Scarica APPUNTI DELLE LEZIONI DI DIRITTO PREVIDENZIALE (LAVORO 2) e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! DIRITTO DEL LAVORO II: 15 febbraio 2022 Manuali: Mattia Persiani, Donghia, ultima edizione che è più semplificata. I PRINCIPI E LE FONTI DEL SISTEMA ITALIANO DI SICUREZZA SOCIALE: Le origini della sicurezza sociale nascono dall’idea di comunità. In ogni comunità, anche semplice, a partire dal villaggio c’è l’esigenza di protezione tra i soggetti che appartengono al gruppo. C’è l’idea di protezione dei soggetti più deboli. L’idea dell’aiutarsi e di sopperire a determinate situazioni critiche è un’idea connaturata all’essere umano come animale sociale. Questo bisogno di protezione è stato gestito, nel corso della storia dell’umanità, in un modo che si distingue secondo due modelli. Prima la solidarietà familiare, la visione della famiglia come cellula della società in cui c’è anche la mutua assistenza, la fictionis benevolentiae causa, il fatto di convivere e prestarsi reciproco aiuto. L’altra forma di aiuto, soccorso delle società pre-industriali, è quello della beneficenza, del ricco che dà al povero. La beneficenza è tipica delle società pre-industriali, sia come modo per ingraziarsi il popolo, sia sorretta da uno spirito vero di solidarietà. Tutto cambia nelle società industriali, cambiano il contesto di riferimento e le esigenze della popolazione. La prima rivoluzione industriale è nella seconda metà del ‘700, nasce la fabbrica, la macchina a vapore, il telaio meccanico, comincia a modificarsi l’economia, la società e quindi l’ordinamento. Tutto questo ha un forte impatto nei paesi interessati da questo fenomeno. La prima e la seconda rivoluzione industriale hanno condizionato la storia di molti paesi nel mondo. Che fenomeni identifichiamo dalla seconda metà del ‘700 e ‘800? • INDUSTRIALIZZAZIONE, nascita delle fabbriche e delle macchine. (fenomeno del luddismo: incita i lavoratori a distruggere i macchinari, ottica conservatrice) • URBANIZZAZIONE, nascita delle città, che sono brutte, agglomerati cresciuti velocemente attorno alle fabbriche • FENOMENI MIGRATORI, dalle campagne verso le città. sono connaturali all’essere umano. Nasce il concetto di proletariato, coloro che hanno solo la prole e mettono a disposizione le loro energie nei confronti del proprietario della fabbrica. • AUMENTO DELLA POPOLAZIONE • AUMENTO DELLA POVERTA’ • AUMENTO DELLA DELINQUENZA che c’è dove c’è povertà. In questo contesto è evidente la questione sociale, che diventa una questione esplosiva. (Nel periodo del Covid è nata una nuova questione sociale). Queste fabbriche e nuove strutture che contengono le persone, in cui nasce lo spirito di solidarietà, sindacale, si muore, ci si infortuna ecc. Nell’Europa presa da questa corsa verso la modernità si muore, queste persone non possono lavorare. Questa popolazione che cresce e si trasforma in sobborghi di città è povera. L’immagine è di tanti bambini poveri, tanti orfani. La questione sociale diventa fondamentale per i governi europei. Nei paesi dell’Europa occidentale della fine del 1800 si sviluppa la LEGISLAZIONE SOCIALE. Questa poi si trasformerà nel: diritto del lavoro, diritto sindacale e diritto della sicurezza sociale. Inizialmente le norme erano solo per tutelare i lavoratori uomini, solo dopo diventa inclusiva. Prima che arrivi il legislatore a prendere determinate decisioni le persone cominciano a organizzarsi, in questo contesto di povertà estrema, nella consapevolezza che di lavoro si muore, nascono le società di mutuo soccorso, alla fine del 1800. Queste associazioni hanno lo scopo di aiutarsi vicendevolmente, con l’idea di mettere assieme le proprie forze e di aiutare i soggetti in difficoltà con una forma di assicurazione privata. L’idea è di mettere assieme delle risorse comuni e quando a qualcuno di quelli parte del gruppo succede qualcosa, dare una piccola somma. Il limite di questa forma embrionale di associazione è quella che è volontaria, se si deve pagare la quota significa che c’è un autofinanziamento e quindi devo avere dei soldi per pagare la quota. Se sono così povero non posso partecipare a queste comunità. Se ci sono tanti infortuni, e non c’è nessuno che lo riempie dall’alto, il salvadanaio si esaurisce. Queste società di mutuo soccorso sono importanti, ma garantiscono una tutela diversa a seconda dei partecipanti. Se siamo tra ricchi facciamo la società di mutuo soccorso tra ricchi perché non vogliamo il povero che mette di meno, ma poi essendo disgraziato prende di più. C’è un’idea di solidarietà nella categoria, non esiste la solidarietà intercategoriale (si sta con persone diverse, con esigenze diverse e quindi si deve andare in compensazione). L’idea di mutuo soccorso è aiutarsi tra simili. Il cambio di mentalità forte da parte dello stato e il nuovo approccio a queste questioni è a fine ‘800 con il cancelliere Otto von Bismark che capisce che una società così povera è irrequieta, i poveri delinquono e mettono in discussione lo status quo con la violenza. Argina la questione sociale con la previsione di una forma di assicurazione obbligatoria per i lavoratori, in particolare contro gli infortuni, per la vecchiaia e la malattia professionale. Fonda l’idea di previdenza sociale obbligatoria per i lavoratori, è l’idea che lo stato deve proteggere da determinati eventi che possono verificarsi e compromettere la vita ad intere famiglie. L’idea è quella di un intervento dello stato che preveda un sistema obbligatorio in una logica razionale di stato che deve proteggere i suoi cittadini ed evitare lo sconvolgimento dell’ordine. Il modello di Bismark si fonda sul modello assicurativo, è presente ancora oggi. MODELLO BISMARKIANO • MODELLO ASSICURATIVO: impone l’assicurazione obbligatoria, impone che tutti i soggetti che lavorano abbiano una minima protezione in caso di eventi sgraditi. • DIVISIONE PER GRUPPI SOCIALI DISTINTI: Assicurazioni diverse a seconda dello status, della professionalità, purchè l’assicurazione ci sia • è un MODELLO DIRETTO PRINCIPALMENTE AI LAVORATORI • VERSAMENTO DEI CONTRIBUTI DA PARTE DEI SOGGETTI COINVOLTI: il datore di lavoro che gode della prestazione lavorativa viene definito corresponsabile e deve essere coinvolto nell’onere economico. Chi è soggetto al pagamento del premio non è solo il lavoratore, ma anche il datore. C’è condivisione degli oneri nel pagamento del premio assicurativo. • PRESTAZIONE PROPORZIONATA AL DANNO SUBITO E FONDATA SUL CALCOLO ATTUARIALE: PRESTAZIONI COMMISURATE ALLE CONTRIBUZIONI. Nel modello bismarkiano tanto ho pagato, tanto riceverò. Il modello bismarkiano è riassunto in un salvadanaio in cui ognuno di noi versa e da cui ciascuno di noi preleverà nel corso della vita quando starà male. A seconda di quello che ho messo nel salvadanaio potrò prelevare, non potrò prelevare di più di quanto messo. Il modello di Bismark entra nell’ordinamento italiano con la legge 80 del 1898. Il legislatore italiano copia il modello bismarkiano e istituisce l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro. Si impone il pagamento del premio a carico del datore di lavoro nella logica del rischio professionale. L’assicurazione vale per gli operai e vengono coperte la morte, le lesioni personali avvenute per causa violenta in occasione di lavoro, che è la caratteristica dell’infortunio. Lo stato italiano poi stratifica tutta una serie di interventi che tentano di creare una rete di protezione più ampia nei confronti dei lavoratori. Le riforme sono tutte fatte in step successivi, sono poche le riforme con un disegno preciso sin dall’inizio. La nascita della nostra sicurezza sociale è una nascita a pezzi, con filosofie ispiratrici spesso diverse, a volte sembra che manchi una organicità di sistema. Nel 1898 nasce l’assicurazione volontaria per l’invalidità e la vecchiaia e poi diventa obbligatoria nel 1919, però solo per i lavoratori subordinati, privati. Nel 1919 viene istituita l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione involontaria. Nel periodo fascista nasce l’istituto nazionale fascista della previdenza sociale. tutto è nella logica assicurativa di gruppo che si autotutela, il legislatore è focalizzato sui lavoratori. Le famiglie dei lavoratori sono protette in quanto legate al lavoratore. se il lavoratore perde il lavoro la famiglia perde tutto. delle esenzioni fiscali (anch’essi sono trasferimenti monetari). Questo è un problema per gli incapienti che sono sotto a 8.000 euro all’anno e sotto i 5.000 per reddito di lavoro autonomo e non possono beneficiare degli sgravi fiscali perché non hanno nulla, non pagano le tasse. Possiamo avere trasferimenti in beni e servizi. I diritti sociali possono essere erogati anche tramite trasferimenti di beni e servizi, che possono essere erogati alla generalità (es. scuola) o solo ad alcuni (es. casa popolare). COSTITUZIONE ITALIANA: che l’Italia sia un welfare state lo capiamo da vari elementi. Innanzitutto, l’articolo 2- abbiamo la parola solidarietà politica, economica e sociale. Solidarietà è un principio fondante della nostra costituzione. I diritti dell’uomo si fondano su questo dovere inderogabile di solidarietà. Poi abbiamo l’articolo 3, è sul principio di eguaglianza sostanziale al comma 2 che strutturiamo l’idea della solidarietà. Gli ostacoli devono essere eliminati tramite un’attività dello stato che è quello della garanzia dei diritti sociali. Se non c’è la garanzia dell’effettività di questi diritti sociali si compromette l’esercizio dei diritti civili. Questo comma è tipico degli stati sociali, non è tipico di tutte le democrazie (qui è sufficiente il principio di eguaglianza formale). Articolo 4 diritto e dovere al lavoro. L’articolo 32 è sulla salute (cure gratuite agli indigenti). Articolo 33 su scuola e istruzione, per i più meritevoli vanno previsti degli sconti per garantire l’istruzione anche a livelli superiori. Articolo 34 sulla scuola obbligatoria e gratuita. Articolo 38 è la norma che fonda la sicurezza sociale (sapere bene), è la norma che fonda l’impegno dello stato. Il comma uno fonda il concetto di assistenza sociale. Il comma 2 dice che i lavoratori hanno diritto che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità, vecchiaia e disoccupazione involontaria. Nel comma uno l’incipit è ogni cittadino, nel comma 2 l’incipit è i lavoratori. Il comma 2 del 38 fonda la previdenza sociale. comma 1 e comma 2 assieme sono la sicurezza sociale. Inabili e minorati, sono oggi i disabili, che hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. si parla di collocamento obbligatorio e mirato. Questo fonda il diritto dei bambini disabili ad avere il sostegno scolastico. Lo stato agisce in particolare tramite due istituti, INPS e INAIL, per realizzare i suoi scopi. Il quarto comma dice che l’assistenza privata è libera. è legittimo che si crei una rete di assistenza privata che ha un costo a carico dei soggetti che vi aderiscono. Ma questo non compromette il resto. Lo stato è obbligato a rendere effettivi questi diritti, ma l’assistenza privata si affianca al compito dello stato. ASSISTENZA, PREVIDENZA E SICUREZZA SOCIALE: In Italia abbiamo adottato un modello ibrido, abbiamo fuso il modello bismarkiano con quello beveridgiano. In alcuni casi prevale il modello universalistico beveridgiano in altri il modello mutualistico bismarkiano. La nascita è mutualistico assicurativa. C’è l’idea di gruppi che si autotutelano. C’è una forte dose di universalismo anche in costituzione. L’assistenza sociale è fondata nel primo comma dove si dice ogni cittadino, è l’idea di una tutela per tutti i cittadini. L’accesso ai diritti sociali è stato aperto anche ai non cittadini italiani sulla scorta di una serie di trattati internazionali. L’accesso a molti servizi sociali è esteso anche a cittadini UE, cittadini di paesi terzi e ad apolidi. Il comma 2 del 38 parla di previdenza sociale. L’incipit è i lavoratori e dove c’è lavoro c’è previdenza. Dove c’è un collegamento con il rapporto di lavoro c’è previdenza, non assistenza. Previdenza e assistenza devono essere analizzati da vari punti di vista, un punto di vista essenziale riguarda il finanziamento. Dove prendiamo i soldi per finanziare queste prestazioni. In linea teorica, quando parliamo di assistenza sociale, noi ci riferiamo a delle prestazioni che gravano come costo sulla fiscalità generale, cioè su tutti. Sono le tasse che servono per pagare quei servizi. La previdenza sociale trova il suo finanziamento tramite il pagamento dei contributi e quindi somme che gravano sui soggetti coinvolti, lavoratori e imprese. Se noi guardiamo il bilancio dell’INPS capiamo che ci sono 2 tipologie di entrate, le entrate dei contributi e le entrate che derivano dai trasferimenti che fa lo stato verso l’INPS e lo stato prende i soldi dalla fiscalità generale. Assistenza e previdenza sono materie di competenza dello stato. Previdenza e assistenza devono essere garantite dallo stato, ma a livelli ulteriori possono essere garantite anche dalle regioni per il di più, cioè per quello che va oltre le prestazioni essenziali. I destinatari sono i cittadini. Un elemento importante è la condizione del bisogno, l’intervento dello stato è condizionato dallo stato di bisogno. Lo stato di bisogno può essere presunto o accertato, effettivo. Lo stato di bisogno presunto è quando presumiamo e non abbiamo bisogno della verifica concreta che si sia verificato lo stato di bisogno. Deve essere tutelata la vecchiaia. Devono essere garantite le pensioni, prestazioni che tutelano la vecchiaia. è un bisogno presunto, lo stato presume che al compiere di quegli anni scatta la vecchiaia che lo stato vuole tutelare. Il bisogno è presunto, basta il compleanno, non serve che sia controllato il reale stato di queste persone. Acquisito il requisito non serve dimostrare la condizione economica di disagio. Quando parliamo di assistenza parliamo di bisogno effettivo. Il reddito di cittadinanza lo prende chi ha un ISEE di un certo tipo. Quando si parla di assistenza sociale si fa una valutazione del bisogno effettivo. La selezione c’è relativamente al bisogno che deve essere comprovato. Per l’inps abbiamo circa il 90% del bilancio dell’inps di spesa previdenziale e il 10% di spesa assistenziale. In Italia la spesa previdenziale è altissima, in particolare quella pensionistica. Quando parliamo di sicurezza sociale comprendiamo assistenza e previdenza, mescoliamo i modelli che in alcuni casi possono essere ibridi. Modelli ibridi perché ci sono modelli che prendono un po' dalla previdenza e un po' dall’assistenza. Nel metodo di calcolo retributivo la pensione è più conveniente per il singolo, è più alta, ci sarà una quota di pensione che non deriva dalla contribuzione versata, ma è un qualcosa di più. Questo di più è assistenziale perché lo paga lo stato. Ci sono delle situazioni in cui abbiamo una ibridazione dei modelli, e poi c’è il caso del finanziamento. In quella modellizzazione standard l’assistenza prende dalla fiscalità e la previdenza dai contributi. Pensiamo a quello che è successo nel periodo covid, il mercato del lavoro è stato drogato dagli ammortizzatori sociali. Abbiamo avuto la cassa covid in deroga, il blocco dei licenziamenti, si è ottenuta la pace sociale con gli ammortizzatori sociali. Gli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione sono finanziati dalla contribuzione, sono un ammortizzatore previdenziale e grava sulla contribuzione. Nel periodo covid i soldi erogati non avevano nulla a che fare con la contribuzione, è stato tutto finanziato tramite altri soldi e quindi lo stato si è addebitato. In varie situazioni serve prendere dove si trova, non solo nel sacco della contribuzione. I modelli servono, ma la realtà porta a una ibridazione di fatto. EVOLUZIONE STORICA ITALIANA: Ha creato una stratificazione. Gli ammortizzatori sociali sono stati modificati con la legge 234 del 2022, la legge di bilancio. La nascita della prima legge che dà il via a una strutturazione di misure per la previdenza sociale è la legge 80 del 1898. Previdenza sociale perché riguarda i lavoratori, istituisce l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro nell’industria. 1898-cassa nazionale di previdenza per l’invalidità e per la vecchiaia degli operai. è una contribuzione volontaria, quindi c’è libera scelta. La libera scelta non è mai davvero libera perché se i soggetti non hanno risorse economiche da destinare per quella assicurazione, quell’assicurazione non si concretizzerà. La tutela della maternità in questi anni era minimale, ma inizia l’idea di una minima indennità di maternità. 1917- estendo all’agricoltura l’assicurazione contro gli infortuni 1919-Assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia diventa obbligatorie e abbiamo anche l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria, quindi inizia ad esserci un’alta tutela. PERIODO FASCISTA: Abbiamo un intervento welfaristico, anche le dittature vogliono creare un livello accettabile di sicurezza sociale per tenere il controllo della società. Abbiamo l’assicurazione obbligatoria contro la tubercolosi. Abbiamo l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali (che si aggiungono alle tutele per gli infortuni). Queste sono malattie che trovano la loro causa eziologica in certi mestieri, per esempio con il contatto con certe sostanze. Nel 1933 nasce l’INPS, inizialmente era un istituto fascista. Nel 1939 abbiamo l’istituzione della tutela dei superstiti che garantisce la sopravvivenza della famiglia alla morte del congiunto che è colui che percepisce un reddito pensionistico o da lavoro. Nel 1943 nasce l’ente fascista per le malattie comuni. Ci vuole una tutela della malattia comune (es. influenza o malattia non riconducibile nell’area delle tecnopatie, malattie collegate alla professione che svolgo), non malattia professionale. L’EVOLUZIONE DALLA COSTITUZIONE REPUBBLICANA: Il nostro modello, nel corso del tempo, è diventato ibrido. Il modello beveridgiano lo vediamo dosato in modo diverso nei vari diritti sociali che garantiscono servizi e benefici e che tratteremo più avanti. I CAMBIAMENTI IN ATTO: • GLOBALIZZAZIONE DEI MERCATI: grave in caso di guerra. Si creano connessioni viziose e virtuose che hanno gravi ricadute sui paesi. • FINANZIARIZZAZIONE DELL’ECONOMIA: Economia fittizia fondata su speculazioni che non portano beneficio tra le persone. • INVECCHIAMENTO DELLA POPOLAZIONE: Cambia la struttura della popolazione mondiale e europea. Da noi la popolazione vive tanto, ma c’è bassa natalità e quindi la popolazione invecchia. Ci sono continenti come Africa e Asia che aumentano la popolazione. • WELFARE STATE VISTO COME UN COSTO: L’invecchiamento della popolazione ci fa capire come il sostenere un welfare costoso come quello italiano sia molto difficile. 22 febbraio 2022 VISIONE DEL VIDEO SU BEVERIDGE LA SICUREZZA SOCIALE IN ITALIA FONTI E ATTORI L’idea è della liberazione dal bisogno. La sicurezza si ha liberando le persone dallo stato di bisogno. Questo obiettivo è adottato in maniera diversa dalla strada che vogliamo percorrere. Art. 38, sia al primo che al secondo comma parliamo di liberazione dal bisogno (da leggere). I destinatari nell’assistenza sono tutti i cittadini, nella previdenza invece sono i lavoratori. C’è una commistione di modelli, interferenze, ma l’obiettivo è di garantire la condizione per cui il soggetto deve avere la sicurezza minima per poter esercitare i diritti fondamentali. Non esiste uno schema chiaro, bisogna ragionare per capire se c’è ibridazione. ASSICURAZIONI SOCIALI E ASSICURAZIONI PRIVATE: L’assicurazione vuole portare a una maggiore sicurezza. Nelle assicurazioni sociali si guarda ai bisogni essenziali, si elimina lo stato di bisogno garantendo un minimo esistenziale dignitoso. è questo bisogno essenziale di esigenza di vita minima, di soglia della dignità. Lo stato eroga il minimo che serve per un’esistenza dignitosa. L’assicurazione privata fa ottenere di più rispetto al minimo, per migliorare la propria condizione. Queste assicurazioni private tutelano il bisogno oltre l’essenziale, è una tensione verso qualcosa che è oltre la soglia della dignità. Nell’assicurazione sociale è lo stato che pone la soglia della dignità. Abbiamo varie norme costituzionali, poi la fonte legale, poi un riparto di competenze stato-regioni. Allo stato viene riservata la materia della previdenza obbligatoria nell’art. 117. Tutto quello che è oltre i livelli minimi delle prestazioni è rimesso alle regioni. C’è una logica di ammissibilità degli interventi dei privati. Ci sono anche le fonti sovranazionali che entrano nel nostro ordinamento grazie all’art. 117 comma 1 Cost. Una differenza troppo rigida in UE limiterebbe la libertà di circolazione. Tra i paesi dell’UE si crea un meccanismo per cui c’è una logica di interterritorialità e questo consente una parità di privatistica. Le casse oggi sono soggetti con personalità giuridica di diritto privato, ma svolgono una funzione pubblicistica. Per i professionisti autonomi non iscritti a un ordine la contribuzione viene pagata all’INPS. Al comma 2 dell’art. 38 si parla di rapporto di lavoro, dove c’è lavoro c’è previdenza. L’altro ente previdenziale è l’INAIL che ha mangiato altri enti previdenziali in materia di tutela della salute e sicurezza. C’è il monopolio dell’INAIL in questo settore. RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE: Questo rapporto lega l’ente previdenziale ai lavoratori. INPS, INAIL e cassa devono pagare la prestazione al lavoratore. Questo rapporto fa sorgere l’obbligo in capo all’ente di erogare la prestazione. L’ente deve pagare la prestazione quando sorge il diritto. I contributi sono provvista per alimentare il salvadanaio. Il singolo ha diritto a ottenere una prestazione da parte dell’ente previdenziale quando ci sono determinate condizioni e si concretizzano determinati requisiti. Il rapporto giuridico previdenziale sorge automaticamente quando nasce il rapporto di lavoro. Ecco perché quando sorge il rapporto di lavoro in nero abbiamo comunque una tutela del lavoratore. Il rapporto giuridico previdenziale sorge con l’insorgere del rapporto di lavoro. Il lavoro in nero è lavoro non dichiarato, ma un contratto di lavoro si è già stipulato. Qui scatteranno le sanzioni da omissione contributiva. Abbiamo un rapporto di lavoro sommerso, ma poiché p sorto un rapporto giuridico previdenziale sono già sorti gli obblighi contributivi e quelli fra l’ente previdenziale e il lavoratore. Questi automatismi sono a tutela del lavoratore. Tutto è in automatico. Abbiamo automaticamente e obbligatoriamente la prosecuzione del rapporto che riguarda l’erogazione delle prestazioni (lega l’ente previdenziale al lavoratore) e il rapporto contributivo, ecco perché c’è omissione contributiva quando abbiamo il lavoro nero. DOVE C’E’ LAVORO C’E’ PREVIDENZA IN AUTOMATICO. Il rapporto previdenziale lega l’ente previdenziale con il soggetto. Il diritto alle prestazioni viene maturato dal soggetto quando si verifica lo stato di bisogno, come nel caso di malattia, maternità o pensione. È sempre uno stato di bisogno presunto, la tutela per la maternità è a prescindere dal reddito della donna. Non serve provare lo stato di bisogno effettivo, ha diritto alla NASPI anche la persona ricca che è rimasta disoccupata. Per ogni prestazione previdenziale sono richiesti dei requisiti assicurativi e contributivi. I requisiti assicurativi indicano che ci si deve essere iscritti a quella gestione. Si deve avere un requisito assicurativo. I dipendenti pubblici a tempo indeterminato non hanno diritto alla NASPI, perché non hanno l’assicurazione per la disoccupazione. Non c’è quel tipo di assicurazione. Abbiamo spesso anche la necessità di dimostrare di avere il possesso dei requisiti contributivi, va dimostrato di avere versato i contributi, questo implica che i contributi vengano sempre versati, ma questi non lo sono sempre, o per inadempimento datoriale o perché è successo qualcosa nell’arco della vita lavorativa e non vengono versati i contributi perché ci sono eventi che sospendono il rapporto. A seconda delle prestazioni si decide quale è il minimo di contribuzione che si prende per condizionare l’erogazione della prestazione. Ciascuna prestazione richiede un minimo contributivo che può essere molto basso o molto alto, si parla di anzianità contributiva. Un minimo molto alto è quello per la pensione, prima di andarci infatti ci vogliono tanti contributi versati. Per la malattia e maternità il minimo è basso perché si vuole garantirle immediatamente. La soglia minima di contribuzione evita le finzioni, cioè le assunzioni finte in cui l’unico scopo è quello di chiedere prestazioni. C’è bisogno di essere iscritti all’assicurazione e di avere un minimo di contribuzione. ASSICURAZIONI, Quali sono? 1. INPS: Abbiamo l’invalidità, vecchiaia e superstiti (IVS). La malattia comune, l’insolvenza del datore di lavoro, la maternità … Abbiamo la distinzione per eventi causanti. 2. INAIL: Malattie professionali e infortuni sul lavoro. Quando si parla di assicurazione per queste prestazioni e del ruolo dell’INPS e della tutela dei lavoratori subordinati che si distinguono in questi vari eventi parliamo dell’AGO, Assicurazione Generale Obbligatoria. Tutti i lavoratori dipendenti hanno queste tutele che rientrano nel cappello dell’assicurazione generale obbligatoria. Il PRINCIPIO DELL’AUTOMATICITA’ DELLE PRESTAZIONI è un principio che ci fa capire che il rapporto tra la prestazione erogata e la contribuzione versata non è un rapporto corrispettivo, sinallagmatico. Nel c.c. all’art. 2116 viene imposto questo principio fondamentale che è l’automaticità delle prestazioni. Questo articolo dice che le prestazioni indicate all’art. 2114 sono dovute al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni delle leggi speciali o delle norme corporative. Così sganciamo la prestazione previdenziale dalla contribuzione. I contributi servono per avere il salvadanaio pieno, ma dal punto di vista giuridico il principio di automaticità fa si che la prestazione verrà erogata anche se abbiamo l’evasione o l’omissione contributiva. È un principio dei temperamenti, perché sennò saremmo già in default. Il comma 2 dice: Nei casi in cui, secondo tali disposizioni, le istituzioni di previdenza e di assistenza per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al prestatore di lavoro. Il secondo comma apre le porte a delle eccezioni. Nel primo comma, le prestazioni indicate nel 2114 sono la previdenza e l’assistenza obbligatoria. Il 2114 dice: le leggi speciali determinano i casi e le forme di previdenza e di assistenza obbligatorie e le contribuzioni e prestazioni relative. Quindi il 2114 ci dice che c’è un’assicurazione generale obbligatoria ed è lo stato che decide che cosa c’è dentro questo ago, quindi quali sono gli eventi protetti e le prestazioni erogabili e ci dice anche che è lo stato che decide a quanto ammontano i contributi. Questo principio si applica solo nelle assicurazioni sociali obbligatorie, non nelle assicurazioni private. Questa differenza fra privato è pubblico è fondamentale perché nella logica di uno stato che vuole garantire i diritti sociali e non vuole scaricare sui beneficiari delle prestazioni la responsabilità dell’inadempimento non proprio è l’unica strada percorribile. Il principio dell’automaticità delle prestazioni vuole distinguere i rapporti previdenziale e contributivo e non far pagare gli effetti negativi della mancata prestazione al soggetto destinatario della prestazione che è il soggetto debole che si vuole tutelare. I temperamenti ci sono, li cogliamo da varie altre norme, ma non valgono per il pubblico impiego. Il limite all’automaticità delle prestazioni vale per l’impiego privato ed è il limite della prescrizione dei contributi. Se c’è un inadempimento del datore nel versamento dei contributi, quindi il datore non sta versando i contributi all’inps, l’inps ha 5 anni di tempo per fare la sua azione per il recupero del credito nei confronti del datore. L’inps ha i debitori che sono i datori di lavoro, l’inps dovrà attivarsi per recuperare i suoi crediti. Il limite al principio dell’automaticità delle prestazioni è la prescrizione dell’azione dell’inps per il recupero dei contributi non versati. I 5 anni decorrono dalla scadenza del pagamento del contributo. L’INPS a volte è in affanno con le azioni di recupero. Si è prevista la possibilità di raddoppiare a 10 anni il termine di prescrizione quando c’è la denuncia del lavoratore o della lavoratrice che verifica la propria situazione contributiva, si rende conto che mancano dei mesi di contribuzione e lo dice all’INPS. Così si rende compartecipe il cittadino e gli si dà la possibilità di attivarsi. Una volta che si matura la prescrizione gli enti previdenziali non possono più ricevere i contributi. Anche se l’INPS dopo 12 anni riceve il contenuto dei pagamenti che sono prescritti deve restituirli. È il principio dell’irricevibilità dei contributi prescritti. È un principio fondamentale per lo stato, perché solo così può controllare i suoi conti. Il principio di automaticità delle prestazioni trova una forte riduzione della sua portata per le pensioni. Il principio di automaticità delle prestazioni e la prescrizione fanno si che ci sia una forte limitazione del funzionamento di questo principio in materia pensionistica. Per maturare il diritto a pensione io devo avere un’anzianità contributiva molto elevata e quindi c’è il rischio che maturi la prescrizione per la contribuzione omessa. A fine carriera lavorativa il lavoratore ha compiuto i 67 anni e potrebbe dire che non può usare quella via di fuga perché non ha tutti gli anni di contribuzione richieste perché ha dei buchi, dato che è già maturata la prescrizione. Il termine di prescrizione è quindi necessario anche per la gestione contabile. L’INPS ha dovere di controllare, ma non riesce a controllare tutto, allora scattano obblighi risarcitori del datore di lavoro per il danno creato al lavoratore. La prescrizione come limite al principio di automaticità trova il suo esempio nell’ambito pensionistico. Quando parliamo di prestazioni temporanee, come la malattia, la maternità la prescrizione non conta. Il principio di automaticità delle prestazioni trova il suo campo di battaglia principale per tutte le prestazioni INAIL, infortuni e malattie professionali. I lavoratori a nero erroneamente pensano che in caso di infortunio sul lavoro è meglio non dire nulla e curarsi per contro proprio, ma non è così perché c’è la tutela INAIL. Il lavoratore infortunato e che fa lavoro a nero è coperto dall’INAIL. Il principio di automaticità delle prestazioni dove non si applica? • Per i lavoratori autonomi, perché questo principio prevede che ci sia uno sdoppiamento tra il soggetto beneficiario delle prestazioni, il lavoratore e il soggetto tenuto all’obbligo di versare la contribuzione, il datore. Quando il soggetto è lo stesso, cioè il soggetto beneficiario della prestazione è anche quello tenuto all’obbligo non c’è automaticità delle prestazioni. IL PRINCIPIO DI AITOMATICITA’ DELLE PRESTAZIONI TROVA TERRENO ELETTIVO NEL LAVORO SUBORDINATO dove c’è lo sdoppiamento fra chi è obbligato a versare il contributo e chi è beneficiario. • Per i lavoratori parasubordinati dipende, il legislatore non è chiaro sul punto. Ci sono due interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali di chi dice che i parasubordinati sono autonomi e si applica il regime degli autonomi e a loro non spetta nulla se non c’è stato il versamento. Ci sono poi quelli che dicono che i parasubordinati sono autonomi, ma il meccanismo previsto per il versamento dei contributi fa leva sul committente che è quello materialmente tenuto al versamento e quindi il committente è assimilato al datore di lavoro dal punto di vista dell’obbligo di contribuzione perché materialmente è il committente che versa. Il rapporto contributivo è il rapporto tra l’ente previdenziale e il soggetto che deve versare i contributi. I contributi a volte gravano solo sul datore e a volte sia su di lui che sul lavoratore e per gli autonomi solo sul lavoratore autonomo. Per i parasubordinati gravano in parte sul committente e in parte sul lavoratore parasubordinato. I soggetti obbligati variano, dal punto di vista del materiale versamento sono obbligati materialmente al versamento i datori di lavoro subordinato e i committenti. L’aliquota che è di competenza del lavoratore subordinato o parasubordinato la prelevano dalla retribuzione, è un prelievo alla fonte. Non si vuole caricare il lavoratore dell’onere di versare mensilmente la sua contribuzione perché si rischiano pasticci. La cosa più semplice è che obbligato a versare sia il datore, ma il datore preleverà la quota di competenza del lavoratore direttamente dalla retribuzione. Nella busta paga c’è il lordo e poi ci sono le ritenute fiscali IRPEF e previdenziali, cioè i contributi per poi avere il netto. Ecco perché dal punto di vista lavoristico non si parla mai di netto, il netto è un concetto che non esiste, è variabile. Il concetto fondamentale è il concetto di lordo. Il concetto di “lordone” è il costo aziendale. Nel costo aziendale, oltre al costo della retribuzione c’è il costo della contribuzione. Gli autonomi viaggiano su un binario separato e pagano tutto da soli. Che cosa sono i contributi? La natura dei contributi è discussa. Nel settore industria noi abbiamo questa situazione. Nella prima colonna vediamo come primo acronimo Fondo Pensioni Lavoratori al fine della tutela contro gli infortuni. L’elemento che determina la copertura assicurativa da parte dell’INAIL non è essere necessariamente lavoratore, ma è essere esposti al rischio di infortuni. Era coperto anche Lorenzo morto in alternanza. L’altro criterio è che l’ente che impersonifica questo criterio è l’istituto nazionale della previdenza sociale, INPS. A questa configurazione dell’INPS si è giunti ad esito di un lungo percorso che ha visto assorbire da parte dell’INPS tutti gli altri enti di previdenza esistenti. Tutti i lavoratori sono assicurabili presso l’INPS per effetto del progressivo assorbimento di vari enti previdenziali preesistenti. Il criterio organizzativo adottato dall’INPS è quello delle gestioni. L’INPS è un ente previdenziale unico, ma è organizzato in gestioni, c’è la gestione dei lavoratori subordinati, dei commercianti, dei lavoratori pubblici, degli artigiani e la gestione separata (con tutto ciò che non può andare nelle altre gestioni e questa è l’ultima nata). La gestione separata è nata nel 1995, è questo l’anno della grande riforma del sistema previdenziale, la riforma è la legge n. 335 del 1995. INPS assicura tutti i prestatori di lavoro attraverso il meccanismo delle gestioni. Il rapporto giuridico contributivo è tra l’ente previdenziale e il datore di lavoro. Ci sono le casse dei liberi professionisti, sistema di previdenza non gestito dall’INPS, ma gestito da altri organi che sono stati privatizzati. Sono soggetti di diritto privato anche se svolgono una funzione pubblica. Le casse svolgono funzione di diritto pubblico. SISTEMA DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE (accenno perché provocato) Non è un sistema obbligatorio, si regge sul principio della volontarietà. Poiché la previdenza pubblica arranca, non garantisce sistemi pensionistici all’altezza ci si può garantire integrando la previdenza pubblica con una pensione aggiuntiva e complementare. Il rapporto giuridico contributivo nasce al verificarsi di una determinata condizione prevista dalla legge. La regola generale è collegata alla istaurazione del rapporto di lavoro subordinato, da quando sorge anche il rapporto contributivo, cioè l’obbligo per il datore di lavoro di versare la contribuzione. Natura giuridica dei contributi: Qualcuno ipotizza che la contribuzione sia il corrispettivo delle prestazioni previdenziali. La contribuzione è il nesso di sinallagmaticità con le prestazioni. Però questa tesi è stata avversata fortemente. Infatti, in realtà, non c’è nessun rapporto tra le prestazioni e la contribuzione. Le prestazioni previdenziali rispondono all’art. 2116 c.c. al comma 1, cioè al principio dell’automaticità delle prestazioni. La prestazione è dovuta al soggetto protetto nel momento in cui si verifica l’evento, a prescindere dal versamento della contribuzione. Il prestatore di lavoro ha diritto alla prestazione quando si verifica l’evento a prescindere dal versamento della contribuzione. Ci sono dei soggetti che vi godono senza essere prestatori di lavoro. Al massimo, la contribuzione può incidere sul quantum della prestazione. Tra contributi e prestazione previdenziale non c’è alcun nesso. Siccome non c’è alcun nesso possiamo riferirci al terreno fiscale, alle imposte che lo stato impone a determinate categorie di cittadini per finanziare il sistema previdenziale. Sono imposte speciali. Il regime giuridico della contribuzione dipende dalla natura giuridica dei contributi. Non c’è tanta differenza rispetto all’imposizione fiscale, l’unica differenza è che la categoria dei soggetti incisi non riguarda la generalità dei cittadini, ma solo determinate categorie e poi il fatto di essere destinate al finanziamento del sistema di sicurezza sociale. Regime prescrizionale: L’ente previdenziale ha diritto a ricevere contributi, il lavoratore autonomo è obbligato a versare la contribuzione. Se il soggetto obbligato omette di versare un regime prescrizionale, il regime della prescrizione è il diritto che muore, è un modo di estinzione del diritto. Ogni diritto, ove non esercitato per il periodo fissato dalla legge si prescrive, muore. è collegato a due elementi costitutivi, cioè all’inerzia del titolare del diritto e al decorso del tempo. Questo sistema prescrizionale si applica anche alla contribuzione. Il termine è di 5 anni dal momento in cui insorge l’obbligo contributivo. Questo termine si allunga a 10 anni dove il lavoratore o i suoi superstiti abbiano reclamato il versamento della contribuzione omessa. Il regime è indisponibile, se il datore di lavoro versa il contributo anche se si è prescritto, l’INPS non può ricevere la contribuzione prescritta. Decorsi 5 anni dalla sua maturazione quella contribuzione si prescrive, il termine raddoppia e si allunga a 10 se prima che si maturassero i 5 anni il lavoratore fa denuncia all’ispettorato dell’inps per il recupero della contribuzione. C’è solo un caso in cui l’inps deve riceversi la contribuzione prescritta, è l’ipotesi dell’art. 1 comma 3 del decreto legislativo n. 80 del 1992, riguarda la contribuzione. se l’impresa fallisce al prestatore di lavoro, attraverso il fondo di garanzia, è consentito recuperare i contributi omessi, anche quelli prescritti. TIPOLOGIE DI CONTRIBUTI: Ci sono varie tipologie di contributi che individuiamo in base ad altri criteri. Il primo criterio ordinatore ci parla dei contributi obbligatori e addizionali. Quelli obbligatori nascono con l’insorgenza del rapporto contributivo. Se io assumo un lavoratore subordinato automaticamente sono obbligato a versare i contributi. contribuzione addizionale: Sono previsti nel caso in cui il datore di lavoro usa determinati strumenti. Sono previsti quando determinate situazioni protette dal sistema di sicurezza sociale passano dallo stato potenziale a quello reale. Per esempio, pensiamo alla Cassa integrazione guadagni, la legge pone in capo al datore di lavoro una contribuzione obbligatoria per l’evento disoccupazione. Se io sono un’azienda metalmeccanica ho l’obbligo di versare la contribuzione per la cassa integrazione. Se io a un certo punto faccio ricorso alla cassa integrazione passo a una situazione reale di utilizzo dove sono obbligato a versare il contributo addizionale. Di contribuzione addizionale si è molto parlato durante il periodo della pandemia perché in alcuni casi, per andare in contro alle situazioni delle imprese italiane, il legislatore speciale ha previsto l’esonero dalla contribuzione addizionale, quindi ha dato la cassa integrazione, ma ha esonerato il datore dalla contribuzione addizionale. legge 234 del 2021 è la ultima legge finanziaria, quella per il 2022. In essa è stato introdotto un meccanismo di alleggerimento della contribuzione addizionale collegato al mancato uso della cassa integrazione nel biennio precedente all’eventuale richiesta di intervento. Per esempio, se faccio un incidente per causa mia e causo un danno di 50 euro alla macchina tamponata, non mi conviene fare denuncia all’assicurazione perché scatta il malus, una penalizzazione. Viceversa, ogni anno di mancato incidente scatta un bonus. Sul contributo addizionale la legge 234 ha importato questo meccanismo. Se non si fa richiesta della cassa integrazione nel biennio precedente si ha un bonus, cioè un contributo addizionale minore. Poi c’è una ipotesi di contributo di solidarietà. è una contribuzione che grava su certe categorie di datori di lavoro e lavoratori a prescindere dal verificarsi di un evento generatore di bisogno. Grava per eventi che si possono verificare in capo ad altri soggetti. L’esempio più concreto riguarda il settore dell’agricoltura. Tutti noi paghiamo una fetta di contribuzione per sostenere il settore. Settore primario per l’economia del paese non è in grado di reggere il rapporto entrate uscite ed è destinatario di un contributo di solidarietà. Lavoratore che ha interesse alla posizione previdenziale collegato al fatto che quella posizione incide sulle prestazioni pensionistiche. Il lavoratore ha interesse alla posizione contributiva dato che si riverbera sulla prestazione pensionistica. Ci sono pensioni in basso livello per cui la legge prevede l’integrazione al trattamento minimo. La legge dice che se la pensione è sotto un dato minimo viene integrata dallo stato. Quando si parla di lavoro nero non si considera che spesso non è imposto dal datore, ma è sollecitato dal lavoratore. Il lavoratore in chiaro paga i contributi, al contrario di quello a nero. Conviene lavorare a nero senza contributi, perché può accadere di percepire una pensione di importo di 500 euro (minima) invece che 800 come chi prende il reddito di cittadinanza senza aver versato contributi. Ci sono dei periodi durante i quali non c’è contribuzione. Per questi periodi il sistema consente di coprirli attraverso due sistemi, quello della contribuzione da riscatto e quello della contribuzione volontaria. In tutti e due i casi l’onere di questa operazione ricade sul prestatore di lavoro. Il riscatto come premio è stato introdotto nel 2007 con la legge 247 con Romano Prodi. Il riscatto è fatto in modo vantaggioso per i genitori che pagano ed è appeso a un filo che staccherò quando troverà un lavoro definitivo e lo porterò nella relativa gestione. è un riscatto oneroso a carico del prestatore di lavoro. Ci sono altri eventi riscattabili, periodi formativi, anche congedi parentali e altri eventi vuoti di contribuzione. La contribuzione volontaria: guarda al futuro. Non è retrodatabile più di 6 mesi all’indietro rispetto al momento della maturazione. è una manutenzione della contribuzione costosa. Contribuzione a carico dello stato è la contribuzione figurativa. Non è coperta, non proviene dai soggetti obbligati, è lo stato che interviene a tenere indenne il lavoratore dagli effetti di determinati eventi. Gli effetti di quegli eventi sono la scopertura contributiva. A fronte della mancata effettuazione della prestazione lavorativa non c’è l’erogazione della retribuzione e non c’è nemmeno versamento della contribuzione. In certi casi, a fronte di questo schema, lo stato interviene accreditando la contribuzione che non è stata versata. Gli eventi coperti dalla contribuzione figurativa sono tutti gli eventi al verificarsi dei quali il prestatore di lavoro percepisce un trattamento erogato dall’inps. Quali sono gli eventi? Quelli previsti dal 2110 c.c. gravidanza, puerperio, malattia professionale, infortunio sul lavoro, malattia. La gravidanza è il periodo di gestazione e il puerperio è il periodo successivo al parto (3 più 2 mesi fa 5 mesi di congedo parentale). Il datore non paga la retribuzione, la lavoratrice madre riceve l’indennità della maternità e per quel periodo lo stato accredita all’inps la somma corrispondente ai contributi che il datore non ha versato perché non ha versato la retribuzione. Occorre aggiungere agli eventi del 2110 anche i trattamenti di disoccupazione. Trattamenti di disoccupazione: sono da un lato la CIG e la CISOA e dall’altro lato la NASPI e dis-coll. la cig è nella cassa integrazione guadagni, la cisoa è il trattamento di cassa integrazione per gli operai agricoli. Questi due sono i casi di sospensione dell’attività. Quando i lavoratori perdono il posto abbiamo la naspi e il dis-coll, trattamento di disoccupazione erogato ai cococo. In entrambi i casi si tratta di disoccupazione totale. In tutti i casi il periodo di godimento della prestazione previdenziale è coperto dalla contribuzione figurativa. Meccanismo di calcolo della contribuzione: è l’art. 12 ultimo comma della legge 153 del 1969. Questa norma dice che i contributi e le prestazioni previdenziali hanno una identica base di calcolo. Quello che l’inps riceve come contribuzione è calcolato con un parametro identico a quello che l’inps usa per calcolare le prestazioni previdenziali. Stessa base per calcolare le entrate e le uscite (prestazioni previdenziali), l’inps calcola le prestazioni previdenziali sulla base delle retribuzioni previste dai contratti nazionali di lavoro. La base di calcolo è la contrattazione collettiva. Se l’inps calcola le prestazioni sulla base del trattamento economico previsto dal contratto collettivo l’inps prevede calcolo dei contributi sulla base del parametro del contratto collettivo. Non si può accettare una base di calcolo diversa. L’art. 1 di questa legge enuncia il concetto di minimale contributivo che significa quale è la base retributiva su cui si calcolano i contributi. Questo fa riferimento alla retribuzione prevista dai contratti nazionali. L’inps dice che i contributi sono pagati sulla base del contratto collettivo nazionale di lavoro, cioè la retribuzione sotto la quale non si può scendere nel calcolare la contribuzione. La contribuzione è quella prevista dai contratti collettivi nazionali. Questa legge ha dato molto filo da torcere a livello di applicazione giurisprudenziale perché se io sono obbligato a calcolare i contributi sulla base del contratto collettivo di lavoro vado a leggermi il contratto collettivo nazionale di lavoro e mi accorgo che per un lavoratore che è già al secondo livello devo versare i contributi calcolati su 1.500 euro al mese. Penso di fare un contratto collettivo fatto in anni con i vari accantonamenti, allora il legislatore gli fa pagare le tasse con la tassazione separata, un metodo di calcolo che fa la media degli ultimi anni. È un modo più equo di calcolare le imposte. Gli incentivi all’esodo dei lavoratori sono somme erogate in occasione di un accordo in cui c’è una risoluzione consensuale in cambio dell’uscita e dell’accettazione dell’uscita le aziende danno dei soldi per liberarsene. O quando un’impresa in difficoltà deve fare licenziamenti collettivi chiede chi vuole andarsene incentivato, questi sono INCENTIVI ALL’ESODO, somme incentivate, perché il legislatore per favore questo meccanismo dice che non sono imponibili dal punto di vista contributivo, ma solo dal punto di vista fiscale. Non si pagano contributi delle somme a carico delle gestioni INPS (escluse dall’imponibile). Abbiamo poi esclusione dall’imponibile per i contributi e le somme erogate dalle forme di previdenza complementari. Il legislatore decide quali imposte sono escluse dall’imponibile contributivo per motivi specifici. Ci sono poi delle voci escluse da entrambi. Cioè imponibile contributivo e fiscale, per esempio i rimborsi analitici (se il prof va in trasferta per l’università devo sopportare delle spese che anticipo e che poi mi rimborseranno). Quando il lavoratore anticipa spese del datore, infatti, non può mai rimetterci. Altri elementi esclusi dall’imponibile contributivo e fiscale per scelta di agevolare, è una scelta politica. Per esempio, le mance croupiers, esenti nella misura del 25% annuo o i compensi in natura sono totalmente esentati se il valore complessivo annuo di beni e servizi è inferiore o pari a euro 258, 23, sopra l’emonumento rientra nell’imposizione. Sono scelte del legislatore che dipendono dai momenti storici. Queste sono leve importanti, manovrare la leva fiscale e contributiva può determinare delle scelte e il legislatore dalla legge di stabilità del 2017 ha reso conveniente la conversione del premio di risultato in contributi alle forme pensionistiche complementari e con i beni e i servizi di cui ai commi 2,3,4 dell’art. 51 TUIR. Se il premio di risultato è 100 euro, questi 100 euro saranno da tassare e fare prelievo contributivo secondo le regole generali. Al lavoratore arriveranno circa 55 o 60 euro. Se i 100 euro vengono trasformati in uno degli altri servizi erogati dal datore di lavoro varranno 100, 80 euro, a seconda della scelta del legislatore che decide di agevolare dei comportamenti che ritiene proficui diminuendo l’aliquota fiscale contributiva se il premio di risultato viene investito in un certo modo. Quindi il lavoratore è libero di tenersi i 60 euro in tasca o scegliere di versare 100 euro alla previdenza complementare. Ci sono poi delle scelte fatte dalle leggi di stabilità che vogliono incentivare oltre che determinati comportamenti e l’erogazione da parte del datore di determinati servizi, anche il welfare aziendale. Molti servizi oggi vengono erogati con fatica dallo stato e quindi l’idea che i privati entrino e forniscano questi servizi ai lavoratori è positiva. Per incentivare questi comportamenti dobbiamo considerare delle agevolazioni che spingano i datori a fare questo. La legge di stabilità del 2018 ha inserito nel TUIR e nell’art. 51 una lettera sugli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, per cui le somme erogate o rimborsate alla generalità o a categorie di dipendenti del datore di lavoro o le spese da quest’ultimo direttamente sostenute, volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, di accordo o di regolamento aziendale, per l’acquisto degli abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale del dipendente e dei familiari a carico sono escluse dall’imponibile. L’imprenditore, di solito spinto dai sindacati, prevede delle somme che soddisfano esigenze del lavoratore e della sua famiglia, come l’abbonamento per il trasporto pubblico e locale. Noi escludiamo dall’imponibile quello che sarebbe un frange benefit, è un servizio che dovrebbe far parte dell’imponibile, ma non lo fa per favorire il datore a fornire questo tipo di servizi, in una logica di welfare aziendale. Importante è che ci sia una copertura che riguarda l’esistenza di piani di welfare e questi benefici devono riguardare la generalità dei lavoratori. Se non riguardano la generalità dei lavoratori, ma solo taluni lavoratori, sono frange benefits e non rientrano in un piano di welfare. Il legislatore, nell’art. 51 del TUIR immette altri elementi grazie alla legge di stabilità del 2018, sono esclusi dall’imponibile quegli emonumenti che riguardano l’uso di opere e servizi riconosciuti dal datore di lavoro volontariamente o in conformità a disposizioni di contratto, offerti alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per le finalità di cui all’art. 100 (di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale, sanitaria o di culto). Sono una serie di servizi o opere messe a disposizione dal datore ai dipendenti che vengono escluse dall’imponibile contributivo e fiscale all’interno di un piano di welfare. Abbiamo poi un altro incentivo per il datore. L’articolo 100 è deducibile nel limite del 5 per mille. Il legislatore incentiva il datore a porre in essere queste azioni. Esclusi dall’imponibile sono anche le somme e servizi erogate dal datore alla generalità dei dipendenti per fruizione da parte dei familiari a carico per servizi di istruzione anche in età prescolare (asili), compresi i servizi integrativi e di mensa a essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche, di centri estivi e borse di studio a favore dei medesimi familiari. Sono esclusi dall’imponibile anche questi servizi per la famiglia e questo rientra nel piano di welfare. È una forma di auto-organizzazione dei privati incentivata dallo stato. La legge di stabilità del 2016 introduce i servizi di assistenza per familiari anziani e non autosufficienti. C’è l’esigenza di tutelare gli anziani e le persone non autosufficienti. L’invecchiamento della popolazione porta al rischio di non autosufficienza, ognuno di noi può essere interessato a stipulare delle polizze con assicurazioni per malattie a lungo termine, c’è una preoccupazione da parte dello stato per i costi che questo ha sul welfare e quindi si incentiva la stipulazione di questo tipo di polizze che riguardano le patologie croniche ecc. Il welfare aziendale si è sviluppato recentemente grazie al fatto che il legislatore ha cominciato ad escludere queste poste dall’imponibile contributivo e fiscale. Ogni volta che si manovra su queste leve ci sono degli effetti (disincentivare o incentivare determinati comportamenti). Le prestazioni previdenziali sono determinate dalla legge e hanno tendenzialmente una natura economica, sono erogazioni in denaro, ma ci sono anche le prestazioni sanitarie che rientrano nelle prestazioni previdenziali. L’inail contiene al suo interno una distinzione, eroga la prestazione sia in denaro sia in prestazioni sanitarie. La funzione delle prestazioni previdenziali è il soddisfacimento di un interesse duplice, non vuole soddisfare solo l’interesse del singolo, ma l’interesse pubblico. è l’idea che lo stato si tiene insieme raggiungendo un livello di vita dignitosa secondo un concetto che viene declinato nel corso del tempo. Interesse pubblico e privato a volte contrastano. L’interesse privato alla diminuzione dell’importo delle pensioni contrasta con l’interesse pubblico. L’art. 38 Cost va di pari passo con l’art. 2 Cost sulla previdenza sociale. è tutto improntato sulla logica della solidarietà della società che è organizzata nello stato. La tutela è quella del rischio sociale che protegge le persone dallo stato di bisogno, ma non significa arricchire le persone, significa garantire un’esistenza dignitosa. Le prestazioni previdenziali sono un diritto sociale. I diritti sociali sono sia quelli che riguardano la previdenza che quelli che riguardano l’assistenza e il lavoro in generale. Prevedono un’attivazione pubblica per costruire gli strumenti perché quel diritto possa essere davvero esercitato. C’è esigenza di uniformità sul territorio regionale di tutta la previdenza e assistenza. Le prestazioni devono essere rese in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. Questo profilo tocca l’aspetto dei non cittadini, per la previdenza non ha importanza che il soggetto sia cittadino o meno, l’importante è che sia un lavoratore. La previdenza è legata al lavoro. Lo stato deve garantire il minimo essenziale alle esigenze di vita (non garantisce lo stesso reddito precedente). Il concetto di adeguatezza è un concetto che riempie un contenitore sfumato. Nell’articolo 2 è un concetto che non dà certezze, è una nozione a cui di volta in volta il legislatore deve dare un significato. Non c’è nessuna garanzia del mantenimento dello stesso tenore di vita. Qui l’interesse pubblico può collidere con quello privato di mantenere lo stesso tenore di vita. NATURA GIURIDICA DELLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI: Non è retribuzione, non è risarcimento del danno, non c’è la sinallagmaticità con i contributi versati, è una prestazione che può essere in denaro o in prestazioni sanitarie, erogata dall’ente previdenziale per obbligo di legge. Sono destinate a soddisfare un interesse pubblico generale, queste caratteristiche determinano delle conseguenze, c’è l’obiettivo di assicurare mezzi adeguati alle esigenze di vita. Abbiamo una impignorabilità dei trattamenti previdenziali nella parte in cui assicurano i mezzi adeguati alle esigenze di vita. Il minimo essenziale è impignorabile. La Corte costituzionale ha ritenuto la pignorabilità nelle parti eccedenti rispetto al soddisfacimento dei mezzi adeguati alle esigenze di vita. Potrebbe essere scorporata, le pensioni d’oro di una volta calcolate col metodo retributivo possono essere scorporate in due componenti, la prima è quella che garantisce mezzi adeguati alle esigenze di vita e l’altra componente va oltre ed è quindi pignorabile. Ci sono delle eccezioni, infatti sono pignorabili nel limite del quinto i crediti vantati dagli enti previdenziali per prestazioni indebitamente percepite o per prestazioni non versate e per i crediti alimentari. Qui c’è la pignorabilità nel limite del quinto. I crediti alimentari sono compresi nella logica che la prestazione previdenziale riguarda in primis il lavoratore o la lavoratrice, cioè il diretto destinatario, ma riguarda anche la famiglia, e quindi se ci sono dei crediti che questo soggetto deve onorare è possibile prelevare il quinto della prestazione. Il diritto previdenziale che sorge e consente al soggetto di percepire una prestazione diventa un diritto soggettivo perfetto col perfezionarsi dei requisiti quindi è possibile agire in giudizio e la competenza è quella del giudice del lavoro. Il rito del lavoro ha una specificazione con norme ad hoc che è il rito previdenziale. Il fatto che ci sia un giudice specializzato è fondamentale perché la materia previdenziale è talmente specialistica che si ritiene debba essere gestita da una persona competente. CITTADINI EXTRA UE E DIRITTI PREVIDENZIALI: I diritti previdenziali per i cittadini non italiani spettano a prescindere dal fatto della cittadinanza, spettano a tutti coloro che lavorano. Basta che questi lavoratori siano regolarmente presenti sul territorio e che questi lavoratori siano lavoratori regolari, cioè che il loro rapporto sia stato dichiarato presso i centri per l’impiego secondo le regole classiche. La tutela INAIL scatta comunque, ci saranno delle conseguenze sanzionatorie nel caso in cui ci siano lavoratori irregolari e sanzioni anche penali nel caso di occupazione di lavoratori irregolarmente presenti nel nostro territorio. La regola generale è quella del principio di territorialità, si applicano le regole del paese in cui si lavora in UE. Quindi si applica la legislazione del paese in cui il lavoratore svolge la sua prestazione. Per i cittadini dei paesi terzi regolarmente presenti in Italia abbiamo un principio all’art. 2 del Testo unico dell’immigrazione prevede la parità di trattamento con i cittadini italiani e dell’UE. è un principio che però subisce degli adattamenti. La prima eccezione riguarda il lavoro stagionale che è una tipologia di lavoro particolare. Il principio di parità di trattamento non si applica quando abbiamo il lavoro stagionale che è una tipologia di lavoro particolare dei cittadini di paesi terzi che prevede una temporaneità della permanenza del nostro territorio. Qui Non è previsto il trattamento contro la disoccupazione e la NASPI e nemmeno l’assegno per il nucleo familiare (sostituito dal 1 marzo 2022 con l’assegno unico universale). L’art 25 dice: In considerazione della durata limitata dei contratti, nonché della loro specificità agli stranieri titolari di permesso di soggiorno per lavoro stagionale gli si applicano le seguenti forme di previdenza e assistenza obbligatoria: invalidità vecchiaia e superstiti, assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e malattie professionali, maternità. In sostituzione dei contributi per l’assegno per il nucleo familiare e per l’assicurazione contro la disoccupazione involontaria, il datore di lavoro è tenuto a versare un contributo all’INPS in misura pari all’importo dei medesimi contributi ed in base alle condizioni e alle modalità stabilite per questi ultimi. Tali contributi sono destinati ad interventi di carattere socio-assistenziale a favore dei lavoratori di cui all’art. 45. Quando il lavoratore toglie certa contribuzione di solito non sgrava il avvenuto per fatto imputabile a coloro che egli ha incaricato della direzione e sorveglianza del lavoro. Se viene ravvisata una responsabilità penale del datore di lavoro non vale l’esonero dalla responsabilità civile. Per la giurisprudenza la responsabilità penale può essere accertata anche in sede civile. Il giudice civile non condannerà penalmente il datore di lavoro, ma può accertare in sede civile con le regole della sede penale la responsabilità penale. Questo perché a volta i reati si prescrivono, quando il potere punitivo dello stato si prescrive non si prescrive quello del giudice civile che verifica se c’è una responsabilità penale e se si ravvisa non ci sarà una condanna penale, ma ci sarà il riemergere della responsabilità civile. Secondo profilo importante è che, poiché nella disciplina lavoristica il TU 81 prevede un apparato sanzionatorio penalistico corposo, spesso il datore di lavoro incappa nella commissione di un reato. C’è abuso dello strumento penale che porta al fatto che spesso cade l’esonero della responsabilità civile del datore di lavoro. ART. 11 DEL DPR N. 1124 del 1965 dice che l’istituto assicuratore deve pagare le indennità anche nei casi previsti dal precedente articolo, salvo il diritto di regresso per le somme pagate a titolo di indennità e per le spese accessorie contro le persone civilmente responsabili. Quando c’è la responsabilità penale viene meno l’esonero dalla responsabilità civile e il datore di lavoro dovrà rimborsare le spese all’INAIL. Può accadere che il lavoratore faccia causa al datore per il DANNO DIFFERENZIALE, cioè il danno maggiore subito rispetto al danno pagato dall’INAIL. L’INAIL paga un indennizzo, non il danno effettivo, ma se riemerge la responsabilità del datore è chiaro che il lavoratore può dire che oltre le somme che gli ha pagato l’INAIL gli si deve corrispondere anche il danno differenziale e i costi per il datore aumentano. Secondo l’art 11 l’istituto può esercitare l’azione di regresso contro l’infortunato quando l’infortunio sia avvenuto per dolo del medesimo accertato con sentenza penale. La tutela dell’INAIL è molto estesa, la logica è di protegge il lavoratore da tutti, anche da se stesso. tutti i casi di colpa del lavoratore sono protetti dall’INAIL che li paga ugualmente, il lavoratore viene pagato anche se si schiaccia il dito per sua mancanza di diligenza. Il dolo invece si ravvisa quando ci sono gesti imprevedibili, azioni che sono assolutamente gratuite, come le azioni dei pazzi. L’INAIL in questo caso paga, ma chiede indietro l’indennizzo che ha pagato al lavoratore che ha causato l’incidente. Il meccanismo è comunque di proteggere, in prima battuta tutte le persone colpite da infortunio o malattia professionale. PUNTI DI DEBOLEZZA: • tutela INAIL è una tutela molto generalizzata, nonostante sia estesa. Non è una tutela universale. • esistono delle aree scoperte che devono ripiegare sulla tutela INPS che è inferiore o sulla “causa di servizio” per alcuni comparti particolari del P.I. • Tutto quello che è scoperto dalla tutela INAIL si basa sull’art. 2087 del c.c., sul principio che il lavoratore è sempre responsabile. Dove non c’è la tutela INAIL, o entra in gioco un'altra tutela previdenziale, o scattano i principi civilistici, per cui il lavoratore deve fare causa a chi ha causato il danno ai senti dell’art. 2087. • Poiché la tutela assicurata dall’INAIL cerca di esonerare il datore dalla responsabilità civile e garantire tutela al lavoratore anche quando ha colpa capiamo che è una TUTELA INDENNITARIA. Non è un risarcimento vero e proprio, è meno di quello che il lavoratore può ottenere dopo una causa, ma risparmia il lavoratore dalla fatica della causa stessa. ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA: Si occupa di tutto l’INAIL, che è un monopolista certificato, legittimato dalla corte di giustizia dopo una causa con sentenza 22.1.2002 che dice che è compatibile perché non va contro il diritto comunitario sulla concorrenza, perché è un’assicurazione sociale e quindi non è attività d’impresa. Ci sono delle restrizioni, non c’è universalità di estensione, essendo un elenco c’è sempre qualcosa che sfugge. Abbiamo un elenco nei primi articoli del TU che riguarda le attività pericolose. Non è un’estensione generalizzata, abbiamo delle elaborazioni pericolose. Le persone protette sono i lavoratori subordinati che svolgono quelle attività pericolose, sono i lavoratori non subordinati che collaborano con imprese che svolgono attività pericolose, gli artigiani lavoratori autonomi e anche i non lavoratori, come studenti e studentesse che svolgono attività di tirocinio formativo presso delle imprese, o attività lavorative nelle loro sedi scolastiche. Tutela talmente estesa da toccare poi anche gli infortuni domestici chiamata “assicurazione per le casalinghe” che riguarda coloro che sono a casa e svolgono attività di lavoro domestico. è una forma di tutela per le persone che sono a casa e che non hanno nessuna assicurazione (costa solo 24 euro l’anno). INFORTUNIO SUL LAVORO: Può essere quello tradizionale e poi l’infortunio in itinere, cioè durante un percorso, viaggio. INFORTUIO SUL LAVORO: Avviene per causa violenta concentrata nel tempo ed esterna all’organismo del lavoratore. è un infortunio che deve avvenire in occasione di lavoro, è un concetto che riguarda tutto quello che accade o nei locali dello svolgimento della prestazione o durante il tempo di lavoro, può avvenire anche in attività finalizzate allo svolgimento dell’attività lavorativa (es. attività propedeutiche all’inizio del lavoro, es. scivolo mettendomi la tuta da lavoro). La protezione riguarda il caso di morte, l’inabilità permanente e l’inabilità temporanea. Quest’ultima deve essere assoluta che è una inabilità temporanea perché guarirò, ma per un certo periodo non posso fare nulla, non posso svolgere nessuna attività lavorativa. Il periodo di inabilità temporanea deve essere di più di 3 giorni, sotto i 3 giorni è periodo di carenza, paga il datore di lavoro, ma non l’INAIL. INFORTUNIO IN ITINERE: Viene istituito col d.lgs. 38 del 2000 ed è frutto di una elaborazione giurisprudenziale. L’occasione di lavoro può contemperare anche spostamenti e li contempera quando sono spostamenti funzionali all’attività lavorativa o rientrano dentro l’orario di lavoro. Il problema è per spostamenti che ci espongono al rischio, ma sono spostamenti che non sono occasione di lavoro pur essendo collegati all’attività lavorativi. La giurisprudenza ha riconosciuto il rischio ulteriore a cui si espone la persona per andare a lavorare e nasce la categoria dell’infortunio in itinere. La categoria dell’infortunio in itinere viene qualificata nel 2000 :salvo il caso di interruzione o deviazione del tutto indipendente dal lavoro o non necessitate, l’assicurazione comprende gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro, durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro e qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di normale consumazione dei pasti. L’infortunio in itinere non è strettamente correlato allo svolgimento della prestazione, ma è funzionalmente correlato allo svolgimento della prestazione. Gli spostamenti creano un rischio ulteriore, quello della circolazione stradale. L’incipit della norma spiega che il grande problema è quello delle deviazioni. L’INAIL non paga le deviazioni non necessitate. Si deve dimostrare di aver fatto la strada più breve, possibilmente con i mezzi pubblici, se non ci sono devi prendere la macchina ecc. L’INAIL non rimborsa facilmente gli infortuni in itinere, controlla sempre le motivazioni delle deviazioni fatte. Fino a qualche tempo fa l’INAIL negava l’infortunio alle persone che sono in biciletta, ora non si potrebbe più fare perché va contro anche la logica della tutela dell’ambiente. Restano comunque esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcool, psicofarmaci, uso non terapeutico di stupefacenti o allucinogeni, l’assicurazione non opera verso il conducente sprovvisto dell’assicurazione di guida. COVID: è stato considerato dal legislatore, con il decreto Cura Italia del 2020, come infortunio sul lavoro. Non è malattia professionale perché la giurisprudenza e la prassi dell’INAIL hanno equiparato la causa virulenta alla causa violenta. La causa virulenta deriva da virus che hanno una tale forza e creano in velocità uno stato patologico da essere paragonato a un infortunio. Tra l’altro l’infortunio sul lavoro è migliore perché protegge di più della semplice malattia comune (tutelata invece dall’INPS). Per chi lavora in ambito sanitario è immediato provarlo, per le categorie a rischio c’è infatti la presunzione, per le altre categorie è difficile provarlo, devono dimostrare il nesso causale, la causa eziologica. MALATTIA PROFESSIONALE: Può essere di vario genere, è un concetto legato alla scienza medica che ha capito che ci sono varie patologie che si scatenano per il contatto con date sostanze e l’uso di determinati macchinari. La causa della malattia professionale deve essere lenta e progressiva. La causa deve essere sempre efficiente, ci deve essere il nesso eziologico, la patologia deve essere ricondotta a quella causa. Esistono delle malattie tabellate e malattie non tabellate. Le malattie tabellate sono quelle che la scienza medica riconduce a determinate attività. Il grande problema in questi casi è l’onere della prova, il grande problema della malattia che insorge dopo 20 anni è che ci possano essere delle concause. La tabella però ha un problema, può non essere aggiornata o ci possono essere dimenticanze, perciò ci sono patologie che restano scoperte. Alla fine degli anni ’80 la corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità della parte in cui non si consente alla persona di dimostrare di avere contratto altre patologie non tabellate svolgendo altre attività. In questo caso, se contraggo una malattia non tabellata posso dimostrare che è effettivamente correlata a quella attività, ma è tutto più faticoso. è quindi importante l’aggiornamento della tabella quando la scienza medica fa dei passi avanti. IL FINANZIAMENTO: Abbiamo un premio ordinario che deriva da una valutazione da parte dell’INAIL sul rischio della lavorazione. L’INAIL categorizza le varie attività, ogni attività ha un coefficiente di rischio e il premio sarà tanto più alto quanto più alto è il rischio dell’attività. Il premio è pagato dal datore secondo i principi fondamentali. Per il lavoratore parasubordinato c’è la ripartizione 2/3 e 1/3. Come nella gestione separata abbiamo l’obbligo del datore di versare il contributo all’ente previdenziale. Abbiamo poi dei premi speciali unitari che riguardano alcune attività particolari dove non si riesce bene a valutare la pericolosità, come per i medici radiologi e gli studenti nelle scuole. INDICE DI SINISTROSITA’: L’INAIL, per comporre il premio finale, guarda l’indice di sinistrosità medio e quello aziendale. L’indice di sinistrosità medio indica che c’è un rischio molto elevato in quel settore. Prendo l’indice medio, ma poi vado a fare una valutazione di quell’impresa e questo è l’indice di sinistrosità aziendale. CARATTERISTICHE DELL’ASSICURAIZONE: soglia della povertà è determinata dal governo o dal Parlamento che scelgono chi sono gli indigenti meritevoli di queste cure. Articolo 32: La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L’evoluzione storica porta a verificare che oltre all’INAM sopravvivono delle casse mutue. Resta l’idea della mutualità tra i soggetti che se la possono permettere. Il vero cambio di rotta lo abbiamo con il 1978. Gli anni ’70 sono stati molto importanti per l’Italia, sono stati anni di costruzione di tutela. Il servizio nazionale nasce con la legge 833 del 1978. Questa legge richiama principi costituzionali: L’articolo 1, intitolato i principi dice che la repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività mediante il servizio sanitario nazionale. richiama l’art. 32 della Cost. e dice che il servizio sanitario nazionale realizza il progetto lì citato. Poi dice che la tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignità e della libertà della persona umana. La tutela della salute fisica e psichica deve avvenire nel rispetto della dignita' e della liberta' della persona umana. Il servizio sanitario nazionale e' costituito dal complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attivita' destinati alla promozione, al mantenimento ed al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzione di condizioni individuali o sociali e secondo modalita' che assicurino l'eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio. L'attuazione del servizio sanitario nazionale compete allo Stato, alle regioni e agli enti locali territoriali, garantendo la partecipazione dei cittadini. è l’idea che il servizio sanitario nazionale sia strumento per realizzare il principio di eguaglianza e l’art. 3 della Costituzione. è l’idea di un servizio sanitario che tutela la salute e realizza il principio di eguaglianza sostanziale e formale, non serve nemmeno essere cittadini per usufruirne. Gli obiettivi del servizio sanitario nazionale sono vari e citati all’art. 2 della legge (vedi slides). Gli obiettivi che la legge si prevede trovano varie declinazioni a seconda dei soggetti che li realizzano. L’articolo 4 dice che con legge sono dettate norme dirette a assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale e stabilite le relative sanzioni penali. ci fa capire che il paese deve prevedere degli standard comuni, vanno date garanzie comuni a tutti. La tutela va garantita a tutti secondo degli standard minimi, questo è un problema, gli standard da noi sono diversi da regione a regione. La tutela della salute è emblematica del sistema beveridigano della tutela universalistica. L’articolo 34 del decreto legislativo 286 del 1998 dice che hanno l’obbligo di iscrizione al servizio sanitario nazionale e hanno parità di trattamento e piena eguaglianza di diritti e doveri rispetto ai cittadini italiani per quanto attiene all’obbligo contributivo, all’assistenza erogata in Italia dal servizio sanitario nazionale alla sua validità temporale gli stranieri regolarmente soggiornanti. Per le prestazioni erogate ai cittadini stranieri non iscritti al servizio sanitario nazionale devono essere corrisposte dai soggetti tenuti al pagamento di tali prestazioni le tariffe determinate dalle regioni e province autonome ai sensi dell’art. 8 commi 5 e 7 del decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502.Questo accade con i turisti o con le persone non iscritte al servizio sanitario nazionale, questi se stanno male saranno curati, ma le prestazioni diventano a pagamento dato che sono soggetti non iscritti al servizio sanitario nazionale. In UE ci sono degli accordi per i cittadini. Per i paesi extra UE ci potrebbero essere degli accordi che vanno verificati. Restano salve le norme che disciplinano l’assistenza sanitaria ai cittadini stranieri in Italia in base a trattati e accordi internazionali bilaterali o multilaterali di reciprocità sottoscritti dall’Italia. Questo principio degli accordi multilaterali e della clausola di reciprocità è complesso, lascia scoperti i soggetti nati in Italia o che provengono da paesi che non hanno stipulato convenzioni con l’Italia e che non potrebbero godere delle tutele del servizio sanitario nazionale, almeno che non le paghino. Questo potrebbe recare il pregiudizio di diritti umani fondamentali. Il comma 3 dice che ai cittadini stranieri presenti nel territorio nazionale non in regola con le norme relative all’ingresso e al soggiorno sono assicurate nei presidi pubblici ed accreditati le cure ambulatoriali ed ospedaliere urgenti o essenziali, ancorchè continuative, per malattia e infortunio sono estesi i programmi di medicina preventiva a salvaguardia della salute individuale e collettiva. Anche agli stranieri che non hanno accordi di reciprocità o sono irregolarmente presenti sono garantite le cure mediche urgenti sotto il profilo della tutela della salute individuale e collettiva. A parità coi cittadini italiani va tutelata la gravidanza e la maternità, va tutelata la salute dei minori, le vaccinazioni, gli interventi di profilassi internazionale, la profilassi, la diagnosi, la cura di malattie infettive ed eventualmente bonifica degli eventuali focolai. Si tratta del rispetto dei diritti umani fondamentali e della protezione della stessa popolazione. Queste attività servono per la tutela individuale e collettiva. Le prestazioni di cui al comma 3 sono erogate senza oneri a carico dei richiedenti qualora privi di risorse economiche sufficienti, fatte salve le quote di partecipazione alla spesa a parità dei cittadini italiani. L’accesso alle strutture sanitarie da parte dello straniero non in regola con le norme sul soggiorno non può comportare nessun obbligo di segnalazione alle autorità, salvo il caso in cui sia obbligatorio il referto. I medici non devono denunciare il cittadino irregolarmente presente nel territorio che ha chiesto cure mediche essenziali. Questa norma è fondamentale sennò gli irregolari non si rivolgerebbero all’ospedale per le cure, con un problema per la loro salute e per quella collettiva. Il problema è quando scatta l’obbligo di referto, cioè quando c’è il sospetto di un reato. Lì va fatta la comunicazione ufficiale alla polizia giudiziaria. Il problema del referto scatta quando c’è il sospetto di un reato, in quel caso deve essere fatta la comunicazione ufficiale alla polizia giudiziaria. Questo è un caso eccezionale. Se c’è una donna non regolare che deve partorire non scatta l’obbligo di referto. Il sistema sanitario nazionale è stato più volte modificato, i servizi resi sono stati varie volte modificati e le spinte sono state quelle della razionalizzazione dei costi. Periodicamente ci sono state modifiche, abbiamo una logica di conferimenti alle regioni, cioè di regionalizzazione e di aziendalizzazione, cioè di trasformazione in aziende di queste strutture amministrative che svolgono una funzione pubblica essenziale. La logica della regionalizzazione e aziendalizzazione era di portare dei benefici. Lo stato determina periodicamente i livelli essenziali di assistenza, i cosiddetti LEA garantiti su tutto il territorio. Il finanziamento del sistema è ripartito fra stato e regioni ed è a carico di tutti, noi paghiamo queste spese con le tasse. è stato inserito anche un contributo del singolo soggetto, cioè il ticket per contribuire al finanziamento (con esenzioni per categorie fragili in quanto al reddito o in quanto alla patologia). Il ticket è un contributo. Lo stato ha reso il cittadino corresponsabile facendogli pagare il ticket. LE PRESTAZIONI: Il servizio sanitario nazionale eroga prestazioni sanitarie, erogate indipendentemente dalla causa della malattia e dall’esistenza della stessa. Ci può essere bisogno soggettivo di cure mediche anche quando non si ravvisa alcuna malattia. È contrario ai principi del nostro ordinamento dire che chi non ha fatto il vaccino per il covid deve pagare le cure in ospedale. Perchè sennò dovremmo fare pagare le cure anche a chi fuma e si ammala di tumore al polmone. Il servizio sanitario nazionale fornisce i certificati di malattia che servono per chiedere la sospensione della prestazione e si occupa anche delle visite fiscali. Le prestazioni sanitarie sono variamente articolate, abbiamo un’assistenza medico-generica e specialistica, un’assistenza domiciliare, ambulatoriale e ospedaliere e un’assistenza infermieristica e farmaceutica. Queste sono le prestazioni di cui noi usufruiamo quotidianamente e sono garantite da questa complessa articolazione. MALATTIA COMUNE: La tutela delle malattie comuni è previdenziale. Questa tutela vede una fusione tra il sistema previdenzialistico e lavoristico, diventa una tutela previdenziale, non universale. Dove c’è lavoro c’è previdenza. L’interesse dello stato è di tutelare i lavoratori che a causa di uno stato morboso non possono lavorare. La tutela è riservata ai soggetti che lavorano, non è estesa a tutti. Le origini sono i contratti collettivi corporativi, la malattia ha una ricaduta sul rapporto di lavoro dato che impedisce al soggetto di lavorare. In una logica solidale lo stato si fa carico anche di quando il lavoratore non può rendere la prestazione per un motivo che l’ordinamento ritiene giustificato, che è la malattia. L’art. 2110 c.c. prevede una tutela della malattia. In caso di infortunio, malattia, gravidanza o puerperio, se la legge non stabilisce forme equivalenti di previdenza e di assistenza è dovuta al prestatore di lavoro la retribuzione o un’indennità nella misura e per il tempo determinati dalle leggi speciali, dagli usi o secondo equità. Nei casi indicati nel comma precedente, l’imprenditore ha diritto di recedere dal contratto a norma dell’art. 2118, decorso il periodo stabilito dalla legge, dagli usi o secondo equità. Il periodo di assenza dal lavoro per una delle cause anzidette deve essere computato nell’anzianità di servizio. C’è l’obbligo di prevedere una tutela per la salute dei lavoratori e le ricadute sul rapporto di lavoro. La malattia non è uno stato morboso, di alterazione dello stato normale di salute della persona. La definizione di malattia è una definizione tecnica, è un’alterazione di uno stato di salute di durata superiore a 3 giorni che dia luogo alla sospensione del rapporto di lavoro e richieda l’assistenza medica o chirurgica o la somministrazione di mezzi terapeutici. La definizione giuslaburistica di malattia non è quella medica, ma è quella giuridica. A noi importa che la persona non possa lavorare per almeno 3 giorni. La malattia insorta durante il periodo di ferie ne sospende il decorso. La ratio della malattia è diversa dalla ratio delle ferie, la ratio delle ferie è di ripristinare le energie psicofisiche dei lavoratori. La ratio della malattia è la guarigione. TRATTAMENTO ECONOMICO: Dal quarto giorno di malattia se ne fa carico l’INPS, salvo che si tratti di una ricaduta perché allora se ne fa carico dal primo giorno. La tutela è limitata, l’INPS paga per 180 giorni all’anno massimo per il contratto a tempo indeterminato. Per 180 giorni scatta la tutela della malattia, una tutela ultrattiva, che va oltre la durata del contratto, quando abbiamo una cessazione del contratto e la malattia insorge entro i 60 giorni. Per i contratti a termine la tutela è parametrata per il periodo di attività lavorativa svolta nell’anno solare. L’importo del pagamento è variabile e dipende dai settori, per il giorno dal 4 al 2Oesimo abbiamo il 50% della retribuzione media giornaliera e una retribuzione del 66,66% dal 21esimo al 180esimo giorno. Tutte queste prestazioni temporanee sono anticipate dal datore di lavoro. Il datore di lavoro eroga la prestazione, farà il prospetto paga indicando l’indennità di malattia e poi effettuerà il conguaglio con l’INPS. Il rapporto del datore di lavoro con l’INPS è di partita doppia, ci sono dei soldi che il datore deve versare, ma se ha anticipato delle somme ci sono delle somme che dovrà avere e mette in compensazione dare e avere (conguaglio) e così diventa tutto più semplice, è un modo per evitare di mettere sotto stress gli uffici dell’INPS. Su questo c’è la contribuzione figurativa, il lavoratore durante il periodo di sospensione del rapporto perché è scattata la tutela della malattia comune ha aderito alla contribuzione figurativa, lo stato paga i contributi come se lavorasse. I contratti collettivi tradizionalmente prevedono dei miglioramenti a carico del datore di lavoro per l’integrazione delle prestazioni previdenziali. Come l’indennità di maternità, anche l’indennità di malattia può essere aumentata dalla contrattazione collettiva e il delta in più è a carico del datore di lavoro. i contratti collettivi determinano il periodo di comporto, noi troviamo che l’indennità pagata dall’INPS copre 180 giorni, quindi abbiamo 6 mesi, ma il periodo di comporto è un anno e magari il contratto collettivo protegge il lavoratore per mesi successivi al 180esimo giorno. Il contratto collettivo va analizzato. Quindi vanno su binari diversi la tutela previdenziale dell’inps e la tutela del contratto collettivo. Vari contratti collettivi prevedono la cessazione del periodo di comporto. un prototipo di cococo che è iscritto alla gestione separata e ha meno tutele dei lavoratori subordinati e ha diritto anche a qualcosa contro la disoccupazione. I destinatari della NASPI sono tutti i lavoratori dipendenti, abbiamo la ricomprensione degli apprendisti e dei lavoratori delle cooperative che abbiano stipulato un rapporto di lavoro subordinato. I lavoratori delle cooperative oltre al rapporto associativo con la cooperativa, possono avere anche altre tipologie di rapporto. La NASPI si applica quando il socio di cooperativa è anche lavoratore subordinato della cooperativa. Gli esclusi sono i lavoratori a tempo indeterminato delle PA dato che è rarissima l’ipotesi di un licenziamento. La NASPI ha un suo costo, è finanziata con i contributi del datore di lavoro. Quando si licenzia si paga il ticket licenziamento che è un costo a carico dell’impresa nella logica di far gravare sulla stessa impresa il costo visto che l’impresa fa poi gravare sulla società il costo della NASPI, è una forma di compartecipazione dei costi. La contribuzione e il ticket licenziamento sostengono la NASPI e ci sono però anche casi in cui i soldi li mette lo stato. Per gli operai agricoli c’è una disciplina speciale, anche la cassa integrazione è diversa per l’agricoltura. La legge di stabilità del 2022, quindi la legge 234 del 2021 ha fatto degli emendamenti alla disciplina vigente tenendo conto di quanto accaduto in questi due anni di crisi dovuti dalla pandemia. La legge di stabilità per il 2022 ha detto che dal 1 gennaio 2022 sono destinatari della NASPI anche gli operai agricoli a tempo indeterminato delle cooperative e loro consorzi, che trasformano, manipolano, commercializzano prodotti agricoli, zootecnici prevalentemente propri o conferiti da soci. Questa novella inserisce nella disciplina ordinaria della NASPI quegli operai agricoli che non fanno attività agricola in senso stretto. CHI HA DIRITTO ALLA NASPI? • Chi perde involontariamente il posto di lavoro, la propria occupazione. • Ai lavoratori licenziati, anche per motivi disciplinari (perché la sua è involontarietà di disoccupazione) e anche nel caso di successiva conciliazione ex art. 6, d.lgs. n. 23 del 2015. • Ai lavoratori che hanno rassegnato le dimissioni per giusta causa che sono previste dall’art. 2119 c.c. e sono determinate da un comportamento inadempiente del datore che fa si che i lavoratori non possano far altro che dimettersi per non sopportare condotte che sono illecite. È quindi anche questa una disoccupazione involontaria. • alle lavoratrici che hanno rassegnato le dimissioni durante il periodo di maternità ex art. 55 del d.lgs. 151 del 2001. Si sa che è un periodo critico e spesso rassegnano dimissioni volontarie perché sono psicologicamente indotte a farlo. Allora si presume direttamente che la loro volontà di dare dimissioni sia stata condizionata e quindi hanno diritto alla NASPI. • nei casi di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro intervenuto nell’ambito della procedura di cui all’art. 7 della legge 604 del 1966 è una procedura che riguarda solo i datori e i soggetti all’art. 18. Questa procedura consente di giungere a una risoluzione consensuale in una sede protetta, dove la volontà dei lavoratori è assistita dalla commissione di conciliazione presso l’ispettorato territoriale del lavoro e si può dire che la volontà di conciliare sia genuinamente espressa. Qui la risoluzione consensuale avvenuta in quella sede viene considerata come una risoluzione consensuale che comunque dà diritto alla NASPI. Questo non perché si ritiene quella risoluzione consensuale non genuina da cui desumo l’involontarietà. Viceversa, si sa che è genuina, ma risolve vari problemi dato che quella risoluzione consensuale è nella logica di deflazionare il contenzioso, si vuole evitare le cause e così lo stato approva la risoluzione consensuale. Quando è un datore di lavoro più piccolo, anche se la risoluzione consensuale avviene in un contesto di garanzia non è contemplato. Il legislatore incentiva il meccanismo di una risoluzione contestuale in un contesto protetto, ma solo per i datori più grandi. REQUISITI PER L’AMMISSIONE AL TRATTAMENTO: • essere in stato di disoccupazione ai sensi dell’art 19 del d.lgs. 150 del 2015. Chi vuole ottenere lo stato di disoccupazione deve dichiarare la sua immediata disponibilità a svolgere un’attività lavorativa o l’immediata disponibilità ad accettare misure formative, come corsi di formazione, occasioni di stage e devo stipulare un patto con il centro per l’impiego. Non ci devono essere rapporti di lavoro in atto. • È consentita la sospensione dello stato di disoccupazione quando i lavoratori hanno in corso un rapporto di lavoro subordinato a termine breve, quindi entro i 6 mesi. Qui lo stato di disoccupazione si congela per permettersi alla persona di immettersi nel mercato. Ha diritto alla NASPI chi può far valere nei 4 anni precedenti l’inizio della disoccupazione almeno 13 settimane di. Contribuzione. i) sono considerati disoccupati i soggetti privi di impiego che dichiarano, in forma telematica, al sistema informativo unitario delle politiche del lavoro di cui all’art. 13, la propria immediata disponibilità allo svolgimento di attività lavorativa e alla partecipazione alle misure di politica attiva del lavoro concordate con il centro per l’impiego. 2) possono far valere, nei 4 anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione, almeno 13 settimane di contribuzione; ci vuole un minimo di contribuzione, anche non versato, ma vale il principio di automaticità, cioè viene considerato versato anche quello che non è stato versato. Questo fa si che la NASPI, la tutela contro la disoccupazione sia strettamente legato alla contribuzione. 3) Si richiedeva anche un ulteriore requisito, che ora è stato sospeso dalla legge di stabilità, cioè che i lavoratori dovessero far valere 30 giornate di lavoro effettivo nei 12 mesi che precedono l’inizio del periodo di erogazione. Erano norme anti-frode per evitare le simulazioni. Questo requisito, dal 1 gennaio 2022, è stato eliminato a causa della pandemia. CALCOLO E MISURA DELL’IMPORTO: La NASPI è rapportata alla retribuzione imponibile ai fini previdenziali degli ultimi 4 anni e questo numero viene diviso per il numero di settimane di contribuzione e moltiplicato per un coefficiente che è 4,33. Per prima cosa dobbiamo prendere la base di calcolo per la NASPI prendendo la retribuzione imponibile: • es. 1- negli ultimi 4 anni il lavoratore ha lavorato: -3 mesi, cioè 13 settimane a 700 euro al mese (retribuzione imponibile ai fini previdenziali) -6 mesi, cioè 26 settimane a 1000 euro al mese -24 mesi, cioè 104 settimane a 1300 euro al mese Per il calcolo prendo i mesi e li trasformo in settimane e sono 143 settimane. Li trasformo in settimane perché l’INPS ragiona in settimane e non in mese. Il mese non funziona bene perché spezza le settimane. In questo arco temporale, come imponibile previdenziale, avrò 39.300 euro. L’imponibile mensile come si calcola? Devo fare la media, perché non ho lo stesso reddito mensile dato che il lavoratore ha lavorato con contratti diversi. Devo fare 39.300 euro diviso 143, cioè le settimane e trovo così il valore della settimana, moltiplicato per 4,33. Quindi, come retribuzione mensile ai fini del calcolo della naspi 1189,89 euro. Quello è il parametro di riferimento, cioè la retribuzione mensile ai fini del calcolo della naspi. L’INPS fa calcoli diversi quando si è sotto un certo valore soglia o si è sopra un dato valore soglia. La prima ipotesi è che la mia retribuzione imponibile presa come riferimento sia inferiore a 1227,55 (sotto il valore soglia), come si calcola la naspi? La naspi diventa il 75% della retribuzione imponibile che ho trovato. Allora devo fare il 75% di 1189 e avrò 892,498. Questa è la mia NASPI, che è il 75% della somma che ho trova e che corrisponde alla retribuzione mensile. se la retribuzione mensile è sopra il valore soglia previsto dall’INPS? Il legislatore dice che non può dare una somma troppo alta e la ratio della NASPI è solo di garantire la sussistenza, non lo stesso tenore di vita. Qui si calcola il 75% fino al limite del valore soglia, cioè 1227,55 e lì si prende il 75%. Poi si calcola un incremento pari al 25% del delta, cioè tra la retribuzione effettivamente percepita e il valore soglia. Poniamo che io guadagni 1600 euro lordi, 1600 sono più del valore soglia, calcolo il 75% del valore soglia di 1227, 55 euro e poi faccio 1600 meno quei soldi e trovo il delta e poi faccio il 25% del delta. La naspi diventa i 220 che sono il 75% del valore soglia più il 25% del delta. Così si calcola la naspi. Ci sono i massimali e dei tetti che la NASPI non può superare. MASSIMALE: La NASPI non può superare un determinato tetto, nel 2022 il tetto è di 1360, 77 euro. Questo perché la logica della NASPI non è di garantire il reddito precedente, ma solo di garantire un’esistenza adeguata, dignitosa. Sopra il massimale non si va. Ogni anno, all’inizio dell’anno, l’INPS presenta i massimali annuali. DECREMENTO PROGRESSIVO: In passato la disoccupazione era sempre uguale come importo per il periodo di tempo in cui veniva erogata, poi il legislatore decide di cambiare le regole. Il legislatore decide di prevedere un decremento (decalage), la NASPI a un certo punto comincia a decrescere. Nella disciplina originaria la naspi si riduce del 3% ogni mesi a decorrere dal quarto meso. L’idea è di dire alla persona di attivarsi a cercare occupazione. Sull’indennità non c’è il prelievo contributivo. Poniamo di avere 1000 euro di naspi nei primi 3 mesi, comincio a scalare il 3% di 1000, quindi dal quarto mese prenderò 970 euro. Poi scalo a questi il 3%, allora il quinto mese prenderà 940 euro. Il decalage o decremento prevede quindi che si scali ogni mese del 3%. NOVITA’ DELLA LEGGE 234 DEL 2021: Con riferimento agli eventi di disoccupazione verificatisi dal 1 gennaio del 2022 la NASPI si riduce del 3% ogni mese a decorrere dal primo giorno del sesto mese di fruizione. Ci sono 2 norme di favore che sono frutto del periodo covid, quindi dal 1 gennaio 2022 il decalage inizierà dal sesto mese, se la persona è un ultra 55enne invece il decalage inizia dall’ottavo mese. Si tiene conto della difficoltà di trovare una nuova occupazione in particolare degli ultra 55enni. È una norma ad hoc per i lavoratori più anziani per la difficoltà di ricollocarsi nel mercato del lavoro. DURATA DELLA NASPI: è corrisposta mensilmente per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione degli ultimi 4 anni. Il massimo è quindi di 24 mesi, cioè 104 settimane. La NASPI dura al massimo metà dei 4 anni, quindi 2 anni. Se uno ha un periodo di contribuzione minore avrà una naspi che dura meno di 24 mesi. Devo prendere il numero delle settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni diviso due. Avendo ancorato la durata di percezione della NASPI al numero di settimane di contribuzione negli ultimi 4 anni, il legislatore incentiva indirettamente i lavoratori a lavorare in chiaro, è un disincentivo al lavoro nero. I lavoratori oggi sono più interessati a percepire la naspi, rispetto a percepire la pensione in futuro. DOMANDA DI NASPI: Le prestazioni previdenziali e assistenziali devono essere fatte a domanda. è il lavoratore che si deve attivare. La domanda va presentata esclusivamente in via telematica all’INPS, se non lo si fa da soli ci si può rivolgere al patronato. Ci sono dei termini di decadenza, la domanda va fatta entro 68 giorni dalla cessazione del rapporto. L’INPS ha precisato che nel caso di maternità, malattia o infortunio insorti entro questi 68 giorni opera una sospensione dei termini dato che il lavoratore è in una condizione particolare che non lo fa adempiere. La NASPI decorre dall’ottavo giorno successivo alla cessazione del rapporto. I primi 7 giorni sono i cosiddetti giorni di carenza. Per malattia e infortunio sono 3 giorni, per la disoccupazione sono 7 i giorni di carenza. Se si presenta subito la domanda si percepirà la NASPI dall’ottavo giorno. Se la domanda si presenta dopo l’ottavo giorno avrò la NASPI dal primo giorno successivo alla data di presentazione della domanda. Poi c’è la direttiva 78 del 2000 sulla lotta alle discriminazioni in ambito lavorativo: le discriminazioni basate sull’età sono ammissibili a certe condizioni quando le discriminazioni hanno finalità particolari: per evitare disuguaglianza o raggiungere parità di opportunità tra le diverse generazioni. ETA’ MASSIMA PER ACCESSO ALL’ATTIVITA’ LAVORATIVA: quando è ammissibile? • Si per i vigili del fuoco (sentenza Wolf del 20120, limite 30 anni): età requisito determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa • No per notai (sentenza Min. giustizia UE del 2021, limite 50 anni) La corte dice che è necessario trovare il giusto equilibrio tra l’obiettivo di favorire il ricambio generazionale e salvaguardare la partecipazione dei lavoratori più anziani alle attività lavorative. Pensionamento, età e limiti lavorativi: • Bulgaria nel 2010 (s. Georgiev) prevede limite di 65 anni e possibilità di arrivare a 68 anni, ma con contratti annuali. Questo per garantire ricambio generazionale • Ungheria nel 2012 aveva messo 62 anni come limite di pensionamento per giudici procuratori e notai. • escludere i pensionati da un bando per incarico pubblico di studio e consulenza è una discriminazione ingiustificata basata sull’età (sent. comune di Gesturi 2020) La corte di giustizia vuole bilanciare le varie esigenze in gioco a vantaggio ….. BUTTUSSI: realtà virtuale per la formazione (VR) in vari ambiti dato che serve a incrementare le competenze e coinvolgere l’utente nell’attività di formazione. Serve a contrastare il decadimento delle competenze. La VR serve per acquisire conoscenza procedurale e abilità manuali. VR E ANZIANI: le sfide da affrontare, è utile anche per loro? Loro potrebbero essere più abituati alla formazione tradizionale. VR IMMERSIVA: visualizzazione su visore o grandi schermi e interazione con controller o guanti speciali VR NON IMMERSVIA: visualizzazione su monitor pc o smartphone e interazione con tocca o mouse. Gli anziani non sono coinvolti negli studi su VR. Obiettivo favorire formazione tramite questi anche degli anziani. FRAGILITA’ TRA POLIEDICITA’ E MULTIFUNZIONALITA’: La pandemia dimostra quante facce ha la fragilità. C’è anche la fragilità psicosociale: Questa non ha una definizione univoca nella letteratura scientifica. Ci si riferisce al disturbo mentale, tutelato dove coincide con l’area della grave disabilità. Non è stato invece tutelato dove si presenta in forma lieve, soprattutto nei luoghi di lavoro. Autismo ad alto funzionamento (sindrome di Aspenger): sul lavoro è un rischio di discriminazioni. L’anzianità è un fattore aggravante di discriminazioni. Le persone colpite da questi disturbi quando invecchiano aumentano il rischio di isolamento e di esclusione. Impatto dello smart working sulle persone con fragilità psico-sociale: queste persone se trascurate dal legislatore hanno sofferto di più, devono affrontare il problema dell’isolamento e della solitudine e vedono aumentata la loro sofferenza. QUALI SONO LE MISURE PIU’ ADATTE A TUTELARE LE PERSONE CON FRAGILITA’ PSICO-SOCIALE: • accomodamenti ragionevoli: …. • budget di salute personalizzato: percorso ritagliato su misura della persona destinataria. è usato molto in regione, ma manca disciplina nazionale per allargarne la sfera di applicazione a livello nazionale. Fa usare risorse economiche per garantire assistenza sanitaria e sociale della persona e per garantirne anche un inserimento lavorativo dei fragili psico-sociali. PICCO: CAREGIVER E LAVORO IRREGOLARE ISTAT E ISPETTORATO DEL LAVORO denunciano che nel lavoro domestico c’è irregolarità al 58%. Diffusione dovuta a tolleranza da parte dello stato. è importante che i costi del lavoro domestico siano inferiori ai costi extra-domestici, infatti le famiglie devono poterselo permettere. è detto sfruttamento bianco e legale dato che è più tollerabile. Non si applica decreto legislativo 81 del 2008 e nemmeno d.lgs. 66 del 2003. Abbiamo lavoro nero, la minore dichiarazione di ore effettivamente svolte, il mancato riposo giornaliero o settimanale. Qui è alta la soglia dello sfruttamento del lavoro non penalmente rilevante. C’è un’inerzia punitiva da parte dello stato. DE FALCO: TRASFORMAZIONI TECNOLOGICHE SUL LAVORO Sono rischiose per gli anziani che spesso sono esclusi per mancanza di alfabetizzazione digitale adeguata. PNRR stanzia risorse che lasciano sperare in una inversione di tendenza. art. 20 comma 2 lex 81 del 2017 sul lavoro agile, al lavoratore va il diritto all’apprendimento permanente (è solo una facoltà rimessa all’accordo tra le parti che dovrebbe trasformarsi in un diritto obbligatorio da rispettare). 23 marzo 2022 PENSIONI: le tutele contro la vecchiaia, ricongiunzione, totalizzazione e cumulo Nella spesa previdenziale il grosso è dato dalla spesa pensionistica in Italia. 1889-Mutua assicurazione a iscrizione volontaria. Nasce la cassa nazionale di previdenza. 1919: Iscrizione obbligatoria e poi si potenzia nel periodo fascista, si fa avanti l’idea che un sistema pensionistico obbligatorio per tutti sia importante. ART. 38 Cost: leggi comma 2. La costituzione usa la parola vecchiaia non riempiendo di contenuto un contenitore. In questo contenitore che cosa ci entra sarà compito del parlamento delinearlo. è territorialmente determinato, l’OMS considera i 60 anni come una variabile a secondo delle realtà. Il fondamento dell’assicurazione obbligatoria è proteggere da un BISOGNO PRESUNTO. Questo è un interesse pubblico generale a che vengano garantiti a ogni cittadino i mezzi adeguati alle esigenze di vita tutte le volte in cui si verifica una situazione di bisogno in ragione dell’età o della morte. è interesse dello stato tutelare i soggetti in condizioni di presunto bisogno (bisogno pensionistico, per esempio, che scatta a 67 anni, asticella prevista dal legislatore anche se magari si sta ancora bene), sennò sono soggetti che se non tutelati finiranno in povertà. Oggi il concetto di famiglia è cambiato, non sono i giovani a provvedere agli anziani, spesso sono gli anziani che provvedono ai giovani adulti precari e non in grado di mantenersi. La rete di protezione del welfare da noi è ancora forte, le pensioni sono pensioni generose che reggono il budget familiare che tamponano la precarietà di vita e di lavoro anche dei giovani. L’art. 38 Cost. vuole far garantire i mezzi adeguati alle esigenze di vita, non deve essere garantito il reddito precedente. Il sistema è complesso, è nato nel corso del tempo e trova nella corporazione del gruppo il nucleo essenziale. Alcune cose non le capiamo oggi perché nascono dall’assicurazione mutualistica. Il sistema è frutto degli anni e ha radici mutualistico-assicurative che trovano il nucleo essenziale nella corporazione del gruppo. Le cose che oggi non cogliamo sono frutto della tradizione italiana. Il sistema è molto articolato (vedi slides per capirlo). LAVORATORI SUBORDINATI: Nell’ INPS abbiamo l’AGO, l’assicurazione generale obbligatoria che va necessariamente pagata da tutti i lavoratoti nell’ambito di un rapporto di lavoro subordinato. C’è il fondo pensioni lavoratori dipendenti, la maggior parte delle persone che viene assunta oggi con contratto di lavoro subordinato finisce nel fondo pensioni lavoratori dipendenti. Nel nostro passato certe categorie che avevano una loro forma di previdenza migliore si erano preservate, nelle varie trasformazioni si sono trascinati questi vecchi regimi e nell’INPS abbiamo dei regimi speciali sostitutivi di quelli generali. Ci sono lavoratori che rientrano in questi salvadanai che hanno discipline diverse dato che affondano le loro radici nel passato. Per esempio, il fondo volo: Il fondo di previdenza per il personale di volo dipendente dalle aziende di navigazione aerea assicura tutela previdenziale del personale di volo dipendente da aziende di navigazione aerea ed è sostitutivo dell’assicurazione generale obbligatoria ASU. Il fondo è una gestione autonoma in seno all’INPS. L’INPS ha vari fondi che sono come dei salvadanai che nella logica dei vasi comunicanti consentono all’istituto di prendere i soldi, ma sono contabilità diverse. Il regime pensionistico degli iscritti al fondo è stato armonizzato a quello dell’AGO, salvo alcune peculiarità che riguardano la particolarità dell’attività del personale di volo. Poi c’è il fondo spettacolo per i lavoratori dello spettacolo: Abbiamo questo salvadanaio (trova nei link delle slides). Abbiamo poi il fondo degli sportivi professionisti. Questi sono regimi speciali sostitutivi rispetto al regime generale. L’INPGI è un altro regime speciale sostitutivo. L’INPGI è L’istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani, e sta per esalare l’ultimo respiro. Lo statuto prevede che l’INPGI attua la previdenza e l’assistenza a favore degli iscritti nell’albo dei giornalisti e nel registro dei praticanti tenuto dall’ordine dei giornalisti. L’istituto affonda le radici nel regio decreto del 1926, questo fondo ha sempre gestito in modo autonomo la previdenza dei giornalisti. Da luglio 2022 anche l’INPGI viene mangiato. INPGI passerà in INPS dal 1 luglio 2022. Questo istituto verrà inglobato dall’INPS e nascerà un nuovo salvadanaio interno all’INPS con l’etichetta ex INPGI. LAVORATORI PUBBLICI: Venivano chiamate forme esclusivi, erano lavoratori che andavano nell’INPDAP, l’istituto a loro dedicato, ora soppresso e inglobato dall’INPS. Noi oggi nell’INPS abbiamo il fondo in cui vanno i contributi dei lavoratori pubblici ed è una gestione a sé. Abbiamo un salvadanaio autonomo anche qui. Nell’area dei lavoratori pubblici avevamo delle categorie particolari che adesso non esistono più, per esempio le poste e le ferrovie erano pubbliche prima di trasformarsi in SPA. Loro avevano una forma specifica di previdenza separata dall’INPDAP. Queste specificità sono rimaste e quindi abbiamo 2 contenitori, quello del personale ex poste e quello del personale ex ferrovie dello stato. fondo quiescenza postale dal 31 maggio 2010 è gestito dall’INPS. Questi fondi avevano autonomia giuridica e mano a mano l’INPS li ha inglobati. I soggetti iscritti al fondo sono i dipendenti delle poste italiane spa e delle società collegate. Qui c’è un privilegio mantenuto. Questo fondo era risalente a quando Poste italiane era pubblica e ha mantenuto la peculiarità attraendo anche i dipendenti di poste spa. Le peculiarità sono minime ormai, ma c’è ancora il salvadanaio dedicato ed è quindi un meccanismo che risente della tradizione mutualistico- assicurativa, pur essendo in una logica totalmente cambiata. Abbiamo poi la stessa sorte per il fondo pensioni ferrovie dello stato istituito nel 1908 e soppresso nel 2000 ed è stato istituto presso l’INPS l’apposito fondo speciale del personale delle ferrovie dello stato italiano spa. LAVORATORI AUTONOMI: Per i lavoratori autonomi abbiamo dei regimi speciali gestiti dall’INPS e altri fuori INPS. I regimi speciali gestiti dall’INPS sono i coltivatori diretti, coloni, mezzadri, imprenditori agricoli, gli artigiani, i commercianti e la gestione separata per i cococo, questa nasce con la riforma 335 del 1995, cioè la riforma DINI che entra in vigore il 1 GENNAIO 1996. Per gli autonomi liberi professionisti lo stato ha mantenuto la tradizione, noi abbiamo tante casse previdenziali legate alle professioni ordinistiche. Quando c’è un ordine professionale (che è istituito per legge e ha personalità giuridica di diritto pubblico) c’è una cassa di previdenza collegata. L’iscrizione all’ordine comporta una automatica iscrizione alla cassa. Un esempio è la cassa forense per gli avvocati. E poi l’ENPACL per i consulenti del lavoro. Gli iscritti all’ordine devono anche fare degli adempimenti. Abbiamo poi l’EPAP, più ordini si sono messi assieme e hanno creato un’unica cassa. Questi sono i dottori agronomi, i dottori forestali, attuariali, chimici, fisici, geologi. Questi hanno ordini separati, LE PRESTAZIONI DELL’AGO IVS: Le pensioni sono prestazioni economiche continuative che cessano con la morte del soggetto protetto, salvo nei casi di tutela dei superstiti. La società italiana di gerontologia e geriatria fa una classificazione: i giovani anziani sono dai 64 ai 74 anni, poi ci sono gli anziani dai 75 agli 84, poi ci sono i grandi vecchi da 85 a 99. Il calcolo delle pensioni è cambiato nel corso del tempo, l’idea del legislatore è di affrontare il tema della sostenibilità del sistema. Ci sono varie tappe, o diminuisco le pensioni giocando sul calcolo o gioco sull’età e non faccio andare in pensione. Si passa da un sistema retributivo a un sistema contributivo. Il metodo RETRIBUTIVO fa una determinazione in base alla media delle retribuzioni degli ultimi anni di lavoro prestato e in base all’anzianità contributiva. Il sistema contributivo prevede una commisurazione sui contributi. Se dico che parametro il calcolo della pensione sulla retribuzione degli ultimi anni, tendenzialmente su che livello mi assesto come parametro medio? Mi assesto su un livello alto per gli ultimi anni della vita lavorativa. Se io parametro il mio calcolo della pensione sulla media degli ultimi anni è un calcolo vantaggioso per il lavoratore, infatti non sto dando conto della vita lavorativa che poteva essere travagliata. Se commisuro il CALCOLO SUI CONTRIBUTI VERSATI, anche se a fine carriera mi colloco bene, quando scatto la foto della mia vita lavorativa che magari è stata segnata da lunghe disoccupazioni questo pesa. GRANDI RIFORME: Si è passati da un sistema di calcolo retributivo a un sistema di calcolo contributivo. (TENGO CONTO SOLO DI QUESTE DUE LEGGI, NON DI QUELLE PASSATE) Il grande passaggio è questo con la riforma Dini 335 del 1995 e la riforma Fornero del 2011. Queste due riforme fanno passare il calcolo delle pensioni dal sistema retributivo al sistema contributivo. La Riforma Fornero completa la riforma Dini e fa morire definitivamente il sistema di calcolo retributivo che era sopravvissuto alla riforma Dini in alcuni casi. La riforma Dini è morbida, crea il passaggio da retributivo a contributivo, ma crea delle zone di sopravvivenza del sistema retributivo per tutelare delle posizioni. La riforma Fornero però dice no, basta per tutti. METODO RETRIBUTIVO: Prendiamo come riferimento la retribuzione, è il metodo più conveniente per il calcolo della retribuzione perché prende in considerazione la media degli stipendi degli ultimi 5-10 anni di lavoro. è una media del periodo finale della propria vita lavorativa. La pensione col metodo retributivo deve considerare gli anni di versamento contributivo fino a un massimo di 40 anni. Il rendimento per calcolare la pensione era previsto nel 2% per ogni anno di contribuzione. 40 anni di contribuzione è il massimo, 2% per ogni anno, 80% della retribuzione. Un lavoratore che ha lavorato per 40 anni si vedeva calcolare la pensione utilizzando l’80% della retribuzione media calcolata sugli ultimi 5 anni e una quota calcolata sugli ultimi 10 anni. È un calcolo ottimo perché verso la fine della vita lavorativa si guadagna di più e l’80% è quasi il 100%. Non è un sistema che è commisurato sulla contribuzione versata, ma sulla retribuzione media. Le persone prendevano di più rispetto a quanto avevano messo nel salvadanaio. E questo non è un sistema conveniente per lo stato, matematicamente non si sostiene. Il calcolo è stato quindi cambiato con il sistema contributivo. SISTEMA CONTRIBUTIVO: I contributi vanno rivalutati secondo un calcolo particolare che è la media quinquennale del PIL. Quando il Pil italiano si abbassa, si abbassa anche il tasso di capitalizzazione che ci consente di rivalutare i contributi. Questi contributi che ho accumulato nella vita sono il mio montante contributivo maturato. Questo va convertito in pensione e devo creare un sistema che permetta di farlo. La pensione è una rendita, pagherò la pensione fino alla morte e quindi servono dei calcoli matematici per trasformare quel montante in una rendita. Lo stato però non ci deve rimettere. Nella scommessa sul gioco della vita lo stato non ci deve rimettere. I coefficienti di trasformazione variano in ragione all’età e all’aspettativa di vita. Se vado in pensione presto e ho un’aspettativa di vita lunga prenderò meno rateo di pensione. Con lo stesso montante contributivo, se io vado in pensione a 60 anni ho un rateo inferiore, e se vado in pensione a 70 anni ho un rateo superiore. I coefficienti di trasformazione variano in ragione dell’età, se vai in pensione prima prendi di meno perché lo stato ti dovrà pagare più a lungo. Questi due meccanismi cambiano le regole del gioco e le persone non sono contente. Ora vediamo lo schema dei cambiamenti creati dalla riforma Dini e dalla riforma Fornero. La riforma Dini, legge 335 del 1995, entrata in vigore il primo gennaio 1996. fa tagliare in 2 il mondo. Dal 1 gennaio 1996 chi ha lavorato e ha versato il contributo lo ha versato in un sistema che applicherà il calcolo contributivo. Per tutti coloro che hanno incominciato a lavorare dal 1 gennaio 1996 il metodo di calcolo della pensione è solo contributivo. Come si cambiano le carte in corsa per i lavoratori che hanno continuato a lavorare? Per chi ha maturato almeno 18 anni di contribuzione non cambia nulla. A chi ha meno di 18 anni di contribuzione fino al primo gennaio 1996 ti calcolo col sistema retributivo per il passato, ma dal primo gennaio 1996 applico le regole nuove. Abbiamo 3 regimi, il sistema totalmente retributivo per i più anziani, il sistema misto e il sistema totalmente contributivo. La Fornero nel 2012 dice che dal 1 gennaio 2012 si applica il metodo contributivo per tutti, anche per chi aveva mantenuto il sistema totalmente retributivo. Dal 1 gennaio 2012 non esiste più il retributivo puro, abbiamo solo il sistema misto e totalmente contributivo (contributivo puro). La riforma Dini non ha inciso tanto, mantenendo le quote di retributivo, per chi aveva più di 18 anni totalmente e per chi aveva meno di 18 anni almeno per una parte, ha comunque continuato a prevedere una zavorra per lo stato. 29 marzo 2022 LAVORO IRREGOLARE IN ITALIA: Il caporalato ha un valore di oltre 200 miliardi di euro, in questo valore ci sono anche le attività criminali e vale il 13% del nostro PIL. Il lavoro irregolare è un fenomeno trasversale, giuridico, economico, ma anche sociale, incide negativamente nella qualità della vita di tutti noi. Non c’è una definizione giuridicamente vincolante di lavoro irregolare nel nostro ordinamento. L’attività ispettiva dell’ispettorato nazionale del lavoro e le sanzioni sono gli strumenti repressivi di questo fenomeno. Il caporalato è un fenomeno di sfruttamento del lavoro che dal 2011 è punito dal Codice Penale all’art 603 bis. C’è stata una riforma dalla legge 199 del 2016. Abbiamo il problema definitorio, nel nostro ordinamento manca una definizione giuridicamente vincolante di lavoro irregolare. Il legislatore ha usato in modo promiscuo i termini lavoro nero e lavoro irregolare e sommerso, che però non coincidono. Lavoro irregolare e lavoro sommerso non sono termini interscambiabili. Lavoro irregolare è un grande contenitore dove rientrano varie ipotesi, tra cui quella di lavoro sommerso. Il lavoro sommerso è solo 1 delle tante ipotesi di lavoro irregolare. Sono situazioni di parziale irregolarità, dove la manodopera è dichiarata, ma il contenuto della dichiarazione non corrisponde al reale svolgimento del rapporto di lavoro, per esempio nel caso dei fuoribusta, nel caso delle sotto- dichiarazione, dichiarazioni di meno ore agli enti previdenziali di quelle che effettivamente vengono svolte o nel caso del falso lavoro bianco con un lavoratore formalmente in regola, ma il datore di lavoro gli trattiene i contributi che lui stesso versa agli enti provvidenziali. Trattiene i contributi a titolo di risarcimento danni. Nel lavoro irregolare rientra anche la totale oscurazione del rapporto di lavoro, come nel caso del lavoro nero. Quando si parla di lavoro irregolare ci riferiamo a un fenomeno complesso che abbraccia molte condotte che hanno indici di gravità diversi. Il lavoro tramite piattaforme si inserisce in un mercato deregolamentato ed è un acceleratore di lavoro irregolare. La mancanza di regole a favore di questo operatore che riceve ordine da una piattaforma ha creato dei vuoti dove si inseriscono altri casi di lavoro irregolari. Manca una definizione giuridicamente vincolante di lavoro irregolare. il legislatore ha sempre trascurato il problema definitorio creando confusione a livello normativo. Da un lato il legislatore ha adottato in modo indifferenziato e male i termini di lavoro sommerso e lavoro irregolare dall’altro, modificando la maxi-sanzione con il d.lgs. 151 del 2015 ha recepito solo la definizione europea di underclared work. è una definizione data da un atto di soft law, da una definizione della commissione europea, la comunicazione n. 219 del 1998. Questa comunicazione definisce l’underclared work che si traduce come lavoro sommerso o come lavoro non dichiarato e dice che è qualsiasi attività retribuita lecita di per sé, ma non dichiarata alle autorità pubbliche, tenendo conto delle diversità dei sistemi giuridici negli stati membri. Abbiamo 5 parametri qualificanti: 1. attività lavorativa: Interessa l’attività svolta, non quindi l’impresa e non il rapporto di lavoro 2. la sua natura retribuita: dell’attività. Quando parliamo di lavoro irregolare togliamo tutte le attività che non sono retribuite, come il lavoro dei volontari. 3. la sua liceità: togliamo dal lavoro irregolare tutte le attività criminali e vietate dalla legge. Ci si riferisce alla natura dell’attività intrapresa e al fatto che essa sia o meno consentita dall’ordinamento. 4. l’assenza della dichiarazione alle autorità: si cerca di scappare dai controlli e non sottostare all’applicazione della normativa giuslaburistica. è una prospettiva minimalista, si includono le ipotesi di sotto-dichiarazione, ma non le ipotesi di errata qualificazione del rapporto di lavoro che permette di sfuggire all’imponente applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato. 5. confronto con il contesto regolativo interno: Il lavoro irregolare è un concetto relativo, ciò che è irregolare in un paese può non esserlo in un altro paese. più si deregolamenta, più si allargano le maglie e meno sommerso ho, ma questo comporta meno tutele per i lavoratori. Più stringo le maglie e più sommerso ho. Il lavoro irregolare è in caso di omissione totale o parziale degli adempimenti formali nei confronti degli enti previdenziali, se ne parla nel caso di trattamenti retributivi minori alla giusta misura. Abbiamo lavoro irregolare quando dichiariamo un orario di lavoro non corrispondente a quello fatto (si dichiarano meno ore per non pagare contributi). Il lavoro irregolare è anche quando non viene applicata la normativa in materia di tutela e sicurezza sul lavoro. Il lavoro irregolare è in violazione di normative legali, è un deserto normativo, è la negazione del diritto del lavoro. Questa comunicazione della commissione europea non dà la definizione di undeclared work, ma fa un’analisi più approfondita della questione, definendo i soggetti del lavoro sommerso, le cause, gli effetti e i principali settori che vengono colpiti da questo fenomeno. CHI SONO GLI ATTORI DEL LAVORO SOMMERSO? QUALI LE CAUSE, GLI EFFETTI E I PRINCIPALI SETTORI COLPITI DA QUESTO FENOMENO? Gli attori del sommerso svolgono il lavoro alle dipendenze o autonomamente, percependo una retribuzione, le cui condizioni lavorative o salariali non rispondono totalmente o parzialmente alle normative previste. Quando parliamo di lavoro sommerso facciamo riferimento non solo ai lavoratori subordinati, ma anche ai lavoratori autonomi. Si può tracciare anche un profilo comune ai lavoratori sommersi, dato che sono soggetti che hanno scarso potere contrattuale, o perché hanno un percorso formativo poco qualificante o perché hanno un’età anagrafica svantaggiosa, o perché hanno condizioni di genere poco favorevoli, come nel caso delle donne. I sommersi possono essere sia autonomi che subordinati. I lavoratori sommersi tendenzialmente hanno scarso potere contrattuale. I lavoratori sommersi sono per lo più: • INATTIVI: soggetti esclusi dalle forze lavoro, come giovani studenti, casalinghe ecc. che hanno tempo di fare lavoretti a nero • DISOCCUPATI: percepiscono un sussidio statale e parallelamente svolgono un lavoro non dichiarato per non perdere il sussidio. • DOPPIOLAVORISTI: soggetti che svolgono già un lavoro in regola e poi integrano il proprio reddito con un lavoro sommerso, non dichiarato. COMPITI, FUNZIONI DEL INL (ispettorato) dopo il 2015: • esercita e coordina su tutto il territorio nazionale l’attività di vigilanza in materia di lavoro, contribuzione e assicurazione obbligatoria, legislazione sociale compresa quella in materia di salute e sicurezza sul lavoro, e gli accertamenti in materia di infortuni sul lavoro e malattia professionali • emana circolari interpretative in materia ispettiva e sanzionatoria, previo parere conforme del Ministero del lavoro, nonché emana direttive operative rivolte al personale ispettivo • attività di prevenzione e promozione della legalità presso enti, datori di lavoro e associazioni finalizzate al contrasto del lavoro sommerso e irregolare, anche attraverso l’uso non corretto dei tirocini • formazione e aggiornamento del personale ispettivo, compreso quello di Inps e Inail • attività di studio e analisi dei fenomeni del lavoro sommerso e irregolare attraverso la c.d. mappatura dei rischi finalizzata ad orientare le misure ispettive • gestione delle proprie risorse al fine di garantire l’uniforme esercizio dell’attività di vigilanza • condivisione con Inps e Inail di ogni informazione utile alla programmazione e allo svolgimento delle attività istituzionali • attività di coordinamento con i servizi ispettivi delle aziende sanitarie locali (asl) e delle agenzie regionali per la protezione ambientale (arpa) finalizzata ad assicurare l’uniformità di comportamento e la maggiore efficacia degli accertamenti ispettivi. Per quanto riguarda la vigilanza in materia di sicurezza e salute sul lavoro fino al decreto legge 146 2021, convertito nella legge 215 del 2021 il punto di riferimento era l’art. 13 del d.lgs. 81 del 2008 il quale attribuiva competenza in materia alle asl in modo generale e trasversale e una competenza concorrente all’ispettorato del lavoro nell’ambito delle costruzioni edili e nell’ambito degli impianti ferroviari, delle sorgenti naturali di radiazioni ionizzanti, dei lavori subacquei e dei lavori mediante cassoni in aria compressa. Prima dell’ottobre 2021 in materia di vigilanza della salute e sicurezza sul lavoro c’era competenza generale delle asl e competenza concorrente solo nei settori indicati da parte dell’ispettorato. Poi, con l’intervento del 2015, tra asl e ispettorato del lavoro si è cercato di promuovere un’attività di coordinamento fra loro anche in materia di vigilanza sulla salute e sicurezza sul lavoro. Coordinamento posto in essere con protocolli d’intesa fra i due. I protocolli d’intesa vengono messi in atto sempre a costo zero. Il problema è che non si sapeva con chi l’ispettorato poteva stipulare questi protocolli d’intesa e tanti protocolli provocavano problemi di uniformità dell’applicazione del diritto. Quindi l’art. 13 è stato modificato con il d.lgs. 146 del 2021 che ha portato a una competenza in materia di vigilanza della salute e sicurezza sul lavoro. Questa vigilanza viene svolta in modo paritario tra ispettorato e le asl. Nonostante le modifiche del d. lgs. 149 del 2015 che ha modificato l’assetto istituzionale dei servizi ispettivi, molto è ancora da fare. È indicativo il fatto di aver unificato funzionalmente il servizio ispettivo nelle mani dell’ispettorato nazionale del lavoro, ma rimane che vanno fatti controlli più incrociati che intercettino le nuove forme del lavoro irregolare. Bisogna cercare di valorizzare la formazione di questi soggetti. Nei protocolli d’intesa del 2017 tra ispettorato e INPS si è rimasti a ognuno fa il suo. Il d.lgs. 149 del 2015 di fatto è ancora lettera morta. Tra i compiti dell’ispettorato INL: Se devo installare gli impianti di audiovideo sorveglianza posso o accordarmi con le rappresentanze sindacali aziendali (art. 4 della l. n. 300 del 1970), o se non trovo l’accordo, chiedo autorizzazione all’ITL. L’altra funzione è di occuparsi del fenomeno del caporalato (l. n. 199 del 2016). LE SANZIONI AL LAVORO NERO: Secondo l’art. 2115 comma 2 del c.c., l’imprenditore è responsabile del versamento del contributo, anche per la parte che è a carico del prestatore di lavoro, salvo il diritto di rivalsa secondo le leggi speciali. L’omessa o irregolare contribuzione previdenziale può dar luogo ad una responsabilità penale del datore di lavoro, ma dà luogo a una responsabilità amministrativa e civile del datore di lavoro nei confronti dell’ente previdenziale creditore dei contributi. L’omessa o regolare contribuzione previdenziale può far sorgere una responsabilità civile nei confronti del lavoratore che si è visto privare del versamento contributivo da parte del proprio datore di lavoro. L’omessa o irregolare contribuzione previdenziale, una volta era considerata reato nella forma della contravvenzione ed era punibile solo con l’ammenta, poi c’è stata la tendenza depenalizzatoria nel mondo del lavoro e ha trasformato le sanzioni penali in sanzioni amministrative che oggi sono regolate dalla legge 388 del 2000. Dice che il mancato od omesso versamento di contributi previdenziali dovuti entro i termini di legge comportano l’addebito di somme aggiuntive che maturano in relazione al ritardo nel versamento il cui importo cambia in relazione alla tipologia di omissione. OMISSIONE CONTRIBUTIVA: Art. 116 comma 8 lettera A della legge 388 del 2000. Per omissione contributiva si intende il ritardato o mancato pagamento dei contributi il cui ammontare è rilevabile dalle denunce e/o dalle registrazioni obbligatorie. Dove per denunce obbligatorie si intendono le comunicazioni che i soggetti obbligati devono effettuare agli enti previdenziali o registrazioni obbligatorie: le annotazioni che i soggetti obbligati devono fare nei libri di cui è obbligatoria la tenuta. Nel caso di OMISSIONE CONTRIBUTIVA la sanzione civile non può essere superiore al 40% dell’importo dei contributi o dei premi che non sono stati corrisposti dal datore di lavoro nei termini di legge. ART. 116 COMMA 8 LETTERA B DELLA LEX 388/2000: Diversa è l’evasione contributiva, è quella connessa a registrazioni non effettuate o a denunce obbligatorie omesse e non conformi al vero. Si realizza quando il datore di lavoro, con l’intenzione di non versare i contributi o premi, occulta rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate. Essendo la condotta ben più grave. la sanzione civile si alza al 60% dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza dei termini di legge. Tuttavia, qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti previdenziali e comunque entro 12 mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi, e semprechè il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro 30 giorni dalla denuncia stessa, la sanzione civile sarà la medesima di quella prevista nel caso di omissione, quindi nella misura massima del 40%. Anche se la condotta è più grave, ma il datore di lavoro denuncia spontaneamente il fatto di aver fatto un evasione, lo fa entro 12 mesi da quando per legge doveva pagare, e poi entro 30 gg paga, la legge lo premia e fa attenuare la sanzione che diventa del 40% così come nel caso di omissione contributiva. Casi di incertezze sull’obbligo contributivo: Art. 116 comma 10 della legge n 388 del 2000- Nei casi di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi derivanti da oggettive incertezze connesse a contrastanti orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sulla ricorrenza o meno dell’obbligo contributivo, successivamente riconosciuto in sede giudiziale o amministrativa, semprechè il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti previdenziali, la sanzione civile non potrà essere superiore al 40%. Si fa riferimento a inadempienze contributive derivanti da oggettive incertezze che derivano a loro volta da incertezze giudiziali o amministrative. Abbiamo anche alcuni casi che possono sfociare nel penale: In caso di omissione contributiva si può andare nel penale, ma c’è l’ambito civile amministrativo che prevale. OMISSIONE O FALSITA’ DI REGISTRAZIONE O DENUNCIA OBBLIGATORIA ex art. 37 della legge 689 del 1981, così come modificato dall’art. 16 comma 19 della legge 388 del 2000 che ci dice: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, il datore di lavoro che, al fine di non versare in tutto o in parte contributi o premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie, omette una o più registrazioni o denunce obbligatorie, ovvero esegue una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, allora è punito con la reclusione fino a 2 anni quando dal fatto deriva l’omesso versamento di contributi e premi previsti dalle leggi sulla previdenza e assistenza obbligatorie per un importo mensile non inferiore al maggiore importo fra 2.582.00 e il 50% dei contributi complessivamente dovuti. C’è un doppio binario sanzionatorio: • per i casi più lievi rimaniamo solo nell’ambito amministrativo • quando l’omesso versamento di contributi ha un valore alto, allora, se c’è il dolo specifico della condotta, quindi il fatto che il datore di lavoro abbia agito col fine di non versare in tutto o in parte dei contributi o dei premi assicurativi e abbia omesso una o più denunce obbligatorie o abbia eseguito una o più denunce obbligatorie in tutto o in parte non conformi al vero, allora si sfocia nel penale e c’è la reclusione fino a due anni. Nel momento in cui io regolarizzo l’inadempienza che viene accertata, allora il reato è estinto. OMESSO VERSAMENTO DELLE RITENUTE: Art. 3 comma 6 del d.lgs. n. 8 del 2016- è punito con la reclusione fino a 3 anni e con la multa fino a euro 1032 il datore di lavoro che omette il versamento delle ritenute previdenziali previste dalla legge sulle retribuzioni dei lavoratori o dei pensionati che lavorano alle sue dipendenze se l’importo omesso è superiore ai 10.000 euro annui. Se l’importo omesso non è superiore a euro 10.000 annui, si applica la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000. Il datore non è punibile, né assoggettabile alla sanzione amministrativa, quando provvede al versamento delle ritenute omesse entro 3 mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione. Anche qui abbiamo un doppio binario sanzionatorio: 1. se l’omesso versamento di ritenute è superiore a 10.000 euro annui allora sono nell’ambito penale e ho la reclusione fino a 3 anni e multa fino a 1032 euro 2. se siamo sotto i 10.000 euro siamo nell’ambito amministrativo e la sanzione va dai 10.000 ai 50.000 euro è peggio la reclusione fino a 3 anni o una sanzione amministrativa fino a 50.000 euro? C’era tendenza del lavoro a corredare tutti i precetti giuslaburistici con la sanzione penale, solo che la sanzione penale è corredata da tutto un impianto di vincoli, tutele e di strumenti che sviliscono la pena in concreto, come oblazione, prescrizione, sospensione condizionale della pena, sospensione del processo, patteggiamento, quindi di fatto con il primo reato il datore di lavoro non se ne accorge. Invece la sanzione amministrativa è più efficace e certa, non ci sono tutti questi strumenti che sviliscono la sanzione amministrativa e ha effetto deterrente maggiore. Nel nostro ordinamento c’è stata tendenza depenalizzatoria che è stata positiva dato che gli illeciti amministrativi non sottostanno a tutti i vincoli del sistema processual-penalistico. Art. 3 comma 3, d.l. n. 12 del 2002, convertito nella legge n. 73 del 2002-MAXI SANZIONE è una sanzione di natura amministrativa, molto pensante. Nella formulazione originaria si prevedeva che per ogni lavoratore non risultante dalla documentazione obbligatoria in materia di lavoro venisse pagata una sanzione pecuniaria amministrativa che andava dal 200 al 400% dell’importo del costo del lavoro calcolato sulla base dei vigenti contratti collettivi nazionali, per il periodo compreso tra l’inizio dell’anno e la data di contestazione della violazione, cioè il giorno in cui venivano trovati in nero. Quindi originariamente il quantum sanzionatorio era determinato sulla base di un meccanismo presuntivo ancorato alla data di accertamento ispettivo che non dava possibilità di contestare la sanzione al datore di lavoro. È poi intervenuta la corte costituzionale con la sentenza n. 144 del 2005 che ha ritenuto questo meccanismo presuntivo incostituzionale nella misura in cui fenomeno molto diffuso nel nostro paese che ha ricadute sotto il profilo della salute e sicurezza sul lavoro. Il lavoratore in nero è poco formato, poco informato e poco tutelato e sfugge a tutti gli obblighi che il decreto del 2008 pone in capo al datore di lavoro. La presenza di un lavoratore di questo tipo crea pericolo a se stesso, ma anche a tutta la comunità aziendale, quindi il legislatore non manca di intervenire in modo forte nei confronti di questo fenomeno che si incrocia anche con quello del caporalato. CAPORALATO: Nel lavoro agricolo si annida il lavoro irregolare dato che è un settore caratterizzato da forte stagionalità. È un settore dove servono rapporti di lavoro temporanei, instabili e brevi, cioè rapporti di lavoro flessibili. È un settore dove non serve mano d’opera qualificata ed è un fenomeno che si intreccia con quello dell’immigrazione. In questo settore c’è forte controllo anche da parte della criminalità organizzata su tutta la mano d’opera usata in Italia, la cui presenza porta a distorsione del mercato del lavoro agricolo. Questo da un lato ha rafforzato il ricorso ad appalti, subappalti o al ricorso ad agenzie di reclutamento del lavoro agricolo. Dall’altro lato ha favorito il consolidarsi di fenomeni di sfruttamento dei lavoratori. Il caporalato non c’è solo al Sud. Nel 2021 si vede presenza forte di caporalato nel goriziano o in Veneto. Se vediamo la relazione dell’ispettorato emessa ad aprile di ogni anno notiamo i numeri concreti dei lavoratori in caporalato. Ogni anno ne abbiamo 45.000 solo nel settore agricolo. È un fenomeno aumentato anche in tempo di pandemia, infatti c’è stato un aumento del 15-20% di stranieri sfruttati nelle nostre campagne. C’è stato un incremento dell’orario di lavoro, che oscilla fra le 8 e le 15 ore al giorno, un peggioramento delle loro condizioni di lavoro, un incremento del numero di ore svolte e non conteggiate e un peggioramento della loro retribuzione. La pandemia ha aumentato quel senso di arrendevolezza da parte dei lavoratori sfruttati che rinunciano ad ogni loro rivendicazione. CAPORALATO? Odiose forme di sfruttamento dell’altrui attività lavorativa con metodi illegali che spesso sono in collegamento con organizzazioni criminali. Ricordiamo sia l’intermediazione illegale di manodopera, sia l’illecito sfruttamento di manodopera. È un fenomeno che da un lato lede i diritti fondamentali della persona, dall’altro lato incide anche in modo negativo sulla concorrenza fra le imprese. È un fenomeno di origine antica, sempre più diffuso a causa della globalizzazione e della crisi economica. Viene sempre agevolato da condizioni di disagio e vulnerabilità da parte dei lavoratori che spesso sono dei migranti. Il caporalato è l’attività di sfruttamento e intermediazione tra datore di lavoro e lavoratore che si traduce in un dominio sulle vittime. Spesso il fenomeno è connesso con la mafia e con il fenomeno della tratta di esseri umani. Il caporalato è un dato subculturale che crea subumanità e incide sulla concorrenza determinando un piano subimprenditoriale. QUALI SONO I SETTORI Più COLPITI? L’agricoltura, l’edilizia, ma anche il settore dell’assistenza domestica, anche la pesca, il terziario, il turismo e la manifattura. Abbiamo anche casi di caporalato nel settore della logistica. Nel 2020 c’è stato il decreto nei confronti di uber, colosso multinazionale che opera nel settore della logistica. Il caporalato è una piaga sociale, economica e giuridica che spesso tenta di nascondersi dietro delle parvenze legale. Abbiamo 2 tipi di caporalato: - Il caporalato nero, che è una forma paraschiavistica in cui il dominio del caporale sulla vita del lavoratore è talmente ingerente da annullare ogni sua capacità di autodeterminazione - Caporalato grigio, è difficile da colpire poiché è assente la costrizione della vittima da parte del caporale. La diffusione del caporalato ha portato a una mutazione genetica di interi settori produttivi che di fatto sono sostenibili ad oggi solo per il ricorso a queste forme illegali di uso della manodopera sfruttata, sia perché costa meno, sia perché si può usare in modo molto più flessibile. È un fenomeno diffuso a cui però il legislatore ha avuto ritardi per affrontare un arsenale punitivo idoneo a combattere questo fenomeno, questo perché fino al 2011 non c’era nemmeno una norma penale ad hoc per questo fenomeno e i giudici cercavano di applicare i reati di estorsione, riduzione a schiavitù, sequestro di persona e violenza privata, reati però pensati per altro. Visto le rigide tutele e vincoli processuali e penalistici erano reati difficili da adattare a questo fenomeno. Erano difficili da adattare al caporalato grigio. Nel 2011 con un d.l. si introduce l’art. 603 bis del C.P. (leggi). è un articolo che ha accusato molti limiti dato che puniva solo gli intermediatori di manodopera sfruttata, ma non puniva chi usava questa manodopera sfruttata. Richiedeva che lo svolgimento dell’attività di reclutamento dei lavoratori avvenisse in forma organizzata, e quindi c’è difficoltà probatoria. Richiedeva che l’attività di intermediazione avvenisse tramite sfruttamento o tramite violenza, minaccia e intimidazione. Era una norma molto difficile da applicare, cerca di colpire tanto, ma nei fatti colpisce poco. Nell’ambito di vigenza di questa norma, che dura fino al 2016, ci sono stati in tutta Italia 34 procedimenti penali aperti davanti al gip e sono approdati in dibattimento solo 8, di cui pochi terminati con condanna. Il caso giudiziario di Paolo Clemente: morta di fatica nei campi a Andria. Grazie a ciò il legislatore interviene su questa fattispecie con la LEGGE 199 DEL 2016 che modifica l’art. 603 bis c.p. e affronta un arsenale punitivo a tutto tondo nei confronti di questo fenomeno. Salvo che il fatto costituisca più grave reato (riduzione in schiavitù, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi) è punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da 500 a 1.000 euro per ciascun lavoratore reclutato, chiunque: 1. 1) recluta manodopera allo scopo di destinarla al lavoro presso terzi in condizioni di sfruttamento, approfittando dello stato di bisogno dei lavoratori; 2. 2) utilizza, assume o impiega manodopera, anche mediante l'attività di intermediazione di cui al numero 1), sottoponendo i lavoratori a condizioni di sfruttamento ed approfittando del loro stato di bisogno. Abbiamo due condotte penalmente rilevanti. È un reato inserito tra i delitti contro la libertà individuale. Il bene giuridico da tutelare è rilevante. C’è una clausola di sussidiarietà. La legge del 2016 si riferisce a tutte le attività lavorative anche se nella mente del legislatore c’era l’immagine del caporalato soprattutto nel lavoro agricolo. Non si parla della necessità di dimostrare che ci sia un’attività organizzata di sfruttamento dei lavoratori, amplio quindi l’ambito di applicazione della norma. Si colpisce sia l’intermediario che l’utilizzatore. Serviva come elemento del fatto anche la violenza o la minaccia o l’intimidazione. Dal 2016 in poi questi elementi sono diventati un’aggravante. L’aggravante al comma 2 è quella per il fatto commesso con violenza o minaccia e l’aggravante al comma 4 è quella per il caso in cui ci sono più di 3 lavoratori sottoposti a caporalato, o in cui sono sottoposti a caporalato lavoratori minori di età o quando i lavoratori sfruttati sono esposti a situazioni di grave pericolo. Per la norma sono necessarie due condizioni: -condizione di sfruttamento: Il legislatore non dice cosa si intende per sfruttamento, ma dà solo indici di sfruttamento. Non dà una definizione di sfruttamento, ma seleziona indici legali sintomatici di questo stato, privilegia la tecnica della tipizzazione dinamica (criticato dalla dottrina perché era auspicabile che il legislatore stesso definisse lo sfruttamento per semplificare l’applicazione della norma). INDICI DI SFRUTTAMENTO (Comma 3): 1. La reiterata corresponsione di retribuzioni in modo palesemente difforme dai contratti collettivi nazionali o territoriali stipulate dalle organizzazioni sindacali più rappresentative a livello nazionale, o comunque sproporzionato rispetto alle quantità e qualità del lavoro prestato 2. La reiterata violazione della normativa relativa all’orario di lavoro, ai periodi di riposo, al riposo settimanale, all’aspettativa obbligatoria, alle ferie 3. La sussistenza di violazioni in materia di sicurezza e igiene nei luoghi lavoro 4. La sottoposizione del lavoratore a condizioni di lavoro, a metodi di sorveglianza o a situazioni alloggiative degradanti Questi 4 casi sono indici di cosa il legislatore crede sia sfruttamento. La condotta del datore di lavoro deve avere un altissimo grado di offensività per motivare le pesanti conseguenze. Per esserci caporalato basta che ci sia 1 sola di queste condotte. -approfittamento dello stato di bisogno: Concetto delineato dalla giurisprudenza per il delitto di usura aggravata ex art. 644 comma 5 c.p. e dalla giurisprudenza quando trattava l’azione di rescissione per lesione di cui all’art. 1448 del c.c. Lo stato di bisogno, pur non integrando uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualsiasi scelta del soggetto passivo, deve costituire un impellente assillo idoneo a limitarne la volontà e tale da indurlo ad accettare condizioni che altrimenti non avrebbe accettato. Lo stato di bisogno non può essere presunto sul presupposto che il lavoratore ha sempre bisogno di lavorare. Trattandosi di responsabilità penale, è sempre necessario accertare se il lavoratore si trovava nella condizione di non poter fare a meno di quel posto di lavoro, essendo il relativo trattamento economico essenziale per fronteggiare i suoi primari bisogni. L’approfittamento attiene all’elemento soggettivo del reato e la giurisprudenza civilistica ha detto che si ha quando l’acquirente, conoscendo lo stato di bisogno del venditore, si rende conto che le prestazioni reciproche sono fortemente sperequate a suo vantaggio e, ciononostante, presta il consenso al contratto, manifestando così la volontà di approfittare della situazione. Questo vuol dire che il datore di lavoro conosce lo stato di bisogno del lavoratore e sa che non può fare a meno di quel lavoro, sa anche che la retribuzione e la condizione di lavoro è a suo vantaggio, ma lo stesso lo fa lavorare. C’è difficoltà quindi a delimitare i concetti che sono i requisiti dell’applicazione di questo reato e una volta delimitati c’è la difficoltà di provarli nel caso concreto. Era auspicabile che il legislatore avesse cercato di mettere ordine e chiarezza su questi 2 requisiti fondamentali, cosa che non ha fatto con un intervento vago e confuso. Così ha passato la palla alla magistratura che deve intervenire ex post. La magistratura, con interventi supplettivi ci dice che: la mera condizione di irregolarità amministrativa del cittadino extracomunitario nel territorio nazionale, seppur accompagnata da una condizione di disagio e di bisogno di accedere alla prestazione lavorativa, non può di per sé costituire elemento in grado da solo di integrare il reato di cui all’art. 603 bis c.p. Lo sfruttamento penalmente rilevante richiede un eclatante pregiudizio e soggezione del lavoratore che il giudice deve accertare mediante gli indici normativi del comma 3. Nonostante la modifica del 2016 le decisioni giudiziarie sul reato sono esigue. lavoro o si sottoscrivevano contratti di lavoro occasionale che non venivano sottoposti al lavoratore che non sapeva quindi le condizioni contrattuali. I riders venivano pagati 3 euro netti per ogni consegna a prescindere dalle ore di connessione, dai km fatti con le bici, dalle condizioni meteo e a prescindere dal fatto che lavorassero di notte o durante i giorni festivi. Da questo importo veniva detratto a titolo penale la somma di 50 cent a consegna in caso di mancate accettazioni di consegna superiori al 95% e altri 50 cent in caso di cancellazione della consegna. Se non si adeguavano alle indicazioni date dalla piattaforma o si chiedevano chiarimenti sui loro pagamenti o se non davano la propria disponibilità a fare le consegne c’era il blocco temporaneo o definitivo dalla piattaforma. La divisa aziendale di uber gliela facevano pagare, come tutti i mezzi lavorativi (come la bici). Il legislatore nel 2016 ha fatto bene a modificare la fattispecie penale eliminando i limiti manifestati dalla versione precedente della fattispecie criminosa, ma doveva fare qualcosa di più delimitando bene i concetti di sfruttamento e approfittamento dello stato di bisogno. Dei dubbi vengono sul fatto dell’uso dello strumento penale sempre, anche quando il legislatore ha manifestato una chiara incapacità quando scrive le norme. C’è la tendenza di usare sempre lo strumento penale, ma c’è bisogno di tutto uno strumentario anche extrapenale, ossia di agire sul meccanismo di convenienza del datore di lavoro, cioè se agisco sul piano penale e su quello del profitto o su quello reputazionale porto il datore di lavoro a non compiere questi reati. Per esempio, se il datore sa che se viene condannato e obbligato ad appore un bollino sul suo prodotto dove c’è scritto che è fatto da un’azienda con lavoratori sfruttati, allora sarebbe molto più utile e eviterebbe comportamenti illeciti. Idem se ci fossero incentivi fiscali se il lavoratore rimane nell’ambito della legalità. Il sistema attuale non tutela in toto le vittime di sfruttamento. Con il mero procedimento penale, le vittime di sfruttamento, hanno difficoltà a rivendicare i propri diritti, dovrebbero infatti costituirsi parte civile. Sono processi che durano molti anni e sono costosi. Devono contare sulla testimonianza di colleghi di lavoro che non sempre sono propensi ad andare contro il datore di lavoro. Anche la green economy che voleva evocare il futuro, altro non fa che essere strumento utile a perpetuazione di condotte di sfruttamento della manodopera che trovano radici nel passato. Anche nella green economy ci sono salari bassissimi e ore di lavoro altissime. Il nuovo caporalato che si diffonde nella green economy è difficile da scovare, si nasconde dietro nuovi schemi societari che fanno da schermo. Nella lotta al caporalato è importante il ruolo degli ispettori. Ma questi, se come visto ieri irrogano la maxi-sanzione, invece nell’ambito del caporalato sono loro che lo scovano e danno la notizia di reato al pm, ma poi la palla passa al pubblico ministero stesso che dirige le indagini e spesso non è esperto in materia di lavoro. Il ministero si fa aiutare dagli ispettori sull’indagine, ma una volta raccolto il materiale probatorio, a giudizio in sede dibattimentale c’è il pm a dimostrare le accese. In Italia manca una procura specializzata in materia di lavoro e non ci sono sempre pm competenti in materia di lavoro e in fase dibattimentale rischiano di disperdere tutto quello che è stato raccolto dagli ispettori nelle indagini. In fase penale abbiamo un onere probatorio molto pesante, dobbiamo dimostrare il reato oltre ogni ragionevole dubbio, c’è sempre il rischio che vengano fatte ottime indagine con ottimi ispettori, ma che poi in dibattimento si perda tutto, a causa della pubblica accusa e delle norme mal fatte. 5 aprile 2022 PENSIONI: C’è stato il passaggio dal sistema retributivo al sistema contributivo che ha la sua ratio nel risparmio. Le riforme Dini e Fornero incidono in modo diverso perché la riforma Dini introduce il sistema contributivo ma lo fa in modo soft senza colpire subito le persone che avevano maturato delle aspettative (sono solo aspettative e non requisiti perché i diritti intoccabili sono solo quelli entrati nel patrimonio del soggetto e il legislatore può sempre modificare anche in peius la normativa). La ratio della riforma Dini era: per chi inizia a lavorare dal 1 gennaio 1996 cambia tutto, per chi ha già lavorato si creano dei meccanismo diversi. La riforma Fornero deve creare una cesura col passato e modificare pesantemente il sistema perché c’è un problema di sostenibilità. Con il primo gennaio 2012 tutti passano al sistema contributivo, anche chi godeva del sistema retributivo fino al 31 dicembre 2011. Per quei soggetti il calcolo della pensione viene fatto in 2 tranche, la prima è quella pesante calcolata col sistema retributivo e dal 2012 con il sistema contributivo. Quando abbiamo un sistema ancorato alla retribuzione come quello retributivo avremmo sempre una quota di pensione che essendo sganciata dei contributi è a carico di tutti. Questa si tratta di una quota che è di natura assistenziale, come detto dall’ex presidente dell’INPS Tito Boeri. Il sistema retributivo era molto vantaggioso per i lavoratori. La pensione contributiva non è a questa altezza, anche se la persona lavora con una certa continuità nella sua vita. CHI PUO’ ANDARE IN PENSIONE E QUANDO? Per gestire la spesa pensionistica ci possono essere 3 leve, l’aumento dei contributi è impopolare in un contesto italiano dove il cuneo fiscale è già elevatissimo. Con i cococo invece si è aumentata la contribuzione nel corso del tempo, ma qui la tecnica ha due fini, l’aumento della contribuzione ai cococo è per la tutela previdenziale, ma anche per aumentare il costo del lavoro parasubordinato e renderlo meno concorrenziale con il costo del lavoro subordinato. Infatti, c’è stata fuga dalla contribuzione verso altri lidi, per esempio fuggivano verso la parsubordinazione quando c’erano pochi contributi da versare. Si è giocato sul calcolo della contribuzione e sull’età. L’altro fattore è l’età della pensione, se si fa andare la gente in pensione vecchie, sono logorate di più ed è possibile che muoiano prima (gravano meno sullo stato). PENSIONE DI ANZIANITA’: Anzianità è un periodo precedente la vecchiaia, è un discorso legato a una nostra visione dell’attività lavorativa e del fatto che c’è un premio per le persone che dopo aver lavorato per tanti anni possono essere anche premiate consentendo un’uscita anticipata. La pensione di anzianità fa leva sul fatto che certi soggetti hanno lavorato tanto a prescindere dall’età anagrafica. Sono tanti anni di lavoro e lo si fa andare in pensione. La pensione di anzianità nasce come misura premiale per chi ha iniziato a lavorare molto presto. È nell’idea di premiare i grandi lavoratori, ma non è prevista dall’art. 38 della Cost. Il 38 prevede una tutela contro la vecchiaia, intesa come un momento della vita in cui un soggetto non è più in grado di lavorare. L’anzianità è un concetto diverso. Prima del 2012 avevamo una pensione di anzianità, 40 anni di contributi corrispondevano all’età pensionabile. La pensione di anzianità era calcolata col metodo retributivo. Poi avevamo la PENSIONE DI VECCHIAIA: Le soglie di età sono sempre state 2: 60 anni per le donne e 65 anni per gli uomini. Era una norma discriminatoria? No, le donne potevano optare per rimanere fino a 65 anni, il fatto di andare in pensione prima era considerato non nella visione paternalistica del primo dopoguerra, bensì era l’idea di ricompensare il doppio lavoro fatto dalle donne che sono il sostrato fondamentale del welfare familiare e di cura degli anziani. Il legislatore italiano da sempre ha approfittato del lavoro delle donne, le donne hanno risolto vari problemi che negli altri paesi sono risolti dal welfare dato che in Italia c’è grande carenza di servizi (es. per l’infanzia e adolescenza e terza età, come asili nido). Poi è entrata di mezzo la Corte di Giustizia dell’Europa perché per l’Italia il pensionamento delle donne a 60 anni era insostenibile dato che hanno un’aspettativa di vita più alta degli uomini, questo è impopolare da dire e allora si è attesa una sentenza di condanna per discriminazione nei confronti delle donne della Corte di Giustizia. Così si è giustificato il graduale innalzamento dell’età pensionabile delle donne, dicendo: dobbiamo ottemperare alla sentenza della Corte di Giustizia. Il caso è quindi stato strumentalmente usato per consentire alla politica di alzare l’età pensionabile delle donne. Lo stato italiano, nel processo davanti alla CGUE non si è quasi difeso, la difesa era stata fatta apposta per perdere. Lo stato non si è difeso, ha ammesso la discriminazione nei confronti delle donne, che come visto prima, in realtà non c’era perché le donne potevano scegliere. Così lo stato ha posto fine al problema della sostenibilità dei costi. L’innalzamento drastico dell’età pensionabile è poi avvenuto con la Riforma Fornero. Prima del 2012 c’è il requisito anagrafico di (60 e 65 anni) e poi abbiamo 2 meccanismi. Per il sistema retributivo o misto, per poter accedere alla pensione si doveva avere almeno 20 anni di contributi. Il requisito anagrafico va quindi insieme al requisito contributivo. In un sistema di calcolo totalmente contributivo, al requisito anagrafico l’anzianità contributiva corrispondente era inferiore, cioè bastavano almeno 5 anni per la pensione minima. Questi sistemi sono molto difficili da digerire, allora il legislatore nel corso del tempo aveva ideato anche altri meccanismi. Aveva tentato una pensione di vecchiaia anticipata, che non è né quella di vecchiaia né quella di anzianità. Le quote della pva erano quota 96 e quota 95 e la quota era data dalla somma dell’età e la somma di un certo numero di anni di contribuzione, cioè 36 anni. Nella slide precedente non sarebbe stato possibile accedere alla pensione di anzianità o di vecchiaia dato che l’uomo doveva avere 65 anni, invece, in questo modo c’è una via di fuga: per chi possedeva determinati requisiti anagrafici e contributivi si poteva andare in pensione prima della maturazione dell’età pensionabile. Dal 1 gennaio 2012 agisce la riforma Fornero che ha la logica del taglio e della razionalizzazione. Tutti iniziano a passare dal sistema contributivo e anche le donne vengono portate all’età pensionabile parificata a quella degli uomini con un leggero adattamento. Viene eliminata anche la pensione di anzianità. La pensione di anzianità pura, cioè solo il dato contributivo poteva portare soggetti che avevano iniziato a lavorare molto presto ad andare in pensione molto giovani. PENSIONE DI VECCHIAIA: Questa, vede il dato anagrafico vigente in 67 anni, ma non è un dato fisso, il dato anagrafico viene aggiornato ogni anno in ragione del calcolo della longevità, cioè dell’aspettativa di vita. L'adeguamento serve per controllare quello che accade e prevede i costi da sostenere. Abbiamo un requisito anagrafico e contributivo, bisogna avere infatti almeno 20 anni di contributi. Per le pensioni solo contributive c’è un problema che si pone la riforma Fornero, cioè che può succedere che la pensione sul calcolo contributivo risulti così bassa da obbligare lo stato a prevedere altri strumenti assistenziali a tutela del soggetto. Non si può andare in pensione se la pensione è inferiore a 1,5 l’assegno sociale (che è il minimo). La pensione contributiva, quindi deve essere almeno di 700 euro al mese per consentire la sopravvivenza del soggetto, affinchè il soggetto con pensione bassa non gravi ulteriormente sullo stato sociale. è una misura di tutela del soggetto che deve essere in grado di mantenersi, ma anche di tutela del sistema generale. Questo doveva prevedere un tetto massimo, non poteva costringere una persona vecchia a continuare a lavorare e allora il tetto è stato messo, fatta eccezione per gli over 71enni. Se c’è stato il compimento dei 71 anni bastano i 5 anni di continua contribuzione per poter ottenere una pensione, a prescindere dalla cifra dell’assegno mensile. Nel 2012 siamo partiti con una serie diversa di età pensionabile: i lavoratori del pubblico erano già a 66 anni, le lavoratrici dipendenti 62, le lavoratrici autonome 63 e 6 mesi ecc. Poi di anno in anno c’è stato un adattamento. PENSIONE ANTICIPATA: Sostituisce la pensione di anzianità. Per coloro che sono nel sistema retributivo misto si è voluto continuare nella logica della pensione di anzianità e c’è l’idea che non si possa costringere chi ha lavorato per tanti anni e ha iniziato da giovane a continuare a rimanere nel mercato del lavoro. È un periodo di transizione che porta un esborso al welfare, ma diventava impopolare eliminare. Allora, la pensione anticipata, prevede 42 anni e 10 mesi per gli uomini e 41 e 10 mesi per gli uomini. Significa che l’attività lavorativa è stata svolta con continuità e questo al giorno d’oggi non è frequente. Per chi ha iniziato a lavorare dopo il 1996 e rientra nel sistema contributivo puro, questo meccanismo non è sostenibile e allora viene cambiato, viene messo numero di anni. Si usa la somma quando il soggetto non lavora più e può avere bisogno di liquidità. La versione originaria del tfr è art. 2120 del c.c. e prevedeva una indennità di anzianità ed era un premio fedeltà che non era dovuto nel caso di licenziamento per colpa o dimissioni. La natura del tfr cambia negli anni ’80 e abbiamo il 2120 vigente che prevede la disciplina di tfr che adesso spetta a tutti a prescindere dalla causa di cessazione del rapporto. Il calcolo del tfr è semplice e coincide con una mensilità di retribuzione o poco meno. il legislatore somma la retribuzione annuale e la divide per 13,5. Numero che nasce dal fatto che in molti contratti di lavoro è prevista la 13esima o 14esima e 13,5 è la media fra le due cifre. C’è poi un meccanismo di rivalutazione monetaria, ogni anno questa somma accantonata viene rivalutata. Il sistema di calcolo tfr è semplice e il tfr così dà la fotografia della vita lavorativa di un soggetto. il tfr ha una forma di tassazione agevolata che è la tassazione separata, se io percepisco il tfr mi scatta l’irpef, l’aliquota fiscale perché ricevo una somma che mi sballa la media, allora la tassazione tfr è la tassazione separata che deriva dalla media della tassazione degli ultimi anni, così c’è una effettiva corrispondenza ed equità. Questo meccanismo di calcolo del tfr consentiva un legame fra l’idea di una somma che avesse forte natura retributiva con l’idea della previdenza sociale. con la riforma della previdenza complementare si dice che i lavoratori decidono se destinare il tfr maturando alle forme di previdenza complementare o lasciarli dal datore di lavoro con il sistema di calcolo previsto dal c.c. L’idea di destinatario alla previdenza complementare è intelligente. Quando si creano questi meccanismi devo creare una grande struttura, devo invogliare i soggetti a fare una certa cosa e posso usare vari strumenti, un modo è di far esprimere la propria opinione dalle persone, ma anche di dare un valore al silenzio. Per prima cosa do valore a quanto la persona vuole esprimere e c’è la modalità esplicita. Chi viene assunto deve compilare un modulo dove dichiara a chi vuole destinare il tfr maturando. Il legislatore dice che scelta una via non c’è modo di cambiarla. Se il lavoratore decide di destinare il tfr maturando alla previdenza complementare non può cambiare idea, ma se sceglie di destinarla al datore può cambiare idea e destinarlo alla previdenza complementare. C’è poi la modalità tacita che implica il valore del silenzio. Nel diritto amministrativo il silenzio è o assenso o diniego. Nel diritto civile invece sceglie il legislatore, qui infatti il significato del silenzio è scelta del legislatore che dirige tutto verso la previdenza complementare. Il tfr nel silenzio va in prima battuta nella forma pensionistica collettiva prevista dai contratti collettivi applicati, scelgono quindi i sindacati. La seconda ipotesi è quando ci sono più forme di previdenza complementare che insistono in quel bacino d’utenti e allora si descrive d’ufficio la forma di previdenza complementare a cui ha diritto il maggior numero di lavoratori e c’è un effetto trascinamento del gregge. Nella terza ipotesi che per quell’ambito non esiste forma di previdenza complementare perché i sindacati non l’hanno attivata. Allora prima il tfr andava al fond-inps che raccoglieva i casi di non scelta e i casi in cui non ci fosse una previdenza complementare di natura contributiva. Poi è stato chiuso il fond-inps e questi tfr sono destinati al fondo cometa, al tfr silente. Se il lavoratore non vuole la previdenza complementare lo deve dire e può destinare in modo diverso il suo tfr. Se l’azienda ha meno di 50 dipendenti il tfr resta in azienda come era in passato, e diventa un autofinanziamento dell’azienda. Se ci sono più di 50 dipendenti il tfr non viene lasciato in azienda, ma va al fondo di tesoreria gestito dall’inps. Questo è il meccanismo che consente di dare respiro alla previdenza complementare. 6 aprile 2022 Lo stato incentiva la partecipazione dei privati nella consapevolezza che il sistema non riesce a reggere completamente e i livelli di trasformazione da retribuzione a pensione sono bassi. Si punta sull’intervento dei privati e lo si incentiva tramite il TFR. Il TFR può essere destinato alla previdenza complementare e quando il lavoratore esprime l’opzione di destinarlo alla previdenza complementare specifica anche a che fondo di previdenza vuole destinare il TFR. C’è un favor del legislatore verso la previdenza complementare. Se si sceglie di non destinare il TFR alla previdenza complementare si può cambiare idea e destinarlo ad altri. Se il lavoratore manifesta dissenso verso la previdenza complementare può chiedere di trattenere il TFR. Le riforme hanno portato il legislatore a modificare questo aspetto. Fino a 50 dipendenti resta in azienda perché il TFR rimane nella disponibilità del datore di lavoro che lo usa coma un autofinanziamento, quando siamo in imprese più grandi è l’INPS che prende il TFR, c’è il fondo tesoreria dell’INPS. I 3 PILASTRI DELLA PREVIDENZA OGGI: • La previdenza pubblica • previdenza complementare su base collettiva (fondi pensione) • previdenza complementare su base individuale (PIP)- C’è l’opzione di creare un fondo di previdenza complementare per la categoria. Mentre la previdenza complementare può rimanere totalmente individualistica, rimane una scelta totalmente individuale che rientra nella libertà di ognuno di disporre del proprio denaro e di investirlo come meglio crede e il fondo di previdenza complementare diventa un investimento. La previdenza oggi viaggia su queste 3 gambe, una gestita dallo stato, cioè il welfare pubblico, una è rimessa all’iniziativa privata, ma gestita dalle parti sociali e la terza rientra nella totale libertà individuale. Quando parliamo di fondi pensione nati per iniziativa delle parti sociali, quindi una previdenza complementare su base collettiva noi pensiamo a 2 tipi di fondi, i fondi aperti e i fondi chiusi. I FONDI CHIUSI sono i fondi negoziali e prevedono una cerchia ristretta di soggetti che possono accedere a questi fondi perché si basano su contratti collettivi e i partecipanti a questi fondi sono lavoratori dipendenti delle aziende interessate. Sono fondi chiusi, per parteciparvi dobbiamo essere ricompresi nel campo di applicazione del contratto collettivo che ha dato origine a questi fondi. Qui si va quindi per categorie merceologiche. C’è un legame stretto tra il contratto collettivo e la creazione del fondo, per partecipare al fondo bisogna essere soggetti che rientrano in quei contratti collettivi. I contratti collettivi individuano chi può partecipare al fondo e il quantum minimum di contribuzione da versare. Si prevede che in questi contratti collettivi ci deve essere il contributo del datore di lavoro. Spesso la previdenza complementare è avvicinata al welfare aziendale perché è uno strumento del welfare aziendale. La nascita è quella di contratto collettivo poi delineata in regolamenti aziendali. Il FONDO APERTO può essere collegato a imprese e sindacati, ma non nasce per volontà delle parti sociali, nasce per volontà dei soggetti finanziari. A questi fondi è possibile che i contratti collettivi facciano riferimento con il welfare aziendale. Le parti sociali nella contrattazione collettiva potrebbero decidere di non creare ad hoc un fondo chiuso, ma di aderire a un fondo aperto e quindi il datore di lavoro potrebbe decidere di dare un contributo se il lavoratore decide di aderire al fondo aperto che è gestito da banche, assicurazioni e co. Ci può essere un collegamento col welfare aziendale, ma non è una nascita determinata dalla contrattazione collettiva, quest’ultima può solo fare riferimento a questi fondi. Nei fondi aperti può aderire il singolo, ma possono aderire anche gruppi e quindi c’è un legame con la contrattazione. Un contratto collettivo può esprimere una preferenza per l’adesione verso questo strumento e rientra nel welfare aziendale se il lavoratore partecipa con un contribuito. Questi fondi pensione non possono gestire direttamente le risorse. I fondi pensione sono dei salvadanai che hanno natura diversa, per esempio, nel caso di contrattazione collettiva hanno natura associativa e nascono dal ruolo delle parti sociali. Questi fondi non possono direttamente lavorare con i soldi che vengono conferiti, per lavorare nei mercati finanziari bisogna essere soggetti autorizzati a farlo e i fondi pensioni del loro statuto decidono di conferire le risorse raccolte a dei soggetti professionisti nel mercato. Per esempio, si abbinano a società di gestione del risparmio. Non è il fondo che gestisce personalmente e direttamente i soldi, il risparmio ma li conferisce a società autorizzate sul mercato. La scelta della società a cui conferire le risorse viene fatta sulla base di proposte e valutazione di preventivi, c’è un mercato libero e i fondi esprimono determinate preferenze. è possibile anche cambiare il fondo pensione, per esempio se si cambia lavoro e contratto collettivo. è quindi possibile la portabilità. Se nel fondo pensione di partenza, per esempio se è chiuso, nato sulla base di un contratto collettivo che prevedeva un impegno diretto del datore di lavoro tramite conferimento di un contributo, nello spostarsi, nella portabilità io perderò il contributo del datore del lavoro. L’ultima opzione è quella dei PIP, Piani Individuali Pensionistici. La terza gamba è la previdenza individuale, sono dei contratti di assicurazione sulla vita stipulati con le società che si occupano di questo. è una iniziativa individuale che prescinde dal contratto collettivo applicato, dal nostro status di lavoratore o lavoratrice. Complessivamente in Italia i lavoratori sono stati diffidenti per l’uso della previdenza complementare, preferiscono tenere il TFR in azienda o darlo all’INPS. Con il welfare aziendale si tenta di rivivacizzare questa opzione. Le risorse sono gestite da un depositario che è una banca o assicurazione che gestirà le risorse, le investirà. Negli statuti dei fondi di previdenza complementare è obbligatoria la specifica sui tipi di investimenti, dobbiamo sapere come verranno gestiti i soldi e i margini di rischio. A controllare tutto c’è COVIP, la commissione di vigilanza sui fondi pensione che vigila sugli intermediari finanziari, cioè su tutti i soggetti preposti allo svolgimento di queste attività. è possibile fare vari tipi di investimento, per esempio investimenti più o meno garantiti. Una volta raggiunti i requisiti per la pensione di vecchiaia possiamo scegliere il tipo di prestazione da chiedere a fondo pensione. Il fondo pensione dà un delta rispetto alla pensione che ci erogherà lo stato. La rendita è la pensione, chiederemo la rendita al raggiungimento dell’età pensionabile. Questa somma si aggiungerà a quanto ci verrà erogato dallo stato secondo i metodi già studiati. è possibile anche una tantum, cioè richiedere una parte liquidata in capitale e il resto spalmato nel corso del tempo come rendita. Queste opzioni dipendono dallo statuto e dal regolamento del fondo. Il sistema è a capitalizzazione, a seconda di quanto ho versato nel salvadanaio, quando lo rompo trovo delle somme. La rendita sarà proporzionata all’aspettativa di vita, infatti c’è il rischio longevità. Il problema, infatti, sorge se ti diamo di più rispetto alla media, ed è rischio perché il problema può sorgere se viviamo di più rispetto alla media. Si cerca quindi di fare dei pronostici. Si tratta di meccanismi che servono perché il sistema si deve autosostenere, non c’è un flusso di denaro come nel welfare pubblico dove c’è il sistema a ripartizione. Nel sistema a capitalizzazione ognuno deve nutrirsi del suo gruzzoletto e spalmarsi la rendita nel corso del tempo sino a che gli resta da vivere. Il rischio longevità è il rischio per il fondo. Può accadere il contrario, cioè il soggetto con un’aspettativa di vita alta muore prima e lì ci guadagna il fondo. Per incentivare i compartimenti si usa la leva fiscale, il legislatore ha cercato di agevolare la tassazione sotto vari profili: per la contribuzione, per il rendimento, per la rendita, il capitale. La leva all’occupazione femminile. (vedi slides per dati aggiornati a marzo 2022). Ci vuole una misura che fa cambiare la scelta e assicuri la natalità. Le donne non fanno figli se non hanno una stabilità e una indipendenza economica. Il tasso di occupazione maschile è del 68%, quello femminile è del 50%. Il tasso di inattività maschile è del 26% e per le donne del 44,1%. tasso di inattività femminile: donne che si tolgono dal mercato del lavoro regolare, che non denunciano il loro stato di disoccupazione. Questo è il dato più preoccupante significa infatti che le donne hanno rinunciato di entrare nel mercato del lavoro regolare. L’assegno unico universale ha una natura assistenziale, non previdenziale, questo perché si prescinde dal rapporto di lavoro. Quando c’è lavoro c’è previdenza. E questa è una grande differenza con l’assegno per il nucleo familiare. è una misura strutturale, non è sperimentale. ha una vocazione all’universalità perché è potenzialmente rivolta a tutti i nuclei familiari, c’è anche una selezione, si parla infatti di moderata selettività, sono richiesti dei requisiti che comunque sono abbastanza ampi. sembra più una misura di contrasto alla povertà che una misura di sostegno alla natalità. REQUISITI, L’AN, cioè l’accesso al diritto: • Vocazione universalistica • misura diretta a chi esercita la responsabilità genitoriale • condizione lavorativa non ci interessa • avere la responsabilità genitoriale • avere un certo ISEE, dato che il quantum sarà proporzionato in ragione dell’ISEE. Non c’è un limite, tutti possono accedere alla misura, ma poi c’è un effetto dato che il quantum sarà proporzionato in ragione dell’ISEE. Per accedere alla misura devo autocertificare i dati necessari per la costruzione dell’ISEE o devo pubblicare direttamente l’ISEE. Questa specificazione è importanti, non tutte le persone vogliono chiedere l’ISEE perché non voglio dichiarare determinati valori immobiliari a disposizione o investimenti. O può accadere che le donne vittime di violenza domestica, ospiti di strutture di accoglienza come quella di zero tollerance a Udine sono impossibilitate ad avere un ISEE perché il luogo di residenza da dichiarare è quello della famiglia, cioè il luogo dove vive il maltrattante e questo preclude loro di accedere a prestazioni di assistenza, e per questo il meccanismo delle autocertificazione è fondamentale. • figlio/a minorenne o under 21 a carico. • Nel caso di affidamento esclusivo e mancanza di accordo l’assegno spetta al genitore affidatario • FIGLI A CARICO: devono essere compresi nell’ISSE. Per gli under 21 c’è una specificazione particolare, gli under 21 non devono essere i NET, cioè coloro che non fanno nulla, cioè non sono in formazione e non lavorano e non si formano. Questo per evitare di alimentare l’assistenzialismo, l’under 21 se è NET è fuori, non si prende l’assegno grazie a lui. Si prende l’assegno se il soggetto lavora ed è in no tax area (sotto gli 8.000 euro) o se studia. Quindi dò l’assegno unico universale solo se il soggetto è attivo. • Nel caso di neonati abbiamo la retrodatazione, cioè anche dal settimo mese di gravidanza la misura può essere percepita. • Per i figli disabili non ci sono limiti di età, ma la condizione di disabilità va provata dalle commissioni INPS per l’accertamento dell’handicapp. • ALTRI REQUISITI: cittadinanza, soggiorno e residenza. Sono requisiti abbastanza articolati. La corte costituzionale si è spesso espressa per la giustificabilità dei diritti sociali ai soggetti stranieri non cittadini italiani e non cittadini europei. • Cittadinanza: Ricompresi nella misura sono gli italiani, i cittadini ue e i familiari. Poi sono compresi anche altri soggetti. (vedi slides, anche se non serve ricordarli tutti esattamente, bastano alcuni). • Soggiorno: Alla luce delle ultime sentenze della corte costituzionale e della normativa comunitaria si è aperta molto la possibilità di far accedere non cittadini italiani e non cittadini ue a questa disciplina. È una disciplina aperta per l’accessibilità degli stranieri. • residenza: residenza e domicilio in Italia al momento della domanda e per tutta la durata della prestazione. il richiedente deve essere residente in Italia da almeno 2 anni anche non continuativi o in alternativa essere titolare di contratto di lavoro di durata almeno semestrale. • Bisogna essere soggetti al pagamento dell’IRPEF: si deve quindi essere considerati contribuenti. Soggetti al pagamento dell’IRPEF significa che si è potenzialmente contribuenti, non di fatto, cioè si può essere anche incapienti, cioè soggetti che guadagnano meno di 8174 euro all’anno e quindi anche coloro che sono ricompresi nella no tax area sono compresi. Questi soggetti non pagano l’IRPEF, dato che la no tax area è un’area di reddito in cui l’importo delle tasse dell’IRPEF coincide esattamente con la detrazione. A redditi fino a 15.000 euro ho una detrazione fissa di 1880 euro, il primo scaglione IRPEF è il 23%. Per esempio, se io ho un reddito di 8174 euro devo pagare l’IRPEF al 23% che coincidono a 1880 che coincidono esattamente con la detrazione. Anche i soggetti nella no tax area sono ricompresi. Molte misure sono sempre state calibrate per escludere i soggetti ricompresi nella no tax area. In questo caso invece vengono ricompresi i soggetti della no tax area. C’è un paradosso, molte misure a sostegno della famiglia non toccavano i soggetti nella no tax area, cioè proprio i soggetti più bisognosi. Il beneficio è sempre mensile, dura un anno, da marzo a febbraio. L’importo è variabile perché ci sono varie variabili all’interno, devo valutare l’età del figlio, l’isse, il numero di figli, se entrambi i genitori lavorano, se la madre è under 21, se il figlio è disabile, e questo gioca fa si che il massimo che un soggetto può percepire porta a 175 euro al mese, cioè 2100 euro annui, il minimo sono 50 euro al mese. Con 50 euro al mese non induco una famiglia a procreare. I 50 euro al mese sono per tutti i nuclei familiari con un certo reddito se si presenta l’ISEE, certo la cosa quindi non viene fatta da famiglie molto ricche che non hanno interesse ai 50 euro. Questa misura compatibile con altre misure regionali erogate a favore della famiglia e dei figli. È compatibile anche con il reddito di cittadinanza. L’altro vantaggio è la neutralità fiscale, non concorre alla formazione del reddito. L’assegno unico fa piazza pulita di tutto quello che c’era. Prima c’erano tante cose che si erano accumulate per la famiglia, come i bonus bebè, che erano misure stemporanee, queste misure sono state inutili.è importante che la misura dell’assegno unico sia una misura strutturale e non sperimentale e stemporanea. sono eliminate tutte le detrazioni che c’erano per i figli minori, disabili e alle famiglie numerose. C’è una eliminazione che è vantaggiosa per le persone disagiate, perché gli incapienti nella no tax area non godevano di queste detrazioni di cui godevano le persone con una disponibilità economica superiore. La copertura finanziaria è garantita con i risparmi di spesa e da stanziamenti ad hoc. 12 aprile 2022 GENITORIALITA’ Il nostro legislatore usa strumenti riconducibili al contratto di lavoro subordinato (prevedendo una serie di diritti) e strumenti riconducibili alla tutela previdenziale. Questo atteggiamento del legislatore è riconducibile al testo unico 151 del 2001 (testo che raccoglie una stratificazione normativa precedente, nata dal dopo guerra in poi). Le tutele più sviluppate sono state sulla maternità che da sempre è stata fonte di discriminazione. Una volta le ricadute dell’essere incinta erano un problema individuale, inizia qualche considerazione della maternità durante il periodo corporativo e acquista finalmente la sua rilevanza nella costituzione. L’art. 37 Cost dice che la donna ha gli stessi diritti e la stessa retribuzione del lavoratore e alla maternità va assegnata uno speciale trattamento. All’inizio questo ha discriminato le lavoratrici. La prima interpretazione dei giuristi è stata quella di dire che le donne vanno protette e estromesse da una serie di attività lavorative. Dagli anni ’70 la speciale e adeguata protezione si è trasformata nel rivendicare la parità e le tutele per la maternità, l’essere donna diventa avere delle specificità biologiche che necessitano di una speciale protezione. La gravidanza non è solo un problema individuale, ma qualcosa da tutelare collettivamente. In un sistema in cui abbiamo un legislatore che continua a proteggere la maternità immettendo vari pesi, divieti, limiti nel rapporto di lavoro, crea inevitabilmente un effetto boomerang. Il nostro sistema vede la lavoratrice subordinata come molto tutelata, ma questa tutela non ha contribuito ad aumentare la parità, bensì ha allontanato le donne dal mercato del lavoro. Se una impresa oggi deve assumere fa le sue valutazioni e preferirà poi assumere un uomo. Parte del problema è l’irrazionale divisione dei ruoli nella famiglia che dà più importanza alla donna nella gestione familiare e poi lo stato non offre tanti servizi per l’infanzia. C’è un deficit italiano rispetto alla media europea, solo una maggior presenza di asili nido a prezzi normali può favorire la progressione delle donne con figli piccoli nel mercato del lavoro. Dove il problema dei figli è considerato un problema dei singoli e non degli individui la natalità è aumentata, questo è accaduto in Francia grazie a servizi e provvedimenti di natura fiscale per le famiglie con figli. MATERNITA’: Le norme citate sono quelle del T.U. 151 del 2001 All’art. 2 ci parla delle definizioni: CONGEDO DI MATERNITA’ che è l’astensione obbligatoria della lavoratrice CONGEDO DI PATERNITA’: è obbligatorio o facoltativo, è l’astensione dal lavoro del padre CONGEDO PARENTALE: astensione facoltativa della lavoratrice o del lavoratore CONGEDO PER LA MALATTIA DEL FIGLIO: è l’astensione facoltativa dal lavoro della lavoratrice o del lavoratore in dipendenza della malattia stessa Il T.U. pone all’art. 3 un divieto di discriminazione molto forte: è vietata ogni discriminazione per ragioni connesse al sesso, secondo quanto previsto dal d.lgs. 11 aprile 2006, n 198 con particolare riguardo ad ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità e dell’esercizio dei relativi diritti. Questa è una norma inutile perché ribadisce ciò che è già nella logica del sistema. La tutela originale era quella della maternità, ma nel momento in cui i padri iniziano ad acquisire un ruolo più rilevante e attivo nella famiglia anche nei loro confronti ci può essere una tutela. Articolo 4: SOSTITUZIONE DI LAVORATRICI E LAVORATORI IN CONGEDO 1- In sostituzione delle lavoratrici e dei lavoratori assenti dal lavoro, in congedo, in virtù delle disposizioni del presente t.u. il datore di lavoro può assumere personale con contratto a tempo determinato o usare personale con contratto temporaneo 2- L’assunzione di personale a tempo determinato e l’utilizzazione di personale temporaneo, in sostituzione di lavoratrici e lavoratori in congedo ai sensi del t.u. può avvenire anche con anticipo fino a un mese rispetto al periodo di inizio del congedo (per favorire la conoscenza), salvo periodi superiori previsti dalla contrattazione collettiva 3- Nelle aziende con meno di 20 dipendenti è possibile uno sgravio contributivo del 50% per sollecitare l’uso dell’assunzione a termine e per rendere meno faticosa la maternità agli occhi dell’impresa. Queste sono le aziende dove spesso ci sono le maggiori forme di discriminazione. 4- Le disposizioni del comma 3 trovano applicazione fino al compimento di un anno di età del figlio della lavoratrice o del lavoratore in congedo o per un anno dall’accoglienza del minore adottato o in affidamento. • Ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto • Durante i 3 mesi dopo il parto salvo quanto previsto all’art. 20 • Durante i giorni non goduti prima del parto, se il parto avviene in data anticipata rispetto a quella presunta. Tali giorni si aggiungono al periodo di congedo di maternità dopo il parto, anche se la somma dei periodi di cui alle lettere a, b, c superi il limite complessivo di 5 mesi. Se il figlio nasce prematuro i giorni in meno rispetto alla data presunta vengono recuperati dopo. 1.1: In alternativa a quanto disposto nel comma 1, è riconosciuta alle lavoratrici la facoltà di astenersi dal lavoro esclusivamente dopo l’evento del parto entro i 5 mesi successivi allo stesso, a condizione che il medico specialista del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzione non arrechi pregiudizio alla salute della gestante e del nascituro. C’è una considerazione diversa dell’aborto se viene prima dei 6 mesi o dopo. Prima dei sei mesi l’aborto è considerato malattia e dopo i 6 mesi è considerato parto. 1-bis. Nel caso di interruzione spontanea o terapeutica della gravidanza successiva al 180esimo giorno dall’inizio della gestazione, nonché in caso di decesso del bambino alla nascita o durante il congedo di maternità, le lavoratrici hanno facoltà di riprendere in ogni momento l’attività lavorativa, con un preavviso di 10 giorni al datore di lavoro, a condizione che il medico specialista del servizio sanitario nazionale o con esso convenzionato e il medico competente ai fini della prevenzione e tutela della salute nei luoghi di lavoro attestino che tale opzioni non arrechi pregiudizio alla loro salute. ART. 17 ESTENSIONE DEL DIVIETO Il divieto è anticipato a 3 mesi dalla data presunta del parto quando le lavoratrici sono occupate in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, siano da ritenersi gravosi o pregiudizievoli. Tutte queste disposizioni sono accompagnate da sanzioni penali. Art. 18 sanzioni-la punizione per le violazioni è fino ai sei mesi. Anche per l’ADOZIONE E L’AFFIDAMENTO c’è il congedo di 5 mesi e il congedo non è qui obbligatorio, la madre vi può rinunciare. Sono usati molto spesso per le adozioni internazionali dove si deve per forza andare a conoscere prima il figlio. In caso di affidamento non preadottivo il periodo di congedo di maternità è pari a 3 mesi. TUTELA ECONOMICA PREVIDENZIALE: Le lavoratrici hanno diritto ad un’indennità giornaliera pagata dall’INPS pari all’80% della retribuzione per tutto il periodo del congedo di maternità più l’eventuale somma a carico del datore prevista nel ccnl. Nella maggioranza dei ccnl si trova il 100%, il 20%, quindi il delta è a carico del datore di lavoro. I periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti, compresi quelli relativi alla tredicesima mensilità, ferie e TFR. Questa disposizione non piace ai datori di lavoro Lo stato oltre all’indennità dell’80% paga anche i contributi figurativi. I CONTRIBUTI FIGURATIVI per il diritto alla pensione e per la determinazione della misura stessa. Ma serve apposita domanda all’INPS da parte della lavoratrice. La tutela della maternità è fiscalizzata su tutti, tutti con i nostri contributi paghiamo la maternità TUTELA DELLE PARASUBORDINATE La tutela è inferiore, è di 5 mesi. Le tutele sono create sulla base del reddito delle lavoratrici e siamo su cifre abbastanza basse. Dal 14 giugno 2017, data di entrata in vigore della legge 81 del 2017, si è eliminata l’astensione obbligatoria per le lavoratrici iscritte alla Gestione Separata. Prima tramite decreto ministeriale le parasubordinate erano obbligate all’astensione obbligatoria, ma questo era illegittimo, loro sono autonome, non subordinate che devono sottostare all’ordine del datore di lavoro. La relativa indennità, pertanto, sarà riconosciuta a prescindere dall’effettiva astensione dall’attività lavorativa. È un principio ancora più forte per le autonome e libere professioniste. Nei primi anni 2000 abbiamo una sentenza sulla maternità delle notaie. C’era un caso che nasceva dal fatto che una notaia era in gravidanza e chiese alla cassa notarile l’indennità di maternità e la cassa si rifiuta di pagarla dicendo che lei non ha mai sospeso la sua attività lavorativa. La cassa si rifiutò perché il reddito della notaia era altissimo e andava pagato tanto per l’indennità di maternità. La corte costituzionale dice che è illegittimo prevedere l’astensione obbligatoria per poter usufruire dell’indennità di maternità per le libere professioniste che devono organizzare la loro attività compatibilmente per le loro esigenze. È diverso dal lavoro subordinato dove c’è eterodirezione. Le autonome hanno libertà di autodeterminazione. La corte dà ragione alla lavoratrice e quindi poi c’è stato un aumento della contribuzione e anche una imposizione di tetti massimi. Tutte le casse professionali oggi hanno massimali, la notaia si deve accontentare di un’indennità entro un massimo, anche se hanno retribuzione altissima. TUTELA DELLE AUTONOME (INPS) E LIBERE PROFFESIONISTE (CASSE): Corrisposta un’indennità di maternità per i 2 mesi antecedenti la data del parto e i 3 mesi successivi alla stessa. Le autonome godono dell’indennità di maternità, si vedono ridotta l’attività lavorativa se non se la sentono, ma se se la sentono la svolgono. PATERNITA’ Congedo obbligatorio introdotto con la LEGGE FORNERO N.92 DEL 2012. È di 10 giorni obbligatori per il padre da fruire iure proprio. è un diritto suo, che non deriva dalla madre. Inizialmente c’era solo il diritto a 1 giorno, poi è stato portato a 10 giorni. L’idea è che anche il padre abbia un obbligo di astensione. La copertura economica è al 100%. Il congedo obbligatorio è sprovvisto di una sanzione per cui molti non lo applicano. Può essere goduto anche in via non continuativa, entro 5 mesi di vita o dall’ingresso in famiglia o in Italia in caso di adozione o affidamento del minore. Nel 2021 abbiamo la legge 178 del 2020. CONGEDO FACOLTATIVO DI UN GIORNO: è in alternativa alla madre ed è introdotto dalla Fornero. La copertura economica è al 100%. La norma che ha avuto impatto più grande è il d.lgs. 151 del 2001 che ha introdotto il congedo FACOLTATIVO di paternità. Era previsto anche prima, ma vari interventi della corte cost. hanno aggiustato il tiro. Non è un congedo iure proprio, è un congedo che il padre eredita dalla madre quando lei è morta, nel caso di sua grave infermità, di abbandono da parte della famiglia e di affidamento esclusivo del bambino al padre. Il padre ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità SOLO POST PARTUM. PARASUBORDINATI: In caso di morte, grave infermità della madre, abbandono del figlio o affidamento esclusivo del bambino al padre e in caso di adozione o affidamento, nel caso in cui la madre non ne faccia richiesta. Abbiamo il congedo di maternità facoltativo e il diritto del padre non è iure proprio, è derivato da quello della madre, è una supplenza. SI PARLA DI PADRE E MADRE PERCHE’ NON SERVE CHE SIANO NECESSARIAMENTE CONIUGI. L’unica cosa che ci interessa è che devono essere genitori, cioè devono aver riconosciuto il figlio. AUTONOMI (INPS) E LIBERI PROFESSIONISTI (CASSE): Anche per gli autonomi e liberi professionisti c’è il congedo grazie alle sentenze della corte cost, perché i padri prima erano discriminati. Anche qui entra in gioco la supplenza di quando la madre per i 5 mesi non può occuparsene. GENITORIALITA’ CAPO V: IL CONGEDO PARENTALE Questi si dividono in varie tipologie, il congedo parentale classico è quello che prevede la possibilità, quindi è facoltativo, che fino a 12 anni di vita del figlio un genitore possa usare massimo 6 mesi di congedo. Ciascun genitore può usare 6 mesi di congedo, ma la somma di tutti congedi è di 10 mesi. Si vuole evitare che solo la donna prenda il congedo parentale. Abbiamo un 6 più 6 che non fa 12, ma fa 10, perché l’idea è che si voglia dare un pacchetto di tutele alla famiglia, ma che non si spinga fino ai 12. Il pacchetto è aumentato fino a 11 solo quando il padre prende almeno 3 mesi e quindi scatta un bonus. TETTO MASSIMO PER IL CONGEDO PARENTALE: l’indennità INPS per il congedo parentale è pari al 30% dell’ultima retribuzione giornaliera: copre solo 6 mesi. È una tutela miserabile. La donna è quella che guadagna meno e quindi sarà quella che rinuncerà a svolgere l’attività lavorativa. Nella PA i ccnl alzano il 305 e c’è un incentivo per i padri a prendere il congedo. Nel pubblico impiego c’è meno pericolo di discriminazione. Il congedo parentale è solo parzialmente coperto dai contributi figurativi e è possibile riscattare dei contributi a titolo oneroso. Le persone pagando devono riscattare i periodi non coperti da contribuzione. La facoltà di riscatto dei contributi previdenziali è a titolo oneroso. Le donne non si devono mai mettere in tempo parziale prima di partorire, ma solo dopo, perché altrimenti l’indennità di maternità è calcolata sulla retribuzione del part-time che è inferiore. ART. 33 PROLUNGAMENTO DEL CONGEDO: Per ogni minore con handicap in situazione di gravità accertata, i genitori possono accedere a congedi che possono arrivare anche a periodi molto lunghi. (vedi slides) PARASUBORDINATI: L’indennità per congedo parentale spetta per massimo 6 mesi entro i primi 3 anni di vita del bambino. AUTONOME ISCRITTE ALLA GESTIONE SEPARATA INPS: Indennità per 3 mesi entro il primo anno di vita del bambino. Per le casse è prevista solo la tutela obbligatoria per la maternità e non i congedi parentali, bisogna vedere cosa rimane. C’è l’idea di una tutela sempre più ristretta. RIPOSI GIORNALIERI Entro un anno di vita del bambino la lavoratrice dipendente ha diritto ai riposi giornalieri, cioè un’assenza oraria giornaliera indennizzata al 100% della retribuzione. Sono chiamati riposi per allattamento. Consentono un accorciamento dell’orario di lavoro. Questi riposi spettano anche per i minori adottati o affidati, entro un anno dall’ingresso in famiglia. Sono riposi che possono essere anche chiesti dal padre in sostituzione della madre. C’è stato il problema che ha dato adito a casistica giurisprudenziale per i parti gemellari, il legislatore dice che in questo caso le ore si raddoppiano. È l’inps che paga tutto l’indennizzo, c’è la tutela previdenziale. 13 aprile 2022 POVERTA’ Le misure di contrasto della povertà sono di assistenza sociale, nell’ambito previdenzialistico. Le misure di contrasto alla povertà rientrano nell’area dell’assistenza sociale. art. 38 Cost. al primo comma dice: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al cittadinanza (ultra 67enni) o soggetti con disabilità. L’idea fondamentale è la condizionalità che ha portato anche a una sentenza della corte costituzionale. Percepisci il reddito solo se dai la disponibilità a misure di inclusione sociale e di inclusione lavorativa. I requisiti sono vari: • Cittadinanza italiana o di Paesi dell’UE o di cittadini di Paesi Terzi in possesso del permesso di soggiorno in UE per soggiornanti di lungo periodo • Residente in Italia per almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo • Valore dell’ISEE inferiore a 9.360 euro, ma ci sono vari adattamenti a seconda della composizione del nucleo familiare. LINK VIDEO SU POWER POINT che riassume il reddito di cittadinanza. Nell’ISEE si tiene conto dei beni mobili, dei beni immobili e co. Come viene erogato il beneficio? Tramite la carta di cittadinanza che deve essere spesa per spese di prima necessità. Il reddito dura per massimo 18 mesi, ma è rinnovabile, posso usarlo per 18 mesi, deve passare un mese di buco in mezzo e poi posso chiederlo per altri 18 mesi. Il tempo è lungo per dare sollievo al nucleo familiare e per finalizzare il percorso di inclusione lavorativa e inclusione sociale. In cosa consiste il beneficio? È composto da 2 quote, una quota è la quota A ed è una integrazione al reddito familiare, la quota B è un contributo per il canone d’affitto o per il mutuo. Se non c’è affitto o mutuo uso solo la quota A, se c’è uso sia la quota A che B. Affitto e mutuo sono tutte situazioni che devono essere comprovate quando vado a fare la domanda. I nuclei percettori a dicembre 2021, senza mutuo e senza canone, sono stati 695.500. L’importo medio mensile della quota A è di 536 euro e il reddito medio annuo dichiarato è di 1551 euro. Abbiamo poi altre ipotesi, il totale complessivo dei percettori è di 1.232.521 nuclei. Nel 2019 i percettori sono stati 1,1 milioni, per un totale di 2,7 milioni persone coinvolte. Nel 2020 i nuclei sono stati 1,6 milioni per un totale di 3,7 milioni di persone coinvolte. Nel 2021 i nuclei beneficiari di almeno una mensilità sono risultati quasi 1,8 milioni per un totale di poco meno di 4 milioni di persone coinvolte. Nel mese di dicembre 2021 i nuclei beneficiari di reddito di cittadinanza sono 1,2 milioni. Varie persone molto povere non hanno il rdc perché non sanno che esiste, non si fanno fare l’ISEE e non si recano a un caf. C’è una fetta di popolazione in estremo disagio e estrema deprivazione culturale e non è in grado di procurarsi un ISEE. L’effetto sanzionatorio è corposissimo. Ci sono le ipotesi di revoca con efficacia retroattiva: il reddito viene restituito dopo vari accertamenti dell’amministrazione e accade anche per condanna in via definitiva per certi reati come i delitti contro lo stato, i delitti di mafia, la riduzione in schiavitù, l’induzione e lo sfruttamento della prostituzione minorile, i delitti contro il patrimonio mediante violenza. Poi ci sono le ipotesi di decadenza del diritto, questo avviene quando in sede di rinnovo del rdc viene accertata la perdita dei requisiti e allora la domanda decade fisiologicamente. Se dopo l’accoglimento della domanda, l’INPS viene a conoscenza, in fase di accertamento o del semplice rinnovo mensile, ad esempio, di un evento non comunicato dal nucleo richiedente interviene la decadenza sanzionatoria. Nel 2021 è stato revocato il beneficio a quasi 110mila nuclei, mentre nel 2020 erano stati 26 mila. I motivi per cui è possibile che il beneficio venga revocato sono molti. La motivazione più frequente è l’accertamento della mancanza del requisito di residenza o cittadinanza. Nel 2021 sono decaduti dal diritto 314mila nuclei, erano stati 259mila nel 2020 e 80 mila tra aprile e dicembre 2019. La causa più frequente è legata alla variazione dell’ISEE che supera la soglia prevista. Tra i motivi di decadenza rilevano anche i casi in cui cambia la composizione del nucleo familiare. REATI AD HOC: creati apposta e che riguardano tutte le ipotesi di falsificazione e imbroglio. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio rende o usa dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni. L’omessa comunicazione delle variazioni del reddito o del patrimonio, anche se provenienti da attività irregolari, nonché di altre informazioni dovute e rilevanti a fini della revoca o della riduzione del beneficio entro i termini è punita con la reclusione da 1 a 3 anni. Questo è un grafico che fa vedere chi ha percepito il reddito, in verde abbiamo i cittadini italiani, giallo cittadini extracomunitari e arancione cittadini dei paesi UE. Il rdc ha avuto effetto di ammortizzatore perché ha aiutato varie famiglie. PENSIONE DI CITTADINANZA La pensione di cittadinanza è la sorella minore del reddito di cittadinanza ed è uno strumento a tutela della vecchiaia. Per nuclei familiari composti: • Solo da 1 o più componenti di età pari o superiore a 67 anni • O se questi convivono solo con una o più persone in condizione di disabilità grave o di non autosufficienza Si applicano le stesse regole del rdc salvo la parte che riguarda il patto per il lavoro, che non avviene nel caso della pensione di cittadinanza. ASSEGNO SOCIALE Un altro strumento come tutela della povertà nella vecchiaia è l’assegno sociale. Dal 1 gennaio 1996 è nata in sostituzione della pensione sociale. è uno strumento che toglie dalla povertà estrema le persone anziane e si applica a soggetti che non hanno versato contributi sufficienti per ottenere una pensione. È un assegno puramente assistenziale. Il nome pensione riporta alla contribuzione e assegno no, è quindi un nome adatto a una misura puramente assistenziale. Bisogna avere almeno 67 anni di età, essere cittadini italiani o comunitari, essere cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo e ai cittadini stranieri o apolidi titolari dello status di rifugiato politico o di protezione sussidiaria. Devono aver soggiornato legalmente in Italia in via continuativa per almeno 10 anni (requisito della lungo residenza). Bisogna avere una residenza effettiva in Italia, l’assegno si sospende se il titolare soggiorna all’estero per più di 29 giorni e poi si perde se il soggetto non risiede in Italia. QUANTUM: L’importo al 100% dell’assegno sociale è di 468,11 euro nel 2022. Se il reddito non è 0 vado a sottrarre il reddito mensile del soggetto da 468,11. Durante il periodo COVID ci sono state due misure: -il REDDITO DI EMERGENA (REM): che è servito per i nuclei familiari in particolare difficoltà. -Poi c’è stato il REDDITO DI ULTIMA ISTANZA, cioè i 600 euro per gli autonomi e professionisti per marzo e aprile 2020 e i 1000 euro per maggio 2020 TITOLARITA’ DEI DIRITTI SOCIALI IN CAPO AI CITTADINI DEI PAESI TERZI È un tema molto politicizzato. La politica usa molto questo tema, soprattutto la destra per ribadire la priorità dei cittadini italiani. Noi dobbiamo rispettare la normativa CEDU e la normativa dell’UE, infatti c’è una casistica di giurisprudenza costituzionale. In gioco c’è il difficile bilanciamento tra gli obiettivi sottesi alle politiche sociali, la limitatezza delle risorse disponibili e l’estensione dei diritti sociali. Sono elementi importanti, i soldi, la sostenibilità, la lotta contro la povertà, cioè l’obiettivo. L’estensione soggettiva dei diritti sociali: a chi estendo le misure contro la povertà? A tutti i poveri o seleziono? Se seleziono poi l’obiettivo lo raggiungo? Ci sono delle norme interne nazionali e comunitarie da rispettare in questi diritti sociali. La Corte costituzionale si è già pronunciata in 4 sentenze da gennaio a oggi. La corte cost. si è pronunciata nella sentenza n. 54 del 2022: La discrezionalità compete al legislatore nel definire le condizioni di accesso alle misure di assistenza sociale non esime la corte dal compito di vagliare la conformità alla costituzione delle scelte di volta in volta compiute. Quando la corte fa la valutazione di legittimità non ha in mente solo il parametro costituzionale, ha in mente anche il parametro della normativa UE. Possiamo legittimamente distinguere fra cittadini UE, cittadini italiani e cittadini dei paesi terzi nell’accesso ai diritti sociali? Si le eccezioni alla parità di trattamento sono ammesse a certe condizioni. Ci sono delle condizioni che ricaviamo dalla copiosa giurisprudenza della corte costituzionale, in particolare dal 2012. 1. Deve essere escluso il ricorso allo strumento dell’interpretazione conforme al diritto dell’UE per l’univoco contenuto della disciplina nazionale e non sussiste la violazione dell’obbligo della parità di trattamento imposto da norme dell’ordinamento UE contenute in un precetto chiaro, preciso, incondizionato, poiché in tal caso vige il principio di primato del diritto dell’UE che comporta la diretta applicazione delle norme dell’Unione e la disapplicazione delle norme nazionali contrastanti. Per avere una eccezione devo escludere che posso interpretare una normativa italiana in modo conforme a una normativa UE. Devo quindi escludere che ci sia una normativa UE direttamente applicabile in quel contesto. (v. spec. C. Cost. n. 67 del 2022) 2. Sono invocabili le deroghe alla parità di trattamento previste espressamente nelle direttive o nei regolamenti UE applicabili (es. dir 2003/109/CE dir. 2011/98/UE reg. n. 883/2004) ma ciò si verifica a condizione che: - Le deroghe previste nel diritto dell’UE vanno interprete restrittivamente - Le stesse sono invocabili solo se gli organi componenti dello stato membro interessato per l’attuazione della direttiva abbiano chiaramente espresso l’intenzione di avvalersene in sede di recepimento (v. da ultimo c. cost n. 67/2022). Quindi l’Italia quando costruisce una misura e vuole escludere la parità di trattamento deve dichiarare che vuole applicare quelle deroghe al diritto dell’UE. 3. Quando non rientro in queste due ipotesi l’eccezione è ammessa quando c’è una ragionevole correlazione con la finalità di quelle misure. La differenziazione deve essere ragionevole rispetto all’obiettivo a cui mira la prestazione, non si può ammettere una differenziazione arbitraria. 4. Trovando applicazione l’ipotesi sub. Art. 3, non si tratti del soddisfacimento di un bisogno primario collegato all’esercizio di un diritto inviolabile della persona. FATTE SALVE LE 4 IPOTESI CITATE, la restrizione dell’accesso ai diritti sociali ai cittadini dei paesi terzi contrasta con: -l’art. 117 Cost, primo comma, in relazione al diritto europeo secondario e all’art. 34 Carta di Nizza (carta dei diritti fondamentali dell’UE) - e con gli art. 2,3,31,32,34, 38 cost. ESEMPIO, SENT. C. COST 50/2019-REDATTORE PROSPERETTI (Prof di diritto del lavoro) Sentenza che riguarda l’assegno sociale, per il suo ottenimento ci vuole il requisito della cittadinanza italiana o UE e del permesso di soggiorno di lungo periodo per gli extra UE. È un permesso che si ottiene dopo molto tempo. L’assegno sociale richiede anche residenza in Italia. La Corte Cost ha detto che qui i requisiti dell’assegno sociale sono legittimi e non è fondata la questione di costituzionalità. Si dice che l’assegno sociale non è una prestazione che va a soddisfare un bisogno primario. La corte cost. dice che c’è la ragionevolezza della restrizione e non c’è il problema del soddisfacimento di un diritto inviolabile perché non è un diritto inviolabile. La corte cost. dice che la razionalità sussiste perché l’assegno sociale è legato anche a una fidelizzazione della persona allo stato italiano, per cui è importante la residenza per lungo tempo. (vedi slide). C’è corrispondenza tra l’inserimento stabile del soggetto nella comunità italiana e il fatto che lo stato eroghi l’assegno. La redattrice de Pretis- Sent. sul REI (è l’antenato del reddito di cittadinanza) e RDC. Sono sentenze del 2022 dove la corte dichiara non fondate le questioni. La corte dice che non si tratta di previdenze -trasformarsi e crescere durante fasi di cambiamento strutturale • L’Italia ha una bassa dotazione di capitale umano Il ritardo dell’Italia è quali-quantitativo: livelli di istruzione meno elevati e minori competenze: -il divario rispetto agli altri paesi si sta riducendo, ma è ancora presente e coinvolge anche le generazioni più giovani -Ampie differenze territoriali: nel Mezzogiorno livelli di istruzione più bassi PERCHE’ I LIVELLI DI ISTRUZIONE IN ITALIA SONO BASSI? INVESTIRE IN ISTRUZIONE HA UN MODESTO RITORNO MONETARIO: -dal lato dell’offerta, la spesa in istruzione terziaria è bassa -dal lato della domanda, bassa richiesta da parte delle imprese di personale qualificato -circolo vizioso che genera un equilibrio in cui i laureati sono pochi e il loro premio salariale è basso; le imprese si aspettano che il capitale umano sia basso I RITORNI MONETARI NON ESAURISCONO I BENEFICI DEGLI INVESTIMENTI IN CAPITALE UMANO- LIVELLI DI ISTRUZIONE Più ELEVATI SI ASSOCIANO A CARRIERE PIU’ STABILI: -Maggiore stabilità anche nei periodi di recessione -se occupate, le persone più istruite hanno meno probabilità di perdere il lavoro. Contratti più stabili, progressioni di carriera (minori licenziamenti) -se disoccupate, le persone più istruite hanno maggiore probabilità di trovare un nuovo impiego I LAVORATORI PIU’ ISTRUITI BENEFICIANO MAGGIORMENTE DELLA POLARIZZAZIONE, MENTRE QUELLI MENO ISTRUITI SI SPOSTANO SU OCCUPAZIONI A BASSO REDDITO: -Solo i più istruiti hanno beneficiato della polarizzazione nel mercato del lavoro, la loro quota all’interno dei lavori ad alto reddito è aumentata -la quota di lavoratori meno istruiti, è diminuita non solo nei quinti centrali della distribuzione del reddito, ma anche nei quinti più alti. LE NUOVE SFIDE E LE PRIME EVIDENZE SULL’IMPORTANZA DEL CAPITALE UMANO LE CONSEGUENZE LAVORATIVE DELLA CRISI COVID SONO STATE MENO SEVERE PER I LAVORATORI PIU’ ISTRUITI: -La pandemia ha accelerato il processo di digitalizzazione dell’economia -I lavoratori con mansioni telelavorabili sono stati meno esposti alle ripercussioni del Covid sul mercato del lavoro (il lavoro da remoto è più diffuso tra i lavoratori più istruiti) -La riallocazione delle attività, seppur ancora limitata, incomincia ad avvenire verso i settori ad alta digitalizzazione I LAVORATORI PIU’ ISTRUITI SONO PIU’ CONCENTRATI IN SETTORI CHE SARANNO MENO COLPITI DA CAMBIAMENTI LEGATI ALLA TRANSIZIONE ECOLOGICA: -Nei settori inquinanti lavora un numero elevato di lavoratori poco istruiti -La transizione ecologica implica che i settori più inquinanti subiranno cambiamenti strutturali, da cui la necessità di formazione continua (ma il numero di lavoratori interessato è appena l’1 per cento nella media delle economie avanzate) LE AZIONI DI POLICY IN MATERIA DI FORMAZIONE DELLA FORZA LAVORO INVESTIRE IN UN SISTEMA DI ISTRUZIONE DI QUALITA’ E INCLUSIVO: • La formazione del capitale umano è un processo cumulativo: i gap iniziali sono difficili da colmare successivamente (soprattutto se, come in Italia, le circostanze familiari contano e non si riconosce il talento di chi proviene da contesti di svantaggio) • Una scuola di qualità è fondamentale: ha il ruolo di coltivare le abilità cognitive e non cognitive sin dai primi anni di vita • Dal pnrr 19,4 miliardi per la scuola con focus su misure per la prima infanzia, riduzione dei gap territoriali, formazione dei docenti -7,7 miliardi di progetti in essere e provenienti dal Fondo di Sviluppo e Coesione (tra cui la messa in sicurezza degli edifici per 3,4 miliardi) -11,7 miliardi di nuovi stanziamenti destinati prevalentemente a progetti per asili nido, riduzione del divario territoriale e abbandono scolastico, nuove competenze STEM e digitali, Piano Scuola 4.0 (scuole innovative, nuove aule didattiche e laboratori) e potenziamento degli ITS INVESTIRE NELL’APPRENDIMENTO PERMANENTE PER COLTIVARE IL CAPITALE UMANO LUNGO L’INTERO CICLO DI VITA: • L’emergere di nuove tecnologie e l’obsolescenza di quelle esistenti richiede un apprendimento permanente (life long learning) • Le attività di training e re-skilling per tutti i lavoratori, anche quelli adulti e maturi, sono fondamentali per fornire gli strumenti necessari ad affrontare mutamenti complessi • In Italia la diffusione di queste attività è ancora inferiore alla media UE. Il Fondo nuove competenze ha coperto la formazione di circa 710.000 lavoratori • Il pnrr interviene con il potenziamento degli ITS e del sistema duale e con la riforma delle politiche attive SOSTENERE LA PARTECIPAZIONE AL MERCATO DEL LAVORO DI TUTTI I GRUPPI DEMOGRAFICI RAFFORZANDO LE POLITICHE ATTIVE PER IL LAVORO -Le politiche attive del lavoro sono il pilastro fondante di un sistema di welfare moderno -In Italia la spesa è bassa e si concentra più su incentivi all’assunzione e tirocini che sulla formazione (il divario è maggiore se rapportato alla popolazione) -il pnrr destina complessivamente 5 miliardi alle politiche attive e si articola in 2 interventi principali: le politiche attive del lavoro e formazione e il potenziamento dei centri pubblici per l’impiego PROGRAMMA GOL E PIANO NAZIONALE NUOVE COMPETENZE Il programma GOL e il piano nazionale nuove competenze, cioè il PNNC mirano a espandere la platea di beneficiari e fissare linee guida nazionali per formazione continua e supporto alla ricerca del lavoro. Nel complesso vi sono destinati 4,4 miliardi di euro (nuovi stanziamenti, più 0,5 provenienti da ReactEu) -Ancora più importanti sono le riforme -GOL identifica le linee guida per il potenziamento dell’offerta di politiche attive: definizione dei beneficiari, proliferazione, percorsi di inserimento -PNNC definisce i livelli essenziali per la formazione professionale -Entrambe le riforme sono già state approvate e sono in valutazione i piani regionali POTENZIAMENTO DEI CENTRI PER L’IMPIEGO: • Con il PNRR prosegue il piano di potenziamento dei cpl -interventi addizionali per 200 milioni: prossimità dei servizi, osservatori regionali e analisi dei fabbisogni, interoperabilità dei sistemi IT, comunicazione ai clienti, integrazione con altri servizi locali -400 milioni già ripartiti alle Regioni per il potenziamento infrastrutturale e le attività di formazione degli operatori • A questo si aggiunge l’ampliamento degli organici (da 8.000 nel 2018 a 20.000 a regime, per un costo annuo sul bilancio di 464 milioni) • Attualmente i cpli intermediano solo il 2,5 dei matches (contro il 5 per cento in Spagna, il 15 in Francia e il 30 in Germania) IL PNRR E LE RISORSE NON RISOLVONO TUTTE LE CRITICITA’ 1) La strutturale istituzionale frammentata impone alti costi di coordinamento ed è fonte di inefficienze 2) GOL definisce una profilazione unica; al momento non vi sono dettagli sull’interoperabilità dei sistemi 3) Il mercato del lavoro non conosce confini regionali 4) È ancora assente dal panorama italiano la valutazione dei risultati e dell’efficacia dei cpl: non così in Francia (non è neanche obiettivo del PNRR) 5) Le imprese devono essere incentivate a partecipare e comunicare i loro fabbisogni; i Cpl potrebbero farsi carico dei rapporti con le imprese PERCHE’ L’ITALIA è IN RITARDO NEL COGLIERE LE SFIDE DELLA RIVOLUZIONE ICT E DELLA GLOBALIZZAZIONE? IL RUOLO DEL BASSO LIVELLO DI CAPITALE UMANO: • Il capitale umano è l’insieme di abilità, conoscenze e competenze di ciascun individuo: si accumula lungo il ciclo di vita per effetto di investimenti in istruzione formale ed informale e attraverso l’esperienza nel mercato del lavoro • Numerosi studi mostrano una correlazione positiva tra stock di capitale umano di un paese e capacità di: -adozione delle più avanzate tecnologie esistenti -innovazione e sviluppo di nuove tecnologie -trasformarsi e crescere durante fasi di cambiamento strutturale • L’Italia ha una bassa dotazione di capitale umano 55.23 26 APRILE 2022 SCARANO: IMPRESA IRRESPONSABILE, IMPRESA SOSTENIBILE E INSOSTENIBILE: Focus su ART.4, 42 E 32 Cost. Attuazione delle norme è la law in action e ci fa focalizzare sull’effettività della materia. VICENDA ILVA: è un’industria siderurgica impegnata nella produzione di acciaio, fu pensato alla fine degli anni ’50 e insediato nel 1960. L’insediamento siderurgico è stato insediato in un quartiere dove già viveva molta gente, non era fuori dal centro abitato. Il quartiere all’interno vede insediato lo stabilimento siderurgico, l’edificio è stato messo dentro un quartiere residenziale. I Riva, compagnia imprenditoriale, hanno rilevato l’attività, e l’impresa, nata come pubblica, da qui in poi prosegue come privata. Ci sono tantissime famiglie che vivono solo grazie all’attività in questa impresa, l’impresa ha consentito lo sviluppo economico e sociale di questa area che inizialmente era più depressa. Iniziano però a sorgere problemi negli anni ’80 e ’90 quando ci si rende conto che questa impresa, pur dando lavoro, usa vari agenti chimici e sostanze che possono anche togliere la vita alle persone. Ci si riferisce principalmente all’uso dell’amianto, sostanza usata nei procedimenti industriali. Lo stato nel 1992 introduce una legge che prevede benefici previdenziali ai lavoratori esposti all’amianto, chi aveva lavorato in uno dei reparti di amianto per oltre 10 anni poteva beneficiarne. I contributi duravano 15 anni. La pericolosità dell’amianto è riconosciuta per la prima volta da una legge nel 1909 per evitare che donne e minori vi lavorassero a contatto. BINOMIO PUBBLICO-PRIVATO: Fino al 1993 lo stato pagava eventuali conseguenze delle diseconomie esterne dell’impresa (CERCA SIGNIFICATO). La massimizzazione dei profitti e la verifica se una norma giuridica è efficiente viene fatta solo sul dato del mercato. governo lo ha fatto con un decreto-legge che è stato salvato. La corte ha preso riferimenti di altri articoli costituzionali per estrarre il nucleo vivo e minimo di questi diritti e verificare se venivano rispettati dalla misura emanata dal governo. Nel 2013 il test è stato superato e nel 2018 no perché l’impresa doveva continuare la sua attività, ma senza necessità di rispettare il piano dettato da varie autorizzazioni. Il diritto tiranno si impone sugli altri. L’art. 41 è stato modificato sulla base di questa sentenza. C’è stata una vicenda economica e sociale che ha portato a più sentenze della corte costituzionale in cui la corte, per valutare se una legge è o no compatibile con la cost. ha dovuto prendere dei diritti collocati in altre parti della costituzione. In Parlamento si discute sulla necessità di intervenire sull’art. 41 per introdurre ulteriori limiti all’iniziativa economica privata. L’iniziativa economica non può proseguire in contrasto con la salute e l’ambiente. L’art 41 nuovo dice: L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. L’ILVA reca danno alla salute e all’ambiente. Mesotelioma pleurico è la malattia professionale più frequente. I costi di queste diseconomie esterne sono pagati dallo stato in termini di servizio sanitario nazionale e con tante altre prestazioni. Il danno non viene meno se la persona in vita percepisce una rendita. Chi ha mesotelioma può chiedere all’inail il riconoscimento della malattia professionale. La vedova può chiedere all’inail una rendita vitalizia perché il marito è morto per mesotelioma. La rendita vitalizia si somma alla pensione. Ciò che paga l’INAIL è solo un’indennità. Il diritto al risarcimento si aziona verso chi ha fatto il danno. fino al 1993 la gestione dello stabilimento è stata pubblica, le diagnosi sono iniziate dopo quel periodo e di questo periodo oggi risponde sempre un soggetto pubblico, la fintec spa che ha il compito di gestire le conseguenze pluriennali delle partecipazioni pubbliche dello stato. Oggi la vedova può agire a titolo successorio e chiedere il risarcimento. Le azioni per il risarcimento sono in 2 forme, o risarcimento del danno biologico, che può essere avanzata solo dal lavoratore leso e poi c’è il danno da lesione del rapporto parentale che prevede il decesso del malato, è il danno legato alla perdita del parente ed è oggetto di risarcimento. Il danno da risarcire per chi ha contratto il mesotelioma è determinato dalle tabelle della giurisprudenza che si legano al danno, all’età del danneggiato e alla speranza di vita del danneggiato. Se ho 70 anni e una speranza di vita di 5 anni la percentuale è nell’80%, 600.000 euro di danno che fintec deve pagare al danneggiato. In queste tabelle in uso in vari tribunali, sulla base della speranza di vita si arriva a un numero che è la somma che si deve come risarcimento. In questi anni la persona riceve un’indennità dall’INAIL. I giudici in questo caso affermano che il danno che il danneggiante (stato) deve risarcire è il danno differenziale che rispetto a quella somma di 600.000 euro, la somma precisa da pagare si ottiene sottraendo la rendita vitalizia che nel frattempo il soggetto sta percependo. Se il soggetto è già morto o muore in corso di causa la giurisprudenza usa un altro criterio di risarcimento del danno. Il risarcimento del danno viene quantificato in una maniera differente, non si può più legare le quote alla speranza di vita e allora si legano le quote alla sopravvivenza della persona. Se sopravvivo un mese dalla diagnosi si applica un altro criterio, si individua il periodo dell’agonia dell’interessato, ad ogni giorno di agonia dalla diagnosi si dà un importo giornaliero che può superare i 147 euro. A questo danno biologico terminale si può inserire un ulteriore categoria autonoma di danno, il danno esistenziale legato ai giorni in cui il danneggiato ha avuto una lucida consapevolezza dell’imminenza della morte. è un danno catastrofale che viene liquidato con una somma che si aggiunge ai 147 euro giornalieri. Se non c’è una malattia professionale, ma ci sono infortuni sul lavoro, allora la giurisprudenza dice che se si è verificato un evento lesivo in maniera contestuale al fatto lesivo non c’è nessun danno che ha trasmesso, perché la persona non ha potuto apprezzare il dolore. In questa ipotesi non c’è uno iato tra diagnosi, danno ed evento e quindi non c’è nulla da risarcire. Il danno da perdita del rapporto parentale è risarcibile e mentre per alcuni soggetti questo danno si arriva a presumere, come nel caso della moglie che perde il marito o il figlio che perde il padre, in altri casi bisogna necessariamente provarlo per attestare il legame in vita della persona. Se io risulto solo formalmente come figlio, ma è 40 anni che non lo vedo è difficile che la mia esistenza venga stravolta dalla sua perdita. Il danno iure proprio è subito dal congiunto stesso e viene liquidato sulla base di certe tabelle dei tribunali. Ci sono tabelle in uso nei tribunali che prevedono un margine. Ci può essere la possibilità di una persona che ha lavorato nello stabilimento e aveva vari figli, allora lo stato per la morte paga una somma che supera il milione di euro, oltre 120.000 euro per ognuno dei figli. Sulla base di queste considerazioni di carattere giuridico e sociale capiamo quale è oggi la rilevanza della riforma costituzionale. La riforma ci consente di parlare di impresa sostenibile. Dei fatti incidono su delle modifiche normative capaci di intervenire a modificare rapporti giuridici. Pensiamo all’art. 2050 del c.c. che parla di responsabilità per esercizi di attività pericolose, dice che chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati, è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee a evitare il danno. è una norma che individua la responsabilità della causazione del danno in capo al danneggiante che sulla base dell’attività pericolosa svolta deve aver adottato tutte le misure preventive e precauzionali possibili. Una sentenza del 2022 qualifica l’attività siderurgica che espone a inquinamento come attività pericolosa. 27 aprile 2022 parte non aggiornata sul manuale CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI: Garofalo Il d.lgs. 148 del 2015 è in attuazione legge 183 del 2014, cioè il jobs act. Questo è un testo unico in tema di cassa integrazione guadagni, ha ricondotto in unità una disciplina che prima era frammentaria. Operazione di modifica e aggiornamento di un provvedimento con l’obiettivo di semplificare la disciplina della cassa integrazione guadagni. Con la legge 234 del 2021 (cioè legge di accompagnamento della finanziaria del 2022) è stata fatta una riforma della riforma. I commi della 234 che ci interessano vanno dal 191 al 220. Commi della legge dal 191 al numero 220, sono i 30 commi che hanno modificato la disciplina del decreto 148. Quindi per l’approfondimento va consultato il testo del decreto 148 aggiornato. Il 148 è suddivisibile in 5 parti, la prima parte, da 1 a 8, detta le regole generali della cassa integrazione guadagni, da 9 a 18, la seconda parte detta le regole specifiche per la cassa integrazione guadagni, gli articoli da 19 a 25 ter dettano le norme specifiche per la cassa integrazione guadagni straordinaria, poi da 27 a 40 bis la disciplina dei fondi bilaterali di sostegno al reddito e le norme finali dal 41 al 47. CHE COS’E’ LA CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI? La cassa integrazione guadagni è un trattamento previdenziale erogato dall’INPS nei casi di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa che comporta la perdita della retribuzione per il lavoratore, la cassa integrazione guadagni interviene a sostenerlo. è un istituto introdotto alla fine della Seconda Guerra Mondiale, è caratterizzato da una disciplina complessa, è una materia che risente di vari fattori economici, finanziari e produttivi che richiedono un continuo aggiustamento di questa disciplina. Abbiamo poi i fondi bilaterali di sostegno al reddito. Sono interventi di matrice privata, degli strumenti di matrice privata che intervengono per colmare i vuoti lasciati dal sistema pubblico. Dove non arriva il sistema pubblico interviene il soggetto privato, cioè gli enti bilaterali. Gli enti bilaterali sono degli organismi creati dalle parti sociali, cioè le associazioni sindacali, all’interno del contratto collettivo. Il contratto collettivo induce a creare un fondo bilaterale che provvede a erogare la pensione ai lavoratori quando vanno in pensione. Interviene perché la pensione pubblica non è idonea a garantire l’esistenza del pensionato e della sua famiglia. Il fondo assicura quindi una vecchiaia sicura. Se non c’è cassa integrazione guadagni c’è il sostentamento garantito dalla cassa integrazione guadagni che interviene. RAPPORTO TRA WELFARE PUBBLICO E PRIVATO: Man mano che arretra il sistema di tutela pubblico avanza il sistema di tutela privato. Il problema è che in questo avanzamento del sistema di tutela pubblico non sempre è un avanzamento volontario, ma è coatto, obbligato dallo stato. Un sistema basato sulla volontarietà si è trasformato in un sistema coatto, obbligatorio per volontà dello stato, finendo per snaturare le sue caratteristiche. Quale è la differenza fra cigo e cx? Non c’è solo una tipologia di intervento della cassa, ma due. Dipende dall’evento che si vuole fronteggiare, dipende dalla causale dell’intervento, cioè l’evento che causa l’intervento. Se si tratta di un evento temporale c’è cigo, se si tratta di un evento duraturo. Non prevedibile e non temporaneo c’è la cx. Dobbiamo tenere conto della temporaneità o meno dell’evento. Quando c’è la cx spesso lavoratori con posti di lavoro assenti, già spariti mantengono in vita il rapporto di lavoro. La cx è l’anticamera del licenziamento. I lavoratori in cx nella maggioranza dei casi vengono licenziati. Lo stato mantiene in vita questi cadaveri per vari motivi, intanto perché il licenziamento crea tensioni sociali e poi perché c’è un motivo politico-elettorale (le persone con rapporto sospeso in cx non sono calcolate nella percentuale del tasso di disoccupazione che viene spesso resa nota in tv. È interesse del governo che il tasso rimanga basso per non alimentare il malcontento). La cassa integrazione guadagni in deroga (cigd) non è prevista dalla legge in maniera strutturale, ma viene concessa quando non si sa come fare per arginare l’eventuale marea di licenziamenti. Questa non è disciplinata nel 148, ha un corpo normativo a sé stante perché è in deroga a questa disciplina strutturale di cui ora parliamo. è quella a cui si è appellato lo stato italiano durante la pandemia. è lo strumento che ha consentito il blocco dei licenziamenti. REGOLE DI CARATTERE GENERALE DELLA CASSA INTEGRAZIONE STRUTTURALE: • A chi spetta? spetta a tutti i laboratori subordinati, esclusi soltanto i dirigenti. Spetta anche ad apprendisti e lavoratori a domicilio. • Poiché la cassa integrazione è concessa all’impresa per ogni unità produttiva, allora il lavoratore collocato in cassa deve avere una presenza di almeno 30 giorni di effettivo lavoro in quella unità produttiva. L’unità produttiva si definisce nel decreto legislativo 81 del 2008. L’unità produttiva è tale quando ha una sua autonomia sia funzionale, sia finanziaria e ha un organico stabile di dipendenti. La cassa interviene per singola unità produttiva. Il criterio delle 30 giornate viene adottato per evitare le frodi, c’è quindi un’anzianità minima di lavoro presso l’unità produttiva. • la durata massima della cassa è di 24 mesi a prescindere dalla causale nel quinquennio mobile, cioè il quinquennio a ritroso dal giorno in cui si effettua il calcolo. La durata massima si eleva a 36 mesi per una ipotesi specifica di cassa integrazione guadagni che è quella per effetto del contratto di solidarietà. Limite che non vale per una ipotesi particolare di intervento della cassa, l’evento particolare è quello degli eone, gli eventi oggettivamente non evitabili. Sono eventi stagionali, per esempio nel settore edile non si lavora quando piove o se fa molto caldo. • misura della cassa integrazione: 80% della retribuzione persa dal lavoratore. C’è un tetto massimo, nulla viene corrisposto al datore di lavoro oltre a questo. Il massimale varia ogni anno a seconda della variazione del potere di acquisto. Nel 2022 il massimale è a 1222, 50 euro, al lordo del prelievo contributivo effettuato che è pari al 5,84%, con un netto di 1151 non rientranti nel campo di applicazione della cig. (Non è obbligatorio creare i fondi bilaterali. Quello della Fornero era un meccanismo articolato). Sappiamo oggi chi sono i datori di lavoro che sono coperti dalla cx: sono il settore industria a prescindere dal numero di dipendenti per la cigo e alcuni settori con più di 15 dipendenti prima della riforma del 2021. Tutti gli altri sono fuori e sono coperti con i fondi bilaterali e se le parti sociali non hanno creato i fondi bilaterali c’è il fondo residuale dell’INPS. Questo meccanismo riguardava però i datori di lavoro con più di 15 dipendenti. Questa è la tappa n. 1, cioè la legge 92 del 2012, cioè la riforma Fornero. CONTROLLARE CHE SIGLE SIANO CORRETTE (IN QUESTA ULTIMA PARTE POTREBBERO ESSERE SBAGLIATI) Tappa n. 2: decreto 148 del 2015, che è il decreto Renzi. La differenza dalla Fornero è che ha abbassato il numero di dipendenti a più di 5 e ha modificato la denominazione di fondo residuale in fondo di derivazione salariale (o fis). Tappa n.3: Legge 234 del 2021: la modifica è quasi epocale, il numero si abbassa a anche un solo dipendente. Tutti i datori di lavoro hanno l’obbligo di iscriversi al fondo bilaterale o iscriversi al fis. Sulla contribuzione ai fondi bilaterali si è fatto un certo ragionamento. Durc documento unico di regolarità contributiva. è un’attestazione rilasciata dall’inps ai datori di lavoro. è condizione essenziale per partecipare ai servizi pubblici, gare pubbliche e appalti pubblici perché indica che si è in regola con il versamento dei contributi. La riforma con la lex 234 ha introdotto una norma che dice che ai fini del rilascio del durc occorre essere in regola anche con i contributi e fondi bilaterali. il campo di intervento dei fondi bilaterali e del fis è di ogni datore di lavoro a qualsiasi settore appartengano a condizione che abbiano almeno 1 dipendente. Campo di intervento della cx; la norma dà come condizione più di 15 dipendenti, ma non coperti per i fondi bilaterali. Quindi le strutture portanti della cassa sono la cigo da un lato e i fondi bilaterali dall’altro. La cx interviene di supporto quando il datore di lavoro non è coperto da cigo e da fondi bilaterali. La prestazione che eroga il fondo bilaterale è l’assegno di integrazione salariale (ais) che è disciplinato dalle regole che valgono per la cassa integrazione. Anche per l’ais tutte le regole della cig vengono applicate. La contribuzione alla fis è dello 0,80% per i datori con più di 5 dipendenti, 0,50% con i datori fino a 5 dipendenti e 4% la contribuzione addizionale. questa contribuzione è quella che finanzia il sistema bilaterale, non c’è una risorsa pubblica come per la cassa integrazione, le risorse provengono dalla contribuzione versata dai datori di lavoro. Quali sono gli altri strumenti per fronteggiare le eccedenze di versamento? Articolo 22 ter, l’accordo di transizione occupazionale. Questa parola transizione è da ricordare perché regge tutto il pnr. è la transizione ambientale, digitale e occupazionale. Questo significa che se ho un esubero posso avere 12 mesi di cassa integrazione guadagni in più, in deroga se stipulo un accordo di transizione occupazione con le organizzazioni sindacali, questo si traduce nel prevedere attività di formazione e riqualificazione dei lavoratori in esubero o perché opportunamente riqualificati vadano in altre aziende presso un altro datore di lavoro o opportunamente riqualificati rimangano in azienda. Questo percorso è stato supportato da ulteriori 12 mesi di cassa integrazione. I lavoratori in transizione sono attratti nel programma gol, di garanzia occupabilità lavoratori. Il primo strumento è questo. Il secondo strumento è l’art. 24 bis, cioè l’accordo di ricollocazione. Questo accordo si traduce nel concedere ai lavoratori in cassa integrazione l’assegno di ricollocazione (adr). Questo assegno prima della riforma era riservato solo a percettori di trattamento di disoccupazione oppure ai percettori del reddito di cittadinanza. Con la riforma e l’24 bis viene accordato anche ai lavoratori in cassa integrazione. è una pausa per ricollocarsi presso un’altra azienda. Il terzo strumento è l’art. 41, il contratto di espansione. La sua essenza è che risponde a un concetto che è la staffetta intergenerazionale (lavoratori anziani vanno a casa per fare posto a lavoratori giovani). L’azienda che voglia procedere a una riorganizzazione e che ha bisogno di nuove professionalità può procedere a nuove assunzioni stipulando il contratto di espansione e ha la possibilità di mandare anticipatamente a casa i lavoratori ai quali mancano non più di 60 mesi per maturare il diritto alla pensione di vecchiaia, cioè i 62enni. Il limite di età è 67 anni, 60 mesi prima significa 5 anni prima. Assumo lavoratori con nuove professionalità e possono mandare a casa lavoratori a cui mancano 60 mesi con un’indennità pari al trattamento di pensione maturato meno l’eventuale trattamento naspi. Questa è la disciplina novellata della cassa integrazione. Abbiamo anche la cassa covid, cioè la cassa integrazione usata nel biennio di pandemia che è riconducibile a un apparato autonomo di vari decreti-legge che la regolamentano. è una disciplina a parte rispetto a quella standard che abbiamo spiegato oggi. 3 maggio ’22 TUTELA DEI DIRITTI PREVIDENZIALI: I CARATTERI DEI DIRITTI PREVIDENZIALI: Hanno rilevanza pubblicistica e sociale e sono quindi dei diritti fondamentali per la tutela che offrono a valori essenziali della persona umana e hanno determinati caratteri, sono: -personali. -inalienabili -inviolabili -irrinunciabili. -intrasmissibili. -indisponibili Quanto alla loro indisponibilità ci sono due profili che meritano attenzione: • nullità delle rinunce e transizioni aventi ad oggetti i diritti previdenziali Nullità che tutela i diritti previdenziali anche contro la volontà del soggetto che ne dispone, ed è una tutela ancora più ampia di quella offerta dall’art. 2113 del c.c. dove c’era un termine di 6 mesi per far valere l’invalidità della rinuncia di transazione, termine che qui non c’è. E la nullità di transazioni che hanno ad oggetto i diritti previdenziali emerge dal combinato disposto di 2 norme: -art. 2115 c.3 c.c.: è nullo qualsiasi patto diretto ad eludere gli obblighi relativi alla previdenza o all’assistenza. -art. 1966 c.2 c.c.: la transazione è nulla se tali diritti, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti. Il combinato disposto di queste due norme dice che non si possono fare rinunce e transazioni che abbiano ad oggetto i diritti previdenziali, perché questi atti sono nulli. Il lavoratore non può rinunciare al versamento dei suoi contributi previdenziali, perché il titolare di questi diritti è l’ente previdenziale e il lavoratore si trova solo in una posizione attiva indiretta, inoltre perché se il lavoratore rinunciasse al versamento dei propri contributi previdenziali, comunque sarebbe una rinuncia nulla ex. Art. 1418 del c.c. per inesistenza dell’oggetto, perché non si può rinunciare a un diritto futuro che non è entrato nel proprio patrimonio. Il lavoratore potrà fare una rinuncia o una transazione solo sul risarcimento del danno in caso di omesso versamento dei contributi. • Limiti alla pignorabilità dei crediti previdenziali e dei crediti assistenziali da parte di terzi creditori: questo è una deroga alla garanzia patrimoniale generica del debitore che si trova all’art. 2740 del c.c. che dice che il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri e le limitazioni alla sua responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge. Qui abbiamo l’art. 545 comma 3 e 4 del c.p.c. delle deroghe a questa regola generale per cui delle proprie obbligazioni il creditore risponde con tutti i suoi beni presenti e futuri. L’art. 545 del c.p.c. prevede limiti al pignoramento dei crediti previdenziali e assistenziali, il pignoramento è il primo atto di esecuzione forzata dell’adempimento dei crediti certi, liquidi ed esigibili che hanno ad oggetto somme di denaro. Il comma 4 dell’art. 545 c.p.c. ci dice che il trattamento pensionistico è pignorabile nei limiti di 1/5 a favore degli enti previdenziali per prestazioni indebite, per il pagamento di tributi dovuti allo stato e per ogni altro credito. Al comma 3 ci dice che le prestazioni INPS e INAIL, sono pignorabili solo per crediti alimentari e nella misura autorizzata dal presidente del tribunale o dal giudice delegato da esso. I crediti alimentari sono quelli di cui hanno diritto coloro che si trovano in uno stato di bisogno accompagnato dall’impossibilità di prevedere autonomamente al proprio sostentamento. Ha diritto ai crediti alimentari chi è in stato di bisogno e di impossibilità di provvedere da solo al proprio sostentamento. Abbiamo limiti alla possibilità di pignorare dei crediti assistenziali e previdenziali di cui può vantare il lavoratore. NOVITA’ D.L. N. 83/2015 CONVERTITO IN L. 132 DEL 2015: Ma il legislatore del 2015 ha detto che la somma pignorabile ex art. 545, commi 3 e 4 c.p.c. si calcola sull’importo eccedente il trattamento minimo vitale in favore del beneficiario, pari all’importo dell’assegno sociale aumentato della metà. Solo la parte di credito eccedente il trattamento minimo vitale è pignorabile nei limiti di 1/5 o nei limiti decisi e autorizzati dal presidente del tribunale dal giudice delegato. I limiti presenti nei commi 3 e 4 dell’art. 545 del c.p.c. valgono solo nella parte che eccede il trattamento minimo vitale che è pari all’importo dell’assegno sociale aumentato della metà. TEMPERAMENTI AL CARATTERE ASSOLUTO DEI DIRITTI PREVIDENZIALI: Questi diritti hanno un regime peculiare rispetto a quello ordinario. La PRESCRIZIONE è il regime giuridico che determina l’estinzione del diritto soggettivo a fronte del suo mancato esercizio per un determinato periodo previsto dalla legge. Per la prescrizione le norme ordinarie sono nel c.c. nell’art. 2934 fino all’art. 2963. Il termine ordinario di prescrizione è di 10 anni, per i diritti ad ottenere periodicamente somme di denaro o rendite, il termine di prescrizione è di 5 anni. La prescrizione si può interrompere con un atto stragiudiziale o pregiudiziale. L’atto stragiudiziale può essere la lettera di messa in mora o il deposito del ricorso o dell’atto di citazione, ossia il deposito dell’atto introduttivo della causa in tribunale. Se la prescrizione si interrompe, il termine prescrizionale viene fatto ricorrere ex novo, riparte da 0. Nell’ambito previdenziale è soggetto a prescrizione il diritto dei lavoratori alle prestazioni previdenziali e assistenziali e il diritto dell’ente previdenziale a ricevere la contribuzione. Il fatto che in materia previdenziale ci sia una disciplina speciale si giustifica nel fatto che le prestazioni previdenziali se non sono godute tempestivamente perdono la loro giustificazione sostanziale. La prescrizione del diritto alle prestazioni previdenziali (RAPPORTO EROGATIVO): Il diritto alla pensione è un diritto imprescrittibile, le norme di riferimento nel settore pubblico sono l’art. 5 del dpr n. 1092 del 1973. Mentre l’imprescrittibilità del diritto a pensione nel settore privato si desume dall’art. 38 della Cost, art. 69 della lex 153 del 1969 art. 2115 e 2934 del c.c. Mentre per il diritto ai singoli ratei di pensione e delle rendite, per i ratei di pensione maturati e non liquidati abbiamo 10 anni di prescrizione e per i ratei di pensione maturati, liquidati, ma non riscossi, la prescrizione è di 5 anni dalla scadenza. Per le prestazioni INAIL la prescrizione è di 3 anni dal giorno dell’infortunio o dalla manifestazione della malattia professionale. Mentre nelle altre prestazioni si fa riferimento ai termini specifici previsti nelle leggi speciali, come per l’assegno per il nucleo familiare abbiamo il termine prescrizionale di 5 anni. La prescrizione dei crediti contributivi degli enti previdenziali (rapporto contributivo): Qui la riforma Dini, legge 335 del 1995 all’art. 3 c.9-10 dice che tutte le contribuzioni di previdenza e assistenza obbligatorie, compresi i contributi di pertinenza dell’INAIL per la tutela contro infortuni e malattie professionali si prescrivono nel termine di 5 anni. Si pone quindi il PRINCIPIO DI IRRICEVIBILITA’ DEI CONTRIBUTI PREVIDENZIALI, ossia decorso il termine di 5 anni, si produce l’estinzione dell’obbligo contributivo in materia di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la morte e la vecchiaia, in quanto i contributi prescritti non possono essere più versati, in deroga al principio di rinunciabilità della prescrizione ex. Art. 2937 c.c. che è una regola generale. Nell’ambito previdenziale invece non si può rinunciare. Dopo 5 anni non si può più versare i contributi all’ente