrimonio, o il testamento, l’elemento che accomuna questi diversi atti è la volontà. L’altra categoria che troviamo è quella degli atti giuridici in senso stretto che sono quelle dichiarazioni che si producono a prescindere dalla volontà degli effetti giuridici, dove gli effetti giuridici si producono a prescindere dalla volontà dell’autore dell’atto; è interessante notare la differenza di disciplina che per i negozi giuridici occorre la capacità “di agire” cioè la maggior età e l’assenza di impedimenti, mentre per gli atti giuridici in senso stretto basta la capacità naturale o quella di “intendere e di volere” (un esempio può essere lo stesso atto illecito). I SOGGETTI Quando parliamo dei soggetti il primo problema che si pone è quello delle situazioni giuridiche soggettive che sono posizioni ideali del soggetto giuridicamente rilevanti; il nostro ordinamento si struttura così e queste situazioni sono di vario genere (guarda prima slide). La prima distinzione è tra s.g.s. attive, quando ho una posizione di preminenza, sono titolare, mentre le s.g.s. passive sono situazioni di subordinazione. Per quelle attive ci sono i diritti soggettivi cioè una posizione di vantaggio riconosciuta al soggetto per la tutela di un suo interesse, nell’ambito dei diritti soggettivi c’è una distinzione tra i diritti soggettivi assoluti, cioè che il diritto può essere fatto valere contro chiunque (erga omnes), quelli riconosciuti dal nostro ordinamento sono due, i diritti reali, ha un diritto patrimoniale, che insistono su una cosa (diritto di proprietà, art. 832 del codice, il poter godere e disporre di una cosa in maniera esclusiva), e i diritti della personalità, che sono sempre diritti assoluti come il diritto alla vita che ha un contenuto non patrimoniale, non valutabile in termini economici ma sempre assoluto. I diritti soggettivi relativi sono diritti che si fanno valere solo verso determinati soggetti, l’esempio fondamentale è il diritto di credito, che è una parte dell'obbligazione (cioè un rapporto giuridico composto da un credito e un debito e il credito è il diritto di pretendere l’esecuzione di una prestazione da un debitore) oppure i diritti di famiglia. Le facoltà sono componenti di un diritto soggettivo, sono delle situazioni giuridiche soggettive che fanno parte di un più ampio diritto soggettivo. Le aspettative, cioè una posizione di attesa di un effetto acquisitivo incerto, e ci sono due tipi di aspettative, quella di diritto, quando la persona in posizione di attesa ha già delle tutele giuridiche a sua disposizione, e quella di gestire i propri interessi. Nel 2004 è stato aggiunto un inciso finale che dice che sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione. L’interdetto si trova nominato un tutore, dal giudice, e questo è rappresentante dell’interdetto per tutti gli atti sia di ordinaria che straordinaria amministrazione. - legale, questa è disciplinata nel codice penale, essa è una pena accessoria, un istituto con effetti civilistici di ambito penale. L’interdizione legale (come pena accessoria) si verifica quando qualcuno è condannato per un delitto non colposo, quindi doloso, e la condanna sia stata alla reclusione (al carcere) per un tempo non inferiore ai 5 anni. Il soggetto è incapace di agire solo in ambito patrimoniale; situazione simile a quella del minorenne non emancipato, è presente anche qui un tutore, però ha le varie capacità non patrimoniali (può sposarsi, riconoscere un figlio, ecc). L’inabilitazione (art. 415) riguarda una certa categoria di persone: il maggiore di età infermo di mente, se ha una malattia non così grave come quella che giustificherebbe l’interdizione può essere considerato inabile, dice che persone per prodigalità (quello che sperpera i propri averi per mancata conoscenza del denaro) o per abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti portano la famiglia a gravi pregiudizi economici(uso smodato per un’abitudine e serve che tutto ciò esponga la famiglia e pregiudizi economici). Queste misure nei casi del prodigo o dell’abuso abituale sono revocabili se sono venuti meno i presupposti per l’inabilitazione. Il sordo o cieco dalla nascita o prima infanzia che non abbia ricevuto un’istruzione necessaria a badare a sé. Essa comporta una situazione molto simile alla curatela del minore emancipato; anche l’inabilitato ha un curatore ed esso lo assiste (non lo rappresenta) negli atti di straordinaria amministrazione, sono due volontà che vengono unite. L’amministrazione di sostegno (art. 404) porta un approccio diverso a questi problemi, le criticità di interdizione e inabilitazione sono che portano a mortificazione, anche una persona anziana difficilmente sarà felice di essere interdetta o considerata inabile quindi hanno un carattere mortificante queste misure e non consentono di tenere conto delle peculiarità del singolo caso di specie; le situazioni che troviamo sono molto diversificate dove ci sono casi diversi e occorrerebbe per valorizzare la dignità delle persona tenere conto delle singole situazioni. E’ necessaria poi una sentenza che è la procedura più complessa e costosa. Le caratteristiche che distinguono questa misura è che essa è molto flessibile, il giudice prende in considerazione il singolo soggetto (beneficiario delle amministrazioni di sostegno) e verifica quello che serve; è una misura che non dovrebbe essere vissuta dall’interessato come qualcosa di negativo, dovrebbe essere un aiuto non mortificante e dovrebbe essere una misura più snella e veloce a livello temporale, fatta con un decreto. I costi sono meno elevati rispetto gli altri due casi. In questa prospettiva di aiuto positivo, tutti gli anziani (persone della quarta età) e anche tutte le persone che necessitano di aiuto dovrebbero avere questo amministratore di sostegno perché è un aiuto disposto dai tribunali, senza alcuno svantaggio. L’amministrazione di sostegno dovrebbe essere attivato quando si ha un’infermità (malattia) o menomazione fisica o psichica (è una difficoltà, meno di una malattia), primo presupposto, e quando si ha un’impossibilità parziale o anche temporanea di provvedere ai propri interessi, secondo presupposto. La conseguenza della sottoposizione all’amministrazione di sostegno (si leggono nel comma 5, punti 3 e 4, art. 405) è che per certi atti è l’amministratore di sostegno che si esprime per nome e per conto e per un certo atto è necessaria anche la volontà dell’amministratore e non solo quella del soggetto preso in considerazione. Bisogna però tenere in considerazione l’articolo 409 che dice che per tutti gli atti che il giudice non menziona nel decreto di nomina il beneficiario è come se non avesse nessuna misura di protezione ma conserva la piena capacità di agire. DIRITTI DELLA PERSONALITA’ (o diritti fondamentali dell’uomo) Quando parliamo di soggetti dobbiamo tenere a mente quali sono i diritti di questi soggetti e c’è questa categoria molto importante dei diritti della personalità o dei diritti fondamentali dell’uomo; quando abbiamo parlato delle situazione giuridiche soggettive abbiamo parlato nelle situazioni attive dei diritti assoluti e dei diritti della personalità. Essi sono quei diritti che tutelano la persona umana nei suoi valori essenziali; sono diritti moderni, relativamente recenti, uno dei primi testi della modernità è la Dichiarazione di Indipendenza dei singoli stati Nordamericani nel 1776, poi abbiamo avuto la Costituzione Federale degli Stati Uniti d’America del 1787 e in seguito c’è stata la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino della Rivoluzione Francese del 1789, poi abbiamo avuto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948, la CEDU (Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo) del 1950 e abbiamo anche la Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, la Carta di Nizza, del 2009. Noi, come Italia, abbiamo la Costituzione Italiana del 1948 che parla di diritti della personalità. Diritti di rispetto della personalità umana Il primo diritto fondamentale è quello alla vita, ciascuna persona ha l’interesse e quindi il diritto del fenomeno naturale della propria esistenza fisica; la lesione di un diritto assoluto (in particolare del diritto alla personalità) è un caso sicuro che da diritto alla responsabilità civile. Se qualcuno uccide qualcun altro si espone alle conseguenze dell’omicido ma sul piano civile si espone anche a dover pagare i danni ai familiari sopravvissuti; la giurisprudenza ammette anche il risarcimento per i conviventi o anche i nonni oltre ai familiari stretti (tutto ciò per il diritto alla vita) Il diritto all’integrità psicofisica (salute), diritto che ogni essere umano ha al godimento della propria salute, organismo, nella sua interezza e sanità; qui la costituzione detta una particolare disciplina (art. 32 costituzione). Anche il diritto alla salute è un diritto assoluto e la sua lesione può dare luogo a responsabilità civile, se qualcuno lede la mia integrità psicologica o fisica, facendomi andare in uno stato di malattia, io posso richiedere un risarcimento per danni. Per il diritto alla salute e alla vita, c’è stato un dibattito intenso, si può fare una disposizione anticipata di trattamento o un “testamento biologico”(non è corretto dire così perché il testamento in senso proprio è un atto “mortis causa” che produce effetti dal momento della sua morte del suo autore). Il testamento biologico si attua quando il diretto interessato è ancora in vita quindi non è letterariamente corretto. Il diritto all’integrità morale o di onore (riguarda il sentimento della persona verso se stessa) e reputazione (che riguarda il sentimento della collettività verso una certa persona), è un diritto che si dà quasi per scontato come quello della vita; sono sempre diritti assoluti quindi se qualcuno lede il mio onore e reputazione io posso chiedere un risarcimento del danno. L’ingiuria è sanzionata penalmente, è un reato del codice penale ed ha anche conseguenze civili. Il diritto all’intimità privata che può essere articolato in tre sottocategorie: 1. diritto al segreto: è un diritto previsto almeno sotto certi profili già dalla stessa costituzione (art.15) 2. diritto alla riservatezza o privacy: ha due significati, di privacy si parla con la tutela dei dati personali di una persona mentre per la riservatezza dei dati personali qui c’è una disciplina in dettaglio, abbiamo delle leggi sulla protezione dei dati personali (il codice in maniera di protezione dei dati personali, decreto 196 del 2003, detto anche codice della privacy) sostituito in parte dal GDPR, regolamento europeo numero 679 del 2016, sui dati personali. 3. il diritto all’oblio: materia in continua evoluzione, fino a qualche anno fa il problema era ricordare, ora il problema è cercare di dimenticare, anche cercando in rete trovi la storia di chiunque, un problema sociale importante. Il problema riguarda internet e si cerca di eliminare notizie non più attuali che possono rovinare la vita di qualcuno; ciascuna persona ha il diritto di pretendere che siano eliminate le informazioni su di sé su internet che non sono più attuali. La cronaca, la critica e la satira sono contrapposte al segreto, riservatezza e oblio; qui ci sono previsioni della costituzione (art 26 della costituzione), che pongono la libertà di parola, libertà di cronaca. Il giornalista pubblicando un’informazione lede la privacy di una certa persona e per risolvere le varie controversie e stato creato un “Decalogo del giornalista”, sono 3 criteri che devono concorrere affinché il giornalista non sia chiamato a risarcire i danni nei confronti della persona di cui parla nel suo articolo. Il primo è la verità, cioè i fatti riportati devono essere veri, essa può essere oggettiva o putativa, quest'ultima vuol dire che non è la verità oggettiva ma quanto detto sembrava vero all’esito di un lavoro di ricerca serio e diligente. Il secondo è l’interesse pubblico all’informazione, questa deve essere oltre che vera anche di interesse pubblico (nozione molto flessibile). Il terzo è quello della continenza, questo riguarda le modalità espressive, si deve usare una modalità espressiva che non è offensiva in sé. Quanto appena detto in generale vale per la cronaca, cioè quando si sta parlando di fatti, questi criteri diventano sempre più elastici e favorevoli quando parliamo di critica e di satira. La critica è quando il giornalista non si limita ad esporre dei fatti ma porta anche la sua opinione personale, ed essendo l’Italia un paese libero è ammessa la creatività e la libertà di pensiero; con la satira in particolare non vale più il criterio della verità perché un comico non è tenuto a rispettarla, egli può anche ricorrere a strumenti come l’inverosimiglianza o delle iperbole, delle esagerazioni (art. 33 della costituzione tutela l’arte e la scienza e dice che sono libere). Andando avanti abbiamo il diritto all’immagine, questo è un diritto che è previsto anche nel codice civile, ed è il diritto di una persona che la sua immagine, ritratto, non sia diffuso o esposto pubblicamente senza il suo consenso (art. 10 del codice civile). Qui è interessante vedere quali sono i due rimedi generali di tutela dei diritti della personalità: è presente l’ordine di cessazione dell’abuso e questo significa “inibitoria”, cioè tutela inibitoria, quindi se qualcuno sta tenendo una condotta illecita l’autorità giudiziaria ordina di astenersi per il futuro da quel comportamento, e risarcimento del danno, che è un rimedio diverso dall’inibitoria, entrambi riguardano un illecito ma l’inibitoria è rivolta al futuro, mentre il risarcimento è rivolto al passato e si tratta di ripristinare lo “status quante”, cioè lo stato che c’era prima e in sostanza significa dare una somma di denaro che serve ad eliminare la lesione subita. L’identità personale possiamo usarla come una categoria più ampia che comprende dentro di sè tre diritti più specifici che sono: 1. Diritto al nome, questo è disciplinato nel codice civile (art.6 e seguenti); 2. Diritto all’identità sessuale, qui c’è tutto il tema del transessualismo, della modificazione dei caratteri sessuali di una persona, articolato dalla legge 164 del 1982, modificata più volte in seguito. 3. Diritto all'identità morale, diritto alla verità della propria vita e delle proprie idee, diritto che non ha una base normativa specifica però è indiscusso. Il diritto d’autore, regolato in dettaglio nella legge del 1941, è un diritto strano perché ha una componente patrimoniale e una componente personale; quando creo qualcosa e lo vendo ho un ricavo patrimoniale ed ho anche voluto portare un mio messaggio. Nei diritti patrimoniali ho la piena autonomia privata mentre su quelli personali no. Capita spesso in realtà che ci siano processi di commodification dei diritti della personalità, cioè di patrimonializzazione di questi diritti, quasi tutto ormai ha sempre più valore economico (un personaggio famoso che vende la propria immagine, ne cede i diritti sotto compenso). Per quanto riguarda i diritti di solidarietà abbiamo: il diritto all’uguaglianza (art. 3 della costituzione), abbiamo l’uguaglianza formale che è quella della legge e poi abbiamo anche quella sostanziale, la legge trattano tutti nello stesso modo lascia qualcuno nella posizione in cui si trovava anche prima quindi per questo tipo di uguaglianza la legge dovrebbe intervenire per rendere uguali tutti, dare più risorse a chi ne ha meno (art. 3 secondo comma); si va a discriminare qualcuno per favorire qualcuno che al momento è meno tutelato. Il diritto di lavoro e retribuzione sono importantissimi perché già nell’art 1 della costituzione si parla di “Repubblica fondata sul lavoro” e poi abbiamo anche leggi di più dettaglio come gli art. 35 e seguenti (art. 36 importante). Per il diritto di solidarietà nella famiglia troviamo molte cose anche nella costituzione, come l’articolo 29 che dice che la Repubblica riconosce (come se fosse qualcosa che sta prima della repubblica, qualcosa di avvenuto prima) i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio, qui la costituzione sembra dirci che è la natura che impone di avere il matrimonio e che esso sta quasi prima della repubblica, una scelta molto forte; oggi la legislazione dice quasi il contrario, che si è famiglia anche fuori dal matrimonio. Collegamento delle persone ai luoghi Il diritto richiede che le persone fisiche (ma anche le persone giuridiche) siano collegate a uno o più luoghi. Per quanto concerne la persona fisica, cioè l’uomo inteso in senso ampio, il nostro codice prevede tre diverse forme di collegamento con un luogo (art. 43 e seguenti del codice, libro I): 1. Domicilio: nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi, centro principale della vita di relazione di una persona nella quale la persona intrattiene i suoi rapporti economici e personali. Ci sono degli articoli appositi (art. 47) sulla scelta del domicilio, il quale dice che si può eleggere un domicilio speciale per certi atti o affari e questa elezione deve essere fatta per iscritto (questa è una norma eccezionale). Quid juris (cose giuridiche) 2. Residenza: luogo in cui la persona ha la dimora abituale, dove sta l’abitazione della persona e della sua famiglia. Domicilio e residenza possono coincidere ma sono nozioni distinte. Quid facti 3. Dimora: non è definita, è il luogo dove una persona può trovarsi ad abitare; non deve essere per forza una abitazione abituale (altrimenti è residenza) ma deve avere un minimo di stabilità. C’è almeno una residenza anagrafica che risulta essere di una persona. Che senso ha ragionare di queste cose? Molto spesso la legge richiama a queste opzioni, a volte una sola, a volte a due, ai più diversi fini. Questi tre termini si trovano in molti articoli anche non inerenti ai luoghi. Per le persone giuridiche (art. 46) il problema del collegamento con i luoghi esiste, esse sono identità astratte, gli enti collettivi o simili. Anche queste hanno bisogno di essere collegate ad un luogo, che viene definito come sede; essa ha la stessa funzione della residenza o del domicilio. Persona fisica di cui non si hanno più notizie Se una persona non è più reperibile i suoi rapporti giuridici devono essere difesi, si procede attraverso tre istituti che sono collocati in ordine progressivo: 1. Scomparsa: (art. 48) si verifica quando una persona non appare più nella sua residenza o domicilio e non se ne hanno più notizie; in questo caso può essere nominato un curatore che gestisca i beni dello scomparso. 2. Assenza: (art. 49) è il fatto giudizialmente dichiarato che la persona è scomparsa da oltre 2 anni, con l’assenza abbiamo qualche effetto giuridico in più come mettere in possesso dei beni gli eredi. 3. Morte presunta: terzo e ultimo stadio (art. 58), quando sono trascorsi 10 anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente; ci sono altre previsioni di dettaglio e altre ipotesi particolari (art. 60, morte presunta dichiarata in termini più brevi in caso di scontri bellici o simili). - l’assolutezza, vuol dire che il diritto, e gli strumenti di tutela collegati ad esso, possono essere esercitati nei confronti di chiunque, verso qualsiasi consociato (erga omnes, verso tutti). - l’inerenza, vuol dire che il diritto inerisce ad una cosa materiale ed il diritto è opponibile a chiunque possieda la cosa o vanti un diritto su di essa, si parla anche di seguito o sequela; essa si collega alla materialità. - specificità, cioè i diritti reali trattano di cose specifiche e esistenti. Questi sono i caratteri della proprietà ma in realtà di tutti i diritti reali. La proprietà ha dei caratteri in più che sono: La pienezza riguarda solo la proprietà (richiama l’articolo 832) dove si dice che il proprietario ha il diritto di godere e disporre in modo pieno ed esclusivo; i poteri e le facoltà del proprietario di godimento e disposizione sono generali. Il proprietario può fare tutto ciò che non è vietato. Collegato alla pienezza vi è il carattere dell’elasticità, cioè che il diritto di proprietà può essere limitato da altri diritti, possono esserci altri diritti reali che limitano la proprietà, fin tanto che esiste un diritto reale di godimento su cosa altrui, la proprietà in capo ad altri si trova limitata. Pensiamo all’usufrutto, diritto di vendita su usufrutto, pensiamo ad una persona anziana che non ha nessun interesse se non quello di continuare ad abitare nella sua casa negli ultimi anni di vita che però vuole già trasmettere al figlio, allora questo signore vende e trasferisce la proprietà a qualcun’altro e quindi questo ha il denaro per mantenersi ma con riserva di usufrutto, quindi tenendo in capo a sé il diritto di godere del bene finché vive; il diritto di proprietà in capo all’acquirente non è pieno (fin tanto che dura l’usufrutto) ma è limitato dalla presenza dell’usufrutto. Il diritto di proprietà è sempre pronto ad espandersi, è elastico, quando viene meno l’usufrutto (si parla di nuda proprietà, senza facoltà di godimento), in automatico la proprietà si espande e risulta comprendere anche la facoltà di godimento. L’esclusività del diritto di proprietà (ius excludendi omnes alios), di escludere tutti gli altri, il proprietario può escludere gli altri dal rapporto con la sua cosa (at. 841, io posso quando voglio chiudere il fondo). L'indipendenza dice che la proprietà può convivere con altri diritti ma non li presuppone, la proprietà è un diritto indipendente che può benissimo stare da solo, caratteristica dell'indipendenza che distingue la proprietà dai diritti reali di godimento su cosa altrui, poiché questi presuppongono la proprietà in capo a qualcun altro, sono dipendenti da una proprietà. L’imprescrittibilità, se io sono proprietario di un diritto ma non lo esercito, non posso perderlo per prescrizione, posso rimanere inerte ma il mio diritto di proprietà lo conservo (tutto ciò è scritto nell’articolo 948 → azione di rivendicazione). La principale azione a difesa della proprietà è quella di rivendicazione. (Parentesi sulla prescrizione) Alla fine del codice civile troviamo come due ultimi istituti, la prescrizione e la decadenza. La prescrizione è una causa di estinzione dei diritti per il decorso del tempo indicato dalla legge e per l’inerzia del titolare. I diritti del soggetto finiscono se concorrono l'inerzia del titolare (non esercitare il diritto) e il decorso di un periodo di tempo deciso dalla legge. Se qualcuno è titolare di un diritto ma non si preoccupa a farlo valere dopo un certo periodo di tempo il diritto si perde perché è passato del tempo. (art. 2946, prescrizione ordinaria) Se io sono proprietario di un diritto e non lo esercito, il diritto di proprietà è imprescrittibile, cioè non lo si può perdere per prescrizione, io conservo sempre il diritto (lo trovo scritto riguardo all’azione di rivendicazione nell’art. 948). L’usucapione (o prescrizione acquisitiva) è diversa dalla prescrizione, per quanto fossero due istituti disciplinati unitariamente, l’elemento di collegamento tra i due istituti è il tempo, poiché essi si basano sul decorso di un certo tempo o anni; solo che la prescrizione è una causa di estinzione dei diritti, l’usucapione è un modo di acquisto della proprietà e anche di altri diritti reali. L’usucapione non estingue i diritti, cancella quello che c’era prima acquistando a titolo originario. Con l’usucapione non basta il passaggio del tempo, occorre che il soggetto che usucapisce eserciti un possesso, cioè un rapporto di fatto con la cosa, dotato di certi requisiti, pubblico, pacifico e ininterrotto. Il fine dell'usucapione è quello di possedere con certe caratteristiche di acquistare un bene, di trasformare una situazione di fatto che si estende per molto tempo con certi requisiti in una situazione di diritto. La proprietà è anche perpetua, cioè il nostro ordinamento in linea di principio non conosce proprietà temporanee, chi è proprietario lo è per sempre, senza limiti di tempo, in realtà ci sono alcune eccezioni, alcuni istituti derogano rispetto il principio generale della perpetuità ma alcuni istituti danno luogo ad una proprietà temporanea, il più famoso è il fedecommesso (art. 692, materia successoria, sostituzione fedecommissaria), questo istituto è eccezionale e viene solitamente attuato a protezione di un soggetto in difficoltà (genitori anziani, figlio disabile o simili). ● Su cosa altrui, essi si dividono in: - superficie (art. 952), c’è un titolo apposito dedicato alla superficie, il diritto reale di godimento di superficie conferisce il diritto di fare e mantenere una costruzione sul suolo o sottosuolo (art. 955) altrui, è un diritto molto incisivo, un diritto di proprietà limitato orizzontalmente. - enfiteusi (art. 957), diritto reale non più molto diffuso, ha un titolo a sé anche questo, esso è il diritto reale di godimento che conferisce all’enfiteuta (uno che ha una posizione, un diritto reale molto ampio, ma che deve sempre fare i conti con il proprietario del fondo) un’ampia facoltà di utilizzazione e di disposizione di un fondo (terreno), con l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone (una somma al proprietario). - usufrutto (art. 981), molto diffuso e importante, titolo V, si dice che l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa e di trarne ogni utilità economica, salvo l’obbligo di rispettarne la destinazione economica. (abitazione e uso sono forme di usufrutto) - abitazione (art. 1022), oltre alla stessa finalità dell’uso, c’è l’oggetto, che non è una qualsiasi cosa ma deve essere una casa, immobile che può essere abitato. - uso (art. 1021), esso è un usufrutto con, come finalità, i bisogni suoi e della famiglia, è una limitazione del diritto. - servitù (art. 1027), dette anche servitù preghiali (relativo ad un fondo), esse riguardano infatti i fondi e la servitù consiste nel peso imposto sopra un fondo per l'utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario; esempio della servitù di passaggio, abbiamo due terreni ma solo uno ha uno sbocco sulla libera via, l’altro deve passare sopra al campo vicino per uscire nella via. Sono due terreni diversi dove ognuno ha il suo proprietario; il fondo intercluso può pretendere, anche coattivamente (cioè contro la volontà del vicino), una servitù di passaggio, cioè il diritto reale in forza del quale il proprietario del fondo, che si chiama dominante, può passare sul fondo del vicino per accedere a pubblica via. I diritti reali di garanzia sono a garanzia di un credito, garanzia dell’attuazione del soddisfacimento di un credito; aprono quindi questioni di pubblicità o tutela di attuazione giurisdizionale di un credito, di rapporti con la procedura civile, sono disciplinati nel libro VI (dove abbiamo il ponte tra sostanza e procedura). Modi di acquisto della proprietà Questo è un discorso importante; gli strumenti attraverso cui qualcuno diventa proprietario di un bene sono i modi di acquisto della proprietà. Abbiamo due tipologie di acquisto: A titolo derivativo, cioè sto derivando la mia proprietà da qualcun altro che era proprietario prima di me; un acquisto di questo genere può avvenire per: - contratti, come vendita, donazione (diversa dalla vendita perché non c’è un corrispettivo e perché c’è lo spirito di liberalità), ecc. - o per successione a causa di morte, una persona muore e lascia i suoi beni a suoi eredi, abbiamo quindi un acquisto a titolo derivativo. A titolo originario, cioè c’è un effetto acquisitivo che prescinde dalla precedente titolarità del diritto in capo ad un altro soggetto, ci sarà sicuramente stato qualcun altro proprietario della cosa prima ma si prescinde dalle eventuali e precedenti proprietà. Abbiamo: - l’occupazione (art.923), che riguarda le cose mobili che non sono in proprietà di nessuno (res nullius o derelicte) e si acquistano con l’occupazione. - l’invenzione (art. 927), che qui ha significato di ritrovamento di una cosa (mobile) smarrita, che deve essere consegnata alla persona o al sindaco - L'accessione (art. 934 e seguenti), è un modo di acquisto della proprietà per incorporazione al suolo di costruzione, opere o piantagioni; viene espresso il principio di fondo della cessione: queste cose appartengono al proprietario del terreno. Una cosa accessoria segue le sorti della cosa principale, da un punto di vista della proprietà ovviamente (il terreno è la cosa principale e l’edificio segue le sorti della cosa principale; il proprietario del terreno lo è a titolo originario) - Il titolo è un atto da cui deriva l’acquisto, può essere un contratto fatto per un accordo tra le parti. - La specificazione la possiamo definire come la trasformazione per opera dell’uomo della materia altrui in una cosa nuova (art. 940). - L’unione e commistione, l’unione è la congiunzione di più cose appartenenti a proprietari diversi mentre la commistione sarebbe la mescolanza di cose, cose che si possono mescolare tra di loro (art. 939). - Il possesso è disciplinato sempre nel libro III, sulla proprietà, esso non è nemmeno un diritto; esso è il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio della proprietà o di altro diritto reale. E’ un potere di fatto, è qualcosa che accade concretamente, qualcuno esercita un potere che corrisponde a quello del proprietario. Qualcuno si comporta, rispetto al bene, come se ne fosse il proprietario; possesso e proprietà possono coincidere. (art. 1140) Si distingue lo ius possidendi, esiste il diritto di possedere, questo è un aspetto della proprietà, e lo ius possessionis, il possesso in quanto tale ha un profilo di tutela giuridica, abbiamo una tutela che possiamo usare per il soggetto. Molto importante per le azioni, ci sono delle azioni a difesa del possesso, sono azioni facili da esperire, quindi anche un proprietario ha le azioni a difesa della proprietà, abbiamo azioni più facili da esperire anche da chi non è proprietario, il nostro ordinamento ritiene utile tutelare anche il possessore in quanto tale. Si dice che il possesso abbia un corpus, cioè una parte oggettiva e consiste in questa attività dell’esercizio della proprietà, e poi c’è l’animus, cioè una parte soggettiva, il possessore per essere tale dovrebbe avere l’intenzione di essere trattato e comportarsi come proprietario. La detenzione è sempre un potere di fatto sul bene, meno incisivo rispetto al possesso, se si crede nell’animus si dice che il detentore non contesti che altri siano titolati ad avere il rapporto. - L’usucapione (art. 1158 e seguenti), modo di acquisto della proprietà basato sul possesso “qualificato”, se lo possiedo per un certo numero di anni ne divento proprietario. (art. 1158) Per divenire proprietario di un immobile basato sul possesso servono vent’anni, ma ci sono anche ipotesi diverse. Regola possesso vale titolo (art. 1153), qui c’è un acquisto immediato, riguarda solo i beni mobili e deve esserci il possesso, la consegna di questo bene mobile a qualcuno e anche se chi consegna il bene non è proprietario il destinatario della consegna diventa proprietario se c’è l’ignoranza di ledere altrui diritto (buona fede soggettiva) e ci vuole il titolo (contratto) idoneo. Destinazione del buon padre di famiglia (art. 1062), si dice che le servitù solo apparenti (quelle che hanno opere visibili e apparenti destinate al loro esercizio) possono destinarsi per usucapione o per destinazione del buon padre di famiglia. Esempio: questo terreno è unico ma diviso in due parti, in esso c’è una servitù di passaggio, il proprietario unico passa da una stradina che collega i due fondi per arrivare alla pubblica via. Ad una certa questo fondo unitario viene diviso in due in proprietà di due soggetti diversi. Sorge la servitù per destinazione del padre di famiglia, uno diventa il fondo dominante (quello per cui si fa il passaggio) e uno quello servente (quello su cui si fa il passaggio) e ciò avviene automaticamente. AZIONI Ci sono azioni personali che sono dirette a tutelare i crediti, quelle reali sono a difesa della proprietà o di altri diritti reali e ci sono le azioni possessorie a difesa del possesso (inteso come potere di fatto). Per quelle reali abbiamo azioni generali e speciali. La principale azione per la difesa della proprietà si chiama rivendica (o rivendicazione, art. 948), azione con cui il proprietario fa valere il suo diritto di proprietà per recuperare la cosa posseduta o detenuta illegittimamente da altri. La rivendica è un’operazione recuperatoria, comporta la condanna del convenuto (chi è stato portato in giudizio) a restituire il bene al proprietario. Ci sono delle problematiche, innanzitutto dal punto di vista probatorio, come si fa a dimostrare di essere proprietari di un bene? è necessario un atto notarile scritto che dimostra una vendita o simili; la rivendica è un’operazione che richiede una prova più intensa di questa, cioè si parla di probatio diabolica (prova diabolica), poiché il proprietario, che agisce in rivendica, per vincere non deve limitarsi ad approvare un titolo di acquisto derivativo ma dovrebbe provare anche che il precedente alienante o uno dei precedenti alienanti avevano acquistato la proprietà a titolo originario (quelli in presenza dei quali si prescinde da quanto accaduto prima), l’atto derivativo non è tanto forte rispetto a quello originario. La negatoria (art. 949), è un’azione che serve al proprietario per far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi, si parla anche di negatoria della servitù (negatoria servitutis). Il regolamento di confini (art. 950) e l’apposizione di termini (art. 951) sono solitamente trattati assieme, cioè sono azioni in relazione alle quali si discute, seguono il problema della delimitazione dei terreni, e l’azione di regolamento dei confini riguarda il caso in cui il confine sia incerto tra due terreni vicini, confinanti di due soggetti diversi si va in causa, si richiede l’incertezza sul confine, altrimenti l’apposizione di termini dice che i confini non sono segnati o visibili ma è certo quale sia il confine e si richiede l’intervento del giudice affinchè ordini la materialità del confine che però è certo. Quindi se proprio non si sa dove sia il confine c’è la regolazione del confine, altrimenti se questo è incerto si passa all’apposizione di termini. Le azioni possessorie abbiamo: - azione di reintegrazione o spoglio (art. 1168) riguarda chi è stato violentemente o occultamente (cosa fatta di nascosto) spogliato del possesso; chi ha perso il possesso può richiedere la reintegrazione. - azione di manutenzione (art. 1170), qui si ha qualcuno che da fastidio a qualcun altro che ha il possesso di unimmobile, serve per cessare un fastidio. - azioni di nunciazione, esse sono a difesa della proprietà ma al tempo stesso anche del possesso; sono la denunzia di nuova opera (art. 1171), sono delle azioni particolari, questa riguarda la costruzione da parte di un vicino, e la denuncia di danno temuto (art. 1172), dove io temo di ricevere un danno anche se non c’è una nuova costruzione. COMUNIONE Nell’esempio del chirurgo che mi lascia il bisturi dentro la pancia esso cos’è rispetto alle due possibilità sopra citate? Qui abbiamo sì un contratto che ho firmato per fare l’operazione però io ho fatto un contratto con l’ente e non con il singolo chirurgo quindi solitamente abbiamo una responsabilità extracontrattuale. Stavamo parlando della correttezza e diligenza. Art. 1175-1776, riflessione di cogliere le differenze su questi due articoli. La correttezza vale sia per il soggetto passivo (debitore) che quello attivo (creditore), la diligenza vale solo per il debitore. L’obbligazione è orientata alla soddisfazione del creditore ma nonostante ciò egli deve comportarsi correttamente, il debitore deve adempiere ed essere diligente. La correttezza (o buona fede oggettiva), (art. 1175) la buona fede è una regola del nostro principio generale ed è un’espressione che, a seconda del contesto, può essere oggettiva, sinonimo di correttezza, o soggettiva, che tratta cose diverse. In materia di possesso (regola possesso vale titolo) ma anche in altri contesti si parla di buona fede soggettiva cioè l’ignoranza di ledere l'altrui diritto. Quando è oggettiva, si parla di correttezza, e troviamo il significato nell’art. 1175, essa è un principio di solidarietà sociale (sancito nell’articolo 2 della costituzione) secondo il quale, nel rapporto obbligatorio, ciascun soggetto ha l'obbligo di salvaguardare l’utilità dell’altro soggetto nei limiti in cui ciò non apporti un apprezzabile sacrificio del proprio interesse. La diligenza (art. 1176) è l’impegno “normalmente” adeguato per soddisfare l’interesse del creditore; un’altra differenza tra i due sta nell’intensità della doverosità, la diligenza indica una doverosità piena nonostante l’impegno adeguato, mentre la correttezza è più blanda, indica una doverosità attenuata, tanto il debitore quanto il creditore devono tenere comportamenti che salvaguardino l’utilità della controparte solo nei limiti in cui questi comportamenti non determinino un apprezzabile sacrificio. Il debitore deve anche, oltre ad eseguire la prestazione non solo in buona fede, egli deve anche essere diligente, preservare o realizzare ulteriori interessi del creditore che sono solo connessi alla prestazione, nei limiti in cui ciò non comporti al debitore un apprezzabile sacrificio. es. Contratto di appalto dove c’è un costruttore edile che ha il compito di eseguire un progetto fornito dal committente, c’è un obbligo per l’appaltatore (debitore) di eseguire con diligenza il lavoro prescritto. Se l’appaltatore si rende conto che eseguendo la prestazione richiesta ci possa essere uno svantaggio per il suo committente, se non gli costa troppo fatica di fare questa cosa allora il debitore è obbligato per buona fede a comunicare che il progetto sia irrealizzabile e quindi suggerisce una modifica. L’appaltatore-debitore deve farlo perché si tratta di fare una comunicazione, cose di poco conto, e salvaguarda l’utilità per la controparte. La diligenza grava su qualsiasi debitore, con pater familias si intende l’uomo medio, medio nel senso di buon cittadino, e c’è una precisazione nel comma 2 dell’art. 1176, per cui è necessaria una diligenza normale per la normalità di una certa attività professionale, altrimenti basta quella del buon cittadino (il chirurgo non deve essere solo un buon cittadino, voglio che sia un buon chirurgo, il suo livello di diligenza deve essere normale secondo la normalità propria di chi fa quella professione). Occorre precisare che questo concetto di diligenza è fondamentale per capire se c’è il contrario della diligenza, cioè la colpa, che è l’assenza di diligenza, e la colpa è il fondamento della responsabilità. La colpa è il presupposto della responsabilità, il debitore può chiedere i danni se il debitore è in colpa, art. 1218 “Responsabilità del debitore”, norma fondamentale per la responsabilità contrattuale e qui si dice che il debitore inadempiente è tenuto al risarcimento del danno salvo che il debitore stesso provi (inversione dell’onere della prova) che l'inadempimento o il ritardo è determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Qui non si fa un riferimento alla colpa, questa formulazione viene usata per sottolineare che c’è qualcosa di più dell’assenza di colpa, il debitore dovrebbe rispondere con qualcosa in più, di provare l’impossibilità della prestazione. La diligenza si specifica in 4 aspetti che compongono e la concretizzano: 1. La cura, o attenzione, il debitore diligente è una persona attenta, io debitore devo prepararmi tempestivamente per attuare la procedura, una persona non attenta è già in colpa; 2. La cautela, prudenza, osservanza di idonee misure di prudenza; 3. La perizia, riguarda le nozioni e gli strumenti tecnici, questa è una nozione che viene in rilievo dove ci sia un professionista o un ambito dove ci sono nozioni tecniche; 4. La legalità, cioè osservanza di norme giuridiche che sono rilevanti per quella determinata attività, ci sono alcuni contratti e rapporti nei quali il contenuto specifico dei rapporti è il compimento di attività giuridiche come oggetto del contratto. La mancanza di anche uno solo dei quali porta a mancanza. Ci sono varie differenze di obbligazione: - Dare, obbligazioni che hanno come contenuto il trasferimento di un diritto oppure la consegna di un bene, nel nostro ordinamento non si può confondere il profilo del trasferimento del diritto e della consegna del bene perché un contratto di compravendita comporta il trasferimento di una cosa (proprietà) avviene già nel momento dell’accordo, il trasferimento del bene è oggetto che nasce dalla compravendita che nasce da competenze diverse. - Fare (facere), sono tutte le obbligazioni che non consistono in un dare o non fare, quelle che hanno ad oggetto una materia legale o giuridica. - Non fare, sono quelle che impongono al debitore di rimanere in attivo e non fare nulla (obbligo di non edificare). Le obbligazioni si dividono anche in obbligazioni: - Di mezzi, obbligazione in cui il debitore è tenuto solo ad una attività diligente, a prescindere dal raggiungimento di un certo risultato (utile per il creditore); - Di risultato, il debitore è tenuto a raggiungere un certo risultato utile per il creditore, a prescindere dall’attività necessaria per raggiungere quel risultato. es. delle obbligazioni di mezzi Caso dell’avvocato: mi rivolgo all’avvocato per una lite con i vicini, l’avvocato generalmente non può promettere nulla perché ciò non è nella sua disponibilità, è il giudice che sceglie, soggetto terzo sottoposto solo alla legge, l’avvocato può solo promettere che sarà diligente per ottenere quel risultato. Se poi la causa è persa questo non significa che si possono richiedere i danni poiché la sua era un’obbligazione di mezzi non di risultato (a meno che egli non abbia rispettato la diligenza quindi cura, cautela, perizia e legalità; in quel caso posso portare l’avvocato in causa). Questa obbligazione di mezzi serve per limitare la responsabilità di certi individui (medici, liberi professionisti, ecc). es. delle obbligazioni di risultato Costruttore edile: poniamo che io abbia dato l’incarico a questo costruttore di tirare sù un muretto di confine fatto di pochi mattoni, una sopra l’altro; questa è un’obbligazione di risultato perché è fattibile ottenere quello che è stato chiesto a regola d’arte, è un semplice muretto. Se questo muretto non viene realizzato da ciò deriverebbe la responsabilità del debitore. Io posso chiedere i danni per il mancato raggiungimento del risultato, non devo dimostrare che non è stata tenuta un’attività diligente. MODI DI ESTINZIONE DELLE OBBLIGAZIONI Il modo “normale” per estinguere l’obbligazione e liberarsi dal vincolo è quello di adempiere all’esecuzione di una prestazione (adempimento). Ci sono modi differenti di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento e questi modi possono essere distinti in due categorie: - satisfattivi, soddisfano l’interesse originale del creditore, anche se manca l’adempimento, o viene soddisfatto un altro interesse succedaneo (cioè che prende posto dell’interesse originale del creditore). ● dazione in pagamento, datio in solutum (art. 1197), prestazione in luogo dell’adempimento dove il debitore non può liberarsi eseguendo una prestazione diversa da quella dovuta, anche se di valore uguale o maggiore, salvo che il creditore consente. Essa è l’esecuzione da parte del debitore di una prestazione diversa da quella oggetto dell’obbligazione, salvo che il creditore consenta, serve un contratto, un accordo, un incontro di volontà. Abbiamo qui un contratto reale, che si perfeziona solo nel momento della consegna. ● compensazione (art. 1243, Compensazione legale e giudiziale), che è di vari tipi, quella legale, giudiziale e volontaria; essa è l’estinzione di due obbligazioni reciproche (il debitore è al tempo stesso creditore del suo creditore), fino al limite della loro concorrenza. es. io devo pagare a tizio 100 euro ma questo deve pagare a me 50 euro. Con la compensazione io pago direttamente solo 50 euro. → La compensazione legale (art. 1243, 1 comma) si verifica con presupposti specifici, cioè due debiti specifici ma i debiti reciproci devono essere liquidi ed esigibili. Un debito è liquido quando è certo nel suo ammontare e un debito è esigibile quando non è sottoposto a termine (una certa data) o condizione. → La compensazione giudiziale (art. 1243, 2 comma) necessita dell’intervento del giudice; se il debito non è quantificato ma è di facile e pronta liquidazione, il giudice può calcolarlo facilmente. Qui non c’è accordo tra le parti, una delle due la richiede. → La compensazione volontaria (art. 1252) qui c’è l’idea della libertà o autonomia contrattuale; se debitore e creditore, che sono reciprocamente debitore e creditore l’uno dell’altro, decidono di estinguere i loro debiti fino alla concorrenza, anche se i beni non sono fungibili o esigibili, lo possono fare se le parti lo vogliono. Ci vuole l’accordo tra le parti. - Non satisfattivi, cioè che non soddisfano l’interesse del creditore; si estingue l’obbligazione, il creditore perde il suo credito, senza che sia soddisfatto un suo interesse, originario o succedaneo. Questi modi di estinzione sono: ● novazione oggettiva (art. 1230) le parti si accordano con il mio creditore affinché ci sia una nuova obbligazione che ha uno di questi due elementi diversi: l’oggetto dell’obbligazione (la prestazione) o il titolo (la causa giustificatrice). (qui generalmente è quando cambia l’oggetto o il titolo dell’obbligazione) Sembra simile alla datio solutum, ma questa comporta l’estinzione dell’obbligazione solo nel momento del pagamento o dell’esecuzione della prestazione, la novazione invece comporta l’estinzione dell’obbligazione originaria nel momento del semplice accordo. La novazione soggettiva è quella in forza della quale cambia il debitore, c’è un mutamento dal lato passivo del rapporto obbligatorio, c’è un nuovo debitore che si aggiunge o sostituisce al debitore originario (che viene liberato). Abbiamo tre istituti: delegazione (art. 1268), espromissione (art. 1272) e accollo (art. 1273), sono istituiti in forza dei quali cambia il debitore. ● remissione del debito, (art. 1236) essa è la dichiarazione del creditore di liberare il debitore, il creditore rinuncia al suo diritto di credito e lo fa gratuitamente. Il semplice fatto che il creditore dica di rinunciare al credito non basta, l’obbligazione rimane in vita fino a quando non passa un congruo termine, e se entro quel termine viene emessa una dichiarazione del debitore che preferisce adempiere allora l’obbligazione rimane in vita. (nemo potest locupletari invitus, nessuno può essere arricchito contro la sua volontà, anche un beneficio si può rifiutare, la donazione è un contratto che richiede l’accordo di donante e donatario). ● impossibilità sopravvenuta, (art. 1256), istituto molto importante e discusso dove si dice che per causa non imputabile al debitore (cioè che non per colpa del debitore), la prestazione diventa impossibile. Ci sono varie altre norme per le obbligazioni, una molto importante è la regola fondamentale sull’inadempimento delle obbligazioni, cioè la “responsabilità contrattuale” e subito a seguire abiamo la mora del debitore, la mora è il ritardo qualificato, c’è un principio generale dell’ordinamento per cui, fino a prova contraria e in linea di principio, un ritardo nell’adempimento è tollerato (se devo pagare il 1 aprile e pago il 3 questo è un ritardo tollerabile). Quando c’è un ritardo nell’adempimento si tratta sempre di vedere se si verifica oppure no la mora, che è un ritardo qualificato che comporta particolari conseguenze da un punto di vista del pagamento degli interessi o del risarcimento del danno. L’articolo 1219, 1 comma, pone questo principio, cioè che il debitore è costituito in mora solo con intimazione o richiesta fatta per iscritto, cioè una raccomandata; se invece di fronte ad un debitore in ritardo non fa nulla vuol dire che sta tollerando il ritardo. La tolleranza si collega alla buona fede, se a me creditore non cambia quasi nulla compio un sacrificio tollerabile, che però favorisce il debitore. Ci sono dei casi però in cui la mora (2 comma) è automatica, cioè il ritardo diventa qualificato senza una necessità scritta da parte del creditore, cioè quando il debito deriva da fatto illecito, quando il debitore ha dichiarato per iscritto di non voler eseguire l’obbligazione o quando è scaduto il termine, se la prestazione deve essere eseguita al domicilio del creditore. C’è quindi una differenza tra mora ex persona, cioè quella fatta sulla base di una richiesta personale o di un’intimazione scritta, e la mora ex re, cioè quella automatica, che sorge automaticamente con i presupposti 1,2 o 3 del 2 comma dell’articolo 1219. Le obbligazioni plurisoggettive, sono quelle dove abbiamo più debitori e/o più creditori e si dividono in: - Indivisibili (art. 1316), (sottocategoria delle solidali) - Solidali (art. 1292), quella passiva pone più debitori, quando più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione e l’adempimento da parte di uno libera gli altri, (la solidarietà passiva tutela il creditore, ci sono i debitori insolventi, spesso accade che il debitore non ha un patrimonio, è in solvente) - Collettive, (sottocategoria delle solidali), si hanno quando ci sono più debitori che devono eseguire congiuntamente la prestazione, e i creditori devono riceverla congiuntamente. - Parziarie (art. 1314), caso più semplice, sono obbligazioni plurisoggettive che hanno ad oggetto una prestazione divisa tra più creditori o debitori, ognuno dei quali è, a seconda dei casi, obbligato (debitore) o ha diritto (creditore) all’adempimento solo nei limiti della sua parte. IL CONTRATTO IN GENERALE La disciplina del contratto in generale inizia dagli articoli 1321, in questo abbiamo la definizione di contratto, questo è uno degli articoli più importanti di tutto il codice; il contratto è l’accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale. Qui in particolare ogni parola ha peso notevole, ci viene detto che il contratto è un accordo ed esso è l’incontro di almeno due soggetti, un incontro di volontà (discorso sul negozio giuridico, manifestazione di volontà diretta a produrre effetti giuridici); ogni contratto ha tre funzioni: costituire (creare), regolare (modificare) o estinguere (porre fine ad un rapporto giuridico), quindi serve a creare ex novo, modificare o porre fine ad un rapporto giuridico patrimoniale, il contratto per il nostro codice non In Italia, nonostante sia stato superato da tempo questa ripartizione ci sono ancora alcuni contratti che riguardano specificatamente le imprese, come gli appalti. Un’altra distinzione è tra i contratti commutativi e i contratti aleatori: - il contratto commutativo è quello dove è certo il rapporto costi-benefici per le parti, per precisare il contratto commutativo è quello dove le entità delle reciproche prestazioni delle parti non dipende da fattori causali ma è già determinata, o al limite dipende dalle determinazioni di un terzo. - il contratto aleatorio è quello dove si lanciano i “dadi”, si fa una specie di scommessa, in esso, a carico di una parte, vi è il rischio di un evento casuale che incide sul contenuto del diritto o della prestazione di questa parte. Qui il rapporto costi-benefici è incerto. I contratti aleatori sono considerati a volte come contratti commutativi. Un’ultima distinzione, che diventa una tripartizione, è quella tra: - i contratti a esecuzione istantanea sono quelli la cui esecuzione avviene in un’unica soluzione (io ti vendo un libro e tu mi dai dei soldi). - i contratti di durata sono quelli dove l’esecuzione è destinata a durare nel tempo; essi si dividono in ● contratti a esecuzione continuata che sono quelli dove la prestazione di una parte è caratterizzata dalla continuità nel tempo (esempio della locazione). ● contratti a esecuzione periodica dove c’è una prestazione che non è continuativa ma si rinnova nel tempo (art. 1458, si parla degli effetti della risoluzione del contratto, questo non vale per i contratti di durata, il godimento che è stato ricevuto nel frattempo non viene considerato; art. 1373 e 1360 riguardano cose simili). - i contratti a esecuzione prolungata sono una categoria discutibile, ci sono dei contratti che non sono classificabili nelle altre due categorie come l’art. 1655, i contratti di appalto o i contratti d’opera art. 2222. Questi sono contratti che sembrerebbero essere a esecuzione istantanea. La rappresentanza Istituto di cui abbiamo già parlato ma riferito solo alla rappresentanza legale. Quanto parliamo di rappresentanza dobbiamo parlare di due categorie: ù - la rappresentanza diretta (o propria), (art. 1388) quando il codice parla di rappresentanza senza aggettivi parla di quella diretta, essa è il potere di un soggetto, chiamato rappresentante, di compiere atti giuridici in nome e per conto di un altro soggetto, che è il rappresentato. - la rappresentanza indiretta, si ha quando un soggetto agisce per conto ma non in nome di qualcun altro, il rappresentante agisce in nome proprio, senza la spendita del nome del rappresentato, ma sempre per fare l’interesse di qualcun altro, questa spendita del nome viene detta contemplatio domini (riferimento al padrone). La rappresentanza si divide ulteriormente in tre modi per quanto riguarda l’attuazione di questo “potere”: : - rappresentanza legale, (art. 1387) è la legge che conferisce il potere rappresentativo; esempi: rappresentanza dei genitori sui figli (rappresentanza genitoriale), il tutore dell’interdetto che è il suo rappresentante legale oppure l’amministrazione di sostegno. - rappresentanza volontaria (procura) essa è quella conferita dall’interessato sulla base di una sua volontà di farsi rappresentare da qualcun altro. Questa volontà si esprime attraverso un particolare negozio giuridico detto procura (o delega), che è il negozio unilaterale con il quale un soggetto conferisce ad un altro il potere di rappresentarlo. - rappresentanza organica, essa è il potere che hanno gli organi degli enti collettivi delle persone giuridiche di esprimere la volontà della persona giuridica. Es. la Spa è una persona giuridica ma ci sono delle persone, degli organi, che permettono di far operare la spa. Riguardo al procura ci sono varie regole e una sulla forma se non ci fosse una regola specifica la procura potrebbe essere data sempre in qualsiasi forma ma l’art. 1392 dice che la procura non ha effetto se non è conferita con le forme prescritte per il contratto che il rappresentante deve concludere; quindi se il rappresentante dovrà concludere un contratto in forma orale o libera, la procura io la posso dare in qualsiasi forma, ma se si tratta della vendita o l’acquisto di un immobile io devo farla in forma scritta a pena di nullità, è una forma per relationem, cioè io ricavo la forma necessaria per la procura dalla forma eventualmente richiesta per il negozio da concludere. La procura è un negozio unilaterale attributivo di un potere, quindi il procuratore, cioè il soggetto al quale è attribuito il potere (detto anche rappresentante o delegato), ha sì il potere ma non ha l’obbligo di agire; è un atto unilaterale che attribuisce potere ma non impone nessun obbligo. Il contratto con il quale il rappresentante si impegna ad agire è il mandato (art. 1703); se io voglio che qualcuno compia un mio atto giuridico per mio conto e nome devo fare in modo di stipulare un contratto di mandato in forza del quale sorge l’obbligo di agire, di compiere uno o più atti giuridico in capo al mandatario. Può essere che nello stesso documento ci siano la procura e il mandato ma sono atti distinti: la procura è un atto unilaterale che attribuisce il potere e non l’obbligo, il mandato è un contratto mediato almeno bilaterale, dal quale sorge l’obbligazione di compiere uno o più atti giuridici per il rappresentante. L’atto posto in essere dal mandatario, cioè dal rappresentante, in nome e per conto del rappresentato, cioè del mandante, produce i suoi effetti direttamente nella sfera giuridica del mandante. Il mandato senza rappresentanza (diretta), dice che se io agisco come rappresentante indiretto, quindi senza spendere il nome del mio rappresentato, ma sono io che agisco che divento proprietario di quel bene che acquisto. Ci sono delle deroghe. Il primo elemento (art. 1325) del contratto è l’accordo, il consenso, l’incontro di almeno due volontà. Come si forma l’accordo? Nel codice c’è una disciplina dettagliata. Per creare un contratto necessito di una proposta e di una accettazione, che deve essere conforme alla proposta. Questo può creare problemi che intercorre molto tempo tra le due fasi e se si tratta di persone a distanza, e quindi si tratta di capire come e quando si è formato l’accordo, e nell’articolo 1326 e seguenti ci sono le regole. L’accordo può essere (questo è un discorso che riguarda i contratto ma più in generale il negozio giuridico, diciamo le manifestazioni di volontà): - espresso, la manifestazione di volontà espressa significa che avviene con il linguaggio o con dei segni interpretabili con il linguaggio - tacito, la manifestazione di volontà tacita è quella che avviene con un comportamento concludente, che non è un segno di linguaggio ma è un comportamento concludente, semplice comportamento non espresso attraverso il linguaggio dal quale non è possibile desumere alcuna volontà diversa da quella che si pretende di desumere (es. persona che compre il giornale, da i soldi nel bancone senza dire nulla, prende il giornale e va via). Il semplice silenzio non manifesta alcuna volontà a meno che non ci sia un comportamento o un silenzio circostanziato, cioè un silenzio che alla luce delle circostanze significa manifestare una volontà. Stavamo parlando di contratto in generale; abbiamo distinto tra accordo espresso e tacito e ora una distinzione interessante da tenere a mente è quella tra parlando delle fonti delle obbligazioni: - offerta al pubblico qui non c’è mai un contratto, esso è un atto che nasce e rimane così; l’offerta al pubblico è un istituto molto diverso (art.1336), è sempre un atto unilaterale che può portare ad un accordo, dal quale possono sorgere obbligazioni, essa è una proposta volta ad ottenere un’accettazione. L’offerta è una proposta rivolta al pubblico, ad una collettività di soggetti; è possibile ritirare l’offerta nella stessa forma o in forma equipollente (quando io negoziante rimuovo la targhetta dalla vetrina faccio una revoca). - promessa al pubblico, (art. 1989) essa è una deroga rispetto al principio generale che dice che una semplice promessa unilaterale non da luogo ad un contratto non è fonte di obbligazione, la volontà di un solo soggetto non è fonte di obbligazione. La promessa al pubblico è una promessa (atto unilaterale) eccezionalmente fonte di obbligazioni. Obblighi negoziali di contrarre Può essere che all’accordo ci si arrivi sulla base di altri accordi. Ci sono tre tipologie di obblighi negoziali di contrarre. - il preliminare (proprio) è il contratto con il quale le parti si obbligano a stipulare un successivo contratto detto “definitivo”, questa cosa del preliminare è una figura molto ampia però, il più delle volte abbiamo un preliminare di compravendita (gli immobili si vendono con la sequenza preliminare definitiva con un mediatore immobiliare, il promittente venditore o alienante (chi promette di vendere) e promissario acquirente o compratore (destinatario della promessa, che è un contratto) che, con l’intermediazione di un mediatore immobiliare, si incontrano e fanno un preliminare di compravendita dove decidono di trovarsi dopo tot dal notaio a fare il contratto definitivo di compravendita, il preliminare è un contratto che ha effetti puramente obbligatori, da qui sorge solo un’obbligazione reciproca di presentarsi dal notaio e quindi di dare il consenso). Nel codice ci sono alcune regole che lo riguardano, gli articoli 1351, che ci dice che il preliminare è nullo se non è fatto nella stessa forma che la legge prescrive per il contratto definitivo (se devo fare una vendita di un immobile non ho scelta se non di fare un contratto scritto). L’articolo 2645-bis dice che è possibile trascrivere già il contratto preliminare di vendita immobiliare Preliminare improprio, qui dobbiamo fare un salto in avanti e vedere cos’è la vendita; (art. 1470) la vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento di una cosa o il trasferimento di un altro diritto verso il corrispondente di un prezzo. La compravendita è un contratto ad effetti reali, cioè nel momento del consenso passa la proprietà e c’è un effetto obbligatorio collaterale che è quello di pagare il prezzo ma la proprietà passa con il consenso. Tutte le compravendite di immobili sono fatte dal notaio, quando l’art. 1350 dice che basta la forma scritta ed essa è anche la scrittura privata, una forma scritta senza pubblico ufficiale, perché la forma scritta senza pubblico ufficiale basta per la validità della vendita ma non basta al fine della trascrizione. Per trascrivere non basta una semplice scrittura privata, serve o una sentenza o un atto pubblico (cioè un atto redatto da un pubblico ufficiale) oppure una scrittura privata autenticata da un pubblico ufficiale o accertata giudizialmente. Il preliminare improprio quindi è un contratto fatto con scrittura privata, senza pubblico ufficiale, che però è già una vendita. Mi serve comunque andare dal notaio per avere una forma idonea alla trascrizione. Il senso della trascrizione preliminare è quello di avere un effetto prenotativo della trascrizione del definitivo, se e quando interverrà la trascrizione della vendita(art. 2645-bis). Un’altra legge molto importante che non riguarda solo il preliminare è l’art. 2932, siamo nel libro VI, articolo che riguarda l’obbligo di concludere un contratto e se c’è inadempimento accade che l’altra parte, qualora sia possibile e non sia esclusa dal titolo, può ottenere una sentenza che produca gli effetti del contratto non concluso. - Esistono anche altri accordi che possono essere stipulati prima di un successivo contratto come il patto di opzione (art. 1331) è un contratto con il quale si attribuisce ad una parte, detta opzionario, il diritto di costituire il rapporto contrattuale finale (ulteriore contratto) con una propria dichiarazione di volontà. Accordo con il quale le parti convengono che una parte ha fatto una proposta che rimane ferma mentre l’altra deve decidere se accettare o meno, è un accordo nel senso di tenere ferma la proposta di una delle due parti affinchè l’altra possa pensarci e decidere se accettarla oppure no. (esempio della vendita dei calciatori). - Il patto di prelazione, la prelazione è l’accordo con cui il promittente si obbliga a dare al promissario (o prelazionario) la preferenza ad altri, a parità di condizioni, nel caso in cui decida di stipulare un determinato contratto (es. sono proprietario di un terreno e non so se lo voglio vendere o meno in futuro ma faccio un accordo con tizio affinché se in futuro deciderò di venderlo lo preferirò a tutti gli altri acquirenti a parità di condizioni). Esso è diverso dalla prelazione legale. Responsabilità precontrattuale Nel nostro ordinamento ci sono due figure generali di responsabilità: - Responsabilità pre-contrattuale, non è una forma autonoma di responsabilità, occorre infatti ricondurla alla responsabilità da inadempimento delle obbligazioni oppure alla responsabilità “del passante”, cioè di chi entra in contatto con qualcun altro nel momento in cui gli cagiona un danno. L’articolo 1337 (e 1338) parla della trattativa e della responsabilità precontrattuale, e si dice che le parti, nelle trattative e nella formazione del contratto devono comportarsi secondo buona fede; questa è la fase che porta a formare l’accordo e in questa fase le parti trattano e possono scambiarsi proposte e riflessioni varie ma c’è l'obbligo di comportarsi secondo buona fede (considerata in senso oggettivo, come una regola di comportamento, come sinonimo di correttezza, art. 1175; quella soggettiva è l’ignoranza di ledere l'altrui diritto), cioè dare informazioni che so essere utili alla mia controparte (e questo non mi costa un apprezzabile sacrificio dare) altrimenti sono in malafede, non mi sto comportando secondo la buona fede oggettiva, devo essere chiaro, non devo esprimermi per trarre in inganno, e se c’è un onere di segretezza, la buona fede mi impone di tenere quella informazione segreta. Se il soggetto con cui ho trattato non si è comportato in buona fede si possono chiedere i danni; viene leso l’interesse negativo quando si parla di responsabilità precontrattuale, che sarebbe l’interesse a non essere coinvolto in trattative inutili. Nella responsabilità contrattuale si dice che l’interesse leso e tutelato da questa responsabilità è l’interesse positivo, cioè l’interesse alla corretta esecuzione del contratto. La responsabilità pre-contrattuale è una sottospecie di entrambe per vari motivi ma a noi non interessa come informazione. Contratto il generale Ci sono anche altri requisiti sui quali dobbiamo soffermarci come l’oggetto del contratto Esso è quello che le parti stabiliscono, quindi anche il contenuto del contratto, esso non è solo un bene o una cosa materiale, esso è il contenuto del contratto cioè quello che le parti hanno stabilito come tale. Nel codice c’è una sezione terza dedicata al contratto dagli articoli 1346 e 1347 dove si dice che l’oggetto del contratto deve avere queste caratteristiche: - essere possibile (possibilità) - essere lecito (liceità) Inefficacia e invalidità L’inefficacia vuol dire che il contratto non produce effetti mentre invalidità vuol dire che il contratto prevede un vizio originario (presente fin dall’origine nel contratto) che lo può rendere inefficace. Le ipotesi di invalidità sono: - la nullità (che è la più grave), art. 1418 e seguenti, un contratto è nullo quando manca anche solo uno degli elementi essenziali o quando questi elementi essenziali sono viziati (es. l’oggetto è impossibile, la causa è illecita, ecc) in questi casi si ha la nullità, vizio più grave ed è quello dove l’invalidità coincide con l’inefficacia perché il contratto nullo è radicalmente inefficace. - la annullabilità, art. 1425 e seguenti, essa si ha per due ipotesi: o per incapacità (es. contratto stipulato da un incapace, tipo minorenne o altri) o per uno dei tre vizi del consenso, errore, violenza o dolo, questi vizi sono spiegati in dettaglio con alcuni requisiti. La differenza tra nullità e annullabilità è che un contratto semplicemente annullabile è un contratto efficace ma può essere annullato mentre il contratto nullo non può mai produrre effetti. - la rescindibilità (ipotesi particolare simile all’annullabilità), art. 1447 e seguenti. Può essere che un contratto perda di efficacia (perché è valido) ma può essere che un contratto che è valido sia inefficace per l’operare di un elemento accidentale del negozio giuridico e abbiamo quindi: - condizione - termine - modo (o modus): troviamo parole identiche usate per designare istituti diversi, la parola onere (sinonimo di modus), che abbiamo già visto quando abbiamo parlato delle situazioni giuridiche soggettive, dove abbiamo detto che il dovere è quando qualcuno è tenuto a compiere un comportamento per soddisfare un interesse altrui (debitore che adempie per soddisfare l’interesse del creditore), l’onere si differenzia dal dovere perché l’onerato è qualcuno che deve tenere un certo comportamento (non nel senso che deve essere costretto, solo se vuole) per soddisfare l’interesse proprio. (Es. è l’onere di trascrivere). Esiste un’altro concetto di onere (o modo o modus) come elemento accidentale del negozio giuridico, cioè elementi non essenziali, possono esserci come no (accidentali); abbiamo la condizione, termine o modus, modo o onere. L’onore è un elemento accidentale dei contratti a titolo gratuito dove chi subisce il beneficio (non ci sono prestazioni reciproche qui) non ha una vera e propria prestazione che grava su di lui (es. comodato). L’ultima slide serve per avere un quadro delle ipotesi di annullabilità, leggi tutto. La simulazione si ha quando le parti fanno finta, può essere assoluta, cioè quando si fa un contratto per finta ma in realtà non si vuole nessun contratto, oppure può essere una simulazione relativa quando le parti fanno un contratto apparente, ma nella realtà le parti vorrebbero un altro contratto, si ha quindi un contratto simulato e uno dissimulato). SINGOLI CONTRATTI La disciplina sul contratto in generale va dagli articoli 1321 fino al 1469 (c’è anche il bis), dopo questo troviamo il Titolo III dedicato ai singoli contratti. Questo discorso dei singoli contratti è abbastanza facile perché c’è sempre un capo dedicato ad un contratto e la disciplina di ogni contratto che inizia con la definizione (per l’esame fai particolare attenzione alle definizioni dei contratti). Contratti tipici I contratti tipici (tipico= previsto dalla legge) sono previsti dalla legge, sono anche detti legali perché hanno una disciplina specifica nella legge, detti anche nominati. Subito dopo la definizione di contratto il codice civile ci dice che c’è l’autonomia contrattuale e le parti possono perfino prevedere contratti diversi da quelli tipici; i contratti atipici, quindi non disciplinati dalla legge, sono quelli innominati. Alcuni testi giuridici parlano di contratti atipici anche in un altro senso, quello usato ora è il contratto atipico dal punto di vista legale, ma esiste anche quello atipico dal punto di vista sociale, cioè contratti che non hanno un disciplina specifica ma si diffondono nella società in modo tale che tutti i cittadini sanno di che cosa si parla. Di solito un contratto sociale diventa anche legale quando trova molto riscontro dalla società quindi tutti lo usano come se fosse una legge scritta. I contratti di engineering (contratto atipico anche oggi), creato per realizzare delle opere di ingegneria molto complesse. Come sono disciplinati i contratti atipici? Quali sono le regole che disciplinano questo contratto? Intanto esiste l’analogia, quindi se trovo una o più regole di senso diverso, posso applicarle in via analogica a questo contratto atipico. Attenzione però che l’analogia è una procedura molto complessa, e per fare un’applicazione analogica io devo verificare in relazione ad ogni regola i tre presupposti della lacuna legis, dell’elemento di identità tra il caso previsto e non previsto e la iamen ratio. Rimangono comunque le regole del contratto in generale, che rimangono per contratti tipici o atipici. Il più importante contratto tipico è la vendita: la convenzione di maggiore successo a livello internazionale riguarda la vendita è la convenzione delle nazioni unite del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili. Questa è una convenzione che contiene una disciplina che ha come obiettivo di fondo quello di regolare una vendita che è la stessa del codice civile; questa è una disciplina, della Convenzione di Vienna del 1980, su cui hanno trovato accordo gli stati tra i più diversi, come Cina, Russia, Stati Uniti, Brasile e continuano ad aderire nuovi stati perchè è una convenzione aperta. La vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo di un prezzo. Quando abbiamo una parte, che è il venditore, che trasferisce la proprietà di una cosa, ed è vendita anche il contratto con cui, dietro pagamento di un prezzo io trasferisco qualsiasi altro diritto, reale o diverso dalla proprietà, o può anche essere il trasferimento di un diritto di debito; il compratore assume l’obbligo di pagare un prezzo. Il contratto di compravendita è un contratto ad effetti reali (vale l’art. 1376) che dice che “nei contratti che hanno per oggetto il trasferimento della proprietà di una cosa determinata, la costituzione o il trasferimento di un diritto reale ovvero il trasferimento di un altro diritto, la proprietà o il diritto si trasmettono e si acquistano per effetto del consenso delle parti legittimamente manifestato”; quindi quando c’è il consenso e null’altro la proprietà o l’altro diritto passa all'acquirente. Poi la compravendita ha anche un effetto obbligatorio importante che è quello di pagare il prezzo; altro effetto obbligatorio è mostrato dall’art. 1476, nelle obbligazioni principali del venditore, dove questo deve consegnare la cosa (non vuol dire far passare la proprietà, quello è già stato fatto), cioè far acquisire la disponibilità materiale del bene; inoltre il venditore ha anche l'obbligazione di far acquistare la proprietà della cosa o del diritto ma solo se l’acquisto non è effetto immediato del contratto; questa cosa riprende l’art. 1325 n.4, dice che la forma è essenziale ma solo se prevista a pena di nullità, quindi la forma non è elemento essenziale, salvo eccezioni e qui è la stessa logica poiché qui non c’è nessuna obbligazione da parte del venditore di far acquistare la proprietà perché l’acquisto è effetto immediato del contratto, ma ci sono alcune eccezioni alle quali l’acquisto non è immediato e allora in questi casi eccezionali c’è l’obbligo vero e proprio del venditore di far acquistare la proprietà in un momento successivo. Questi però sono casi eccezionali in cui la proprietà della cosa o dell’altro diritto non passano subito ma solo in un momento successivo quindi sorge l’obbligazione di far acquistare la proprietà; queste sono dette vendite obbligatorie. Abbiamo quindi la vendita obbligatoria di una cosa generica, la proprietà passerà nel momento dell’individuazione o specificazione, o la vendita di una cosa futura (art. 1472) dove si dice che io faccio un accordo dove vendo una cosa che non ho già (ti vendo l’uva dei miei vigneti ma non è ancora nata perché è inverno). Come può passare subito la proprietà di una cosa che non esiste? Quindi sorge in capo al venditore l’obbligo di far acquistare la proprietà cioè di non fare nulla affinché questi frutti non vengano ad esistenza; la proprietà passa nel momento in cui questi frutti vengono ad esistenza. Altra vendita obbligatoria è quella di una vendita di una cosa altrui (art. 1478) (io posso vendere una cosa non mia), è un contratto che ha solo effetto obbligatorio, quindi il venditore di una cosa altrui si obbliga a far acquistare la proprietà della cosa altrui cioè si obbliga a ottenere la proprietà dal terzo (se io sempronio, vendo a caio un bene di tizio, io mi sto impegnando con caio ad ottenere la proprietà di tizio). C’è un altro effetto obbligatorio del contratto che è quello di garantire il compratore dall’evizione (che si ha quando la cosa oggetto di compravendita viene ottenuta da un terzo, l’esempio principale è quella di un terzo che agisce in rivendica, azione principale a difesa della proprietà che consente al proprietario di ottenere il proprio bene da chiunque lo possieda o detenga) e dai vizi della cosa, cioè il bene è difettoso o rovinato da un punto di vista materiale (art. 1490-1495 guardateli tutti, parla di tutti volta in volta); (art. 1481-1483) parlano tutti di qualcuno che fa valere il proprio diritto su un articolo comprato. I rimedi contro i vizi che si scoprono dopo (occulti) sono che il compratore può domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione. Quindi è il compratore che sceglie; in ogni caso il venditore è obbligato a risarcire il danno a meno se non prova di aver ignorato senza colpa i vizi della cosa. Quello che è importante dire è che questa disciplina, che è abbastanza tutelante per il compratore, ha dei termini rigidi (art. 1495), il compratore decade dal diritto di garanzia, cioè non ha più alcuna tutela, se non denuncia (far presente al venditore che c'è il difetto) i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta; se lo faccio il 9 giorno dalla scoperta il venditore può dirmi che non ho più alcuna tutela, essa è una disciplina molto rigida. La decadenza riguarda termini più brevi rispetto alla prescrizione. Il secondo comma dice che l’azione si prescrive in ogni caso in un anno dalla consegna, secondo il codice civile da quando ho scoperto un difetto devo denunciare il vizio al debitore entro otto giorni e poi ho un anno di tempo per azionare le mie tutele (mandare una raccomandata ecc). Questo discorso vale per il codice civile ma in molti casi valgono anche altre discipline: ● La convenzione di Vienna del 1980 della vendita internazionale di beni mobili, essa riguarda i contratti stipulati con imprenditore con sedi di affari diverse. Qui c'è la denuncia entro un "termine ragionevole" da intendersi come breve ofc. ● Nel codice del consumo c'è una disciplina specifica per la vendita di beni mobili o beni di consumo in un contratto stipulato tra un professionista e un consumatore, cioè qualcuno che agisce per scopi personali o familiari, il tema viene trattato da articoli più specifici e tutelanti che stanno nel codice del consumo (art. 128 e seguenti). Si dice che deve esserci una riparazione o sostituzione del bene, ma solo se questi metodi non sono esperibili o se arrecano notevoli inconvenienti ho quelli che sono presenti nel codice civile come risoluzione del contratto o la riduzione del prezzo. Anche i termini per il consumatore sono più favorevoli, infatti per la denuncia dei vizi ha fino a 2 mesi dalla data della scoperta, e anche il termine di prescrizione è più lungo, fino a 26 mesi. Guarda anche la permuta, scambio di cosa contro cosa, non scambio cosa contro denaro; esso è comunque un contratto satellite della vendita. La locazione Essa è il contratto con il quale una parte si obbliga a fare godere all'altra una cosa mobile o immobile per un dato tempo, verso un determinato corrispettivo. Abbiamo una parte che è il locatore, cioè quello che si obbliga a far godere una cosa, e l'altra parte che è detta locatario, chi ottiene il godimento, o conduttore (sinonimo); da questa definizione si capisce che la locazione è un contratto ad effetti obbligatori perché si ha una parte che si obbliga a far godere una cosa e l'altra parte si obbliga a pagare un corrispettivo. È quasi un contratto di prestito, non devo avere per forza un bene immobile. Quando si parla di locazione (art. 1571 e seguenti) si pensa alla locazione di immobili, posto che la locazione del codice civile è più ampia spesso le locazioni di immobili sono più ampie, ci sono delle leggi di dettaglio che prevalgono sul codice civile. Queste leggi non possiamo esaminare nel dettaglio. La materia della locazione è una materia delicata e “sensibile” dal punto di vista politico. Il nostro è un paese con molti proprietari di casa ma ci sono anche molte persone che vivono in locazione, cioè senza essere proprietari della casa, ci sono però anche situazione dove delle persone fanno magari fatica a trovare un alloggio e quì infatti è anche presente tutta una disciplina emergenziale. Sono due le leggi fondamentali per disciplinare la locazione di un mobile urbano: - La prima è la legge sull'equo canone, (392 del 1978) obiettivo politico, questa legge è stata superata in parte da una successiva legge del 1998 (431 del 1998) che è quella che anche oggi disciplina le locazioni di mobili urbani. Dalla legge del 1998 sulla locazione di mobili urbani quella legge distingue tra mobili urbani ad uso abitativo ma anche la locazione di mobili urbani a uso commerciale; non consideriamo l’uso commerciale. Per quanto riguarda l’uso abitativo ci sono due modelli che vengono in rilievo: - 4 + 4, se si ha una durata complessiva di 8 anni si ha un contratto lungo e si lascia il canone libero in modo da avvantaggiare il locatore, che avendo l’immobile, è colui che sceglie. - 3 + 2, questa è una durata più breve quindi viene tutelato il locatore e perciò il canone è concordato ed esso deve rientrare dentro dei parametri che sono frutto di accordi fatti tra le associazioni di categoria, quelle dei locatori e quelle rappresentative dei locatari. Sono canoni concordati nel senso che non sono troppo elevati. Almeno secondo la logica della legge del 1998 gli interessi delle parti (locatore e locatario) sono che il locatore vorrebbe un canone più elevato possibile e vuole una durata del contratto più breve possibile (così posso rimettere l’immobile sul mercato dopo un anno e chiedere di più; logica di un mercato in crescita), l’interesse del locatario è quello di avere un contratto più lungo e un canone il più basso possibile. Di fronte ad interessi così opposti il contemperamento della legge ha trovato queste soluzioni (guarda 4+4 e 3+2). Ci sono anche situazioni particolari come l'articolo 5, commi 2 e 3, L.N. 431/1997. Prestazioni di servizi L'appalto (art. 1655) L’appalto è il contratto con il quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro. Le parti si chiamano committente o appaltante, quello che dà il carico di svolgere l’opera o il servizio, e l'appaltatore che si obbliga a svolgere l'opera o il servizio. L'appaltatore assume il compimento (l'obbligazione) di compiere un'opera o un servizio (costruttore che mi costruisce la casa o il capannone, egli si assume il compito di creare un’opera); la caratteristica della prestazione dell’appaltatore è che lui si obbliga a un’opera o servizio con organizzazione dei mezzi necessari (si lascia intendere che servono dei mezzi materiali, personali, c’è quindi un’organizzazione non piccola che ha 6-10 dipendenti) e una gestione complessa a proprio rischio (l’appaltatore è un imprenditore, è uno che rischia). Questo è un contratto che generalmente riguarda le imprese non piccole. Il contratto d'opera (art. 2222) Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo, salvo che il rapporto abbia una disciplina particolare nel libro IV. - contratti di garanzia, come la fideiussione, che abbiamo menzionato quando abbiamo parlato delle garanzie reali, ma il contratto può servire anche a far sorgere una garanzia personale, quindi c’è l’impegno di qualcuno a pagare nel caso in cui qualcun altro non riesca, impegno puramente personale quindi con un effetto obbligatorio. - contratti per dirimere una controversia, esempio del contratto di transazione. - contratti bancari, c’è il TUB (Testo Unico Bancario) che è un testo fuori dal codice civile, e sono cose tipiche del diritto commerciale. Responsabilità civile Partendo dal punto di vista principale e più introduttivo stiamo parlando di qualcuno che chiede i danni a qualcun altro, un soggetto subisce un danno e richiede un risarcimento a qualcun altro, chiede che gli siano pagati i danni. Il rimedio risarcitorio è generale. Dal punto di vista terminologico quando parliamo di responsabilità possiamo intendere la responsabilità patrimoniale (art. 2740), siamo nel libro VI, libro che è una sorta di ponte tra il diritto sostanziale e quello processuale. Questo articolo dice che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri, questa è la così detta garanzia patrimoniale; questi beni sono a garanzia del mio debito, io posso soddisfarmi su tutti i suoi beni se lui non mi paga. Il secondo comma dice che le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge; ad esempio su certi beni i creditori non possono soddisfarsi, ci sono dei patrimoni di destinazione come (riguardo alla famiglia) il fondo patrimoniale, cioè dei beni che i coniugi possono decidere di dedicare solo ai bisogni della famiglia. Se uno ha più creditori l’articolo 2741 primo comma detta un principio generale che è quello della par condicio creditorum, la parità di trattamento di tutti i creditori (che si fanno avanti), e viene data una somma o un bene uguale per tutti, se i beni non sono sufficienti si procede calcolando con delle tabelle e si cerca di trattare i creditori tutti nello stesso modo salvo le cause legittime di prelazione. Ci sono alcune cause legittime in forza delle quali un creditore viene prima degli altri e quindi gli altri saranno soddisfatti solo dopo che il principio di legittima prelazione viene interamente soddisfatto. L’art. 2741 secondo comma dice che sono cause legittime di prelazione i privilegi, il pegno e le ipoteche. Il pegno e le ipoteche le abbiamo accennate parlando di diritti reali di garanzia, mentre i privilegi sono stabiliti dalla legge sempre nel libro VI e sono delle situazioni che per particolari ragioni comportano ad una tutela più intensa del creditore; possono essere il fisco o il lavoratore subordinato. I creditori non assistiti da cause legittime di prelazione sono chiamati chirografari. Il termine responsabilità ha un primo significato che è quello di responsabilità patrimoniale, che indica appunto la garanzia patrimoniale generica (il debitore risponde dei suoi debiti con tutti i beni presenti e futuri), ma anche personale, il fatto che qualcuno è tenuto personalmente a pagare i danni a qualcun altro; la responsabilità senza aggettivi è quella personale. Una delle due forme che già conosciamo che sono: - la responsabilità contrattuale (o da inadempimento di un’obbligazione), art. 1218, un esempio è la restituzione di un addebito (art. 2033), o anche altre. - la responsabilità extracontrattuale (o aquiliana), qui siamo fuori dal contratto, art. 2043, detta così perché nel diritto romano antico c’era la lex aquilia che regolava questo istituto; a volte si parla di illecito civile, cioè un illecito extracontrattuale, come sinonimo di responsabilità extracontrattuale o aquiliana. La responsabilità contrattuale è quella che reagisce all’inadempimento dell’obbligazione (che noi sappiamo essere un dovere specifico verso un determinato soggetto, soggetti detti debitori e creditori). Le regole della responsabilità contrattuale sono in genere più gravose per il responsabile e più favorevoli per il danneggiato che richiede il risarcimento perché si vede un contratto) La responsabilità extracontrattuale è quella che reagisce alla violazione di norme di condotta che regolano la vita sociale, quando queste regole di condotta vengono violate scaturisce questa responsabilità. (Qui si hanno regole meno vantaggiose per chi chiede un risarcimento) Detta anche “responsabilità del passante”. Questa distinzione è criticata da qualcuno, ci sono anche delle ipotesi di confine, come la responsabilità precontrattuale, art. 1337, responsabilità che deriva da comportamento contrario a buona fede oggettiva nelle trattative, nel senso di scorrettezza, essa è un sottotipo di entrambe le discipline di responsabilità poiché non ha una disciplina autonoma. Principali differenze di disciplina tra responsabilità contrattuale e extracontrattuale Nell’articolo 2043, c’è un titolo apposito dedicato ai fatti illeciti, ed è l’articolo fondamentale che detta proprio il principio della responsabilità extracontrattuale, e poi abbiamo altri articoli fino al 2059 che regolano alcuni aspetti della responsabilità extracontrattuale. In questa disciplina troviamo il 2046 che dice che non risponde delle conseguenze del fatto dannoso chi non aveva la capacità di intendere o di volere (cioè la capacità naturale, quella di assumere determinazioni autonome e di capire quello che si fa) al momento in cui lo ha commesso, a meno che lo stato d’incapacità derivi da sua colpa. (esempio delle esalazioni al lavoro in una distilleria che si mette alla guida e investe a qualcuno in stato di incapacità di intendere e di volere) Ebbene una regola del genere non c’è in materia di responsabilità contrattuale, non c’è scritto che l’incapace di intendere e di volere può fare a meno di pagare, di adempiere; troviamo una regola nell’articolo 1191 che dice che se il debitore paga in un momento di incapacità non può impugnare il pagamento, la prestazione quindi non può essere chiesta indietro. C’è quindi una modalità differente di trattamento dell’incapacità nelle due responsabilità. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale Extracontrattuale (art. 1225), attorno al 1218 c’è la responsabilità da inadempimento delle obbligazioni, dopo il 2043 c’è la responsabilità extracontrattuale, quindi qui siamo in sede di obbligazione contrattuale. Premessa relativa alla responsabilità extracontrattuale, perché ad un certo punto si dice nell’art 2056, in tema di responsabilità extracontrattuale, il risarcimento dovuto al danneggiato si deve determinare in base ad altri articoli; questo significa che i due corpi normativi sono separati ma c’è una sovrapposizione, poiché ci sono articoli che sono dettati in sede contrattuale ma che vengono esplicitamente richiamati in sede extracontrattuale. Il 1225 vale solo per la responsabilità contrattuale. Esso dice che se l’inadempimento o il ritardo non dipende da dolo del debitore il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione; qui stiamo parlando di risarcimento del danno, l’articolo in sostanza dice che un soggetto che ha subito un danno chiede che questo danno sia risarcito, quindi richiede una somma di denaro che ripari il danno subito. Qui la domanda è: ma quali danni possono essere risarciti? Nella responsabilità contrattuale possono essere risarciti solo i danni prevedibili, danni che al momento del sorgere dell’obbligazione (stipula del contratto) potevano essere previsti (criterio di normalità) da una persona normalmente diligente. Qui c’è una limitazione del risarcimento, salvo il caso di dolo, poiché se c’è il dolo del debitore questo limite non vale, vuol dire che in caso di dolo del debitore inadempiente il creditore può chiedere e ottenere il risarcimento di tutti i danni subiti anche dei danni imprevedibili, quelli che non si potevano prevedere al momento della conclusione del contratto. Qui c’è sullo sfondo un’altra questione che è quella dell’elemento soggettivo, diciamo che per aversi responsabilità ci vuole tra gli altri elementi anche uno soggettivo; nel 1218 non di parla ne di dolo né di colpa, secondo la tesi più accreditata e pervasiva è quella che dice che anche nella responsabilità contrattuale ci vuole almeno la colpa del debitore inadempiente. Almeno la colpa nel senso che va benissimo anche il dolo, che è qualcosa di più della colpa, vuol dire che hai fatto quella cosa apposta, la colpa vuol dire che non era voluto quel danno ma c’è comunque una forma di rimproverabilità per imprudenza, negligenza, imperizia, inosservanza di leggi o di regolamenti. Quindi nella responsabilità contrattuale c’è un limite al risarcimento, si risarciscono solo i danni prevedibili, salvo il caso di dolo (caso molto grave), in questo caso sono risarcibili tutti i danni. Per la responsabilità extracontrattuale non è previsto nulla quindi cosa si fa? Se non è previsto nulla il principio generale è che si risarciscano tutti i danni subiti dal danneggiato anche se imprevedibili. C’è una differenza di disciplina che è in controtendenza con quello che avviene normalmente, esso si spiega ugualmente perché se c’è un previo accordo vuol dire che le parti hanno fatto un ragionamento sull’affare che volevano porre in essere e quindi hanno fatto anche delle previsioni e quindi è sensato che se poi c’è un inadempimento si risarciscono solo i danni prevedibili al momento dell’accordo. Quindi nella responsabilità extracontrattuale è ragionevole non inserire nessun tipo di previsione, essa è la responsabilità del passante, il danneggiato e il danneggiante non possono prevedere quello che accadrà. Con la causalità si risarciscono solo i danni collegati a certe cause. Differenza concernente l’onere della prova E’ presente un’altra distinzione tra art. 2697 e art. 1218, facciamo un giro più largo. Nell’art. 2043 abbiamo alcuni presupposti che devono concorrere affinché ci possa essere il risarcimento del danno in sede extracontrattuale. Qui innanzitutto deve esserci il dolo o la colpa del danneggiante poi ci vuole un fatto, cioè un comportamento di qualcuno (dello stesso danneggiante di solito) che ha cagionato un danno. IL danno di cui si chiede risarcimento deve essere causalmente ricollegabile al comportamento della persona a cui si chiede il risarcimento. Il danno deve anche essere ingiusto. Per la responsabilità contrattuale abbiamo qualcosa di diverso nell’art. 1218, esso dice che è il debitore inadempiente può andare esente da responsabilità se dimostra la sua assenza di colpa, ma allora non è il danneggiato che deve dimostrare almeno la colpa del debitore inadempiente, il creditore danneggiato deve mostrare il danno e l’inadempimento ma non deve dimostrare l'elemento soggettivo, è il danneggiante che deve dimostrare la sua assenza di colpa. La posizione del danneggiato in sede contrattuale è molto conveniente. Possiamo dire che tutte e due le responsabilità hanno come fondamento almeno la colpa del danneggiante, solo che è diverso l’onere della prova, c’è un inversione dell’onere della prova a favore del danneggiato nella responsabilità contrattuale. Differenza concernente la descrizione Qui la distinzione si trova tra l’art. 2947 e 2946. Il codice dice che i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di 10 anni poiché tutti non possono tenere tutte le carte e la memoria dei testimoni rimanga a tutti; la prescrizione esiste perché serve certezza nel diritto, certezza delle prove, dei diritti, ecc. In generale ogni diritto si estingue per prescrizione (tranne alcuni diritti imprescrittibili), quando il titolare non lo esercita per il tempo determinato dalla legge. L’art. 2946 vale per la responsabilità contrattuale, per la quale non c’è un termine di prescrizione specifico, allora vale questa previsione generale che dice che tutti i diritti si estinguono per prescrizione in 10 anni. Ci sono termini più precisi riguardo ai singoli contratti. Per la responsabilità extracontrattuale vale l’art. 2947 che dice che il diritto al risarcimento del danno derivante da fatto illecito (sappiamo che intende il 2043) si prescrive in 5 anni dal giorno in cui il fatto si è verificato; sotto ci sono delle regole particolari per cui se si parla di circolazione dei veicoli il diritto si prescrive in due anni. Il termine è più corto rispetto a quello della responsabilità contrattuale. Rimedi specifici per l’inadempimento Ci sono dei rimedi specifici come l’art. 11453, 1460, ecc.. ILLECITO CIVILE (responsabilità extracontrattuale) Approfondimento della sola responsabilità extracontrattuale; c’è una bipartizione che dà luogo a una tripartizione, nel senso che l’art. 2043 è la norma cardine e pone quei tre requisiti del fatto materiale, della colpevolezza e della antigiuridicità, ma dobbiamo tenere presente che ci sono delle figure speciali, delle ipotesi che sono regolate nel codice in modo speciale, allora se siamo nell’ambito di applicazione di quelle figure non vale il 2043 ma valgono gli articoli di riferimento per quelle figure. Queste figure speciali possono essere raggruppate i due categorie e queste due categorie si capiscono partendo dall’idea per cui ai sensi della figura generale serve almeno la colpa del danneggiante, cioè il danneggiato ottiene il risarcimento se riesce a dimostrare almeno la colpa del danneggiante. Ci sono figure speciali di responsabilità aggravata, cioè figure che si basano sempre sull’idea della colpa del danneggiante ma con un’inversione dell’onere della prova e questa inversione rende queste figure speciali simili alla responsabilità contrattuale dove abbiamo visto che nel 2018 c’è un’inversione dell’onere della prova proprio concernente la colpa. Es. art. 2050 che è dedicato alla responsabilità per esercizio di attività pericolose e dice che chiunque cagioni danno ad altri nello svolgimento di un'attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di aver adottato tutte le misure idonee a evitare il danno, cioè non essere in colpa, devo dimostrare di essere stato diligente, il danneggiante deve dimostrare di non essere in colpa, non è il danneggiato che deve dimostrare la colpa ma viceversa. L'altra figura speciale, quella della responsabilità oggettiva, cioè ci sono alcune ipotesi dove (sono ipotesi non nette) che non solo non è il danneggiato che deve provare la colpa del danneggiante, ma manca proprio la colpa come presupposto della responsabilità; responsabilità oggettiva nel senso che prescinde radicalmente dall’elemento soggettivo, qualcuno risponde senza vedere la colpa. Questa è la responsabilità più gravosa per qualcuno. Es. più lampante è l’art. 2049, che parla della responsabilità dei padroni e dei committenti, che dice che essi sono responsabili per i danni arrecati dal fatto illecito dei loro domestici e commessi nell’esercizio delle incombenze a cui sono adibiti. Qui il codice è scritto in modo criticabile, la terminologia non è più in linea con quella attuale, ma si sta parlando del datore di lavoro rispetto al lavoratore subordinato; si dice Ubi commoda ibi incommoda, dove hai un certo vantaggio devi anche sostenere gli svantaggi, cioè io posso avere un dipendente ma deve anche sostenere i danni che questo possono cagionare a prescindere dalla colpa del datore di lavoro. Il professore ha portato una massima di Ulpiano, un giurista dell’antichità che dice “Honeste vivere, alterum non laedere suum cuique tribuere”, il suum cuique tribuere è l’idea più profonda di giustizia che è mai stata espressa, vuol dire “dare a ciascuno il suo”, la giustizia è dare a ciascuno quello che si merita e il non laedere è l’idea del 2043, della responsabilità extracontrattuale, l'idea che se vivo in una società devo rispettare gli altri. Prima di arrivare alla colpa partiamo dal fatto materiale; ci vuole un comportamento che è causa di un danno, un evento può avere a monte tante cause e per stabilire il colpevole bisogna selezionare le cause e il nostro diritto fa un scelta con l’articolo 1223 che è uno di quegli articoli richiamato anche per la responsabilità extracontrattuale, questa è una regola generale sulla causalità, e si dice che il risarcimento del danno deve comprendere la perdita subita (o danno emergente) dal creditore come il mancato guadagno (o lucro cessante), in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta, il codice dice che non si risarciscono tutti i danni in qualche modo ricollegabili ad un comportamento ma solo quei danni che sono conseguenze immediate e diretto. Qui c’è un chiaro superamento della teoria della “Condicio sine qua non”, un certo danno è conseguenza di un comportamento quando, senza quel comportamento il danno non ci sarebbe stato. - esimenti personali, perché escludono l’obbligo di risarcire il danno ma lasciano aperta la possibilità del pagamento di un indennizzo (esso è diverso dal risarcimento del danno, perché risarcire il danno vuol dire riparare completamente, coprire tutto il pregiudizio subito dal danneggiato mentre l’indennizzo è una forma di ristoro). Queste esimenti personali possono essere: ● incapacità (art. 2046-2047), qui viene detto che se manca la capacità di intendere e di volere, quindi la capacità naturale in chi ha commesso il fatto dannoso, non c’è obbligo di pagare il danno; posso però chiedere il risarcimento a chi doveva sorvegliare quell’incapace. ● caso fortuito o forza maggiore ● stato di necessità (art. 2045) - esimenti oggettive, le quali rimuovono il divieto legale di tenere un certo comportamento e quindi non residua l’obbligo di pagare alcunché, né risarcimento né indennizzo. Queste esimenti oggettive possono essere: ● legittima difesa (art. 2044) dove si dice che non è responsabile chi cagiona il danno per legittima difesa di sé o di altri; in generale non devo pagare né un risarcimento né un indennizzo però la reazione deve essere proporzionata. ● consenso dell’avente diritto (art. 50 codice penale), i trattamenti sanitari sono lesioni dell’integrità psicofisica anche se viene fatta per finalità curativa e alla base c’è il consenso. ● adempimento del dovere o esecuzione dell’ordine del superiore (art. 51 codice civile) se i poliziotti prendono a manganellate delle persone violente durante le proteste. ● esercizio del diritto (es. diritto di cronaca), quando leggo nei giornali di cronaca che ledono l’onore della persona di cui si sta parlando però se il giornalista segue le regole è giusto così. DIRITTO DI FAMIGLIA Evoluzione del diritto di famiglia italiano Codice civile del 1942 (Libro I), in questo periodo il padre è il capo della famiglia e chi non si sposava era una persona anormale per l’epoca; c’era solo l’idea della famiglia matrimoniale, fondata sul matrimonio, e la famiglia era gerarchizzata (il marito era a capo della famiglia e la donna e i figli sono subordinati), al tempo i figli avevano solo doveri, non avevano diritti. Costituzione repubblicana del 1948 (art. 29 e seguenti), la famiglia è la cellula elementare di ogni società e poi ci sono anche altri gruppi ma la famiglia è la prima formazione sociale. Non c’è più il fascismo e quella impronta gerarchica nello stato e l’articolo dice che “la repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio”, cioè che la famiglia non è creata dallo stato, esiste da prima (la riconosce) e la famiglia è una cosa che la natura chiede di avere (società naturale) e se non c’è matrimonio (unione stabile di un uomo e una donna) non c’è famiglia. Sono parole molto chiare e forti e criticabili dalla visione odierna; il cambiamento iniziamo a notarlo dal secondo comma, dove la costituzione parla di uguaglianza dei coniugi. Nel diritto è raro che ci siano rotture radicali Legge sul divorzio (n. 898 del 1970, modificata nel 1987), esso fa venire meno il matrimonio, prima l’unico istituto previsto era la separazione; oggi per poter arrivare al divorzio ci vuole un precedente periodo di separazione Riforma del diritto di famiglia del 1975, noi abbiamo il codice che parla di marito capo della famiglia ecc. e la costituzione che sembra parlare di qualcosa di diverso ma le riflessioni proposte in questa riforma sono sorprendenti; al tempo di parla di figli legittimi (nati all’interno del matrimonio) e figli naturali (concepiti fuori dal matrimonio). Se esige pari trattamento per entrambi i figli, questo per quanto concerne solo i rapporti tra figli e genitori e non per quanto concerne l’ingresso nella famiglia allargata (se i figli diventavano automaticamente parenti dei parenti oltre che figli) i figli naturali acquistava un rapporto solo con il genitore, non con i parenti del genitore. Legge sull’adozione (dei minorenni) del 1983 (n. 184), modificata nel 2001, (esiste anche l’adozione dei maggiorenni che viene trattata a parte), qui si parla di minorenni abbandonati, e si vuole dare una famiglia ai minorenni abbandonati che non hanno la loro famiglia naturale. Legge del 2004 (n. 40) sulla fecondazione artificiale, dal punto di vista tecnico si può fare quasi tutto, si è capaci di creare cose eticamente inammissibili; parallelamente con lo sviluppo della tecnica che permette di scegliere un figlio a catalogo senza partorirlo accade che ci sono problemi di fertilità e di procreazione. Esiste la fecondazione artificiale di tipo omologo, cioè che c’è un intervento medico ma usando il materiale genetico della coppia, il figlio che nasce è indubbiamente sotto il profilo biologico di quella coppia e la legge n. 40 consente questo tipo di fecondazione. La fecondazione eterologa cioè quando si usa materiale genetico estraneo alla coppia, c’è un terzo che dona spermatozoi o ovuli perché la coppia non sarebbe in grado di procreare senza di questi, qui avremo un figlio che presenta caratteri esterni alla coppia però la gravidanza sarà portata avanti dalla madre. La legge del 2004 la vietava ma senza multe ma oggi è possibile farla ma entro certi limiti imposti dalla legge. Quello che non è consentito ne prima ne ora è il terzo livello, quello più discutibile dal punto di vista etico, è quello della maternità surrogata, cioè abbiamo una donna che si offre di portare avanti una gravidanza per un altro, dopo il parto viene consegnato il figlio alla coppia. Essa può essere di vari tipi, come l’utero in affitto, dove questa donna gestante offre il proprio ventre dove il materiale genetico è tutto della coppia, ma può anche accadere che la donna surrogata porta in grembo un figlio con un proprio ovulo. La legge è restrittiva (art. 12 comma 6) ed è prevista anche una sanzione, reclusione da 1 a 3 anni ed una multa, c’è un divieto penale, la forma più forte di divieto. (art. 269) la maternità è dimostrata quando la donna partorisce un figlio. Riforma della separazione del 2006 (art. 155 bis e seguenti e poi 337 bis e seguenti), riforma che ha cambiato alcune cose come l’affido congiunto, prima esso non era previsto, dove i figli devono poter vedere entrambi i genitori eccetto casi particolari e il figlio deve avere un genitore collocatario, dove ha la residenza. Riforma della filiazione del 2012 (legge n. 219) poi completata nel 2013 (decreto legislativo n. 154), scritta da una commissione di studiose e lui scrive una riforma con lo slogan “Ci sono solo figli”, dobbiamo distinguerli ora solo come nati nel matrimonio o fuori dal matrimonio, si vuole dare l’idea che i figli debbano essere tutti uguali. Qui si è superata l’idea della parentela solo come legittima; per esempio due figli nati fuori dal matrimonio da una coppia non sono giuridicamente figli legittimi. (Questa è una materia che noi capiamo solo se seguiamo un ordine evolutivo perché ci sono continue evoluzioni) La legge del 2014 (n. 162) su negoziazione assistita per separazione e divorzio, se la richiesta di divorzio è congiunta si può divorziare anche senza un giudice (anche davanti ad un funzionario del comune), questo perché per molte situazioni si era visto che molte coppie rimanevano solo separate e non arrivavano mai al divorzio per via degli alti costi e lunghi tempi di attesa, si è quindi semplificata la procedure consentendo di separare e divorziare senza andare davanti al giudice (solo in certi casi). L’idea originale dei procedimenti lunghi è che nella famiglia non ci si metteva d’accordo, era una materia fatta di diritti indisponibili, che non sono oggetto di accordo mentre adesso si (ampio spazio all’autonomia privata). La legge del 2015 (n. 55) sul “divorzio breve”, prima il termine per divorziare era di 3 anni ora 6 mesi se mancano figli. La legge del 2016 (n. 76) su unioni civili e convivenze (registrate), siamo arrivati ad avere 4 famiglie, tutte famiglie con la F maiuscola, che sono: - la famiglia fondata sul matrimonio (quella che era l’unica famiglia secondo l’impostazione originale del codice civile e costituzione); - la famiglia fondata sull’unione civile, unione stabile di tipo paramatrimoniale per la coppia omosessuale, questa unione civile è molto simile al matrimonio per gli effetti successori ma ci sono delle differeze come il diritto e dovere alla fedeltà che in questo caso manca; - convivenza registrata in comune; - convivenza non registrata. Se la Costituzione riconosce solo il primo tipo di famiglia citata come si fa a dire che sono 4? Qualcuno ha detto che è possibile che la Costituzione dichiari incostituzionale la legge del 2016 perché crea nuove famiglie ma questo non accadrà mai perché si è creata una nuova lettura; qualcuno ha anche detto che siamo arrivati ad una rilettura del costituzione alla luce della legge ordinaria per via delle nuove norme introdotte dal legislatore. L’escamotage che si è trovato è l’art. 2 della costituzione che parla di formazioni sociali e dice che la repubblica tutela i diritti della persona e le formazioni sociali dove si svolge la personalità di qualcuno, cioè l’insieme di più persone (posso esprimere la propria personalità in gruppi, insieme agli altri). Queste altre famiglie se non vengono considerate dalla costituzione come famiglie sono almeno formazioni sociali di tipo parafamiliare comunque compatibili con l’art. 2 della costituzione. Con tutte queste norme si pone la domanda “quo vadis familia?”, dove va la famiglia ed è difficile dirlo perché la famiglia è “un’isola che il mare del diritto può solo lambire (toccare appena)”, l’idea è che la famiglia non è diritto, essa è qualcosa che è regolata dalla religione e dalla morale; io rispetto i miei genitori sono fedele al mio coniuge perché mi sono impegnato a farlo, e la morale e la religione mi impone di essere coerente nel farlo, non lo faccio per evitare di incorrere in una sanzione. Altri autori importanti parlano di famiglia come arcipelago, continente o come “Itaca che non c’è”, questa isola che Ulisse cerca di raggiungere ma alla quale non arriva mai. Panoramica del diritto di famiglia Alimenti Diritto agli alimenti è il diritto a ricevere da qualcun altro quanto necessario per vivere, esso può avere più fonti (fatto da cui deriva qualcosa); esiste la fonte convenzionale, io posso fare un contratto con il quale mi impegno a pagare gli alimenti a qualcuno ed esiste anche la fonte testamentaria. Può anche derivare dalla legge, gli art. 433 e seguenti disciplinano la consegna di alimenti a livello legale; questo argomento è importante nel diritto di famiglia perché i familiari sono tenuti ad aiutarmi, io posso pretenderlo. L’art. 433 dice che c’è un ordine all’obbligo di prestare gli alimenti che parte dal coniuge, poi i figli (e discendenti in caso), i genitori (e discendenti in caso), i generi e le nuore, il suocero e la suocera e infine i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali. C’è una persona tenuta a dare gli alimenti al donante prima del coniuge che è il donatario (art. 437), a parte la donazioni per matrimonio (nuziale) o di una donazione rimuneratoria, il donatario è il primo tenuto a pagare il bene. Io posso chiedere gli alimenti se sono in stato di bisogno, se non ho gli alimenti non potrei sopravvivere, avere un tetto e mangiare, e si dice che devono essere assegnati in base al bisogno di chi li domanda e dalle condizioni economiche di chi li deve somministrare. Non devono però superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale. (art. 438) L’articolo 439 riguarda le regole di misura degli alimenti tra fratelli e sorelle, qui la misura degli alimenti è dovuta nella misura dello stretto necessario. L’art. 443 dice che chi deve somministrare gli alimenti sceglie se adempiere questa obbligazione o con un assegno alimentare (somma di denaro) corrisposto in periodi anticipati oppure può accogliere e mantenere nella propria casa colui che vi ha diritto (pagamento in natura) e questo lo decide la persona che è tenuta al pagamento degli alimenti. → Mantenimento vuol dire dare lo stesso tenore di vita dell’obbligato mentre chi ha diritto agli alimenti ha diritto a solo il necessario per vivere. Il mantenimento viene in rilievo nella famiglia nucleare, composta da genitori, figli e coniuge, un coniuge o un figlio ha diritto dall’altro/dal genitore lo stesso tenore di vita. Il coniuge separato è ancora sposato quindi ha diritto al mantenimento; esiste la possibilità dell’addebito della separazione (ex separazione per colpa), la separazione normalmente è senza addebito per nessuno. L’addebito della separazione è una cosa che viene fatta solo su richiesta, parliamo di una separazione litigiosa, l’addebito è la verifica della violazione di uno o più doveri coniugali, e quella violazione è la causa della separazione. Qui c’è una valutazione totalmente oggettiva di verifica; questi doveri sono molto spesso la fedeltà. Se c’è l’addebito della separazione il coniuge che subisce questo addebito ha due conseguenze molto negative: - perde il diritto al mantenimento ma conserva solo il diritto agli alimenti, nonostante sia un coniuge separato e non ancora divorziato - perde i diritti successori ma può pretendere un assegno dall’eredità che serve a dargli gli alimenti Matrimonio Riguardo il matrimonio abbiamo gli articoli 79 e seguenti. Li abbiamo già visti. Qui dobbiamo dire che il codice civile parla del matrimonio civile, cioè matrimonio che ha effetti civili; il diritto canonico, che è il diritto della chiesa è un diritto che appartiene a rigore ad un ordinamento giuridico diverso da quello dello stato; lo Stato italiano è uno Stato che non aderisce ad una singola o particolare religione. Lo Stato Vaticano ha una regolazione diversa dalla nostra, quindi nel codice civile troviamo le regole sul matrimonio civile ma le differenze si vedono sulla modalità di celebrazione. Il matrimonio si può celebrare in queste tre diverse modalità: - con celebrazione civile, resto fuori dalla strada religiosa e si applicano solo le regole del codice civile sia sulle modalità di celebrazione che su tutto il rapporto matrimoniale. - matrimonio concordatario (o canonico), cioè che pur trattandosi di un matrimonio che avrà poi effetti anche civili io posso decidere di celebrare il mio matrimonio secondo le regole della chiesa cattolica, allora la nostra costituzione dice che questo è possibile però per noi è più “normale” sposarsi in modo cattolico, e quindi ci sono degli accordi con i rappresentanti della religione cattolica, che danno una rilevanza particolare al matrimonio concordatario. Il primo accordo è il concordato del 1929 (fatto da Mussolini), che è rimasto in vigore fino al 1984, anno in cui è stato revisionato; questo concordato dice che anche se mi sposa un prete io ottengo subito diritti e doveri civili. - matrimonio (di culto) acattolico, ci si può sposare secondo riti diversi da quello cattolico. Regimi patrimoniali della famiglia Riguardo i regimi patrimoniali della famiglia (art. 159 e seguenti). Separazione e divorzio Separazione personale dei coniugi e divorzio vengono trattati negli art. 150 e seguenti e legge numero 898 del 1970 (questa per il divorzio). Filiazione Riguardo la filiazione (art. 231 e seguenti e 315 e seguenti) cioè il rapporto tra genitori e figli, su come si accerta la filiazione e le varie categorie di figli; se una donna sposata, quindi ha il dovere di fedeltà, ha un figlio si presume L’introduzione dell’art. 2645-ter porta un esempio di “Trust italiano”; esso si fa generalmente per fare in modo di trasferire i beni a qualcuni indirettamente (mio figlio disabile è il beneficiary ma un amico è il trustee, ecc), si crea un patrimonio destinato ad una specifica finalità lecita. Regimi patrimoniali della famiglia In generale ci si sposa non per questioni patrimoniali ma esistono i regimi patrimoniali della famiglia e in tutte le famiglie fondate sul matrimonio (per la famiglia matrimoniale e l’unione civile c’è un regime più strutturato)) ci si rifà a queste regole Ci sono possibilità diverse ma dobbiamo partire dalla premessa che in tutte le famiglie fondate sul matrimonio c’è l’obbligo di contribuire anche a livello economico (art. 143), questo è un minimo che c’è in tutti i matrimoni, è inderogabile anche se scelgo la separazione dei beni; c’è un capo “diritti e doveri che nascono dal matrimonio”. Si parla di una contribuzione economica, se non con il denaro con un’attività avente valore in denaro (anche la casalinga è una forma di contribuzione alla pari dell’uomo che ha uno stipendio, questa regole serviva di più al tempo mentre oggi capita più spesso che entrambi i sessi hanno uno stipendio). E’ anche inderogabile che entrambi i sessi devono adempiere all’obbligo di accudire i figli, se io faccio un figlio anche senza essere sposato ho il dovere di mantenerlo, istruirlo, educarlo (in modo onesto) e assistere moralmente ma questo dovere è ripetuto nell’art. 147 in riferimento al matrimonio perché se io sono sposato e faccio figli all’interno del matrimonio io ho questo dovere non solo nei confronti nei figli ma anche nei confronti del coniuge. Distinzione di fondo tra - comunione legale (art. 177 e ss), regime che si instaura legalmente in assenza di una scelta diversa (di default), cioè se io mi sposo senza esprimere alcuna volontà con riguardo al regime patrimoniale mi ritrovo in comunione legale con il mio coniuge; si chiama “legale”, poiché è un regime che si instaura legalmente, perchè lo dice la legge, se non c’è una scelta diversa. Comunione (è un diritto reale) dei beni legale significa che se io sono sposato e acquisto qualsiasi bene questo sarà al 50% mio e al 50% del coniuge; è una comunione che riguarda solo gli acquisti successivi al matrimonio, se io ho una casa di mia proprietà rimane mia al 100%. L’art. 179 elenca alcune eccezioni di beni che rimangono ugualmente al coniuge e non vengono divisi. - separazione dei beni (art. 210 e ss), essa vuol dire che nonostante i coniugi siano sposati rimangono centri di acquisto autonomi, quel bene che acquisto è solo mio. Essa non toglie i doveri di contribuire ai bisogni della famiglia e dei figli. Oggi molte coppie scelgono questa tipologia di regime patrimoniale; questo è il regime naturale da adottare quando entrambi i coniugi lavorano e fanno i propri acquisti. - La comunione convenzionale (art. 210 e ss) dice che i coniugi al momento del matrimonio possono scegliere di avere una comunione ma con delle regole che sono in parte scelte dai coniugi. Questo regime viene scelto poco. Al fondo patrimoniale (art. 167 e ss e specialmente 170) è stato fatto cenno nell’evento successorio riguardo il patrimonio di destinazione, esso è uno di quegli eccezionali patrimoni di destinazione dove è consentito dalla legge destinare certi beni ad una particolare finalità (che in questo caso è il soddisfacimento dei bisogni della famiglia) evitando che i creditori di crediti contratti per esigenze diverse possano soddisfarsi su quei beni, derogando rispetto al principio generale della garanzia patrimoniale (della responsabilità del debitore con tutti i suoi beni presenti e futuri). Esso è un patrimonio di destinazione che può essere costituito per destinare certi beni (mobili, mobili registrati e titoli di credito) ai bisogni della famiglia; i creditori non possono soddisfarsi su quei beni. Esso non è un’alternativa, c’è questa possibilità solo con certi beni, è un regime che si aggiunge ai regimi proposti prima. SUCCESSIONI Siamo nel libro II e abbiamo le disposizioni generali, con le varie fasi del procedimento successorio, e abbiamo una disciplina generale sui legittimari (art. 536 e seguenti), essi sono i riservatari, quegli strettissimi congiunti di una persona che hanno diritto ad una quota di eredita anche contro testamento, anche contro la volontà del testatario, essi non devono essere confusi con i successivi legittimi (art. 565 e seguenti). - disposizioni generali, con le varie fasi del procedimento successorio, e abbiamo visto che dal codice civile risultano 4 fasi del procedimento successorio, cioè un procedimento che porta a trasferire i beni e i diritti da qualcuno che non esiste più a qualcun altro che è ancora in vita. Quello che apre il procedimento successorio è la morte di qualcuno (art. 456). 1. apertura della successione (art. 456) 2. vocazione (art. 457), parola latina che vuol dire “chiamata”, nel senso che bisogna vedere chi è stato chiamato; se c’è il testamento chi è stato chiamato come erede nel testamento, se non c’è il testamento si ha la chiamata per legge. 3. acquisto (art. 459), si ha quando il chiamato (che è erede) diventa titolare dei diritti che fanno parte dell’asse ereditario poiché ha accettato l’eredità. L’effetto dell’accettazione è retroattivo. 4. delazione (art. 460), si può non considerare. Essa vuole dire “offerta dei beni”, a questo potenziale erede sono offerti i beni e lui li può fare propri. - successioni legittime (art. 565 e seguenti), quelle che si aprono in mancanza di testamento, abbiamo il coniuge fino ai parenti di sesto grado e se non c’è proprio nessuno il testamento va allo Stato. - successioni testamentarie (art. 587 e seguenti), dove abbiamo subito la definizione di testamento (atto revocabile con il quale taluno dispone delle proprie sostanze per il tempo in cui abbia cessato di vivere, il testamento ha efficacia solo quando il testatore è morto, mortis causa, questo non è solo un riferimento temporale ma anche causale.); poi si trova il contenuto del testamento e il suo fine essenziale è quello di tenere una o entrambe le seguenti disposizioni: ● istituzione di erede, io nomino qualcuno mio erede e gli lascio o tutti i miei beni (unico erede) o una quota, una frazione matematica del mio patrimonio. Non tutti gli eredi devono ottenere la stessa quota. ● legato, è l’attribuzione di uno e più diritti determinati (lascio la mia collezione di bottiglie di vino al legato Giovanni), ho attribuito uno o più beni determinati ad una particolare persona; questa distinzione ha senso per vari fini poiché la disciplina è molto differente. - divisione (art. 713 e seguenti). - donazione (art. da 769 a 809), la donazione è un contratto che richiede l’accordo tra due parti inter vivos, la donazione è fatta per avere efficacia fino a che le parti del contratto sono vive. C’è un elemento in comune che è quello della liberalità, cioè animus donando, cioè spirito di liberalità che possiamo considerarla come l’intenzione di arricchire qualcuno impoverendosi. Le donazioni sono considerate come un anticipo di successione il più spesso delle volte, quindi vengono considerate per calcolare poi se a questi familiari più stretti hanno avuto abbastanza eredità o meno. Successione C’è questa distinzione tra successione legittima (o intestata (cioè in assenza di testamento) o ab intestato) oppure testamentaria. Non confondere la successione legittima con i diritti dei legittimari, che non sono un terzo genere di successione ma sono un istituto a parte, questi legittimari se vogliono possono contestare ma alla domanda di che fine fanno i beni di un defunto si hanno solo due vie. Questa dei diritti dei legittimari è anche detta successione così detta necessaria, è una definizione sbagliata; i legittimari non sono tenuti a far valere le proprie quote di legittimari. Quindi nella realtà dei fatti come ci si muove? Innanzitutto bisogna vedere se c’è un testamento, se c’è questo prevale sulla legge e gli eredi sono quelli elencati, il problema potrebbe essere che questo testamento è olografo, quindi scritto di pungo dall’interessato e non si sa neanche dove è conservato. Però una persona “normale” fa in modo di far trovare questo testamento anche perché è possibile lasciarlo presso il notaio (il notaio lo mette solo nel suo archivio, non si trasforma il tipo di testamento). Patti successori Esso è un cardine molto criticato; il codice contempla tre categorie, i patti successori istitutivi, dispositivi e rinunciativi. Sono tutte e tre indicate nell’art. 458 e per tutte e tre le categorie, senza distinguerle, il codice contempla la nullità, essi possono non valere nulla, come se non si fossero mai fatti. Trust Vuol dire fiducia ed è uno strumento con il quale un costituente, attribuisce certi beni a qualcun altro che si chiama trustee affinché colui destini gli effetti economici positivi a favore di qualcun altro detto beneficiary tutto a controllo del guardian. E’ uno schema aperto fatto per perseguire le più diverse modalità e può avere i più diversi beni. Esso viene disciplinato per l’Italia da una convenzione de l’Aja del 1985 ratificata in Italia nel 1989, che ci obbliga a considerare produttivi i Trust con elementi di estraneità, trust costituiti all’estero, che hanno qualcosa di straniero; si è affermata un’interpretazione condivisa dalla cassazione e dal notariato italiano che dice che si può fare il trust interno, regolato dalle leggi di qualche paradiso fiscale. Siccome almeno la legge è straniera bisogna dare efficacia a queste soluzioni. Qui qualcuno definito settlor (o costituente) attribuisce centri beni al fiduciario (trustee) affinché questo non li usi per se ma destini gli effetti economici positivo al beneficiario, tutto sotto il controllo del guardian. Delazione vacante Quando abbiamo parlato di erede abbiamo detto che non si diventa eredi al momento di apertura della successione; se io sono indicato dalla legge come il familiare più stretto o sono istituito come erede nel testamento, io ho il diritto di accettare l'eredità. La delazione vacante si istituisce quando il primo chiamato non può o non vuole accettare l’eredità se viene sostituito si parla di sostituzione ordinaria, esso è un istituto che guarda solo la successione testamentaria e non quella legittima, quindi c’è un testamento ed è il testatore che nel caso in cui la persona che lui nomina erede, l’eredità non voluta sarà devoluta a caio. Il testatore dice chi subentra al primo chiamato. Questo istituto prevale sugli altri perchè bisogna basarsi su di essa. Se il primo chiamato non può o non vuole accettare l’eredità bisogna chiamarne un altro nel senso che ci sono 4 istituti che sono collocati in ordine gerarchico; il primo che prevale sugli altri è la sostituzione ordinaria (art. 688), esso è un istituto che riguarda solo la successione testamentaria (e non quella legittima) quindi vuol dire che c’è un testamento ed è il testatore a scrivere nel testamento che nel caso in cui la persona che lui nomina erede non può o non vuole accettare l’eredità, essa sarà devoluta a Caio. La sostituzione fedecommissaria è diversa perché anche se cambia solo l’aggettivo, sono istituti radicalmente diversi perchè la sostituzione fedecommissaria vuol dire che si istituisce qualcuno obbligandolo a conservare i beni ricevuti e a trasferirli alla sua morte a qualcun altro; la differenza sta nel fatto che nella sostituzione ordinaria quello che succede tra i due è uno solo, mentre in quella fedecommissaria io decido chi è il mio erede e l’erede del mio erede (è una forma di doppia successione); questa da noi è vietata tranne per il fedecommesso assistenziale, cioè dove si tratta di tutelare un interdetto. Se il primo chiamato non può o non vuole accettare l’eredità e non ci sono i presupposti per la sostituzione ordinaria viene in rilievo la rappresentazione, che è un istituto molto complesso regolato negli articoli 467 e seguenti, non va confuso con la rappresentanza. Essa si ha quando il primo chiamato non può o non vuole accettare l’eredità e succede che, abbiamo tre soggetti che vengono in rilievo: A. De cuius, il soggetto che muore; B. Il rappresentato che non può o vuole accettare l’eredità; C. Il rappresentante che è quello che subentra all’eredità al posto del primo chiamato. Questo istituto opera legalmente (perché lo dice la legge) ma solo se sussistono particolari presupposti, se ci sono alcuni rapporti familiari tra De cuius e Rappresentato e tra Rappresentato e Rappresentante. Cioè il rappresentante deve essere un discendente del rappresentato e il rappresentato deve essere figlio, fratello o sorella del De Cuius. Se non ci sono i presupposti della sostituzione e della rappresentazione allora si ha l’accrescimento (art. 674 e seguenti); esso opera solo quando c’è un testamento e quando c’è una chiamata congiuntiva, cioè ci sono più co-eredi, e può essere che se uno non accetta l’eredità, l’eredità dell’altro si accresce. La successione di chiusura è quella della successione legittima (art. 522 e 523), quindi i beni finiscono ai soggetti indicati come eredi nella disciplina della successione legittima che sono il coniuge, i parenti fino al sesto grado di parentela, e se questi non si trovano si va allo Stato (art. 586). Lo Stato non deve accettare e non può rinunciare, ecco perché lo Stato è un erede necessario. Accettazione dell’eredità C’è innanzitutto una distinzione tra l’accettazione pura e semplice (art. 470) e l’accettazione con beneficio d’inventario (art. 484 e seguenti, specialmente 490). La seconda significa attivare una procedura di fronte al tribunale che vede intervenire un pubblico ufficiale, all’esito della quale l’erede è un erede beneficiato e deve anche pagare i debiti ereditari ma solo nei limiti del valore di quanto ha ricevuto; se però non c’è il beneficio d'inventario l’erede deve pagare i debiti ereditari anche oltre il valore che ha ricevuto. C’è anche una tripartizione perché l’accettazione può essere: - espressa (art. 475), quando uno espressamente accetta l’eredità o usa anche solo il titolo di erede. - tacita (art. 476), quando il chiamato pone in essere un atto al quale non si può attribuire nessun atto se non quello di accettare l’eredità. Se non sono ancora erede e vendo un bene dell’eredità io accetto l’eredità tacitamente, e divento erede puramente e semplicemente. - legale (art. 485), si ha quando qualcuno si ritrova ad essere erede senza aver fatto nulla ma se ci sono certi presupposti (quando è nel possesso, ho il potere di fatto, di beni ereditari). Rinunzia all’eredità