Scarica Appunti di DIRITTO CANONICO (A. BETTETINI) e più Appunti in PDF di Diritto Canonico solo su Docsity! APPUNTI di DIRITTO CANONICO (A. Bettetini) 5/10 Il diritto canonico è un diritto “globale”, ossia riguarda tutti i profili del diritto (amministrativo, privato, costituzionale, ...). Diritto canonico -> diritto confessionale -> diritto interno della Chiesa cattolica -> la Chiesa ha un suo ordinamento giuridico (che sussiste da più di 2000 anni) -> ma si evolve costantemente. È un ordinamento giuridico che ha una sua continuità nel tempo (molti istituti si sono evoluti nel tempo)! Matrimonium facit consensus partium -> non era scontato (si è evoluto nel tempo questo aspetto) -> il diritto canonico si evolve nel tempo. La Chiesa ha sempre avuto una struttura giuridica che poi si è modificata nel tempo. La chiesa ha un suo diritto -> perché la chiesa è una società (di origine soprannaturale) -> è una società/istituzione dotata di struttura giuridica fondata da Cristo. L’uomo nella sua socialità crea il diritto della Chiesa (ubi societas, ibi ius) -> si regolano relazioni tra pari e relazioni tra superiore-sottoposto. È un diritto un po’ particolare -> c’è un codice di diritto canonico. Diritto positivo: diritto positum, formalizzato nelle norme. Anche la Chiesa ce l’ha. Ma la chiesa si caratterizza per un punto specifico diverso rispetto agli altri ordinamenti -> essa ha per punto focale il diritto divino. Partiamo da una norma di diritto canonico -> ultimo canone del codice di diritto canonico (1752 - > sul trasferimento dei parroci). La Chiesa ha una legge suprema, ossia la salvezza delle anime (perché è un ordinamento giuridico di fondazione sovrannaturale) -> finalità ultraterrena. Strumento per aiutare le singole persone a vivere pienamente la loro vocazione cristiana (essendo coerenti con la loro vocazione evangelica, al fine di arrivare alla salvezza delle anime). Il diritto canonico ha una sua elasticità: le norme vanno osservate nella prospettiva della salvezza delle anime! Le disposizioni canoniche si interpretano alla luce del bene supremo che è la salvezza delle anime. Il diritto della Chiesa prevede alcune norme super-costituzionali (principi supremi dell’ordinamento) -> la Chiesa non ha una sua Cost. materiale (non ha una sua lex ecclesiae fundamentalis). Perché si ritiene che la Chiesa ha una sua Cost. non scritta, ossia il diritto divino (ius divino quod in lege (Ant. Test.) et evangelio (Nuovo Test.) continetur per Graziano). Diritto divino: insieme di elementi giuridici che hanno Dio per autore. Dio è legislatore quindi! Alla luce del diritto divino va letta ogni disposizione nella sua applicazione (una sorta di interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni canoniche). “La Chiesa deve essere sempre il principio supremo della interpretazione delle norme”. Tradizionalmente si divide tra: - diritto divino naturale: insito nella natura di ogni uomo (Dio ha infuso negli uomini, nel loro cuore o ratio, alcune leggi fondamentali per regolare il rapporto uomo-uomo e uomo-Dio). È conoscibile con la ragione stessa anche da un non-cristiano. Con la ragione si possono conoscere alcune disposizioni di diritto canonico naturale (es. non rubare o non uccidere) -> lo capiscono tutti gli uomini. - diritto divino positivo: ius divinum positum, ossia promulgato in lege et evangelium (ossia Contenute nell’Antico e Nuovo Testamento) -> ma queste non si contrappongono al diritto naturale divino. L’autore delle norme è lo stesso, ma è diversa la modalità di promulgazione. Come si conosce il diritto divino positivo (quello naturale lo conosciamo attraverso la ragione): l’uomo può errare a conoscere il diritto divino naturale e per questo c’è un diritto divino positivo! Diritto divino positivo lo conosciamo con la Rivelazione (ossia Dio si è rivelato all’uomo tramite le Sacre Scritture). Concilio Vaticano II (1962-1965) -> ultimo dei concili ecumenici. Emette tra le altre, la costituzione Dei Verbum che ci dice che Dio si rivela attraverso l’Antico e il Nuovo Testamento (strumenti umani usati da Dio per rivelarsi). Dio si serve degli strumenti umani per rivelarsi e mostrare il suo messaggio vincolante (non si sostituisce ad esso). Quali libri vanno però considerati autentici? Ossia contenenti il vero diritto della chiesa e la vera parola di Dio. Si è formato così un canone delle scritture! Il canone delle scritture è formato da 46 libri dell’Ant. Test e 27 libri del Nuovo Test. (non solo il Vangelo) -> sono considerati veritieri dalla Chiesa. Diritto divino positivo (quod in lege et evangelio continetur per Graziano). Vi è una rivelazione di Dio, anche normativa, in queste scritture -> indica le norme di diritto divino che sono vincolanti tra uomo-uomo e uomo-Dio. Vi sono norme di struttura, di relazionalità, tra uomo-uomo. Il diritto divino deve anche essere compreso, ossia in qualche modo formalizzato. 2 posizioni: - all’Unicatt, il Prof. Del Giudice riteneva che il diritto divino poteva essere considerato vigente- vincolante solo se veniva canonizzato, ossia tradotto in una norma positiva dal legislatore (diritto divino vincolante non immediatamente, ma solo nella misura in cui veniva canonizzato, ossia inserito in una norma formale di diritto canonico). Es. il primato petrino (Matteo, cap. 16): nel Vangelo c’è scritto che Cristo ha conferito il primato (autorità suprema) a Pietro e ai suoi successori -> la norma è chiara (norma di diritto divino contenuta nel Vangelo). Per Del Giudice questa norma (esistente sì, ma non vincolante) necessitava di una norma del legislatore che la rendesse vincolante (necessitava di una canonizzazione) -> teoria della canonizzazione. - teoria della positivazione: la norma di diritto divino non necessita che sia ricompresa in una norma di diritto positivo (ma è già vincolante) -> la Chiesa deve prendere però coscienza di questa norma (ad es. attraverso l’interpretazione della sacra scrittura -> senza che vi sia una traduzione nel diritto positivo). La Chiesa prende coscienza dei contenuti del diritto divino e questi sono immediatamente vincolanti -> forse questa è la posizione più coerente! Abbiamo un diritto divino che costituisce i principi supremi dell’ordinamento ecclesiale! Nel canonico vi sono norme di diritto divino e norme di diritto umano! Le norme di diritto umano non possono contraddire quelle di diritto divino. Anche la Chiesa ha una gerarchia specifica di norme (all’apice ci sono quelle di diritto divino). Es. le norme del pontefice saranno superiori a quelle emesse dal vescovo -> la norma inferiore non prevale su quella superiore. La Chiesa giuridicamente parlando ha una struttura peculiare -> norme di diritto umano e di diritto divino. La Chiesa è sia società che istituzione strutturata. Il fine del diritto canonico è duplice: - contribuire a determinare la struttura della Chiesa in modo corrispondente alla sua natura -> contribuire a far sì che la Chiesa abbia una struttura in linea con la volontà divina. Far sì che la struttura della chiesa sia coerente con la sua origine/natura divina. - regolare la situazione della persona nella sua vita cattolica -> perché la persona viva la sua vocazione Cristiana secondo una dimensione di giustizia -> e sia membro del corpo di Cristo nel modo e nel tempo e nel luogo indicati da Dio stesso / regolare diritti e doveri della persona nella Chiesa (anche le sue responsabilità). C’è sempre un fine di giustizia nel diritto canonico. Regolare anche le specifiche responsabilità della persona nella sua vita religiosa! Diritto canonico diverso dalla ecclesiologia (materia che studia le strutture della Chiesa) -> anche il diritto canonico studia le strutture fondamentali della Chiesa ma nel dare a ciascuno il suo (ossia ha il fine della giustizia il diritto). Il diritto regola sia la persona all’interno della struttura ecclesiastica (parte più di diritto privato), sia la struttura stessa (parte più costituzionale). 9/10 come colui che cercò d'armonizzare i 2 fori (parlando del foro civile e di quello canonico, oppure del foro della coscienza e quello giuridico). Fu un eminenza e un Santo Graziano.
Graziano usò il metodo di armonizzazione (infatti la sua opera si chiama "Concordia Discordantium Canonum") -> principio di autorità usa (la norma superiore prevale su quella inferiore), poi principio di specialità (la norma speciale prevale su quella generale). Riesce ad armonizzare le opere precedenti. Essa però non ebbe mai carattere ufficiale (ma venne molto ben riconosciuta nella Chiesa). Insieme di canoni e decretali scelti con tecniche ermeneutiche con cui Graziano mise insieme un millennio di canoni discordanti della Chiesa -> la Concordia Discordantium Canonum è composta da varie parti -> una prima parte è divisa suddivisa nel Tractatus de Legibus e nel Tractatus de Ordinandorum. Il Trattato sulle leggi tratta delle fonti del diritto (diritto divino fino a diritto umano) e il Tractatus de Ordinandorum. La seconda parte non è divisa in trattati, ma in cause -> le più imp. sono quelle De Penitentia e De Consacratione, con cui Graziano risolse antinomie, dubbie e incoerenze di oltre mille anni di incoerenze della cristianità. Il Decreto Gratiani fu oggetto di una prima redazione e fu poi oggetto di varie modifiche anche dopo la morte dell'autore. Questa prima raccolta fu il punto di partenza di varie altre compilazioni successive. Lui usa una impostazione scientifico-giuridica e fa spesso uso del diritto romano -> il diritto canonico è a tutti gli effetti diritto. Usa un metodo dialettico/scolastico (proprio della Scolastica, ossia mette a confronto le varie soluzioni e adotta quella che meglio si attaglia a quel caso particolare) e giuridico. Quindi vi è confronto tra le varie norme e la scelta della norma che correttamente regola quella situazione -> quella soluzione sarà vincolante per il diritto. Si usa diritto romano. Es. consuetudine canonica -> viene risolta da Graziano introducendo una costituzione costantiniana, dell'imperatore Costantino (diritto romano), la CumTantum -> ossia v'è la canonizzazione del diritto romano. Il diritto canonico non disdegna di andare a prendere altre fonti del diritto, che gli permettano di scegliere la soluzione più equa/giusta ad un caso specifico di diritto (come il diritto secolare romano). Il diritto non v'è se non interpretato -> il diritto non è quello scritto nei codici ma quello interpretato. L'opera di Graziano fu oggetto fin da subito di interpretazioni da parte di vari autori: abbiamo le Palee o Pale -> sono le pagliuzze, ossia interpretazioni all'interno del decreto stesso, non opera di Graziano ma di altri autori (interpretazioni che possiamo dire autentiche di quella norma stessa). Abbiamo poi l'opera dei Decretisti, coloro che interpretavano attraverso il sistema della glossa (interpretatio letterale del testo) il decreto di Graziano). L'opera dei Decretisti entrava addirittura a far parte della norma stessa -> l'interpretazione dottrinale veniva così ad assumere valore normativo! Graziano commenta sì il testo per risolvere i problemi (i commenti suoi sono detti Dicta, Dictum). Questi stessi Dicta sono commentati dai Decretalisti. L'interpretazione dottrinale entra così a far parte del testo normativo. La norma positiva, la dottrina e la giurisp. contribuiscono tutte a formare l'ordinamento giuridico nel sistema grazianeo. Graziano sistematizza norme per risolvere alcune antinomie -> per risolvere queste antinomie Graziano introduce un commento (Dictum). Questi commenti (in questi spesso sono inseriti dei ricorsi ad auctoritatem -> ad argomenti di autorità) -> sono così a loro volta oggetto di commento dei Decretalisti. Abbiamo così norma positiva, dictum di Graziano (con richiamo ad autorità), commento dei Decretalisti (dottrina). Mettere d'accordo canoni tra loro discordanti -> sistema che rimane comunque privato (non ha mai rilievo pubblico all'interno della Chiesa). Ma in realtà ha un rilievo officiosamente pubblico (ufficialmente privato) -> è del 1140. Fu integrato dalla successiva produzione normativa -> Concili, Papi, Vescovi continuavano a produrre diritto. Il decreto fu però trattato come collezione ufficiali -> furono redatte, su volontà pontificia, le Collezioni/raccolte chiamate Decretales extravagantes, poste cioè al di fuori del Decreto Gratiani, che costituiva comunque il decreto di riferimento. Tra queste si ricordino le 5 compilazioni antiche -> raccolte di norme volute dal Papa, alcune delle quali (specie la compilatio terza) assunsero il valore di norma ufficiale nella Chiesa. 5 compilazioni antiche: 1: la Prima (1191) -> mantiene lo schema di Graziano integrandolo con le norme che sono state emanate successivamente (in materia di processo, fonti, matrimonio, ...) -> aggiorna il Decreto Gratiani. 2: la Compilatio Seconda (1212) -> segue la stessa logica (di aggiornamento) 3: la Compilatio Terza -> voluta da Innocenzo III (che regnò fino al 1216) e fu inviata alle Università di Bologna perché fosse usata tam in iudicis quam in scolis (tanto nei processi, quanto nell'insegnamento universitario). Abbiamo per la prima volta una compilazione che raccoglie le decretali voluta da Innocenzo III e assunse per la prima volta il valore di Collezione Ufficiale (usata tanto nelle scuole quanto nel processo). Diventava testo obbligatorio di riferimento! Norma che per la prima volta assume carattere di ufficialità. Diventa norma di riferimento ufficiale 4: Compilatio Quarta -> contiene soprattutto atti del Concilio Lateranense IV (1215) -> fu un concilio ecumenico imp. (per la prescrizione ad es.). Assume anch'essa valore ufficiale. 5: Compilatio Quinta: redatta da Tancredi da Bologna (grande canonista) che si interessò di diritto processuale canonico -> conteneva Decretali di Papa Onorio III (morto nel 1227) Prescrizione: serve per capire cosa significa norma ufficiale nel 1200 (specie per il rapporto tra Papato-Impero all'epoca, ossia rapporti tra potere temporale e spirituale). Il Concilio Lateranense IV risolse problemi tecnici come riguardo alla prescrizione: ci fa capire l'armonia tra diritto romano/comune e diritto canonico (entrambi considerati diritti universali). Prescrizione: modalità di acquisto della proprietà a titolo originale. Buona fede iniziale, possesso del bene e animus possidendi per il diritto civile. Nel diritto canonico vigeva la regola malafides superveniens non nocet -> perché la prescrizione si compia è necessaria e sufficiente la buona fede iniziale del possesso. Se io trovo un bene in casa mio e lo inizio a detenere ritenendo che sia pacifico che sia mio. Il diritto romano ritiene che se io mi accordo che dopo un po' mi accorgo che non è mio, non è un problema: basta che ci sia stata la buona fede iniziale: ossia mala fides superveniens non nocet. Il Concilio Lateranense IV invece arriva a dire che mala fides superveniens nocet -> se sopravviene la malafede il tempo della prescrizione acquisitiva si interrompe, perché si creerebbe una situazione moralmente illecita (io possiedo un bene che so/ riconosco che non è mio) che è una violazione del Settimo Comandamento ("non rubare"). Questa non è la soluzione del diritto secolare -> se mi rendo conto che quel bene in realtà non è mio, per il diritto canonico si interrompe la prescrizione -> il Concilio Lateranense IV arriva a dichiarare l'illegittimità di tutte le Costituzioni, sia le norme canoniche ma anche imperiali, che contenevano il principio "malafides superveniens non nocet". E' interessante che vengano dichiarate illegittime anche le norme temporali! Nel 1215 l'imperatore era Federico II: non un tenero nei confronti della Chiesa (più volte scomunicato) -> all'epoca la scomunica aveva anche un valore politico perché con la scomunica i sudditi erano liberati dal voto d'obbedienza. L'imperatore scomunicato aveva sudditi liberi dal giuramento d'obbedienza. Ma Federico II dichiara valevoli anche per l'Impero le costituzioni del Concilio Lateranense IV (anche per la prescrizione acquisitiva -> anche per l'Impero vale "malafides superveniens nocet"). Negli attuali ordinamenti europei si rinviene questa impostazione del Concilio: ancora oggi in Austria e Germania (codici di area germanica) vale ancora il principio "malafides superveniens nocet" (prescrizione acquisitiva interrotta se alla buona fede iniziale subentra la malafede sopravvenuta). Il Codice Napoleone invece riprende il diritto romano e quindi basta la buona fede iniziale del possesso. Naturalmente rimase pacifico in tutti gli ordinamenti dell'Europa Occidentale che a questo si riferivano (come in Italia, è rimasta legata al diritto romano classico / ma anche Spagna). Malafides superveniens nocet: area germanica Malafides superveniens non nocet: area Napoleonica Il diritto canonico ha influito sulla produzione giuridica dei vari Stati. 5 compilazioni antiche -> aggiornamento di Decreto di Graziano. Alcune di queste hanno valore di norma ufficiale/vincolante nella Chiesa (specie la Compilatio Terza). Queste erano la base di una nuova compilazione -> ci si trovò nella necessità di armonizzare queste 5 compilazioni antiche -> opera voluta da Papa Gregorio IX -> successore di Onorio III. Gregorio IX affidò al catalano Raimondo di Penafort (frate domenicano canonista) di armonizzare le 5 compilazioni precedenti. Unì anche le decretali di Gregorio IX con le 5 Compilazioni Antiche - > l'opera prende il nome di Litteris Decretalis (Liber Extravagantium o Lettere Decretali) -> quest'opera ha valore di compilazione ufficiale (promulgato ufficialmente con Bolla Pontificia, Res Pacificus, 1234). Nel 1234 il pontefice quindi promulgò il Liber Extra. E' opera che segue schema diverso rispetto al Decreto di Graziano -> più armonico e in armonia con la tradizione civile/ romanistica. Si chiama Liber Extra perché riporta norme che si trovano al di fuori dell'opera di Graziano e perché riporta le decretali di Gregorio IX e di alcuni pontefici precedenti. Le decretali sono risposte autentiche del pontefice a un caso concreto di diritto. Era proposto un caso concreto, magari non risolto da un tribunale inferiore, e il pontefice lo risolveva -> l'opera riportava le decretali, ossia una lettera opera del papa contenenti indicazioni riguardo un caso concreto ma a cui andava riconosciuto un valore generale! Quella soluzione del caso concreto valeva per tutte le materie identiche o analoghe -> un diritto non astratto, ma concreto (diritto che muoveva dalla vita/fatto -> ex facto oritur ius) / diritto che riguardava singola persona/caso concreto e quella soluzione risolveva tutti i casi precedenti. Es. decretali -> caso di restitutio in integrum (revocazione delle sentenze). La sentenza passata in giudicato facit ius inter partes -> stabilisce insomma il diritto vigente in una certa situazione giuridica e non può essere modificata poi (facit de blancum nigrum si diceva / o rende rotondo ciò che è quadrato -> voleva dire che la realtà giuridica prevale su quella reale). Le certezze le dà la sentenza -> molte volte però bisogna accontentarsi delle verità processuali (che non sono magari quelle reali). Ma vi sono alcuni casi in cui una sent. pur passata in giudicato poteva essere cambiata (ad es. quando se ne manifesti la reale ingiustizia) -> quello che da noi è la revocazione della sent.. La conosceva sia il diritto romano che quello canonico: con una restitutio in integrum di una sent. precedente poi rivelatasi ingiusta. Nelle decretali di Gregorio IX c'è un caso che elabora un principio fondamentale della Chiesa -> litigio in una cittadina del sud del Lazio tra 2 privati -> uno aveva offeso l'altro (gli aveva detto che la coda di un cavallo/ronzino era più bella dei tuoi capelli). L'offeso fa causa e l'offensore viene condannato (10 solidi, pena mite): ma il problema sono le pene accessorie, perché l'azione di condanna era per il diritto romano una actio infame (un'azione infamante) -> e prevedeva questa la capitis deminutio (ossia una diminuzione della capacità giuridica della persona stessa!). Quindi una sanzione pecuniaria mite ma con una pena accessoria più pesante (capitis deminutio) -> allora l'offensore si rivolge al pontefice chiedendo una diminuzione della pena, ritenuta sproporzionata rispetto alla sanzione e al fatto lesivo. Il pontefice risponde che data l'offesa è sproporzionata la capitis deminutio -> e quindi viene revocata la precedente sent. e i suoi effetti accessori (rimane solo la pena pecuniaria però). Questa sent. è ingiusta! Così viene introdotto il principio generale della Chiesa per cui a una sanzione patrimoniale lieve non possono accedere pene accessorie sproporzionate rispetto alla sent. stessa -> una umanizzazione della giustizia! Si parte da un caso umano e si arriva a un principio generale: proporzionalità delle pene accessorie! Si applicherà la restitutio in integrum romana. Diritto molto umano, fatto sulla persona e per la persona. Dalle decretali estraiamo principi di diritto universale. Il liber extra (1234, 100 anni dopo Graziano) è suddiviso in 5 libri (suddivisi in Titoli, Rubriche, Sommari) -> suddivisione diversa rispetto al Decreto Gratiani. Le Decretali non contenevano dicta, ma solo la norma vincolante (dal carattere ufficiale e universale). Con la raccolta di Gregorio IX si stabiliva che tutte le norme precedenti non riportate nelle decretali e contrarie ad esse erano abrogati (una sorta di reset del diritto della Chiesa). Fu poi oggetto questa opera di commenti da parte dei Decretalisti -> addirittura divennero un tutt'uno con la norma fino a diventare vincolanti! Il sistema, come in Graziano, era armonico: la norma nasceva dalla vita (giurisp.), veniva positivizzata nelle Decretali e poi commentata dalla dottrina. procedere alla revisione del Codice di diritto canonico del 1917). Anche se i lavori iniziarono solo dopo il 1965 (fine del Concilio Vaticano II), anche se nel 1963 venne creata la Pontificia Commissio Codici Iuris Canonici Recognoscendo (commissione che doveva rivedere il Codice -> i suoi lavori realmente furono iniziati dopo il 1965, affinché il nuovo codice stesso potesse recepire/ tradurre in linguaggio canonistico le decisioni del Concilio Vaticano II). CV II fu un concilio pastorale, che non aveva emanato disp. normative ma più che altro pastorali (che necessitavano di traduzione normativa). Gli interventi di modifica continuarono sotto Paolo VI e finirono solo con GPII -> ci si poneva il problema di una Lex Ecclesiae Fundamentalis, ossia ci si poneva il problema di redigere una possibile parte antecedente al codice una sorta di Costituzione della Chiesa (Legge fondamentale della Chiesa -> ossia norme comuni a tutta la Chiesa, senza guardare al Rito). Sembrava che la Chiesa subisse l’influsso del Costituzionalismo del ‘900: ma questa Lex Ecclesiae Fundamentalis non fu mai promulgata (nonostante vari progetti). Perché la Chiesa ha una sua Cost. -> quod in lege et evangeli continetur per Graziano (Nuovo e Antico Testamento insomma). Anche se alcune norme di questo progetto furono assorbiti nel codice revisionato (specie nello Statuto fondamentale del fedele - Libro II). Nuovo Codice Canonico -> 1983, emanato da Gp II con Cost. Apostolica “Sacrae disciplinae leges”. Valido anche questo per chiesa cattolica di rito latino, entrato in vigore la prima domenica di Avvento del 1983. Codex è complemento necessario del Concilio in quanto traduce in linguaggio canonistico vincolante alcuni principi pastorali del CV II -> GPII suggeriva la figura del triangolo per leggere le norme della chiesa: al vertice v’era la Scrittura (vera legge fondamentale della Chiesa), atti del CV II e Codex di diritto canonico. Triangolo necessario alla vita ecclesiale -> nella “Sacrae disciplinae leges” dice che: “il Codice non ha come scopo in nessun modo di sostituire la fede, la grazia, i carismi e soprattutto la carità dei fedeli nella vita della Chiesa. Al contrario, il suo fine è piuttosto di creare tale ordine nella società ecclesiale che, assegnando il primato all'amore, alla grazia e al carisma, rende più agevole contemporaneamente il loro organico sviluppo nella vita sia della società ecclesiale, sia anche delle singole persone che ad essa appartengono.” Il Codex serve a disciplinare la vita nella Chiesa. Le Chiese di rito orientale sono disciplinate da Codice dei canoni delle Chiese Orientali (1990). Il codex del 1983 consta di solo 1752 canoni ed è diviso in 7 libri (suddivisi in parti, titoli, capitoli, artt.). L’art. è solo una parte del canone. Libri Codice di Diritto Canonico: 1º: Norme generali 2º: Il popolo di Dio 3º: La funzione di insegnare della Chiesa 4º: La funzione di santificare della Chiesa 5º: I beni temporali della Chiesa 6º: Le sanzioni nella Chiesa 7º: I processi Struttura a triangolo di GPII: vertice Sacra Scrittura (insostituibile), alla base atti del CV II e dall’altro il Codex. Varietà e unitarietà della Chiesa Cattolica: differenza di rito (che per alcuni implica un diritto particolare/diverso rispetto a quella della Chiesa Latina -> riti di Chiese sui iuris). Vi sono riti come quello ambrosiano o mozarabico (in Spagna) che non hanno un diritto diverso, mentre alcuni riti, specie orientali, hanno un Codice proprio. Codice si riferisce solo alle Chiese Cattoliche di rito latino! 19/10 Col Codex del 1917 abbiamo il passaggio da una norma concreta (diritto giurisprudenziale quasi) alla norma astratta, ossia ad un sistema basato su una norma astratta che si deve attagliare al caso concreto. Giovanni XXIII (nel 1959) annunciava simultaneamente la convocazione di un Concilio Ecumenico (CV II) e la modifica/revisione del Codex del ‘17. I lavori iniziarono però solo nel ‘65, concluso il CV II -> e si capì che esso non era solo una modifica, ma un vero e proprio nuovo codice (con all’interno i principi del CV II). La lex ecclesiae fundamentalis nasceva dal costituzionalismo Novecentesco -> ma non fu mai emanata (vi si ritrovano i risultati dei progetti nel Libro II, Iª parte riguardo lo Statuto fondamentale del fedele). Suddivisione Codex: libri, parti, titoli, capitoli, articoli. Canone = non norma singola ma raggruppamento di alcune norme. Libri Codice di Diritto Canonico: 1º: Norme generali: leggi ecclesiastiche, Statuti, regolamenti, persone fisiche e giuridiche, atti giuridici -> parte generale. 2º: Il popolo di Dio: novità anche dal punto di vista teologico/ecclesiologico -> se il codice del ‘17 aveva una prospettiva gerarcologica (dal vertice fino a giungere alla base e ai laici era dedicata una parte molto esigua), questo parte dalla base per arrivare al vertice (base sono i fedeli, ossia la comune condizione in cui sono i fedeli) fino alla costituzione gerarchica della Chiesa. Qui si vede lo sforzo di tradurre in linguaggio canonistico le conclusioni del CV II. 3º: La funzione di insegnare della Chiesa: riguarda catechesi, educazione, predicazione, attività missionaria, ... funzione magisteriale della Chiesa 4º: La funzione di santificare della Chiesa (de munera santificanti): riguarda sacramenti, luoghi sacri ed altri atti di culto (nel ‘17 questa era contenuta nel Tit. un po’ omnicomprensivo ‘de rebus’). Sacramenti e sacramentali insomma. 5º: I beni temporali della Chiesa: ha una sua strumentalità patrimoniale e materiale la Chiesa -> parte abbastanza breve. Modi d’acquisto dei beni, della qualifica degli stessi, delle alienazioni, delle licenze ... insomma gestione beni temporali della Chiesa. 6º: Le sanzioni nella Chiesa -> diritto penale 7º: I processi -> 353 canoni sul processo. Regole sui tribunali, giurisdizione, tipi di processo. La struttura del Codice riflette la teologia/ecclesiologia del CV II. Si vuole tradurre in linguaggio canonistico la dottrina conciliare. I concili spesso finivano in una parte canonistica/normativa (vincolanti per tutta la Chiesa in quelli universali o per alcune Chiese in quelli particolari) e una pastorale. Ma il CV II non si conclude con norme vincolanti -> è un concilio cd. pastorale! È tradotto giuridicamente attraverso l’opera del Codex del 1983. Il diritto non è contrapposto alla pastorale ma è parte integrante della Chiesa. Questo Codex è riflesso dell’ecclesiologia della Chiesa -> si scrive all’interno la norma suprema della stessa che è la salvezza delle anime! Il canone conclusivo afferma esplicitamente (il 1752) di tenere presente la salvezza delle anime! Finalità del diritto canonico è salvezza delle anime e cura pastorale delle stesse -> attraverso la gestione dei sacramenti (che hanno però una loro qualificazione giuridica). II libro -> De Populo Dei (riflette CV II). La chiesa è comunità, popolo, società di Dio -> legato da vincoli sacri come vincolo del Battesimo e della Comunione. A base del codex c’è concezione comune di fedele, comune a tutti i battezzati. Chiesa vista come comunione -> il rapporto tra Chiese particolari come Diocesi e la chiesa universale, e il rapporto tra Papa e vescovi è vista come Comunione. L’autorità è vista come diaconia. Tutti i membri del Popolo di Dio sono partecipi del triplice ufficio di Cristo: sacerdotale, profetico, regale. Poi sottolineatura del diritto missionario e dell’ecumenismo. Il codex riflette dottrina teologica/ecclesiologica del CV II. Commissione per l’interpretazione e autentica del diritto canonico col codice del ‘17 (disciplina accentratrice dell’interpretazione, poi superata dalla realtà) -> unico organismo autorizzato ad interpretare il codice (ma poi fu superato dalla vita -> ad es. dalla interpretazione giurisprudenziale). Vi sono in realtà una serie di organismi che sviluppano l’interpretazione del diritto. Perché la norma di diritto canonico sia interpretata correttamente, anche la “sacra disciplina leges” di GP II con cui fu promulgato il Codex istituì una Commissione pontificia per l’interpretazione autentica del Codice di diritto canonico. In seguito alla Cost. Apostolica del 1988 sulla Curia Romana e tuttora vigente “Pastor Bonus” ha trasformato la Pontificia Commissione in Pontificio Consiglio dei testi legislativi (ha competenza più ampia non solo di interpretazione delle leggi, ma anche quasi di ordine giurisdizionale, perché può dire se la norma inferiore rispetta la superiore / offre anche consulenza giuridica alle congregazioni e alla Curia Romana) -> esso non si limita all’interpretazione autentica delle norme di diritto canonico (che se è approvata dal papa è vincolante ed ha il valore giuridico di un canone) ma valuta anche la conformità delle leggi particolari con quelle universali. Il Codex è onnicomprensivo -> riguarda tutta la materia normativa del diritto canonico. Naturalmente è superata l’idea di codice che contiene tutte le norme (vi sono al di fuori sia norme particolari che universali). Legislazione extra-codicistica è assai ampia! Codex riguarda solo la Chiesa Latina (canone 1). Le chiese cattoliche orientali hanno un proprio diritto e un codice che rispetta le loro tradizioni. Furono emanate norme in varie materie (matrimoniale, processuale, ...) in Oriente, ma che non erano un unico corpus normativo -> questo fin al 18/10/1990 con la Costituzione apostolica Sacri Canonis GP II promulgò il Codice dei Canoni delle Chiese orientali (quelle Chiese in comunione col Chiesa Romana ma che vivono una realtà/tradizioni liturgica e rituale propria delle Chiese Orientali). La codificazione del diritto orientale ha comportato un lungo lavoro iniziato nel 1922, portato avanti negli anni ‘50 del sec. precedente, poi ripreso nel CV II, fino alla promulgazione del codice del 1990. GP II parla di 2 polmoni con cui respira la Chiesa: - Codice orientale -> Codice dei canoni delle Chiese Orientali - Codice occidentale (Chiesa Latina) Vi sono discrepanze tra i 2 in tema di nomina dei vescovi ad es. o in tema di disciplina matrimoniale o di gestione di beni. ——————————————————————————————————————————— Struttura giuridica della Chiesa e il principio di gerarchia. Principio di uguaglianza fondamentale e principio di diversità funzionale. Destinatari norme e produttori norme -> partiamo da qui. Chiesa è concepita dal CV II come Popolo di Dio -> il Cap. IV della Lumen Gentium parla di Chiesa come Popolo di Dio/Comunità/Società. Si entra a far parte del Popolo col Battesimo, è una Comunità legata da legami di fraternità e filiazione (enciclica “Fratelli Tutti” di Papa Francesco), ossia figli di un unico padre e fratelli uno dell’altro. Chiesa come società, che ha una sua articolazione interna che richiede l’applicazione del diritto. Il CV II ritiene la Chiesa come sacramento (cap. I Lumen Gentium, uno dei documenti del CV II) -> non uno dei 7 sacramenti, ma è come i sacramenti segno e strumento dell’amore di Dio per gli uomini! La Chiesa rappresenta l’amore di Dio per gli uomini e dall’altro è strumento per mostrare l’amore di Dio agli uomini -> in definitiva Chiesa come strumento di salvezza per gli uomini (tutta l’umanità)! Cap. 13 Matteo -> la Chiesa fondata da Cristo -> su Pietro (Vicario di Cristo) verrà fondata la sua Chiesa. Questa Chiesa (società ecclesiale) si contraddistingue per un principio fondamentale di uguaglianza e una diversità funzionale (diversità di funzioni, tutte ugualmente dignificanti). Vi è un’unità fondamentale derivante dal Battesimo, vi è una diversità funzionale derivante dalla vocazione di ognuno e dalla funzione che ognuno svolge all’interno della chiesa (ogni funzione all’interno della chiesa, che comporta un carico diverso di diritto e doveri, è ugualmente dignificante). È ugualmente dignificante quella del padre di famiglia come quella del Papa -> non vi è alcuna differenza (l’importante è che ognuno corrisponda alla vocazione specifica che il progetto divino ha riservato per lui). Unità fondamentale quindi, uguaglianza fondamentale! Canone 208 Codex -> uguaglianza tra fedeli (esplicita dichiarazione del principio di uguaglianza fondamentale) -> ripresa quasi testuale delle parole della Lumen Gentium del CV II. Nella chiesa la potestà di giurisdizione (il potere) è essenzialmente unitario, mentre negli ordinamenti terreni vi è un potere legislativo, esecutivo, giudiziario -> nella Chiesa v’è sì una differenza di funzioni ma all’interno di un unico potere. Gli uffici preposti al governo (come quello del pontefice) godono di un potestà unitaria (legislativa, esecutiva, giudiziaria) -> poi dopo il diritto distingue una funzione legislativa, esecutiva, giudiziaria (ma non v’è una differenza di poteri) -> v’è differenza di funzioni (il potere nella Chiesa è unitariamente attribuito a un soggetto). Questo unico potere si distingue in funzioni legislativa, giudiziaria, esecutiva. Potere unico esercitato in maniera giudiziaria, legislativa, esecutiva. Potestà ordinaria: annessa a un ufficio ecclesiastico (es. all’ufficio di vescovo è annessa una specifica giurisdizione). Può essere propria (quando esercitata in nome proprio, es. vescovi esercita potestà ordinaria in nome proprio), vicaria (quando è esercitata in nome di un altro soggetto, es. vicario giudiziario esercita potestà ordinaria, annessa al suo ufficio di vicario giudiziario, in nome d’un altro soggetto, ossia il vescovo della diocesi). Potestà delegata: non annessa a un ufficio e vi è un altro soggetto che delega chi non gode di questa potestà a esercitare atti specifici di quella potestà (delega di potestà di un soggetto a favore di un altro). Il soggetto delegato esercita così atti di un potere di cui in se stesso non godrebbe. 23/10 Potestà d'ordine abilita all'amministrazione dei sacramenti e si trasmette in azione ed è presupposto in un certo senso della potestà di giurisdizione, che nella Chiesa è conferita mediante l'ammissione canonica. Potestà di giurisdizione -> potere nella chiesa unitario nei suoi 3 profili (legislativo, esecutivo, giudiziario), ma tuttavia l'unitarietà non esclude una diversità di funzione (funzione esecutiva, funzione legislativa e funzione giudiziaria). Il potere nella chiesa, potestà di giurisdizione può essere: - ordinaria: annessa all'ufficio medesimo (potestà annessa all'ufficio ecclesiastico medesimo) -> all'ufficio di vescovo è annesso per diritto una specifica potestà, all'ufficio di vicario generale è annessa per diritto una specifica potestà, all'ufficio del romano pontefice è annessa per diritto una specifica potestà. Quindi potestà annessa per diritto all'ufficio, esercitata in nome proprio o in nome altrui -> quindi la potestà può essere propria se esercitata in nome proprio, vicaria se esercitata in nome di altro soggetto. - delegata: un soggetto delegante, che delega/trasferisce a un altro soggetto delegato altri poteri (poteri che il soggetto delegato per ufficio o per carenza d'ufficio non avrebbe/godrebbe). Trasmessa da un organo a un altro soggetto, che di per sé di quella potestà non godrebbe. Potestà non organica di esercitare la potestà, perché vincolata al conferimento di un determinato ufficio, ma è attribuita a una specifica persona. Si esercita in nome altrui, ossia del delegante e risulta limitata al mandato di delega. Non può essere esercitata fuori dai confini dell'atto di delega, pena l'invalidità dell'atto stesso. La delega può essere a jure (se la delega è contenuta nella legge) o ab homine (se la delega dipende da un atto singolare, da un atto amministrativo singolare). Può essere poi universale (ogni tipo di questione di fatti/atti analoghi) o particolare/singolare (per un caso specifico concreto). Potestà ordinaria: - propria - vicaria Differenza tra potestà ordinaria vicaria e potestà delegata -> entrambe sì vengono esercitate da un diverso soggetto, ma quella ordinaria in virtù di un potere che compete per ufficio al medesimo soggetto che la esercita. Come viene conferita la potestà all'interno della Chiesa? E' una potestà che è legata intimamente al potere d'ordine, ossia al conferimento del sacramento dell'ordine (canone 129, ossia norma generale per cui i ministri sacri hanno la capacità necessaria per ottenere la potestà di governo all'interno della Chiesa / i laici possono cooperare, ossia possono essere soggetti di potestà nella Chiesa in maniera cooperativa). Can. 129: “§1. Sono abili alla potestà di governo, che propriamente è nella Chiesa per istituzione divina e viene denominata anche potestà di giurisdizione, coloro che sono insigniti dell'ordine sacro”. Dichiarazione di capacità dei ministri sacri espressa dal canone 129 è di tipo generale/aprioristica, e va rapportata alle competenze che sono proprie di ogni singolo ufficio. La potestà ha necessità di una iuridica determinatio per poter essere esercitata ed essere vincolata, ossia ha bisogno di una determinazione voluta dal diritto per poter essere ad actum experita, ossia esercitata nella concreta vita quotidiana giuridicamente vincolante. Quindi sarà la specifica natura di ciascun ufficio a determinare la potestà specifica attribuita a quell'ufficio. L'ufficio ecclesiastico può essere definito come la legittimazione astratta all'esercizio di determinate funzioni nella Chiesa. E' ufficio quello del vescovo, è ufficio il pontefice, è ufficio il vicario giudiziario, è ufficio il difensore del vincolo -> compiti che legittimano l'esercizio a determinate funzioni all'interno della Chiesa. Abbiamo una legittimazione astratta e poi la provvista (legittimazione concreta per l'esercizio di potestà prevista nella legittimazione astratta). Ma come avviene la provvista canonica, ossia l'attribuzione specifica dell'ufficio ecclesiastico? L'ufficio in se stesso è la legittimazione astratta all'esercizio di determinate funzioni nella Chiesa, ma poi questo ufficio va attribuito in maniera specifica a una certa persona mediante la provvista canonica -> questo ufficio così legittima concretamente all'esercizio delle potestà dei sacramenti. Modalità di conferimento dell'ufficio (modalità di provvista canonica). 3 passaggi procedurali nella provvista canonica: 1. designazione: il Codice di diritto Canonico prevede 4 modalità: - libera collatio (libera collazione): ossia designazione/scelta libera del titolare, ossia la persona del titolare è scelta/designata liberamente dall'organo cui spetta la designazione/attestazione del titolo (dell'ufficio all'interno della Chiesa). Es. Pontefice designa liberamente Vescovo di una Diocesi (di Chiesa Latina). Es. Vescovo sceglie liberamente il parroco di una Parrocchia della sua Diocesi. - presentazione (ius praesentationis): procedimento di designazione fondato sul diritto di una persona fisica o giuridica di proporre all'organo ecclesiastico competente la persona da nominare titolare dell'ufficio. La proposta può essere vincolante se il candidato presenta tutti i requisiti/titoli di idoneità (e in questo caso l'organo ecclesiastico competente è obbligato a concedere il titolo giuridico che in tal caso si chiama istituzione -> l’organo ecclesiastico competente, se la persona/candidato presenta tutti i requisiti d’idoneità a concedere il titolo giuridico, che si chiama istituzione). Es. nella Diocesi di Milano c’è una Parrocchia in cui una famiglia nobiliare ha l’antico privilegio ancora vigente di presentare il sacerdote destinato ad essere titolare della Parrocchia -> il sacerdote viene presentato al vescovo, che ha l’obbligo di istituirlo. - designazione mediante elezione: designazione della persona può essere fatta anche per elezione da parte di un collegio o gruppo a cui viene attribuita tale facoltà (vale tendenzialmente il principio maggioritario). Elezione che può essere eventualmente confermata -> vi sono casi in cui l’elezione, per essere esecutiva, deve essere confermata. - postulazione (postulatio): caso in cui la persona regolarmente eletta non goda dei requisiti di idoneità necessari per l’ufficio (manca di un requisito dispensabile) -> manca a questa persona un requisito di idoneità (requisito di idoneità che sia dispensabile). Qui all’elezione segue la postulazione, nel senso che il soggetto eletto viene presentato all’autorità ecclesiastica competente, sollecitando l’opportuna dispensa al requisito di idoneità che sia dispensabile. La postulazione implica un atto di attività discrezionale, nel senso che l’autorità ecclesiastica non è vincolata -> può concedere o non concedere la dispensa richiesta. 2. collazione: conferimento dell’ufficio (oneri e diritti derivanti dalla designazione stessa). 3. presa di possesso: atto di acquisto con cui concretamente e specificamente il titolare prende possesso del suo ufficio ecclesiastico (presa di possesso della Parrocchia, della Diocesi da parte del Vescovo, ...). Atto molte volte fatto alla presenza di un notaio ecclesiastico (presenza eventuale) per certificare/attestare l’avvenuta presa di possesso dell’ufficio. Atto che si presenta normalmente rivestito di determinate formalità -> atto pubblico da cui deriva il concreto esercizio del potere all’interno della Chiesa. Atto mediante il quale il titolare dell’ufficio prende possesso dell’ufficio per svolgere le proprie funzioni ecclesiali. L’ufficio/munus ecclesiastico (can. 145: “§1. L'ufficio ecclesiastico è qualunque incarico, costituito stabilmente per disposizione sia divina sia ecclesiastica, da esercitarsi per un fine spirituale.”) è ogni incarico mediante il quale vengono svolte funzioni giuridiche nella chiesa con una finalità spirituale. L’ufficio ecclesiastico può essere di: - diritto divino: ufficio ecclesiastico del Romano Pontefice o quello del Vescovo diocesano. - diritto umano (munera di diritto umano): Pres. Conferenza Episcopale, Segretario Conferenza Episcopale, il giudice del Trib. ecclesiastico. Incarichi/munera che sono stabili e legittimano in maniera stabile all’esercizio di funzioni. Can. 145.2: “§2. Gli obblighi e i diritti propri dei singoli uffici ecclesiastici sono definiti sia dallo stesso diritto con cui l'ufficio viene costituito, sia dal decreto dell'autorità competente con cui viene insieme costituito e conferito”. Da un lato l’ufficio è la legittimazione astratta all’esercizio di una funzione, dall’altra nel momento in cui viene conferito l’ufficio concretamente mediante la provvista canonica, viene conferita al soggetto anche la potestà necessaria per esercitare tale funzione. La provvista dell’ufficio ecclesiastico avviene mediante designazione (la designazione avviene mediante libera collatio, presentatio, elezione, postulazione) -> segue la collazione e poi la presa di possesso dell’ufficio ecclesiastico. Ufficio ecclesiastico -> legittimazione all’esercizio di una funzione di potere all’interno della Chiesa. Il conferimento degli uffici concorre a determinare la struttura gerarchica della Chiesa, composta di uffici sia di diritto umano, sia di diritto divino. ——————————————————————————————————————————— La Chiesa è per sua natura una struttura organizzata in maniera gerarchica, al vertice della quale c’è il Papa, a cui segue la gerarchia ecclesiastica (Vescovi, sacerdoti, diaconi e fedeli). Questa piramide va vista in maniera inversa, perché il Papa è sì al vertice della piramide ma è in realtà servus servorum dei (il vertice inferiore della piramide perché sostiene tutto e il vertice ampio è quello formato dai fedeli -> tutti, dal Papa all’ultimo dei battezzati, sono ugualmente fedeli all’interno della Chiesa). Can. 129 -> la potestà di governo nella Chiesa è esercitata da coloro che hanno la potestà d’ordine (e sono coloro che sono al vertice, a partire dal Romano Pontefice). Ufficio del Romano Pontefice -> vertice della Chiesa (vertice di natura divina). La potestà del Pontefice nella Chiesa è di natura divina. Matteo (cap. 16) dice che Cristo fonda la Chiesa su Pietro (“Tu sei Pietro e su questa Pietra io fonderò la mia Chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli”). Pietro è il rappresentante di Cristo -> i Papi sono successori con successione personale di Pietro (successione collegiale al collegio degli apostoli) -> la successione a Pietro è successione personale (il Pontefice è successore di Pietro, a cui Cristo ha dato le chiavi della Chiesa). Il Papa è Vicario di Cristo, perché agisce in nome e per conto di Cristo. Pietro è anche Vescovo di Roma (e il Papa lo è). Sono tutti titoli (successore di Pietro, Vicario di Cristo, Vescovo di Roma, ...) che si richiedono l’un con l’altro completando la figura istituzionale del Romano Pontefice -> figura che gode di una potestà ordinaria, piena, suprema, universale: - potestà ordinaria: la potestà del Papa è quella annessa al suo ufficio ed è una potestà di diritto divino (con anche facoltà di diritto umano) -> è un munus iuris divini (di diritto divino). - potestà piena (pienezza del potere) -> il Papa ha la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario (pienezza dei 3 poteri) -> unico limite è quello del diritto divino stesso. Pienezza del potere in spiritualibus (con potestà piena) e pienezza in materia legislativa, esecutivo, giudiziario. - potestà suprema: la sua potestà superiorem non recognoscens (non ha alcuna autorità sopra di lui) -> è l’autorità suprema all’interno della Chiesa. Potestà anche immediata, può esercitarla cioè senza necessità di ricorrere ad altri organi -> poi a volte la esercita vicino a organi che esercitano vicariamente la potestà del Pontefice (fa parte della logica della struttura §2. Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti." LIBRO II - IL POPOLO DI DIO (Cann. 204-746) I CARDINALI DI SANTA ROMANA CHIESA LIBRO II - IL POPOLO DI DIO PARTE II - LA COSTITUZIONE GERARCHICA DELLA CHIESA SEZIONE I - LA SUPREMA AUTORITÀ DELLA CHIESA (Cann. 330 – 367) CAPITOLO III (Cann. 349 - 359) - I CARDINALI DI SANTA ROMANA CHIESA Il collegio cardinalizio è un organo consultivo ma che fa parte del governo universale della Chiesa. I cardinali eleggono il Romano Pontefice. Chi sono i Cardinali? Can. 349: "1. I Cardinali di Santa Romana Chiesa costituiscono un Collegio peculiare cui spetta provvedere all'elezione del Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare; 2. inoltre i Cardinali assistono il Romano Pontefice sia agendo collegialmente quando sono convocati insieme per trattare le questioni di maggiore importanza, sia come singoli, cioè nei diversi uffici ricoperti prestandogli la loro opera nella cura soprattutto quotidiana della Chiesa universale." I cardinali sono quindi un organo collegiale (formano un’entità collegiale) -> è il collegio cardinalizio che elegge il Romano Pontefice, a norma del diritto peculiare -> “a norma del diritto peculiare” significa che la normativa sull’elezione del pontefice non è contenuta nel Cod. Can., ma è una normativa data a parte. Quando il Pontefice muore (sede vacante), i cardinali si riuniscono per eleggere il nuovo Papa. Quando il Papa è vivo (sede ploena), i Cardinali hanno un ruolo -> svolgono un ruolo nei diversi uffici della Curia Romana o negli uffici che ricoprono (es. Arcidiocesi a capo delle quali sono post). Doppia collaborazione dei cardinali verso il Pontefice: - come singoli -> es. prefetti delle congregazioni della Curia romana sono tutti cardinali - come collegio Collegio dei cardinali Can. 350: Il Collegio dei Cardinali è distinto in 3 ordini: - ordine diaconale (cardinali diaconi): a loro viene assegnato dal Romano Pontefice un titolo o una diaconia nell'Urbe - ordine presbiterale (cardinali presbiteri): a loro viene assegnato dal Romano Pontefice un titolo o una diaconia nell'Urbe - ordine episcopale (cardinali vescovi): vi appartengono i Cardinali ai quali il Romano Pontefice assegna il titolo di una Chiesa suburbicaria e i Patriarchi Orientali che sono stati annoverati nel Collegio dei Cardinali Nonostante abbiamo cardinali vescovi, presbiteri, diaconi -> ma questo non significa che i cardinali vescovi sono vescovi, i cardinali presbiteri sono sacerdoti e i cardinali diaconi sono diaconi! I cardinali sono tutti consacrati vescovi! A meno che, per ragione di età, può esserci qualche eccezione (qualcuno può rimanere presbitero -> specie per ragioni d’età -> Benedetto XVI nominò questo cardinale che rimase però sacerdote perché quasi centenario). Normalmente i cardinali sono tutti insigniti della dignità episcopale. Perché si divide in questo modo e si parla di questi 3 ordini -> per ragioni storiche! - ordine episcopale: appartengono cardinali preposti a Diocesi suburbicarie, le quali sono le diocesi attorno a Roma (sono storicamente i primi cardinali che hanno aiutato il vescovo di Roma a gestire la Chiesa Romana e per queste ragioni storiche costituiscono l’ordine episcopale del collegio cardinalizio) -> col tempo ad essi sono stati affiancati i patriarchi orientali (annoverati nel collegio cardinalizio dell’ordine episcopale) - ordine diaconale: appartengono i cardinali a cui il Pontefice assegna un titolo o una diaconia nell’Urbe (Roma) -> c’è un retaggio storico: nei primi secc. dopo il Cristianesimo, quando il Cristianesimo cominciava a diffondersi, il territorio di Roma venne diviso in circoscrizioni e a capo di queste circoscrizioni venne messo un presbitero (da qui l’ordine presbiterale dei cardinali). Poi a mano mano che le esigenze della città di Roma, con l’aumento degli adepti del Cristianesimo, ci fu bisogno di sempre maggiori collaborazioni e da lì, a partire dal 7º sec., cominciarono ad esserci anche i diaconi, ossia coloro che si occupavano della carità, quindi del servizio ai bisognosi e della gestione delle esigenze delle varie circoscrizioni. Can. 351: "§1. Ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell'ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari; coloro che già non siano Vescovi, devono ricevere la consacrazione episcopale. §2. I Cardinali vengono creati con un decreto del Romano Pontefice, che viene reso pubblico davanti al Collegio dei Cardinali; dal momento della pubblicazione essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti definiti dalla legge. §3. Colui che è promosso alla dignità cardinalizia, se il Romano Pontefice ne ha annunciato la creazione, riservandosi però il nome in pectore, durante questo tempo non è tenuto ad alcun dovere e non gode di alcun diritto proprio dei Cardinali; tuttavia dopo che il suo nome è stato reso pubblico dal Romano Pontefice, è tenuto a tali doveri e fruisce di tali diritti; ma gode del diritto di precedenza dal giorno della riserva in pectore." I cardinali non vengono eletti -> Francesco ha annunciato che a novembre farà un concistoro nel quale nominerà 13 nuovi cardinali -> il Pontefice, nel pieno della sua discrezionalità ed autonomia, sceglie uomini che siano almeno sacerdoti (e che si sono distinti) e li nomina cardinali -> quelli che non sono già vescovi, ricevono anche la consacrazione episcopale. La nomina si chiama creazione con decreto del Pontefice, che viene reso pubblico in Concistoro davanti al Collegio dei cardinali. Dal momento della pubblicazione essi sono vincolati dai doveri e godono dei diritti (diventando cardinali). Francesco ha detto “nomino 13 cardinali” e ha detto i nomi -> ma il Pontefice può riservarsi, magari per ragioni politiche, in pectore, la nomina (annuncia “creerò tot. cardinali, ma al momento non faccio i nomi”) -> fino a quando non è pubblicato il nome, il cardinale in pectore non è tenuto ad alcun dovere e non ha alcun diritto, ma quando il suo nome viene pubblicato egli non solo ha diritti e doveri ma gode anche del diritto di precedenza nei confronti dei cardinali che eventualmente fossero stati nominati successivamente. Cardinali sono sempre stati parificati ai Principi (diritto di precedenza in cerimonie e occasioni ufficiali). ——————————————————————————————————————————— Quali sono i motu proprio? Il motu proprio è un atto normativo che il Pontefice promulga spontaneamente (di sua iniziativa) -> atto pontificio legislativo (che detta una normativa) -> in tal caso detta quel diritto peculiare per l’elezione del Pontefice. ELEZIONE DEL PONTEFICE Universi Dominici Gregis, 22.II.1996 -> è il motu proprio in questa materia (il diritto peculiare che regola l’elezione del Pontefice) -> poi ci sono state modifiche da due altri motu proprio nel 2007 e nel 2013 De aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Pontificis, 11.VI.2007 (Su alcune mutazioni nelle norme dell’elezione del Romano Pontefice) Normas nonnullas, 22.II.2013 (Alcune Norme) PARTE PRIMA -> LA VACANZA DELLA SEDE APOSTOLICA (quando muore il Pontefice). Cosa devono fare i cardinali nel momento in cui muore il Pontefice -> tutti gli adempimenti previ all’insediamenti del Concistoro, che è l’organo che elegge il Pontefice. Nel momento in cui muore il Pontefice bisogna subito pensare al governo della Chiesa Universale. La Chiesa continua la sua attività anche con la morte del Papa -> mentre la sede è vacante, il governo spetta ai Cardinali (che svolgono attività ordinaria, attività non rinviabile e provvedono a quanto necessario all’elezione del nuovo Papa) -> quindi il Collegio ha dei limiti in questo momento (limiti previsti dalla Universi Dominici Gregis) -> i cardinali non possono trattare gli affari che appartengono alla potestà del Pontefice né cambiare disp. sull’elezione del Papa (solo il Papa può modificare questo diritto peculiare). Il collegio non può trattare affari straordinari (quelli che solo il Papa può trattare) e non si possono modificare le norme sull’elezione del Pontefice. IL GOVERNO DELLA CHIESA -> Art. 2 "Al Collegio dei Cardinali, nel tempo in cui la Sede Apostolica è vacante, è affidato il governo della Chiesa solamente per il disbrigo degli affari ordinari o di quelli indilazionabili, e per la preparazione di quanto è necessario all'elezione del nuovo Pontefice. Questo compito dovrà essere svolto nei modi e nei limiti previsti da questa Costituzione: dovranno perciò essere assolutamente esclusi gli affari, che - sia per legge sia per prassi - o sono di potestà del solo Romano Pontefice stesso, o riguardano le norme per l'elezione del nuovo Pontefice secondo le disposizioni della presente Cost.". Cessazione dei capi e dei membri dei Dicasteri (in caso di vacanza della sede) Art. 14: "- A norma dell'art. 6 della Costituzione apostolica Pastor Bonus, alla morte del Pontefice tutti i capi dei Dicasteri della Curia Romana, sia il Cardinale Segretario di Stato sia i Cardinali Prefetti sia i Presidenti Arcivescovi, come anche i membri dei medesimi Dicasteri cessano dall'esercizio del loro ufficio (non continuano ad esercitare le loro prerogative -> viene tutto congelato quando muore il Papa -> si attende la nomina del nuovo Papa per confermare o no i capi dei dicasteri). Viene fatta eccezione per il Camerlengo di Santa Romana Chiesa e il Penitenziere Maggiore, che continuano a svolgere gli affari ordinari, sottoponendo al Collegio dei Cardinali ciò che avrebbe dovuto essere riferito al Sommo Pontefice. - Allo stesso modo, conformemente alla Costituzione apostolica Vicariae Potestatis, il Cardinale Vicario Generale per la diocesi di Roma non cessa dal suo ufficio durante la vacanza della Sede Apostolica e, parimenti, non cessa per la sua giurisdizione il Cardinale Arciprete della Basilica Vaticana (che cura le celebrazioni e anche la cerimonia della nomina) e Vicario Generale per la Città del Vaticano." Continua a rimanere in carica e a svolgere gli affari ordinari del suo mandato: il Camerlengo di Santa Romana Chiesa (che si occupa degli affari economici e ha molte funzioni per l’elezione del Pontefice) e il Penitenziere Maggiore (perché l’aspetto spirituale è salvaguardato). Il Papa è il Vescovo di Roma, ma quando muore, la Diocesi di Roma ha tutte le sue necessità e la sua attività ordinaria -> quindi la Diocesi di Roma, anche quando il Papa è in vita, ha sempre un Cardinale Vicario e quindi questo continua a rimanere in carica. Il Papa, oltre ad essere il Vescovo di Roma e Pastore/Capo della Chiesa Universale è anche il Capo dello Stato di Città del Vaticano (che come qualunque Stato non può congelare la sua attività ordinaria). Il Governo della Chiesa è affidato al Collegio cardinalizio in questo momento di vacanza della Sede. ---------------------------------------------------------------------------------------------------------------- PARTE SECONDA = L'ELEZIONE DEL ROMANO PONTEFICE Il Diritto di Voto Attivo -> gli elettori sono esclusivamente i cardinali (riuniti in un Conclave), nel numero massimo di 120 -> non sono ammessi a votare gli ultraottantenni (già stabilito da Paolo VI nel 1970 nella disciplina precedente al ‘96) che hanno compiuto gli anni il giorno prima che la sede divenisse vacante. Art. 33 "Il diritto di eleggere il Romano Pontefice spetta unicamente ai Cardinali di Santa Romana Chiesa, ad eccezione di quelli che, prima del giorno della morte del Sommo Pontefice o prima del giorno in cui la Sede Apostolica resti vacante, abbiano già compiuto l'80° anno di età. Il numero massimo di Cardinali elettori non deve superare i 120. È assolutamente escluso il diritto di elezione attiva da - Tale prassi sembrava doversi ripetere a scadenze coincidenti con la riunione del Sinodo dei Vescovi, ma dopo le esperienze del 1979, del 1982, del 1985 si è interrotta. A queste sono aggiunte altre riunioni plenarie nel 4/1991, nel 6/1994 e 5/2001. Il C8 di Papa Francesco Ad un mese esatto dall’elezione al soglio pontificio, il 13 aprile 2013, Papa Francesco ha annunciato la costituzione di un “Consiglio di cardinali per essere aiutato nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Curia romana. Tale Consiglio è stato effettivamente costituito con chirografo il 30 settembre 2013. Attività uti singuli -> Cann. 356-358. I cardinali aiutano il Pontefice essendo a capo dei dicasteri assegnatigli, e poi come capi delle Diocesi/titoli. Per “titoli” si intendono le Chiese -> i titoli sono le Chiese Romane -> ai cardinali vengono affidati questi titoli/Chiese/diocesi di cui si devono occupare. Es. l’Arcidiocesi di Milano è sempre stata affidata ad un cardinale (fino a Scola). In Italia avevamo 3 sedi storiche cardinalizie (Palermo, Venezia, Milano). Ma i cardinali fanno anche i legati a latere (inviati diplomatici) o ricevono incarichi pastorali. Il Pontefice, che è sommo amministratore/legislatore/governatore, può decidere di farsi aiutare dai singoli cardinali nella maniera che ritiene più opportuna. Can. 356: "I Cardinali sono tenuti all'obbligo di collaborare assiduamente col Romano Pontefice; perciò i Cardinali che ricoprono qualsiasi ufficio nella Curia, se non sono Vescovi diocesani, sono tenuti all'obbligo di risiedere nell'Urbe; i Cardinali che hanno la cura di una diocesi come Vescovi diocesani, si rechino a Roma ogni volta che sono convocati dal Romano Pontefice". Can. 357: "§1. I Cardinali ai quali è stata assegnata in titolo una Chiesa suburbicaria o una chiesa nell'Urbe, dopo che ne hanno preso possesso, promuovano il bene di tali diocesi e chiese mediante il consiglio e il patrocinio, pur senza avere su di esse alcuna potestà di governo, e per nessuna ragione interferiscano in ciò che riguarda l'amministrazione dei beni, la disciplina o il servizio delle chiese. §2. I Cardinali che si trovano fuori dell'Urbe e fuori della propria diocesi, sono esenti dalla potestà di governo del Vescovo della diocesi in cui dimorano in tutto ciò che riguarda la propria persona". Can. 358: "Al Cardinale al quale il Romano Pontefice dia l'incarico di rappresentaLo in qualche solenne celebrazione o in qualche assemblea di persone, come Legato a latere, cioè come suo alter ego, come pure al Cardinale al quale venga affidato di compiere un determinato incarico pastorale come suo inviato speciale, compete solo quanto gli è demandato dal Romano Pontefice". Diocesi suburbicarie -> 7 diocesi che si trovano intorno a Roma. Dell’ordine presbiterale fanno parte i cardinali che hanno titoli presbiterali, ossia titoli/Chiese che corrispondono storicamente alla prima divisione in circoscrizioni dei primi secc. di Roma -> i cardinali a cui viene attribuito uno di questi titoli diventano cardinali presbiteri. I cardinali diaconi sono coloro che di solito hanno funzioni nella Curia. Questa è una divisione di massima, perché i cardinali presbiteri e quelli diaconi sono anche cardinali preposti a diocesi o arcidiocesi in giro per il mondo. 30/10 Vescovo -> la chiesa particolare, la cui principale forma storica è la diocesi, è governata dal vescovo, che esercita la potestà di capitalità. La chiesa particolare la cui principale forma storica è la diocesi, risulta essere inscindibilmente connessa all'ufficio dei vescovi (Pastori della Chiesa il cui compito principale è quello di reggere la porzione del Popolo di Dio loro singolarmente affidata) -> la potestà del Vescovo è dunque l'elemento gerarchico funzionale della diocesi -> figura del vescovo è l'elemento gerarchico istituzionale della diocesi. Con la consacrazione episcopale (grado più alto del Sacramento dell'Ordine). Con la Comunione gerarchica del Papa e gli altri membri del Collegio, l'ordinato Vescovo diviene membro del Collegio Episcopale -> che succede all'originario collegio Episcopale nel magistero e nella potestà di Governo della Chiesa. Con la consacrazione episcopale il vescovo riceve l'ufficio di santificare, insegnare e governare. L'esercizio di questi tria munera ecclesiae, per essere libero necessita di una determinazione giuridica da parte dell'autorità gerarchica mediante missio canonica, intesa quale specifico incarico pastorale affidato al vescovo. Ufficio ecclesiastico di missio canonica -> Nella sede affidata al Vescovo con la missio canonica distinguiamo varie figure: - patriarca, titolare di una sede patriarcale (es. Venezia). Il titolo di patriarca nel diritto canonico latino, ha un valore puramente onorifico e non comporta alcuna giurisdizione specifica - metropolita -> titolare di una sede metropolitana che fa capo a una provincia ecclesiastica -> presiede una provincia ecclesiastica, ha poteri, seppur ridotti, di vigilanza ed intervento in casi specifici ed eccezionali rispetto alle circoscrizioni ecclesiastiche che integrano la provincia stessa - arcivescovo: vescovo titolare di una diocesi di particolare rilievo (es. arcivescovo della diocesi di Milano) Sede -> può semplicemente essere vescovile facendo capo a una Chiesa Cattedrale Diocesana. Il Codex distingue poi tra: - Vescovi Diocesani: vescovi cui viene affidata la cura e il governo di una Diocesi - Vescovi titolari: Vescovi non destinati alla cura e al governo di una diocesi e assumono il titolo di vescovo di un'antica sede episcopale soppressa. Svolgono incarichi che non comportano di regola la cura d'anime ma ad es. svolgono incarichi all'interno della curia romana o nella diplomazia pontificia. A quest'ultima categoria appartengono anche i vescovi coadiutori e i vescovi ausiliari. Nomina vescovi: vale generalmente il principio della libera nomina da parte del Pontefice. Il sistema vigente nella Chiesa latina è quello dunque della nomina diretta da parte del Pontefice: le relative pratiche sono istruite all'interno della curia romana dalla "Congregazione per i Vescovi". Il principio della libera nomina da parte del pontefice non disciplina però la nomina dei vescovi delle Chiese Orientali (di cui si occupa il Codice dei canoni delle Chiese Orientali): nella Chiesa Orientale i vescovi sono generalmente eletti dal Sinodo dei Vescovi della Chiesa Patriarcale o in altra istituzione equivalente e poi sono confermati dal Papa. Chiesa Latina: libera nomina diretta del Papa Chiesa Orientale: vescovi eletti nel Sinodo dei vescovi della Chiesa Patriarcale o altra istituzione equivalente e poi confermati dal Papa Nella Chiesa Latina, accanto alla nomina da parte del Papa, è possibile ancora l'elezione per conferma quando l'elezione del vescovo spetta legittimamente ad altri in forza del diritto particolare o a legittime consuetudini, quando l'elezione prevede la collaborazione mediante presentazione canonica. Vi sono alcune Diocesi che per antico privilegio hanno il diritto di eleggere i candidati all'Episcopato tramite il capitolo della cattedrale -> poi una simile elezione necessita di conferma pontificia (es. Salisburgo in Austria). Per l'elezione dei vescovi esiste una specifica procedura regolata dal Codice -> il Codice vigente prevede anzitutto che almeno ogni 3 anni i vescovi di una provincia ecclesiastica o in alcune circostanze le conferenze episcopali mediante una consultazione segreta e comune compilino l'elenco di presbiteri che risultino particolarmente idonei all'episcopato e trasmettano tale elenco alla sede apostolica. Per i vescovi diocesani e i vescovi coadiutori il compito di presentare alla sede apostolica una terna di episcopabili (quindi almeno 3 candidati all'episcopato). Questo elenco alla sede apostolica deve essere consegnato dal legato pontificio che, unitamente al suo parere, deve ascoltare e trasmettere alla sede apostolica i pareri anche del metropolita e dei vescovi suffraganei della provincia ecclesiastica e il voto del Pres. della Conferenza Episcopale. Il legato pontificio può anche sentire il parere di alcuni membri del Collegio dei Consultori Diocesani e del Capitolo della Cattedrale e se del caso il parere in segreto di singoli scelti tra il clero diocesano, religioso e tra i fedeli laici. Per la nomina del vescovo ausiliare è invece il vescovo diocesano che propone alla sede apostolica un elenco di almeno 3 candidati presbiteri idonei. Per l’idoneità dei candidati all’episcopato sono richiesti alcuni requisiti: - fede salda - buoni costumi - pietà - zelo - saggezza - prudenza - virtù umane E poi il Cod., con espressione aperta, richiede tutto quanto possibile per compiere l’ufficio episcopale. Il legislatore richiede poi: - buona reputazione - 35 anni d’età - 5 anni di presbiterato - dottorato o licenza di Sacra Scrittura, Teologia o Diritto Canonico In mancanza dei titoli di dottorato o licenza, è richiesto ai candidati che siano almeno esperti in queste discipline. Il giudizio definitivo d’idoneità del candidato vescovo spetta in modo definitivo alla sede apostolica. Entro 3 mesi dalla ricezione della lettera pontificia di elezione, il candidato deve essere consacrato vescovo. La consacrazione episcopale è infatti requisito necessario prima della presa di possesso dell’ufficio. Prima della presa della diocesi quindi il candidato vescovo deve ricevere la consacrazione episcopale. Il vescovo diocesano ha potestà ordinaria, ossia annessa all’ufficio conferito al vescovo per mezzo della missio canonica del Romano Pontefice. Ha potestà propria e poi ha potestà immediata, ossia esercitabile senza l’ausilio di intermediari. L’esercizio della potestà conferita al vescovo con la consacrazione e con l’ufficio ecclesiastico è poi subordinata alla presa di possesso canonico della diocesi, la quale deve avvenire entro 4 mesi dal ricevimento della lettera apostolica se colui che è stato promosso all’episcopato non è stato ancora consacrato, entro 2 mesi se invece è stato già consacrato. Il vescovo prende possesso canonico della diocesi nel momento in cui esibisce la lettera apostolica al Collegio dei Consultori della Diocesi a cui compete il governo della diocesi stessa durante la vacanza della sede. La presentazione della lettera apostolica al Collegio dei Consultori diocesano deve avvenire alla presenza del Cancelliere della Curia (che ne redige processo verbale). Il cod. Can. raccomanda che tutto ciò avvenga nel corso di un atto liturgico in cattedrale. Con la consacrazione episcopale e tramite la missio canonica ricevuta dal Pontefice, il Vescovo è investito della cura pastorale della comunità diocesana, ossia della triplice funzione di insegnare, santificare e governare, da esercitarsi nella comunione gerarchica col capo del collegio episcopale (Papa) e con le altre membra del collegio stesso (gli altri vescovi). ——————————————————————————————————————————— La funzione di insegnare comprende: - la predicazione della Parola - la vigilanza nell’esercizio del ministero della Parola - difesa dell’unità della Fede La funzione di santificare comprende: - la promozione della Santità secondo la vocazione propria di ciascun fedele - applicazione della Messa per il popolo - celebrazione dell’Eucarestia nella Chiesa Cattedrale La funzione di governare comprende: supervisione della Diocesi viene assunta dal Vescovo Ausiliare (se c’è) e questi informa la Santa Sede che la Diocesi è vacante e convoca il Collegio dei Consultori per la nomina dell’Amministratore Diocesano -> entro 8 gg. il Collegio dei Consultori deve procedere all’elezione dell’Amministratore Diocesano e può essere eletto un solo Amministratore Diocesano. Se il Collegio dei Consultori, entro 8 gg. dalla sua consultazione, non nomina l’Amministratore Diocesano, il diritto di nomina passa al Metropolita o se la Sede metropolitana è vacante, passa al Vescovo Suffraganeo più anziano per promozione. L’Amministratore Diocesano deve rispettare il limite “sede vacante nihil innovetur” (può limitarsi agli atti che non arrechino pregiudizio alla Diocesi o ai diritti episcopali). ——————————————————————————————————————————— Patriarca -> titolare sede patriarcale (es. quella di Venezia) -> è una figura, nel diritto latino, puramente onorifica e non comporta alcun atto di giurisdizione. Atti del Vescovo (potestà esecutiva): potestà esecutiva comporta l’esercizio dell’autorità per l’ordinato svolgimento della vita della Chiesa Particolare e comprende anche l’attività pastorale (comprende anche la nomina dei titolari di altri uffici come il Vicario Generale, quello Episcopale, ...), l’erezione delle persone giuridiche, delle associazioni pubbliche di fedeli, ma soprattutto l’amministrazione dei beni ecclesiastici. A differenza della potestà legislativa, per cui non è prevista delega, la potestà esecutiva può essere esercitata dal Vescovo tramite un Vicario Generale o Vicari Episcopali o da altri titolari di uffici ecclesiastici che abbiano potestà ecclesiastica di governo esecutiva. ——————————————————————————————————————————— Il Vescovo Diocesano è legislatore nella sua Diocesi -> essendo tale emana una serie di norme che vanno a regolare la vita della Diocesi e che comportano/costituiscono il diritto particolare ma il diritto particolare non può mai contrastare con il diritto del superiore, ossia il legislatore Diocesano non può mai emanare validamente leggi che siano contrarie al diritto del superiore (ossia al diritto universale). 2/11 Struttura gerarchica della Chiesa -> ufficio del Romano Pontefice, uffici cardinalizi, ufficio episcopale (del Vescovo). Collegio episcopale e Conferenze episcopali. Collegio episcopale. Il Romano Pontefice è successore di Pietro -> è una successione individuale nell’ufficio petrino. Ma Pietro era solo uno dei 12 apostoli, non era solo -> era il capo del collegio degli apostoli. I 12 apostoli formavano un vero e proprio collegio, anche giuridicamente parlando. I vescovi succedono collegialmente agli apostoli (sono i loro successori) così come il Papa succede individualmente a Pietro. Il collegio episcopale succede collegialmente al collegio apostolico (non individuale come successione). È imp. dire che il collegio episcopale è uno degli organi di piena e suprema autorità nella Chiesa. Organo di piena e suprema autorità nella Chiesa è il Pontefice, ma non solo lui, perché anche il collegio episcopale è organò di piena e suprema autorità, sempre con il Pontefice (e mai senza di esso). Nella Chiesa v’è dunque anche un primato collegiale, ossia un collegio all’interno del quale v’è sempre il Romano Pontefice (mai senza di esso) ed è proprio grazie alla presenza istituzionale del Pontefice che il Collegio Episcopale gode di primazialità. Collegio Episcopale: chi appartiene a questo soggetto di piena e suprema autorità (esercitabile solo con il Pontefice, mai senza di lui) -> esercitata col consenso del Pontefice. Collegio episcopale che succede organicamente al collegio apostolico. Concilio Vaticano II -> la normativa del Cod. Can. riguardo la collegialità episcopale è ricalcata quasi letteralmente sulle determinazioni del CV II -> specie su 2 documenti: - Decreto Christus Dominus: ricorda in modo particolare l’ufficio pastorale dei vescovi - Constitutio Lumen Gentium: sulla Chiesa La Lumen Gentium al n. 22 parla del Collegio dei Vescovi e delle condizioni d’appartenenza al Collegio dei Vescovi -> serve: - aver ricevuto la consacrazione episcopale -> ossia l’aver ricevuto il Sacramento dell’Ordine nel grado dell’Episcopato (ossia il 3º grado, dopo Diaconato e Presbiterato) - essere in comunione con il capo (il Papa) e con le membra (altri membri del Collegio Apostolico) Il n. 22 Constitutio Lumen Gentium (costituzione sulla natura teologica e giuridica della Chiesa) del CV II afferma: “Come san Pietro e gli altri apostoli costituiscono, per volontà del Signore, un unico collegio apostolico, similmente il romano Pontefice, successore di Pietro, e i vescovi, successori degli apostoli, sono uniti tra loro. [...] Il collegio o corpo episcopale non ha però autorità, se non lo si concepisce unito al Pontefice romano, successore di Pietro, quale suo capo, e senza pregiudizio per la sua potestà di primato su tutti, sia pastori che fedeli. Infatti il Romano Pontefice, in forza del suo Ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. D'altra parte, l'ordine dei vescovi, il quale succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, anzi, nel quale si perpetua il corpo apostolico, è anch'esso insieme col suo capo il romano Pontefice, e mai senza questo capo, il soggetto di una suprema e piena potestà su tutta la Chiesa sebbene tale potestà non possa essere esercitata se non col consenso del romano Pontefice”. Collegio episcopale -> soggetto di piena e suprema potestà all’interno della Chiesa ma questa potestà può e deve essere esercitata solo col consenso del Romano Pontefice, che è anch’esso membro del Collegio Episcopale -> non v’è collegio se all’interno non v’è il Papa, il quale deve approvare l’azione del Collegio. Nella Chiesa soggetto di piena e suprema autorità è sia il Collegio Episcopale (che deve agire con il Papa, mai senza) che il Papa. Come viene esercitata tale potestà all’interno della Chiesa? Cod. Can. parla di esercizio di potestà solenne ed esercizio di potestà non solenne. Can. 337: “§1. Il Collegio dei Vescovi esercita in modo solenne la potestà sulla Chiesa universale nel Concilio Ecumenico”. 2 modi di esercizio della potestà suprema del Collegio Episcopale: - modalità solenne: esercitata all’interno del Concilio Ecumenico, che è una riunione dei vescovi di tutto il mondo ecumenico -> riunione di tutto il collegio episcopale, di coloro che hanno ricevuto la consacrazione episcopale e di coloro che sono in comunione col capo e le altre membra -> riunione di tutti i vescovi che esercita la piena e suprema potestà sulla Chiesa. È una forma di esercizio della potestà poco comune all’interno della Chiesa (non è frequente l’esercizio di questa potestà piena e suprema sulla Chiesa mediante atti strettamente o propriamente collegiali -> nel corso della storia della Chiesa sono stati celebrati solo 21 Concili Ecumenici). Quindi un esercizio frequente di questa collegialità attraverso il Concili Ecumenici è da escludere. - modalità non solenne Concilio Ecumenico è convocato dal Romano Pontefice, spetta unicamente a lui convocarlo -> es. Giovanni XXIII convocò il CV II (ultimo concilio Ecumenico convocato e concluso). Il Romano Pontefice preside personalmente il Concilio Ecumenico o attraverso il suo delegato -> spetta al Papa determinare l’ordine del giorno (decide le questioni da trattare all’interno del Concilio Ecumenico) -> solo i vescovi che sono membri del collegio dei vescovi hanno il diritto e il dovere di partecipare al Concilio Ecumenico con voto deliberativo. Hanno diritto e dovere di partecipare al concilio ecumenico tutti e solo i vescovi con voto deliberativo. Il Romano pontefice può anche chiamare al Concilio Ecumenico fedeli non insigniti della dignità espicopale, come per es. al CV II hanno partecipato, con diritto di parola e di voto, i superiori degli istituti religiosi e di quelle che allora erano dette “società di vita comune senza voti” (una sorta di istituti religiosi) -> il Papa può determinare con voce e con voto al Concilio Ecumenico anche coloro che non appartengono in senso stretto al Collegio Episcopale (mentre coloro che fa non parte del Collegio Episcopale hanno il diritto e il diritto di parteciparvi). Decretus Cristus Dominus, n. 4: “I vescovi, in virtù della loro sacramentale consacrazione e in gerarchica comunione col capo e coi membri del collegio, sono costituiti membri del corpo episcopale. «L'ordine dei vescovi, che succede al collegio degli apostoli nel magistero e nel governo pastorale, è anche il soggetto di una suprema e piena potestà sulla Chiesa universale: potestà, tuttavia, che non si può esercitare senza il consenso del romano Pontefice». Tale potestà invero «si esercita in modo solenne nel Concilio ecumenico» perciò questo santo Sinodo dichiara che tutti i vescovi, che siano membri del collegio episcopale, hanno il diritto di intervenire al Concilio ecumenico”. Quindi il CV II ricorda che tutti i vescovi hanno il diritto d’intervenire al Concilio Ecumenico e il Cod. Can. ricorda che questo è per i vescovi (che siano in comunione con il capo e con le membra) tanto un diritto quando un dovere (quello di partecipare al Concilio Ecumenico). Gli atti collegiali del Collegio Episcopale per essere dotati di suprema potestà devono essere approvati dal Romano Pontefice in quanto, come ricordato nel Christus Dominus e nella Lumen Gentium, la potestà non può essere esercitata senza il consenso del Pontefice. Per gli atti del Concilio Ecumenico, questi non hanno forza obbligante se non sono stati approvati dal Romano Pontefice, ossia gli atti di un Concilio Ecumenico hanno forza obbligante solo se sono approvati in maniera esplicita dal Romano Pontefice -> Can. 341: “§1. Non hanno forza obbligante se non quei decreti del Concilio Ecumenico che, insieme con i Padri del Concilio, siano stati approvati dal Romano Pontefice, da lui confermati e per suo comando promulgati.” Quindi questi decreti, per avere forza vincolante (per essere giuridicamente rilevanti), devono essere : - approvati - confermati - promulgati Quindi servono 3 atti ugualmente necessari per la vincolatività/obbligatorietà di un atto del Concilio Ecumenico: - approvazione del Pontefice - conferma del Pontefice - promulgazione del Pontefice (atto con cui vengono rese pubbliche le leggi). Atti del CV II -> formula di approvazione usata in questi atti (la leggiamo) -> questi atti sono validi e obbliganti per la Chiesa universale (il Concilio Ecumenico vale per la Chiesa d’Oriente e d’Occidente) vanno approvati (dal Papa), confermati (dal Papa), promulgati (su suo comando). Concilio Ecumenico -> modo di esercizio della potestà collegiale in maniera solenne. ——————————————————————————————————————————— Accanto a questo esercizio della potestà ecclesiale in maniera solenne, v’è anche un esercizio di potestà collegiale in maniera non solenne. Il collegio episcopale ha 2 modi di esercitare la sua potestà: - solenne, nel concilio ecumenico (21 sono stati) - non solenne -> n. 22 Lumen Gentium (CV II): “La stessa potestà collegiale insieme col papa può essere esercitata dai vescovi sparsi per il mondo, purché il capo del collegio li chiami ad agire collegialmente, o almeno approvi o liberamente accetti l'azione congiunta dei vescovi dispersi, così da risultare un vero atto collegiale”. Stessa cosa viene ripetuta nella Christus Dominus e poi dal Cod. -> can. 337.2: “§2. Esercita la medesima potestà mediante l'azione congiunta dei Vescovi sparsi nel mondo, se essa come tale è indetta o liberamente recepita dal Romano Pontefice, così che si realizzi un vero atto collegiale”. Modalità di azione collegiale -> vescovi sparsi nel mondo chiamati ad azione collegiale da parte del Romano Pontefice. I vescovi sparsi nel mondo esprimono la loro volontà ognuno dal posto in cui si trova e queste volontà si uniscono per formare una volontà collegiale -> però perché si possa formare la volontà collegiale, vi deve essere un esplicito atto del Romano Pontefice che chiami ad azione collegiale i vescovi (atto previo che indica un’azione collegiale) o che approvi un’azione collegiale dei vescovi (ratifica successiva del Papà che accolga come azione collegiale quella esercitata dai vescovi sparsi nel mondo). Questa è modalità vincolante ma non solenne di esercizio della potestà dei vescovi. Anche qui l’atto collegiale del corpus episcoporum è necessario che sia approvato/confermato/promulgato dal Pontefice. Anche qui l’atto collegiale è vincolante per la chiesa universale (Latina e orientale) solo se l’atto collegiale stesso è Il collegio episcopale infatti non esiste solo quando è convocato nel concilio ecumenico o quando esercita la sua potestà, sparso per il mondo (chiamato dal Pontefice), ma è un organismo stabile nella Chiesa. Il collegio esiste sempre (è stabile), ma non sempre esercita la sua potestà (esercita la sua potestà solo se chiamato dal Pontefice). ——————————————————————————————————————————— Conferenza Episcopale Organismo, anch’esso permanente, che riunisce i vescovi di una nazione o di un territorio determinato, che esercitano congiuntamente alcune funzioni pastorali per i vescovi di quel territorio. CE sono un modo di rendere concreto l’unità tra i membri del collegio -> modalità di esercizio della collegialità dei vescovi. Decreto Christus Dominus (n. 38): “La conferenza episcopale è in qualche modo una assemblea in cui i sacri pastori di una determinata nazione o territorio esercitano congiuntamente il loro ministero pastorale, per l'incremento del bene che la Chiesa offre agli uomini, specialmente per mezzo di quelle forme di apostolato che sono appropriate alle circostanze presenti”. I vescovi così esercitano in modo congiunto il loro compito pastorale (bisogni pastorali che portano in primis a creare le Conferenze Episcopali). Conferenze Episcopali riuniscono vescovi di un territorio (magari per nazioni piccole dal punto di vista dei fedeli cattolici o degli abitanti o del numero dei vescovi) o di una nazione (es. CEI). Le finalità delle Conferenze sono essenzialmente episcopali. Can. 448: “§1. La Conferenza Episcopale, come regola generale, comprende i presuli (ossia chi è a capo di una circoscrizione) di tutte le Chiese particolari della medesima nazione”. Normalmente, alla Conferenza Episcopale appartengono tutti gli Ordinari (dei luoghi), di ciascun rito, i Coadiutori, gli Ausiliari, gli altri Vescovi titolari. Quindi v’è un’appartenenza dei presuli di tutte le Chiese Particolari, fermo restando che la Santa Sede può stabilire l’appartenenza anche di altri membri alle Conferenze Episcopali stesse. A chi spetta erigere una Conferenza Episcopale? Al Romano Pontefice spetta erigere una Conferenza Episcopale. Quindi spetta unicamente alla Sede Apostolica, sentiti i Vescovi interessati, erigere una Conferenza Episcopale (persona giuridica pubblica all’interno della Chiesa eretta dal Romano Pontefice). Conferenza Episcopale, una volta eretta nella Chiesa, gode di personalità giuridica di diritto pubblico. È quindi uno dei casi in cui la personalità giuridica di diritto pubblico viene attribuita per decreto pontificio. Le conferenze episcopali hanno personalità giuridica di diritto canonico, ma le conferenze episcopali possono avere anche personalità giuridica di diritto civile (es. in Italia la CEI ha personalità giuridica di diritto civile, oltre a quella di diritto canonico -> ex art. 13 L. 222/1985 la CEI ha assunto personalità giuridica di diritto civile quale ente ecclesiastico civilmente riconosciuto). Le conferenze episcopali hanno personalità giuridica di diritto canonico e a volte di diritto civile. Spetta solo alla Suprema autorità della Chiesa (Pontefice), sentiti i vescovi diocesani, erigere/ sopprimere/modificare le Conferenze Episcopali. Appartengono alla Conferenza Episcopale tutti i vescovi diocesani del territorio e i soggetti equiparati ai vescovi diocesani (es. prelati territoriali, che sono equiparati ai vescovi -> pensiamo alla prelatura territoriale di Loreto o Pompei / o l’abate territoriale, come quello di Cassino). Vi appartengono poi i vescovi coadiutori, nominati dal Pontefice che hanno diritto di successione al vescovo titolare della diocesi, i vescovi ausiliari e gli altri vescovi titolari che esercitano sul territorio uno speciale incarico affidato dalla Sede Apostolica o dalla Santa Sede. Ogni CE ha poi i propri statuti, approvati dalla Santa Sede, in cui sono regolate le maniere di esercizio della potestà all’interno della CE stessa. Di solito nelle CE c’è: - un consiglio permanente: organismo stabile di governo della CE - uffici e commissioni che a giudizio della CE contribuiscono più efficacemente al conseguimento delle sue finalità - assembla generale -> che si riunisce solo in certe occasioni Ogni CE ha un presidente e un segretario generale (c’è anche un vicepresidente). Nella CEI il presidente e il segretario generale non vengono eletti (dai membri della CE stessa), ma sono nominati direttamente dal Pontefice (perché la CEI ha una posizione particolare nella Chiesa, in quanto CE del territorio su cui è insita anche la sede apostolica). Assemblea generale CE -> le riunioni plenarie della CE devono tenersi per norma/legge almeno una volta l’anno e ogni qualvolta sia richiesto da speciali necessità. Nelle CE, le decisioni vengono prese a maggioranza (in base al principio maggioritario). Nelle CE ci troviamo davanti a un collegio giuridicamente parlando -> il Pres. della CE è realmente un primus inter pares (non ha quindi una posizione gerarchicamente superiore agli altri membri del collegio). Tra tutti i membri della CE vige una vera uguaglianza. Nelle assemblee generali e nelle riunioni plenarie delle CE, il voto deliberativo compete ai vescovi diocesani e ai vescovi coadiutori e a tutti i soggetti equiparati in jure ai vescovi diocesani -> diritto di voto quindi ai vescovi diocesani (e ai soggetti in jure equiparati ad essi -> titolari di prelature territoriali, abati territoriali e vescovi coadiutori). Gli Statuti possono prevedere che anche i vescovi ausiliari godano o meno di voto deliberativo. Potestà di una CE -> può emanare atti giuridicamente vincolanti (decreti generali) solo nelle materie in cui dispone il diritto universale o su ciò che dice la Santa Sede (emanato motu proprio da questa). Per emanare un decreto generale, che è vero atto avente forza di legge per quel territorio su cui esercita la potestà la CE, è necessario stabilisca questo il diritto universale o se lo stabilisce un mandato speciale della sede apostolica (emanato sia motu proprio dalla Sede Apostolica sia su richiesta della CE). Can. 455 : “§1. La Conferenza Episcopale può emanare decreti generali solamente nelle materie in cui lo abbia disposto il diritto universale, oppure lo stabilisce un mandato speciale della Sede Apostolica, sia motu proprio, sia su richiesta della conferenza stessa”. Oltre quest’ambito la CE è priva di competenza, poiché il contenuto e i limiti d’azione della CE sono delineati dall’autorità suprema nella Chiesa. La CE può legiferare solo se il diritto lo stabilisce (es. in materia di matrimonio -> il Cod. Can. ad es. prevede un’età minima per contrarre matrimonio di 14 e 16 anni per donna e uomo, affidando alle CE la possibilità di stabilire un’età minima per la liceità del matrimonio -> in Italia è 18 anni l’età per la liceità del matrimonio, equiparando l’età Canonica con quella civile) o determinate dalla Sede Apostolica con un atto specifico. In tal caso il mandato speciale/specifico della Santa Sede può essere richiesto dalla CE o può essere un atto motu proprio della Santa Sede senza richiesta della CE. Al di fuori di tali ambiti, la CE non gode d’alcuna potestà. La Santa sede può emanare un mandato speciale sulla materia specifica alla CE -> es. la Santa Sede ha fatto emanare un decreto alla CEI in materia d’amministrazione, su enti e beni ecclesiastici, con mandato della Santa Sede. Consiglio permanente -> organo stabile di governo della CE. 6/11 Collegio episcopale -> natura teologica e giuridica -> esso è soggetto di piena e suprema potestà nella Chiesa insieme col Pontefice -> la potestà del Collegio Episcopale può essere esercitata col consenso del Pontefice (sia nell’attività solenne del Concilio Ecumenico, sia nell’attività non solenne, sparsa per il mondo, chiamata ad azione collegiale da parte del Romano Pontefice). L’esercizio della potestà suprema del Collegio Episcopale costituisce una delle forme della collegialità proprie all’interno della Chiesa. Altro forma di esercizio della collegialità all’interno della Chiesa è quella delle Conferenze Episcopali. Il Collegio Episcopale è di origine/diritto divino, proprio perché succede corporativamente al collegio degli apostoli, ed è quindi un’istituzione di diritto divino positivo. Conferenza Episcopale: sono una modalità d’esercizio della collegialità ma di diritto umano, nel senso che non trovano un fondamento nel diritto divino. In base al Decretus Christus Dominus del CV II sono istituzioni in cui (n. 38) “La conferenza episcopale è in qualche modo una assemblea in cui i sacri pastori di una determinata nazione o territorio esercitano congiuntamente il loro ministero pastorale” -> costituiscono un modo per rendere specifico/concreto e giuridicamente efficace l’affectus collegiale tra i membri del collegio episcopale e rappresentano al contempo una delle parti fondamentali dello sviluppo legislativo previsto dal Cod. Can.. Il fondamento immediato della Conferenza Episcopale si radica nel decreto Christus Dominus e risponde a necessità di tipo pastorale, dato che “In specie ai nostri tempi, i vescovi spesso sono difficilmente in grado di svolgere in modo adeguato e con frutto il loro ministero, se non realizzano una cooperazione sempre più stretta e concorde con gli altri vescovi”. Quindi è un’istituzione voluta dal CV II (anche se è nata prima) -> trova formalizzazione nel CV II e nel Cod. Can.. Cod. Can. ci illumina sulle conferenze episcopali: esse sono un organismo permanente che riunisce i vescovi di una nazione o di un territorio determinato (Conferenza Episcopale Italiana riunisce ad es. tutti i vescovi italiani / mentre la Conferenza Episcopale dei Paesi Baltici riunisce i vescovi di più nazioni, perché si tratta di nazioni con pochi cattolici e pochi vescovi, es. l’Estonia ha solo 2 vescovi e “tres collegium faciunt”). Le Conferenze Episcopali sono persone giuridiche pubbliche nella Chiesa e sono elette dalla Santa Sede sentiti i vescovi interessati -> è il Romano Pontefice che erige una Conferenza Episcopale. Le Conferenze Episcopali, al loro interno, eleggono un presidente e un segretario; tuttavia nella CEI, presidente e segretario sono nominati direttamente dal Pontefice (unico caso in cui gli organi apicali di una Conferenza Episcopale sono nominati direttamente dal Pontefice -> questo per motivi di carattere storico e geografico in quanto la CEI è Conferenza nel cui territorio si trova come enclave la Santa Sede). I membri della Conferenza Episcopale: appartengono di diritto ad essa tutti i vescovi diocesani del territorio e i soggetti ad essi equiparati (es. prelati territoriali o abati territoriali come l’abate di Montecassino o il prelato di Pompei o Loreto -> la loro figura è equiparata a quella del vescovo diocesano). Vi appartengono poi i vescovi coadiutori e i vescovi titolari che esercitano una specifica funzione nel territorio. Vescovi coadiutori: vescovi nominati dalla Santa Sede in una diocesi che abbiano diritto di successione rispetto al vescovo. Esercitano funzioni vicarie del vescovo mentre lo stesso, ossia il pastore ordinario della diocesi, è ancora in funzione. Esercitano funzioni vicarie del vescovo stesso e quando il vescovo viene meno o va in pensione o rassegna le dimissioni, il vescovo coadiutore ha diritto di successione (subentra) rispetto al vescovo che non ricopre più l’ufficio. Vescovi titolari: cioè che hanno un titulus. Nella Chiesa, tutti i vescovi sono consacrati per un ufficio determinato: ossia non si può essere consacrati vescovi senza una funzione specifica da esercitare all’interno della Chiesa. Sono cioè proibite le c.d. ordinationes absolute, ossia le ordinazioni episcopali svincolate dal governo di una diocesi o di una porzione del popolo di Dio. Non tutti i vescovi però sono posti a capo di una diocesi o di un’altra porzione del popolo di Dio: vi sono infatti molti vescovi che pur essendo stati consacrati, non esercitano una funzione pastorale di guida di una porzione del Popolo di Dio (es. vescovi coadiutori, vicari episcopali, vescovi che lavorano nella Curia Romana, ...) -> questi vescovi sono detti titolari, perché essi sono consacrati con un titulus, ossia vengono posti nominalmente a capo di una diocesi, ma di una diocesi che non esiste più, ossia di una diocesi estinta (nella Chiesa vi sono molte diocesi estinte, come quella del Nord Africa, che in passato era territorio largamente Cristiano, che ha dato i natali a Santi come S. Cipriano o S. Agostino / anche l’Asia Minore ha diocesi estinte, ma anche l’Italia). I vescovi che vengono consacrati per un ufficio presso la Santa Sede o perché sono nominati Nunzi Apostolici (ambasciatori della Santa Sede in un certo territorio) -> vengono anche formalmente nominati in base al titulus di una di queste diocesi estinte (diocesi di Cartagine, di Aquileia, ...) -> per questo sono chiamati vescovi titolari. Quindi i vescovi titolari che esercitano nel territorio di una Conferenza Episcopale uno speciale incarico affidato dalla Sede Apostolica o dalla Conferenza Episcopale possono essere membri della Conferenza Episcopale stessa (anche se non di diritto). Organi della Conferenza Episcopale sono: - Consiglio Permanente: organo di governo, assieme alla Segreteria Generale, della Conferenza Episcopale. - Assemblea Plenaria: riunione di tutti i vescovi membri della conferenza episcopale stessa -> dev’essere convocata di diritto almeno una volta l’anno. Competenza delle conferenze episcopali: la competenza è quella indicata dal diritto stesso o da un mandato speciale della Santa Sede. Le conferenze Episcopali hanno una conferenza normativa limitata alle materia previste dal Cod. Can. o qualora vi sia uno speciale mandato ricevuto dalla Gli atti della CEI sono promulgati di solito nel Notiziario della CEI. 9/11 Profili funzionali della struttura gerarchica della Chiesa. Atti di governo (potestà) -> come esercita la sua potestas iurisdictioni (potere esecutivo, legislativo, giudiziario) l’autorità all’interno della Chiesa. Il potere (esecutivo, legislativo, giudiziario) è esercitato nella Chiesa in maniera unitaria -> nella Chiesa non si dà in senso stretto la divisione tipica del nostro ordinamento -> ma all’interno di un’unità di potere, v’è una diversità di funzioni (legislativo, giudiziario, esecutivo) sì che possiamo distinguere, talora più nettamente (quando è chiara la divisione), talora più confusamente (più difficilmente affermare se si tratta di atti appartenenti a quel potere), atti del potere legislativo, atti del potere giudiziario, atti del potere esecutivo. Nella chiesa il potere è unitario -> ossia gli organi di governo e presidenza (in primis Pontefice, Collegio Episcopale, Vescovi) hanno ognuno a suo modo la pienezza di potere legislativo, giudiziario, esecutivo. Vi sono tuttavia atti che possono appartenere nettamente a una di queste categorie. ——————————————————————————————————————————— Atti chiaramente appartenenti al potere legislativo (legge). Così come nella nostra Cost. c’è una parte che si dedica alla formazione delle leggi, così anche nel diritto canonico v’è una parte che si dedica al concetto e formazione di leggi. Non a caso il I libro del Cod. Can. si intitola “De normis generalis” (Le norme generali) -> in queste norme generali c’è tutta una parte appartenente alle leggi ecclesiastiche. Nel diritto canonico abbiamo 3 categorie normative: - legge - consuetudine - atti normativi singolari Consuetudine nel diritto canonico assume un valore normativo rilevante -> addirittura contra legem, differentemente da quanto avviene nell’ordinamento italiano. Il Cod. Can. non prevede una definizione di “legge”, ma vi sono solo alcuni profili definitori da cui si può ricavare il concetto di legge canonica. Il concetto di legge canonica sotteso alla codificazione è quello proprio della tradizione canonistico-teologica della Chiesa -> famoso concetto di legge già formulato (sulla base della tradizione romanistica-filosofica) da S. Tommaso (XIII sec.): ossia “la legge è un’ordinamento razionale rivolto per il bene sociale/della comunità, promulgata da colui che ha la cura/governo della Comunità”. Alcuni caratteri fondamentali della legge canonica: è una ordinatio rationis (ordinamento ragionevole/razionale -> la razionalità nel diritto canonico è un concetto frequente, che ritroveremo in tema di consuetudine). Cod. Can. ne parla di “rationabilitas” in materia di consuetudine. Can. 24: “§1. Nessuna consuetudine, che sia contraria al diritto divino, può ottenere forza di legge. §2. Né può ottenere forza di legge la consuetudine contro o fuori del diritto canonico, che non sia razionale; ora la consuetudine che è espressamente riprovata nel diritto, non è razionale”. Il canone della razionalità fu fissato dalla Decretale Cum Tanto di Gregorio IX. Razionalità (rationabilitas) -> una legge (o una consuetudine) è razionale quando è conforme al diritto divino: razionalità in primis significa conformità al diritto divino (ratio divina). È razionale una legge che è conforme a diritto divino -> nella chiesa v’è un criterio fondamentale di legittimità delle norme e questo è la conformità al diritto divino naturale e positivo. La legge quindi è razionale se è congruente col diritto divino naturale e positivo. La norma è poi razionale quando è congruente coi principi fondamentali canonici in materia -> la norma è razionale quando è congruente coi principi del diritto divino ma anche con quanto il diritto canonico classico ha definito il nerbus disciplinae ecclesiastici (il nerbo della disciplina ecclesiastica -> la radice della disciplina canonica, che la legge viene a completare e precisare). Necessaria congruenza della norma coi principi fondamentali che regolano quella materia di diritto canonico -> serve la congruenza al diritto naturale e al “sistema canonico”/principi fondamentali canonici in materia (non deve essere dirompente del sistema canonico). Dal punto di vista tecnico poi la norma inferiore deve essere congruente con la norma superiore - > ossia vi deve essere un rispetto tecnico di gerarchia delle norme -> in modo che una norma inferiore è razionale se è congruente con una norma di rango superiore (es. norma del Vescovo deve essere congruente con una norma della Santa Sede, la norma della Conferenza Episcopale deve essere congruente con quella della Santa Sede, ...) -> congruenza tecnica. Can. 135.2 -> “§2. La potestà legislativa si deve esercitare nel modo stabilito dal diritto, e quella di cui gode nella Chiesa il legislatore al di sotto dell'autorità suprema, non può essere validamente delegata, se non è disposto esplicitamente altro dal diritto; da parte del legislatore inferiore non può essere data validamente una legge contraria al diritto superiore”. Rispetto del principio di legalità in questo caso. Quindi la potestà legislativa va esercitata in modo conforme al diritto, rispetto del principio di legalità, e la norma inferiore deve essere congruente a quella superiore, ossia principio di legittimità. Quindi l’esercizio del potere legislativo deve essere conforme a (secondo can. 135.2): - principio di legalità: esercitata in maniera conforme a diritto - principio di legittimità: la norma inferiore dev’essere congruente alla norma superiore (non può esserle difforme). Quindi chi esercita una potestà legislativa di rango inferiore deve esercitarla in maniera conforme a quanto stabilito da una norma superiore. A questo riguardo, un procedimento stabilito dall’art. 158 Cost. apostolica “Pastor Bonus” (legge universale, valida per tutta la chiesa, che regola il funzionamento della Curia Romana, ossia gli uffici della Santa Sede, uffici che coadiuvano il Romano Pontefice nell’esercizio di governo della Chiesa Universale) ci interessa. Art. 158 Pastor Bonus (di GP II) -> prevede un vizio di congruenza della norma inferiore con quella superiore -> il Pontificio Consiglio per i testi legislativi (organò cui spetta l’interpretazione delle leggi) esercita una vera e propria funzione legislativa: “A richiesta degli interessati, il Pontificio Consiglio per i testi legislativi decide se le leggi particolari ed i decreti generali, emanati da legislatori al di sotto della suprema autorità, siano conformi alle leggi universali della Chiesa”. Il Pontificio Consiglio svolge così un compito in stile Corte Cost., verificando la legittimità della norma inferiore, ossia la conformità della norma inferiore rispetto alla norma gerarchicamente superiore. Ossia verifica che leggi particolari e decreti generali emanati da legislatori al di sotto della Suprema Autorità, siano o non siano conformi alle leggi universali della Chiesa. Questo è il giudizio di congruenza/legittimità effettuato dal Pont. Cons. Test. Leg. effettuato su richiesta di coloro che ne hanno uno specifico interesse. V’è quindi anche uno specifico mezzo a tutela giudiziaria del principio di legittimità all’interno dell’ordinamento canonico. Una caratteristica della norma all’interno della Chiesa è che deve essere razionale (rationis ordinatio), ove per razionalità si intende la congruenza della norma con il diritto divino naturale e positivo, e in secondo luogo la congruenza della norma coi principi fondamentali canonici che reggono la materia su cui incide la norma canonica e poi la norma deve essere legale (emanata in maniera conforme a diritto, ossia con modalità stabilite esplicitamente dal diritto) e legittima (la norma inferiore non può essere difforme rispetto alla norma superiore -> a questo proposito v’è uno specifico mezzo di tutela giudiziale di congruenza della norma inferiore nei confronti della superiore, attivato da chi ne abbia interesse, davanti al Pont. Cons. Test. Leg.). “Ad bonum commune” -> la norma è sempre normalmente rivolta al bene di una comunità. Normalmente, perché il canonico, a differenza di altri ordinamenti, prevede anche gli atti normativi singolari come eccezione. “Promulgata (la legge) da colui che ha il Governo della Comunità” -> legge è atto tipico del potere legislativo, dei soggetti dotati di potere legislativo (gli organi apicali della Chiesa godono ugualmente di potestà esecutiva, giudiziale, legislativa). La legge può essere: - universale (atti di potere legislativo universale): la potestà legislativa compete al Romano Pontefice e al Consiglio Ecumenico rispetto alla Chiesa universale. La norma universale è competenza del Pontefice o del Collegio Episcopale (sia quando esercita la sua potestà in maniera solenne o meno, sparso per il mondo, chiamato ad azione collegiale dal Papa -> in ambo i casi l’azione deve essere approvata e confermata e promulgata dal Papa stesso, altrimenti la norma non ha valore di legge universale). - particolare (atti di potere legislativo particolare): nei limiti della loro competenza, compete ai Concili particolari per le Chiese particolari comprese nel rispettivo ambito e compete a ogni Vescovo Diocesano rispetto alla propria Diocesi. Il Vescovo Diocesano ha una sua specifica competenza come una loro specifica competenza hanno i Concili Particolari, cioè che riguardano uno specifico territorio. Ha o può avere una sua specifica competenza anche la Conferenza Episcopale. Quindi abbiamo: - atti di potere legislativo universale: competenti sono il Papa e il Collegio Episcopale (sia che eserciti in maniera solenne la sua attività sia che non la eserciti in maniera solenne). - atti di potere legislativo particolari -> spettano al Vescovo Diocesano e agli altri soggetti equiparati ad esso in jure, ai Concili Particolari, cioè che si svolgono per una singola diocesi e per un singolo territorio. Hanno poi una competenza particolare le Conferenze Episcopali per le norme (i decreti generali in particolar modo) riferiti al loro specifico territorio. Legge è atto normalmente astratto, ossia riguarda una generalità di soggetti. “Espresso in una formula fissata mediante la promulgazione” -> promulgazione della legge (lex instituitur cum promulgato). Can. 7: “La legge è istituita quando è promulgata”. Principio presente anche nel Cod. del ‘17. La legge, che deve essere orientata al bene comune, deve essere emanata dalla competente autorità in un testo fissato mediante la promulgazione. Promulgazione -> atto mediante il quale una legge, fissata in un testo specifico, il più conoscibile/facilmente comprensibile, viene rese nota. Il fine fondamentale della promulgazione è quello di sancire in modo inequivocabile sia l’esistenza della legge, sia l’esatta portata dell’atto legislativo. Una volta che la legge viene promulgata, se ne sancisce la presunzione di conoscenza. Forma di promulgazione degli atti -> dividiamo tra: - leggi universali: la forma ordinaria di promulgazione di queste è la loro pubblicazione negli Acta Apostolicae Sedis (Atti della Sede Apostolica), che è una sorta di GU della Santa Sede. A meno che non sia disposto un modo diverso di promulgazione -> è straordinario, ma non raro, che il Papa, per motivi d’urgenza, ordini la pubblicazione nel quotidiano della Santa Sede (ossia “L’Osservatore Romano”), riservandosi successivamente la promulgazione negli Acta. Questo perché gli Acta hanno cadenza mensile e vi possono essere atti che richiedono un’immediata conoscenza e promulgazione data la loro urgenza -> qui la promulgazione avviene attraverso un organo semi-ufficiale della Santa Sede che è il quotidiano della stessa ("L’Osservatore Romano”) -> così questa pubblicazione “straordinaria” avviene in maniera immediata (quotidiana) - leggi particolari: ogni Diocesi e ogni Conferenza Episcopale ha le sue modalità. In Italia, riguardo gli atti legislativi della CEI, v’è un decreto (1983) della Presidenza della CEI che dispone che la promulgazione dei decreti generali della CEI avvenga mediante promulgazione nel Notiziario Ufficiale della CEI. Ogni singola Diocesi ha poi una modalità propria di promulgazione delle leggi stesse. In Italia la promulgazione della legge avviene attraverso la pubblicazione in GU. La promulgazione ha lo scopo di sancire in maniera inequivoca al formula della legge e l’esistenza della legge stessa. L’atto, dopo essere stato promulgato, non è automaticamente vigente, ma v’è un periodo di vacatio legis, ossia v’è un periodo la cui finalità è facilitare la ricezione della conoscenza dell’atto normativo, in cui l’efficacia dell’atto normativo viene sospesa affinché i destinatari ne possano venire a conoscenza e possano effettuare gli eventuali cambi che richiede la norma stessa. La vacatio legis ha il compito di facilitare la ricezione della legge e l’adozione nella vita giuridica della Chiesa di nuovi criteri/cambiamenti imposti dalla sua entrata in vigore. Ad es. in Italia, le leggi pubblicate entrano in vigore il 15º giorno successivo alla loro pubblicazione (periodo ordinario di vacatio legis è di 15 gg. ex art. 73 Cost., salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso / oltre che una promulgazione che deve avvenire entro 1 mese dalla sua approvazione). Nel canonico, il periodo di vacatio legis è normalmente più ampio, ossia di 3 mesi! È logico perché l’ordinamento canonico è, specie per le leggi universali, (universale, ossia non riguarda un individuata sulla base di criteri personali (appartenenza a una comunità -> Chiesa Particolare, Parrocchia, Istituto di vita consacrata, ...) o territoriali. Promulgazione della legge -> atto per venire a conoscenza della legge (permettere l’adattamento dell’ordinamento al nuovo testo normativo). Anche nell’ordinamento canonico, l’ignoranza della legge (o l’errore sulla legge) non si presume -> ossia anche l’ordinamento canonico presume che una volta che la legge sia promulgata e passato il tempo della vacatio legis sia conosciuta dai destinatari passivi della norma stessa. L’ignoranza o l’errore sulla legge non impedisce che la legge sia applicata. A meno che non sia stabilito diversamente dal diritto -> la legge può stabilire una “clausola di salvaguardia” a riguardo ——————————————————————————————————————————— Interpretazione autentica Interpretazione giudiziale e amministrativa La legge ha una sua vita solo se applicata -> il testo normativo va applicato e per applicarlo va interpretato -> quando fu pubblicato e promulgato il Cod. del ‘17, l’idea del legislatore, poi non andata in porto, era quella della centralizzazione dell’interpretazione stessa. Centralizzazione molto forte che prevedeva una impossibilità di interpretare le norme a meno che per l’interpretazione opera un organo appositamente istituito dal Pontefice ossia la Commissione per l’interpretazione autentica del Cod. Can. -> in realtà il diritto veniva interpretato (ogni volta che veniva emesso una sent. da un Trib. diocesano o da un Trib. della Santa Sede; ogni volta che veniva emesso un atto amm. o veniva emessa una legge in un Concilio Particolare, ... la legge universale veniva in realtà sempre interpretata e applicata come interpretata). Il Cod. Can. dell’’83 prevede alcune norme sull’interpretazione (operazione rivolta a precisare il significato della legge affinché possa essere adeguatamente applicata). Si prevedono varie possibilità di interpretazioni: - interpretazione autentica: fa assumere alla legge il suo valore proprio, ossia determina esattamente la portata di quell’atto normativo, che ne assume in maniera inequivoca il valore della norma. - interpretazione giudiziale: - interpretazione amm.: - interpretazione dottrinale: Chi interpreta autenticamente la legge? - legislatore stesso -> legislatore particolare per le leggi particolari e legislatore universale per quelle universali (che interpretano una loro stessa norma che magari non era chiarissima o dubbia nella sua portata ed efficacia). Si afferma “la tale legge significa ...” e si specifica la sua portata in maniera più o meno ampia. L’interpretazione autentica per modum legis presentata a modo di legge ha la medesima forza della legge e dev’essere promulgata -> quindi l’interpretazione autentica per modum legis è in realtà un vero e proprio atto legislativo. Insomma è una norma ermeneutica della norma principale (norma secondaria che accede alla principale interpretandola autenticamente) -> tale interpretazione autentica deve essere promulgata dal legislatore e ha un vero e proprio valore di legge. - da parte di soggetti a cui il legislatore affida questa funzione -> lo fa il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, che ha una funzione istituzionale di interpretazione della legge stessa. Art. 154 Cost. Ap. Pastor Bonus: “La funzione del Consiglio consiste soprattutto nell'interpretazione delle leggi della Chiesa”. Art. 155 Pastor Bonus: “Spetta al Consiglio di proporre la interpretazione autentica, confermata dall'autorità pontificia, delle leggi universali della Chiesa, dopo aver sentito nelle questioni di maggiore importanza i dicasteri competenti circa la materia presa in esame”. Le leggi universali possono essere interpretate dal Pont. Cons. Test. Leg.. Esso può emettere anche un’interpretazione che sia una semplice nota o l’interpretazione può essere approvata dal Romano Pontefice (così che abbia lo stesso valore della legge che viene interpretata) -> un’interpretazione che può essere approvata in forma specifica del Romano Pontefice, nel caso di interpretazione estensiva o restrittiva (non nel caso di una interpretazione dichiarativa/chiarificatrice) -> a rigore le interpretazioni estensiva o restrittiva del testo costituiscono nuove leggi (e in questo caso è richiesta l’approvazione specifica del Pontefice). Al di fuori di questi casi si richiede l’approvazione mediante una mera informazione e mandato di pubblicazione da parte del Pontefice. Questa interpretazione autentica costituisce una vera e propria legge nella Chiesa e ha il suo stesso valore. 2 approvazioni possibili del Pontefice nell’interpretazione autentica del Pont. Cons.: - conferma del Pontefice avviene ordinariamente mediante una semplice informazione e mandato di pubblicazione da parte del Papa (nel caso l’interpretazione, ex can. 16.2, sia interpretazione meramente dichiarativa). L’atto rimane “incardinato” nel Pont. Cons. - se è interpretazione è estensiva o restrittiva del significato della legge, l’interpretazione del Pont. Cons. deve essere approvata in forma specifica dal Pontefice (è più intensa -> il Pontefice fa suo l’atto). Qui il Papa fa suo l’atto del Pont. Cons. ——————————————————————————————————————————— Necessità e urgenza -> es. leggi in tutela dei minori o della privacy sono entrate immediatamente in vigore nell’ordinamento canonico il giorno dopo la loro pubblicazione sugli Acta Apostolicae Sedis (specie norme di tipo processuale). Nel canonico è difficile distinguere tra i 3 poteri -> difficile anche distinguere quindi atti del potere legislativo e del potere esecutivo. Legge canonica ha forse un significato più ampio e onnicomprensivo e generico (che comprende anche le leggi mere ecclesiastiche -> leggi emanate dal legislatore in maniera conforme al diritto canonico). 13/11 Atto legislativo -> legge canonica come atto del potere legislativo. Atto astratto rivolto alla generalità (in questo caso la generalità dei fedeli di rito latino per la Chiesa Cattolica Latina) -> atto espresso in una formula fissata dalla promulgazione (imp. la promulgazione sia per gli atti di legislazione universale sia per gli atti di legislazione particolare). Atti di legislazione universale -> del Papa e del Collegio Episcopale approvati dal Papa. Atti di legislazione particolare -> emanati dal Vescovo o da un altro soggetto dotato di potestà territoriale o personale (può essere Conferenza Episcopale o un prelato personale, ...) La legge, secondo la definizione di Tommaso d’Aquino, sottesa alla normativa di diritto canonico, è una rationis ordinatio ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata, cioè un ordinamento razionale rivolto al bene comune di una comunità e promulgata dal legislatore. Norma che deve essere razionale, cioè congruente al diritto divino ma anche con i principi canonici che regolano la materia -> è necessaria anche una congruenza “tecnica” della norma inferiore con quella superiore. Art. 158 della Pastor Bonus -> è previsto un giudizio di congruenza della norma inferiore con quella superiore, opera del Pontificio Consiglio per i testi legislativi. ——————————————————————————————————————————— Norma canonica. Prendiamo la nostra Cost., l’art. 76 (decreto legislativo / rileggi) e l’art. 77 (decreti legge / rileggi) - > sono i casi di legislazione delegata, ossia i casi in cui la funzione legislativa (potere legislativo) non viene esercitato dai titolari natura sua di questa funzione ma da soggetti dotati di potestà esecutiva su delega di chi è dotato di potestà legislativa. Anche nell’ordinamento canonico sono previste forme di legislazione delegata in modo analogo a quanto previsto dagli ordinamenti civili? Il diritto canonico però non conosce quella chiara distinzione di poteri tra potere legislativo, esecutivo e giudiziario che esiste negli ordinamenti civili, in quanto gli organi apicali (organi di governo e presidenza come il Papa o il Vescovo nella Diocesi) godono ognuno della pienezza dei poteri legislativo/esecutivo/giudiziario. Tanto che per molti atti è difficile discernere dove inizia il potere legislativo, esecutivo e giudiziario. Se mai è possibile distinguere più le funzioni che i poteri: quindi un soggetto esercita la funzione legislativa, la funzione esecutiva, la funzione giudiziale. Così abbiamo un vicario giudiziario che esercita, con potestà ordinaria vicaria, una potestà giudiziaria -> una potestà (che in realtà è una funzione) giudiziaria in virtù dell’ufficio da lui stesso retto. Esiste la legislazione delegata nel diritto canonico. Prendiamo il can. 30 (da leggere in combinato disposto con la Pastor Bonus) -> “Chi gode soltanto della potestà esecutiva non può validamente emanare il decreto generale, di cui al can. 29, a meno che in casi particolari a norma del diritto ciò non gli sia stato espressamente concesso dal legislatore competente, e adempiute le condizioni stabilite nell'atto della concessione”. Norma che ricorda in qualche modo l’art. 76 Cost. It.. Si fa riferimento ai decreti generali -> i decreti generali sono una delle forme che assume la legge nell’ordinamento canonico. Nell’ordinamento canonico la legge assume varie forme -> il legislatore non è necessariamente vincolato a una forma di legge -> v’è una prassi specifica a riguardo, ma nell’ordinamento canonico non rileva tanto la forma della legge quanto il soggetto che ha emanato la legge. Non rileva tanto per la validità ed efficacia della legge o per la posizione nella gerarchia delle fonti la forma della legge, ma piuttosto chi è il soggetto legislatore. La legge, nell’ordinamento canonico può assumere varie forme: - es. il Romano Pontefice può emanare una “costituzione apostolica”, forma di legge per atti solenni come l’erezione di una Diocesi - es. la legge può assumere la forma di decreto generale I decreti generali, ex can. 29, “propria sunt leges” (“sono veramente leggi”) e sono retti dai cann. sulle leggi. Non v’è una forma predeterminata di legge, ma il suo valore nella gerarchia delle fonti è dato dal soggetto che ha emanato la norma stessa. Es. le norme delle Conferenze Episcopali sono spesso anch’esse dei decreti (es. decreto generale sul matrimonio, decreto in materia amm., ...). Can. 30 prevede che chi gode di potestà esecutiva non può emanare validamente decreti generali, a meno che ciò non gli sia stato espressamente concesso dal legislatore competente -> si fa qui riferimento al fenomeno della legislazione delegata, che consiste nel trasferimento, operato dal legislatore, della potestà di emanare leggi su una determinata materia, in casi specifici, a favore di organi dotati di potestà esecutiva -> nel caso italiano al Governo, nel diritto canonico in favore di altri organi dotati di potestà esecutiva (es. organismi Curia Romana). Principi che si evincono dal can. 30 (su cui si fonda la legislazione delegata): - atto di trasferimento delle competenze deve essere esplicito (non può essere implicito). Attribuzione di competenza va effettuata con un atto espresso di delega, in cui dev’essere specificata sia la materia rispetto a cui l’organo amm. può emanare leggi, ma anche le condizioni al cui verificarsi può essere esercitata questa attività legislativa -> vanno specificate materia e condizioni d’esercizio della potestà legislativa. Atti che eccedessero tale competenza sarebbero radicalmente nulli. - le disp. emanate nell’esercizio di questa potestà delegata hanno natura legislativa e quindi sottostanno completamente alla disciplina di diritto canonico per le leggi (cann. 7-22). Questo è quanto prevede circa l’art. 76 Cost. (“L'esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”.). Abbiamo un decreto legislativo nel 76 Cost., ed è una fattispecie molto simile a quella ex can. 30 Cod. Can.. Ma il diritto italiano prevede anche il D.L. (Art. 77 Cost.) -> in casi straordinari di necessità e urgenza, il Governo può emanare provvedimenti provvisori aventi forza di legge che devono poi essere convertiti in legge con una sorta di “approvazione successiva”. Il Cod. Can. sembra prevedere solo la fattispecie dei “D. Lgs.” (Can. 30). Ma vediamo l’art. 18 Pastor Bonus: “I dicasteri non possono emanare leggi o decreti generali aventi forza di legge, né derogare alle prescrizioni del diritto universale vigente, se non in singoli casi e con specifica approvazione del sommo Pontefice”. Art. 18 Pastor Bonus, oltre a estendere la disciplina dei d.lgs. (delega legislativa ai dicasteri della Curia), prevede una nuova modalità per sancire norme aventi forza di legge da parte di questi organismi, ossia un’approvazione specifica successiva del Pontefice e non per delega previa (in casi particolari di speciale urgenza e necessità) -> la Pastor Bonus prevede quello che noi chiameremmo “D.L.”, ossia atto emanato per fare fronte a situazioni che richiedono un intervento di carattere legislativo tempestivo e quindi immediatamente efficace. Requisiti per far sì che la norma consuetudinaria abbia lo stesso valore della legge: can. 25 dice che nessuna consuetudine ottiene forza di legge (parla della consuetudine come norma generale che prospetta soluzioni da cui possono emergere all’interno della comunità che le introduce situazioni giuridiche sia attive sia passive). È una norma generale che richiede l’approvazione -> l’approvazione che richiede il legislatore è quella legale -> cioè si ritiene approvata qualunque consuetudine che abbia i requisiti richiesti dal legislatore. I requisiti richiesti dal legislatore: - la consuetudine deve essere razionale, ossia conforme al diritto divino e ai principi generali che regolano la materia su cui la consuetudine incide. Si considera poi irrazionale qualsiasi consuetudine che sia espressamente riprovata dal diritto. - (vd. Can. 25) deve essere introdotta da una comunità capace di ricevere una legge -> può quindi essere una diocesi, una parrocchia, un ordine religioso, un monastero, ... deve essere insomma una comunità che sia in ogni caso soggetto passivo di una norma (destinataria di una norma) -> questo è dal punto di vista passivo. Dal punto di vista attivo, la comunità che introduce la legge deve avere l’animo inducendi iuris, ossia deve avere l’intenzione di introdurre diritto (ossia la consuetudine deve essere osservata con la volontà/intenzione d’introdurre diritto -> ossia con un atteggiamento rivolto a veder maturare soluzioni razionali e vincolanti a problemi sorti nel seno della comunità). Ci deve essere la volontà di regolare giuridicamente una questione sorta all’interno della comunità -> dev’esserci l’animo di regolare secondo giustizia una determinata situazione. Deve quindi essere introdotta da una comunità capace di ricevere la legge e la stessa comunità deve avere la volontà di vincolarsi giuridicamente mediante quel suo uso ripetuto nel tempo. Quindi il soggetto tanto attivo quanto passivo della consuetudine è la Comunità -> una comunità quindi perlomeno capace di ricevere una legge, osservata con l’animo d’introdurre una norma vincolante. Introdotta da una comunità capace di ricevere diritto con la volontà di ricevere diritto. ——————————————————————————————————————————— La tradizione canonica riconosce diversi tipi di consuetudine: - consuetudine secundum legem (secondo la legge) o interpretativa o ermeneutica -> conforme alla legge, che si dice “interpretativa” della legge. Can. 27 riporta un tradizionale/classico assioma del canonico: “la consuetudine è ottima/la migliore interprete della legge” -> la legge infatti non esiste se non interpretata. Vi sono consuetudini/modi di interpretare e vivere la legge che sono interpretativi/ermeneutici della legge stessa. Come criterio d’interpretazione v’è quella manifestazione della corresponsabilità dei fedeli che consiste nel vivere quanto stabilito dalle leggi della Chiesa. Però la consuetudine deve essere approvata legalmente dal legislatore, è razionale ed è introdotta da una comunità capace di ricevere una norma, con animo di introdurre diritto/di vincolarsi. - consuetudine praeter legem (oltre la legge) -> consuetudine che regola un ambito non regolato da una legge (ossia norme dotate di generalità e astrattezza). Non tutta la realtà è regolata da norme di legge: vi sono anche norme morali che regolano la realtà così come consuetudini che regolano la realtà. La norma nasce dalla vita (si forma o oralmente o in un precetto morale ora in una consuetudine giuridicamente vincolante). Vi sono ambiti in cui non v’è una legge, ma dove la consuetudine ha valore di legge -> certe materie sono regolate solo da una consuetudine (che è al di fuori dell’ambito della legge). Perché una consuetudine praeter legem (al di fuori della legge) ottenga la forza di legge, deve essere osservata per 30 anni continui e completi -> vi deve quindi essere una prescrizione consuetudinaria di almeno 30 anni (in giudizio deve essere provato che la consuetudine deve essere osservata per almeno 30 anni continui e completi, ossia senza interruzioni). Se uno vuole far valere la consuetudine praeter legem in giudizio non deve provare solo la sua razionalità ma anche il decorso del tempo. Mentre il diritto Antico parlava di “prescrizione”, il cod. Can. attuale non parla di prescrizione -> ma si tratta di una prescrizione (non acquisitiva di un diritto soggettivo) formativa di un diritto oggettivo -> non si acquista infatti un diritto soggettivo ma si forma in via consuetudinaria una regola di diritto oggettivo per via consuetudinaria. Consuetudine praeter legem regola ambiti non normati dalla legge canonica. - consuetudine contra legem (contro la legge) -> la consuetudine può essere anche derogativa o abrogativa del diritto vigente a certe condizioni. La legge canonica ha lo stesso valore, nelle fonti del diritto, della consuetudine. Quali sono le condizioni in cui la consuetudine può derogare a un atto normativo? La consuetudine contra legem deve anch’essa essere approvata dal legislatore, razionale, introdotta da una comunità capace di introdurre diritto con la volontà di introdurre diritto (in questo caso derogatorio o abrogatorio) e deve essere prescritta (legittimamente osservata) per almeno 30 anni continui e completi. Anch’essa necessita una prescritio temporis di almeno 30 anni ininterrotti (in giudizio deve essere provata la completezza e la non interruzione per almeno 30 anni). La consuetudine praeter legem può essere revocata, come una legge può essere revocata mediante una legge contraria, così anche la consuetudine praeter legem può essere revocata: - o per mezzo di una consuetudine ad essa contraria (che abbia i requisiti previsti dal legislatore) - o per mezzo di una legge ad essa contraria che revoca espressamente la consuetudine Comunque, la legge non revoca le consuetudini centenarie (almeno un sec. di vita) o immemorabili (vissute da sempre e di cui si è persa la memoria iniziale di quando sono iniziate a vivere) praeter legem -> a meno che la legge stessa non faccia esplicita menzione della revoca esplicita di quella consuetudine, ossia a meno che la legge stessa non dica “con questa legge intendo revocare tale consuetudine centenaria o immemorabile”. Neppure la legge universali possono revocare consuetudini praeter legem particolari. A meno che non sia espressamente previsto. Can. 28 Cod. Can. -> evidenzia la simmetria che c’è tra legge e consuetudine nell’ordinamento della Chiesa. Vi sono leggi canoniche che riportano una clausola che proibisce le condizioni future, ossia una clausola in cui si afferma che contro questa legge non prevale nessuna consuetudine. Quindi vi sono leggi che si tutelano da possibili future deroghe o abrogazioni mediante una clausola specifica. Una legge afferma quindi “una consuetudine non mi può abrogare, ma mi può abrogare solo un altro atto legislativo di pari rango”. Vi sono leggi che si cautelano contro future consuetudini. Tuttavia questa eccezione ha a sua volta un’eccezione: è vero che la legge canonica che contiene la clausola che proibisce le consuetudini future non può essere abrogata o derogata da una consuetudine, ma può prevalere contro questa legge la consuetudine centenaria o immemorabile -> se la consuetudine è centenaria o immemorabile può prevalere contro la legge che si cautela contro future consuetudini. Questo fa capire il forte valore di norma generale dell’ordinamento che ha la consuetudine. Revoca della consuetudine contra legem valgono gli stesi identici principi che valgono per la consuetudine praeter legem. Ossia la consuetudine contra legem può essere revocata solo o da una consuetudine ad essa contraria o da una legge ad essa contraria -> ma a meno che vi sia una espressa menzione nella legge stessa, la legge non revoca le consuetudini contra legem immemorabili o centenarie, né la legge universale revoca le consuetudini contra legem particolari. Anche qui vediamo l’omogeneità tra consuetudine canonica e legge canonica. Requisiti consuetudine: - approvazione legale da parte del legislatore - razionalità (ossia conformità al diritto divino e ai principi canonici fondamentali in materia / la consuetudine non deve poi essere riportata dal diritto). - deve essere introdotta da una Comunità capace di introdurre diritto e con la volontà di regolare normativamente la fattispecie su cui incide l’uso consuetudinario - decorso del tempo (specie in quelle praeter e contra legem) ——————————————————————————————————————————— Interpretazione norma -> il diritto non esiste se non interpretato (e la migliore interpretazione della norma è la consuetudine) -> la legge ecclesiastica non deve essere lettera morta ma deve incidere nella vita delle comunità. Quindi viene elevato a criterio di interpretazione/ermeneutico quella manifestazione della corresponsabilità dei fedeli che consiste nel vivere quanto stabilito dalle leggi universali e particolari della Chiesa. Interpretazione autentica -> opera del legislatore (con uno specifico atto legislativo) o di colui al quale il legislatore ha concesso la facoltà di interpretare autenticamente la legge (da parte di un organismo che è il Pontificio Consiglio per i testi legislativi, che interpreta autenticamente le norme universali del legislatore, oltre ad esercitare una “funzione giudiziaria” quando giudica la norma inferiore con la norma superiore). Interpretazione autentica: opera del legislatore per modum legis -> che ha lo stesso valore/forza della legge e che deve essere promulgata -> può essere dichiarativa, ossia dichiara solamente il senso delle parole (e in questo caso ha anche valore retroattivo). Non ha invece valore retroattivo l’interpretazione che è restrittiva o estensiva della norma stessa -> perché è come se si creasse una nuova norma e la norma, per principio generale, guarda solo al futuro (non è retroattiva). La legge di interpretazione autentica dichiarativa (che non modifica la portata della fattispecie prevista dalla legge come fa la estensiva e la restrittiva) ha un’efficacia anche retroattiva. Le “disposizioni chiarificatrici generali per modum legis” sono emanate solo dal Pontificio Consiglio per i Testi legislativi (queste vincolano tutti i soggetti / è un’interpretazione autentica -> la stessa cosa produce l’interpretazione autentica da parte del legislatore). Interpretazione autentica ha quindi lo stesso valore della legge. Interpretazione attraverso autorità giudiziaria -> attraverso l’interpretazione delle sentt. e dei decreti giudiziari (fatta dal giudice canonico). Interpretazione attraverso atti amministrativi (fatta dall’Amministratore canonico, sia esso il vescovo, il Vicario Generale, ... nel momento in cui emettono un’atto amm. applicativo di una specifica norma primaria o secondaria). I questi casi, le interpretazioni giurisprudenziali ed esecutive/amministrative non hanno forza di legge e riguardano/obbligano solo i soggetti che sono riguardati direttamente o da quell’atto amm. o da quella sent.. L’ordinamento della Chiesa non è come quello di common law -> il precedente giudiziario non vincola i soggetti futuri creando una nuova fattispecie normativa -> la sent. giudiziaria nel canonico, come nel diritto it., vincola solo le parti in causa (come solo le parti in causa sono vincolate dall’interpretazione che l’autorità amm. dà di quella legge o di quel regolamento, tradotto in un atto amm.). L’interpretazione a modo di atto giudiziale o di atto amm. quindi non ha forza di legge e obbliga solo le persone o l’oggetto per cui è stata emanata. Criteri interpretativi: - interpretazione letterale: le leggi sono da intendersi anzitutto secondo il significato proprio delle parole. La prima interpretazione è quindi quella “dichiarativa” -> quindi le leggi ecclesiastiche sono da intendersi secondo il significato proprio delle parole, considerate nel testo e nel contesto in cui sono immesse. Se il testo risultasse ugualmente oscuro o non chiaro si può ricorrere a paralleli o anche all’intenzione del legislatore, ossia si può guardare alla ratio della norma (nel caso in cui le parole rimangano oscure) e all’intenzione del legislatore. - interpretazione dottrinale: come gli studiosi del diritto canonico interpretano una certa norma. Essa può assumere un suo specifico valore. Infatti, nel dubbio, l’interpretazione dottrinale può essere assunta addirittura dal legislatore, come punto di riferimento per le proprie norme. ——————————————————————————————————————————— Decreti generali esecutivi Si è visto come la legge assuma diverse forme e non è il contenuto che determina la forma ma la forma è lasciata alla libertà del legislatore. Forme tipiche sono il “motu proprio” o il “decreto generale”. Decreti generali propriae sunt leges, ossia che sono propriamente leggi (can. 29). Can. 31 -> decreti generali esecutivi: sono le disp. prodotte in virtù della potestà regolamentare da parte di autorità dotate di potestà esecutiva la cui finalità è di specificare/dettagliare la norma generale, per poter essere applicata più efficientemente ed efficacemente ad una comunità. È un atto emanato da un’autorità esecutiva (Vescovo, Vicario Generale della Diocesi, Dicastero della Curia Romana) che ha una potestà esecutiva -> la sua finalità è di determinare più precisamente le modalità di osservanza della legge, entro i limiti della propria competenza, ossia ognuno nell’ambito della propria relativa competenza (ad es. un Vicario Generale di una Diocesi non può emanare un decreto generale esecutivo di una legge universale, ma può emanare solo un decreto generale esecutivo di una norma diocesana). Abbiamo poi anche atti apparentemente amministrativi ma che sono in realtà vere e proprie norme singolari. Il diritto canonico, a differenza di molti ordinamenti secolari (come quello italiano), una L. sul procedimento amministrativo. L’atto amm. viene emanato al termine di un procedimento, ossia una sequenza ordinata di atti finalizzata all’emanazione di un provvedimento amm.: l’atto amm. è sempre atto conclusivo di un procedimento complesso (come nel diritto it.). Il diritto della Chiesa infatti in questo campo ha molto influito sul diritto dello Stato e a sua volta il diritto dello Stato ha influito su quello della Chiesa -> c’è stata interazione tra i 2 ordinamenti. Il procedimento amm. è previsto anche dal diritto canonico pur se non c’è una legge specifica sul diritto amm. come succede nel diritto italiano (L. 241/1990 -> concretizzazione del 97 Cost.). L’ordinamento canonico non ha una legge specifica sul procedimento amm., ma vi sono alcune norme che si possono evincere dai singoli provvedimenti. Partiamo da norme generali sul procedimento (comuni a tutti gli atti amm.) e poi guardiamo alcuni atti amm. specifici. ——————————————————————————————————————————— Procedimento amm.: una serie di atti tramite cui l’autorità canonica viene a definire e manifestare la propria volontà. Da una parte abbiamo il potere esecutivo dell’autorità e dall’altra il provvedimento (manifestazione del procedimento): tra potere e provvedimento (2 momenti statici) v’è la fase dinamica del procedimento amm.. Momenti comuni agli atti amm. dell’ordinamento canonico: - fase iniziale (iniziativa): la struttura del procedimento varia a seconda dell’organo competente ad emanare l’atto, dalla forma dello stesso, dal potere esercitato, ...ma vi sono alcuni elementi comuni. Vi sono procedimenti canonici che richiedono l’iniziativa di parte ed altri emanati motu proprio. Es. can. 48. L’iniziativa può essere quindi motu proprio, ossia su iniziativa dell’autorità competente. Fase di iniziativa: viene avviato il procedimento (o deciso dallo stesso organo competente ad adottare l’atto terminativo, ossia motu proprio/d’ufficio, oppure da un atto d’impulso, proveniente da un privato -> es. chi desidera insegnare religione deve chiedere all’ordinario un’attestazione/petitio d’idoneità all’insegnamento della religione Cattolica / ma la richiesta può provenire pure da un organo pubblico -> es. vescovo che richiede alla Santa Sede l’emanazione di un provvedimento a riguardo, quindi da organo ad organo). Quindi o avvio d’ufficio o su istanza di parte (privata o di un altro organismo). - Fase cognitiva (istruttoria): attività necessarie per valutare gli elementi preponderanti e rilevanti per la decisione finale. L’organo assume tutti gli elementi per poter assumere la decisione, basandosi sia su quanto eventualmente richiesto nell’istanza o nella richiesta sia eventualmente assumendo lui stesso (l’organo decisorio) degli elementi necessari per poter decidere in maniera logica/razionale. A volte può chiedere, se necessario o richiesto dalla norma, un parere ad un altro organismo. Es. il vescovo della diocesi, prima di compiere certi atti di carattere patrimoniale, deve richiedere un parere a uno specifico organismo presso la Curia Diocesana (il Consiglio per gli affari economici) -> senza quel parere l’atto è nullo: qui il parere è obbligatorio (vi sono altri casi in cui il parere è facoltativo). Il parere può essere un momento essenziale della fase istruttoria (parere facoltativo: se l’organo non è tenuto ma lo richiede per una maggior cognizione di causa / parere obbligatorio: se l’organo è tenuto a chiederlo ma non a decidere in conformità ad esso -> se non decide in conformità ad esso deve giustificare il motivo per cui se ne discosta / parere vincolante: il parere è obbligatorio ma vincola anche la decisione dell’organo -> l’organo è tenuto a decidere in conformità ad esso). - Fase decisoria: l’organo competente decide, sul fondamento di quanto raccolto/appurato nell’istruttoria, formula la sua decisione assumendo il provvedimento, ossia adottando l’atto terminale. Can. 48 -> atto amm. singolare prodotto nell’esercizio della potestà esecutiva, sottomesso al principio di legalità (can. 38); qui viene poi fissato un limite negativo: “le quali per loro natura non suppongono una petizione (richiesta) fatta da qualcuno”. L’atto terminale: in sé perfetto, non è sempre e necessariamente subito efficace -> molte volte è necessario un procedimento di integrazione di efficacia. L’atto, una volta emanato dell’autorità è perfetto, ma non necessariamente efficace: abbiamo spesso un procedimento integrativo d’efficacia. Es.: presa di possesso dell’ufficio -> quando viene nominato il vescovo, l’atto è già perfetto ma diventa efficace dal momento in cui il vescovo prende possesso dell’ufficio. Fase integrativa dell’efficacia stessa dell’atto. Diversità tra fase perfezionativa dell’atto e fase integrativa d’efficacia dell’atto stesso (che può anche essere subordinata al tempo o alla comunicazione / es. atti amm. recettizi, ossia validi dal momento che vengono comunicati al destinatario, come ad es. le dispense). Can. 62 (rescritto): “Il rescritto in cui non viene assegnato alcun esecutore, ha effetto dal momento in cui è firmata la lettera; gli altri, dal momento dell'esecuzione”. Se viene assegnato il rescritto a un esecutore è perfetto dal momento in cui viene firmato dall’autorità amm. ma efficace dal momento in cui viene eseguito mediante un’autorità chiamata esecutore; mentre se non v’è un esecutore è efficace dal momento stesso in cui è perfezionato. Quindi nel rescritto: - perfezione ed efficacia, se non deve essere eseguito da un soggetto terzo, coincidono. Per i rescritti che non prevedono esecuzione efficacia e perfezione coincidono. - se deve essere eseguito da un soggetto terzo i 2 momenti dell’efficacia e della perfezione non coincidono. Nel codice del ‘17 si chiamava “rescritto in forma commissoria”: è efficace nel momento in cui gli è data esecuzione. Quindi momento integrativo dell’efficacia può essere successivo a quello dell’esecuzione o può coincidere. Es. atti recettizi: atti che vengono condizionati dalla conoscenza da parte del destinatario o dall’accettazione del destinatario: es. elezione del pontefice dev’essere accettata dal candidato stesso. Ricapitolando: - Fase dell’iniziativa: motu proprio o su istanza privata o su richiesta di altra autorità all’interno della Chiesa - Fase istruttoria - Fase decisoria - Eventualmente fase eventuale integrativa dell’efficacia stessa dell’atto esecutivo L’atto amm. singolare (come i decreti generali esecutivi) è sottoposto al principio di legalità, ossia deve essere conforme a legge (can. 38: “L'atto amministrativo, anche se si tratta di un rescritto dato Motu proprio, è privo di effetto nella misura in cui lede un diritto acquisito oppure è contrario a una legge o a una consuetudine approvata, a meno che l'autorità competente non abbia aggiunto espressamente una clausola derogatoria”). Quindi in realtà v’è una possibilità che l’autorità competente possa espressamente/esplicitamente derogare al diritto (e l’atto amm. può così derogare al diritto) -> non può trattarsi di una deroga presunta in quanto eccezione a un principio generale. Si ritiene comunemente che tale clausola derogatoria del principio di legalità possa solamente essere apposta se l’atto amm. è emanato da un’autorità che gode di tutte e 3 le potestà -> ossia o dal Vescovo o dal Papa o dal Collegio Episcopale (non da organi dotati di sola potestà esecutiva). Chi è titolare della sola potestà esecutiva non ha la competenza, si ritiene, per emanare tali clausole derogatorie (ma è necessario che l’autorità abbia tutti e 3 i poteri come lo sono Papa, Vescovo e il Collegio Episcopale). La norma generale è quindi la sottoposizione al principio di legalità. Can. 48 -> imp. -> mostra come abbiamo un atto amm. singolare sottoposto al principio di legalità, tanto in procedendo quanto in decernendo. Ossia l’atto amm. è sottoposto al principio di legalità sia in procedendo, ossia deve attenersi alle norme stabilite dal diritto per la procedura/ procedimento (nelle fasi del procedimento), sia in decernendo, ossia nella decisione/atto finale conclusivo del procedimento (ossia il provvedimento amm. deve essere conforme alla norma di legge). Atto amm. deve essere sottoposto al principio di legalità sia: - in procedendo: nella fase di confezione dell’atto amm. - in decernendo: nel provvedimento conclusivo del procedimento amm. stesso —————————————————————————————————————————— Il cod., in linea con la tradizione canonica, prevede alcune forme di atto amm.: - decreto - precetto - rescritto Poi c’è anche una forma particolare che è il privilegio Decreto -> è un atto amm. singolare, prodotto nell’esercizio della potestà esecutiva, sottoposto al principio di legalità. È una figura abbastanza generica. Le norme che si riferiscono al decreto si possono applicare quasi a tutti gli atti amm., o almeno a tutti gli atti amm. non tipicizzati nell’ordinamento ecclesiale (come nel caso del rescritto). Contenuto decreto -> esso riguarda decisioni (su un caso concreto) o provviste (conferimento di un ufficio ecclesiastico). In definitiva, ogni tipo di manifestazione di volontà da parte dell’autorità ecclesiastica competente. “Natura sua” (per sua natura), il decreto non richiede una petizione (ma può anche richiederla). Vi sono atti, come il rescritto, che richiedono natura sua una petizione (anzi, possono essere emanati solo con richiesta o istanza di un privato o di un’altra pubblica autorità ecclesiale), ma vi sono atti come il decreto, che non necessariamente richiedono una petizione. Ma anche il decreto può potenzialmente essere richiesto con una petizione -> non è quindi contrario alla natura del decreto che possa essere utilizzato come strumento giuridico per concedere quanto richiesto da qualcuno. Il decreto in se stesso non richiede una richiesta/petizione (può quindi essere emanato motu proprio da un ufficio dell’autorità stessa), ma non è contrario alla sua natura che possa essere utilizzato per concedere quanto richiesto in un’istanza di un privato o da una richiesta di un’altra autorità pubblica nella Chiesa (mentre il rescritto richiede per sua natura necessariamente una richiesta). Precetto singolare (che è una forma di decreto) -> “sottocategoria”/species del genus decreto. Ex can. 49 il precetto singolare è una species del genus decreto. Il precetto singolare è un decreto mediante il quale si impone direttamente e legittimamente a una persona o a persone determinate qualcosa da fare o da omettere, specialmente per urgere l’osservanza di una legge. Quindi il precetto è atto singolare (quindi diretto a una o più persone determinate) e ha una natura prettamente imperativa -> quindi è ordine diretto di fare o di non fare alcunché. È decreto che ha natura imperativa con cui si comanda di fare o non fare qualcosa. Deve essere un ordine legittimo (perché anche il precetto è sottoposto al principio di legalità) sia nel senso che chi impone l’ordine sia l’autorità competente a farlo, poi quanto richiesto dal precetto deve rientrare tra i doveri che la legge canonica impone al destinatario (quindi competenza dell’autorità da una parte e dall’altra la materia specifica, che rientra tra i doveri imposti dal destinatario). Es. superiore di un ordine religioso può imporre il trasferimento da una casa all’altra di un membro di uno stesso ordine religioso, ma non può imporlo al membro di un altro ordine religioso. Es. Vescovo della Diocesi può imporre al suo sacerdote (sacerdote incardinato in una diocesi) un trasferimento di parrocchia, ma non può imporre al parrocco un confessore, perché questo non rientra nella materia di competenza del Vescovo, ma rientra nella materia della libertà del parroco stesso di scegliersi il suo confessore. Il precetto deve essere quindi legittimo: - in quanto chi lo impone deve essere competente sia in ordine alla persona che alla materia - quanto richiesto attraverso il precetto deve essere annoverato tra i doveri che la legge canonica impone al destinatario stesso Il precetto in definitiva si presenta come “ordine concreto” -> si inquadra di solito nell’insieme delle relazioni tra superiore e inferiore all’interno delle dinamiche dell’organizzazione ecclesiale. È sottoposto al principio di legalità, specie perché il suo fine è “urgere all’osservanza di una legge” (anche se non solo ha questa finalità), per richiamare i soggetti che si stanno allontanando dall’osservanza della legge stessa. Il precetto può anche imporre realtà non richieste dalla legge, perseguendo così anche altra finalità -> es. il Cod. Can. fa ampio uso di tale strumento (precetto) in ambito penale (vd. 1314 e 1319 -> si usa ampiamente il precetto amm. quale modalità di sanzionare canonicamente un fedele reo d’aver commesso un reato). Decreto e precetto -> la legge (Cod. Can.) richiede una modalità specifica d’emanazione (una forma obbligatoria) che è la forma scritta e la motivazione. Sicurezza giuridica -> il decreto va emanato per iscritto esponendo, almeno sommariamente, le motivazioni sopratutto se si tratta di una decisione. Soggetto che può emanare rescritto -> ex can. 59 sono le autorità esecutive (che a vari livelli possono emettere questo atto / queste autorità devono trovarsi o sullo stesso livello o su vari livelli). Autorità esecutive al plurale -> perché se nella maggior parte dei casi il rescritto prescrive l’interpellanza posta a una sola autorità amm., possono darsi casi in cui si danno situazioni diverse: casi in cui si richiede per risolvere la medesima questione, l’intervento necessario di 2 autorità diverse coordinate che devono emanare un atto in merito alla medesima materia. Questo su può rinvenire nel can. 609.2: riguardo l’erezione di un monastero di monache (perché questo avvenga però sono necessari 2 rescritti/risposte emanati uno dal vescovo diocesano, che darà il permesso per iscritto per erigere sul suo territorio il loro monastero e dall’altra sarà necessaria la licenza della sede apostolica -> 2 atti coordinati necessari entrambi). In altri casi si parla di autorità esecutiva perché è necessario non solo il rescritto di 2 autorità differenti, ma quello dell’una è condizione necessaria perché una ulteriore istanza possa essere fatta per ottenere il rescritto e l’atto finale -> qui l’obiettivo finale cui si vuole tendere deve essere preceduto da alcuni passi e ogni passo, senza cui non si può compiere il successivo, è dato da una risposta/rescritto dell’autorità amm.. Es. Can. 693 -> indulto di uscita dal monastero di un membro di un istituto religioso che sia chierico dallo stesso istituto: un chierico (soggetto ordinato) deve necessariamente essere incardinato o in una diocesi o in un istituto di vita consacrata -> qualora questi voglia uscire dall’istituto di vita consacrata deve necessariamente essere incardinato in una diocesi -> quindi perché sia concesso l’indulto di uscita (di exclaustrazione) che è l’atto finale/rescritto finale che noi vogliamo raggiungere è necessario avere prima un rescritto intermedio da parte del vescovo diocesano di accettazione di incardinazione. Può darsi però anche il caso in cui un rescritto neghi la grazia richiesta -> chiediamoci se sia possibile che un’autorità conceda la grazia precedentemente negata da altra autorità? I cann. 64 e 65 rispondono a questa domanda -> servono 2 criteri coordinati, ossia il criterio cronologico, ossia la presenza di una richiesta anteriore e di una posteriore (che può concedere quanto con l’anteriore era stato negato), e il criterio gerarchico (se le richieste successive sono state rivolte ad autorità che possono stare sul medesimo rango gerarchico o su differenti piani gerarchici) -> questo per evitare che conflitti di competenza arrivino a creare situazioni d’incertezza di diritto. Can. 64 -> un rescritto negato dalla Santa Sede (dicastero della curia romana) può essere concesso da un altro dicastero? Si parla di dicasteri, perché il Pontefice in persona esula da questo (il quale può/dare/compiere un rescritto -> e in tal caso “Roma locuta, causa finita”). In tal caso è necessario, affinché un dicastero possa concedere validamente una grazia negata in precedenza da un altro dicastero che vi sia: - grazia sia precedente - che, prima di concedere la grazia, si sia sentito il dicastero che l’ha negata - che questo primo dicastero (che prima ha negato) dia l’assenso affinché il secondo dicastero conceda quella grazia In caso opposto si ha un’invalidità dell’atto concesso. Nel momento in cui un soggetto si trova a ricevere una grazia che prima gli è stata negata ma non è stato seguito tutto questo iter, quella grazia è considerata invalida, ossia non usufruibile (ossia senza effetti giuridici). Can. 65 -> quando è un’altra autorità a negare o a dover poi concedere la grazia in seconda istanza. - nel caso si richieda a un Ordinario nel medesimo rango, a questi non è lecito concedere la grazia senza chiedere informazioni (ma non è necessario l’assenso) - nel caso in cui sia di rango differente, anche in questo caso non è necessario l’assenso di questo aspetto Can. 60 spiega chi sono i soggetti passivi -> il rescritto è ottenibile da tutti i soggetti a cui non è stato vietato in forza del diritto -> quindi è un ambito più ampio rispetto a quello che viene ricoperto dal can. 212. Can. 212 -> tratta dei diritti e dei doveri/obblighi dei Cristi fideles (ossia coloro che hanno ricevuto il Battesimo): “§2. I fedeli hanno il diritto di manifestare ai Pastori della Chiesa le proprie necessità, soprattutto spirituali, e i propri desideri”. Più che il diritto dei fedeli, il 212 pone il dovere dei Pastori di rispondere. Can. 60: “Qualsiasi rescritto può essere ottenuto da tutti coloro ai quali non è proibito espressamente di farlo”. Tutti gli uomini possono rivolgersi all’autorità ecclesiastica per ottenere un rescritto -> in senso ampio, è questo ad es. l’applicazione del privilegio in favorem fidei, ossia lo scioglimento del matrimonio naturale (quando es. 2 musulmani sposati tra di loro divorziano e uno di questi 2 vuole convolare a nozze con un cattolico -> perché ciò che possa avvenire, è necessario per estensione del privilegio petrino, che il Papa sciolga quel matrimonio di diritto naturale, cioè che non è Sacramento -> quindi il musulmano a cui questo interessa, può rivolgersi al dicastero competente, ossia la Congregazione della dottrina della fede. Verrà concesso un rescritto, quindi atto amm. singolare in risposta della domanda, a un non Christi Fideles -> questa è un’applicazione concreta del can. 60). Can. 59 (rescritto ha un contenuto particolare): “§1. Per rescritto s'intende l'atto amministrativo dato per iscritto dalla competente autorità esecutiva, per mezzo del quale, di sua stessa natura, su petizione di qualcuno, viene concesso un privilegio, una dispensa o un'altra grazia.” Il rescritto è atto amm. che risponde a un’esigenza particolare. Negli atti amm. è necessaria una causa -> nel decreto singolare è la causa è compiere una “provvisione”, mentre nel rescritto la causa non è individuata dall’autorità ecclesiastica sua sponte, ma la causa è rappresentata da quanto allegato nella richiesta dall’oratore. Nella risposta, l’autorità sarà chiamata ad armonizzare 2 cause: - il bene personale del richiedente - il bene pubblico Cosicché la “causa motiva”, ossia la ragione addotta dal richiedente per ottenere il rescritto (atto amm. di chi si parla), diventa la c.d. causa motivante, ossia la causa che l’autorità fa propria e diventa la motivazione del rescritto. Tuttavia, possono darsi i casi in cui il rescritto sia invalido (ossia veda la sua validità frustrata) -> questo avviene nel caso di obrezione (obrectio), quando la causa motiva allegata dal richiedente è una causa falsa. Infatti è fondamentale che l’autorità possa valutare appieno questa causa. Secondo la dottrina, c’è un altro tipo di cause che possono essere allegate alla domanda, ossia le c.d. cause impulsive, che sono quegli altri altri tipi di motivazione che possono essere addotte dall’oratore/richiedente nel momento in cui propone la domanda e che predispongono l’autorità a una decisione favorevole o contribuiscono in tal senso (sono cause accessorie) -> sono tutti quegli ulteriori elementi di diritto e di fatto che vanno a corroborare (sono quasi delle circostanze). La falsità della causa impulsiva non viene a incidere sulla validità dell’atto, mentre la falsità della causa motiva (o la sua insussistenza) incide sulla validità o meno dell’atto. Il rescritto deve essere emanato per iscritto. Valutiamo il procedimento con cui viene emanato un rescritto. È un procedimento che si compone di vari passi: - inizio - fase istruttoria - conclusione (che poi può anche emanare/debordare in esecuzione) -> a volte conclusione ed esecuzione sono uniti, altre volte sono scissi Inizio (domanda della parte) -> chiunque può impetrare ai propri pastori delle domande affinché possano trovare risposta i propri desideri e le proprie domande. Tuttavia, perché si possa compiere questa impetrazione, è necessario un bisogno che stia alla base. Questa richiesta può poi essere fatta per se stessi o anche per terzi. È possibile che Tizio chieda un rescritto a favore di Caio -> es. benedizioni apostoliche che si trovano nelle case vengono richieste solitamente da alcune persone in favore di terzi (forse è più un sacramentale la benedizione -> ma la concezione è la stessa: io chiedo una grazia, un favore per un terzo, consegnato per iscritto). Una volta ricevuta la richiesta, l’autorità competente sceglierà cosa fare, formerà la propria volontà indirizzandola da un lato o dall’altro. Ex. Can. 63 la volontà si forma attraverso una fase istruttoria (l’autorità qui compie una valutazione): istruttoria ha una finalità principale, ossia evitare che l’atto emanato possa essere affetto da 2 vizi: - subrectio (surrezione): comporta e consiste nell’omissione di taluni elementi necessari cosicché nell’istanza non sia presentato tutto ciò che è necessario conoscere in base a quanto previsto dalla legge -> qui è vero che può anche mancare (che è diverso da tacere/nascondere/ falsificare qualcosa che potrebbe essere utile e necessario per la validità dell’atto: è l’obrezione) un elemento, ma l’autorità può in questo caso provvedere motu proprio a sanare questa mancanza. - obrectio (obrezione): già visto quando parlavamo di “causa motiva” -> qualora vi sia falsità nella causa motiva l’atto risulta invalido. Qualcosa viene nascosto -> contiene un animus doli (il dolo è un inganno perpetrato al fine di ottenere un determinato scopo giuridico o un atto giuridico -> ecco perché la sanzione è diversa). L’autorità poi dovrà raccogliere le informazioni e il materiale necessario per comprendere e valutare le cause motive presentate dal richiedente e dovrà compiere quel bilanciamento di interessi (tra esigenze del fedele ed esigenze pubbliche) che porterà a compiere una scelta o l’altra. Conclusione -> conclusa l’istruttoria, vi sarà l’emanazione dell’atto da parte dell’autorità competente. Tale emanazione che potrà giungere ad esecuzione (esecuzione che può essere scissa dalla conclusione). Momento preciso in cui il rescritto si perfeziona, ossia arriva a conclusione: quando l’atto amm. canonico viene firmato (è il momento della conclusione). Poi ci sarà la fase di esecuzione (che riguarda l’efficacia) -> la perfezione del rescritto si ha con la firma (che comporta l’accoglimento o meno della richiesta, l’aver verificato l’assenza di vizi, ...). La ricezione riguarda l’inizio dell’efficacia, in relazione al momento in cui si producono gli effetti. Can. 62 prevede 2 tipi di forma di efficacia in base al contenuto del rescritto: - per alcuni atti questo avviene immediatamente -> contestualmente all’atto in cui l’autorità pone la forma sull’atto e questo viene emesso. In tal caso l’efficacia sarà da quel momento, perché è il momento in cui viene manifestata ufficialmente la volontà della concessione. - altri rescritti invece iniziano a produrre i loro effetti con efficacia differita: quindi il rescritto è concluso con l’apposizione della firma ma la sua esecuzione/efficacia/esecutività viene dafa quando viene eseguito -> sono i rescritti commissori (o dati in forma commissoria). Per questi rescritti sarà necessario avere un esecutore. Questi rescritti che necessitano un esecutore possono essere: - o meramente esecutivi, cioè quando l’esecutivo ex can. 68 deve solo eseguire sic et simpliciter (così com’è scritto) il rescritto - o possono essere esecutivi misti -> l’esecutore avrà o meno la facoltà di concedere la grazia di cui si tratta (non arbitrariamente, ma alla presenza di certe condizioni). Es. nel rescritto sarà esplicitato: es. rescritto emanato dal dicastero per la dottrina della fede -> i 2 musulmani sposati che chiedono, in virtù del privilegio petrino, lo scioglimento del matrimonio naturale -> la Congregazione scriverà “all’ordinario del luogo di Istanbul (quindi al vescovo di Istanbul) si chiederà di dare esecuzione, verificato che effettivamente la parte che chiede il rescritto debba contrarre matrimonio con persona Cattolica” -> in tal caso il rescritto andrà ad esecuzione solo dopo che l’esecutore avrà valutato tale aspetto Un rescritto può cessare la sua efficacia o dura in eterno? Può essere revocato dall’autorità ecclesiastica solo e sempre nel rispetto della giustizia e fatti salvi i diritti acquisiti. Oppure nella concessione stessa possono essere inserite delle clausole contenenti delle circostanze che determinino ipso facto la perdita dell’efficacia di quel rescritto (cosa che si vede tanto con 2 forme di rescritti ossia il privilegio e la dispensa). ——————————————————————————————————————————— Abbiamo visto il lato formale del rescritto, guardiamo ora il lato contenutistico. Nel lockdown c’è stato un problema con i Sacramenti. La partecipazione domenicale fisica alla Messa è un precetto. Ma in quei mesi l’autorità dello Stato, in accordo con la CEI, aveva stabilito l’impossibilità per i fedeli di partecipare fisicamente alle celebrazioni della Messa. Cosa ha fatto l’autorità per non far cadere tutti i fedeli in situazione di peccato? Ha concesso una dispensa, una sorta di grazia. Ha concesso cioè un atto amministrativo singolare (perché riguardava i fedeli dell’Italia) per un certo tempo, di essere dispensati dal precetto festivo, nella forma ordinaria di partecipazione fisica. Contenuto dei rescritti -> è di solito una grazia, che è una concessione da parte dell’autorità che dà origine a una certa situazione avente rilevanza giuridica ritenuta favorevole. Contenuto dei rescritti -> concessione, da parte dell’autorità ecclesiastica, che dà origine a una determinata situazione giuridica avente carattere favorevole. Questa concessione è caratterizzata Oggetto dispensa -> la dispensa libera da un’urgenza di una legge, ma non tutte le leggi sono dispensabili. Può essere dispensata una legge meramente ecclesiastica -> con questa espressione si vuole escludere dall’ambito della dispensa tutto ciò che ci porterebbe a infrangere la legge divina (perché i precetti divini sono immutabili -> la legge divina è intoccabile, coincidendo spesso con il diritto naturale). Oggetto della dispensa è la legge ecclesiastica (ex can. 86). Can. 86: “Non sono suscettibili di dispensa le leggi in quanto definiscono quelle cose, che sono essenzialmente costitutive degli istituti o degli atti giuridici”. Anche all’interno della legge ecclesiastica ci sono delle leggi che non possono essere dispensate. Es. la legge che porta gli elementi costitutivi di un atto giuridico / di un negozio giuridico non l’ho mai essere dispensata (anche se sono leggi ecclesiastiche). Dispensa -> caratteristica è la sua “particolarità”. La legge infatti è generale -> la dispensa, per sua natura, è particolare -> risponde quindi al requisito di essere singolare -> “singolare” concessa per determinate situazioni. Circa la singolarità, abbiamo 4 tipi di dispensa: - dispensa simplex: quando si riferisce a una persona fisica o morale per il compimento di un solo atto (es. dispensa da un impedimento per contrarre matrimonio -> es. dispensa dall’impedimento di disparitas cultus -> a una persona per un solo atto, ossia solo per quel matrimonio). - dispensa simplex cum tracto successivo (dispensa semplice con tratti successivi): quella dispensa che viene concessa in favore di una persona ma che non si esaurisce in un solo atto (caso) -> es. dispensa da una penitenza o dall’osservanza del magro il venerdì per tutto il tempo in cui dura una malattia. - dispensa multiplex: si dirige a diverse persone, ma in relazione a un solo atto -> es. dispensa dal digiuno in venerdì santo per una parrocchia dove c’è stata una carestia o una catastrofe. - dispensa multiplex cum tracto successivo: è in favore di diversi soggetti, che non si esaurisce in un solo atto (più persone, per più atti) -> es. per tutta una città finché duri una determinata situazione di necessità. Dispensa -> è eccezione alla norma e per questo ex can. 92 dovrà essere interpretata restrittivamente (can. 18 -> le leggi che portano una modificazione di altre leggi, vanno interpretate restrittivamente). L’autorità dovrà quindi favorire l’osservanza della legge generale e non la sua eccezione. L’autorità atta a dispensare -> ex can. 85 la facoltà di dispensare è data a coloro che godono di potestà esecutiva entro i limiti della loro competenza. Questi dispensano sia ipso jure sia per legittima delega. Can. 91 -> qui ci sono per le persone che godono della potestà esecutiva (diverso dal cod. del ‘17 -> mentre in quello del ‘17 era il Sommo Pontefice a dispensare e solo in casi particolari peculiari era l’autorità inferiore, c’è un invertimento nell’’83 -> questo mostra l’elasticità del canonico). Can. 91 -> “chi gode della facoltà di dispensare esercita anche fuori dal territorio verso i suoi sudditi”: ordinariamente, per dispensare dalle leggi universali, secondo il can. 87, oltre al Pontefice, lo possono fare i vescovi diocesani -> solo in determinati casi (come la dispensa dal celibato sacerdotale) può dispensare solo il Romano Pontefice. Quindi potestà di dispensa solitamente dei vescovi, ma in casi particolari il Pontefice. I vescovi però non possono dispensare dalle leggi anche processuali e penali. In casi urgenti, anche i vescovi possono dispensare dalle leggi di cui si è detto (leggi riservate) ma solo in casi urgenti e deve esserci poi anche difficoltà di ricorso alla Santa Sede e da questa attesa può derivarne un danno. Dispensa è atto amm. ed è un rescritto -> quindi ex can. 90 deve avere una causa che la muove e questa cause deve essere giusta (la dispensa non deve ledere alcun bene giuridico e ragionevole -> quindi dev’esserci armonia tra la ratio della legge (salvezza delle anime) e quella della dispensa). Can. 90: “§1. Non si dispensi dalla legge ecclesiastica senza giusta e ragionevole causa.” La dispensa può cessare e consumarsi o col compimento dell’atto (es. dispensa simplex o multiplex concessa per un solo atto oppure permanere per compiere più atti) e può venire meno quando viene meno la causa motiva che l’ha mossa. Oggettivamente, la dispensa è “situazione legittima di non applicazione di una disp. meramente ecclesiastica in un caso particolare” e dal punto di vista soggettivo produce una situazione giuridica di svincolamento da una legge, il cui titolo è l’atto amm. che l’ha concessa. Can. 87 -> ci dice l’autorità che può dispensare ordinariamente che è il Vescovo Diocesano (oltre al Papa), tranne nel caso in cui vi sia una riserva Apostolica. Can. 91 -> nel caso in cui sia il Vescovo Diocesano a dispensare, egli può dispensare i suoi fedeli anche quando è fuori dal proprio territorio (e benché questi siano assenti dal territorio). Es. diocesi di Vigevano fa un pellegrinaggio e vanno tutti negli USA (c’è anche il Vescovo) -> lì un persona chiede una dispensa al Vescovo e lui la può concedere. 27/11 Diritto amministrativo canonico (abbiamo visto varie tipologie di atto amministrativo: decreto, precetto, rescritto). Abbiamo parlato di dispensa e atti normativi singolari. Ricorsi amministrativi -> tutti hanno diritto a ricorrere in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi (art. 24 Cost.). Un atto amm. può non soddisfare chi lo richiede o chi ne è destinatario (anche se non l’ha richiesto, ad es. atti amministrativi motu proprio), per vari motivi. La persona può sentirsi non soddisfatta o sentirsi lesa in qualche modo in una sua situazione giuridica soggettiva. Allora l’ordinamento prevede nel diritto canonico una serie di possibili ricorsi/ rimedi all’atto amministrativo eventualmente lesivo di una situazione giuridica soggettiva del destinatario, o anche di altri soggetti non destinatari ma che possono avere un interesse in quella situazione determinata (creata, modificata, estinta dall’atto amm.). Possiamo esercitare una propria tutela a garanzia di una situazione giuridica soggettiva: nel diritto della Chiesa abbiamo i ricorsi amministrativi che possono essere una modalità per impugnare un atto ritenuto lesivo -> si può esercitare un’opposizione richiedendo la modificazione/estinzione dell’atto che si ritiene lesivo di una propria situazione giuridica soggettiva. I ricorsi tradizionalmente si dividono in due vie: - ricorso gerarchico (o interno): ricorso attraverso gli organi stessi dell’amministrazione. - ricorso giurisdizionale: ricorso dinnanzi al Trib.. In Italia posso ricorrere in via gerarchica (all’organismo superiore dell’amministrazione stessa / anche in opposizione a chi ha emanato l’atto) o in via giurisdizionale (al Tar e poi al Cons. Stato). Anche nella Chiesa abbiamo questa possibilità di ricorrere sia in via giurisdizionale che gerarchica. Tuttavia il ricorso in via giurisdizionale nella Chiesa ha una portata molto più limitata perché nella Chiesa non esiste un sistema di Trib. amministrativi locali, ma esiste un solo Trib. Amministrativo (a livello centrale), a livello di Trib. della Santa Sede -> è il Supremo Trib. della Signatura Apostolica (che esercita anche funzione giurisdizionale in ambito amministrativo). Con un giurisdizione limitata agli atti dei dicasteri della Curia Romana o approvati dai Dicasteri della Curia Romana -> quindi solo con atti gerarchicamente superiori (ossia atti emanato dagli organismi di governo della Santa Sede). Questa è l’unica via giurisdizionale riconosciuta dal diritto canonico. In realtà, nei lavori preparatori del Cod. era previsto qualcosa di più, ossia che si potesse istituire un sistema di tutela anche in via giurisdizionale (in modo ordinario) delle situazioni giuridiche soggettive dei fedeli contro gli atti amministrativi -> ma tutto ciò non si è dato (non si è creato un sistema locale di Trib. Amm., e quindi l’unico Trib. Amm. è quello centrale della Signatura Apostolica). Can. 1445 (parla della Signatura Apostolica): “ §2. Lo stesso Tribunale dirime le contese sorte per un atto di potestà amministrativa ecclesiastica, ad esso legittimamente deferite, le altre controversie amministrative ad esso deferite dal Romano Pontefice o dai dicasteri della Curia Romana e il conflitto di competenza tra gli stessi dicasteri”. Quindi, in definitiva, ha una vera e propria competenza in materia di contenzioso amm., che la porta a conoscere delle seguenti materie: - ricorsi contro atti amm. singolari prodotti dai Dicasteri o da questi approvati - conflitti amm. che le siano conferiti/attribuiti dal Romano Pontefice - controversie amm. che le Congregazioni Romane sottopongono al suo giudizio In ogni caso, la competenza del Supremo Trib. della Signatura Apostolica è meramente di legittimità: ossia non può giudicare sul merito/sostanza della questione ma può giudicare soltanto sulla conformità a legge dell’atto amm. stesso. Vi deve quindi essere una violazione di legge (in procedendo vel in decernendo) nel procedimento o nella decisione. In procedendo: ossia se vi è una violazione di legge nel procedimento amministrativo seguito per emanare l’atto In decernendo: nella decisione presa Solamente in questi casi v’è la competenza del Trib. della Signatura Apostolica. Quindi la sua competenza è limitata alla legittimità in procedendo vel in decernendo dell’atto amm. emanato da un dicastero della Santa Sede o da questo Dicastero esplicitamente approvato. Questa è l’unica forma di ricorso contro l’atto amministrativo in via giurisdizionale che conosce l’ordinamento canonico. La proposta, pur avanzata dai lavori preparatori del Cod. Can., di creare dei Trib. Amm. anche a livello locale fu respinta! Art. 123 Cost. Ap. Pastor Bonus (che disciplina il Supremo Trib. della Signatura Apostolica presso la Santa Sede, riguardo i ricorsi giurisdizionali amministrativi): “§ 1. Inoltre, esso giudica dei ricorsi, presentati entro il termine perentorio di trenta giorni utili, contro singoli atti amministrativi sia posti da dicasteri della Curia romana che da essi approvati, tutte le volte che si discuta se l'atto impugnato abbia violato una qualche legge, nel deliberare o nel procedere (in decernendo vel in procedendo). § 2. In questi casi, oltre al giudizio di illegittimità, esso può anche giudicare, qualora il ricorrente lo chieda, circa la riparazione dei danni recati con l'atto illegittimo § 3. Giudica anche di altre controversie amministrative, che sono ad esso deferite dal romano Pontefice o dai dicasteri della Curia romana, come pure dei conflitti di competenza tra i medesimi dicasteri (v.d. 1445)”. Quindi la Signatura Apostolica ha anche una competenza a risarcire gli eventuali danni prodotti dall’atto illegittimo. ——————————————————————————————————————————— Ricorsi in via gerarchica (non giurisdizionali). Vediamo i suoi requisiti (che in realtà valgono anche per il ricorso giurisdizionale). I ricorsi amm. sono contenuti nel libro VII del Cod. Can., che regola i processi (De Processibus) -> quindi pur non rientrando questa parte (la 5ª) nell’ambito giudiziale, ma in quello prettamente amministrativo. Quindi tutto ciò ci porta a intendere la parola “processus” del libro VII del Cod. Can. non equivalente a quello di iudicium (giudizio), come direbbero i canonisti, ma nel suo significato più ampio riferibile a ogni procedimento formale svolto in contraddittorio sia che riguardi il giudizio, sia che riguardi l’amministrazione -> un procedimento stabilito dalla legge per tutelare diritti e interessi generali o particolari. Can. 1400.2 -> “reliquia” rimasta dei lavori preparatori -> “§2. Le controversie insorte per un atto di potestà amministrativa possono tuttavia essere deferite solo al Superiore o al tribunale amministrativo”. Il Cod. Can. prevede l’istituzione di Trib. Amm., che in realtà mai sono stati istituti. Ricorso contro decreti amm. -> fa parte del Libro VII (dove per processo non si intende solo il iudicium, ma ogni procedimento ordinato ad emanare un atto autoritativa nell’ambito dell’ordinamento canonico). Questa Parte V Libro VII parte con una Sez. “definitoria”. Can. 1732: “Quanto è stabilito nei canoni di questa sezione per i decreti, deve essere applicato a tutti gli atti amministrativi singolari, che vengono dati in foro esterno fuori del giudizio, ad eccezione di quelli emanati dal Romano Pontefice stesso o dal Concilio Ecumenico stesso”. Si ricorda qui che il termine “decreto” è termine generale -> si riferisce a un atto amm. concreto ma quando si usa questo termine si riferisce a qualsiasi atto amm.. I requisiti di questo atto amm. vengono elencati dal 1732: Si può anche conoscere del danno causato dall’atto illegittimo -> ossia risarcimento del danno. Invece i motivi per cui si ammette il ricorso al superiore gerarchico differiscono da quelli proponibili in sede giurisdizionale: vd. can. 1737 (“per un motivo giusto qualsiasi” -> quindi non per solo un motivo di legittimità dell’atto, ossia non solo quando si ritiene che l’atto non sia conforme a legge in decernendo vel in procedendo). Quindi amplissima gamma di motivazioni possibili per il ricorso gerarchico che trova riscontro nel possibile completo riesame dell’atto (anche nei suoi profili di merito). Can. 1739 -> il superiore che giudica il ricorso e non conferma l’atto, può, secondo i casi, non solo dichiararlo nullo (ad es. dopo aver accertato la mancanza di un elemento essenziale o di un requisito postulato ad valididatem) ma può anche rescinderlo o revocarlo. L’autorità, se lo ritiene opportuno, può correggere l’atto o sostituirlo con un altro atto: ossia l’autorità superiore ha una vera e propria potestà sostitutiva. Ricorso gerarchico -> è un rimedio a critica generale (si può esercitare per un qualsiasi giusto motivo, per far valere qualunque forma d’ingiustizia dell’atto come anche la mancata emissione dell’atto stesso). Si può giungere così a chiedere anche un completo riesame del provvedimento impugnato. Non così in sede giurisdizionale (Signatura) -> infatti l’art. 123 della Costituzione apostolica Pastor Bonus (leggi) dice che si può richiedere solo un sindacato di mera legittimità (ha ad oggetto la violazione o la falsa applicazione di una legge sia nel procedimento, e quindi c’è un difetto di costruzione del provvedimento, sia nell’atto singolare amm. stesso, quando vi sia un errore di giudizio dovuto alla riconduzione del fatto dedotto in giudizio a una norma errata -> ossia un error in decernendo). ——————————————————————————————————————————— Come avviene il ricorso amm.? Sono necessari atti prodromici/preparatori. Prima di presentare ricorso è necessario chiedere all’autore dell’atto la revoca o la correzione dell’atto stesso. Quindi è necessario una sorta “ricorso in opposizione” (utilizzando categorie giuridiche italiane), ossia all’autore stesso dell’atto: non è in realtà un vero e proprio ricorso in opposizione ma una sorta di supplica con cui si chiede la correzione o la revoca dell’atto. Una vera e propria supplica -> da presentare entro il termine di 10 gg. dalla notifica dell’atto (all’autore dell’atto stesso -> postulatio/supplicatio. Non si tratta di un ricorso in senso proprio ma di una semplice petitio (richiesta) per cui non è richiesto che siano allegati specifici motivi, e costituisce il requisito previo della presentazione del ricorso. L’autore dell’atto può eventualmente, se lo reputa necessario, rivedere il proprio atto e viene concessa anche all’amministrazione un ulteriore periodo di tempo per predisporre l’eventuale ricorso. Quindi prima di richiedere il ricorso gerarchico è necessario il requisito previo di presentare la richiesta all’autore stesso dell’atto di revoca o di correzione dell’atto, con alcune eccezioni: questa supplicatio (ricorso in opposizione all’autore stesso dell’atto perché lo revochi o lo corregga perché lo ritiene lesivo di una situazione giuridica soggettiva) è requisito previo indispensabile per postulare il ricorso gerarchico, tranne in alcuni casi: - non è necessario per presentare al Vescovo un ricorso contro/avverso decreti emesso da autorità a lui soggette (es. ricorso contro decreto del Vicario Generale; altro es.: in tema di sostentamento del clero un ricorso contro il provvedimento dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero, al Vescovo -> in questi casi non è necessario presentare una previa postulatio all’autore) - non va presentata questa postulatio contro un decreto in cui si decide il ricorso gerarchico -> ossia contro il decreto che decide un ricorso gerarchico. Voglio impugnare la decisione di un ricorso gerarchico? Non necessito della postulatio (non devo richiedere all’autore dell’atto che desidero impugnare la revoca o la correzione dell’atto stesso). Es. se vescovo decide un ricorso da me presentato avverso un atto del Vicario Generale o dell’Istituto per il sostentamento del clero -> avverso il decreto del Vescovo che decide sul ricorso gerarchico (se io voglio impugnare il decreto del Vescovo, innanzi qui a un dicastero della Curia Romana, organo superiore al Vescovo, non è necessario che richieda al vescovo la correzione/revoca del suo atto, con cui ha deciso il ricorso amm.). Es. Istituto diocesano per il sostentamento del clero -> se il sacerdote è insoddisfatto della remunerazione che riceve dall’Istituto per le sue opere a favore della diocesi, può presentare ricorso al Vescovo, e non è necessario che presenti una richiesta all’Istituto di revoca o correzione dell’atto. Il vescovo decide sul ricorso presentato dal sacerdote -> se il sacerdote è ulteriormente insoddisfatto della decisione del Vescovo, può presentare direttamente ricorso all’organo superiore al Vescovo (qui un dicastero della Curia Romana, qui la Congregazione per il Clero) senza che vi sia la necessaria postulazione al vescovo di correzione/revocazione del decreto dal lui emesso. Presentata istanza di correzione -> entro 30 gg. da quando gli è prevenuta questa domanda, l’autore del decreto può emettere un nuovo decreto. Se entro 30 gg. l’autore del decreto a cui si postula la correzione non emette decreto di correzione/revoca dell’atto precedente, iniziano a decorrere ulteriori 30 gg. entro i quali il destinatario dell’atto amm. ritenuto lesivo può presentare istanza all’organo superiore. L’istanza può essere presentata: - direttamente all’organo superiore stesso - o all’autore dell’atto il quale la trasmette all’organo superiore Presentata l’istanza, il superiore è tenuto a decidere. Al superiore che giudica il ricorso spetta: - o confermare l’atto stesso - o può dichiararlo invalido - o rescinderlo/revocarlo - o correggerlo - o sostituirlo con un altro atto Quindi l’organo superiore ha un potere molto ampio per quanto concerne la decisione sul ricorso gerarchico. Legittimazione attiva molto ampia -> il can. 1737 riconosce una legittimazione ampia: “chiunque si ritenga gravato per qualsiasi motivo da un decreto”, purché vi sia un interesse (interesse specifico, attuale, diretto e tutelato, per lo meno in via subordinata, dalla legge -> Supr. Trib. Sign. Ap.) -> se vi è un interesse, qualsiasi motivo legittima l’impugnazione gerarchica dell’atto stesso. Godono di questo diritto sia persone fisiche che giuridiche (tramite il loro rappresentante). Dall’altro, altrettanto ampio è il potere di colui che riceve il ricorso stesso -> infatti esso può riesaminare completamente il provvedimento (non solo chiedere un giudizio di legittimità, ma può anche revocarlo, correggerlo, sostituirlo, ...). La decisione quindi non è limitata alla richiesta del ricorrente, ma riflette quanto il superiore valuta più conveniente per il bene del singolo e per il bene comune ecclesiale (abrogare, sostituire, modificare, ... l’atto). Can. 1739 -> si fa esclusivo riferimento ai poteri del superiore sull’atto amm. impugnato, non facendo alcun riferimento all’eventuale risarcimento dei danni causato dall’atto stesso. Cost. Ap. Pastor Bonus -> art. 123: il Supr. Trib. Sign. Ap., una volta giudicato della legittimità l’atto stesso in procedendo vel in decernendo, può anche giudicare, qualora il ricorrente lo chieda (su richiesta del ricorrente), circa la riparazione dei danni derivanti dall’atto illegittimo -> ossia, nel ricorso giurisdizionale, v’è anche la possibilità di chiedere il risarcimento dei danni causato dall’atto illegittimo. Tale norma, pur riferendosi espressamente alla Sign. Ap., noi la possiamo estendere ai ricorsi avversi ai decreti amm.. Ossia chi richiede una revoca, chi si ritiene leso dall’atto, non solo può richiedere la revoca o la correzione dell’atto stesso ma può richiedere anche il risarcimento del danno, seppure ciò non sia espressamente postulato dal can. 1739 -> la normativa infatti la rinveniamo nell’art. 123.2 Cost. Ap. Pastor Bonus, indirizzata al ricorso giurisdizionale (applicazione analoga). Ma guardiamo anche i cann. 128 e 221 Cod. Can.. Can. 128: “Chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto con dolo o con colpa, arreca danno ad un altro, è tenuto all'obbligo di riparare il danno arrecato”. Qualunque atto giuridico (quindi anche un atto amm., un decreto o una dispensa, ...) che arrechi un danno, mi attribuisce il diritto al risarcimento del danno stesso. Nel momento in cui chiedo la revoca di un atto amm. che ritengo lesivo posso chiedere anche il risarcimento del danno, previsto espressamente per gli atti amm. nel solo caso del ricorso giurisdizionale (art. 123 Pastor Bonus) e implicitamente postulato dal can. 128 anche per i ricorsi amm.. Can. 221: “§1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto”. Il can. riconosce quindi in maniera ampia e generale il diritto alla protezione giudiziale dei diritti per mezzo di un giusto processo, che offra le legittime garanzie (qui un ricorso amm. che possa tutelare il diritto al risarcimento del danno stesso). Postulata quindi in maniera necessaria un risarcimento del danno, previsto direttamente solo per il ricorso giurisdizionale, ma ampliato anche al ricorso amm.. ——————————————————————————————————————————— Silenzio amministrativo Can. 57: “§1. Tutte le volte che la legge impone di dare un decreto oppure da parte dell'interessato viene legittimamente proposta una petizione o un ricorso per ottenere il decreto, l'autorità competente provveda entro 3 mesi dalla ricezione della petizione o del ricorso, a meno che la legge non disponga un termine diverso §2. Trascorso questo termine, se il decreto non fu ancora dato, la risposta si presume negativa, per ciò che si riferisce alla proposta di un ulteriore ricorso.”. V’è quindi una necessità di rispondere entro un termine previsto dalla legge (3 mesi) -> il superiore, che ha un ampio potere, tuttavia deve decidere entro un termine perentorio previsto dal diritto. Così come il ricorso deve essere presentato entro il termine perentorio di 15 gg. utili, così il decidente deve emanare il proprio responso entro 3 mesi dalla richiesta stessa. Trascorso questo termine, se il decreto non è stato ancora emesso, la risposta si presume negativa (perciò si riferisce alla proposta di un ulteriore ricorso). Can. 57 introduce una richiesta di risarcimento del danno -> “§3. La presunta risposta negativa non esime la competente autorità dall'obbligo di dare il decreto, e anzi di riparare il danno eventualmente causato, ex can. 128.” Imp. novità qui nell’ordinamento ecclesiale, poiché si ritiene che l’autorità ha un obbligo di pronunciarsi nel momento in cui un fedele legittimamente richiede che l’autorità si pronunci (sia quando richiede l’emanazione di un decreto, sia quando richiede l’emanazione di un decreto su ricorso). Se l’autorità non si pronuncia, il suo silenzio/inerzia si presume come risposta negativa. Tale risposta negativa non dispensa l’autorità dall’obbligo di comunque emanare l’atto stesso e addirittura di risarcire il danno (il risarcimento del danno viene così inserito in maniera esplicita nel procedimento amm. dal can. 57.3). Il can. 57.3 sancisce anche il principio della responsabilità dell’organizzazione ecclesiastica per i danni che possa causare nella propria attività, evidenziando come il 123 Pastor Bonus si applica in realtà non solo per l’attività giurisdizionale, ma a tutta l’attività della P.A. ecclesiastica. Can. 57.3 -> introduce il silenzio amm. (qui è silenzio-diniego) come c’è in molti ordinamenti civili. Ossia l’ordinamento, con una finzione giuridica, presume che il silenzio della P.A. equivalga a una risposta negativa (o in alcuni casi positiva) innanzi a una richiesta legittimamente presentata da un istante/soggetto legittimato. Se l’autorità non risponde entro il termine di 3 mesi, la risposta si presume negativa (silenzio negativo). Dopo il CV II s’è sempre più venuto chiarendo l’obbligo che il superiore ha di rispondere a quanto richiesto dal fedele (o dalla legge), sia per motivi di stretta giustizia sia perché ci si è reso conto che l’autorità ha una vera e propria funzione di servizio (ha funzione di servizio / l’autorità nella Chiesa è una vera e propria diaconia) -> è un servizio a favore dei fedeli (diaconia). Can. 57.3 -> il silenzio dell’autorità è visto come risposta negativa. Se io presento un ricorso o richiedo un decreto e l’autorità non risponde -> posso “ricorrere “contro il silenzio (è come se il superiore abbia risposto negativamente -> è una negazione/diniego). Quel silenzio è equiparato a un atto amm. negativo -> v’è una finzione di diritto per cui il silenzio è considerato alla stregua di un atto amm. negativo. Can. 57 -> dichiara in maniera esplicita la resp. dell’autorità ecclesiale per i danni causati dal ritardato o mancato esercizio della sua funzione. Ma vi sono alcuni casi di silenzio-assenso (anche se non è prevista come fattispecie generale)-> casi in cui in realtà il silenzio/inerzia dell’autorità di fronte a una richiesta legittimamente presentata equivale non a una negazione ma a una risposta positiva. L’inazione, in certi casi, può assumere il valore formale di provvedimento di accoglimento dell’istanza. Eccezionali situazioni in cui l’ordinamento presume che la risposta sia positiva (per il bene delle anime prevale l’interesse a una rapida e certa definizione della posizione giuridica di un soggetto). In realtà abbiamo una sola ipotesi -> can. 268: “§1. Il chierico che si trasferisce legittimamente dalla propria Chiesa particolare in un'altra, dopo cinque anni viene incardinato in quest'ultima per il diritto stesso, purché abbia manifestato per iscritto tale intenzione sia al Vescovo diocesano della Chiesa ospite, sia al Vescovo diocesano proprio e purché nessuno dei due abbia espresso un parere contrario alla richiesta entro quattro mesi dalla recezione della lettera”. Caso incardinazione -> ogni chierico (sacerdote) deve essere incardinato presso una diocesi, ossia deve prestare servizio in maniera stabile presso una struttura giuridica stabilmente costituita della Chiesa. Es. Can. 1476 (leggi): diritto di azione (e di tutela giurisdizionale) e di difesa spetta a tutti (sia battezzati che non) -> a ogni persona sono quindi riconosciuti i diritti processuali nell’ordinamento della Chiesa (proprio perché è un diritto umano). Can. 1476: “Chiunque, sia battezzato sia non battezzato, può agire in giudizio; la parte poi legittimamente chiamata in giudizio deve rispondere”. Can. 221: “Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto”. Can. 221 -> azione spettante ai fedeli che si reputino lesi in un loro diritto. Il legislatore ha voluto specificare questo diritto di azione e di difesa che compete a chiunque, differenziando da quello che gode ogni battezzato ex can. 221, per 2 motivi (che si evincono dai lavori preparatori al Cod. Can.): - motivo formale: - motivo sostanziale: il can. 1476 riferisce la legittimazione processuale (diritto di azione in giudizio) a ogni soggetto anche non battezzato (è una novità -> il precedente codice non riconosceva in maniera esplicita questo diritto) -> questo perché tra i principia che avrebbero dovuto guidare la nuova codificazione canonica (stabiliti nel Sinodo dei Vescovi del 1965) era infatti previsto solamente che venissero tutelati i fedeli. Invece il Cod. Can. tutela non solo i fedeli in quanti tali ma tutela in maniera esplicita tutti! Ma tuttavia il codificatore ha ritenuto opportuno inserire nel Cod. Can. una norma a tutela esplicita dei soli fedeli (il motivo va ritrovato nella Lex Ecclesiae Fundamentalis, questa sorta di Cost. della Chiesa -> perché quando fu redatta e si decise di non promulgarla perché la Chiesa aveva già una sua Cost., che era il Vangelo, si optò per inserire nel Codex Iuris Canonici alcune norme della Lex Ecclesiae Fundamentali, specie quelle in tema di tutela dei diritti e dei doveri del fedele). L’attuale 221 era tra quelli riportati negli schemi della Lex Ecclesiae Fundamentalis -> in caso di mancata promulgazione di questa, sarebbero dovuti entrare nel Cod. Can. (e questo è successo). Anche perché la tutela processuale dei diritti è un bene da garantire in ogni circostanza. Questa disp. (Can. 221) fu recepita nel Codex del 1983 -> questa decisione di inserire il 221 fu quindi dettata da un motivo sostanziale e da un motivo formale, ossia la mancata promulgazione della Lex Ecclesiae Fundamentalis e la necessità di riportare nel Codice alcune delle norme in tema di tutela dei diritti presenti nella Lex. Il 2º par. del 221 -> questa tutela dei diritti del fedele deve attuarsi secondo i parametri del giusto processo -> ossia diritto a che il processo cui viene sottoposto il fedele si svolga secondo giustizia e con le opportune garanzie. In un discorso alla Rota Romana, GP II disse: “Il giusto processo è oggetto di un diritto dei fedeli e costituisce al contempo un’esigenza del bene pubblico della Chiesa. Le norme canoniche processuali, pertanto, vanno osservate da tutti i protagonisti del processo come altrettante manifestazioni di quella giustizia strumentale che conduce alla giustizia sostanziale”. Anche nella Chiesa v’è un diritto a un giusto processo -> al diritto della parte corrisponde dell’autorità ecclesiale il dovere di ricomporre secondo giustizia una relazioni d’interessi eventualmente violata. Diritto al giusto processo -> che sia esso amministrativo (presso il Trib. della Signatura Apostolica per soli motivi di legittimità) sia ordinario/non amministrativo (per la tutela di propri diritti e interessi legittimi). Diritto canonico prevede anche una serie di processi (ordinario e alcuni speciali, tra cui c’è quello matrimoniale). Il processo matrimoniale è forse quello più diffuso, tanto da assumere la veste di processo ordinario, ma in realtà è un vero e proprio processo speciale. Come speciale è anche il processo penale -> paragrafo 3 can. 221 afferma: “§3. I fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge”. Tale norma riporta il principio di legalità in materia penale canonica (nulla poena sine lege) -> non posso essere sottoposto al processo penale e condannato in un processo penale se non v’è una previa sanzione penale. Tuttavia, nella Chiesa questo principio risulta un po’ sfumato perché in realtà vi sono occasioni in cui l’autorità ecclesiastica può sanzionare un reo anche se non vi sia una previa sanzione prevista, però pur sempre a norma di legge, perché quest’ultima prevede questo ossia che in certi casi ci possa essere una sanzione non previamente determinata dal legislatore. Abbiamo: - processo penale - processo amministrativo - vari processi speciali Tutte azioni in cui un soggetto può agire e difendere, tutelando i propri diritti. Questo è si un diritto del fedele, ma in realtà è un diritto umano che spetta a ogni persona. A ogni persona fisica in quanto tale, per esigenze connesse alla sua stessa natura, è riconosciuta la capacità di essere titolare di diritti processuali nell’ordinamento canonico -> sulla base di questo presupposto saranno riconosciute alle persone in considerazione delle differenti situazioni giuridiche diverse capacità in relazione all’esercizio dei rispettivi diritti. Es. diritto a impugnare il matrimonio non spetta a chiunque, ma vi sono alcuni soggetti soltanto che possono impugnare giudizialmente il matrimonio (in primis i coniugi stessi). Es. Processo amm. -> la Signatura apostolica ha stabilito che, perché vi sia legittimazione attiva a proporre un ricorso, non chiunque può proporre ricorso, ma solo chi si ritiene gravato in un interesse che si presume leso, il quale deve essere personale, diretto, attuale e tutelato perlomeno indirettamente dalla legge -> il danno cioè che si presume di aver subito deve essere causato da un provvedimento efficace e direttamente lesivo di un interesse che appartenga in modo stretto alla sfera giuridica del ricorrente. Inoltre vi deve essere proporzionalità tra la situazione danneggiata e i motivi che hanno dato origine al provvedimento: non è pertanto sufficiente che i fedeli che ricorrono abbiano subito la lesione di un qualsiasi loro vantaggio o utilità -> quindi è imp. anche il principio di proporzionalità. Accertata la sussistenza di tali condizioni (e riconosciuta la legittimazione degli istanti) l’autorità ha il dovere di pronunciarsi sulla domanda proposta. V’è quindi un diritto a cui corrisponde uno specifico dovere dell’autorità, specie all’interno dell’ordinamento della Chiesa dove l’autorità giurisdizionale è tenuta a rispondere. Anche nel processo matrimoniale canonico, si sono stabiliti termini molto brevi di tipo perentorio per l’esercizio dell’azione e della pronuncia da parte del giudice. ——————————————————————————————————————————— Ulteriore ambito di tutela giurisdizionale. Art. 158 Cost. Apostolica Pastor Bonus (1988, regola la Curia Romana): ha istituito un giudizio di congruenza sulle leggi particolari e sui decreti generali (proprie sunt leges) ad opera del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi -> giudizio introdotto su richiesta di coloro che hanno interesse, ossia su istanza di “is quorum interest” (ossia su istanza di coloro che ne hanno interesse). In tal modo ha trovato tutela il principio sancito dal can. 135, secondo cui non può essere emanata dal legislatore inferiore una legge contraria al legislatore superiore. Il procedimento previsto dal 158 non segue la via giudiziaria. Infatti, da un lato, il Pontificio Consiglio per i testi legislativi non è in senso stretto un Trib., ma neppure il suo lavoro è un mero atto interpretativo (non è un giudizio che rientra nella funzione di interpretazione autentica per modum legis ex art. 155 Cost. Ap. Pastor Bonus e can. 16 Cod. Can.). Qui, più che un provvedimento legislativo o giudiziario (fermo restando la difficoltà di disgiungere questi poteri nella Chiesa), abbiamo un atto essenzialmente (anche se non esclusivamente) esecutivo. Infatti il Pontifico Consiglio per i testi legislativi, in tal caso, secondo la più affermata dottrina, agisce come un organo esecutivo e decisorio, ossia come organo essenzialmente esecutivo. Da un lato abbiamo una sorta di ricorso, in quanto si tratta di un’istanza presentata a un’autorità (Pont. Cons. Test. Leg.) anche amministrativa, perché risolva una controversia. Si tratta quindi di un ricorso da un lato limitato alla legittimità (perché ricorso per valutare la congruenza dell’atto di legislazione inferiore con quello di legislazione superiore -> es. atto di congruenza di un decreto generale della Conferenza Episcopale con quello di un atto di legislazione universale) - > ricorso limitato alla legittimità (e non al merito o all’opportunità). In un certo senso è un ricorso ”gerarchico improprio” perché la domanda è interposta non al superiore gerarchico immediato dell’autore della norma, di cui si chiede l’abrogazione o la riforma totale o parziale, ma a un organo diverso (ecco perché ricorso gerarchico “improprio”, perché richiesto a un organo superiore, il Pont. Cons. Test. Leg., che però non è il superiore gerarchico immediato dell’autore della norma). Non è quindi il superiore gerarchico del Vescovo, o della Conferenza Episcopale, o del Concilio particolare (per fare degli es.). È un ricorso poi limitato alla mera legittimità -> il ricorso è poi proposto da chiunque ne abbia interesse (quindi ampia legittimità all’interno della Chiesa di proporre l’azione). Abbiamo ancora un’ampia tutela del diritto di agire e difendersi in diritto -> la Chiesa riconosce ampiamente il diritto d’agire e difendersi in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. Accanto al diritto d’azione abbiamo naturalmente il diritto di difesa (oltre a quello di opporsi in giudizio). Altro diritto fondamentale nella Chiesa -> diritto di difesa (Can. 221: “§1. Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto”). Quindi il diritto di difesa in giudizio (diritto fondamentale stabilito dall’ordinamento canonico) come diritto correlativo al diritto d’azione -> oltre al dovere dell’autorità di emanare una risposta giuridicamente rilevante alle istanze proposte dai soggetti legittimati. Il diritto di agire e difendersi in giudizio, compete anche alle persone morali e giuridiche -> non compete solo alle persone fisiche. Il legislatore canonico però qui compie una dimenticanza -> il legislatore canonico, nel can. 1476, fa riferimento solo alle persone fisiche battezzate, ma anche le persone giuridiche godono della capacità di fare parte, come attore o convenuto, in un processo canonico. Quindi questo diritto si riferisce non solo alle persone fisiche ma anche a quelle giuridiche, cioè alle collettività di persone o di cose erette in persona giuridica all’interno dell’ordinamento ecclesiale (associazione, diocesi, confraternita, ...) -> tutte queste persone giuridiche nell’ordinamento ecclesiale hanno anch’esse la capacità di agire e difendersi in giudizio. Can. 1480: “§1. Le persone giuridiche stanno in giudizio per il tramite dei loro legittimi rappresentanti. §2. Nel caso poi non vi sia rappresentante o sia negligente, l'Ordinario stesso personalmente o tramite altro può stare in giudizio a nome delle persone giuridiche soggette alla sua potestà”. Il diritto di difendersi delle persone giuridiche viene quindi esercitato da chi le rappresenta. Alla mancanza del rappresentante o alla sua inerzia/inattività la norma ovvia con l’attribuzione della rappresentanza all’Ordinario sotto la cui giurisdizione si trova la persona giuridica -> si permette di superare l’inerzia del legittimo rappresentante dell’ente, attribuendo un potere sostitutivo (interviene l’Ordinario diocesano sotto la cui giurisdizione si trova l’Ente, che rappresenta processualmente lo stesso -> vi è una sostituzione dell’autorità negligente). 11/12 Beni temporali della Chiesa -> realtà trattate nel libro V del Codice di diritto canonico -> sono i beni materiali/patrimoniali della chiesa. La chiesa, per raggiungere le sue finalità, ha bisogno, come qualunque organizzazione sulla Terra (anche se la Chiesa è organizzazione spirituale), di beni temporali per raggiungere le proprie finalità. Il nostro è un mondo composto anche di beni materiali -> con questi beni temporali (come li definisce il Cod. Can.) la Chiesa raggiunge i suoi obiettivi/finalità spirituali -> tutti i beni mobili e immobili di cui gode la Chiesa, quest’ultima ne gode nella misura in cui servono a raggiungere i suoi obiettivi spirituali e soprannaturali. La Chiesa utilizza quindi strumenti temporali (beni) così come l’anima usa il corpo per agire e fare il bene/male -> la Chiesa usa i beni per raggiunge i propri fini (can. 1254 Cod. Can. -> leggi). 1254 -> da una parte si afferma la dimensione giuridico-patrimoniale della Chiesa quale società visibile giuridica e teologica che ha il suo fondamento nel diritto divino positivo e in quello naturale. Dall’altra si afferma la strumentalità di questi beni che la Chiesa ha per diritto divino naturale di possedere e amministrare -> questi beni la Chiesa ha il diritto di possederli e amministrarli nella misura in cui sono utilizzati per raggiungere le finalità proprie della Chiesa stessa. Al par. 2 can. 1254 si dice che i fini propri della Chiesa sono: ordinare il culto divino, provvedere a un onesto sostentamento del clero e degli altri ministri, esercitare opere di carità e di apostolato sacro (specialmente a servizio dei poveri). 1254.2 elenca i fini propri della Chiesa per il cui conseguimento sono preordinati i beni temporali. Norma che deriva dal Conc. Vat. II (dal decreto Presbiterorum Ordinis). L’ordine dell’elencazione, secondo la maggior parte della dottrina, non significa un ordine di priorità -> es. nel caso in cui il patrimonio non sia sufficiente a raggiungere tutte le finalità non si deve seguire per forza l’ordine determinato nel Cod. (è autorità ecclesiastica per far valere anche a livello civile l’eventuale invalidità del negozio canonico. La Chiesa ha il diritto di possedere, amministrare, gestire beni ma tutto deve essere fatto in coerenza con le finalità di tipo spirituale della Chiesa stessa -> non vi può essere una gestione aliena da queste finalità. Tutte quelle attività che non siano congruenti con le finalità spirituali e pastorali proprie della Chiesa non possono essere autorizzate dell’autorità ecclesiale. Regime giuridico persone giuridiche private -> regolato in autonomia dallo statuto di ciascuno di esse (conosce solo i limiti stabiliti dal Cod.). Gli statuti stessi saranno però approvati nella misura in cui prevedano norme di gestione sui beni stessi che permettano la gestione di quei beni in linea con le finalità spirituali della Chiesa stessa -> altrimenti sarebbero statuti illegittimi per contrasto alle norme del Cod. Can.. ——————————————————————————————————————————— Remunerazione parroci -> con l’Accordo del 1984 ricevono una remunerazione dall’Istituto per il Sostentamento del Clero (istituti creati a livello diocesano ed eretti in persona giuridica sia canonica che civile, la cui funzione è remunerare i sacerdoti e parroci che prestano servizio presso la Diocesi). Un remunerazione che è solo eventuale (non si chiama retribuzione perché non è controprestazione di un’attività svolta professionale) -> è l’eventuale remunerazione per potersi sostenere onestamente prestando un servizio diaconale e pastorale a servizio dei fedeli cattolici all”interno della Diocesi. È solo eventuale -> perché se percepisce altre retribuzioni perché ad es. è professore di religione in una scuola o è giudice del Trib. Ecclesiastico, non percepirà remunerazione o la riceverà nella misura in cui non si raggiunge un minimo stabilito dalla CEI (se non viene percepito questo minimo di remunerazione, interviene l’istituto per reintegrare parzialmente o totalmente il reddito stesso -> con attività di tipo remunerativo). Il sacerdote ha diritto a questa remunerazione quindi. La Parrocchia, in quanto persona giuridica, si gestisce solo con le offerte dei fedeli. 8/02 Diritto canonico -> in materia di matrimonio, le norme discendono dalla disciplina matrimoniale e dalla dottrina teologico-morale della Chiesa, che assume qui un valore giuridico perché regola questi aspetti. Delicta graviora -> c’è un cap. sul libro del Bettetini. Tit. VII Libro IV Cod. Can. (il libro IV è quello che riguarda i Sacramenti). In questo titolo si sistematizza tutta la materia matrimoniale -> materia che è stata riorganizzata nel passaggio tra il Codice del ‘17 (Piano Benedettino) e il Codice dell’’83. Differenze tra i 2 codici: - Codice del Piano Benedettino (‘17): vi era un libro 3º trattante le “rebus” in cui, in una Parte Iª si trattava dei Sacramenti e al cui Tit. VII si trattava del matrimonio. Dopo il Codice del ‘17 e prima dell’’83 c’è stato il Concilio Vaticano II (in cui è stata data una svolta personalistica al diritto canonico -> infatti il Codice dell’’83 è considerato l’ultimo documento conciliare). In virtù di questa svolta personalistica non si usa più la tripartizione giustinianea nella ripartizione del Codice ma si usa i c.d. “munera ecclesia” (ossia le facoltà che la Chiesa esplica nel proprio annuncio evangelico) -> circa il “munus santificandi” (compito/ministero di santificare) rientrano i Sacramenti (quindi Libro IV -> nella prima parte si tratta dei Sacramenti, mentre nella seconda parte si tratta dei Sacramentali -> anche qui nel Tit. VII si tratta del matrimonio, con 111 canoni). Capp. del Libro IV, parte VII Dopo una serie di canoni introduttivi che spiegano cosa sia il matrimonio, abbiamo una serie di canoni (dal 1063 al 1072) che trattano della “cura pastorale” di coloro che devono contrarre matrimonio (aspetti preliminari da premettere alla celebrazione). Il Cap. IIº tratta degli “impedimenti dirimenti in genere” (situazioni di diritto o di fatto che impediscono a determinati soggetti di celebrare validamente il matrimonio -> impedimenti e vizi di consenso, e poi si spiega come vengono trattati e chi può dispensare dagli impedimenti e che cosa è un impedimento, ossia una legge irritante, che rende una parte inabile a contrarre validamente matrimonio). Cap. III (cann. 1083-1094): impedimenti dirimenti in specie (impedimento di età, di consanguineità, di vincolo, ...) Cap. IV: fulcro del matrimonio -> consenso matrimoniale e i suoi vizi (can. 1057 -> a fondare/ creare il matrimonio è il consenso). Cap. V (cann. 1108-1123) -> tratta di come questo consenso, perché sia valido, debba essere esternato sia la forma della celebrazione Cap. VI (cann. 1124-1129): matrimoni misti -> il matrimonio è un diritto naturale innato in tutte le persone, quindi la Chiesa pensa anche a regolare i casi in cui c’è un matrimonio celebrato tra un battezzato celebrato nella Chiesa Cattolica e da un non battezzato (appartenente totalmente a un’altra religione) o a un battezzato in una Comunità ecclesiale che non sia la Chiesa Cattolica. Cap. VII: matrimonio da celebrarsi in segreto Cap. VIII (cann. 1134-1140): effetti del matrimonio -> dalla celebrazione valida del matrimonio scaturiscono determinati effetti (es. coabitazione, obbligo della fedeltà, indissolubilità del matrimonio, ...) Cap. IX (cann. 1151-1155): tratta della possibilità della separazione dei coniugi -> la Cheisa infatti permette la separazione dei coniugi manente vinculo (il vincolo permane) a determinate condizioni e per determinati scopi. Cap. X (cann. 1156-1165): c.d. convalidazione del matrimonio -> qualora il matrimonio sia stato celebrato invalidamente (o perché presente un vizio del consenso o un impedimento), questo matrimonio può essere convalidato ed assurgere a valore giuridico canonico? Vi sono anche casi particolari in cui il matrimonio può essere sciolto dall’autorità papale (es. matrimonio rato e non consumato o la grazia dello scioglimento del vincolo in favor fidei). ——————————————————————————————————————————— Matrimonio canonico: molte volte parliamo di matrimonio-sacramento, perché non è così automatico che sempre il matrimonio celebrato secondo la forma canonica prescritta o celebrato di fronte alla Chiesa sia un sacramento. Infatti, benché la sistematica del Cod. prevede la trattazione dell’istituto del matrimonio all’interno del Tit. VII Libro IV (ossia trattandosi dei sacramenti), il legislatore non si limita qui a fornire delle norme che riguardino unicamente il matrimonio-sacramento (infatti ne è la prova che alcuni canoni non comportano per nulla la nozione di sacramento come nel caso del can. 1086 o 1117, che parlano dei matrimonio celebrati tra un battezzato e un non battezzato). Anche il can. di apertura del Tit. VII (1055), nel descrivere la realtà matrimoniale, evidenzia che questo è un istituto di diritto naturale ma non è sempre un sacramento, ma lo è solo qualora sia celebrato tra 2 persone battezzate. Quando parliamo di battezzati non ci riferiamo esclusivamente ai fedeli cattolici: con “battezzati” intendiamo i Cristiani, ossia coloro che hanno ricevuto il sacramento del Battesimo. Quando parliamo di non battezzati intendiamo sia gli atei, sia gli appartenenti alle altre religioni diverse da quella cristiana (ossia che non credono in Cristo -> islamici, induisti, buddisti, ebrei, ...). I Cristiani infatti si dividono in confessioni cristiane diverse: es. nel 1054 c’è lo scisma d’Oriente da cui discendono gli ortodossi (noi siamo cattolici romani) / 1517 (Wittenberg) nascono i Luterani: queste sono ”confessioni” ma tutti sono accomunati dal Battesimo (e quindi tutti sono definiti Cristiani). Cristiani (cioè coloro che credono che Gesù è il Figlio di Dio / i non battezzati non credono in questo) sono battezzati, quindi ci si riferisce a calvinisti, luterani, battisti, ortodossi, ... Quindi dividiamo tra battezzati cattolici e battezzati acattolici. Distinguiamo tra - matrimonio-sacramento: si dà solo quando celebrato tra 2 battezzati (es. matrimonio tra cattolico e protestante). È sacramento il matrimonio anche quando una parte è battezzata cristiana acattolica. - matrimonio canonico: quando celebrato tra un battezzato e un non battezzato (anche se è fatto a norma del diritto canonico / ma non è sacramento). È comunque regolato dalla normativa canonica (cann. 1086.1, 1125, 1126 e 1117 riguardo alla forma) -> anche se non è un matrimonio sacramentale. Parliamo di matrimonio canonico perché il can. 1059 ci dice che il matrimonio è regolato dalle leggi canoniche anche se solo una delle 2 parti è Cattolica, indipendentemente dal fatto che questa sia protestante o musulmana. 1086: qualora si parli di matrimonio tra battezzato e non battezzato si parla di impedimento di disparità di culto. Impedimento di disparità di culto: si dà quando ci troviamo di fronte a un matrimonio tra un battezzato e un non battezzato. Le 3 prospettive in cui uno dei 2 coniugi non è battezzato possono d’un tratto subire un mutamento: questo mutamento si dà con l’atto del battesimo del coniuge non battezzato nel momento in cui i 2 si sposano. Tizio, cattolico, si sposa con Caia, musulmana: il loro è un matrimonio canonico naturale. Caia a un certo punto riceve il battesimo: a quel punto il loro matrimonio diverrà sacramento. Matrimonio canonico quindi non corrisponde a matrimonio sacramentale. ——————————————————————————————————————————— Matrimonio attentato (cann. 1085, 1087, 1088) -> è quel matrimonio celebrato invalidamente per la cattiva fede di uno o entrambi i contraenti. Perché ci si può trovare davanti a un impedimento cosicché ci si trova di fronte ad un matrimonio civile o per un impedimento consistente nella presenza di un precedente vincolo (es. io sono sacerdote -> qualora io volessi sposarmi con un’altra donna e andassi da un parroco che non mi conosce e celebrassi il matrimonio -> oltre a commettere un delitto per cui potrei essere punito dopo un processo, compirei un matrimonio attentato, perché quel matrimonio per impedimento non è valido canonicamente). Insomma, qualora uno si sposi sapendo di essere in stato di impedimento matrimoniale (es. essendo prete, qualora mi sposassi, il mio matrimonio non sarebbe valido per l’impedimento di ordine sacro) -> se mi sposo lo stesso, il matrimonio che io contraggo è un matrimonio attentato (perché non è valido). O un altro si sposa con un impedimento di vincolo, perché è già sposato con un’altra persona (celebra un matrimonio invalido) -> es. uomo argentino si sposa canonicamente con donna argentina: ha conosciuto in Italia una signora equadoregna nubile (stato libero) -> i 2, contraffacendo il certificato di battesimo di lui dove era scritto di questo matrimonio, si sono sposati canonicamente: il loro matrimonio è attentato, non solo non valido ma celebrato invalidamente con la coscienza che questo matrimonio fosse invalido. Matrimonio dei Cattolici (matrimonium cattolicorum): matrimonio celebrato secondo la forma canonica da 2 appartenenti alla Chiesa Cattolica. E da questo si differisce il matrimonium cristianorum, che è il matrimonio celebrato tra 2 Cristiani (battezzati) che non appartengono necessariamente entrambi alla Chiesa Cattolica. Matrimonio civile -> matrimonio celebrato in sola sede civile Matrimonio invalido -> collegato a quello attentato, ma nel matrimonio invalido ci può essere la non coscienza della sussistenza dell’impedimento. Ultima distinzione -> ha come spartiacque il momento genetico del matrimonio (ha ad oggetto il consenso): - il matrimonium in fieri, ossia il matrimonio che si crea in divenire che sta a indicare il momento costitutivo del consenso -> l’atto giuridico che dà vita all’unione tra uomo e donna che è lo stato coniugale - il matrimonium in facto -> ossia quello che è il frutto del matrimonium in fieri -> ossia la vita coniugale Questa distinzione la vedremo in un vizio del consenso -> can. 1095.2 (grave difetto di discrezione di giudizio, che riguarda il matrimonium in fieri) e il can. 1095.3 (incapacità di assumersi le obbligazioni coniugali essenziali, che riguarda il matrimonium in facto esset). Differenza tra matrimonio rato e matrimonio rato e consumato: - matrimonio rato: matrimonio celebrato e valido tra 2 battezzati (quindi Sacramento) -> questo matrimonio può essere sciolto per grazia dal Romano Pontefice (perché non v’è stata consumazione). Il matrimonio ha un sé 2 fini: - bene dei coniugi - bene della prole Questi 2 fini vengono definiti “finis operis” ossia “fini dell’opera in se stessa considerata”. Questi “fini dell’opera” diventano anche quello che è l’atto genetico del matrimonio -> ossia l’oggetto del consenso. Il can. 1057.2 infatti dice: “§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio”. Questo donarsi reciprocamente l’uno all’altro rappresenta il fine dell’opera, ossia il dono di sé -> comporta anche la nascita della prole. In tal senso si parla di “matrimoniale foedus”, ossia di patto matrimoniale. Ulteriore elemento -> nel can. 1055 viene detto che il matrimonio, quando celebrato tra 2 battezzati diventa, per suo stesso fatto, un sacramento -> ecco qui che il consenso matrimoniale diventa, qualora celebrato tra uomo e donna battezzati, nel suo elemento costitutivo (già a partire dalla sua nascita), un Sacramento -> quindi non si può dare matrimonio tra 2 battezzati che non sia per se stesso un Sacramento -> di qui deriva 2 conseguenze: - chi è il Ministro del Matrimonio? Sono le parti/coniugi! Il sacerdote è solo il teste qualificato: perché il sacerdote non può esprimere lui il consenso per altre persone. La stessa azione dei coniugi rende il matrimonio sacramentale valido! - matrimonio tra un battezzato e un non battezzato non sarà Sacramento ma semplice matrimonio canonico. Matrimonio è un patto che ha la sua origine/causa nel consenso manifestato dalle parti (la sua causa efficiente). La sua causa finale (fini) è il bene dei coniugi e il bene della prole. Can. 1056 -> proprietà essenziali del matrimonio. È caratterizzato poi da 2 proprietà essenziali, descritte dal 1056 -> unità e indissolubilità. - unità: consiste nel fatto che il matrimonio canonico è possibile solo tra un solo uomo e una sola donna che diventano così marito e moglie. Questa proprietà corrisponde alla caratteristica detta “monogamia” -> esclusione di ogni forma di poligamia o poliandria. Unione quindi solo tra un uomo e una donna. - indissolubilità: quella proprietà per cui un vincolo validamente costituito non può essere sciolto. Guardandola in positivo, l’indissolubilità esprime la perpetuità del legame coniugale e comporta l’impossibilità di sciogliere il vincolo tramite il divorzio. Conseguenze giuridiche dell’unità -> se noi affermiamo che essa è una proprietà essenziale del matrimonio, riguarda questo aspetto, lo stesso atto costitutivo del matrimonio, cosicché, per avere efficacia giuridica la celebrazione del matrimonio e l’esternazione del consenso deve essere già un consenso unico -> mai un uomo si potrà sposare con 2 donne (né simultaneamente, né seguentemente, a meno che la prima unione non sia stata dichiarata nulla e quindi non vi sia stato matrimonio o vi sia stato scioglimento da parte del Romano Pontefice o una delle 2 parti sia venuta meno). Infine è da considerarsi incapace di emanare un valido consenso chi non è in grado di assumersi questa proprietà: come la unità può andare ad inficiare il consenso matrimoniale, qualora sia esclusa l’unità o la fedeltà (esclusione del bonum fidei) oppure qualora la persona non sia in grado, per ragioni di natura psichica, a vivere questo aspetto. Il cod. parla delle proprietà (unità e indissolubilità) senza specificare ulteriormente. Noi però, circa l’indissolubilità, possiamo dividerla in 2 aspetti: - indissolubilità intrinseca: impossibilità di sciogliere il vincolo coniugale sia da parte di coloro che l’hanno costituito (coniugi), sia da parte della pubblica autorità umana. Ma non si esclude però che questo vincolo possa essere sciolto da altre cause, ossia quella che è considerata l’autorità divina che si esprime attraverso il Romano Pontefice (in certi casi il matrimonio può essere sciolto -> rato e non consumato / in favor fidei) - indissolubilità estrinseca (“assoluta”): comporta l’impossibilità di scioglimento del vincolo da parte di qualsiasi autorità umana (perciò è detta “assoluta”) Conseguenze giuridiche dell’indissolubilità del matrimonio sono già nell’atto costitutivo del matrimonio si dice che si darà un foedus irrevocabile (viene detto già nel 1057.2). Il matrimonio sarà così nullo se, nonostante la legittima manifestazione del consenso, una sola delle 2 parti o entrambe escludono di voler stare insieme per tutta la vita -> esclusione dell’indissolubilità o del bonum sacramenti. ——————————————————————————————————————————— Can. 1057: “§1. L'atto che costituisce il matrimonio è il consenso delle parti manifestato legittimamente tra persone giuridicamente abili; esso non può essere supplito da nessuna potestà umana”. Significa che il consenso, perché abbia effetto, dev’essere pronunciato da persone a cui non sia stato proibito espressamente dal diritto (iure abilis) -> ricorda cann. che si riferiscono a impedimenti (ossia che non ci sia nessuna norma divina, naturale, ecclesiastica che consideri determinati soggetti incapaci di prestare valido consenso). “Legittimamente manifestato” -> non è sufficiente che Tizio e Caia nel segreto della loro stanza si accolgano come moglie e marito (se lo dicano tra di loro) -> è necessario invece che questo consenso sia manifestato secondo la forma canonica (can. 1108) così come è stata richiesta dal diritto. “Nessuna potestà umana vi può supplire” -> non vi è nessuno che può prestare il consenso qualora questo manchi, al posto degli sposi (diverso è il caso del matrimonio per procura). Can. 1057.2: “§2. Il consenso matrimoniale è l'atto della volontà con cui l'uomo e la donna, con patto irrevocabile, dànno e accettano reciprocamente se stessi per costituire il matrimonio.” -> in cosa consiste il consenso -> essendo atto della volontà, deve comprendere una piena conoscenza di quello che si va a fare e una volontà a compiere questo, perché il matrimonio celebrato per costrizione o timore grave non è valido. - Indissolubilità intrinseca -> ci riferiamo alla proprietà essenziale che comporta l’impossibilità di sciogliere il vincolo perché non è possibile che sia sciolto né dalle 2 parti che lo celebrano, né da nessuna potestà umana (né Tizio né Caia possono scioglierlo). Ma questo può essere sciolto dell’autorità ecclesiastica in certe determinate occasioni (matrimonio rato e non consumato) - Indissolubilità estrinseca -> questo matrimonio non può essere sciolto nemmeno dell’autorità ecclesiastica (es. matrimonio rato e consumato). Proprietà essenziali -> can. 1056 Fini -> can. 1055 Nel matrimonio, i ministri sono gli sposi (il sacerdote è solo un teste qualificato) -> perché sono gli sposi che prestano il consenso (non possono farlo terzi) -> il sacerdote attesta a nome della Chiesa che queste persone hanno prestato il loro consenso! 12/02 Can. 1055 Cod. Can. -> principio consensualistico: il matrimonio nasce col consenso delle parti (“matrimonium facit consensus partium”). Ossia a base del vincolo matrimoniale c’è uno specifico atto matrimoniale -> alla base del rapporto matrimoniale in factum c’è un matrimonium in fieri. Questo matrimonium in fieri nasce con uno specifico atto consensuale -> matrimonio nasce col consenso delle parti. Matrimonio -> istituto di diritto naturale che Cristo ha elevato alla dignità di sacramento. Matrimonio che in quanto istituto di diritto naturale gode di certe caratteristiche -> in primis nasce col libero consenso espresso dalle parti. Quindi è uno dei 7 Sacramenti, ma per essere tale necessita di certe caratteristiche -> in primis libertà che nasce dalla volontà consensualistica. Se non vi è vero matrimonio, se non vi è vero contractus matrimoniale, allora non vi è vero sacramento. Il Cod. Can. non a caso parla di contractus e sacramentum, affermando che non v’è sacramento se non v’è contractus. Nel diritto però il contractus non ha la coloritura patrimoniale che ha invece nel nostro ordinamento (in cui il contratto per sua natura ha un contenuto patrimoniale -> vd. 1321 c.c.). Invece nel canonico, contractus ha un significato più ampio, traducibile come “convenzione” (come i francesi che conoscono la differenza tra “contratto”, con contenuto patrimoniale e “convenzione”, di contenuto non patrimoniale -> un po’ come nel canonico) -> contractus nel canonico ha un significato più ampio rappresentando in sé sia la natura di convenzione (accordo di natura non patrimoniale) che la natura di contratto (accordo di natura patrimoniale). Contratto matrimoniale deve avere certe caratteristiche per diventare sacramentum (se non è vero contratto non è vero sacramento / cosi come nel battesimo serve “vera acqua” e per celebrare la eucarestia serve il “vero pane” e il ”vero vino”, ossia un vino che non sia d’uva non serve per celebrare l’Eucarestia -> si dice che non è materia valida di un sacramento: è materia invalida e illecita). Così come in mancanza di un vero consenso matrimoniale non si ha un vero matrimonio (Sacramento). Il matrimonio è realtà santificante e santificatrice nella misura in cui è anche un vero contratto -> il matrimonio non è solo un contratto ma è anche un vero “foedus” (traducibile in vera alleanza tra uomo e donna). Caratteristiche matrimonio: - unità - indissolubilità Matrimonio nasce con consenso delle parti legittimamente manifestato -> ma non è sempre stato così chiaro questo concetto. Infatti fino al 12º sec. si contendevano 2 fazioni: - Teoria consensualistica: chi riteneva che il matrimonio si costituisse col solo consenso delle parti (Scuola di Parigi). - Teoria della copula: chi riteneva che il consenso fosse solo il momento iniziale del vincolo coniugale che in realtà si perfezionava con la copula coniugale (ossia con l’atto coniugale in maniera analoga ai contratti reali che si perfezionano con la traditio della cosa/bene) (Scuola di Bologna) Alla fine la dottrina della Chiesa (con Papa Alessandro III, il quale da privato canonista sosteneva la teoria della copula Bolognese) assunse la dottrina consensualistica -> ossia “matrimonium facit consensus partium”. Il matrimonio nasce allorché le parti, che siano capaci giuridicamente, si vincolano con un consenso validamente espresso. A questo consenso “nessuna potestà umana può supplire” (dice il Cod. Can.) -> un consenso invalido e insufficiente non può essere supplito da nessuna autorità (neppure dal Pontefice). Il solo consenso, espresso nelle forme dovute da soggetti legittimamente capaci, dà origine a un matrimonio. In realtà nel canonico abbiamo un qualche residuo delle teorie della Scuola di Bologna -> dispensa che il pontefice può emanare in materia di matrimonio “rato e non consumato”. Il matrimonio, come istituto di diritto canonico di diritto naturale, è indissolubile. L’elevazione a sacramento da parte di Cristo non ha fatto altro che dare particolare stabilità a questa proprietà essenziale del matrimonio canonico, ma il matrimonio è già in se stesso indissolubile. Cristo poi, elevandolo a Sacramento, ha dato particolare stabilità a questa proprietà essenziale del matrimonio (ma ha anche dato i mezzi soprannaturali, ossia la grazia, per poter vivere coerentemente a questa proprietà essenziale del matrimonio). Il matrimonio quindi di per sé è indissolubile, ossia non c’è un divorzio nell’ordinamento canonico. Tuttavia vi sono casi in cui il matrimonio nell’ordinamento canonico può essere sciolto -> casi di dissoluzione del vincolo matrimoniale ex nunc, ossia dal momento della formazione del matrimonio. Uno di questi casi è il matrimonio rato e non consumato: il matrimonio è stato validamente celebrato ma non è consumato, ossia le parti non hanno validamente consumato il matrimonio. In questo caso, in presenza di un motivo/causa grave (la dispensa canonica richiede sempre un motivo grave) il pontefice può sciogliere un matrimonio validamente celebrato ma non ancora consumato “humano modo” (ossia in modo consapevole e volontario) dagli sposi. Il pontefice gode di una potestà di sciogliere un matrimonio (che dovrebbe essere indissolubile): la dottrina della Chiesa infatti considera che il matrimonio validamente celebrato ma non ancora consumato è realtà meramente spirituale, e il Romano Pontefice, in spiritualibus, gode di una potestà suprema ed è infatti Vicario di Cristo (agisce con potestà vicaria di Cristo). “Qualunque cosa legherete sulla terra sarà legato anche nei cieli, qualunque cosa scioglierete sulla Terra sarà sciolto anche nei cieli” dice il Vangelo. Potestas suprema in spiritualibus per il Papa. Quindi in questo caso, essendo qui il matrimonio realtà solo spirituale e avendo il pontefice la potesta suprema in spiritualibus (perché agisce come Vicario di Cristo), può sciogliere un matrimonio. Matrimonio celebrato validamente e consumato humano modo (in maniera volontaria), ossia c’è congiunzione carnale tra gli sposi -> a questo punto il matrimonio diventa indissolubile e nessuna quanto istituto di diritto naturale che poi, con l’elevazione del matrimonio a sacramento acquistano una particolare stabilità/solidità. Unità matrimonio -> richiede che il rapporto sia monogamico (uomo-donna) -> esclusività e fedeltà coniugale. ——————————————————————————————————————————— Indissolubilità vincolo matrimoniale (l’altra caratteristica) -> formalizzazione giuridica della perpetuità del vincolo matrimoniale. Indissolubilità non è richiesta solo dalla sacramentalità del matrimonio, ma è rafforzata dalla sacramentalità del matrimonio -> il matrimonio non è indissolubile per legge o perché è un sacramento: è intrinseco alla sua struttura/natura. Le scritture sono una fonte di diritto divino positivo -> fonte primaria del diritto canonico -> leggiamo il Vangelo di Matteo (cap. XIX). Nell’Antico Test., concretamente con Mosè, Dio aveva concesso una sorta di dispensa a questa legge dell’indissolubilità permettendo un vero e proprio divorzio (ma era una dispensa, ossia una relaxatio legis): “Gli si avvicinarono alcuni farisei per metterlo alla prova e gli chiesero: «È lecito ad un uomo ripudiare la propria moglie per qualsiasi motivo?». Ed egli rispose: «Non avete letto che il Creatore da principio li creò maschio e femmina e disse: Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due saranno una carne sola? Così che non sono più due, ma una carne sola. Quello dunque che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi»”. Viene dunque ricordata la legge fondamentale -> una legge non meramente di diritto divino positivo, ma di diritto positivo naturale, che riguarda ogni persona, che abbia ricevuto o meno il battesimo (che sia o meno cristiana quindi). L’uomo non ha il potere di separare ciò che Dio ha unito. Ecco allora l’obiezione della dispensa veterotestamentaria: “Gli obiettarono: «Perché allora Mosè ha ordinato di darle l'atto di ripudio e mandarla via?». Rispose loro Gesù: «Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così. Perciò io vi dico: Chiunque ripudia la propria moglie, se non in caso di concubinato, e ne sposa un'altra commette adulterio». Gesù afferma che la possibilità di ripudiare la moglie è una legittimità in via di dispensa -> la legge rimane ma c’è una dispensa (atto amministrativo canonico -> che è una relaxatio legis: la legge rimane ma per casi specifici l’efficacia della legge viene sospesa). Qui il motivo che ha causato la sospensione della legge dell’indissolubilità è la “durezza del loro cuore”: è come se l’uomo non fosse ancora pienamente maturo per vivere secondo questa legge. Gesù riporta la legge dell’indissolubilità alla sua pienezza originale. Gesù quindi revoca la possibilità di dispensa che aveva concesso Mosè e riporta la legge alla sua pienezza originaria -> il matrimonio è indissolubile! Se c’è un vero matrimonio (valido) esso è indissolubile -> qualunque violazione di tale principio comporta una relazione adulterina. L’unica possibilità di ripudio è il “concubinato” (o relazione illegittima non matrimoniale) -> queste relazioni naturalmente si possono sciogliere. Non si può ripudiare la propria moglie/marito perché sennò ci si trova davanti a una relazione adulterina -> Gesù ribadisce l’indissolubilità del matrimonio. Proprietà essenziali del matrimonio -> unità e indissolubilità. ——————————————————————————————————————————— Vi sono però casi in cui il matrimonio, pur indissolubile, può essere sciolto -> vi sono “eccezioni” (ma che in realtà eccezioni non sono) perché rientrano pienamente nella ratio della norma stessa. Da un lato il matrimonio è indissolubile, dall’altro vi sono casi in cui v’è una sorta di possibilità di sciogliere il vincolo matrimoniale. 1º caso: “Matrimonio rato e non consumato” -> matrimonio si conclude col consenso delle parti - > un matrimonio validamente concluso col consenso delle parti ma non ancora consumato, in presenza di una grave causa, può essere sciolto dal Romano Pontefice con una dispensa (cioè una relaxatio legis in casu particulari) la cui efficacia si dispiega ex nunc, ossia dalla comunicazione alle parti. La dispensa è ex nunc, non ex tunc come in caso di nullità del vincolo matrimoniale. Un vero e proprio caso di scioglimento del vincolo. Il Pontefice può sciogliere questo matrimonio rato ma non consumato perché quel vincolo matrimoniale è una realtà meramente spirituale, non è ancora realtà corporale-spirituale, e il Pontefice, in virtù della potestà vicaria di Cristo ha una potestà suprema in spritualibus (nelle cose spirituali): può sciogliere così le realtà meramente spirituali! Casi in cui il matrimonio rato ma non consumato, in presenza di un grave motivo, può essere sciolto dal Pontefice. Altro caso di scioglimento del vincolo matrimoniale -> privilegio petrino e privilegio paolino: questi non sono dispense ma privilegi (non è tanto una relaxatio legis, quanto una legge particolare). Privilegio Paolino (can. 1143): così chiamato perché ne parla Paolo nella 1ª lett. ai Corinzi (cap. 7): possibilità di sciogliere un matrimonio celebrato tra 2 non battezzati quando uno di loro, convertitosi alla fede cristiana, riceve il battesimo mentre l’altro continua ad essere non battezzato. Matrimonio celebrato tra 2 non battezzati -> quando uno si battezza e l’altra parte rimane non battezzata (e questa soprattutto non si impegna a vivere con la parte battezzata pacificamente / il 1143 parla di “sine contumelia creatoris” -> coabitare pacificamente senza offesa del Creatore) -> questo vincolo matrimoniale si può sciogliere anche solo col successivo battesimo di una parte: non è necessario nessun intervento amministrativo o giudiziario per lo scioglimento del matrimonio -> il matrimonio si scioglie ipso facto con la celebrazione di un successivo matrimonio della parte che si è battezzata. Privilegio Paolino -> 2 non battezzati sposati -> se una delle 2 parti si converte e riceve il battesimo (mentre l’altra no e non si assume l’impegno di vivere pacificamente sine contumelia creatoris) la parte battezzata può sposarsi con un’altra persona e col solo fatto del successivo matrimonio si scioglie il precedente! Can. 1143: “§1. Il matrimonio celebrato tra due non battezzati, per il privilegio paolino si scioglie in favore della fede della parte che ha ricevuto il battesimo, per lo stesso fatto che questa contrae un nuovo matrimonio, purché si separi la parte non battezzata. §2. Si ritiene che la parte non battezzata si separa se non vuol coabitare con la parte battezzata o non vuol coabitare pacificamente senza offesa al Creatore, eccetto che sia stata questa a darle, dopo il battesimo, una giusta causa per separarsi”. Poichè la parte battezzata possa concretamente contrarre un nuovo matrimonio va sempre interpellata la parte non battezzata chiedendole se vuole ricevere anch’essa il battesimo e se vuole coabitare con la parte battezzata pacificamente e senza offesa al creatore. È necessaria quindi questa “procedura” terminata con le 2 affermazioni negative (parte non battezzata non vuole ricevere Battesimo e non assume l’impegno di vivere sine contumelia creatoris) così che la parte battezzata possa sposarsi nuovamente celebrato il quale si scioglie automaticamente (ipso facto) il precedente matrimonio. È un caso di scioglimento in favore della fede. Privilegio Petrino -> così chiamato perché trova il suo fondamento nella potestà del Pontefice. Caso della poligamia o della poliandria -> uomo che è sposato con più donne, o donna che è sposata con più uomini (come è comunque in culture diverse). Cosa succede nel caso in cui l’uomo che ha più mogli (o viceversa) si converta al cattolicesimo? Non può di certo mantenere tale situazione (perché l’Unità, ossia l’unicità, è una caratteristica essenziale del matrimonio -> oltre che essere uno dei principi di ordine pubblico matrimoniale nel nostro ordinamento civile -> anche il nostro ordinamento prevede la monogamia come una delle proprietà essenziali del vincolo matrimoniale -> principio di ordine pubblico indisponibile). Cosa succede qualora si battezza una parte (marito con più mogli e viceversa)? Si sciolgono tutti i precedenti vincoli tranne il primo, ossia rimane come norma valido il primo matrimonio -> nel momento stesso in cui una parte si battezza c’è una sorta di scioglimento di tutti i vincoli matrimoniali contratti dall’uomo/donna tranne il primo. Rimane quindi solo valido il primo vincolo matrimoniale -> è un caso di scioglimento ex lege di matrimoni non sacramentali -> questo potere si basa sulla potestà ministeriale del Papa. Can. 1148: “§1. Il non battezzato che abbia contemporaneamente più mogli non battezzate, ricevuto il battesimo nella Chiesa cattolica, se per lui è gravoso rimanere con la prima di esse, può ritenerne una qualsiasi licenziando le altre. Lo stesso vale per la moglie non battezzata che abbia contemporaneamente più mariti non battezzati”. Quindi di regola è valido il primo matrimonio è si sciolgono gli altri matrimoni, ma se per l’uomo è gravoso rimanere con una di esse può sceglierne una delle altre, purché gli altri vincoli matrimoniali (compreso il primo) siano sciolti. Quindi il nuovo matrimonio deve essere contratto secondo la forma legittima e, poiché la Chiesa guarda sempre alla giustizia, anche se è vero che gli altri matrimoni vengono sciolti, è vero che quegli uomini/ donne avevano fatto affidamento su quel matrimonio (che magari è valido per la loro cultura) -> così il 1148.3 prevede l’obbligo degli alimenti per le mogli/mariti dimisse/lasciate. Questo è obbligo di diritto naturale e che si può ritenere soddisfatto quando si adempiono le norme che per legge, consuetudine o in virtù della giurisp. si osservano nell’ambito territoriale per i casi di separazione, ripudio, divorzio, a meno che non siano palesemente ingiusti. Can. 1148.3: “§3. L'Ordinario del luogo, considerata la condizione morale, sociale ed economica dei luoghi e delle persone, curi che sia provveduto sufficientemente alle necessità della prima moglie e delle altre licenziate, secondo le norme della giustizia, della carità cristiana e dell'equità naturale”. Quindi nel caso di poligamia o poliandria, la parte che si battezza deve sciogliere tutti i vincoli matrimoniali tranne uno che solitamente è il primo (tranne se è particolarmente gravoso per la parte mantenere il primo rapporto). E anche l’obbligo, che è di diritto naturale e viene formalizzato come obbligo di diritto positivo (1148.3), degli alimenti a favore delle mogli/mariti lasciate/i. Altro caso di scioglimento del matrimonio qui (privilegio Petrino) -> ma anche qui è lo scioglimento di un matrimonio naturale, non di un matrimonio elevato a sacramento. Il matrimonio quindi non può essere sciolto -> Cristo ha eliminato la dispensa concessa nell’Antico Testamento e ha riportato il matrimonio alla sua condizione originaria di istituto di diritto naturale in se stesso unico e indissolubile. V’è poi la possibilità della dispensa pontificia (per matrimonio rato ma non consumato) nel caso in cui il matrimonio sia una realtà solo meramente spirituale. Vi sono poi i privilegi paolino (parti non battezzate e una poi si battezza mentre l’altra decide di vivere insieme a questa sine contumelia creatoris -> il primo matrimonio di diritto naturale si scioglie ipso facto con la celebrazione di un secondo matrimonio da parte del battezzato) e petrino (poligamia e poliandria -> la parte che si battezza ha l’obbligo di dimettere tutte le mogli/mariti tranne uno, che solitamente è il primo marito/moglie, anche se non è un obbligo questo, purché si assuma l’obbligo degli alimenti verso mariti/mogli dimisse). Indissolubilità matrimonio è principio di diritto naturale -> con il battesimo si eleva quel matrimonio a sacramento. Indissolubilità è quindi caratteristica anche del matrimonio sacramento (v.d. Can. 1056). Il matrimonio, già in sé, come istituto di diritto naturale, è unico e indissolubile -> il sacramento rende particolarmente stabili tali proprietà e dà anche la grazia del vivere in maniera stabile tale proprietà. Il divorzio civile quindi non scioglie il matrimonio cattolico -> il divorzio civile scioglie gli effetti civili del matrimonio, ma quel matrimonio canonico pur sciolto civilmente è perfettamente valido. Il divorzio civile quindi non scioglie il vincolo coniugale canonico. Quindi i divorziati non possono contrarre matrimonio canonico valido finché sia in vita il primo coniuge. Quindi il matrimonio si scioglie ordinariamente solo con la morte di uno dei coniugi. La legge canonica è quella dell’indissolubilità (anche se viene sciolto civilisticamente, il matrimonio resta valido canonicamente) ——————————————————————————————————————————— Matrimonio come negozio consensuale. Ma chi è capace di contrarre matrimonio e quali sono i vizi di tale consenso? Can. 1057 -> vincolo matrimoniale nasce dal consenso, ossia dal patto coniugale, che nessuna potestà umana può supplire (neanche il Romano Pontefice). S. Tommaso (XIII sec., domenicano) -> teologo la cui dottrina ha nutrito il magistero della Chiesa come radice principale, individua nel consenso 3 aspetti (da non confondere): - causa del matrimonio -> patto coniugale - essenza del matrimonio -> vincolo (foedus) - finalità del matrimonio -> sono la procreazione ed educazione della prole Consenso -> elemento fondamentale del matrimonio (contiene la sua efficacia causale) -> 1057.2 parla del consenso matrimoniale. Come istituto di diritto naturale il matrimonio è tra uomo-donna -> senza uomo-donna si potrà parlare di unioni di altra natura (ma non giuridicamente di matrimonio come istituto di diritto naturale). Impedimento (causa fattuale che impedisce la valida e lecita celebrazione del matrimonio) di impotenza (can. 1084). Can. 1084: “§1. L'impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell'uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio. §3. La sterilità né proibisce né dirime il matrimonio.” Impotenza copulativa matrimoniale (non generativa), quindi a effettuare l’atto matrimoniale, deve essere antecedente e perpetua al matrimonio stesso -> rende nullo il matrimonio. Impotenza copulativa come incapacità a realizzare l’atto matrimoniale. Impedimento di legame -> è invalido il matrimonio di chi è già sposato. È un principio abbastanza logico, ma che il legislatore ha ritenuto necessario nuovamente formalizzare, per ricordare il principio fondamentale dell’unità del vincolo matrimoniale. È invalido il matrimonio di chi è legato dal vincolo di un matrimonio precedente, anche se non consumato. Se una parte ha già contratto un precedente matrimonio valido per il diritto canonico e di tale matrimonio non ne sia stata dichiarata l’invalidità con procedimento canonico o se si tratta di matrimonio rato e non consumato esso non sia stato sciolto con dispensa pontificia, le parti non possono contrarre matrimonio (questo è impedimento di diritto naturale, di diritto divino naturale -> e non è dispensabile! Perché è conseguenza della proprietà essenziale del matrimonio che è l’unità, proprietà di diritto naturale, confermata dalla rivelazione). Questo impedimento non può essere dispensato e cessa solo con la morte di uno dei coniugi o per una delle forme di scioglimento previste dalla legislazione canonica. Impedimento di ordine -> non può contrarre validamente matrimonio chi è stato costituito nel sacramento dell’ordine. Chi ha ricevuto il Sacramento dell’Ordine (in uno dei suoi 3 gradi: diaconato, presbiterato, episcopato) non può contrarre matrimonio -> “attenta invalidamente il matrimonio coloro che sono costituiti nei sacri ordini”. Non può contrarre matrimonio chi ha ricevuto l’ordine sacro -> impedimento dispensato dalla Santa Sede, in quanto impedimento di diritto umano. Si può chiedere validamente la dispensa e sposarsi (impedimento di diritto umano e quindi dispensabile). È pure invalido il matrimonio di chi è vincolato da un voto pubblico perpetuo di castità emesso in un ordine religioso -> chi ha emesso un voto in un ordine religioso (chi si è legato a un ordine religioso mediante un voto pubblico di castità perpetuo) non può validamente contrarre matrimonio. Anche questo è un impedimento di diritto umano che riguarda i membri di istituti religiosi. Per entrare in un istituto religioso bisogna emettere i 3 voti (castità, obbedienza, povertà) -> chi ha emesso in maniera pubblica e perpetua (infatti il voto può essere anche segreto o temporaneo) un voto di castità in un istituto religioso non può contrarre matrimonio (a meno che non sia dispensato -> dispensa che spetta alla Santa Sede se l’istituto religioso è di diritto pontificio / se è di diritto diocesano in realtà no). 19/02 Consenso matrimoniale -> causa efficiente del matrimonio. Impedimenti matrimoniali -> circostanze di fatto, recepite in norme canoniche, che impediscono la valida/lecita celebrazione del matrimonio. Il Cod. Can. contempla alcuni di questi impedimenti -> concretamente contempla gli impedimenti dirimenti, ossia quegli impedimenti che rendono invalido il matrimonio stesso, alcuni dei quali sono di diritto divino (non dispensabile) altri di diritto umano (dispensabili). Es. è dispensabile l’impedimento di età invece è indispensabile l’esistenza di un precedente vincolo coniugale. Impedimento da disparitas cultus -> questo impedimento afferma l’invalidità del matrimonio tra 2 persone di cui una sia battezzata nella Chiesa Cattolica e l’altra non battezzata. Il matrimonio celebrato tra 2 persone una sola delle quali è battezzata nella Chiesa Cattolica è invalido se celebrato senza la previa dispensa dell’ordinario del luogo -> è un impedimento dirimente, che invalida il matrimonio, ma tuttavia può essere dispensato con dispensa dell’ordinario del luogo. Da un lato è necessario che una parte sia battezzata (nella Chiesa Cattolica o in un altra confessione religiosa ed essere poi stata ricevuta all’interno della Chiesa Cattolica, quindi accolta nella Chiesa Cattolica, ossia essere stata validamente battezzata in una confessione diversa e poi essere stata accolta nella Chiesa Cattolica -> es. un anglicano, battezzato quindi, che si converte al cattolicesimo: non è necessario che venga ri-battezzato, ma è sufficiente che venga accolto dopo che abbia professato la pienezza della fede Cattolica). L’altra parte deve essere non battezzata o essere battezzata con un battesimo non riconosciuto valido dalla Chiesa Cattolica. Si richiede che l’altra parte non sia battezzata validamente o perché non è stata battezzata o perché il battesimo è stato amministrato in modo invalido. È necessario che il matrimonio sia tra un battezzato e un non battezzato. L’ordinario del luogo può dispensare da questo impedimento -> sono necessari però degli adempimenti di alcune condizioni -> can. 1086 rinvia ai cann. 1125-1126 Cod. Can. (si rinvia all’impedimento di matrimoni misti). Differenza tra disparitas cultus e mixta religio: - nella disparitas cultus, il matrimonio è tra un cattolico e un non battezzato - nella mixta religio, il matrimonio è tra un Cristiano cattolico e un Cristiano non cattolico (che ha ricevuto validamente il battesimo ed è considerato Cristiano a pieno titolo, ancorché non in piena comunione con la Chiesa Cattolica) -> nel cod. precedente (che ricalcava la tradizione canonistica) era considerato un impedimento impediente, ossia uno di quegli impedimenti che non invalida il matrimonio ma lo rende illecito -> per essere validamente/lecitamente celebrato è necessaria la licenza del vescovo (non la dispensa!). Prima questo impedimento di mixta religio era contemplato nella sez. degli impedimenti -> poi il nuovo Cod. Can. nella sezione degli impedimenti non differenzia più tra impedimenti impedienti che rendono illecito il matrimonio e impedimenti dirimenti, ma tratta solo degli impedimenti dirimenti! Questo spiega perché l’impedimento impediente, ossia l’impedimento che rende meramente illecito il matrimonio di mixta religio non sia contemplato in questa Sez., ma trattato più avanti, nel can. 1124 e ss.. Sono stati soppressi gli impedimenti impedienti e si è ritenuto opportuno riorganizzare tutta la materia dei matrimoni misti in un cap. in cui si disciplina tanto il vecchio impedimento di mixta religio quanto gli aspetti che riguardano la forma canonica nella celebrazione dei matrimoni misti. Impedimento di disparitas cultus -> impedimento dirimente, impedimento che rende nullo il coniugio tra un cattolico e un non battezzato (o un invalidamente battezzato) -> per ottenere la dispensa serve che vengano adempiute determinate condizioni. Queste condizioni sono anche quelle stabilite per l’impedimento impediente di matrimonio misto (ossia tra un cattolico e un Cristiano non cattolico), stabilite nei cann. 1124-1125 Cod. Can.. Can. 1124: “Il matrimonio fra due persone battezzate, delle quali una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta dopo il battesimo, l’altra invece sia iscritta a una Chiesa o comunità ecclesiale non in piena comunione con la Chiesa cattolica, non può essere celebrato senza espressa licenza della competente autorità”. Can. 1125: “L'Ordinario del luogo, se vi è una causa giusta e ragionevole, può concedere tale licenza; ma non la conceda se non dopo il compimento delle seguenti condizioni: 1) la parte cattolica si dichiari pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e prometta sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica; 2) di queste promesse che deve fare la parte cattolica, sia tempestivamente informata l'altra parte, così che consti che questa è realmente consapevole della promessa e dell'obbligo della parte cattolica; 3) entrambe le parti siano istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere escluse da nessuno dei due contraenti.” 1) impegno della parte cattolica a battezzare cattolicamente i figli e a educarli cattolicamente -> obbligazione di mezzi (fare tutto quanto in suo potere) e non di fini (non di risultato): infatti non v’è l’obbligo di conseguire l’effettivo risultato. 2) nel caso di disparitas cultus la parte non battezzata, nel caso di mixta religio il cristiano non cattolico -> devono essere consapevoli dell’impegno assunto dalla parte cattolica. 3) entrambe le parti devono essere preparate al matrimonio che le porti ad assumere quali sono le proprietà essenziali del matrimonio (unità e indissolubilità) e le finalità del matrimonio stesso. Tanto la licenza (mixta religio) quanto la dispensa (disparitas cultus) possono essere concesse solo in presenza di queste condizioni (adempiute queste condizioni) -> inoltre è sempre necessaria (sia per la licenza che per la dispensa) una giusta e ragionevole causa, che non coincide con le 3 condizioni (impegni). Can. 1126 -> competenza delle conferenze episcopali (legislazione particolare) sulle modalità attraverso cui vanno formalizzate tali dichiarazioni e promesse -> in modo tale che ne risulti la certezza anche in foro esterno. Can. 1126: “Spetta alla conferenza Episcopale sia stabilire il modo in cui devono essere fatte tali dichiarazioni e promesse, sempre necessarie, sia determinare la forma mediante la quale di esse consti nel foro esterno e la parte non cattolica ne sia informata”. La CEI ha legiferato a riguardo -> n. 48 Decreto Generale sul matrimonio canonico (1990): “Ai sensi del can. 1126 si stabilisce in proposito quanto segue: a) la parte contraente cattolica deve sottoscrivere davanti al parroco la dichiarazione di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e la promessa di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica; b) il parroco deve attestare che la parte non cattolica è stata chiaramente informata circa la promessa e gli impegni assunti dalla parte cattolica e ne è consapevole; C) entrambe le parti devono essere istruite sulla natura, sui fini e sulle proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere esclusi da nessuno dei due contraenti; d) le dichiarazioni di cui sopra devono essere esibite all'ordinario del luogo unitamente alla domanda di dispensa dell'impedimento o di licenza per il matrimonio misto.” Queste sono le modalità per quanto concerne il matrimonio tra un cattolico e un non cattolico (cristiano battezzato in una confessione diversa dalla Cattolica) -> il matrimonio è valido ma illecito (impedimento impediente), per la cui illiceità è necessaria la licenza del Vescovo. Nel caso di matrimonio tra un cattolico e un non battezzato abbiamo l’impedimento dirimente di disparitas cultus e qui è necessaria la dispensa dell’ordinario del luogo. Quindi licenza in un caso (impedimento impediente di mixta religio) e dispensa nell’altro (impedimento dirimente di disparitas cultus), che vengono rilasciate in presenza di una giusta e grave causa e adempiute alcune condizioni da espletare (ex decreto generale sul matrimonio della CEI). Questi matrimoni hanno anche una forma particolare di celebrazione. ——————————————————————————————————————————— Impedimento di rapimento (ratto) (can. 1089) -> non è possibile costituire un valido matrimonio tra l’uomo e la donna rapita o almeno trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal rapitore e posta in un luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente e volontariamente il matrimonio stesso. Impedimento di ratto nasce nel Concilio di Trento ed è disciplinata anche nel Cod. dell’’83 (ugualmente a quello del ‘17). Deve essere un rapitore uomo e una donna rapita -> non può essere il contrario (non si tutela l’uomo rapito) -> abbiamo una discriminazione al femminile. Anche perché questa è una fattispecie che in alcune culture è ancora molto diffusa (e il diritto canonico è quello della Chiesa Universale). L’azione può consistere tanto nel condurre o trasportare la donna contro la sua volontà in un altro luogo quanto nel trattenerla con violenza nel luogo in cui si trova. Inoltre vi deve essere un elemento intenzionale (intuitu matrimoni -> “al fine di contrarre matrimonio”) -> vi deve essere una chiara volontà dell’uomo rapitore di voler contrarre matrimonio con la parte rapita o trattenuta. Questo impedimento cessa nel momento in cui la donna, allontanata dal rapitore e posta in un luogo libero e sicuro, decida di contrarre matrimonio -> 3 elementi: - allontanamento fisico/separazione della donna da chi l’abbia rapito - la donna deve essere in un luogo libero e sicuro - la donna deve scegliere liberamente