Scarica Corso di Letteratura Latina del prof. Citti (Adelphoe, Oedipus, Carmina) e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! 19/10/2018 I generi letterari • Roman Jakobson (linguista e semiologo russo) tratta la questione della classificazione dei generi letterari, partendo dall'idea che la lingua poetica non vada ristretta alla sola poesia e ai generi letterari strettamente considerati – essa è qualcosa che distingue in generale la letteratura – i generi letterari sono incentrati su un messaggio trasmesso tramite la lingua poetica, hanno diverse funzioni: ➢ epica, incentrata sulla 3^ persona; il messaggio ha funzione referenziale (il narratore definisce il contesto in cui il testo poetico è inserito) → CONTESTO- REFERENTE ➢ lirica, orientata verso la 1^ persona, il messaggio ha funzione emotiva (il poeta esprime se stesso) → MITTENTE ➢ poesia supplicatoria o esortativa, il messaggio ha funzione conativa (il poeta dà una serie di ordini, indicazioni, suggerimenti) → DESTINATARIO → esempi: poesia didascalica, poesia religiosa (Edward Norden individua in Agnostos theos una tradizione orientale e greca di poesia costituita secondo un determinato stile, ovvero ci si rivolge al dio dandogli del “tu” e lo si caratterizza secondo una serie di epiteti che gli si riferiscono) • la lingua poetica è composta da una serie di meccanismi legati alla combinazione e alla selezione – la selezione di un vocabolo avviene tramite una scelta tra vari sinonimi → non è mai totalmente neutra, non si sceglie sempre il vocabolo più adatto → è determinata dalla combinazione, che la orienta in base alla contiguità dell'insieme dei vocaboli esempio: VENI, VIDI, VICI, la scelta tra i sinonimi dei rispettivi verbi è determinata dalla combinazione dei 3 vocaboli, che sono 3 termini isosillabici al perfetto, che quindi terminano tutti con la stessa vocale (omeoctoto, uniformità di suono finale di parola) e sono inoltre caratterizzati da un'allitterazione triplice → non è una formula casuale, è facilmente memorizzabile • “stile nuovo” è una definizione di Edward Norden (in La prosa d'arte), a cui si deve anche una riflessione sull’intervento della funzione poetica ed una distinzione tra prosa fino a Cicerone e prosa da Cicerone in avanti prosa di Seneca e Petronio poesia di Ovidio e Lucano epoca di passaggio: lo stile diventa espressionistico, molto retorico rispetto alla prosa ciceroniana – in tale epoca cambia l'impostazione scolastica dell'intellettuale romano: lo studente deve svolgere esercizi di scrittura e di lettura + esercizi preginnasiali, di retorica → Ovidio appartiene alla generazione che per prima ha intrapreso questo nuovo percorso scolastico, la sua letteratura è fortemente influenzata da esso → con Petronio la retorica è ormai trionfante – nelle opere di Seneca sono presenti molte figure retoriche (doppi chiasmi, anafore, sinonimia): si può quindi osservare come, dall'età di Seneca in poi, il linguaggio della poesia e della prosa inizino a mescolarsi (es. termini elevati ritrovati nella prosa, come quelli di Apuleio, desunti dalla lingua arcaica) → la lingua poetica non è ristretta alla sola poesia ma si sovrappone addirittura alla prosa • Seneca fu anche autore delle Naturales quaestiones, un trattato scientifico che viene però considerato come un'opera letteraria: i confini posti ai generi latini non sono gli stessi che si pongono gli autori della letteratura moderna Selezione e combinazione Cistellaria di Plauto, vv. 203-224 • canticum (= testo cantato) tratto dalla commedia plautina Cistellaria (= La commedia del cesto) in cui parla Alcesimarco, giovane innamorato, personaggio tipico della commedia classica (inoltre nell’opera è presente il tipico antagonismo padre- figlio, contrasto che si risolve infine a favore del giovane grazie all’intervento di un mediatore) → il giovane si lamenta della crudeltà dell'amore • trama: il vicino di Alcesimarco ha abusato di una ragazza, la quale poi da tale rapporto ha avuto una bambina, alla quale viene affidata una cesta contenenti degli oggetti che avrebbero garantito il suo riconoscimento futuro – la bambina era poi stata adottata da una cortigiana e quindi, una volta cresciuta, viene ritenuta inadeguata alle eventuali nozze con Alcesimarco, che è innamorato di lei e si rifiuta di sposare un'altra donna di natura libera nella commedia si oppongono verità apparente = la ragazza non è libera, è di origini sociali non elevate verità = la ragazza è figlia del vicino, il riconoscimento riporta l'ordine famigliare e sociale nella commedia poiché Alcesimarco può sposarsi con una ragazza libera • nella commedia romana tutti i personaggi di bassa classe sociale sono greci (graecare = “compor-tarsi da greco”, cioè bere, mangiare, darsi ai piaceri), in contrasto con i personaggi romani, che rappresentano l'ordine – con il riconoscimento si viene a scoprire che ciò inizialmente sembrava all’apparenza di livello basso può venire legittimamente reintrodotto nel mondo romano Credo ego amorem primum apud [ homines carnificinam commentum. Hanc ego de me coniecturam domi facio, [ ni foris quaeram, qui omnes homines supero, antideo [ cruciabilitatibus animi. 205 Iactor, crucior, agitor, stimulor, uorsor in amoris rota, miser exanimor, feror, diffĕror, distrăhor, diripior; ita nubilam mentem animi habeo. 210 Vbi sum, ibi non sum, ubi non sum, ibist animus, ita mi omnia sunt ingenia. Quod lubet, non lubet iam id continuo, ita me Amor lassum animi ludificat, 215 fugat, agit, appĕtit, raptat, retinet, lactat, largītur: Io credo che l’amore per primo abbia inventato il mestiere del carnefice presso gli uomini. Faccio questa supposizione di persona, in casa mia, e non cerco esempi fuori, io che supero e batto tutti gli uomini per strazi del cuore. Sono sbattuto, straziato, agitato, tormentato, girato e rigirato nella ruota dell’amore, sventurato mi sento venir meno, sono trascinato, portato qua e là, in ogni direzione lacerato e fatto a pezzi: a tal punto ho i pensieri nebbiosi nell’animo. Dove sono, là non sono, dove non sono, là è il mio animo. Così io provo tutti i tipi di personalità. Ciò che mi piace, quello subito dopo oramai non mi piace più. Così l’amore si prende gioco di me, stanco nell’animo, mi scaccia, mi spinge, cerca di prendermi, mi trascina, mi trattiene, mi adesca, mi concede. Ciò che mi dà, non me lo dà, si prende gioco di me. Ciò che or ora mi ha consigliato, mi sconsiglia, [communem facit: alii adnutat, alii adnictat, alium amat, alium [tenet; alibi manus est occupata, alii peruellit [pedem; anulum dat alii spectandum, a labris alium [inuocat, cum alio cantat, at tamen alii suo dat digito [litteras. concede a tutti: a uno fa cenno col capo, ad un altro ammicca, amoreggia con uno, tiene stretto un altro; da un’altra parte ha la mano occupata, ad un altro stuzzica il piede; a un altro dà l’anello da ammirare, a fior di labbra chiama un altro, con un altro canta, ma tuttavia ad un altro traccia le lettere con il dito. • alibi manus est occupata, permette di comprendere quale sia il sesso della protagonista di tale frammento • il frammento prende le mosse da una metafora istituita con il gioco della palla – quasi introduce una comparativa (= “come se”) – viene usata spesso anche come metafora attribuita al potere, in quanto esso viene passato di mano in mano, oppure per gli dei, i quali considerano gli uomini come delle palle, facendo di essi ciò che vogliono – l'etimologia antica di pila dice che deriva da pĭlus, “pelo” – il verbo lūdo, lūdis, lusi, lusum, lūdĕre può avere anche il significato di “amoreggiare”, con tale verbo viene quindi introdotto il tema amoroso • choro è una forma grafica che compare nei manoscritti a partire dal I secolo d.C., quindi non è originario della grafia neviana • datatim, avverbio con suffisso -im, originario accusativo dei temi in -i della 3^ declinazione – deriva dal verbo do, das, dedi, datum, dāre e costruisce una figura etimologica con dat per dare risalto al valore etimologico dell'avverbio, all'interno del quale è contenuta l'idea di “darsi” – tale avverbio è attestato 5 volte e 4 volte su 5 è relativo alla metafora del gioco con la palla → per l'ambiguità (il gioco della palla viene sempre accostato all'amore) • anafora alii … alii, alium … alium + variatio di altre forme di alius (alibi) + 2 verbi trisillabici (adnutat, adnictat) e 2 verbi bisillabici (amat, tenet) – adnutat (da adnūto, adnūtas, adnūtāre, “annuire, far cenno di sì con il capo”) è frequentativo di adnŭo, adnŭis, adnui, adnŭĕre, “far cenno col capo”, opposto di abnŭo, abnŭis, abnui, abnŭĕre, “far cenno di no col capo” – adnictat (da adnicto, adnictas, adnictāre, “ammiccare”) deriva forse da adniveo, che a sua volta deriva da nĭvĕo, nĭves, nĭvēre (verbo raro di cui rimangono solo poche forme derivate attestate, come ad esempio oculis conniventibus, da conniveo “chiudersi del tutto”) – il verbo tĕnĕo, tĕnes, tenui, tentum, tĕnēre è spesso utilizzato in ambito amoroso • manus accusativo di relazione + pedem, la protagonista utilizza tutte le parti del corpo che può muovere per stuzzicare i suoi amanti + pervellit, da vello, vellis, velli, vulsum, vellĕre, “pizzicare”, quindi “stuzzica con il piede” • anulum è posto in principio di verso per invocare l'immagine dell'anello nella mente del lettore • l’ultimo verso mette in scena delle forme di comunicazione: “con un altro canta, ma tuttavia ad un altro traccia le lettere con il dito (= il messaggio è cifrato, non di immediata comprensione)”, è una tipica situazione incentrata sulla ragazza (comune nella commedia, dove la ragazza viene vista come un bene da conquistare), di carattere elegiaco, ripresa anche da Orazio in Ars poetica e Amores (1,4) • questo passo di Nevio/Ennio viene spesso confrontato con quello del tragediografo greco Antifone – simili per la struttura di tipo oppositivo incentrata sull'anafora del pronome – si pensa che il frammento corrisponda ad una traduzione artistica del modello dal greco al latino, quest'ultimo però gioca maggiormente sulla forma (vi aggiunge l'allitterazione, i versi sono scanditi in parti uguali) → il concetto rimane quello ma il latino punta sulla ricerca delle figure di suono e di ritmo • Livio Andronìco, autore di teatro e traduttore dell'Odissea: ἄνδρα μοι ἔννεπε, μοῦσα, πολύτροπον Virum mi, Camena, insece versutum – Camena è una divinità che appartiene alla cultura italica: viene qui manifestata la volontà di Andronìco di avvicinare il testo omerico alla cultura latina → in questo caso il traduttore adatta il testo all'ambiente culturale del lettore (che spesso non conosceva la letteratura greca) – la letteratura di Roma viene definita “letteratura greca in lingua latina”: l'area del Mediterraneo è un'area molto coesa, fin dalle sue origini la letteratura latina è molto ispirata alla letteratura greca, per quasi ogni genere letterario vi sono modelli greci a cui fare riferimento → essi vengono considerati modelli ideali e stabiliscono alcune caratteristiche strettamente legate al genere → vengono continuamente richiamati dagli autori per dimostrare di essere all'altezza di comporre un’opera rifacendosi ad un determinato genere Plauto e la tragicommedia Plauto, Amph. 50-63 (dal prologo) • il prologo di un’opera teatrale può avere una funzione metapoetica o di carattere introduttivo; quelli di Plauto di solito narrano il contesto e gli avvenimenti principali della commedia – il primo teatro stabile a Roma viene costruito nel 55 a.C., mentre Plauto vive tra il III e il II secolo a.C., quindi le rappresentazioni teatrali fino alla metà del I secolo a.C. si svolgevano in strada → era necessaria la presenza di due strade (per le due uscite) e una casa (per fungere da sfondo): il pubblico non è preparato a seguire la storia ed è spesso distratto da ciò che lo circonda, per questo molto spesso il prologo ha funzione espositiva – il prologo dell'Anfitrione è però metapoetico: parla un dio, Mercurio, che rompe la finzione scenica della commedia per occuparsi di un altro problema rispetto alla narrazione → metateatro, comprende momenti di rottura della finzione scenica per riflettere sull'azione teatrale stessa [MERCURIUS] Nunc quam rem oratum huc [veni primum proloquar; post argumentum huius eloquar tragoediae. Quid contraxistis frontem? Quia tragoediam dixi futuram hanc? Deus sum, commutavero. Eandem hanc, si voltis, faciam ex tragoedia comoedia ut sit omnibus isdem vorsibus. Ora dirò innanzi tutto che cosa sono venuto qui a trattare; / poi esporrò l’argomento di questa tragedia. / Perché avete aggrottato la fronte? Perché ho detto che questa / sarà una tragedia? Sono un dio, in un attimo la cambierò. / Questa stessa, se volete, io farò in modo che da tragedia / sia una commedia con tutti i medesimi versi. • Plauto utilizza una forma che cerca di riprodurre il parlato tramite degli anacoluti (= costrutto sintattico per cui il primo elemento appare, rispetto ai successivi, insieme campato in aria e messo in rilievo) • proloquar da prōlŏquor, prōlŏquĕris, prolocutus sum, prōlŏqui, verbo deponente che significa “dichiarare”, “annunciare”, “parlare”, “pronunciare” • commutavero deriva da mūto, mūtas, mutavi, mutatum, mūtāre, verbo spesso utilizzato per le metamorfosi – tempo: futuro II (può comunicare anteriorità rispetto al futuro I oppure un'azione momentanea con valore perfettivo: il dio è in grado di cambiare istantaneamente la tragedia in commedia) • eandem hanc [...] faciam ex tragoedia comoedia, Plauto mescola 2 costruzioni sintattiche diverse: 1) faciam eandem comoediam → comoediam predicativo dell'oggetto 2) dal verbo facio dipende una proposizione predicativa, hanc diventa soggetto, eandem rimane nella completiva: “questa stessa io renderò commedia” si tratta di un anacoluto: Plauto modifica la costruzione della frase cambiando la funzione del complemento predicativo del soggetto Utrum sit an non voltis? Sed ego stultior, quasi nesciam vos velle, qui divos siem. Teneo quid animi vostri super hac re siet: faciam ut commixta sit tragico comoedia: reges quo veniant et di, non par arbitror. Quid igitur? Quoniam hic servos quoque [partes habet, faciam sit, proinde ut dixi, tragicomoedia. Volete che lo sia o no? Ma io che sciocco, come se non sapessi / che voi lo volete, dal momento che io sono un dio! / Capisco che cosa pensate nel vostro animo su questa cosa. / Farò in modo che sia una commedia mista di tragico: infatti non / mi sembra giusto che io faccia in modo che sia dall’inizio alla / fine una commedia, nella quale invece partecipano re e dei. / E allora? Poiché anche un servo ha la sua parte qui, / farò in modo che sia, come ho detto, una tragicomedia. • stultior comparativo assoluto intensivo (= “veramente/assai sciocco”) + quasi introduce una completiva (= “come se”) • qui divos siem è una relativa impropria al congiuntivo (valore causale) – siem è una forma aoristica di sim, tendenzialmente è sparito nel latino ma alcune forme sono documentate nel latino arcaico • Teneo quid animi uostri super hac re siet = “comprendo che cosa del vostro animo sia riguardo a questa cosa”, perifrasi con genitivo partitivo • servus nominativo, forma dissimilativa in seruos • Mercurio dichiara che l'opera non sarà né una tragedia, né una commedia, ma un misto tra le due – la tragedia è un genere sublime che parla di personaggi sublimi, mentre la commedia è un genere umile che parla di personaggi umili → in questi generi vi è corrispondenza di forma e di contenuto → nella cultura greca esisteva l'idea di una commedia-tragedia: il composto utilizzato da Plauto, tragicomoedia, allude quindi ad un genere letterario esistito realmente – si passa dall'accostamento di tragico e comoedia del v. 59 alla nuova parola tragicomoedia al v. 63 → Plauto spiega l'etimologia del neologismo coniato da lui 25/10/2018 • Anfitrione tratta del personaggio di Alcmena, la quale partorisce due gemelli, di cui uno di origine divina (Ercole) e uno di origine umana – è un modello affrontato sì trattato dello stesso tema, ma riprendendo un'altra scena che Plauto aveva trascurato 3) viene accusato di non essere lui a comporre le proprie opere e di essere un prestanome dei suoi autorevoli amici (come Scipione l’Emiliano e Gaio Lelio); la risposta a questa accusa si legge nel prologo degli Adelphoe • Terenzio predilige il modello di Menandro e mantiene il titolo greco per le sue commedie, se ne conserva anche la pronuncia (al contrario di Plauto che invece aveva latinizzato i titoli delle sue commedie) • tipica delle sue commedie è la “doppia azione”, espediente tramite il quale l’autore cerca di ravvivare l'azione costruendo doppi intrecci e complicando la narrazione (es. Andria, Heauton-timorumenos e Adelphoe presentano 2 adulescentes innamorati) Prologo degli Adelphoe Micione ha una mente aperta e liberale, rappresenta la cultura e letteratura greca, la novità del circolo degli Scipioni, il trasferimento della cultura greca a Roma dopo la conquista della Grecia Demea vive in campagna una vita parca e rustica, rappresenta la tradizione latina in tutti i suoi aspetti, non solo quelli letterari (es. medicina romana fondata sull'utilizzo di pozioni) ha 2 figli, uno che vive in campagna assieme a lui (Ctesifone) e uno che è stato dato in affido a Micione (Eschino), finiscono anch'essi per incarnare 2 modelli di educazione diversi Terenzio vuole mostrare come entrambi i modelli possano andare in crisi: passando dalla moderazione all'eccesso, anche se a due estremi diversi, ambedue diventano ridicoli (Micione crede di essere l'ideale di liberalità ma se cede diventa ridicolo + Demea vuole vivere in città e finisce per liberare gli schiavi ) • Plauto ama i giochi di parole, mentre Terenzio viene da un lato rappresentato da Cesare come amator puris sermonis, amante della purezza e dell’eleganza linguistica, ma allo stesso tempo è dimidiatus Menander, “metà di Menandro”, non riesce a raggiungere il livello del suo modello – vi sono 140 occorrenze di termini che alludono al bacio in Plauto (mentre in Terenzio c'è solo 1 ricorrenza) e sono inoltre molto presenti 2 azioni tipiche della commedia atellana, mangiare e cacare, che alludono ad una corporeità forte → Terenzio invece rifiuta la corporeità: le prostitute sono rese come asessuali, nessuno allunga mai le mani → in Terenzio vi è invece un’alta ricorrenza di termini riferiti a concetti astratti appartenenti all'ambito dell'etica e della morale (es. clementia, iustitia): dalla scelta delle parole si comprende che l’autore vuole rivolgersi ad un pubblico diverso da quello che seguiva le commedie atellane, andando contro l’interesse degli uditori → preferisce una commedia stataria piuttosto che una motoria (plautina, dove prevale il servus currens, il vecchio che grida, la confusione): mette in discussione i personaggi tipici del teatro della palliata, li mette in scena cambiandone le caratteristiche tipiche e ricorrenti → rinnova i tipi anche se mantiene le maschere previste dalla commedia Esempio: • la suocera – prima: personaggio di contrasto → con Terenzio: persona amabile, che cerca di mettere a suo agio la ragazza che entra nella sua casa • la prostituta – prima: personaggio avido, basso → con Terenzio: alla cortigiana Bàcchide (personaggio dell'Hecyra) è attribuita una dignità derivata dalla sua nobiltà d'animo, che la mette alla pari con personaggi di condizione molto più elevata • il padre – prima: personaggio di contrasto, nemico del figlio, con cui ha contrasti profondi di mentalità→ con Terenzio: pur mantenendo il ruolo tradizionale di antagonista, si dimostra disponibile al dialogo e all'indulgenza, preoccupato della felicità del figlio e dell'armonia famigliare più che degli interessi economici o dell'affermazione della propria autorità motivo per cui il teatro di Terenzio è stato particolarmente apprezzato nel Medioevo, soprattutto dalla Scolastica (si contano circa 650 manoscritti di età medievale che tramandano l’opera di Terenzio, viene inserito nei programmi di scuola) 26/10/2018 Adelphoe , atto I, scena I (vv. 26 – 37) MICIO: Storax! Non rediit hac nocte a cena Aeschinus neque servolorum quisquam, qui advorsum ierant. Profecto hoc vere dicunt: si absis uspiam atque ibi si cesses, evenire ea satius est, quae in te uxor dicit et quae in animo cogitatirata, quam illa quae parentes propitii. Uxor, si cesses, aut te amare cogitat aut helluari aut potare atque animo obsequi et tibi bene esse soli, sibi quom sit male. Ego quia non rediit filius quae cogito! Quibus nunc sollicitor rebus! Ne aut ille alserit aut uspiam ceciderit ac praefregerit aliquid. Vah, quemquamne hominem in animum stituere parare quod sit carius quam ipse est sibi! Atque ex me hic natus non est, sed fratre ex meo. Dissimili is studiost iam inde ab adulescentia. Ego hanc clementem vitam urbanam atque otium secutus sum et, quod fortunatum isti putant, uxorem numquam habui. Ille contra haec omnia: ruri agere vitam, semper parce ac duriter se habere, uxorem duxit, nati filii duo: inde ego hunc maiorem adoptavi mihi: eduxi a parvolo, habui, amavi pro meo; in eo me oblecto: solum id est carum mihi. MICIONE: Storace! Eschino stanotte non è ancora rientrato da cena, come pure nessuno degli schiavetti che gli erano andati incontro. È proprio vero quel che dicono: se sei andato da qualche parte, se ai fatto tardi, allora è meglio che ti capiti quel che ti augura o che pensa in cuor suo tua moglie quando ce l'ha con te, piuttosto che quello che temono i genitori che ti vogliono bene. Tua moglie, se fai tardi, pensa che sei innamorato, o che qualcuna è innamorata di te, o che stai sbevazzando e ti fai i fatti tuoi e pensi a spassartela da solo, mentre lei sta male. Ma a me, siccome è mio figlio che non torna, che razza di pensieri vengono, e che paure! Che abbia preso freddo, o che sia caduto da qualche parte, o che si sia spaccato qualcosa. Guarda se si deve far posto nel proprio cuore o andarsi a cercare qualcuno da amare più di se stessi! Che poi non è figlio mio, ma di mio fratello, il quale fin da ragazzo aveva un'indole del tutto diversa dalla mia. Io ho condotto una tranquilla e agiata vita cittadina e non ho mai preso moglie, cosa che la gente reputa una fortuna. Lui tutto al contrario: vita in campagna, economia attenta e rigorosa, matrimonio, due figli: io ho adottato il maggiore, l'ho allevato fin da bambino, l'ho considerato e amato come se fosse mio, è tutta la mia gioia e consolazione. • Storace è un advorsitor (= schiavo che accompagna il padrone e gli regge la fiaccola nelle ore buie) + servolorum, il diminutivo servolus indica il servo che fa parte della scorta del padrone • profecto etimologizzato come pro facto, indica qualcosa che si è certamente realizzata • si absis uspiam è la protasi del periodo ipotetico di II tipo, possibilità/eventualità (congiuntivo presente) – è un periodo ipotetico misto poiché l'apodosi non indica una conseguenza possibile, bensì una conseguenza certa – uspiam (= “in qualche luogo”) è utilizzato in frasi sia di carattere suppositivo, sia di carattere negativo • animo ossequi = “accondiscendere alle proprie voglie/ai propri desideri”, sinonimo del concetto di divertirsi • anafora di aut + poliptoto (-erit), variazione di desinenza da diatesi attiva a passiva • differenza tra pōto, pōtas, potavi, potatum, pōtāre = “bere” in quanto bisogno vitale dell'uomo e hellŭor, hellŭāris, helluatus sum, hellŭāri = “bere” per il piacere di bearsi o meglio “divorare, inghiottire” • et tibi bene esse soli , – l’interpunzione è stata decisa da Lindsay poiché nelle altre occorrenze attestate di solus, in Terenzio, il dativo plurale femminile non è soli ma solae • sollicitor è forma passiva di sollĭcĭto, sollĭcĭtas, sollicitavi, sollicitatum, sollĭcĭtāre = “inquietare, affliggere”, segue il costrutto dei verba timendi (per cui timeo ne = temo che…, timeo ut = temo che non…, costruzione di origine paratattica, di solito seguita da congiuntii desiderativi) – ne alserit = “che abbia preso freddo” – aut uspiam ceciderint = “che sia caduto da qualche parte” – aut praefregerit aliquid = “che si sia spezzato qualche arto” • vah è un’interiezione affettiva (in origine era un grido di dolore ma arriva ad esprimere anche allegra meraviglia) + infinito esclamativo stituere e parare (= “guarda se si deve far posto [...] o andarsi a cercare...”) • hic dovrebbe indicare qualcosa che è vicino a chi parla ma in scena c'è solo Micione, l'utilizzo di “questo” è giustificato dalla vicinanza psicologica • Dissimili is studiost iam inde ab adulescentia. / Ego hanc clementem uitam urbanam atque otium / secutus sum et, quod fortunatum isti putant, / uxorem numquam habui (= “eravamo diversi fin dall'adolescenza, io ho adottato questa piacevole vita in città e questo ritiro, non ho mai avuto moglie, cosa che costoro considerano una fortuna”) – gli isti a cui si riferisce sono tra gli spettatori, ci si immagina che stia indicando qualcuno tra le prime file, ad esempio scapoli od ammogliati, che considerano una fortuna non essere sposato → gioca sul luogo comune della uxor irata Ille contra haec omnia contra come avverbio = “il contrario di tutto questo” + haec omnia “a tutto ciò che precede” contra come preposizione = “contrariamente a” + haec omnia “a tutto ciò che segue” • segue poi un elenco di infiniti in contrapposizione a tutto ciò che si riferiva a Micione: ruri agere vitam, semper parce ac duriter se habere, nati (esse) filii duo • nel latino classico si usa la grafia ēdŭco, ēdŭcas, educavi, educatum, ēdŭcāre = “allevare, nutrire, dar da vivere”, nel latino arcaico si usa invece ēdūco, ēdūcis, eduxi, eductum, ēdūcĕre, verbo più generale, riveste una sfera più ampia di ambiti (=”dare alla luce, generare, produrre”; “estrarre”; “far marciare, schierare le truppe”; “salpare”; “citare in giudizio”; “sollevare, costruire”; “educare, allevare, tirare su bambini”; “passare il tempo”, ecc.) • parvulus è un diminutivo avente valore minorativo, = “qualcosa di piccolo”, ha anche valore affettivo (esempio: Catullo, puella diminutivo di puera, labella) bonum, o et errat longe mea quidem sententia, qui imperium credat gravius esse aut stabilius vi quod fit, quam illud quod amicitia adiungitur. del giusto e del lecito, e, a mio avviso, si sbaglia di grosso se crede che l'autorità basata sulla forza sia più salda e sicura di quella ottenuta con l'affetto. • il verbo fio indica la passività del risultato, mentre adiungo sottolinea la necessità della collaborazione tra le parti (vv. 68 – 77) Mea sic est ratio et sic animum induco meum malo coactus qui suom officium facit, dum id rescitum iri credit, tantisper cavet: si sperat fore clam, rursum ad ingenium redit. Ille quem beneficio adiungas ex animo facit, studet par referre, praesens absensque idem erit. Io la penso così (e mi regolo di conseguenza): chi fa il proprio dovere per timore di un castigo, finché pensa che la cosa si verrà a sapere, sta attento; ma se spera di farla franca, torna a seguire la propria indole. Quello che ti sei conquistato trattandolo bene, agisce spontaneamente, cerca di contraccambiarti: che tu ci sia o no, si comporterà allo stesso modo. • ratio può significare varie cose – in Lucrezio la ragione è contrapposta ad un atteggiamento fideistico e poco scientifico, ma può indicare anche l’insegnamento, la filosofia → può riferirsi ad un pensiero e può concretizzarsi in un comportamento – può anche indicare il computo, concretizzandosi quindi nell’atto ancora più concreto del conteggiare, del conto – mea sic est ratio è un’espressione ambigua, traducibile sia con “questo è il mio parere” ma anche con “questo è il mio comportamento” • malo riferito al male della pena, all’effetto della punizione • dum id rescitum iri credit – II dum (parallelismo cronologico, si utilizza per 2 azioni che corrono parallele, che sono strettamente legate l’una all’altra) – rescitum iri è infinito futuro passivo (proposizione infinitiva) • ingenium indica la natura dell’individuo, contrapposta all’ars (tecnica, ciò che si apprende) – deriva dal verbo gigno = “generare”, quindi ingegnum è ciò con cui nati • viene ripreso il verbo adiungo, adiungis, adiunxi, adiunctum, adiungĕre (= “procurarsi, guadagnarsi”) – adiungas è congiuntivo presente, quindi quem beneficio adiungas è una relativa impropria + beneficio = “con un buon comportamento”, quindi “facendogli del bene” • praesens indica la partecipazione volontaria Hoc patrium est, potius consuefacere filium sua sponte recte facere quam alieno metu: hoc pater ac dominus interest. Hoc qui nequit, fateatur nescire imperare liberis. Questo è il compito di un padre, abituare suo figlio ad agire onestamente da solo, anziché per paura degli altri: è questa la differenza che c'è tra il padre e il padrone. Chi non ci riesce ammetta di non saper comandare ai figli. • questo passo è caratterizzato da una serie di opposizioni: recte facere vs male facere, sua sponte vs alieno metu • si ritrova il significato originario del verbo intersum, = “essere diverso, differente” • nequit da nĕquĕo, nĕquis, nequii, nequitum, nĕquire = “non potere, non essere in grado di...”, è un verbo composto particolare – solitamente i composti con i verbi si formano assieme ad una preposizione, tuttavia nequeo si forma dall’unione della congiunzione negativa neque + verbo eo → s’ipotizza che sia nato dalla forma neque it, usata molto frequentemente, fusa poi in nequit – probabilmente in seguito è stata fatta una falsa divisione, ne + queo, originando il verbo queo, che assume il suo significato di “potere” privando il significato di nequeo del valore negativo conferito dalla particella ne (nequeo = “non va”, “non si può fare” → queo = “si può fare”) • fateatur congiuntivo esortativo • il passo si conclude con una polemica precisa contro suo fratello: è Demea colui che vuole usare la violenza ed il timore per regolare i rapporti familiari Adelphoe , atto IV, scena V • i protagonisti in scena sono Micione ed Eschino; quest’ultimo, per proteggere suo fratello, aveva fatto finta di rapire una ragazza, ma nel frattempo aveva messo incinta la propria vicina di casa e lei, venuta a sapere della sua nottata avventurosa, teme di essere abbandonata – i vicini di casa erano andati a lamentarsi da Micione per il comportamento del figlio • inizialmente la scena è molto stilizzata, ci si trova in un incrocio, per strada, finché Eschino non va a bussare alla porta dei vicini di casa vv. 635 – 672 AE. Pater hercle est, perii. MI. Aeschine. AE. Quid huic hic negotist? MI. Tune has pepulisti fores? (Tacet. Quor non ludo hunc aliquantisper? Melius est, quandoquidem hoc numquam mi ipse voluit credere.) Nil mihi respondes? AE. Non equidem istas, quod sciam. MI. Ita? Nam mirabar, quid hic negoti esset tibi. ESCHINO: Accidenti, è mio padre: sono perduto! MICIONE: Eschino... ESCHINO: Che ci fa qui? MICIONE: Sei tu che hai bussato a questi battenti? (Sta’ zitto. Perché non divertirsi un po' alle sue spalle? Gli starebbe bene, visto che questa cosa non ha mai voluto confidarmela.) Non mi rispondi? ESCHINO: Non certo a questa porta, per quanto ne so. MICIONE: Davvero? Infatti mi domandavo che cosa avessi da fare qui. • Eschino quindi era innamorato della vicina di casa, che ha pure messo incinta: Micione è venuto a saperlo e ha deciso di prendersi gioco del figlio adottivo, che per una volta non ha voluto confidarsi a lui – viene ripreso il tema della confidenza tra padri e figli: secondo Micione ci dev’essere fiducia reciproca, vuole spiegarlo al figlio non tramite la violenza, bensì prendendosi gioco di lui, fingendo che la ragazza di cui Eschino è innamorato venga promessa sposa ad un altro • in questo dialogo le parti sono rovesciate: normalmente è colui che si trova all’interno della casa a chiedere cosa sia venuto a fare lì colui che bussa, mentre in questa scena Eschino è imbarazzato ed è lui a chiedere conto al padre, tende a non rispondere alle sue domande • fores = “battenti”, normalmente sono due, per questo è al plurale • (tacet… credere): tra parentesi perché è una parte del discorso rivolta a sé e al pubblico • melius est non ha valore comparativo, significa invece “è opportuno” • quid hic negoti est tibi = “che cosa di attività è a te qui?” = “che cosa devi fare qui?”, espressione tipica del lessico quotidiano, il cui valore proprio è quello di “che cosa hai da fare?”, ma può assumere anche il significato più astratto di “che c’entra?” → ricorre 49 volte in Plauto, mentre in Terenzio 2 volte (entrambe negli Adelphoe), ma compare anche in Cicerone, quindi non è pertinente solo al lessico della commedia (Erubuit: salva res est.) AE. Die sodes, pater, o tibi vero quid istic est re? MI. Nil mihi quidem. Amicus quidam me a foro abduxit modo huc advocatum sibi. AE. Quid? MI. Ego dicam tibi. (È arrossito: siamo a posto.) ESCHINO: Ma tu, padre, di grazia, qui cosa ci fai? MICIONE: Io niente. Un amico mi ha portato qui adesso dalla piazza... come consulente. ESCHINO: Perché? MICIONE: Te lo dirò. • erubuit da ērŭbesco, ērŭbescis, erubui, ērŭbescĕre = “diventare rosso, arrossire” + salva res est = “la situazione è salva”, sembra paradossale che Micione si rallegri del fatto che il figlio menta, tuttavia il suo ragionamento è che, nonostante Eschino stia mentendo, almeno arrossisce – tema topico in commedia, documentato da un frammento di Menandro (301, Koerte): “chiunque diventa rosso, mi sembra che sia una brava persona”, tradito in un verso della commedia degli Omopatrioi (= “dello stesso padre”) → alcuni studiosi hanno pensato che vi sia stato un errore nella tradizione e che quindi questo frammento non sia da attribuire a Menandro, ma direttamente agli Adelphoe di Terenzio, tuttavia ci sono troppi pochi indizi per sostenere tale tesi → in ogni caso si tratta di una situazione comica tradizionale • sodes è una forma colloquiale di cortesia derivante da si + audes, si trova documentata in commedia – la pronuncia volgare (del contado, extraurbana) impone che au venga pronunciato o (es. Claudius → Clodius) – significa “se vuoi”, in quanto il verbo audĕo, audes, ausus sum, ausum, audēre (v. semideponente) inizialmente significava “desiderare” → il verbo audes, nella forma sincopata sodes, diventa una formula meccanica, cioè non viene più avvertito come un verbo, bensì come un’espressione avverbiale (= “per favore”) → audes dovrebbe avere un soggetto di 2^ persona singolare, mentre sodes può riferirsi anche ad una pluralità di persone, non esclusivamente alla 2^ singolare • modo (avverbio di tempo) = “poco fa” • abduxit me huc advocatum sibi: advocatum è complemento predicativo dell’oggetto, “mi ha portato qui perché gli facessi da consigliere” Habitant hic quaedam mulieres pauperculae: ut opinor eas non nosse te, et certo scio: neque enim diu huc migrarunt. AE. Quid tum postea? MI. Virgo est cum matre. AE. Perge. MI. Haec virgo orbast patre: hic meus amicus illi generest proxumus: huic leges cogunt nubere hanc. AE. Perii. MI. Quid est? Qui abitano certe povere donne; non le conosci, credo, anzi ne sono sicuro, perché non è da molto che si sono trasferite qui. ESCHINO: E allora? MICIONE: C'è una ragazza che vive con la mamma. ESCHINO: Va' avanti. MICIONE: La ragazza è orfana di padre; questo mio amico è un suo parente prossimo: le leggi gli impongono di sposarla. ESCHINO: (Sono perduto!) MICIONE: Che c'è? • quidam individua ma non specifica, non entra nel dettaglio • pauperculae è un diminutivo, indica il fatto che le donne siano di condizione più modesta rispetto al parlante, non ha valore affettivo o minorativo, il punto di vista è oggettivo • ut opinor eas non nosse te, et certo scio = “a quanto penso tu non le conosci, e lo so per certo” “tu non le conosci” dovrebbe essere un verbo di forma definita, in quanto sullo stesso piano c’è “lo so per certo”, invece Terenzio aggiunge ut opinor, “a quanto penso” costruzioni regolari consapevole → effetto d’inatteso che colpisce ancora di più pur utilizzando un lessico normale, non poetico – gli avverbi fanno inoltre del lessico morale e filosofico, caratteristica tipica di Terenzio • serie di verbi con valore eufemistico – consuevit da consuesco, consuescis, consuevi, consuetum, consuescĕre = “frequentare”, “avere rapporti intimi”, eufemismo per “fare sesso con...” – haud scio, espressione che ha inizialmente valore verbale ma che poi assume il valore di formula, col significato di “forse”, “probabilmente” – misere amare = “amare perdutamente, fino in fondo” – praesens praesenti = “proprio lui in persona”, poliptoto in cui praesens si riferisce al soggetto (3^ persona singolare), mentre praesenti si riferisce a sibi (riflessivo indiretto) → con questa ripetizione si vuole sottolineare il coinvolgimento emotivo • facinus indignum è un’altra espressione tipica della lingua colloquiale, significa “che delitto indegno”, utilizzata anche nei Menaechmi di Plauto • solitamente è il pater familias che concede una fanciulla in sposa a qualcuno – auctor rimanda all’idea di auctoritas, “colui che ha autorizzato” – troviamo dei riferimenti alle formule legali delle nozze, cfr. Livio: Maiores nostri voluerunt quem nullam rem agere feminas sine tutore auctore = “I nostri antenati hanno voluto che le donne non facessero nulla senza l’autorizzazione di un tutore” e Cicerone: Nubit nullis auctore = “Si è sposata senza autorizzazione” alienus interpretato in questo passo in 2 modi “straniero”, il parente è di Mileto, la ragazza di Atene “ciò che è di un altro”, la donna è destinata ad altri, cioè al nescioquis citato prima, che sarebbe Eschino 13/11/2018 Atto IV, scena V (vv. 672 – 678) AE. An sedere oportuit domi virginem tam grandem, dum cognatus huc illim veniret exspectantem? haec, mi pater, te dicere aequom fuit et id defendere. MICIO: Ridiculum: advorsumne illum causam [dicerem, quoi veneram advocatus? sed quid ista, Aeschine nostra? aut quid nobis cum illis? abeamus. ESCHINO: Una ragazza della sua età doveva forse starsene in casa ad aspettare che venisse di laggiù un parente? Questo, padre mio, mi sembrava giusto dirtelo per difendere quella causa. MICIONE: Mi fai ridere! Avrei dovuto parlare contro la persona la cui causa ero venuto a perorare? Ma, senti, Eschino, a noi che importa? Che cosa abbiamo a che fare con loro? Andiamocene. • Eschino in teoria non dovrebbe conoscere la vicina di casa ma tramite l'indicazione dell'età (virginem tam grandem) svela al padre di conoscerla • aequom riguarda nuovamente il diritto di natura ≠ ius, diritto “artificiale”, che però tiene anche conto del primo – lo ius sostiene che la virgo orfana debba andare in sposa al parente, ma l'aequom impone che il giovane che l'ha conosciuta per primo abbia dei diritti in più su di lei • advocatus indica una figura che serve da patrocinio/consulente • sed quid ista, Aeschine, nostra? → sottinteso “refert” (vv. 679 – 683) Quid lacrumas? AE. Pater, obsecro, Perché piangi? ESCHINO: Ti prego, padre, ausculta. MI. [Aeschine, audivi omnia et scio: nam te amo: quo magis quae agis curae [sunt mihi. AE. Ita velim me promerentem ames dum vivas, [mi pater, ut me hoc delictum admisisse in me, id mihi [vehemeuter dolet et me tui pudet. ascoltami. MICIONE: Ho sentito tutto e so tutto, Eschino; ti voglio bene, perciò quello che fai mi sta a cuore. ESCHINO: Io vorrei che tu mi volessi bene finché vivi, padre mio, ma perché lo merito, che tu mi amassi tanto quanto io sono profondamente addolorato di essere responsabile di questa colpa, di cui mi vergogno davanti a te. • si scopre che Eschino in realtà è coinvolto nella gravidanza della virgo • cura legato alla radice di curare, termine che indica preoccupazione attiva = la cura di una malattia, il prendersi cura di qualcuno che sta male preoccupazione passiva = attenzione che si subisce; appartiene all'ambito del pathos, di quelle passioni dell'animo che vengono patite, subite • Ita velim me promerentem ames, manca ut poiché le congiunzioni non sono semanticamente indispensabili, si può evitare di aggiungerle • dum vivas, II dum (con tutti i tempi dell’indicativo) = “finché” Atto V, scena IV (vv. 855 – 881) DEMEA: Numquam ita quisquam bene subducta ratione ad [vitam fuit, quin res aetas usus semper aliquid adportet novi, aliquid moneat: ut illa quae te scisse credas nescias, et quae tibi putaris primat in experiundo ut repudies. Quod nunc mi evenit: nam ego vitam duram, quam [vixi usque adhuc, iam decurso spatio omitto. Id quam ob rem? Re [eapse repperi facilitate nihil esse homini melius neque clementia. Id esse verum ex me atque ex fratre quoivis facilest [noscere. Suam ille semper egit vitam in otio, in conviviis, clemens, placidus, nulli laedere os, adridere [omnibus: sibi vixit, sibi sumptum fecit: omnes bene dicunt, [amant. Ego ille agrestis saevos tristis parcus truculentus [tenax duxi uxorem: quam ibi miseriam vidi! Nati filii, alia cura. Heia autem, dum studeo illis ut quam [plurumum facerem, contrivi in quaerundo vitam atque aetatem [meam: nunc exacta aetate hoc fructi pro labore ab eis fero, DEMEA: A conti fatti, nessuno nella vita è stato tanto bravo che la realtà, la vecchiaia, l’esperienza non gli abbiano insegnato qualcosa di nuovo; al punto che quel che credevi di sapere non lo sai e quello che mettevi al primo posto, alla prova dei fatti, lo scarti. Così è successo a me: la vita spiacevole che ho vissuto finora, a traguardo ormai vicino, l’abbandono. E questo perché? In realtà ho scoperto che per l’uomo non c’è niente di meglio della condiscendenza e della comprensione. Che sia vero può facilmente capirlo chiunque, guardando me e mio fratello. Lui ha trascorso tutta la sua vita nel dolce far niente, nelle feste, sereno, comprensivo, senza offendere nessuno, sorridente a tutti: si è goduto la vita e i soldi: tutti ne parlano bene, tutti lo adorano. Io, il selvatico, il duro, il cupo, il parsimonioso, il tetro, l’ostinato, mi son sposato: quanti stenti ho conosciuto da allora! Ho avuto figli, altre preoccupazioni. Eh, via, mentre mi dannavo per fare il massimo per loro, ho consumato la mia vita e i miei anni a risparmiare: adesso, alla fine dei miei giorni, il frutto che ricavo da loro in cambio delle mie odium; ille alter sine labore patria potitur commoda. Illum amant, me fugitant; illi credunt consilia omnia, illum diligunt, apud illum sunt ambo, ego desertus [sum; illum ut vivat optant, meam autem mortem [exspectant scilicet. Ita eos meo labore eductos maxumo hic fecit suos paulo sumptu: ego miseriam omnem capio, hic [potitur gaudia. Age age nunc porro experiamur contra ecquid ego [possiem blande dicere aut benigne facere, quando hoc [provocat. Ego quoque a meis me amari et magni pendi postulo. si id fit dando atque obsequendo, non posteriores [(sott. partes) feram. Derit? Id mea minume refert, qui sum natu [maxumus. fatiche è l’odio; quell’altro senza faticare si gode i vantaggi che spettano a un padre. Lui lo adorano, a me mi schifano; a lui confidano ogni loro piano, gli vogliono bene, stanno entrambi a casa sua, io sono stato abbandonato; lui, si augurano che viva, naturalmente; quanto a me, invece, aspettano che muoia. Io li avevo tirati su con fatica enorme, lui se li è guadagnati con poca spesa: io mi prendo tutte le disgrazie, lui si gode tutte le gioie. Su, su, visto che mi sfida, proviamo a vedere invece cosa riesco a combinare con una lusinga o con un gesto benevolo. Anch’io desidero essere amato e stimato dai miei cari: se questo si ottiene con la generosità e con la compiacenza, non resterò indietro. Mi mancherà il denaro? Vecchio come sono non me ne importa nulla. • ratio significa anche “calcolo, conto” + subdūco, subdūcis, subduxi, subductum, subdūcĕre significa “sottrarre”, quindi per subducta ratione (ablativo di qualità) s’intende l’azione di colui che fa i calcoli togliendo la parte del creditore – si parte da un’espressione che significa “togliere il debito”, e dato che da questa operazione veniva calcolato il patrimonio, il significato più comune è diventato generalmente quello di “fare i conti”, che si può associare anche figurativamente al significato di “fare i conti con la propria vita” • non multum abest quin, quin si trova in dipendenza dai verba impediendi (absum, abes, abfui, abesse = “non esserci, essere assente”; “non essere d'aiuto”, “astenersi, avversare, essere alieno”) • prima aggettivo superlativo (il comparativo è prior), “qualcosa che sta davanti”, cioè che è più importante • decurso spatio = “corso lo spazio del tempo”, metafora applicata al tempo, immagine della vita come una corsa → una metafora simile si trova anche in Orazio (punctum tempori, applicazione di un ambito spaziale ad un ambito temporale) • egit vitam = “vivere la vita”, figura etimologica applicata all'oggetto interno, espressione colloquiale • facilitate esse = “essere facile” ma anche “essere pronto a donare”, legato all'ambito morale e del comportamento contrapposizione tra un comportamento egoistico, quello di Micione – insistenza sul pronome della 3^ persona – tuttavia il risultato è che gli altri lo amano e lo apprezzano perché si era dedicato alla il comportamento di Demea, che ha fatto molti sacrifici per i suoi figli – considera il matrimonio come un male ed i figli come delle preoccupazioni (tema tipico della commedia) – si descrive attraverso 6 aggettivi, possediamo il modello greco da cui sono desunti, il frammento paticizzazione • dopo Accio, la composizione e rappresentazione di tragedie s’interrompe; riprenderà solo con i tentativi del Tieste (circolo di Mecenate) e della Medea di Ovidio ma casi singolari • le tragedie di Seneca sono tutte cothurnatae tranne una praetexta (Octavia, però di dubbia autenticità) • mancanza di teatri stabili a Roma fino al 55 a.C.+ commedia e tragedia caratterizzate da parti cantate dal coro → orchestra = piccolo palcoscenico rialzato, il coro assume un ruolo minore rispetto a quello che aveva avuto in Grecia, le parti cantate spesso vengono affidate solamente al capocomico • la letteratura in età neroniana è spesso definita “espressionista” – gli autori principali sono Petronio e Seneca: la loro formazione prevedeva esercizi retorici proginnasiali, consistenti nella descrizione di personaggi o in etopee (= immedesimazione nell’indole e nel carattere dei personaggi) – nel I secolo d.C. si sviluppa uno stile nuovo, contrapposto allo stile ciceroniano (I secolo a.C.) → la frattura si avverte già in Seneca filosofo; Tacito è il frutto compiuto di questa nuova forma educativa Seneca tragico • non vi è alcuna documentazione riguardante la rappresentazione delle tragedie senecane, si deduce quindi, anche in base all’analisi della loro forma e del loro stile, che non fossero nate per l'effettiva rappresentazione, ma per la lettura – non vi sono dati paratestuali né indicazioni di storici che collochino le opere di Seneca in un periodo cronologico preciso c'è chi colloca le tragedie nell'ultimissimo periodo della vita di Seneca (62-65 d.C., dal ritiro alla morte) tragedie = opposizione e critica al potere, quindi a Nerone c'è chi colloca le opere tra il 49 e il 54 d.C., periodo in cui Seneca affianca il futuro princeps al governo e gli fa da precettore tragedie = monito Parallelismo tra temi De ira • controllo delle passioni • senso del limite Tragedie sono temi che possono assumere una forma mitologica (tragedia) ed essere educativi (limiti che il principe non deve superare) De clementia • clementia = filantropica benevolenza, valore proprio del perfetto principe, di cui viene indicato il modello ideale, cioè Augusto • il dono deve avere dei limiti: se si fa un dono che non può essere contraccambiato, esso non rientra più in un rapporto che consente la libertà, ma piuttosto in uno che implica invece la sudditanza Tragedie • il tema tipico delle tragedie di Seneca è politico; esse sono fortemente “retorizzate” ma intrise al contempo di caratteri filosofici • l'obiettivo di Seneca è quello di usare una forma letteraria che produca subito consenso non solo all’interno dell’élite intellettuale, ma anche nel popolo (già Augusto aveva immaginato un teatro volto alla propaganda e all'ottenimento del consenso) • il I coro delle Troades di Seneca, successivo al monologo iniziale dell’autore, rappresenta l'invidia per Priamus beatus – “Priamo è morto, beato Priamo”: beato perché non vede la sua città distrutta, non deve subire il rapimento da parte dei vincitori – dopo la morte, Priamo è finito nei Campi Elisi → ottica di tipo stoico, idea che ci sia una vita per le anime dopo la morte • il II coro delle Troades di Seneca si augura che non ci sia nulla dopo la morte: in un quadro di estrema sofferenza, anche la morte diventa fonte di dolore ed è quindi preferibile che dopo essa non vi sia più nulla – morte di Astianatte = impossibilità di rinascita per i Troiani, rappresenta-zione dell'idea che dopo la morte è auspicabile che ci sia il nulla – l’azione drammatica in letteratura non è da interpretare come filosofia (al massimo è la filosofia che viene utilizzata a fini drammatici) → non bisogna quindi ritenere che Seneca fosse diventato epicureo, gli interessa piuttosto riflettere in generale sul tema della Fortuna, non sulla morte • le tragedie di Seneca sono retoriche ma al loro interno vi sono degli elementi che insidiano il dubbio negli studiosi – egli rispetta tutte le norme del teatro greco, quindi tutte le sue opere teatrali sono teoricamente rappresentabili – i cori non hanno una funzione drammatica, ma di riflessione filosofica (esempio: nella Medea viene affrontato il tema della navigabilità: “è lecito attraversare il mare?”) – tendenza ad amplificare i monologhi (esempio: l'Edipo si apre con un lungo monologo, vv. 1-81) + tendenza a ricadere nel monologo anche quando c'è un dialogo, finisce che uno dei due personaggi fa da “spalla” – manca l'elemento dell'azione drammatica + si viene subito a conoscenza di chi sia il colpevole (esempio: Edipo, il protagonista rivela al suo pubblico già al v. 36, nel dialogo con Tiresia, che è stato lui a provocare la peste a causa dell'assassinio di Laio) → alla base delle tragedie senecane c'è una storia fondata sulla logica, sulla raccolta degli indizi, i personaggi non credono a ciò che viene detto dagli oracoli se non c'è riscontro con la realtà concreta – per compensare lo svelamento iniziale del colpevole, l’autore introduce una serie di elementi “ritardanti” (= che rimandano progressivamente il raggiungimento dell'effettiva risoluzione finale) • Edipo è una tragedia narcisistica, troppo incentrata sul protagonista, che rappresenta simbolicamente il ruolo isolato del principe e del suo potere → è Giocasta a ricordare ad Edipo di dover adempiere al suo ruolo di governatore • T.S. Eliot scrisse un saggio sull'influenza di Seneca nel teatro inglese, Shakespeare and the Stoicism of Seneca (1928) – sostiene che nelle opere dell’autore latino tutto venga riportato nell'interiorità psichica, cioè che tutto si svolga all'interno del personaggio → non è un movimento di azione drammatica – il teatro classico evitava l'uccisione dei personaggi in scena, mentre quello di Seneca e quello inglese le uccisioni vengono rese esplicite, portando la violenza sul palco • a partire dalla Seconda Sofistica (in particolare da Luciano, che scrisse opere paratragiche), il coro riceve un minore spazio; nella tragedia Phoenissae non sono presenti cori Seneca non ha finito di oppure il testo giunto fino a noi è un testo di scena: scrivere la tragedia: il tragediografo scriveva prima il testo della tragedia e poi i cori in quanto essi non hanno una parte fondamentale nello sviluppo della storia per la rappresentazione in teatro venivano eliminate le parti corali e rimaneva solo la parte dialogica, funzionale alla lettura da parte degli attori (chi prende in mano la rappresentazione ne esclude tutto ciò che non serve per quella scena) • Seneca parte da un tema tragico greco e lo riscrive – Phaedra, già dal titolo viene individuato il ruolo della protagonista; Seneca si differenzia dal modello (Ippolito di Euripide) mettendo in scena l'eroina anziché l’eroe (influenza ovidiana: Heroides, IV) Ippolito di Euripide Phaedra di Seneca • viene presentata la contrapposizione tra Ippolito (amante della caccia che rispetta Diana, personag-gio puro che preferisce lo sport ai piaceri) e Fedra (matrigna che s’innamora di Ippolito e si suicida impiccandosi affidando ad una lettera un'accusa nei confronti di Ippolito) → il padre Tesio, di ritorno, punisce Ippolito facendolo uccidere da un mostro marino scatenato contro il giovane da Poseidone • non viene trattato il tema dell'incesto: Fedra è matrigna di Ippolito, non c'è legame di sangue tra i due • nell’ultima scena Ippolito, straziato ma continuando a recitare, impone un confronto con il padre, il quale è costretto ad ammettere il suo errore • Seneca fa in modo che il suicidio di Fedra avvenga dopo la maledizione da parte di Tesio nei confronti del figlio e lo straziamento del corpo del giovane da parte del mostro marino → Fedra si suicida in scena con una spada dopo aver confessato a Tesio la sua colpa, ammettendo che Ippolito era innocente • la legislazione augustea aveva modificato il concetto di incesto, anche l'adulterio con la matrigna viene considerato tale → Seneca pone in rilievo quest’azione contro natura • il finale in Seneca viene modificato sia per la morte in sé (inflitta con la spada anziché per impiccagione), sia per il fatto che la morte dell'eroina viene realizzata in scena → suicidio per impiccagione = forma di debolezza vs uso della spada = forma di eroismo → il suicidio con la spada da parte delle eroine è tipico della tradizione mitologica di Roma (es. Didone, Lucrezia) Edipo di Sofocle Edipo di Seneca • la peste viene descritta in pochi versi (vv. 22-31), in particolare la descrizione vera e propria riguarda solamente un paio di versi, mentre i restanti descrivono la sterilità che colpisce tutte le forme di vita • si limita ad evocare l'idea della sfinge e del suo enigma • Tiresia, pur essendo cieco, è certo di come siano andate le cose ed accusa Edipo di essere lui l'autore dell'omicidio • insiste sul tema della peste (vv. 37-70), riprende elementi dalla tradizione (Lucrezio, Tucidide, Ovidio) – la descrizione s’inserisce nella parte iniziale di un monologo sull'ambiente deserto – eclissi = il sole si nasconde a causa delle colpe degli uomini • descrizione in dettaglio delle caratteristiche della sfinge (tratto da Euripide) • Tiresia è incerto, deve ricorrere al sacrificio e, dato che nemmeno questo porta a buoni risultati, evoca il fantasma di Laio – topos della catabasi, rappresentazione dell'Ade, i cui accessi si trovano nella parte più nera del bosco – sono frequenti azioni che ritardano la risoluzione, atmosfera di continuo dubbio e ricerca – per quanto riguarda il termine vagans, i rami della tradizione non sono in accordo tra di loro → un altro testimone riporta vacans: non è quindi una questione prosodica o metrica, non ci sono prove che portino meccanicamente a scegliere una lezione piuttosto che un'altra → vagans sottolinea il fatto che Edipo è andato via da Corinto ed ha iniziato a girovagare, pone in evidenza il concetto della fuga vs vacans pone in evidenza il concetto del disimpegno (vacatio = pensione, quindi vacans è colui che non svolge un'attività pubblica) → si deve optare per la lectio difficilior: un copista di norma tende a rendere più facile un testo quando incontra termini difficili, che non conosce e quindi la parola più rara viene sostituita con una parola più semplice; tra il concetto di vagare e quello di vacare, il più semplice è l'ultimo • Delphicae laurus = ”i lauri di Delo”, metonimia che si riferisce agli oracoli di Delfi • patre mactato, lett. “il padre ammazzato”, in italiano reso con “l'uccisione del padre” – macto, mactas, mactavi, mactatum, mactāre è un verbo pertinente alla sfera religiosa, in particolare al sacrificio, e significa “onorare, celebrare, sacrificare, immolare, consacrare agli dei” Oedipus , vv. 19-27 Pro misera pietas (eloqui fatum pudet), thalamos parentis Phoebus et diros toros 20 gnato minatur impia incestos face. Hic me paternis expulit regnis timor, hoc ego penates profugus excessi meos: parum ipse fidens mihimet in tuto tua, natura, posui iura. Cum magna horreas, 25 quod posse fieri non putes metuas tamen: cuncta expavesco meque non credo mihi. O infelice affetto figliale (mi vergogno a riferire il vaticinio): Febo minaccia al figlio il talamo del padre e un maledetto giaciglio, incestuosi per empie nozze. Questo timore mi ha fatto fuggire dal regno paterno, per questo come un fuggitivo ho abbandonato la casa dei miei: poco fidando di me stesso, ho posto al sicuro le tue leggi, o natura. Quando hai orrore di cose terribili, temi pure ciò che non pensi possa accadere. Io temo ogni cosa, e non ho fiducia neanche in me stesso. • thalamus, -i = “letto nuziale” + parentis = “del padre” • fax, facis = “fiaccola”, è anche metonimia per “matrimonio”poiché è un simbolo che ci si scambia durante le nozze • terminologia di ambito religioso: dirus = “funestro, sinistro”, aggettivo legato ad un potere soprannaturale, divino, a qualcosa di eccezionale + impia (face) = “sacrilego, empio, scellerato, calamitoso, funesto” • hoc (v. 23) è una congettura (= correzione) di Benkley: il filologo interviene perché entrambi i testi tramandati dalla tradizione riportano un elemento che non ha senso all'interno del contesto – le congetture hanno valore indiziario, ovvero suscitano un'idea, indicano che c'è un problema con il testo e suggeriscono una soluzione ma non hanno lo scopo di affermare che la correzione fosse quello che Seneca avesse scritto in realtà • non solo le leggi morali, ma anche quelle fisiche della natura sono sconvolte • l’insistenza sui verbi e sui sostantivi del timore è una caratteristica dell'Edipo di Seneca a differenza di quello sofocleo, sottolineano il concetto della paura: timore e orrore vengono percepiti come qualcosa che vanno al di là del razionale – expăvesco, expăvescis, expavi, expăves-cĕre (incoativo del verbo paveo) = “spaventarsi, indietreggiare dal terrore” verbo credo utilizzato con il dativo mihi (intransitivo) credo mihi = “credo a me stesso” con l'accusativo me (transitivo) me credo = “mi affido” → meque non credo mihi, Edipo non vuole affidarsi a se stesso + non crede in se stesso 22/11/2018 • visione soggettiva dell'ambiente influenzato dal male, espresso anche dal sole incerto che illumina la città – introduzione del tema del regno e della contaminazione provocata dal parrici-dio e dall'incesto + viene ripreso il concetto del timore che caratterizza Edipo Oedipus , vv. 28–36 Iam iam aliquid in nos fata moliri parant. Nam quid rear quod ista Cadmeae lues infesta genti strage tam late edita 30 mihi parcit uni? Cui reservamur malo? Inter ruinas urbis et semper novis deflenda lacrimis funera ac populi struem incolumis asto – scilicet Phoebi reus. Sperare poteras sceleribus tantis dari 35 regnum salubre? Fecimus caelum nocens. Infatti che cosa dovrei pensare del fatto che questa peste, ostile alla stirpe di Cadmo, nonostante la strage si sia così largamente diffusa, risparmia solamente me? Per quale sventura vengo riservato? Tra le rovine della città, tra tante morti piante con sempre nuove lacrime, e i cumuli di cadaveri io solo resto incolume, evidentemente come accusato da Febo. Potevi sperare che in cambio di tanto gravi delitti ti fosse dato un regno sano? Sono io che ho reso colpevole persino l’aria. • il valore metaforico della peste s’intuisce tramite la descrizione della contaminazione – Edipo è l'unico risparmiato dalla pestilenza: viene sottolineato il fatto che solo una persona non ne è colpita, quella che si è macchiata di una colpa, di un male incombente e sconosciuto, ancora più grave della peste, ovvero il parricidio e l'incesto • ruinas urbis = “crollo della città”, Tebe non è afflitta solamente dalla peste (anche in Troades le rovine di Troia indicano una visione di crollo orizzontale) + populi struem: nella città non ci sono costruzioni, bensì “cumuli di cadaveri” nocens “dannoso”, “funesto” “colpevole”, “scellerato” fecimus nocens “io ho reso il cielo funesto” “il cielo è causa di rovina” • Edipo si sente colpevole della pestilenza fin dall'inizio, anche se non ne conosce la ragione: in Seneca cambia l'atteggiamento di Edipo rispetto al modello greco, il dramma è interiore ed è causato dalla consapevolezza della colpa, anche se non ben identificata Oedipus , vv. 307–320 TI. Quid flamma? Largas iamne comprendit [dapes? TI. E la fiamma? Già avvolge il ricco pasto rituale? MA. In un attimo ha brillato di luce e in un attimo MA. Subito refulsit lumine et subito occidit. TI. Utrumne clarus ignis et nitidus stetit rectusque purum verticem caelo tulit 310 et summam in auras fusus explicuit comam? An latera circa serpit incertus viae et fluctuante turbidus fumo labat? MA. Non una facies mobilis flammae fuit: imbrifera qualis implicat varios sibi 315 Iris colores, parte quae magna poli curvata picto nuntiat nimbos sinu (quis desit illi quive sit dubites color), caerulea fulvis mixta oberravit notis, sanguinea rursus; ultima in tenebras abit. si è spenta. TI. Il fuoco si è levato luminoso e nitido e diritto ha rivolto intatto il suo vertice al cielo, e riversandosi nell’aria ha dispiegato in alto la sua chioma? O incerto sulla via da prendere, serpeggia intorno ai fianchi e vacilla torbido, con vampate di fumo? MA. La fiamma incostante non si è presentata con un solo aspetto: come si ammanta di vari colori Iride portatrice di pioggia – che annuncia nuvole di pioggia, ricurva per gran parte del cielo col suo arco variopinto (e non saresti sicuro di quale colore le manchi, e quale abbia con sé) – la fiamma cerulea, mista a striature rossastre si levò errante, quindi colore del sangue; infine diventa nera come la tenebra. • Tiresia è cieco e la figlia Manto ha la funzione di fare da occhi al padre, descrivendogli la scena • la lettura degli auspici era divisa in pyrospicio (= analisi della fiamma), lectispicio, avispicio (= ana-lisi del volo degli uccelli) – elemento fortemente romano nella descrizione di questo sacrificio – l'analisi della fiamma non è positiva: Tiresia presenta a Manto 2 possibilità (utrum... an..., interrogativa diretta disgiuntiva) per farsi spiegare dalla figlia quale sia l’aspetto assunto dal prodigio → “la fiamma incostante non si è presentata con un solo aspetto”, ha avuto una varietà di colori differenti (cerulea e rossastra, sanguinea, nera), non si è levata dritta verso il cielo (oberravit) → sanguinea, il colore sanguigno è evocativo della strage causata da Edipo, richiama l'idea della peste + in tenebras, evoca il paesaggio della morte → dalla lettura degli auspici emergono vari elementi riconducibili al mito di Edipo (incertezza ed indeterminatezza di colore = incesto) Oedipus , vv. 321–333 Sed ecce pugnax ignis in partes duas discedit et se scindit unius sacri discors favilla – genitor, horresco intuens: libata Bacchi dona permutat cruor ambitque densus regium fumus caput 325 ipsosque circa spissior vultus sedet et nube densa sordidam lucem abdidit. Quid sit, parens, effare. TI . Quid fari queam inter tumultus mentis attonitae vagus? Quidnam loquar? Sunt dira, sed in alto mala; 330 solet ira certis numinum ostendi notis: Ma ecco che il fuoco, vigoroso, si divide in due parti e la fiamma di un solo sacrificio si divide, discorde da se stessa – inorridisco, padre, alla vista: in sangue si trasformano i vini donati in libagione a Bacco, e un denso fumo circonda il capo del re e si ferma più denso intorno ai suoi stessi occhi, e nasconde con la sua densa nube la luce, divenuta nera. Padre, dimmi che cosa significa ciò. TI . Cosa potrei dire, indeciso tra i tumulti della mia mente stordita? Che dire? Sono mali mostruosi, ma nascosti nel profondo; l’ira degli dei si mostra di solito con segni certi. Che è mai questo, che vogliono sia svelato, e → Lesbia è rappresentata come un'esponente della cultura ellenizzata di Roma (e quindi dell’urbanitas), in opposizione a tutto ciò che è rusticus → Catullo utilizza spesso l'ironia, ad esempio nella sua età si assistette ad una riforma della grafìa che introdusse nell'alfabeto latino le mute aspirate (ch, ph, th) per riprodurre le parole greche, così Ario, nel Carme 84, finisce per aspirare a caso poiché non ha compreso la riforma, rientrando nella categoria dello sgraziato che non ha compreso la cultura ellenizzante – nella sua autorappresentazione, Orazio afferma di aver portato per prima volta a Roma i versi lesbici (= del dialetto dell’isola di Lesbo) • quella di Catullo non è solo una poesia dell'io, è anche un tipo di letteratura latina scritta che si confronta con la letteratura alessandrina – la ricerca della forma nella poesia da adottare si basa anche sull’opposizione formale e di contenuto tra epica e lirica – ha come modello di riferimento anche la lirica greca arcaica (varie forme metriche che presuppongono il canto) 23/11/2018 • la poesia lirica di Orazio invece è più una poesia del “tu”, che prevede cioè un dedicatario con il quale si istituisce un dialogo; in particolare si confronta con Alceo, autore greco del VII-VI secolo a.C. che aveva composto opere di poesia simposiaca (simposio = luogo culturale di ritrovo dell’élite intellettuale) e politica → poesia d’occasione nata all'interno di un gruppo scelto • Orazio raccoglie la sua opera lirica in due raccolte, una formata da 3 libri e composta tra il 30 e il 23 a.C. + libro finale scritto nel 13 a.C. per volere di Augusto – l’autore, durante le guerre civili, si arruolò nell’esercito di Bruto, inizialmente quindi non era in linea con la politica di Ottaviano – Orazio aveva poi ottenuto da Ottaviano il permesso di rientrare a Roma ed era in seguito entrato a far parte del circolo di Mecenate, il quale gli aveva donato una villa in Sabina (33 a.C.), che era quindi diventata luogo della poesia → parte dal reimpiego di metri lirici che avrebbero previsto la musica ed un determinato contesto, tuttavia non ci sono prove di una composizione musicale per i versi oraziani – si dedicò ad una poesia evocativa, che richiede un'occasione: l’uso del metro lirico evoca già in sé una situazione metasimposiale → il simposio non solo è evocativo di una tradizione letteraria, ma anche di un luogo simbolico, uno spazio protetto dove si costituiscono le amicizie e si coltivano i piaceri della poesia → tempo e spazio acronici ed assoluti → luogo fondamentale anche per lo sviluppo sociale di Orazio (di umili origini, grazie ad esso s’inserisce nell’élite intellettuale romana) → al simposio si oppongono gli spazi aperti dove è facile incontrare il pericolo o le passioni turbatrici → paure dell'assedio di tempo e spazio – negli Epodi non si rappresenta come qualcuno legato alla parte dei cesaricidi, bensì come un poeta che si è trovato in una situazione di contrasto, collocandosi idealmente nella sequela di Archiloco (poesia giambica, espressiva e di denuncia) ed Alceo → nell’epodo 7 l'autore rimprovera i concittadini che combattono tra loro ed individua la causa remota delle guerre civili nell'antico fratricidio commesso da Romolo → nell’epodo 16, considerando ormai certa la rovina della patria, invita i migliori tra i Romani a seguirlo in un'utopistica fuga verso le isole dei beati, dove permane la condizione dell'età dell'oro → ad un momento successivo (preparativi per la battaglia di Azio) riportano gli epodi 1 e 9: nel primo, che funge da dedica a Mecenate, il poeta assicura amicizia e lealtà al patrono e ad Ottaviano, mentre nel nono schernisce gli avversari di Ottaviano e si prepara a brindare alla sua vittoria Orazio assume il ruolo del vates (= poeta ispirato dalla divinità), amplificando la sua angoscia e la sua disperazione per la situazione politica • con il passaggio dagli Epodi alle Odi si passa anche da un'aspirazione arcaica ad un’aspirazione pindarica: l’intento dell’opera diventa celebrativo Odi • l'incipit si apre con una riflessione sul tema letterario e con la dedica a Mecenate; Orazio s’interroga inoltre su quale sia la migliore scelta di vita tra: τιμή = onore χρήματα = denaro ἡδονή = piacere (Epicuro) – nel Sogno di Scipione di Cicerone si salva l'anima il filosofo poiché sta sopra di tutto, ma Orazio non può proporre questa visione perché non è un filosofo, bensì un poeta, anzi un lyricus vates → al posto dell'ideale di vita filosofica Orazio colloca l'ideale di somma poesia – l’Orazio-poeta non ama la folla, così come Callimaco (tema ripeso anche da Lucrezio nel proemio del libro IV) → si propone di usare una poesia diversa dalle altre, coerentemente all’ideale callimacheo di una poesia nuova che lo distingua dalla folla + vuole fare anche una poesia Lesboum barbiton, riprendendo la lirica di Saffo ed Alceo, poeti di Lesbo, ed afferma che la propria poesia è talmente elevata da rientrare in questi canoni • la poesia lirica di Orazio ha funzione celebrativa, ma anche di liberazione delle ansie, di creazione di spazi ideali, di rendere eterno il proprio nome di poeta Ode a un ragazzo (I, 38) • è un carme di congedo, che chiude il primo libro delle Odi, e come tale va valutato in relazione ai temi svolti nel libro ed alla poetica che lo ispira – Orazio, nell’ode che apre il libro, ha presentato una serie di possibilità di vita prospettate in una Priamel che culmina nella sua scelta personale, quella di una vita dedicata alla poesia, in una dotta operazione di poetica che importa nel suo tempo i temi che erano stati della grande poesia di Lesbo – l’ode che chiude il libro sembra parlare di altro: rivolto allo schiavo che gli sta preparando la tavola, Orazio raccomanda di evitare anche il modesto lusso di corone intrecciate con fili di tiglio o rose; solo il mirto, caro alla dea dell’amore, potrà rallegrare il poeta che si accinge a bere sotto un ristretto pergolato → ideale di semplicità = cifra della vita di Orazio e della sua poesia, per questo può chiudere un libro di odi che con un manifesto di poetica si era aperto • philyra, -ae = filamenti bianchi ricavati dai ramoscelli di tiglio utilizzati per intrecciare corone • in questo componimento Orazio esprime il suo rifiuto per la scelta di vita dedicata alle ricchezze: il poeta si preoccupa affinché alla sua tavola non si aggiunga nulla al semplice mirto – pianta sempreverde, la povertà è riscattata da un altro elemento, ovvero l'eternità → l’idea di eternità viene espressa anche nella scena della Cena di Trimalcione (Satyricon di Petronio), dove fa la sua comparsa uno scheletrino di argento, un oggetto apotropaico che funge da memento mori → il mirto, sacro a Venere, dea dell’amore, è adeguato sia al puer a cui il carme è rivolto, sia al poeta che canta l’amore beve solo sotto controllo + anche la determinazione del pergolato ristretto (sub arta vite) è coerente con la scelta di semplicità che si addice al poeta come al suo servo • mitte sectari: imperativo seguito da infinito, grecismo sintattico • curo regge la volitiva nihil adlabores, con il congiuntivo senza ut; adlaborare è un verbo raro, deriva da cum labore addere = “aggiunere qualcosa tramite uno sforzo” • il vino rivela gli innamorati, quindi è il ministro del banchetto a decidere chi far bere: viene ripresa la tradizione lirica greca, dove il παῖς era il servo che aiutava nella preparazione del banchetto • Pasquali e Frenkel ritengono che questo carme abbia come tema il vino e il banchetto, ma anche la poesia, e che quindi sia un carme con funzione metaletteraria e metasimposiale, rappresentativo della semplicità in sé – è quasi un epigramma per la brevità, è costituito da 2 strofe indipendenti l'una dall'altra → nella 1^ si parla di quale sia la vita che il poeta non si desidera → nella 2^ il poeta parla dell’ideale di vita che desidera, ovvero la vita semplice, che sul piano simbolico-letterario è rappresentata dalla semplicità nello stile, qui introdotta dopo altre odi complicate (es.: I, 37; Ode a Cleopatra) – secondo Nisbet quella di Pasquali e Frenkel è una sovrainterpretazione; Don Fouler sostiene invece che all'interno del singolo libro vi sono delle strutture concentriche, presenti anche all'interno di tutti e 3 i libri della prima sezione → esempio: l'ultima parola del libro I è bibentem, riferito ad Orazio stesso; gli ultimi verso evocano l’immagine di un ambiente esterno, probabil-mente la villa in Sabina, con il poeta che beve (rinvio tematico al simposio) • Callimaco ep. 28 pf HE 104 ss., “Detesto il poema ciclico” – si riferisce a quei poemi che ebbero l’intenzione di proseguire la tradizione omerica; anche Orazio usa verbi forti, ma per esprimere il rifiuto di una certa scelta di vita, s’inserisce all'interno di questa tradizione Ode a Leuconoe (I, 11) • Leuconoe è una ragazza dalla mente candida che si affida a dei metodi magici per cercare di prevedere il futuro, ma Orazio la invita a lasciare perdere queste pratiche – “candida” inteso come “ingenua”: l'ingenuità risiede nel cercare di conoscere ciò che non è possibile conoscere, in quanto ciò che accadrà nel futuro lo possono sapere solo gli dei (intesi come tutto ciò che è superiore agli uomini) • oppositis debilitat pumicibus mare Tyrrhenum = “contro opposte scogliere affatica il mare Tirreno”, Orazio rovescia l'immagine che ci si sarebbe aspettati, creando una forma di inatteso: di solito è il mare che si infrange contro gli scogli, mentre in Orazio accade il contrario, sono le scogliere che affaticano il mare e hanno parte attiva nell’azione • non bisogna guardare al futuro (la spes è l'attesa delle cose future), bensì bisogna concentrarsi su uno spazio limitato e breve del nostro tempo, sul presente – fugerit è un futuro prossimo, rende l’idea di come l'azione si sia già conclusa prima ancora di finire di parlare – aetas = tempo individuale, da essa bisogna afferrare il dies, l’oggi, godersi la vita giorno per giorno fidandosi poco del futuro → credulus è colui che si fida troppo e va oltre ai limiti imposti dal senso comune – loquimur è riferito anche alle chiacchiere che rendono piacevole il simposio • il componimento inizia con indicazioni negative sia per la forma (ne quaesieris, scire nefas, nec ... temptaris...), sia per significato (Ut melius, quidquid erit, pati. Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam), per mettere in evidenza il messaggio di