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Appunti delle lezioni di Diritto della Previdenza Sociale della Prof.ssa Barbara Maiani, Anno Accademico 2015/2016, Appunti di Diritto della Previdenza Sociale

Il presente documento affronta i principali istituti previdenziali del sistema italiano, partendo da una analisi storica dei diversi sistemi di welfare state

Tipologia: Appunti

2015/2016

In vendita dal 23/09/2016

valeriocaracciolo93
valeriocaracciolo93 🇮🇹

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Scarica Appunti delle lezioni di Diritto della Previdenza Sociale della Prof.ssa Barbara Maiani, Anno Accademico 2015/2016 e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia Dipartimento di Giurisprudenza Corso di laurea in Scienze Giuridiche dell’Impresa e della Pubblica Amministrazione Appunti delle lezioni di Diritto della Previdenza Sociale Prof.ssa Barbara Maiani Pepe Valentina, Caracciolo Valerio e Barbieri Marco Anno Accademico 2015/2016 1 I SISTEMI DI PREVIDENZA SOCIALE Ne esistono diversi, il nostro sta cambiando. Quando parliamo di previdenza sociale ci riferiamo al complesso di norme ed istituti che lo Stato predispone al fine di garantire la tutela dei lavoratori al verificarsi di determinati eventi. Inizialmente questo sistema si basava sul concetto per cui quando il lavoratore perdeva un guadagno, a prescindere dalla gravità, il sistema di previdenza sociale entrava in azione. Questo ha portato a diversi eccessi nel nostro sistema per cui gli istituti tipici della previdenza in realtà sono diventati istituti di assistenza sociale. Dagli anni ’80 il concetto è cambiato e quindi l’evento tutelato è la perdita di capacità di lavoro (non più la perdita di guadagno, la quale resta in parte tutelata ad esempio tramite gli ammortizzatori sociali) ed il sistema di prevenzione sociale entra in azione in questi casi. I soggetti tutelati sono: - I lavoratori subordinati. Sono quelli che godono delle maggiori tutele perché sono i soggetti deboli. Sono tutelati dal datore di lavoro e da eventi che possono pregiudicare la loro capacità di lavoro; - I lavoratori autonomi; - I lavoratori parasubordinati. I modelli sono principalmente di 3 tipi: 1. Modello universalistico. È nato in Gran Bretagna e ora presente nei paesi scandinavi. Lo Stato copre tutti i lavoratori e garantisce tutte le tutele. In questo modello si uniscono sia il sistema di previdenza sociale sia quello di assistenza sociale. Il modello universalistico è rivolto sia a tutti i lavoratori che a tutti i cittadini: la previdenza si rivolge a tutti i lavoratori, l’assistenza a tutti i cittadini, anche quelli non residenti a prescindere dal reddito percepito. Tuttavia, questo modello presuppone una cosa: tutti devono pagare le tasse, ci deve essere un sistema fiscale forte e quindi l’evasione fiscale deve essere ridottissima. 2. Modello assistenziale o residuale. È il sistema americano. Lo Stato si disinteressa dei bisogni dei lavoratori e dei cittadini. La logica è quella per cui se lavori non versi i contributi, ma il tuo reddito è tale per cui devi, con quel reddito, assicurarti le tue tutele attraverso sistemi di previdenza privati: nell’ambito della negoziazione dello stipendio, viene stabilito un importo destinato a forme di assistenza e previdenza integrative il quale viene versato ad assicurazioni private, non allo Stato. Il lavoratore potrebbe anche scegliere di non aderire a quelle forme di previdenza ed avere un reddito più alto, cosa che non è possibile in Italia. I bisogni che soddisfatti da questo modello sono la capacità lavorativa per esempio. Questo modello lascia al cittadino-lavoratore il compito di occuparsi delle proprie tutele e lo Stato si occupa delle fasce più povere. Chi lavora ha maggiori possibilità di avere tutele. 3. Modello di Welfare State corporativo o Bismarkiano. È il nostro modello. Qui interviene lo Stato, ma i primi soggetti sono i lavoratori e i datori di lavoratori e le prestazioni a cui hanno accesso sono diverse in base al reddito che essi percepiscono, quindi il lavoratore con lo stipendio più alto ha diritto a tutele previdenziali più alte come importo. Se il sistema funzionasse bene non dovrebbe esserci un intervento dello Stato, cioè i contributi versati dovrebbero essere sufficienti a garantire quelle tutele minime. Gli ammortizzatori sociali in deroga intervengono su lavoratori e aziende che non hanno diritto a quella determinata assistenza perché non ha versato contributi. È un modello che si basa sul gettito proveniente dai soggetti beneficiari, ma anche dall’intervento dello Stato. 4 - Contribuzione volontaria → Essa si attua nei casi in cui volontariamente il lavoratore chiede alla fine del rapporto di lavoro di versare i contributi. N.B. Ognuna di queste tipologie esclude l’altra. Tuttavia, c’è un caso in cui la contribuzione obbligatoria si può sommare a quella volontaria, cioè quando il lavoratore ha un rapporto di lavoro subordinato part-time: volontariamente egli può chiedere di versare contributi in maniera tale da raggiungere i contributi da rapporto di lavoro full-time. Che natura hanno i contributi? Sono considerati imposte speciali perché dal 1996 per qualsiasi di rapporto di lavoro sorge l’obbligo contributivo e quindi c’è un’imposizione da parte dello Stato. Hanno già una destinazione definita che va a soddisfare un bisogno o una prestazione previdenziale. Per quanto riguarda il rapporto di natura previdenziale, ci si è posti il problema in dottrina se il rapporto di lavoro avesse affinità al rapporto assicurativo. La tutela del lavoratore va oltre a quelli che sono i principi di assicurazione privata. I contributi, sotto il punto di vista della previdenza e dell’assistenza, possono essere equiparati ad una forma di risparmio? Sì e in parte lo sono anche per i lavoratori, mentre per i datori di lavoro sono un costo. LA CONTRIBUZIONE IN GENERALE La contribuzione versata ai fini previdenziali/pensionistici (IVS) è quella più importante in termini di percentuale ed è spesso l’unica contribuzione che viene imposta a carico del lavoratore ed è uguale per tutti i lavoratori subordinati e nel totale ammonta al 33% dell’imponibile previdenziale. L’imponibile previdenziale è l’ammontare della retribuzione su cui devono essere calcolati i contributi. Prende la sua definizione dall’imponibile fiscale, cioè tutte le somme e i valori a qualunque titolo percepiti dal lavoratore, comprese le erogazioni liberali e in natura in relazione al rapporto di lavoro nel periodo d’imposta (Testo Unico delle Imposte sui Redditi). Su quella base, il 33% dei contributi che devono essere versati vengono versati ai fini pensionistici. Ci sono anche le assicurazioni minori che gravano sempre sullo stesso importo e che paga il datore di lavoro (garanzia TFR, CIG, CIGS, mobilità, malattia e maternità). È possibile avere una riduzione della contribuzione in 2 casi:  Contratto di apprendistato  Assunzioni di lavoratori che beneficiano di sgravi per l’iscrizione alla lista di mobilità In questi casi la contribuzione passa al 5,84% e diminuisce anche quella a carico del lavoratore. Le assicurazioni minori sono generalmente sgravate. Quando viene sgravata l’IVS, non necessariamente questo incide anche sulle assicurazioni minori. MINIMALE CONTRIBUTIVO E MASSIMALE CONTRIBUTIVO Il minimale contributivo risponde all’art. 38 Cost. il quale dice che ogni lavoratore inabile a causa di malattia, maternità o vecchiaia abbia diritto all’assistenza e ha diritto a trattenere il suo posto di lavoro. Quel lavoratore che in quel momento ha bisogno di una retribuzione deve avere una contribuzione che gli permetta una vita dignitosa anche in ambito previdenziale. Il punto di riferimento sulle retribuzioni è il contratto collettivo in assenza di una disposizione di legge, poi su quella contribuzione si vanno a calcolare i contributi. Laddove la retribuzione sia sotto una determinata 5 soglia, il legislatore obbliga il datore di lavoro a versare una contribuzione più alta di quella che sarebbe dovuta. Ogni anno l’INPS comunica i nuovi livelli di minimale. Il minimale contributivo funziona mensilmente (non giornaliera) per i lavoratori iscritti alla gestione separata INPS (collaboratori e partite IVA ma che non hanno una cassa integrazione). Nel 1995 la riforma attutata con la legge 335/1995 ha introdotto un concetto in più: il massimale contributivo. Il motivo era per le pensioni d’oro generate anche dall’assenza di un massimale contributivo. Non essendoci un tetto massimo, la pensione poteva essere tanto alta quanto lo era la retribuzione. Il legislatore fissa un massimale che ogni anno viene aggiornato in modo che il lavoratore che arriva ad una retribuzione corrispondente al massimale, si ferma la contribuzione IVS che serve per le pensioni per evitare trattamenti pensionistici troppo alti. Il concetto di massimale introdotto dal 1 gennaio 1996 si applica solo ai lavoratori che hanno iniziato a lavorare dopo tale data, cioè solo ai lavoratori i quali hanno un’anzianità assicurativa che parte dopo tale data, mentre il minimale si applica a tutti. La riforma si applica anche a coloro che, quando andranno in pensione, opteranno per un sistema di calcolo solo contributivo. Prima del 1 gennaio 1996 il sistema di calcolo era di tipo retributivo in cui il punto di riferimento era il tipo di retribuzione che si percepiva negli ultimi 3 anni. Ci sono casi ibridi. A questi soggetti viene data la possibilità di optare per un ricalcolo di tipo contributivo a sole determinate condizioni, ma ciò non è molto conveniente (c.d. opzione donna). CONGUAGLIO CONTRIBUTIVO Per chi ha soglie di reddito molto alte, viene valutato se la contribuzione versata corrisponde all’imponibile contributivo. Si fa sempre a dicembre o alla fine del rapporto di lavoro. ONERE CONTRIBUTIVO L’onere contributivo grava sul datore di lavoro e versa i contributi nel mese di competenza seguendo un criterio di competenza dal punto di vista contributivo (e non secondo un criterio di cassa). ONERE DI PAGAMENTO È a carico del datore di lavoro e i contributi devono essere versati entro il 16 del mese successivo a quello di competenza. PRESCRIZIONE DEI CONTRIBUTI INPS Si prescrivono entro il termine di 5 anni (prima era 10 anni) in base alla legge 335/95. Ci sono anche delle particolarità, le c.d. retribuzioni convenzionali, ossia quelle dei lavoratori italiani che prestano attività all’estero. Questo lavoratore che vuole o deve continuare a versare contributi in Italia non versa sulla retribuzione percepita all’estero, ma su quella convenzionale fissata anno per anno dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per dare un criterio di omogeneità. 6 ALIQUOTE CONTRIBUTIVE E INQUADRAMENTO DELLE AZIENDE Quello che fa l’INPS è la divisione delle aziende in tre macroaree: commercio, industria, artigianato. Poi ne determina le relative aliquote contributive. L’INPS decide e l’INAIL fa quello che l’INPS decide. Ci sono aziende il cui inquadramento non è così semplice: alcune hanno più inquadramenti ad esempio. LA RETRIBUZIONE IMPONIBILE AI FINI PREVIDENZIALI È importante capire il concetto di retribuzione imponibile ai fini previdenziali. È la nostra base perché su quella retribuzione andiamo a calcolare i contributi, da quella retribuzione si calcola anche l’ammontare delle prestazioni previdenziali e da quell’ammontare si ricava anche l’ammontare della pensione. La norma di partenza è il Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR) di carattere fiscale in quanto fino al 1995 c’era abbastanza confusione dal punto di vista dell’imposizione fra quelle che erano le voci per il calcolo dei contributi e quelle utilizzate per il calcolo dell’IRPEF, cioè non c’era una definizione univoca di reddito imponibile ai fini contributivi, ma c’era quella di retribuzione imponibile ai fini fiscali inserita nel TUIR. Sostanzialmente l’INPS ha seguito il dettato del TUIR. Si è deciso di procedere tramite il d.lgs. 314/97 con l’armonizzazione degli imponibili avendo così un’unica base di calcolo in modo di avere un unico punto di riferimento e di avere chiarezza. N.B. noi ci occupiamo solo del lavoro subordinato. PRINCIPI GENERALI Il principio base che viene utilizzato è l’art. 36 Cost. in base al quale Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa: questa è l’unica definizione che abbiamo, la quale però non ci fornisce un importo o un criterio di calcolo della retribuzione. Ci dà un principio di massima che ritroviamo nelle norme previdenziali. Altro riferimento è l’art 16 dello Statuto dei lavoratori in materia di trattamenti discriminatori di carattere sindacale e l’art. 2103 c.c. modificato con il Jobs Act che prevede il principio di irriducibilità della retribuzione al quale si può derogare solo con determinati accordi. Questi articoli ci forniscono principi, ma non ci danno definizioni. La retribuzione costituisce il corrispettivo per lo scambio lavoro-retribuzione e le parti stabiliscono liberamente il corrispettivo ed il contratto collettivo fissa il limite minimo. CARATTERISTICHE DELLA RETRIBUZIONE Esse sono: - Corrispettività: in cambio della prestazione lavorativa si ha una retribuzione. Esso viene meno in alcune ipotesi di materia previdenziale (es. le ferie e le prestazioni previdenziali, in cui il lavoratore ha diritto di astenersi, ma non sta svolgendo un’attività di lavoro); - Onerosità: l’attività di lavoro è di carattere oneroso; - Determinatezza e determinabilità: l’erogazione della retribuzione è un obbligo del datore di lavoro verso il lavoratore. Inoltre determinabilità vuol dire che se in un rapporto di lavoro non è determinata la retribuzione, ciò non significa che il contratto sia nullo per mancanza dell’oggetto: in 9 FORME DI RETRIBUZIONE C’è quella a tempo ossia correlata all’unità di misura temporale (ora, giorno o mese). Un esempio è il lavoro a cottimo, a provvigione e forme di retribuzione in natura. Si prende in riferimento la procedura che ha armonizzato gli imponibili. Il criterio utilizzato dal legislatore è il criterio di cassa in ambito fiscale, mentre in ambito previdenziale si applica il criterio di competenza, ma le modalità di calcolo sono analoghe → ciò vuol dire che i contributi vanno versati indipendentemente dall’erogazione della retribuzione. Il TUIR prevede che sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro. Costituiscono, altresì, redditi di lavoro dipendente: a) le pensioni di ogni genere e gli assegni ad esse equiparati; b) le somme di cui all'art. 429, ultimo comma, del codice di procedura civile (art. 49). Vi sono differenze tra reddito imponibile ai fini previdenziali e reddito imponibile ai fini fiscali. Dal punto di vista della nozione:  La retribuzione imponibile ai fini previdenziali corrisponde ai redditi che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri. Tale retribuzione è formata da tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo maturati nel periodo di riferimento, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro, al lordo di qualsiasi contributo e trattenuta. Riguardo al periodo di riferimento, si applica il principio di competenza, il quale consiste nel tener conto che nel periodo considerato per la redazione del conto economico -> l’obbligo di versamento della contribuzione sorge in relazione alle somme ed ai valori dovuti al lavoratore, anche se non erogati . fanno eccezione: - I compensi arretrati e differiti - Le componenti variabili della retribuzione  La retribuzione imponibile ai fini fiscali corrisponde a quella prevista ai fini previdenziali, ma comprende anche le pensioni di ogni genere e le somme per i crediti di lavoro. Tale retribuzione è formata da tutte le somme ed i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo d’imposta, anche sotto forma di erogazione liberale, in relazione al rapporto di lavoro. Riguardo al periodo di riferimento, si applica il principio di cassa, cioè il legislatore dà rilievo al momento finanziario dell’effettivo incasso dello stipendio o del compenso e al momento dell’effettivo esborso del costo della spesa sostenuta -> l’imposta è dovuta in relazione al momento di percezione del compenso. Fanno eccezione: - Le somme ed i valori corrisposti entro il 12 gennaio che si considerano comunque percepiti nell’anno precedente Rientrano nel reddito imponibile tutte le somme e i valori percepiti a qualunque titolo, anche sottoforma di erogazioni liberali o in natura, in relazione al rapporto di lavoro nel periodo d’imposta. Da un punto di vista previdenziale invece non vengono considerate le pensioni e gli interessi monetari. La retribuzione imponibile viene determinata secondo un criterio di cassa allargata rientrando anche nell’anno precedente. 10 Può essere escluso dall’imponibile previdenziale i contributi versati a casse, fondi e gestioni e premi assicurativi, le prestazioni a carico degli enti, i proventi di polizze assicurative, indennità di trasferta, i buoni pasto, le somme date a titolo di risarcimento danno, i trattamenti di famiglia (assegni a nucleo familiare), gli incentivi all’esodo (somme che vengono date al lavoratore per lasciare il posto di lavoro) e il TFR. LA RENDITA PER INVALIDITÀ La rendita per invalidità viene erogata dall’INAIL e può essere di due tipi: a) Temporanea. Essa è imponibile non dal punto di vista contributivo ma dal punto di vista fiscale. Il datore di lavoro integra questa rendita e l’integrazione diventa imponibile sia dal punto di vista contributivo che dal punto di vista fiscale. b) Permanente. È il caso in cui l’infortunio è molto grave e il lavoratore non è più in grado di eseguire quella determinata attività lavorativa. Può essere percepita anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro. La rendita permanente non è imponibile. L’aliunde perceptum è imponibile dal punto di vista contributivo e fiscale perché va a costituire quello che era la retribuzione persa. Cosa diversa è quando il lavoratore opta per un’indennità risarcitoria: questa non è imponibile dal punto di vista contributivo, così come non lo sono le indennità risarcitorie del d.lgs. 23/2015 che ha introdotto le tutele crescenti. TRATTAMENTO DI FAMIGLIA L’unico trattamento di famiglia rimasto nel nostro ordinamento è l’assegno al nucleo familiare (ANF). È stato istituito durante il periodo corporativo in cui esistevano sostegni per famiglie numerose ma esistevano tasse sul celibato proprio perché si incentivavano le famiglie numerose. Quindi, molte delle tutele applicate sono state costruite durante il periodo corporativo. L’ANF ha perso in parte connotati che aveva allora: ora sostiene il nucleo familiare e non le famiglie numerose. Gli elementi principali di tale assegno sono: 1. Il reddito del nucleo familiare; 2. Quante persone compongono il nucleo familiare. I beneficiari non sono tutti i lavoratori. L’ANF è nato per i lavoratori dipendenti e subordinati e alla sua nascita solo essi ne avevano diritto. L’altro soggetto ammesso a beneficiare di questo sostegno è il pensionato se ci sono le condizioni. Solo nel 2008 venne esteso anche ai lavoratori con un reddito di collaborazione coordinata e continuativa. Il reddito del nucleo familiare che richiede l’ANF deve essere composto per almeno il 70% da reddito da lavoro dipendente (nel caso delle collaborazioni dai co.co.co.). È espressamente richiesto il vincolo del matrimonio: i genitori non sposati ma solo conviventi non hanno diritto all’ANF. Quindi entrano nel nucleo familiare: a) I coniugi che non siano effettivamente o legalmente separati; b) I figli che non abbiano raggiunto la maggiore età; c) I figli maggiorenni solo se inabili al lavoro; d) I nipoti minorenni che effettivamente fanno parte di quel nucleo; e) I fratelli, le sorelle e i nipoti minori o maggiorenni ma inabili che fanno parte di quel nucleo. Sono esclusi dal nucleo familiare: 11 a) I coniugi separati; b) I figli a carico dell’altro genitore che non sia convivente con il richiedente. A seconda delle situazioni familiari l’INPS chiede documenti particolari. Questo sostegno spetta anche per i lavoratori extracomunitari per i familiari non residenti in Italia (questo vale solo per Marocco e Tunisia). L’INPS in casi particolari non dà automaticamente l’assegno: se è un nucleo che non ha particolarità è sufficiente fare domanda e dichiarare il reddito percepito l’anno precedente e l’INPS prenderà in carico la domanda. In altri casi l’INPS deve preventivamente autorizzarlo e sono i casi prima elencati. L’ANF ha una particolarità: esso, come tutti i diritti previdenziali, si prescrive in 5 anni. Se si fa domanda in ritardo, l’INPS dà anche gli arretrati. Anche se essa è più assistenziale che previdenziale. Rientra comunque nel previdenziale perché principalmente riguarda i lavoratori dipendenti e i pensionati, ma non ha un fondamento vero di previdenza. Sono inclusi dalla determinazione del reddito familiare: - tutti i redditi assoggettabili ad IRPEF (al lordo delle deduzioni e detrazioni d’imposta); - i redditi esenti da imposta o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta o imposta sostitutiva. Sono invece esclusi dalla determinazione del reddito familiare: - ANF; - TFR; - rendite vitalizie erogate dall’INAIL; - pensioni di guerra; - indennità di accompagnamento. I lavoratori italiani fanno domanda ogni anno perché devono aggiornare il reddito ma non la composizione del nucleo: poi si determina l’ANF su base mensile. I lavoratori stranieri devono aggiornare anno per anno anche la composizione del nucleo familiare. Il lavoratore è obbligato a comunicare entro 30 giorni la variazione della composizione del nucleo. Adesso tutte le domande vengono fatte online o in via telematica. INCENTIVO ALL’ESODO Per una parte fino al 2005 l’incentivo all’esodo è stato oggetto di una normativa particolare perché favoriva le donne rispetto agli uomini. Quindi è intervenuta la Corte di Giustizia dell’UE e ha parificato gli uomini alle donne. Non è imponibile sotto il profilo contributivo, ma è imponibile dal punto di vista fiscale. Si vuole incentivare il lavoratore ad andarsene. In realtà il nostro legislatore qualifica l’incentivo all’esodo solo come la somma che viene data ad una generalità/categoria omogenea di lavoratori. Quindi non viene qualificato come incentivo all’esodo quella somma che viene data a determinati dipendenti: il lavoratore potrebbe chiamarla così ma essa non godrebbe degli stessi incentivi fiscali. TASSAZIONE SEPARATA Ogni qualvolta la si incontra ci sono somme che da un punto di vista contributivo sono esenti. La troviamo nel TFR, in alcune forme di risarcimento come possono essere alcune tipologie di rendita. Non la troviamo mai in prestazioni come indennità a carico istituti o in trattamenti pensionistici. 14 può essere qualificato come infortunio un incidente che capita al lavoratore. Nel caso in cui il lavoratore volontariamente si fa male rientra nel rischio elettivo che si è creato lui stesso e non è legato all’attività di lavoro: quindi l’INAIL non lo tutela. Laddove il lavoratore fa venire meno il nesso tra attività e lavoro non si dichiara infortunio e non è il datore di lavoro che decide se è infortunio o no, ma l’INAIL. L’INAIL assicura tutte le tipologie di rischio. I più importanti sono: 1. Rischio professionale. Esso è legato all’attività di lavoro (es. utilizzo del computer); 2. Rischio generico. Esso è comune a tutte le attività lavorative. Un esempio tipico è il rischio della strada ed è comunque assicurato; 3. Rischio generico aggravato. Esso è sempre generico ma viene aggravato dal fatto che si sta svolgendo l’attività lavorativa (es. muratore che cade dall’impalcatura per una scossa di terremoto); 4. Rischio extraprofessionale. Esso non è elettivo ma si sta svolgendo un’attività lavorativa non tipica della professione. Il lavoratore viene assicurato dall’INAIL anche quando l’infortunio è dovuto da negligenza, imprudenza ed imperizia. La causa violenta è quella che verifica l’origine dell’infortunio e deve essere violenta nel suo verificarsi. Quindi deve essere veloce e rapida e non deve essere violento l’effetto. La lesione è l’effetto dell’infortunio e può essere grave o non grave, permanente o temporaneo. Si fa riferimento alle concause. Ci sono due tipologie di concause: 1. Concause di lesione. Esse fanno riferimento ad eventuali condizioni del lavoratore che possono aggravare quell’infortunio. Non ha importanza la loro natura ma viene comunque tenuto in conto la risarcibilità di quell’infortunio. 2. Concause d’inabilità. Esse fanno riferimento ad una diminuzione della capacità lavorativa che il lavoratore ha già. Possono essere: - Lavorative. Il lavoratore ha subito un infortunio sul lavoro e da quell’infortunio è rimasta un’inabilità permanente più o meno grave; - Extralavorative. Il lavoratore ha subito un infortunio derivante da episodio extralavorativo. Se la concausa d’inabilità è lavorativa l’INAIL somma le due inabilità (quella che il lavoratore aveva prima e quella che si è verificata dopo l’infortunio), se è extralavorativa tiene conto solo della seconda. L’INFORTUNIO IN ITINERE L’infortunio in itinere era qualificato come tale solo dalla giurisprudenza e non c’era una norma di legge che lo qualificasse. Alla fine è stato disciplinato dal d.lgs. 38/2000 il quale ha recepito per via legislativa gli orientamenti prevalenti della giurisprudenza. Esso è l’infortunio nel quale il lavoratore può incorrere nel tragitto casa-lavoro o viceversa, nel tragitto che il lavoratore compie per recarsi nel luogo dove consuma il pasto e per spostarsi da un luogo di lavoro all’altro. Ci sono due condizioni che devono essere rispettate affinché si possa parlare d’infortunio in itinere: 1. Il lavoratore deve usare un mezzo pubblico e non un mezzo proprio, quando l’utilizzo è agevole. L’INAIL non risarcisce l’infortunio se l’utilizzo del mezzo privato non è necessario; 2. Il lavoratore utilizzando il mezzo che deve utilizzare non deve fare deviazioni dal percorso abituale, a meno che non ci siano interruzioni della strada (es. la strada abituale è chiusa a causa di un 15 incidente: in questo caso si può compiere una deviazione per raggiungere il prima possibile il luogo di lavoro). Il perimetro oltre il quale il lavoratore esce dalla propria dimora ed entra nella fascia in cui è tutelato perché si sta recando al lavoro è il cortile della sua abitazione. Quindi fintanto che è dentro al cortile si ritiene che non sta andando al lavoro. Sul percorso normale non ci sono grossi problemi: se non ci sono deviazioni particolari esistono i car sharing che alcune aziende utilizzano ed è considerato un evento tutelato. Il servizio mensa si ha solo se non c’è una mensa interna. Se c’è, non è giustificato il lavoratore che si reca in altro luogo. Inoltre, l’infortunio non è altresì indennizzabile qualora il conducente lavoratore sia sprovvisto di patente di guida e quando assume stupefacenti. OBBLIGHI DEL DATORE DI LAVORO AL VERIFICARSI DI UN INFORTUNIO Il datore di lavoro quando si verifica un infortunio deve prestare soccorso e portare il lavoratore al primo presidio di pronto soccorso. Dopodiché il datore di lavoro deve denunciare l’infortunio all’INAIL solo se esso comporta un periodo di assenza del lavoratore superiore a 3 giorni. Se il lavoratore comunica dopo che ha subito un infortunio, i 3 giorni scattano dal momento che il datore di lavoro ne viene a conoscenza. Qualora l'infortunio sia mortale o vi sia pericolo di morte il datore di lavoro lo deve comunicare entro 24 ore all’INAIL o entro 2 giorni all’autorità di pubblica sicurezza. OBBLIGHI DEL LAVORATORE AL VERIFICARSI DELL’INFORTUNIO Il lavoratore quando si verifica un infortunio deve dare immediata notizia dell’infortunio al datore di lavoro o al preposto. Decide se è infortunio il lavoratore in primis e il medico non entra mai nel merito: sarà l’INAIL che lo dovrà accertare. Il lavoratore nel caso in cui comunichi dopo che ha subito l’infortunio perde l’indennità di cui ne è titolare. Ha diritto alle cure mediche necessarie, non è soggetto alle fasce di reperibilità (può uscire dalla sua abitazione quando vuole) per tutta la durata dell’infortunio e ha diritto alla conservazione del posto fino alla sua guarigione clinica. DENUNCIA DI INFORTUNIO Nella denuncia di infortunio deve essere comunicato in via telematica: a. Chi è il datore di lavoro; b. Quando e come si è verificato l’infortunio; c. La natura e la causa dell’infortunio; d. Le circostanze in cui si è verificato l’infortunio; e. Le conseguenze dell’infortunio; f. I dati anagrafici dell’infortunato; g. Eventuali testimoni con dati anagrafici; h. I dati retributivi per il calcolo dell’indennità. 16 TUTELA ECONOMICA Qui non ci sono gli interventi dei contratti collettivi, ma solo quello della legge. Infatti, il testo unico prevede che:  Il giorno in cui si è verificato l’infortunio, il datore di lavoro è tenuto a riconoscere al lavoratore l’intera retribuzione (100%).  I 3 giorni successivi il datore di lavoro è obbligato a pagare il 60% della retribuzione media giornaliera, anche se dopo quei tre giorni il lavoratore rientra al lavoro.  In tutte le giornate di festività nazionale o festività infrasettimanali che cadono nel periodo di assenza il datore di lavoro paga quella festività al 100%.  Per i primi 90 giorni a partire dal quinto giorno in cui si è verificato l’infortunio l’INAIL risarcisce il 60% della retribuzione base giornaliera, dal 91esimo giorno in poi risarcisce il 75% fino alla guarigione clinica. Questo perché i primi giorni le capacità di guadagno del lavoratore e le sue riserve possono sostenerlo, ma più lungo è l’infortunio più il lavoratore diminuisce le sue riserve personali. Nel calcolo dell’indennità che l’INPS riconosce al lavoratore l’INAIL prende in riferimento i 15 giorni prima l’evento. Dentro quella retribuzione in realtà inserisce tutto: retribuzione ordinaria, lavoro straordinario, premi, festività ecc. Insomma si dice retribuzione onnicomprensiva. Il datore di lavoro integra l’indennità secondo quanto stabilito dai contratti collettivi. Il lavoratore in prova ha gli stessi diritti del lavoratore non in prova. RENDITE PER INABILITÀ Nel caso di malattia il lavoratore è tutelato per tutta la durata dell’evento. Nel caso di infortunio può non essere così. Durante il periodo di infortunio il lavoratore è definito in una condizione di: 1. Inabilità temporanea  L’inabilità si protrae per tutto il periodo di infortunio. Questo tipo di inabilità può essere: - Assoluta → In questo caso prima o poi il lavoratore potrà rientrare al lavoro ma durante il periodo di infortunio non potrà più svolgere nessun altra attività lavorativa e quindi non solo quella che stava svolgendo; - Parziale → In questo caso invece il lavoratore non può svolgere temporaneamente determinate attività lavorative durante il periodo di infortunio. L’INAIL eroga per questo tipo di infortunio la rendita per l’inabilità temporanea e la dovrà pagare dal quinto giorno in cui si è verificato l’infortunio. 2. Inabilità permanente  L’inabilità resta anche dopo il periodo di infortunio. Anche questo tipo di inabilità può essere: - Assoluta → In questo caso dopo l’infortunio, la capacità lavorativa del soggetto lavoratore è ridotta a zero, si ha un’inabilità al 100% e quindi non può più svolgere alcuna attività lavorativa; - Parziale → In questo caso invece il soggetto lavoratore non può più svolgere quell’attività lavorativa ma può svolgerne delle altre. L’INAIL eroga per questo tipo di infortunio la rendita per l’inabilità permanente, ossia una sorta di indennizzo che il lavoratore percepisce anche quando rientra al lavoro o per tutta la durata della sua vita. Le rendite erogate dall’INAIL sono esenti da contribuzioni e da carichi fiscali ad eccezione della rendita per inabilità temporanea. 19 RICADUTE NELLA MALATTIA E CONTINUAZIONE Ci possono essere:  Ricadute nella malattia → Si ha quando il lavoratore per la stessa patologia si assenta entro 30 giorni dalla fine della malattia precedente (es. dopo un periodo di influenza il lavoratore rientra al lavoro e gli torna la febbre dopo 3 giorni). È il lavoratore che deve dichiararlo e il vantaggio sta nel fatto che non si ricomincia con la carenza;  Continuazione → È la stessa malattia che continua senza soluzione di continuità. In questo caso il rilascio deve avvenire immediatamente perché il lavoratore deve avvisare immediatamente il datore di lavoro. FINE DELLA MALATTIA La normativa sulla fine della malattia è cambiata dal 2008 da quando è entrato in vigore il testo unico sulla sicurezza (d.lgs. 81/2008): anche in caso di malattia che dura più di 60 giorni è necessario effettuare una visita medica per accertare che le condizioni del lavoratore effettivamente siano tali da consentirgli il rientro in azienda. TRATTAMENTO ECONOMICO DI MALATTIA L’INPS indennizza per gli operai tutte le giornate di malattia dal lunedì al sabato e non considera le domeniche, le festività e gli infrasettimanali in quanto sono a carico del datore di lavoro. Per gli impiegati tutte le giornate sono indennizzate, tranne le festività che cadono di domenica. Inoltre, l’INPS non indennizza le prime 3 giornate sia per gli operai che per gli impiegati. Esso ha anche un periodo massimo indennizzabile: fino a 180 giorni nell’anno civile. Ci sono giornate che vengono escluse dal comporto come ad esempio la malattia dovuta alla maternità, malattie professionali e malattie causate da terzi per i quali l’INPS abbia esperito un’azione di surroga. Il lavoratore in tutto il periodo di malattia deve tenere un comportamento diligente. MALATTIA E CESSAZIONE/SOSPENSIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO Quando il rapporto di lavoro cessa l’INAIL in caso di infortunio continua ad indennizzare senza soluzione di continuità finché l’infortunio perdura, mentre l’INPS continua ad indennizzare per un periodo massimo di 60 giorni dopo la cessazione del rapporto di lavoro, poi non indennizza più (dopo il lavoratore potrà chiedere la NASPI). Più lunga è la malattia più è alta l’indennità a carico dell’ente. Se il lavoratore in malattia gode di altre indennità dal servizio sanitario nazionale l’INPS riduce l’indennità a suo carico dei 2/5. Stessa cosa vale se non ha familiari a suo carico. RETRIBUZIONE MEDIA GIORNALIERA L’INPS tiene in considerazione cosa mediamente il lavoratore ha percepito l’ultimo mese (anche le mensilità differite), la divide per un determinato numero di giorni e su quella si integra (di solito i giorni sono 26): si ottiene così la retribuzione media giornaliera e su quella l’ente effettua l’integrazione. Il datore di lavoro 20 non ragiona nello stesso modo perché dà il massimo che può tenendo conto di quello che il lavoratore ha percepito nell’ultimo mese. FINALITÀ DELLA LORDIZZAZIONE Visto che l’indennità a carico INPS non è soggetta a contribuzione e a tassazione fiscale mentre non lo è quella a carico del datore di lavoro, può accadere che il lavoratore arrivi a percepire di più quando è assente per malattia o per infortunio rispetto a quando va a lavorare. Per evitare che ciò accada, viene effettuato un meccanismo chiamato lordizzazione: il legislatore fa finta che quell’integrazione che dà l’INPS sia in realtà già al netto dei contributi (bisogna andare a vedere cos’era al lordo si va a pagare dei contributi su quella somma). Si riporta l’importo che l’INPS integra ad un lordo e su quel lordo il datore di lavoro integra. MATERNITÀ E CONCILIAZIONE VITA LAVORO La legge 183/2014 è la legge delega da cui ha preso avvio tutto il pacchetto definito Jobs Act. Essa ha al suo interno alcuni principi che sono stati solo in parte realizzati, soprattutto nella parte degli ammortizzatori sociali. In ogni caso l’obiettivo del legislatore era di rivedere tutta la disciplina della maternità e della paternità: a questo riguardo ha fatto importanti modifiche parificando i diritti tra padri e madri lavoratori/lavoratrici, in particolare dei padri dei lavoratori autonomi. Prima della riforma il padre veniva dopo sia per motivi biologici che per motivi culturali. Nel 2001 c’è stato un cambio di passo su iniziativa comunitaria per ridefinire i diritti dei genitori per quel che riguarda i congedi parentali. Infatti, il testo unico sulla maternità e paternità ha quasi colmato del tutto la disparità di trattamento tra lavoratori subordinati, mentre invece per i lavoratori autonomi la disparità di trattamento è stata colmata solo nel giugno del 2015. Inoltre, la legge delega ha esteso tutele delle lavoratrici parasubordinate sul diritto ad avere l’indennità di maternità anche in caso di omesso versamento dei contributi da parte del suo sostituto d’imposta. È il principio di automaticità delle prestazioni che prima valeva solo per i lavoratori dipendenti ma che è stato esteso, grazie al Jobs Act, ai collaboratori coordinati e continuativi. Questo vale solo per quello che riguarda la tutela della maternità per motivi economici: estendere questo diritto avrebbe gravato troppo sull’INPS. FLESSIBILITÀ DI ORARIO Il lavoro agile (smart working o lavoro del futuro) è un tipo di attività che viene fatta telelavorando senza recarsi nel luogo di lavoro e senza orari prestabiliti. È previsto da una disposizione attuativa della legge delega ma deve ancora essere approvato. SERVIZI PER L’INFANZIA Il legislatore ha nelle sue intenzioni l’integrazione dei servizi privati con i servizi pubblici. Questo anche perché uno dei fattori che in realtà spesso causano dimissioni delle madri nei primi anni di vita dei bambini non sono dovuti a fattori discriminatori nei luoghi di lavoro, ma dal fatto che non c’è offerta pubblica o privata di servizi all’infanzia. Anche questo punto, come il lavoro agile, è previsto da una disposizione attuativa della legge delega e deve ancora essere approvato. 21 DIVIETO DI LICENZIAMENTO PER ADOZIONE/AFFIDAMENTI A tutela delle lavoratrici madri è stabilito il divieto assoluto di licenziamento licenziate dall'inizio del periodo di gravidanza fino al termine del congedo di maternità (capo III, artt. 16-27 T.U.), nonché fino al compimento di 1 anno di età del bambino. In caso di fruizione del congedo di paternità, il divieto di licenziamento si applica anche al padre lavoratore per la durata del congedo stesso e si estende fino al compimento di 1 anno di età del bambino. Per quanto riguarda le lavoratrici domestiche, il T.U. nell’elencare le varie tutele sulla maternità applicabili al lavoro domestico, omette di richiamare quella sul divieto di licenziamento. In ogni caso, anche di fronte alla mancanza di apposita normativa di riferimento, la prevalente giurisprudenza ha ritenuto applicabile il divieto di licenziamento durante il periodo di congedo per maternità anche alla lavoratrice domestica. Il Ministero del Lavoro ha chiarito con una nota che questo diritto spetta anche alle lavoratrici domestiche. Le lavoratrici domestiche anno anche titolo ad avere l’astensione anticipata. Il divieto di licenziamento si applica anche in caso di adozione e affidamento, fino ad un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. In caso di adozione internazionale il divieto opera dal momento della comunicazione della proposta di incontro con il minore adottando ovvero della comunicazione dell'invito a recarsi all'estero per ricevere la proposta di abbinamento. Il divieto di licenziamento non si applica: - colpa grave da parte della lavoratrice, costituente giusta causa per la risoluzione del rapporto di lavoro; - cessazione dell'attività dell'azienda cui essa è addetta; - ultimazione della prestazione per la quale la lavoratrice è stata assunta o di risoluzione del rapporto di lavoro per la scadenza del termine; - esito negativo della prova; resta fermo il divieto di discriminazione. DIVIETO DI SOSPENSIONE Altra tutela normativa a favore della maternità è il divieto di sospensione. Durante il periodo nel quale opera il divieto di licenziamento, la lavoratrice non può essere sospesa dal lavoro, salvo il caso che sia sospesa l'attività dell'azienda o del reparto cui essa è addetta, sempreché il reparto stesso abbia autonomia funzionale. DIMISSIONI La disciplina delle dimissioni era già stata modificata dalla Riforma Fornero (L. 92/2012). Ulteriori novità sono state introdotte ad opera del D.lgs. 80/2015. Art. 55, comma 1, TU (modificato): In caso di dimissioni volontarie presentate durante il periodo per cui è previsto il divieto di licenziamento, la lavoratrice ha diritto alle indennità previste da disposizioni di legge e contrattuali per il caso di licenziamento. 24 INTERRUZIONE DELLA GRAVIDANZA L’interruzione di gravidanza – spontanea o volontaria – che si verifica prima del 180° giorno dall’inizio della gestazione è considerata malattia. La lavoratrice ha diritto al trattamento economico di malattia. I periodi di assistenza non fanno decorrere il periodo di comporto ai fini della conservazione del posto. In caso di interruzione avvenuta oltre il 180° giorno dall’inizio della gestazione, l’evento è equiparato al parto. La lavoratrice ha diritto di astenersi per i 3 mesi successivi all’evento (congedo di maternità). ASTENSIONE OBBLIGATORIA Per le dipendenti e le lavoratrici parasubordinate c’è un obbligo di astensione. Negli altri casi c’è l’indennità, ma non sono obbligate ad astenersi. L’art. 16 fa espresso divieto di adibire al lavoro le donne lavoratrici: - 2 mesi prima del parto - 3 mesi dopo il parto Salvo quanto previsto all'art. 20 sul congedo flessibile: laddove le condizioni lo consentono la lavoratrice può lavorare fino all’8° mese ed avere 4 mesi dopo il parto. Lo stato di salute deve essere certificato  è ammessa solo a condizione che il medico specialista del SSN o con esso convenzionato e il medico competente, attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. Qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta, tali giorni sono aggiunti al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche qualora la somma superi il limite complessivo di 5 mesi. La modifica introdotta dal D.Lgs. 80/2015 riguarda i parti fortemente prematuri (prima del 7° mese). Ad esempio, se un bambino nasce al sesto mese la lavoratrice ha diritto ad astenersi per 6 mesi perché il mese prima si somma ai 5 mesi. Art. 16-bis - Rinvio e sospensione del congedo di maternità Articolo introdotto dal D.lgs. 80. In caso di ricovero del neonato in una struttura pubblica o privata, la madre ha diritto a chiedere la sospensione del congedo di maternità e di godere del congedo, in tutto o in parte, dalla data di dimissione del bambino. Il diritto di sospensione è subordinato alla produzione di attestazione medica che dichiari la compatibilità dello stato di salute della donna con la ripresa dell’attività lavorativa. Durante il periodo di astensione obbligatoria è come se la lavoratrice lavorasse. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alle mensilità aggiuntive e alle ferie. Contribuzione figurativa. 25 CONSERVAZIONE DEL POSTO Al termine del congedo di maternità le lavoratrici hanno il diritto di: - di conservare il posto di lavoro e, salvo che espressamente vi rinuncino, di rientrare nella stessa unità produttiva ove erano occupate all'inizio del periodo di gravidanza o in altra ubicata nel medesimo comune, e di permanervi fino al compimento di un anno di età del bambino; - di essere adibite alle mansioni da ultimo svolte o a mansioni equivalenti. Queste disposizioni si applicano anche: - anche ai padri nel momento in cui sono loro ad usufruire del congedo di paternità; - anche in caso di adozione e di affidamento, fino a un anno dall'ingresso del minore nel nucleo familiare. Capitano casi in cui al rientro dalla maternità non vi sia più l’unità produttiva, in questo caso la lavoratrice ha due scelte: 1. accettare il trasferimento fuori dal comune 2. dimettersi e avere titolo a percepire la NASPI MATERNITÀ E ALTRI ISTITUTI L’indennità di maternità obbligatoria prevale su tutti gli istituti. - malattia prosegue il congedo di maternità - Infortunio L’infortunio non è contemplato durante il periodo di maternità, ma se capita prima dell’inizio del congedo obbligatorio la lavoratrice ha diritto all’integrazione che la porterebbe a percepire quello che percepirebbe in caso di infortunio. Si cerca di tutelare al massimo il reddito della persona. - Assegni al nucleo famigliare Sono compatibili con l’indennità di maternità. Il congedo matrimoniale, invece, è incompatibile con il congedo obbligatorio: si sospende l’indennità di maternità per utilizzare il congedo matrimoniale. Il congedo matrimoniale è a carico del ddl, tranne che per gli operai dell’industria (1 sett a carico INPS). CONTRIBUZIONE FIGURATIVA Durante la maternità obbligatoria la lavoratrice matura una contribuzione figurativa: è come se avesse lavorato. Se la maternità si verifica fuori dal rapporto di lavoro, ma la lavoratrice ha un’anzianità contributiva pari ad almeno 5 anni può chiedere l’accredito figurativo di quella maternità. In questo caso la lavoratrice ha diritto solo alla contribuzione figurativa, ma non ha diritto all’indennità  le serve solo per poter andare in pensione 5 mesi prima. 26 PROROGA DELL’ASTENSIONE FINO AL 7 MESE DI VITA DEL BAMBINO In alcune attività particolarmente pericolose in cui la lavoratrice è addetta a lavori pericolosi, faticosi e insalubri, è previsto il prolungamento dell’astensione obbligatoria fino al 7° mese, salvo che non possa essere adibita ad altre mansioni. L’elenco di queste attività è allegato al TU. Nel caso in cui l’attività non sia presente nell’elenco, il datore di lavoro può fare richiesta alla DTL per richiedere l’astensione fino al 7°. Solitamente tale valutazione viene già fatta nel DVR. Può essere anche la lavoratrice stessa che fa richiesta. INDENNITÀ DI MATERNITÀ IN CASO DI RISOLUZIONE DEL RAPPORTO DI LAVORO Il d.lgs. 80/2015 ha esteso il diritto all’indennità di maternità anche alle ipotesi di risoluzione del rapporto per giusta causa  fino al 2015 erano escluse. Art. 24 TU – Prolungamento del diritto alla corresponsione del trattamento economico. Le lavoratrici gestanti che si trovino, all'inizio del periodo di congedo di maternità, sospese, assenti dal lavoro senza retribuzione, ovvero disoccupate, sono ammesse al godimento dell'indennità giornaliera di maternità purché tra l'inizio della sospensione, dell'assenza o della disoccupazione e quello di detto periodo non siano decorsi più di 60 giorni. Es. rapporto che si risolve il 29/02 e la lavoratrice entra nel 7° mese in aprile  trascorrono meno di 60 gg, la lavoratrice ha diritto all’indennità di maternità. Qualora il congedo di maternità abbia inizio trascorsi 60 giorni dalla risoluzione del rapporto di lavoro e la lavoratrice si trovi, all'inizio del periodo di congedo stesso, disoccupata e in godimento dell'indennità di disoccupazione, ha diritto all'indennità giornaliera di maternità anziché all'indennità ordinaria di disoccupazione. Disoccupazione  maternità. CONGEDO DI MATERNITÀ PER ADOZIONI E AFFIDAMENTI Il congedo di maternità spetta anche alle lavoratrici / ai lavoratori che abbiano adottato un minore, per un periodo massimo di 5 mesi. - Adozione nazionale il congedo deve essere fruito durante i primi 5 mesi successivi all’effettivo ingresso del minore nella famiglia della lavoratrice. - Adozione internazionale il legislatore tiene conto del fatto che i genitori normalmente hanno necessità di recarsi all’estero per portare a termine le pratiche  il congedo può essere fruito prima dell’ingresso del minore in Italia, durante il periodo di permanenza all’estero richiesto per l’incontro con il minore e gli adempimenti relativi alla procedura adottiva. Questo congedo è pagato. 29 I periodi di riposo sono considerati ore lavorative. Per i riposi è dovuta un'indennità, a carico dell'ente assicuratore (INPS), pari all'intero ammontare della retribuzione relativa ai riposi medesimi. Sono pagati al 100%. CONGEDO PER LA MALATTIA DEL FIGLIO Art. 47 TU Il diritto all’astensione è riconosciuto su base paritaria ad entrambi i genitori, alternativamente. - È possibile astenersi senza limiti temporali fino a 3 anni di età del figlio naturale. Pagato al 100%. - Da 3 a 8 anni di età del figlio  Diritto all’astensione per 5 giorni all’anno. Non è retribuito. Per fruire del congedo è necessaria la certificazione di malattia rilasciata dal medico curante del Servizio sanitario nazionale, che ha in cura il minore. Viene inviata: - all’INPS - al datore di lavoro interessato - all’indirizzo di posta elettronica della lavoratrice o del lavoratore che ne facciano richiesta. AMMORTIZZATORI SOCIALI Gli ammortizzatori sociali sono stati riformati con d.lgs. 148/2015, il c.d. quarto atto del Jobs Act. È intervenuto con l’intento di semplificare le procedure. In realtà ha solo ridotto lo spazio agli ammortizzatori sociali in deroga utilizzati negli ultimi cinque anni: prima del 2015 a partire dal 2009 si sono utilizzati moltissimo gli ammortizzatori sociali da parte di aziende che non ne avevano diritto (quindi in deroga). La legge delega prevedeva principalmente i seguenti punti: 1. Non concedere ammortizzatori sociali laddove l’azienda sta cessando l’attività aziendale. Questo è successo con la CIGS (cassa integrazione straordinaria)2: fino al 2015 le aziende anche per cessazione aziendale utilizzavano ammortizzatori sociali e così facendo spostavano in avanti la data del decesso dell’azienda stessa. Nel momento in cui si è certi che l’attività aziendale non potrà più riprendere non si potrà chiedere l’intervento della CIGS. 2. Possibilità di utilizzare il c.d. contratto di solidarietà. Per anni e anni questo tipo di contratto era considerato solo come teoria perché non veniva mai utilizzato. Ne esistono di due tipi: - Espansivo; - Difensivo. Esso difende i posti di lavoro facendo lavorare meno i lavoratori dell’azienda in crisi e per le ore non lavorate interviene la CIGS. Prima del 2009 non si utilizzava mai in quanto in tempi in cui c’era lavoro per tutti nessun lavoratore accettava di ridursi l’orario, lo stipendio e il lavoro per salvare un altro lavoratore e il lavoratore che perdeva il posto di lavoro ne poteva trovare subito un altro. Dopo il 2009 dal momento in cui il lavoratore rischiava di perdere il lavoro era certo che doveva passare un lungo periodo a trovarne un 2 La CIGS si differenzia dalla cassa integrazione ordinaria (CIGO) perché quest’ultima interviene nel caso ci sia una crisi aziendale temporanea, mentre la prima interviene nel momento in cui non è certo che l’azienda possa riprendere l’attività. 30 altro. A quel punto la solidarietà ha cominciato a diventare interessante, tant’è che dal 2009 ad oggi si sono fatti più interventi di contratti di solidarietà difensivi che di cassa straordinaria. Quello che è successo negli ultimi anni ha creato il presupposto legislativo per cui nel momento in cui ci sarà una crisi aziendale, la prima scelta deve cadere sul contratto di solidarietà e solo se non è possibile utilizzarlo si arriva alla cassa straordinaria. 3. Costringere le aziende a fare richiesta di mese in mese alla CIGO. In questo modo è possibile monitorare le ore rispetto a quelle non utilizzate in tempi molto più brevi. Questo perché le aziende che richiedevano la CIGO non la utilizzavano totalmente. 4. Revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili nel periodo di intervento della cassa integrazione guadagni ordinaria e della cassa integrazione guadagni straordinaria; 5. Revisione dell'ambito di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria e dei fondi di solidarietà. Questo perché ci si è accorti che di molte aziende che necessitavano della cassa integrazione non avevano versato i relativi contributi previsti dalla legge 92/2012 la quale ha istituito il c.d. fondo residuale, ossia un meccanismo per cui le aziende che non rientrano nel campo della CIGO (settore terziario) devono versare il contributo che va in un fondo e che va a finanziare l’azienda l’intervento del sostegno al reddito dei lavoratori. Per quanto riguarda la mobilità, essa non esisterà più dal 1 gennaio 2017, anche se resterà la procedura di mobilità. CASSA INTEGRAZIONE La cassa integrazione (ordinaria e straordinaria) è un meccanismo che si applica al lavoro subordinato e agli apprendisti soli professionalizzanti (un eventuale intervento di cassa integrazione proroga il contratto di apprendistato). Requisiti → Il lavoratore per poter accedere agli ammortizzatori sociali durante il rapporto di lavoro deve avere almeno 90 giorni di anzianità lavorativa effettiva presso quel determinato datore di lavoro, salvo eventi inevitabili. Importo della prestazione → L’ammontare della prestazione è l’80% della retribuzione (in cui c’è tutto) che sarebbe spettata al lavoratore per le ore non prestate, con dei massimali oltre i quali non si va (di solito è abbastanza basso). È dovuto l’ANF. L’integrazione sostituisce l’indennità di malattia ed altre voci. Durata della prestazione → La durata massima complessiva per CIGO e CIGS è fissata, per ciascuna unità produttiva dell’impresa richiedente, a 24 mesi in un c.d. quinquennio mobile (30 mesi di durata massima per edilizia e lapidei). Questo vuol dire che per la cassa ordinaria possono essere autorizzate 52 settimane (1 anno). Può essere però che un’azienda le possa chiedere per 6 mesi l’anno. L’arco di tempo entro cui calcolare le 52 settimane sono 5 anni mobili: ciò vuol dire che dall’ultima settimana autorizzata che si possiede si va indietro 5 anni e non si deve avere fatto più di 24 mesi (104 settimane). Dunque, è stato allargato il c.d. anno mobile. Contribuzione a carico del datore di lavoro → La contribuzione figurativa per la cassa integrazione è utile ai fini del calcolo della pensione, ma non è utile per arrivare al minimo di contribuzione necessaria per avere diritto alla pensione3. Il datore di lavoro è tenuto ad anticipare il trattamento. Solo in casi eccezionali l’INPS concede il c.d. pagamento diretto (es. se l’azienda è in grande difficoltà). 3 Per essere utile per avere diritto alla pensione la contribuzione non deve essere figurativa ma effettiva. 31 Condizionalità della prestazione → Il lavoratore può percepire il trattamento solo se sottoscrive un patto di servizio personalizzato, ossia recarsi al centro per l’impiego e sottoscrivere un accordo per cui si impegna ad accettare percorsi formativi, percorsi di riqualificazione ecc. Questo patto di servizio in realtà è figlio della dichiarazione di immediata disponibilità a cui era chiamato a farla ad esempio un lavoratore che vuole iscriversi al centro per l’impiego per maturare l’anzianità di iscrizione o chi è percettore di ammortizzatori sociali in deroga. Con questa dichiarazione si dichiara che si è immediatamente disponibile a prestare attività lavorativa. Senza questa dichiarazione non si ottiene alcun ammortizzatore sociale. Campo di applicazione → La cassa integrazione si applica in tutte le aziende del settore industriale. Le aziende facenti parte di altri settori come il terziario hanno il fondo residuale. Causali CIGO → Le causali sono state semplificate. La cassa integrazione si può chiedere per situazioni dovute ad eventi transitori non imputabili all’impresa e ai dipendenti (sono inclusi gli eventi stagionali) o a situazioni temporanee di mercato. Periodo massimo → È periodo massimo un periodo di 13 settimane continuative prorogabili trimestralmente fino ad un massimo complessivo di 52 settimane. Se l’impresa ha usufruito di 52 settimane consecutive di CIGO per presentare una nuova domanda per la stessa unità produttiva deve trascorrere un periodo di almeno 52 settimane di normale attività produttiva. La CIGO riguardante periodi non consecutivi non può superare la durata di 52 settimane in un biennio mobile. Le aziende che entrano nel campo di applicazione della cassa ordinaria devono versare mensilmente su ogni retribuzione un contributo per poter poi accederne quando ne avranno bisogno. Nel momento in cui richiede la cassa integrazione l’azienda deve versare un contributo aggiuntivo. Le aziende più piccole versano di meno e le aziende più grandi versano di più. Causali CIGS → Il principio fondamentale è quello di collegare l’intervento all’effettiva capacità di ripresa della normale attività. Infatti, adesso la CIGS non è più considerata come l’anticamera del licenziamento, ma deve comunque dare qualche speranza di ripresa, perché se la ripresa non è prevista, la CIGS non può essere autorizzata. Le causali della CIGS possono essere: 1. Riorganizzazione aziendale (purché finalizzata ad un sostanziale recupero del personale interessato all’integrazione); 2. Crisi aziendale. Dal 1° gennaio 2016 sono esclusi i casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa, salvo deroga, per il triennio 2016-2018, nel caso in cui sussistano concrete possibilità di rapida cessione dell’azienda con riassorbimento dell’occupazione. La durata dell’intervento è limitata nel triennio rispettivamente a 12, 9 e 6 mesi. È necessario un accordo in sede governativa. La richiesta di CIGO è molto semplice perché deve essere fatta in sede INPS. Al contrario, le CIGS devono essere autorizzate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con decreto. CONTRATTO DI SOLIDARIETÀ L’azienda è in crisi e dichiara quanti lavoratori ha in esubero. In base alle ore dei lavoratori dichiarati in esubero si riduce l’orario dei dipendenti addetti a quel reparto o a quell’azienda. Le ore di riduzione devono essere almeno pari alle ore che svolgevano i lavoratori in esubero. Vengono fissati dei limiti: la riduzione media oraria non può superare il 60% dell’orario di lavoro. Per ciascun lavoratore la percentuale complessiva di riduzione non può superare il 70%. 34 • (Aspi: 2 anni di anzianità assicurativa ed almeno 52 settimane di contribuzione nel biennio precedente) • (Mini-Aspi: almeno 13 settimane di contribuzione nell’ultimo anno). N.B. La Naspi favorisce i lavoratori con maggiore anzianità contributiva. Calcolo e misura della prestazione → la Naspi è rapportata alla somma degli imponibili previdenziali degli ultimi 4 anni, divisa per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicata x 4,33 (per rapportarla a mese): • Se RMM (reddito minimo mensile) è = o < a 1.195 euro (nel 2015) l’indennità è pari al 75%; • Se RMM è > di 1.195 euro, la prestazione è pari al 75% di tale importo + il 25% della differenza tra RMM e 1.195 euro. • Massimale mensile: 1.300 euro (rivalutabili) • Décalage: -3% mensile dal IV mese (Aspi: -15% dopo 6 mesi che si somma a -15% dopo 12 mesi) Durata: • l’indennità è concessa mensilmente per un numero di settimane pari alla metà di quelle oggetto di contribuzione negli ultimi 4 anni (quindi per un massimo di 2 anni); • Dal 2017 sarà concessa per un massimo di 78 settimane (18 mesi). • (a differenza dell’Aspi la durata non fa riferimento all’età del soggetto interessato). • La domanda va presentata in via telematica all’Inps entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro a pena di decadenza. Decorrenza → dall’8° giorno se la domanda è presentata nei primi 8 giorni o altrimenti dal giorno successivo alla domanda (ci sono 7 giorni di carenza). Condizionalità: • Permanenza dello stato di disoccupazione; • Regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale proposti. • Si rimanda ad un successivo DM per la definizione delle condizioni e modalità di attuazione delle disposizioni di condizionalità e relative sanzioni. È un modo per tenere monitorato il procedimento. Casi di decadenza durante il periodo di fruizione della prestazione: • Viene a mancare lo stato di disoccupazione; • ha inizio una nuova attività senza che sia data comunicazione all’Inps; • si acquisisce il diritto alla pensione (vecchiaia, anticipata, invalidità); • violazione delle regole della condizionalità. In questi quattro casi viene a decadere il trattamento. Compatibilità: • Il beneficiario della Naspi può avere un rapporto di lavoro di durata massimo di sei mesi senza decadere dal diritto all’indennità che è sospesa d’ufficio per tutto il periodo; • È prevista la decadenza se il rapporto dura + di sei mesi e l’interessato ricava un reddito annuale > di quello esonerato da imposizione fiscale (8.145 euro). Se il reddito è < il lavoratore deve comunicare entro un mese all’Inps il ricavo annuo, mentre la prestazione viene ridotta; 35 • Se si tratta di attività autonoma o parasubordinata con reddito < al limite di esenzione fiscale (4.800 euro) non si decade dalla prestazione che però viene ridotta (80% dei compensi preventivati). Rimane l’obbligo della comunicazione all’INPS. Autoimprenditorialità: • Anticipo in un’unica soluzione. • Deve essere inviata domanda in via telematica all’Inps entro 30 giorni dall’inizio dell’attività. • Non sono riconosciuti sia l’ANF, sia la contribuzione figurativa. Il finanziamento: • Non essendo state introdotte modifiche si ritiene confermata la disciplina vigente e cioè: • aliquota ordinaria dell’1,61% (1,31% + 0,30%) che si applica anche agli apprendisti artigiani e non artigiani; • aliquota aggiuntiva su contratti di lavoro non a tempo indeterminato dell’1,4% (con eccezione dei lavoratori stagionali a T.D., in sostituzione, apprendisti). Tale prelievo è restituito a chi stabilizza entro 6 mesi dalla cessazione del precedente rapporto; • contributo dovuto dal datore di lavoro per tutti i casi di interruzione di un rapporto a T.I. (compreso apprendistato) Per causali che danno diritto all’indennità di disoccupazione (41% del massimale mensile di indennità per 12 mesi di anzianità aziendale negli ultimi 3 anni). Dis-Coll (indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa) Decorrenza → 1° gennaio 2015 Destinatari: • collaboratori coordinati e continuativi (anche a progetto); • Iscritti in via esclusiva alla Gestione separata INPS; • Sono esclusi gli amministratori e i sindaci. Requisiti: • Non essere pensionati; • Non essere titolari di partita IVA; • Essere disoccupati involontari ed avere lo stato di disoccupazione (d.lgs. n.181/2000). Requisiti contributivi: • 3 mesi di contribuzione tra il 1° gennaio e l’inizio della disoccupazione; • nell’anno solare di disoccupazione: 1 mese di contribuzione oppure un rapporto co.co.co. di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo ad un reddito pari alla metà dell’importo che dà diritto all’accredito di un mese di contribuzione. Reddito di riferimento → Reddito totale imponibile a fini previdenziali come risulta dai versamenti effettuati e relativo ai rapporti di collaborazione dell’anno di cessazione dal lavoro e dell’anno solare precedente, diviso per i numeri di contribuzione o frazione di essi. Ammontare → 75% del reddito di riferimento fino, nel 2015, a 1.195 euro + 25% per la parte eccedente i 1.195 euro per i primi 3 mesi con riduzione del 3% dell’importo ogni mese dal IV mese; Importo massimo nel 2015 → 1.300 euro. 36 Durata → numero di settimane pari alla metà delle mensilità di contribuzione relative al periodo di riferimento ovvero tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente quello dell’evento di cessazione dell’evento di cessazione dal lavoro e l’evento stesso; Presentazione della domanda, decorrenza, erogazione → all’Inps in via telematica entro 68 giorni dalla cessazione a pena di decadenza; se la domanda è presentata prima di 8 giorni, la prestazione decorre dall’8° giorno oppure dal giorno successivo alla domanda; viene erogata ogni mese. Durata: • numero di settimane pari alla metà delle mensilità di contribuzione relative al periodo di riferimento ovvero tra il 1° gennaio dell’anno solare precedente quello dell’evento di cessazione dell’evento di cessazione dal lavoro e l’evento stesso; Asdi (assegno di disoccupazione) Misura di carattere assistenziale. Destinatari → percettori di Naspi che abbiano esaurito il diritto di avvalersene. Requisiti: • conservazione dello stato di disoccupazione; • condizione economica di bisogno (rinvio a un DM); • altri criteri da definire (con DM) Ammontare → 75% dell’ultimo trattamento Naspi percepito, ma non > assegno sociale. Incremento per carichi familiari. Durata → 6 mesi Modalità di erogazione → tramite uno strumento elettronico. Condizionalità → adesione ad un progetto personalizzato redatto dai competenti servizi con obbligo di partecipare alle iniziative di attivazione, orientamento e formazione, inclusa l’accettazione di adeguate proposte di lavoro. Contratto di ricollocazione • Misura di reinserimento nel mercato del lavoro. • Tutti i lavoratori in stato di disoccupazione sono beneficiari del diritto di ricevere dai servizi per il lavoro pubblici o privati accreditati un servizio di assistenza intensiva nella ricerca di un lavoro attraverso la stipula di un contratto di ricollocazione. • Il soggetto accreditato percepirà l’ammontare del voucher solo a risultato conseguito. Procedura: • definizione del profilo professionale di occupabilità; • riconoscimento della ‘’dote individuale di ricollocazione, proporzionata al profilo di occupabilità.