Scarica Appunti di Diritto del Lavoro, Diritto Sindacale e Web e Lavoro - prof.ssa Tullini e più Appunti in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! DIRITTO DEL LAVORO 19 settembre 2018 Definizioni di diritto del lavoro Definizioni di diritto del lavoro Se tutti i contratti guardano all’avere delle parti, il contratto di lavoro riguarda l’avere per l’imprenditore, ma per il lavoratore riguarda e garantisce l’essere. Per questo il diritto del lavoro ha cominciato a situarsi tra il diritto dei beni e il diritto delle persone. Il contratto di lavoro è un contratto nel cui oggetto è impegnata una persona. Il diritto del lavoro inserisce anche l’ambito sociale, poiché si ripropone di rimuovere gli ostacoli di natura economico-sociale per la costruzione di una società meno squilibrata e ingiusta. Il lavoro è anche integrazione (vedi il caso degli immigrati). La dignità della persona è il valore fondativo del diritto del lavoro. La disciplina lavoristica non si ferma alla tutela del contrente debole (il lavoratore), ma mira anche a conservare la pace sociale. La pace sociale è raggiunta mediante una più equa distribuzione della ricchezza e il metodo con cui si crea ricchezza è il lavoro. Il diritto del lavoro è anche un diritto della produzione, quindi guarda anche alla tutela dell’impresa e dell’imprenditorialità sana, per creare posti di lavoro. Il destino della disciplina lavoristica dipende da ciò che l’uomo vuole fare di sé. Il lavoro (art. 1 Cost.) è visto come un pilastro essenziale dell’organizzazione democratica ed economico-sociale dello Stato. Come si forma il diritto del lavoro Come si forma il diritto del lavoro le regole del lavoro, nel suo nucleo primario, nascono come correttivo diretto a riequilibrare una relazione contrattuale che non è in equilibrio e per gestire un mercato del lavoro che ha ad oggetto la forza lavoro (intellettuale, manuale, emozionale…). La forza lavoro è inscindibile rispetto alla persona che la presta. Le energie lavorative sono parte della persona stessa. Attraverso il contratto di lavoro, il datore di lavoro si appropria di beni che sono strettamente connessi con la persona. Tale inscindibilità ha subìto un colpo significativo nell’epoca digitale: vi è la possibilità di dissociare la persona dalle energie lavorative. È una dissociazione non totale, magari solamente apparente, ma comunque esiste. In linea di massima, però, vi è una totale partecipazione umana nel contratto di lavoro. I due contraenti del contratto di lavoro NON sono nella stessa posizione fattuale. Lo scopo, sin dall’inizio, del diritto del lavoro è di riempire questa distanza fra le posizioni di datore di lavoro e lavoratore. Non bastano uguaglianza e parità davanti alla legge, ma è necessaria un’eguaglianza sostanziale alla vita economica, sociale e politica del paese dei due contraenti. Il lavoratore è il contraente debole, poiché la sua persona è totalmente coinvolta nell’attività lavorativa. Il mercato del lavoro è un’istituzione sociale. Non è dominato solamente dalle leggi della domanda e dell’offerta, ma è fortemente influenzato dai comportamenti sociali. Fonti del diritto del lavoro Fonti del diritto del lavoro esse non vogliono essere delle fonti che “cadono dall’alto”. Tale diritto predilige fonti consensuali, convenzionali, contrattuali. In particolare, sono fonti: • il contatto individuale; • il contratto collettivo. Il diritto del lavoro preferisce la fonte autonoma. Il diritto del lavoro punta a raggiungere un’eguaglianza sostanziale e non solo quella formale tra i contraenti. I problemi del lavoro sono anche problemi della collettività. Il diritto del lavoro gioca sempre su un duplice piano: quello individuale e quello collettivo. Questa doppia anima viene fotografata quando si distingue tra diritto del lavoro e diritto sindacale. Il diritto del lavoro è fortemente stratificato (dal punto di vista storico-legislativo). Vi sono molte leggi che sono spesso espressione di ideologie e necessità diverse. [il Jobs Act non ha eliminato la legge Fornero, così come il decreto dignità non ha abrogato il Jobs Act, e così via]. La regola generale è quella della irretroattività, ma non prevale sempre. Ancora oggi vi sono norme del diritto del lavoro (es. il preavviso di licenziamento) che sono legate al periodo fascista. Molte norme del codice civile contengono molte disposizioni tra parentesi quadra perché nessuno le ha abrogate (sono norme del 1942 provenienti dagli anni ‘20), ma in parte sono considerate desuete. I redattori del codice civile devono continuare a mantenerle. Nel libro V del Codice Civile si possono trovare alcune regole fondamentali del lavoro. Nemmeno la Costituzione ha apportato numerosi cambiamenti alle norme sul lavoro, poiché vennero intrepretate dai costituzionalisti come norme programmatiche e non precettive, rinviando tutto al legislatore. La visione ovviamente è cambiata in seguito (rif. Cost.?) La legislazione extra-codicistica è esageratamente ricca, soprattutto grazie allo sviluppo dei legislatori a partire dagli anni ’70. Il c.d. “codice del lavoro” non è un vero codice, ma semplicemente una raccolta aggiornata di tutte le leggi del lavoro. • Dalla metà degli anni ’80, l’innovazione tecnologica e i nuovi modi di lavorare e organizzare l’impresa hanno fatto emergere esigenze di flessibilità del lavoro. In Europa si preferisce parlare di “adattabilità del lavoro”, ovvero di capacità di adattarsi ai cicli economici e all’innovazione tecnologica. Il sistema del diritto del lavoro ha risposto in modo scomposto a questo tipo di domanda. La risposta che per lungo tempo è stata data è andata verso l’introduzione di nuove forme contrattuali e nuovi tipi di lavoro (moltiplicazione dei tipi legali), come ad esempio il part-time. Ultimamente vi è stato un ritorno alle origini (la forma di lavoro a tempo pieno e indeterminato deve essere quella prevalente). È ciò che è stato espresso nel Jobs Act. • Un altro trend importante è stato determinato dalla forte pressione che subisce il diritto del lavoro nazionale dal diritto del lavoro dell’Unione Europea. Vi è una forte pressione affinché il nostro diritto del lavoro subisca influenze dal diritto della concorrenza. Si parla di competitività del lavoro. Più competizione significa che gli Stati devono generare una forza lavoro più scolarizzata, più formata, più flessibile e competitiva, per essere più attrattivi sul mercato del lavoro. I lavoratori autonomi sono equiparati alle imprese dal diritto europeo. • L’ultimo trend è rappresentato dall’economia digitale, settore in continua evoluzione. Al momento è un’economia autoregolata da autorità quali i “big players” del web, cioè le piattaforme digitali globali. 25 settembre 2018 La subordinazione Il diritto inizialmente non si rivolge a tutti i lavoratori, ma si riferisce solo a quelli che vivono una forte situazione di squilibrio. L’elemento della subordinazione definisce il cardine attorno al quale ruota il sistema del diritto del lavoro. Si preferisce parlare di lavoro dipendente (in riferimento alla dipendenza giuridica e socioeconomica). In realtà nel Codice Civile si usa molto il concetto di collaboratore (es. art. 2086), ma: • Rapporto di collaborazione indica una collaborazione orizzontale • Rapporto gerarchico presuppone subordinazione del lavoratore Il Codice civile, però, non cita il concetto di subordinazione (anche se spiega cos’è il lavoratore subordinato), ma parla di collaboratori. Da dove nasce il concetto di lavoro I diritti antichi non conoscevano il lavoro. Le persone libere non lavoravano: il lavoro era quello degli schiavi. La proprietà giuridica del corpo dello schiavo rendeva chiaro che chi l’avesse conquistata potesse utilizzare le energie lavorative di quel corpo. Nell’etimo della parola “lavoro” abbiamo il prefisso LABOR = fatica (dello schiavo). In francese (travaille) e spagnolo (trabajo) la radice comune è TRIPALIUM = strumento di tortura per obbligare gli animali di fatica a lavorare. Il lavoro ha avuto una connotazione di fatica e sofferenza. Dopo l’abolizione della schiavitù fu necessario trovare uno schema giuridico atto a disciplinare il lavoro: venne scelta la LOCATIO (locazione). Si distingueva tra: • Locatio operis locazione d’opera lavoro dell’artigiano, del lavoratore autonomo • Locatio operarum locazione delle opere, in cui esse sono le energie lavorative Nasce con questa distinzione la differenza fra lavoro subordinato e lavoro datoriale. Carta del lavoro: atto fondativo dell’ordinamento corporativo fascista. Qui si supera la diatriba sulla natura del contratto di lavoro (era un contratto di lavoro o di compravendita?) e si sposta la prospettiva sul “collaborare nell’impresa”. Il potere dell’imprenditore era quello di poter usare la forza lavoro del proprio collaboratore è così che si instaura una collaborazione subordinata. Il Codice Civile del 1942 definisce il lavoratore subordinato all’art. 2094. Art. 2094 (Prestatore di lavoro subordinato). Ciò che differenzia un lavoratore subordinato da un lavoratore parasubordinato è l’impossibilità, per quest’ultimo, di ottenere una qualsiasi tutela del posto di lavoro. [Ci si riferisce al lavoro parasubordinato come lavoro precario per via del fatto che priva i lavoratori dei propri diritti, perché non è tutelato il posto di lavoro.] L’impegno dei legislatori degli ultimi 20 anni è stato quello di distinguere la parte “sana” della para-subordinazione rispetto alla fetta precaria. Per questo motivo si sono adottate diverse soluzioni: 1. Il primo intervento risale alla riforma del lavoro (d.lgs. 276/2003) si è cercato di distinguere i rapporti di collaborazione genuini da quelli precari prevedendo l’obbligo dell’impresa del committente di raggiungere un progetto, cioè la realizzazione di un’opera o servizio (c.d. “lavoro a progetto”). Se quel collaboratore è genuinamente autonomo, al raggiungimento di quell’obiettivo il rapporto può essere risolto. Incremento delle tutele per i collaboratori genuini (sempre nel 2003). I lavoratori a progetto potevano godere di alcune tutele particolari (es. obbligo del preavviso, tutela per la maternità ecc..). Questo intervento fu aspramente criticato, poiché nella realtà concreta i contratti di collaborazione comprendevano il progetto, ma il significato dello stesso veniva travisato apposta. La riforma non ha raggiunto gli obiettivi di eliminare gli abusi. 2. Riforma Fornero (legge 92/2012) cerca di essere più robusta della riforma precedente, per eliminare definitivamente gli abusi. Afferma che il progetto non può contenere l’esecuzione di mansioni di basso livello. Tale riforma ha inoltre previsto alcuni limiti alla possibilità di bypassare i vincoli di legge, semplicemente attribuendo al lavoratore la partita IVA. Se il lavoratore ha una partita IVA, ma il volume di affari è legato ad un solo committente, tale lavoratore NON è affatto un lavoratore autonomo, ma parasubordinato. Un vero lavoratore autonomo ha una pluralità di committenti. Neppure questa legge ha raggiunto gli obiettivi che si era prefissata nei riguardi del lavoro a progetto. 3. Jobs Act (con riferimento al d.lgs. 81/2015) L’obiettivo è sempre quello di combattere il precariato e distinguere i rapporti di collaborazione genuini e quelli che nascondo un tipo di rapporto subordinato. Questo decreto generato dalla legge delega del Jobs Act contiene una disciplina di revisione organica. L’art. 52 di questo decreto introduce la norma “superamento del lavoro a progetto”. Sono abrogate le disposizioni del d.lgs. del 2003, ma ritorna in vigore ciò che prevede l’art. 409 del c.p.c. L’art. 2 del d.lgs. 81/2015 introduce, al posto del lavoro a progetto, le collaborazioni etero-organizzate dal committente (con continuative e strettamente personali), cioè di solito il committente stabilisce il tempo di lavoro, il luogo e l’orario di lavoro. Tali collaborazioni etero-organizzate (quelle più vicine alla subordinazione e a rischio di simulazione), non vengono convertite in lavoro autonomo come in precedenza, ma si applicano i principi e le regole del lavoro subordinato. Il committente deve essere molto attento a non avvicinarsi troppo al lavoro subordinato, altrimenti dovrà applicare la disciplina riguardante quest’ultimo tipo di lavoro. L’art. 54 del d.lgs. 81/2015 prevede la stabilizzazione dei collaboratori coordinati e continuativi e dei lavoratori a progetto: vi è la possibilità di sanare la situazione giuridica precedente, regolarizzando la sua posizione per l’avvenire. Nell’ambito di questo dibattito si era anche pensato di eliminare totalmente questa categoria ambigua della para- subordinazione, ma è un ragionamento che può solo essere fatto in astratto poiché non tutti i lavoratori vogliono decidere magari di diventare tutti subordinati. [es. quasi tutti i medici delle case di cura private hanno rapporti di collaborazione coordinata e continuativa]. È sorto il problema di chiarire meglio cosa sia la etero-organizzazione dalla coordinazione. Il legislatore è intervenuto con la legge 81/2017 detta “Jobs Act del lavoro autonomo”. L’art. 15 di tale legge afferma che la collaborazione è coordinata quando il collaboratore organizza la propria attività di comune accordo col committente. In questo caso ci si riferisce a lavoratori autonomi con potere negoziale di mercato. Questa legge mira a tutelare anche i lavoratori autonomi veri (con la maternità, etc …), investiti anch’essi dalla crisi. 2 ottobre 2018 Il rapporto di lavoro subordinato Questo rapporto nasce da un contratto di scambio a contenuto patrimoniale e a prestazioni corrispettive discendono in capo a entrambe le parti delle obbligazioni. Il datore di lavoro è il creditore, mentre il lavoratore è il debitore di opere. Il datore di lavoro è obbligato ad erogare un trattamento economico, la retribuzione, e il lavoratore è titolare di un diritto di credito in merito a questa somma di denaro. Dal rapporto di lavoro scaturisce l’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa da parte del lavoratore, ma il datore di lavoro non ha un semplice diritto, ma una posizione giuridica rafforzata, una posizione di potere giuridico. Si parla, quindi, di poteri datoriali/imprenditoriali. Tali poteri qualificano e rafforzano l’imprenditore. Dall’altra parte, il lavoratore è posto in una situazione di soggezione. I poteri giuridici del datore di lavoro hanno diverse caratteristiche: sono posizioni giuridiche soggettive di carattere unilaterale queste posizioni portano alla possibilità di indurre una modificazione della sfera giuridica dell’altra parte (il lavoratore) a prescindere dalla sua volontà. Sono poteri che si esercitano unilateralmente. Questi poteri sono banalmente il potere organizzativo-direttivo, il potere di controllo-di vigilanza e potere disciplinare. Tali poteri nascono dal contratto, ma traggono la loro linfa dall’organizzazione di impresa e dalla proprietà dei mezzi di produzione. • Potere organizzativo-direttivo potere che guarda all’organizzazione e perciò si preoccupa di come utilizzare quella prestazione lavorativa e di renderla efficace all’interno dell’attività lavorativa. Il datore di lavoro si occupa di distribuire/modificare le mansioni del lavoratore nel modo in cui egli ritiene di massimizzare il profitto dell’impresa. • Potere di controllo – di vigilanza quando alludiamo al potere di controllo alludiamo al potere del datore di lavoro di controllare l’adempimento alle prestazioni da lui richieste al lavoratore. Tutti i creditori hanno un potere di controllo, ma non influente quanto il controllo del datore di lavoro. Per potere di vigilanza si intende un potere finalizzato a vigilare affinché il lavoratore non commetta atti o comportamenti che possano mettere in pericolo l’organizzazione. È un potere che si occupa principalmente di salvaguardare l’organizzazione. • Potere disciplinare è un potere estraneo al diritto comune dei contratti. È anch’esso un potere unilaterale (datore lavoratore) ed è un potere punitivo. Esso è diretto a sanzionare il lavoratore che non abbia adempiuto correttamente ai propri obblighi derivanti dal contratto di lavoro. Non è diretto a sanzionare il singolo lavoratore, ma a “tenere le redini” dell’ambiente di lavoro. [Magari sanzionando il lavoratore che arriva sempre tardi al lavoro o che sbaglia sempre a produrre un certo oggetto.] È una sorta di ius corrigendi per il buon andamento e la gestione ottimale dell’ambiente di lavoro. Il suo fine è comunque quello di garantire il buon andamento dell’organizzazione. Ciascuno di questi poteri ha un legame diretto con la buona gestione dell’organizzazione e tutti prescindono dal consenso del lavoratore. Il lavoratore, dal canto suo, ha una posizione di soggezione. Se il lavoratore non è d’accordo con la decisione del datore, l’unica possibilità è quella di impugnare l’atto imprenditoriale. Si può impugnare: • In sede extragiudiziale • Con aiuto del sindacato • Davanti al giudice del lavoro Il legittimo esercizio dei poteri imprenditoriali Nella disciplina del Codice Civile, si fotografa sempre la posizione del lavoratore (artt. 2104 e 2105) rispetto ai poteri che ha il datore di lavoro. L’art. 2105 stabilisce l’obbligo per il lavoratore di essere fedele al proprio datore di lavoro. Obbligo di fedeltà significa: 1. non svolgere attività in concorrenza al datore di lavoro 2. non divulgare notizie apprese durante l’esperienza lavorative (anche se non sono segreti industriali) 3. non utilizzare tali notizie per un proprio interesse L’obbligo di fedeltà in genere dura per tutta la durata del rapporto lavorativo, ma si può prorogare tale durata mediante il patto di non concorrenza il datore di lavoro chiede comunque al lavoratore di non infrangere queste tre regole di fedeltà. Questo patto è chiaramente retribuito. L’obbligo di fedeltà è comunque uno degli obblighi più onerosi derivanti dal rapporto di lavoro. Limiti ai poteri datoriali L’esercizio del potere disciplinare passa attraverso l’art. 2106 c.c. che contiene le sanzioni disciplinari dei lavoratori, che devono essere proporzionati alla sanzione commessa. Infrazione ≠ inadempimento perché si parla di un concetto più ampio ed esteso. Nell’ art. 2103 cc si parla delle mansioni del lavoratore. Questo articolo è stato riformato più volte. Come unico limite prevedeva originariamente il vincolo delle “affinità delle mansioni”: il datore di lavoro aveva piena discrezionalità su come utilizzare la forza lavoro del lavoratore con l’unico limite di dover tenere conto dell’affinità tra la prestazione di partenza e quella finale. Il 20/05/1970 entra in vigore lo Statuto dei Lavoratori esso NON contesta la titolarità dei poteri datoriali (non abroga le norme del codice civile), però afferma con chiarezza che vi sono dei limiti invalicabili, ovvero i diritti fondamentali della persona, che non possono essere totalmente eliminati (liberà e dignità del lavoratore, diritto alla riservatezza e alla tutela della propria sfera personale). Nessuno nega che il datore di lavoro sia titolare di poteri giuridici, ma siccome nel rapporto di lavoro viene coinvolta la persona umana, essa va salvaguardata. Può essere richiamato l’art. 41 comma II Cost affermando che la libertà economica non è illimitata, ma occorre mettere al primo posto la persona e la dignità umana. Le misure introdotte dallo Statuto per circoscrivere il campo d’azione dei poteri datoriali sono basate sulle modalità di esercizio del potere il potere può essere esercitato solo in modo legittimo e trasparente. Tali misure sono: 1. Principio di tendenziale tipicità dei provvedimenti imprenditoriali lo statuto predetermina, tipizza, quali sono gli atti imprenditoriali (ad es. trasferimento). Dare il nome alle cose può essere un modo per fare emergere le cose stesse. 2. Individuare a monte dei presupposti di legittimità di carattere sostanziale e/o formale stabilire i presupposti fattuali attraverso i quali diventa legittimo l’esercizio del potere imprenditoriale. Deve esserci la possibilità di giustificare l’esercizio del potere. In questo modo l’esercizio del potere diventa più controllabile e meno discriminatorio. I limiti sono di carattere sostanziale. Più spesso, però, i limiti e i presupposti che lo statuto individua sono di carattere formale o procedimentale (procedurale) il potere disciplinare è il potere più procedimentalizzato. Esso si può esercitare SOLO attraverso una procedura, che pone un vincolo di tipo formale. Questo perché è più difficile controllare il potere dal punto di vista sostanziale, poiché il potere è legittimo: il datore, in sostanza, può fare ciò che vuole basta che giustifichi le sue azioni. La verifica che può fare il giudice, è solo una verifica di legittimità, mai di merito. Il giudice può verificare che le procedure siano state rispettate. Verificare il limite formale o procedurale consente al giudice di fare giustizia e quindi rimuovere l’atto imprenditoriale illegittimo. La reintegrazione del posto di lavoro avviene solo in caso di licenziamento illegittimo, ma oggi è una misura residuale. Ciò significa che il giudice non può obbligare il datore a reintegrare nel suo precedente posto di lavoro il lavoratore per qualsiasi ipotesi (es. trasferimento) diversa dal licenziamento illegittimo. Il datore di lavoro ha comunque ampie possibilità decisionali, poiché il giudice NON può sostituirsi nell’esercizio dei poteri imprenditoriali. Un altro limite è stabilito dall’art. 15 dello Statuto il lavoratore non può essere discriminato, penalizzato, svantaggiato, nell’attribuzione delle mansioni, ecc… Dato che questo articolo è legato all’art. 3 della Costituzione, esso è particolarmente sanzionato dallo Statuto che stabilisce che gli atti discriminatori sono NULLI. La nullità opera ex tunc. La discriminazione ha un problema che si avverte sul piano processuale: se il lavoratore vuole impugnare un atto perché ritenuto discriminatorio, è il lavoratore stesso che deve provare la discriminatorietà dell’atto. Il punto debole è l’onere della prova da parte del lavoratore. In tutti gli altri casi, è il datore di lavoro che deve dimostrare che vi sia una ragione giustificativa agli atti da lui compiuti. Nel caso della discriminazione di genere è ammessa anche la prova statistica. 9 ottobre 2018 L’effettività dei diritti dei lavoratori – nel rapporto di lavoro privato Effettività dei diritti dei lavoratori tecniche normative che sono state introdotte dal legislatore per dare concretezza, effettività ai diritti dei lavoratori. Il rischio che i diritti dei lavoratori siano riconosciuti solo sulla carta è un rischio forte e reale, poiché ci si trova in una posizione di forte squilibrio tra datore di lavoro e lavoratore. L’ordinamento ha individuato una serie di tecniche per la tutela dei diritti: • Art. 2113 (Rinunzie e transazioni). Le rinunzie e le transazioni, che hanno per oggetto diritti del prestatore di lavoro derivanti da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti o accordi collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 del codice di procedura civile, non sono valide. L'impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza, entro sei mesi dalla data di cessazione del rapporto o dalla data della rinunzia o della transazione, se queste sono intervenute dopo la cessazione medesima. Le rinunzie e le transazioni di cui ai commi precedenti possono essere impugnate con qualsiasi atto scritto, anche stragiudiziale, del lavoratore idoneo a renderne nota la volontà. Le disposizioni del presente articolo non si applicano alla conciliazione intervenuta ai sensi degli articoli 185, 410, 411, 412-ter e 412-quater del codice di procedura civile. È una norma che risale al periodo di redazione del cc, ma la versione attuale è aggiornata agli anni ’70. Questa norma appartiene al passato, ma è profondamente mutata non tanto nel lessico quanto nella ratio. Essa è considerata una norma di chiusura come garanzia e tutela del lavoratore subordinato, poiché dichiara invalidi tutti gli atti giuridici con i quali il lavoratore subordinato rinunci o ceda (del tutto o in parte) un proprio diritto. Questa è una norma che, per tutelare il lavoratore, lo priva della sua autonomia contrattuale. Il lavoratore viene sostanzialmente trattato come un minore o un capitis deminuto, poiché è privato in sostanza dei propri diritti. Si fa riferimento ad atti di disposizione dei diritti del lavoratore identificati tramite: 1. Rinuncia prototipo di atto dispositivo a carattere unilaterale 2. Transazione prototipo degli atti bilaterali 4. Operai Ogni categoria possiede più livelli di inquadramento. Ad ogni livello di inquadramento corrisponde un livello retribu�vo. La categoria dei dirigen� è esclusa da questa classificazione. Il potere dire�vo è cara�erizzato dallo ius variandi – ovvero il potere datoriale di modificare nel corso del tempo le mansioni a�ribuite al lavoratore in sede contra�uale (ar�. 2103 e 2105 cc). Professionalità del lavoratore: cara�eris�che che contraddis�nguono il lavoratore Con il Jobs Act: 1. La mobilità orizzontale è possibile all'interno della medesima categoria legale purché non venga esercitata discriminazione 2. La mobilità ver�cale è consen�ta in ogni caso, a pa�o che corrisponda a un mutamento distribu�vo 3. È possibile anche il demansionamento all'interno della medesima categoria legale in casi di: . Modifica degli asse� aziendali . Singoli casi stabili� dai contra� colle�vi 1. I pa� contrari sono nulli, salva la possibilità di stringere un pa�o di declassamento. Trasferimento del lavoratore L’art. 2013 cc prevede la possibilità di modificare il luogo di svolgimento della prestazione nel corso dello svolgimento del rapporto lavorativo. Orari e durata del lavoro Fonti: 1. D.lgs. 66/2003 2. Statuto dei lavoratori 3. Jobs Act 4. Contrattazione collettiva 16 ottobre 2018 Modalità peer to peer – Il potere di controllo (parte I) Non è facile definirlo perché il codice civile non ne dà un’espressa definizione: è tuttavia un prolungamento del potere direttivo del datore di lavoro. Ha due funzioni: 1. Assicurare il rispetto delle norme interne all’impresa 2. Garantire l’esatto adempimento della prestazione lavorativa È un controllo sul corretto adempimento della prestazione lavorativa. Viene esercitato in modo discrezionale dal datore di lavoro: è quindi necessario porvi dei limiti (es. Statuto dei lavoratori). Nel porre limiti al potere di controllo, lo statuto dei lavoratori lo definisce: è un bilanciamento tra due opposti interessi – prerogativa del datore di lavoro (art. 41) e tutela dei diritti dei lavoratori. Il potere di controllo è regolamentato all’: • Art. 2: guardie giurate • Art. 3: personale di vigilanza • Art. 4: Impianti audiovisivi e altri strumenti di controllo • Art. 5: Accertamenti sanitari • Art. 6: Visite personali di controllo (perquisizioni) Il potere di controllo serve a: 1. Garantire l’integrità del patrimonio aziendale: art. 2-6 2. Garantire l’esatto adempimento della prestazione lavorativa: art. 3 3. Art. 4: non può essere ricompreso in una sola delle due categorie. Questo perché opera su entrambi i livelli del potere di controllo Esiste un altro ambito del quale lo statuto dei lavoratori ha voluto occuparsi: sfera personale del lavoratore. • Art. 1: libertà di opinione. È una trasposizione al lavoratore dell’art. 21 della Cost. (libertà di espressione/ opinione). La libertà di opinione è una sorta di base sulla quale costituire, nel tempo, una sfera personale del lavoratore ove il datore di lavoro non può entrare. • Art. 8: divieto di indagine sulle opinioni del lavoratore. Si applica per tutto il rapporto di lavoro (dall’assunzione al termine). Da un lato vi è un divieto assoluto di indagine sulle opinioni politiche, sindacali e religiose del lavoratore; dall’altro lato vi è un divieto relativo per cui il datore di lavoro può indagare solo sulle opinioni rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore • Art. 15: atti discriminatori. È una norma di chiusura in quanto vietando i patti discriminatori va ad aumentare la tutela della sfera personale del lavoratore. È nullo qualsiasi patto o atto diretto a: a. Subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale b. Licenziare un lavoratore, discriminarlo nella assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari ecc. c. Discriminare a livello politico, religioso, razziale ecc. Tali articoli sono differenti dai precedenti (dall’art. 2 all’art.6) perché questi non limitano il potere di controllo ma creano un’area di non ingerenza nella quale il potere di controllo non può e non deve entrare. Non si tratta altresì di un elenco definitivo: nel corso del tempo e con l’evolversi della società la sfera personale del lavoratore continuerà ad ampliarsi a necessitare sempre più di tutela. Perché risulta necessario un potere di controllo datoriale sui beni aziendali? Questo accade perché nella realizzazione del rapporto di lavoro il datore di lavoro fornisce locali e strumenti al lavoratore per compiere la sua prestazione: è quindi legittimo che il datore di lavoro abbia un potere di controllo a riguardo. Sempre per il sistema di pesi e contrappesi, il legislatore ha apposto nello statuto dei lavoratori un corposo corpo di tutela che circoscrive tale potere di controllo: negli anni ’70 non era previsto alcun limite. • Art. 2: guardie giurate. “Il datore di lavoro può impiegare le guardie particolari giurate soltanto per scopi di tutela del patrimonio aziendale”. Si tratta di un corpo militarizzato di nomina prefettizia. • L’impiego delle guardie particolari giurate è quindi un’eventualità, una facoltà lasciata al datore di lavoro; il legislatore pone un limite positivo in quanto afferma che le guardie particolari giurate possono essere utilizzate SOLTANTO per tutelare il patrimonio aziendale. “non possono contestare ai lavoratori atti diversi da quelli inerenti alla custodia dei beni aziendali” “non possono essere adibite alla vigilanza dell’attività lavorativa dei dipendenti” “non possono accedere ai locali durante lo svolgimento dell’attività lavorativa se non eccezionalmente e per dimostrare esigenze collegate al loro compito di salvaguardia dei beni patrimoniali” Si evita così un clima poliziesco e una forte ingerenza e controllo sull’attività dei lavoratori: questo accadeva prima degli anni ’70. Le informazioni tratte dalle guardie particolari giurate non possono essere utilizzate da nessuno e non sono prova in giudizio, tranne nel caso in cui la condotta del lavoratore si trasformi in illecito penale. • Art. 6: visite personali di controllo (perquisizioni) “Le visite sulla persona del lavoratore sono ammesse solo laddove indispensabili ai fini della tutela del patrimonio aziendale, in relazione alla qualità degli strumenti di lavoro o delle materie prime o dei prodotti” Hanno un’ingerenza sia fisica che psicologica molto importanti sulla figura del lavoratore: sono quindi estremamente circoscritte le possibilità di svolgerle. Il legislatore pone limiti di carattere generale: a. Criterio dell’indispensabilità di tutela del patrimonio aziendale: impossibilità di utilizzare strumenti alternativi alle perquisizioni e intrinseca qualità delle cose da tutelare (es. materiali di alta qualità come in oreficeria) b. Eseguire le visite all’uscita dei luoghi di lavoro c. Salvaguardare la dignità e la riservatezza del lavoratore d. Applicare sistemi di selezione automatica riferiti alla collettività o a gruppi di lavoratori in modo da assicurare l’imparzialità della scelta dei lavoratori da sottoporre al controllo Il legislatore ha poi inserito delle garanzie procedurali in modo da garantire un’imparzialità del controllo: a. accordo del datore di lavoro con le rispettive rappresentanze sindacali aziendali o con le rappresentanze sindacali unitarie: con questo accordo si stabiliscono le modalità b. provvedimento autorizzativo dell’ispettorato del lavoro L’art. 6 è stato sottoposto alla Corte Costituzionale dal pretore di Milano nel “Caso Alfa-Romeo” (vengono sottratti dei beni dell’azienda Alfa Romeo e viene perquisito un lavoratore il quale AVEVA DATO IL CONSENSO) per illegittimità costituzionale (il pretore di Milano, appellandosi all’art. 13 Cost., riteneva che fosse incostituzionale perquisire un lavoratore senza ordine dell’autorità giudiziaria): con la sentenza n. 99 del 25 giugno 1980 la Corte ha respinto la questione affermando che alle perquisizioni all’uscita del luogo di lavoro il lavoratore deve prestare un consenso; qualora non lo presti, se il rifiuto è giustificato non ci saranno conseguenze altrimenti ci saranno sanzioni disciplinari. Non c’è quindi contrasto in quanto non è una perquisizione imposta, ma necessita di consenso del lavoratore: è come se il consenso sostituisse l’ordine dell’autorità giudiziaria sancito dall’art. 13 Cost. Nell’art. 6 è compresa l’impossibilità di perquisire beni personali del lavoratore (es. borsa): questo perché i beni personali sono considerati un prolungamento della persona e di conseguenza sono sottoposti a forti norme di tutela. Accertamenti sanitari • Art. 5 Accertamenti sanitari 1. Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. 2. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono tenuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. 3. Il datore di lavoro ha la facoltà di far controllare la idoneità fisica del lavoratore da parte di enti pubblici ed istituti specializzati di diritto pubblico. Tra il primo e terzo comma vi è una differenza: nel secondo comma si parla anche di “interesse dell’istituto previdenziale” oltre a quello del lavoratore e del datore di lavoro; nell’ultimo comma tale interesse non viene considerato e rilevano solo quello del lavoratore e del datore di lavoro. Tale articolo mira ad assicurare l’imparzialità e la serenità di tali tipi di accertamenti: originariamente vi era il “medico di fabbrica” e di conseguenza il controllo veniva direttamente da parte del datore di lavoro. Ora invece questi controlli sono affidati a strutture pubbliche (INAIL e SSN). Tali controlli avvengono nelle cosiddette “fasce di reperibilità”: sono fasce orarie che si differenziano in base al lavoro pubblico (10-12 / 17-19) o al lavoro privato (10-13 / 15-18). La reperibilità è un onere per il lavoratore: l’irreperibilità del lavoratore può comportare la perdita del compenso economico. La visita può essere compiuta solo con il consenso del lavoratore: se esprime il proprio diniego incorrerà in una sanzione disciplinare. Si distingue tra lavoratore dipendente (comma 1) e lavoratore (comma 3): la giurisprudenza si è interrogata a lungo al fine di estendere la sfera applicativa dell’art. 5 anche al lavoratore che non ha ancora stipulato il contratto di lavoro per controllare la sua idoneità fisica per compiere la futura prestazione lavorativa. Tale ipotesi è stata accolta: nell’ultimo comma il termine generale “lavoratori” ricomprende anche i lavoratori in fase pre-assuntiva. Importante è la figura del “medico competente”: è un medico con il compito di sorveglianza sanitaria sui lavoratori. Il problema è che possa essere anche un dipendente del datore di lavoro: come coordinare lo statuto dei lavoratori e la normativa recente? Il medico competente ha come compito l’attestazione di idoneità alla prestazione specifica e, nel caso dell’accertamento demandato al lavoratore pubblico (non dipendente del datore di lavoro), ha come compito il controllo della generica idoneità allo svolgimento dell’attività lavorativa. Investigazioni private: vi può ricorrere il datore di lavoro se ritiene che il lavoratore abbia mentito sul suo stato di salute. Sentenza n. 17113 del 16 agosto 2016: la Corte di Cassazione afferma che il datore di lavoro può compiere controlli occulti qualora abbia il sospetto del compimento di illeciti. 17 ottobre 2018 Modalità peer to peer - Il potere di controllo (parte II) Personale di vigilanza • Art. 3 Personale di vigilanza “I nominativi e le mansioni specifiche del personale addetto alla vigilanza dell’attività lavorativa debbono essere comunicati ai lavoratori interessati” Rimane fermo il potere di seguire e controllare l’esecuzione delle prestazioni lavorative dei lavoratori che operano alle sue dipendenze: è un potere gerarchico. Si vuole evitare un controllo occulto perché considerato sleale e lesivo della personalità stessa del lavoratore. È una norma che fa parte del grande spettro di tutela rivolto ai lavoratori. A favore del datore di lavoro, per quanto concerne l’accertamento di illeciti, la giurisprudenza ha considerato legittime alcune forme di controllo occulto: è un controllo che va al di là del personale di vigilanza richiamato dall’art. 3 e che ricade nelle investigazioni private. Questo controllo occulto è limitato: è possibile solamente in determinate condizioni tracciate dalla giurisprudenza. • Art.4: installazione di impianti audiovisivi e strumenti che possano garantire un controllo a distanza dell’attività del lavoratore. Tale articolo è stato modificato dal d.lgs. 151/2015 art. 23. Modalità peer to peer – Il potere disciplinare Quadro formativo • Art. 2106 c.c. • Art. 7 Statuto dei lavoratori È definito come una proiezione del potere direttivo: è una facoltà del datore di lavoro di colpire l’inadempimento del lavoratore con una sorta di pena privata/sanzione disciplinare. È una novità, in quanto non si opera una risoluzione del contratto o un risarcimento del danno in caso di inadempimento: vi è quindi una matrice autoritaria da parte del datore di lavoro che utilizza una sanzione. Le sanzioni disciplinari non trovano fondamento nelle regole generali dei rapporti contrattuali : hanno essenzialmente la funzione di diffidare dal compimento di ulteriori violazioni. Possono essere erogate anche qualora non vi sia un danno (es. rissa tra lavoratori) e, soprattutto, rappresentano un metodo molto più veloce rispetto alla risoluzione del contratto o al risarcimento. Vengono utilizzate qualora vi sia un pregiudizio del mondo del lavoro. La prerogativa del potere disciplinare è afflittiva sul piano morale e punitiva. • Art. 2106 c.c. Sanzioni disciplinari. “L'inosservanza delle disposizioni contenute nei due articoli precedenti può dar luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari, secondo la gravità dell'infrazione” Il potere disciplinare si attiva in seguito all’inosservanza dell’art. art. 2104 (diligenza del lavoratore) e 2105 (obbligo di fedeltà). Fra sanzione e infrazione vi è un rapporto di proporzionalità: non rileva il danno e non vi è riferimento alla sua gravità dello stesso. • Art. 7 Statuto dei lavoratori: sulle sanzioni disciplinari integra l’art. 2106 c.c. che risulta scarno. “Le norme disciplinari relative alle sanzioni, alle infrazioni in relazione alle quali ciascuna di esse può essere applicata ed alle procedure di contestazione delle stesse, devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti. Esse devono applicare quanto in materia è stabilito da accordi e contratti di lavoro ove esistano” Sanzioni e infrazioni devono essere portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione in luogo accessibile a tutti: manca la locuzione del “codice disciplinare” che si trova nelle contrattazioni collettive. Il codice disciplinare ha una funzione di predisposizione preventiva: permette al lavoratore di conoscere ex novo tutto ciò che riguarda sanzioni, infrazioni e procedure di contestazione. Cos’è il codice disciplinare? È una locuzione estranea alla legislazione perché si trova solo nei contratti collettivi. È costituito da un catalogo graduato di ciò che sono sanzioni e infrazioni. Il giudice, qualora si trovi a dover applicare una disposizione contenuta nel contratto collettivo, deve tener conto del principio di proporzionalità. È un documento predisposto dal datore di lavoro e sottoposto all’obbligo di pubblicità. Ha funzione sussidiaria e integrativa nei confronti dei contratti collettivi: la ratio è definire ex ante le condotte passibili di sanzione disciplinare e limitare la discrezionalità del datore di lavoro, evitando così abusi e arbitrii. Nel codice possono sono introdotte anche le fattispecie, in via generale, già vietate da norme penali o contrarie al vivere civile? Sistema penale e disciplinare sono completamente differenti perché il sistema penale mira a prevenire e reprimere condotte, mentre quello disciplinare ha alla base un principio tutelato. In conclusione, non devono essere inserite le norme contrarie e illecite considerate già dalla coscienza del lavoratore come minimo etico e quelle fattispecie già vietate da norme penali. Sono vietate le modalità equipollenti per quanto riguarda l’affissione del codice disciplinare: deve essere affisso in un luogo in cui tutti i lavoratori transitano obbligatoriamente (profilo spaziale) e deve rimanervi affisso in modo continuativo (profilo temporale). Si adduce alla mera conoscibilità e non alla mera conoscenza: il codice disciplinare si presume conosciuto da tutti i lavoratori a meno che il lavoratore non provi di essere incapace di conoscerlo (es. lavoratore straniero che non parla italiano). Le sanzioni disciplinari Possono essere: 1. Conservative: puntano alla conservazione del rapporto di lavoro. Rappresentano la maggiore funzione delle sanzioni disciplinari ovvero di mantenere il rapporto di lavoro ricreando tra datore di lavoro e lavoratore l’equilibrio leso dal lavoratore stesso. Non hanno funzione risarcitoria (no equilibrio patrimoniale). Partendo dal basso (il rimprovero verbale è il meno grave) e salendo (la sospensione è la più grave) le sanzioni disciplinari conservative si distinguono in: a. Sospensione: vi segue l’estinzione del rapporto di lavoro (licenziamento) qualora continuino le infrazioni. Ha un massimo di 10 giorni, secondo la volontà del datore di lavoro e la gravità dell’infrazione del lavoratore. Es. Roma Multiservizi spa: il datore di lavoro può sospendere il lavoratore qualora finga di essere ammalato o qualora metta in cattiva luce l’azienda. b. Multa: non può essere superiore a 4h della retribuzione base. Il datore di lavoro non può sanzionare il lavoratore e rifarsi su di lui a livello economico perché le sanzioni disciplinari conservative NON hanno lo scopo di ricreare un equilibrio patrimoniale: la multa consiste infatti in un aumento di ore e non nel pagamento di una somma di denaro. c. Rimprovero scritto: opera in caso di infrazioni blande. Vi è una prova documentale essendo scritto. Es. Roma Multiservizi Spa: riunisce rimprovero verbale e scritto nello stesso articolo (art. 58). d. Rimprovero verbale: è la sanzione disciplinare di biasimo e ammonizione. Opera quando il lavoratore pone in essere un’infrazione blanda, di poco conto. Ha lo scopo di intimidire il lavoratore affinché non compia nuovamente la stessa infrazione. Essendo orale, non vi sono testimonianze scritte: il legislatore ha stabilito recentemente che il datore di lavoro deve darvi memoria scritta. 2. Estintive: puntano al termine del rapporto di lavoro. Il licenziamento disciplinare è la più aspra sanzione disciplinare estintiva: viene utilizzato in virtù del principio di proporzionalità tra sanzione e infrazione (Infrazione più grave = sanzione più grave, ovvero licenziamento). Il licenziamento disciplinare viene utilizzato anche qualora, in seguito ad una sospensione del lavoratore, vi sia una recidiva della stessa infrazione da parte del lavoratore stesso. Sanzioni disciplinari conservative ed estintive, per certi versi, possono considerarsi parte di un unico sistema ovvero quello delle sanzioni disciplinari. Tuttavia, le sanzioni conservative e quelle estintive viaggiano su strade parallele: qualora il datore di lavoro opti per un licenziamento disciplinare e il giudice consideri tale sanzione estremamente aggressiva rispetto all’infrazione del lavoratore (qualora non vi sia quindi rapporto di proporzionalità tra sanzione e infrazione) NON potrà comunque trasformare il licenziamento in altra sanzione. Ciò non sarebbe possibile perché così facendo il giudice lederebbe il potere disciplinare del datore di lavoro. Negli artt. 2016 c.c. e 7 Statuto dei lavoratori, il legislatore pone dei limiti dai quali si individuano i tipi di sanzioni disciplinari. • Art. 2106 c.c.: le sanzioni disciplinari applicabili sono solo quelle rinvenibili nelle disposizioni contrattuali e secondo il principio di proporzionalità. • Art. 7 Statuto dei lavoratori: è necessaria l’atipicità delle sanzioni disciplinari (no numero chiuso ma categoria aperta) e non sono ammesse solo le sanzioni disciplinari che NON comportano un mutamento definitivo del rapporto di lavoro, bensì un continuo del rapporto di lavoro. L’atipicità delle sanzioni disciplinari NON significa che il datore di lavoro può inventare nuove sanzioni: le sanzioni disciplinari sono tipiche e “atipicità” si rivolge al fatto che tali sanzioni disciplinari possono essere applicate in situazioni diverse tra loro (es. ambito medico rispetto ad ambito poliziesco) o che, in alternativa al licenziamento, si può optare per il TRASFERIMENTO (non indicato nelle sanzioni disciplinari in quanto mutamento definitivo del luogo di adempimento della prestazione lavorativa e quindi contrario al divieto di mutamento definitivo del rapporto di lavoro). Il trasferimento è frutto di un’elaborazione giurisprudenziale. Com’è possibile allora considerare il licenziamento come sanzione disciplinare se comporta un mutamento definitivo del rapporto di lavoro e non un continuo? Per rispondere a tale domanda è stato necessario l’intervento della Corte Costituzionale con la sent. 204/1982. Con tale sentenza la Corte ha affermato che il licenziamento disciplinare deve essere pacificamente introdotto all’interno delle sanzioni disciplinari in virtù dell’art. 3 Cost. (principio di uguaglianza): di fronte all’infrazione più grave del lavoratore, il datore di lavoro deve poterlo sanzionare, secondo il principio di proporzionalità, con la sanzione adatta. Il licenziamento per motivi soggettivi (infrazione del lavoratore) è quindi intrinsecamente disciplinare: è una nozione ontologica a voler dire che, quando il licenziamento viene utilizzato per sanzionare un’infrazione molto grave, è una sanzione disciplinare. Ricondurre il licenziamento dentro l’ambito di applicazione dell’art. 7 ha consentito di affermare che la procedura disciplinare è applicabile anche ad esso. Procedimento disciplinare Il potere disciplinare serve a riequilibrare il rapporto di lavoro, essendo un potere con il quale il datore di lavoro che infligge una sanzione può sfociare nella discrezionalità. È quindi necessario prevenire abusi da parte del datore di lavoro; per fare ciò interviene l’art. 7 dello Statuto dei lavoratori, affermando le seguenti tutele difensive al lavoratore: • Rischio di arbitrarietà • Principio del contradditorio: il contradditorio disciplinare deve mettere il lavoratore nella “condizione di difendersi adeguatamente e di fare accertare l’effettiva sussistenza dell’addebito in contradditorio con l’altra parte.” Vi sono 4 fasi nel procedimento disciplinare volto all’irrogazione della sanzione: 1. Contestazione dell’addebito: deve avvenire per iscritto a. Specificità: il datore di lavoro è chiamato ad effettuare una contestazione precisa e dettagliata in modo da permettere al lavoratore di avere una difesa efficiente. L’intera procedura è posta a tutela del lavoratore, ma ciò non può tradursi nel rendere troppo difficoltosa la posizione del datore di lavoro. b. Immediatezza: principio di prossimità temporale tra il compimento del fatto e la contestazione in modo da consentire al lavoratore di ricostruire più facilmente i fatti e organizzare la propria difesa. Non vi sono canoni o principi riguardo la prossimità temporale per le variabili che possono subentrare (es. circostanze del fatto o dimensioni dell’impresa). c. Immutabilità: nel momento in cui il datore di lavoro effettua la contestazione, circoscrive l’oggetto del procedimento; non potrà successivamente inserire e rimproverare altri inadempimenti al lavoratore. 2. Difesa del lavoratore: a. Termine dilatorio di 5 giorni: la sanzione non può essere irrogata prima di 5 giorni dalla contestazione. Questo permette al lavoratore di essere rappresentato da un rappresentante sindacale (anche ad hoc qualora il lavoratore non appartenenza a nessuna organizzazione sindacale). b. Duplice fine: è il c.d. termine di ripensamento e raffreddamento. 3. Irrogazione della sanzione: se il datore di lavoro è ancora convinto della sanzione e quindi dell’inadempimento del lavoratore; qualora non siano pervenute giustificazioni che siano attendibili da parte del lavoratore o qualora tali giustificazioni non siano proprio pervenute. a. Non obbligatoria b. Principio di corrispondenza tra contestazione ed addebito posto a fondamento della sanzione: il lavoratore non può essere sanzionato sulla base di elementi sui quali non ha potuto esercitare il proprio diritto di difesa c. Riferimento alle difese avanzate 4. Impugnazione: qualora il lavoratore NON sia d’accordo con la sanzione irrogata a. Ragioni procedurali e/o sostanziali b. Obiettivo: far valere la nullità della sanzione a favore del lavoratore Competenza: del giudice ordinario o dell’Ispettorato del lavoro. 24 ottobre 2018 Il potere di licenziamento e le forme di tutela del posto di lavoro Dal punto di vista politico, sindacale, sociale è un tema molto rilevante. La tutela del posto di lavoro è stata definita “una sorta di diritto stipite” in quanto sostiene un’architettura di diritti, di tutele, di regole, di protezioni. Di fronte alla libertà del datore di lavoro di chiudere i battenti, viene meno la possibilità per il lavoratore di rivendicare altri diritti fondati su una relativa, se non solida, stabilità del rapporto di lavoro. Garantire la stabilità del posto di lavoro significa garantire il paniere di tutele e protezioni al lavoratore. La legge di tutela contro i licenziamenti individuali illegittimi è stata una delle prime leggi lavoristiche (L. 66/64). Le sono seguite tutte le altre (es. Carta dei diritti dei lavoratori). La disciplina dei licenziamenti è una delle più stratificate e modificate (l’ultimo a modificarla è stato Di Maio). Tuttavia, numerose volte anche la Corte l’ha modificata: ha dichiarato illegittima in alcuni punti la disciplina dei licenziamenti individuali. È una materia molto complessa. Si tratta di una tutela economica: il licenziamento illegittimo permetteva al lavoratore di richiedere un certo numero di mensilità di retribuzione; il datore di lavoro, condannato per il licenziamento illegittimo aveva due opzioni: 1. Pagare le mensilità individuate dal giudice 2. Riassumere entro 3 giorni il lavoratore La forma del pagamento delle mensilità è stata da sempre la più utilizzata: tuttavia, tale forma di tutela è considerata dalla L. 604/66 “tutela debole ed economica” perché dà al lavoratore soltanto un rimedio economico, ma provoca comunque l’estinzione del rapporto di lavoro. Infatti, anche se il datore di lavoro decide di riassumere il lavoratore egli diviene “neo assunto” perché il rapporto lavorativo precedente è a prescindere estinto. La L. 604/66, riguardo il campo di applicazione, non ne ha uno generalizzato: la disciplina viene ancora oggi riservata a lavoratori dipendenti di imprese con un certo stock occupazionale, lasciando così libere di ricorrere all’art. 2118 c.c. le imprese minori. La Corte costituzionale ha sempre ritenuto legittima tale tecnica che lega un certo rimedio ad un campo di applicazione suo proprio perché riconoscere che per le imprese piccole la libertà di licenziare è fondamentale. Dalla L. 604/66 allo Statuto dei lavoratori passano pochi anni: quest’ultimo non interviene sui presupposti o la forma del licenziamento, ma solo sulle misure di tutela con l’art. 18 “Reintegrazione nel posto di lavoro”. Afferma il principio che la L. 604/66 non aveva avuto la forza di affermare: un atto di licenziamento illegittimo non può avere un’efficacia estintiva del rapporto di lavoro; ergo, il rapporto di lavoro prosegue e quindi il lavoratore che ottiene dal giudice il riconoscimento dell’illegittimità del licenziamento non può ottenere solo una tutela economica, ma ha diritto ad essere reintegrato sul posto di lavoro. Infatti, la sua estromissione è solo materiale: giuridicamente il rapporto di lavoro è ancora in vita. Per questo non si parla di “riassunzione” (L. 604/66) ma di reintegrazione. Nell’introdurre questa tutela forte reintegratoria del posto di lavoro, lo Statuto dei lavoratori introduce anche un campo di applicazione: non tutte le imprese devono garantire tale stabilità del posto di lavoro. La reintegrazione spetta soltanto ad alcuni lavoratori che sono dipendenti di imprese medio-grandi. Quindi la tutela è divenuta debole per certe imprese e forte per altre imprese, introducendo così una distinzione tra i lavoratori contraria al principio di uguaglianza. Tale tutela reintegratoria, oltre ad avere un campo di applicazione suo proprio, è una tutela che ha un grosso problema di effettività: se il datore di lavoro decide di non reintegrare quel lavoratore nonostante l’ordine del giudice, il lavoratore non può essere reintegrato forzosamente. Se il datore di lavoro non esegue l’ordine del giudice non ci sono meccanismi di esecuzione coattiva di reintegrazione: questo perché si tratta di un potere imprenditoriale che il giudice non può toccare. Si è cercato (inutilmente) di modificare il potere imprenditoriale in caso di reintegrazione. Si era provato il meccanismo dell’accompagnamento del lavoratore sul posto di lavoro da parte delle forze dell’ordine qualora il datore di lavoro non volesse procedere con la reintegrazione ordinata dal giudice, ma non ha funzionato perché il lavoratore rientrava in azienda, ma non aveva alcuna mansione da svolgere. 30 ottobre 2018 Rimedi e tutele contro il licenziamento illegittimo La recente legislazione si è concentrata sui rimedi e sulle tutele, ritenendo che i rimedi pensati negli anni ’70 fossero troppo rigidi e paralizzanti degli interessi dell’impresa. Toccando l’apparato rimediale, viene toccata anche la disciplina sostanziale dei licenziamenti illegittimi. Questo perché se sfuma la tutela sostanziale, inevitabilmente anche i presupposti sostanziali di legittimità si indeboliscono. Si delineano 2 tipi di tutele: • Debole • Forte Che si suddividono in: • Tutela economica • Tutela legale La tutela debole economica è stata introdotta dalla legge 604/66. Le tutele sono entrambe vigenti poiché l’applicazione di una o dell’altra tutela dipende dal numero di dipendenti occupati dalle imprese. Quindi la soglia dell’occupazione dell’impresa incide e consente di richiamare la tutela debole o quella legale. Art. 18 dello Statuto dei lavoratori abbassa la soglia occupazionale necessaria per consentire l’accesso alla reintegrazione sul posto di lavoro, introducendo la soglia del 15%+1. Le imprese che, nella totalità o nelle singole unità produttive, occupino almeno 16 dipendenti sarebbero state tenute ad applicare la tutela reale; laddove queste condizioni manchino si è collegati alla tutela economica. Collegare i rimedi di tutela alla consistenza occupazionale delle imprese è stata una soluzione che ha prodotto qualche effetto contrario, perché ha spinto le imprese a un certo nanismo, ovvero a sottodimensionarsi per non superare la fatidica soglia dei 15 dipendenti. Le imprese sono state fortemente incentivate a giocare sul numero dei lavoratori per evitare l’applicazione dell’art. 18: si è creata quindi una disparità tra i lavoratori. La Corte Costituzionale è stata più volte chiamata a giudicare questo sistema di parallelismo di tutele, respingendo sempre la censura di incostituzionalità. Con l’andare del tempo, il divario tra tutela debole e forte si è attenuato, così come il dubbio di costituzionalità sulla disparità di trattamento dei lavoratori di un’impresa. La legge 108/1990 è stata varata per “sminare”, bloccare un referendum che nell’intenzione dei promotori avrebbe dovuto eliminare i limiti di applicabilità dell’art. 18 dello statuto, estendendo la reintegra ovunque. Tale legge ha modificato il punto di equilibrio tra gli interessi dell’impresa e del lavoratore alla stabilità del posto di lavoro. • Da un lato la legge ha attenuato la reintegra, introducendo un’alternativa alla reintegra: la possibilità di accordarsi e sostituire la reintegra con una penale risarcitoria. Il rapporto di lavoro, pagata la penale, comunque si estingue. • Dall’altro lato, la legge ha allargato il campo di applicazione della reintegra. La legge 108/1990 consente di tenere conto non solo dei lavoratori occupati nell’attività produttiva, ma della consistenza occupazionale dell’attività di impresa. Anche così ridisegnata, la reintegra rappresenta una tutela rilevante per i lavoratori. Con l’ingresso in Europa, la dottrina lavoristica ci ha rivelato che sembra che i lavoratori italiani avessero una tutela maggiore rispetto a quella degli altri paesi europei (dove, invece, la reintegra era solo una misura residuale). Questa idea è alla base della riforma del 2012 con la legge Fornero (l. 92/2012). La reintegra è qui vista come un rimedio eccezionale. Questa riforma parte con una modifica profonda dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, a partire dalla Rubrica, che era rimasta invariata dagli anni ’70. La nuova rubrica porta il nome di “Tutela dei lavoratori in caso di licenziamento illegittimo”. La Riforma Fornero prevede, infatti, che la reintegra rimanga confinata ad un’ipotesi di licenziamento discriminatorio. Il licenziamento discriminatorio era già stato sganciato dal campo di applicazione della disciplina (sin dagli anni ‘90). Nei casi in cui il licenziamento non è nullo, ma annullabile – quindi un licenziamento INGIUSTIFICATO MA NON DISCRIMINATORIO (tutela che deve essere più attenuata rispetto alla reintegra), occorre distinguere fra: • Motivo materialmente insussistente è un licenziamento privo del fatto materiale alla base che lo giustifica. [Es. il lavoratore viene licenziato per un furto che però in realtà non ha commesso. Solo in un secondo momento si scopre che egli è innocente.] In questo caso il licenziamento è gravemente viziato (comunque meno grave del licenziamento discriminatorio), per cui la reintegra che gli viene riconosciuta è una reintegra attenuata. Il lavoratore può riprendersi il suo posto di lavoro, ma senza un risarcimento economico per le mensilità perdute. Viene invece introdotto un costo forfettario, che il datore deve pagare a fronte della reintegra. • Se il licenziamento è ingiustificato perché sproporzionato, il licenziamento viene confermato e al lavoratore viene semplicemente dato un risarcimento di carattere economico. [es. il lavoratore ruba 10 graffette dall’ufficio.] Il problema che questa fattispecie presenta è basato sul fatto che il principio di proporzionalità ha addirittura copertura costituzionale. Qui, invece, la violazione di questo principio non determina la nullità del licenziamento, ma solo la sua ingiustificatezza di grado minore rispetto all’ipotesi di grave insussistenza del fatto. La reintegra non viene predisposta, in questo caso, perché è venuto meno quel patto di fiducia tra datore e lavoratore, perché comunque il fatto è stato commesso. • Licenziamento per ingiustificato motivo oggettivo (licenziamento per GMO) viene visto come licenziamento “quasi giustificato”, poiché è stato compiuto per ragioni di scarsa liquidità economica dell’azienda, motivi organizzativi ecc… La Legge Fornero afferma che la reintegra non è automatica, ma il giudice può disporre la reintegra quando vi sia una manifesta insussistenza del motivo oggettivo, altrimenti vi è un risarcimento economico. La legge introduce anche la possibilità per il datore di lavoro che, impulsivamente, abbia intimato un licenziamento, di revocarlo entro 15 gg senza pagare alcun dazio. Nel 2015 con il Jobs Act è stata varata una legge delega, al fine di tornare sul tema delle tutele e risolvere i punti interpretativi della legge Fornero rimasti oscuri. Il d.lgs. 23/2015, collegato alla legge delega, prevede il contratto a tutele crescenti tutti i lavoratori assunti a tempo indeterminato dopo il marzo 2015 devono essere assunti con questo contratto. Tale contratto ha un regime particolare per il quale i lavoratori hanno maggiori tutele in caso di licenziamento illegittimo. Questo contratto ha come matrice la legge Fornero (che continua ad essere vigente). La Riforma Fornero, però, prevedeva una tutela economica significativa (dalle 12 alle 24 mensilità). La Riforma del 2018 agisce proprio sul quantum, ancorando il risarcimento del danno all’anzianità del lavoratore prevede che nel caso di licenziamento senza giusta causa, sia versata una mensilità al lavoratore calcolando 2 mesi per ogni anno di servizio, mantenendo però fermi i range minimi e massimi. In questo modo, per un datore di lavoro, diventa più conveniente licenziare un lavoratore giovane, con meno anni di servizio. Il legislatore vuole limitare la libertà dei giudici, predisponendo tutti gli aspetti. Quindi ora occorre distinguere: • Vecchi assunti si applica la legge Fornero fino alla pensione • Nuovi assunti contratto a tutele crescenti e nuovo regime Anche qui si verifica un problema di disparità di trattamento. Il datore di lavoro ha la necessità di prevedere i costi. Gli economisti parlano di “costo di sostituzione del lavoratore”. I vizi formali e procedurali hanno ancora di più una riduzione di quantum. Viene introdotto un nuovo istituto: l’offerta di conciliazione il datore di lavoro che vede impugnato il proprio licenziamento, può fare un’offerta al lavoratore per cui -se accettata- provoca l’immediata cessazione del rapporto di lavoro. Questa offerta corrisponde circa alla metà di quanto il giudice potrebbe stabilire. Il Decreto Dignità l. 87/2018 ritorna sul d.lgs. 23/2015 e modifica i quantum, alzando l’asticella dei costi per l’impresa con l’obiettivo di disincentivare i licenziamenti. Sostituisce, senza contravvenire alla regola del Jobs Act, “2 mensilità per anno di anzianità” e modifica il range minimo e massimo: laddove il Jobs Act diceva da 4 a 12 mensilità, il decreto dignità predispone da 6 a 36 mensilità. È circa un ricalcolo del 30% sui parametri minimi e massimi previsti dal Jobs Act. Non viene così modificato l’impianto base del Jobs Act. Contemporaneamente a tale riforma, fin dall’estate del 2017, il tribunale del lavoro di Roma ha sollevato una questione di legittimità costituzionale sul Jobs Act. La Corte si è pronunciata il 26 settembre 2018 con il dispositivo e ora attendiamo le motivazioni della sentenza. Per la Corte è illegittima la determinazione prioristica dell’indennità per il lavoratore ingiustificatamente licenziato. 31 ottobre 2018 L’organizzazione e la disciplina del mercato del lavoro – La flessibilità del lavoro Istituzioni e soggetti privati che operano nel mercato del lavoro e le regole che governano questa disciplina. L’UE ha adottato, fin dagli anni ’90, una Strategia Europea per l’Occupazione (SEO). Essa nasce con il Consiglio europeo di Lussembrugo del 1997. L’obiettivo della SEO era quello di passare da una unione monetaria ad una integrazione di carattere economico e soprattutto sociale. Il principale veicolo di integrazione economico-sociale è il lavoro. Il TFUE che ha recepito tale SEO, non prevede e non impone un’omologazione delle politiche occupazionali e del lavoro dei vari paesi membri, perché la SEO punta ad armonizzare la situazione occupazionale individuando obiettivi comuni si parla infatti di metodo di coordinamento aperto (è uno strumento di soft law perché ciascun governo di ogni paese membro è libero di scegliere le politiche occupazionali che ritiene più efficaci per raggiungere gli obiettivi comuni dettati dall’UE). La SEO si fonda su 4 pilastri: 1. Occupabilità i paesi membri dell’UE devono impegnarsi per accrescere le chances occupazionali dei cittadini europei, quindi renderli appetibili per il mercato del lavoro. Le politiche che vanno nel senso dell’occupabilità sono ad esempio quelle riguardanti la formazione. 2. Imprenditorialità gli stati membri devono favorire delle politiche che stimolino la capacità imprenditiva ed imprenditoriale. È uno stimolare le persone a rendersi imprenditori di se stessi anziché battere l’unica strada del lavoro dipendente [es. start-ups]. 3. Pari opportunità vanno declinate non soltanto in relazione al genere, ma anche in relazione all’anzianità di un lavoratore e alla disabilità. 4. Adattabilità (flessibilità del lavoro) capacità dei lavoratori di adattarsi ai cambiamenti dell’economia e ai mutamenti nei modi di produrre conservando il posto di lavoro. Si declinano in questa categoria le forme di lavoro flessibili. Vanno in questa direzione di adattabilità gli interventi mirati ad attenuare la transizione scuola-università-lavoro. L’art. 145 comma I del TFUE afferma che uno degli obiettivi dell’Unione è quello di creare una forza lavoro adattabile. L’art. 4 comma I della Costituzione prevede il riconoscimento del diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendono effettivo questo diritto. L’organizzazione e gestione del mercato del lavoro, nel nostro paese, integra una funzione pubblica (quella di garantire il diritto al lavoro). Una delle prime leggi importanti della fase post-costituzionale è la l.264/1949, che disciplina il collocamento pubblico dei lavoratori. Si parla di funzione di collocamento, non ancora di mercato del lavoro. Nella direttiva della CEE 70/1999, l’Europa vuole armonizzare i vari mercati di lavoro europei, dando ai lavoratori le stesse chances di flessibilità regolando anche la concorrenza fra imprese che operano nel mercato europeo. Questa direttiva è stata recepita in Italia nel 2001. Tramonta quella tecnica legislativa che prevedeva causali per poter stipulare il contratto a termine. Viene introdotto il c.d. “causalone” il contratto di lavoro a tempo determinato può essere stipulato ogniqualvolta si tratti di un’esigenza tecnica, organizzativa o produttiva. Le esigenze di flessibilità delle imprese sono, però, diventate sempre più insistenti. Il legislatore ha ritoccato tantissime volte questa materia (quasi una volta all’anno negli ultimi anni). La riforma del Jobs Act, ad esempio, è stata anticipata da un intervento legislativo d’urgenza c.d. “Decreto Poletti”. La Legge Fornero nel 2012 cambia registro perché prevede che il primo contratto a termine stipulato tra datore di lavoro e lavoratore deve avere durata di 1 anno ed essere acausale (senza una causale). Se il contratto viene rinnovato o prorogato, il datore di lavoro è tenuto ad addurre una causale a tale contratto. c.d. acausalità del primo contratto a termine. Se il contratto prosegue nel tempo fino alla sua durata massima (36 mesi), bisogna fornire una giustificazione. Questo meccanismo viene ripreso dal decreto Poletti. Il d.lgs. 81/2015 (denominato Disciplina organica dei contratti di lavoro) riprende le forme del lavoro del decreto del 2003, le elabora in un modo più flessibile e le fonde in questa specie di testo unico. Negli artt. 19 e seguenti del d.lgs. 81/2015 viene affermato che: • Il contratto di lavoro a tempo determinato non può avere durata superiore a 36 mesi (3 anni). • Il contratto può essere prorogato e diventa definitivamente un contratto di lavoro a causale. • Il legislatore consente la proroga plurima del contratto a termine fino a 5 volte in 36 mesi. • Se il datore di lavoro non rispetta i termini, la sanzione che in origine era molto rigorosa, ora è una sanzione residuale che si applica solo nei casi di elusione della normativa (quando il contratto supera i 36 mesi). La sanzione è soltanto di carattere economico. Vi è una grande libertà di manovra dell’impresa, del datore di lavoro. Una volta trascorsi i 36 mesi nulla impedisce di riassumere il lavoratore per altri 36 mesi (ovviamente in un altro periodo). L’ultimo passaggio è avvenuto con il decreto dignità. Dal 2015 al 2018 sono apparsi evidenti gli effetti della riforma del Jobs Act. Il numero dei contratti di lavoro a termine ha ampiamente superato il numero dei lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato. Il decreto dignità ha apportato alcune modifiche al d.lgs. 81/2015, limando alcune punte di eccessiva flessibilità. Innanzitutto, ha stabilito che il contratto a termine ha durata di 12 mesi, non prorogabili oltre i 24 mesi e senza causali giustificative. Oltre i 24 mesi, il datore di lavoro deve giustificare tale proroga. Si ritorna al metodo degli anni ’60. Si fa riferimento a: • esigenze di carattere temporaneo che negli anni ’60 erano le c.d. punte stagionali • sostituzione di lavoratore • esigenze delle imprese connesse ad incrementi Non si può sostituire un certo numero di posti di lavoro a tempo indeterminato con tanti contratti di lavoro a termine. Il decreto dignità rispolvera anche la sanzione della conversione automatica. Se il contratto viene stipulato fuori dai casi previsti dalla legge, il legislatore rischia di vedersi trasformato tale contratto in un contratto a tempo indeterminato. Un’altra idea di fondo di questo decreto è che il lavoro flessibile deve costare di più. Già era stato previsto dalla riforma Fornero del 2012, ma il decreto dignità aggiunge uno + 0,50 all’incremento dei contributi sociali già previsti dalla riforma Fornero. Alle Pubbliche amministrazioni NON si applica questa disciplina per i contratti a termine. 7 novembre 2018 Il lavoro a tempo parziale È un istituto che viene presentato come strumento con duplice anima: • risponde a finalità occupazionali favorendo l’ingresso nel mondo del lavoro di soggetti che altrimenti ne rimarrebbero esclusi; • concilia fra tempo di lavoro e tempo di vita. Il lavoro a tempo parziale è anche considerato uno strumento del datore di lavoro. Tale istituto è frutto di una disciplina risalente al 2001, una disciplina fortemente modificata che oggi contiene ben poco della normativa originaria. Una delle novità della macro-riforma del Jobs Act è l’aver ampliato i margini di autonomia organizzativa di cui gode il DL, incrementando la c.d. flessibilità funzionale. Nell’ambito dei rapporti di lavoro subordinato, l’assunzione dei lavoratori può avvenire (art. 4 d.lgs. 81/2015): • a tempo parziale svolgere un lavoro con orario inferiore all’orario normale di lavoro; • a tempo pieno 40 ore settimanali ovvero il minor orario previsto dai contratti collettivi di lavoro. Quando parliamo di lavoro a tempo parziale, parliamo di una prestazione di lavoro subordinato (a tempo determinato o indeterminato), ma che come caratteristica ha un orario di lavoro minore dell’orario di lavoro normale. La durata massima dell’orario di lavoro è 48 ore settimanali comprensive dello straordinario (art. 4 d.lgs. 66/2003). Nei contratti collettivi e nella prassi aziendale si distingue tra: • part time orizzontale riduzione dell’orario di lavoro in relazione all’orario normale giornaliero • part time verticale lavoro a tempo pieno, ma limitatamente a periodi predeterminati nel corso della settimana, del mese o dell’anno • part time misto combinazione delle due precedenti forme di part time Al momento della stipula del contratto a tempo parziale deve essere data puntuale indicazione della durata della prestazione lavorativa e della collocazione temporale dell’orario con specifico riferimento al giorno, al mese e all’anno. Qualsiasi disciplina che abbia interessato il lavoro a tempo parziale si è sempre basata sul bilanciamento di 2 differenti interessi: 1. l’interesse del DL all’organizzabilità della prestazione lavorativa secondo le proprie mutevoli convenienze; 2. l’interesse del lavoratore alla prevedibilità del proprio impiego lavorativo e alla programmabilità del tempo di non lavoro. Spetta al legislatore realizzare in concreto tale bilanciamento. Limiti ordinamentali: C. Cost. sent. 210/1992 è necessario collocare la prestazione lavorativa entro coordinate contrattualmente predeterminate ed oggettivamente predeterminabili. Principi di non discriminazione e volontarietà del part-time (clausole 1 e 4, Accordo quadro sul lavoro parziale) • Principio di non discriminazione Il lavoratore a tempo parziale non deve essere destinatario di un trattamento meno favorevole rispetto al lavoratore a tempo pieno. Oggi il trattamento economico e normativo del lavoratore part-time è riproporzionato in ragione della ridotta entità della prestazione lavorativa. • Volontarietà dell’accesso al part time Il legislatore prevede due diverse ipotesi: 1. Accordo di trasformazione da tempo pieno a part-time inizialmente era necessario un atto scritto redatto su richiesta dal lavoratore con l’assistenza di un rappresentante sindacale aziendale, oggi invece basta l’accordo tra le parti; 2. Accordo di trasformazione da part-time a tempo pieno accordo tra le parti o comportamento concludente. Per flessibilità interna si intende il potere del DL di modificare nel tempo il contenuto temporale della prestazione lavorativa pattuita al momento della stipulazione del contratto con riferimento sia alla collocazione temporale sia alla sua estensione. Disciplina originaria in materia: • Clausole elastiche/flessibili • Lavoro supplementare Erano possibili solo se la contrattazione collettiva ne consentiva il ricorso. La disciplina attuale: il lavoro supplementare. Salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, può essere unilateralmente imposto dal DL purché in misura non superiore al 25% delle ore di lavoro settimanali concordate. Possibilità per il lavoratore di rifiutare lo svolgimento di lavoro supplementare esclusivamente in presenza di determinate esigenze. Le clausole elastiche Salvo diversa previsione della contrattazione collettiva, le parti devono concordare a pena di nullità le condizioni e le modalità con le quali il DL potrà modificare la collocazione temporale della prestazione e variarne in aumento la durata entro un tetto massimo che non potrà eccedere il limite del 25% della normale prestazione annua a tempo parziale. Diritto del lavoratore a un preavviso di 2 giorni lavorativi. Diritto del lavoratore a una maggioranza della retribuzione del 15%. Forma scritta e, in assenza di disciplina collettiva, consenso formalizzato davanti alle commissioni di certificazione. Recesso unilaterale del lavoratore consentito solo in ipotesi tassative. Tipologie contrattuali per il lavoro discontinuo – Intermittente e occasionale In realtà solo il lavoro intermittente è una tipologia contrattuale, mentre per il lavoro occasionale non è prevista una tipologia contrattuale. Rimane una forma QUASI acontrattuale. • Lavoro intermittente è stato compulsivamente introdotto ed abrogato. Forma estrema di flessibilità o riconduzione di prestazioni autonome in un’unica cornice? Si alternano momenti di lavoro e momenti di non lavoro. Nei momenti di non lavoro si crea una sorta di “terra di nessuno”, ovvero uno spazio in cui non vigono le regole previste nel contratto di lavoro: in primis non è richiesta una prestazione lavorativa. Lavoratore a disposizione del datore che ne usa la prestazione in modo discontinuo o intermittente. Il lavoro intermittente è un lavoro “a chiamata” con due varianti: • con clausola di disponibilità il lavoro deve essere disponibile ad accettare di svolgere il lavoro qualora il lavoratore glielo proponga. Se rifiuta la chiamata, egli può essere licenziato e si ricade nel caso dell’inadempimento. La possibilità di rifiutare è consentita per gravi motivazioni che devono comunque essere comunicate al datore di lavoro. • senza clausola di disponibilità il lavoratore può anche non accettare di svolgere alcun lavoro. Questa flessibilità estrema comunque è soggetta a limiti: • oggettivi inerenti alla tipologia di attività o al settore • soggettivi limiti di età Per tutte le ipotesi è previsto un tetto massimo di 24 giorni in 4 anni. È richiesta la forma scritta ad probationem. • Lavoro occasionale originariamente è stato introdotto come una forma di lavoro destinata a fasce di lavoratori svantaggiati. La struttura è sempre stata quella del lavoro tramite voucher (forma di lavoro che non richiede un contratto tra le parti). In questa forma di lavoro in un certo senso si coniuga la chiamata da parte dell’utilizzatore con una modalità episodica dello svolgimento di tale lavoro. La CGIL ha proposto un referendum, ma per evitare il referendum il legislatore ha preferito abrogare la disciplina. Nel 2017, però, questo tipo di lavoro è stato reintrodotto, ma in modo più conforme rispetto a ciò che era stato criticato in precedenza. • È stata inserita una piattaforma INPS per gestire questo tipo di lavoro per contribuzione e assicurazione. • Vi sono limiti quantitativi: importo massimo entro il quale questa forma di lavoro può essere utilizzata (5000 euro per prestatore, 5000 euro per utilizzatore; 2500 tra stessi soggetti e 280 ore). Vi è un regime agevolato per determinate categorie di soggetti. Vi sono due tipologie di lavoro occasionale: 1. Contratto di prestazione occasionale flessibilità e occupazione. È un contratto per acquisire prestazioni occasionali con modalità semplificate. 2. Libretto di famiglia funzione sociale. Prestazioni occasionali nell’ambito di lavori domestici, assistenza domiciliare, insegnamento privato. 13 novembre 2018 La flessibilità nell’impresa La flessibilità e l’adattabilità, nel corso del tempo, sono diventate una necessità anche per l’impresa. L’impresa si destruttura e la sua componente organizzativa viene destrutturata e ricomposta al bisogno. Da tempo il diritto del lavoro cerca di monitorare questi fenomeni di scomposizione/ricomposizione organizzativa. Molti di questi fenomeni sono stati pensati per ottenere un risparmio economico nell’utilizzo della forza lavoro. Sin dalle origini, il diritto del lavoro ha sviluppato come principio guida quello della effettività del lavoro. Chi utilizza effettivamente le prestazioni lavorative deve anche assumersi le relative responsabilità. In questi processi di delocalizzazione, invece, abbiamo una scissione tra il titolare del rapporto di lavoro e la prestazione lavorativa che • Il potere disciplinare può essere utilizzato, ma con una cautela: il legislatore ammette il trasferimento in capo all’utilizzatore dei poteri datoriali, ma per quanto riguarda il potere disciplinare, esso viene esercitato in modo congiunto tra agenzia interinale e datore di lavoro stesso. Una delle garanzie che il legislatore concede al lavoratore somministrato è la parità di trattamento con gli altri lavoratori si parla di “trattamento non inferiore a ...”. Al lavoratore vanno applicati i minimi retributivi e normativi previsti dal contratto collettivo. Il mercato di somministrazione di lavoro è in forte crescita. Le imprese che utilizzano il lavoro somministrato pagano un surplus rispetto al comune contratto di lavoro. La durata dei periodi di somministrazione si aggira attorno alle 3-4- settimane. Questi lavoratori lavorano per brevissimo tempo in imprese molto diverse. Essi hanno personalità molto flessibili e molto disponibili e si assumono moltissimi rischi legati alla loro professionalità e alla loro salute e sicurezza. Nessuno si preoccupa di accrescere il loro sapere in quello specifico ambito. Questi lavoratori vengono inseriti in contesti produttivi che non conoscono e perciò sono fortemente soggetti ad infortuni sul lavoro. Negli artt. 30 e 40 del d.lgs. 81/2015 troviamo ridisciplinata la materia riguardante la somministrazione di lavoro. Negli anni’80 si è diffuso il c.d collegamento negoziale, fenomeno delle imprese di gruppo. In questo ambito è sorto il problema se si trattasse di una gestione della modalità della forza lavoro in contrasto con la legge del 1960. Si è poi ritenuto che questa modalità gestionale fosse legittima, ma anche che fosse possibile in certe situazioni riconoscere la titolarità del rapporto di lavoro a capo del “gruppo” in quanto tale. Si è cercato di superare la frammentazione del ciclo produttivo in più imprese con autonomia distinta, considerando il gruppo come centro di imputazione di interessi. Questa ipotesi è possibile solo nei casi in cui le relazioni commerciali di governance siano molto strette. Il d.lgs. 276/2003 nel momento in cui ha abrogato la legge del 1960 ha anche affrontato la questione del gruppo di imprese all’art. 31. La sintesi che la giurisprudenza vorrebbe fare considerando le varie imprese come un unico gruppo è impossibile poiché resta ferma l’autonomia e la singolarità delle singole imprese appartenenti al gruppo. La rete di imprese è un modello organizzativo più soft, meno vincolante. Tale modello è stato attenzionato dal legislatore soprattutto dal 2008 in poi e quindi anche la rete di imprese è diventato un modello organizzativo tipico. 28 novembre 2018 Gli ammortizzatori sociali: i contratti collettivi di solidarietà Sono diventati un nuovo strumento di gestione della crisi. I contratti collettivi di solidarietà hanno un’origine NON legislativa, MA hanno origine nella contrattazione collettiva. L’efficacia dei contratti collettivi dipende dal reale consenso che le parti collettive riescono a guadagnare e a trasferire nell’accordo medesimo. Gli accordi di solidarietà non sono un’assoluta novità degli anni 2000, ma hanno avuto un’origine negli anni ’80, anche se in quegli anni non vennero quasi per nulla utilizzati. In tempi più recenti il legislatore stesso ha cercato di promuovere la stipula di questi contratti collettivi fino ad arrivare al d.lgs. 148/2015. La soluzione ottimale sarebbe quella di raggiungere un accordo con un ente collettivo che raggiunga un accordo in nome e per conto dei lavoratori. Deve essere un sindacato con rappresentanza e rappresentatività. Il d.lgs.148/2015 distingue due tipologie di contratti di solidarietà: • Contratto di solidarietà congiunturale o difensivo sono contratti collettivi stipulati dall’impresa in crisi che attraverso tale contratto cerca di difendere i posti di lavoro ed evitare i licenziamenti. È una gestione concordata della crisi, per ridurre il numero dei licenziamenti programmati e accedere alla cassa integrazione guadagni straordinaria. Abbiamo uno strumento contrattuale che dà accesso ad un finanziamento pubblico. È un atto di autonomia privata che permette di spendere soldi pubblici. Questo contratto viene disciplinato dall’art. 21 comma 5 del d.lgs. 148/2015. Questo strumento non è consentito laddove la sospensione del rapporto di lavoro sia totale. Lo stato, le imprese e i lavoratori traggono un vantaggio da questo contratto. È un contratto collettivo aziendale, cioè è stipulato dalla rappresentanza sindacale aziendale e dal datore di lavoro. A differenza di tutte le altre causali che giustificano l’intervento della cassa integrazione straordinaria, il legislatore non esplicita per quale motivo l’azienda deve essere in crisi, ma sono le parti decidere. Poiché tale contratto collettivo è finalizzato ad ottenere un sussidio pubblico, il legislatore vuole una garanzia dalle parti collettive: vuole una garanzia sul fatto che questi contratti collettivi siano conclusi da organi sindacali che abbiano un’effettiva rappresentatività. Non tutti i sindacati presenti a livello aziendale sono abilitati a stipulare contratti di questo tipo, ma solo quei sindacati considerati più rappresentativi a livello locale e nazionale (CIGL, CISL E UIL). • Contratto di solidarietà strutturale o espansivo tutti i lavoratori agiscono in maniera solidale di fronte all’eventuale licenziamento: o licenzi tutti o non licenzi nessuno. Il contratto di solidarietà espansivo prevede una riduzione strutturale e permanente dell’orario di lavoro di una riduzione dell’orario di lavoro con conseguente riduzione della retribuzione ed una contestuale assunzione a tempo indeterminato di un certo numero di lavoratori che va a coprire l’orario di lavoro di coloro che accettano il passaggio al part time. Per incentivare questa situazione, il legislatore prevede un incentivo per il datore di lavoro (che riceve un contributo economico – una parte della retribuzione dei nuovi assunti corrispondente al 15% viene pagata con un finanziamento dell’INPS). Un vantaggio maggiore è fornito per chi assume lavoratori giovani (fino a 29 anni). Non soltanto hanno un risparmio dal punto di vista retributivo, ma anche un risparmio dal punto di vista contributivo. È un contratto collettivo aziendale stipulato dal datore di lavoro con le rappresentanze sindacali aziendali e non può essere stipulato da qualsiasi sindacato, ma solo dai sindacati più rappresentativi di quel determinato settore. Vi sono ulteriori limiti anti-abusivi riguardanti questo contratto (es. non si può fare ricorso a questo contrato se si è già fatto ricorso alla cassa integrazione). Tale contratto espansivo ha anche una serie di varianti: • Lavoratori anziani questo contratto incorpora l’idea della staffetta generazionale. Il contratto può prevedere che i lavoratori che accettano la riduzione stabile dell’orario di lavoro della retribuzione prima della pensione (part time in uscita) siano agevolati da un ulteriore intervento dello stato che copre un’integrazione salariale quella parte dell’orario di lavoro che viene ridotto. Tutto ciò per favorire le assunzioni di lavoratori più giovani. Un altro beneficio ai datori di lavoro è quello per il quale i lavoratori che non si calcolano nelle soglie numeriche previste dal contratto collettivo (c.d. “lavoratori invisibili”). Il legislatore, con un decreto correttivo del d.lgs. 148/2015, ha ritoccato questa norma del contratto di solidarietà espansiva introducendo la possibilità di passare da una tipologia all’altra. (il datore magari può partire da un contratto di solidarietà difensiva per poi passare ad un contratto di solidarietà espansiva). La caratteristica degli ammortizzatori sociali di cui si è parlato oggi è il fatto di essere ammortizzatori di origine negoziale. Il legislatore negli ultimi anni ha introdotto nuovi strumenti di origine negoziale per ampliare il campo di applicazione della cassa integrazione guadagni ordinaria e straordinaria (CIGO e CIGS). Si sono sviluppati settori dell’economia quasi totalmente trascurati dalle leggi governanti la CIGO e la CIGS. Occorreva prevedere una qualche forma di intervento per coprire questi settori. Nel 2012 la legge Fornero ha previsto l’introduzione di fondi bilaterali di solidarietà la legge prevede questi fondi, ne disciplina struttura, caratteristiche e prestazioni previdenziali, ma l’origine dei fondi non è la legge in quanto l’atto costitutivo è un contratto collettivo tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il legislatore prevede che i contratti collettivi di questi fondi siano a livello nazionale. L’istituzione dei fondi è obbligatoria per legge per tutti quei settori che non sono coperti dalla cassa integrazione ordinaria e straordinaria. Il legislatore ha fatto tesoro di un’esperienza che riguarda alcuni settori che tradizionalmente sono stati esclusi dalla cassa integrazione guadagni. Questa istituzione dei fondi bilaterali non è altro che una replica di un’esperienza precedentemente già realizzata con un buon esito, soprattutto nel settore dell’artigianato. Vi è un grande vantaggio per lo Stato: • La contribuzione è pressoché paritaria tra datori di lavoro e lavoratori. • Lo stato non ripiana. Se il fondo ha capienza eroga le prestazioni, ma se il fondo è vuoto le prestazioni non vengono erogate. Lo Stato è gestore del fondo, ma non eroga denaro per rimpinguarlo. I fondi bilaterali possono essere di 3 tipi: • Bilaterali • Bilaterali alternativi • Di solidarietà residuale L’obiettivo del legislatore era quello di ricomprendere tutte le imprese nell’ambito dell’integrazione salariale. 19 febbraio 2019 DIRITTO SINDACALE La differenza col diritto del lavoro sta nell’approccio metodologico. Si passa dal quadro individuale a quello collettivo. Il concetto di “collettivo” e di “interesse collettivo” sono in questo ambito molto diversi dall’accezione comune di “somma di individui”. Il concetto a cui si fa riferimento è un concetto che appartiene alla teoria politica. Mentre il diritto del rapporto individuale del lavoro è un sistema di regole e un sistema iper-regolato, nell’ambito del diritto sindacale le regole hanno tutt’altra natura, origine e valenza. Non sono regole poste dal diritto scritto, ma nascono piuttosto dalla prassi. Il diritto sindacale è il dominio dell’autoregolazione sociale. Il contratto collettivo è una fonte di estrema rilevanza per il diritto sindacale e per la regolamentazione della politica economica. Il fatto di non avere delle norme scritte ci fa fare riferimento alla trattazione costituzionale, alla contrattazione collettiva e ci porta a ragionare per problemi partire dal problema e arrivare alle molteplici risposte che possono essere date a quel problema. Agli stessi problemi che si sono ripresentati nel tempo, il movimento sindacale ha dati risposte diverse. Profilo storico del diritto sindacale Il diritto sindacale è stata la grande innovazione del Secolo Breve. La storia del movimento sindacale si identifica con la storia del Novecento ed è stata ed è una storia tutt’altro che facile. Il corporativismo fascista si è ripercosso con un’enorme violenza sul diritto sindacale. Oggi riteniamo fondamentale che la società odierna debba dotarsi di rappresentanti. Nella società civile ci sono soggetti collettivi che rappresentano idee collettive. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, i giuristi affermavano che i gruppi e gli interessi collettivi non esistessero. Secondo loro esisteva solo il singolo. La folla, il popolo, il gruppo non poteva essere rappresentato giuridicamente, perciò il diritto non poteva occuparsi di questo fenomeno secondo questi giuristi. Di questo fenomeno, infatti, si occupava la disciplina pubblicistica. Era materia per la polizia di stato, non di certo per il diritto. Se, quindi, all’inizio i sindacati cercano di ottenere un riconoscimento che miri all’evidenza giuridica, il corporativismo fascista ha intuito le grandi potenzialità del movimento sindacale. L’operazione politica che il Regime Fascista è riuscito a compiere è stata quella di inglobare tanto i partiti che i sindacati (corporazioni) all’interno delle strutture dello stato, trasformandoli in soggetti pubblici capaci di stipulare contratti collettivi (che in realtà sono vere e proprie norme giuridiche, c.d. norme corporative). I sindacati hanno assunto il ruolo di alleato contro la lotta sociale. Alle corporazioni si aderiva obbligatoriamente (sia i datori di lavoro che i lavoratori). Tutto viene inquadrato nella logica del diritto pubblico. Dopo la caduta del regime fascista, i sindacati hanno cercato di “risorgere dalle proprie ceneri” con grande fatica, poiché erano soggetti molto molto deboli. Per lunghissimo tempo (durato diversi decenni dopo il varo della Costituzione italiana) le norme corporative hanno continuato a mantenere la loro vigenza. Nessuna norma giuridica e nessun legislatore le ha esplicitamente abrogate e sono state superate nei fatti e dai fatti, ma non sono mai state superate dal legislatore. Per molto tempo si è pensato che un superamento di fatto fosse sufficiente, ma qualcuno pensa ancora che queste norme possano essere riattivabili. In fondo la democrazia non è mai conquistata una volta per tutte e forse dobbiamo VOLERE e riconfermare ogni giorno il fatto che vogliamo norme di carattere democratico per un paese democratico. Le fonti del diritto sindacale Gli artt. di riferimento sono 39 e 40 Cost. hanno dato un’impronta fondamentale alla Costituzione e all’ordinamento costituzionale democratico-sociale. Nella loro struttura precettiva queste norme sono molto timide, infatti per lungo tempo si è ritenuto che il loro contenuto fosse programmatico e fosse necessario l’intervento del legislatore per farle vivere. Questa timidezza ha anche fatto sì che costituzionalisti e lavoristi non fossero sempre d’accordo sull’interpretazione e l’applicazione di tali norme. Es. la libertà sindacale. L’art. 39 comma I non parla dei sindacati, ma di “organizzazione sindacale libera”. Buona parte della dottrina ha interpretato questo articolo dando scarsa rilevanza alle organizzazioni sindacali. L’art. 39 usa questa forma di dettato così ampia ed ellittica per dare il massimo di applicazione al caso concreto. Il movimento sindacale, infatti, grazie a questo ampio respiro ha assunto nel tempo forme giuridiche diverse. Un altro modo riduttivo di interpretare l’art. 39 è quello di leggerlo in continuità con le altre libertà costituzionali (es. libertà di associazione). La libertà di organizzazione sindacale è stata intesa come un continuum della libertà di associazione. Anche questa è un’interpretazione per lungo tempo rifiutata dagli interpreti del diritto sindacale per via della diversa collocazione della libertà di organizzazione sindacale rispetto alla collocazione delle altre libertà individuali (libertà di culto ecc…). Questa è una libertà individuale che deve trovare la propria realizzazione nel • Legge 902/1077 ha distribuito tra i sindacati più rappresentativi ciò che restava delle corporazioni fasciste (i beni rimasti). La legge, quindi, ha cercato di individuare i sindacati con maggiore rappresentatività per essere legittimati a ricevere in quota maggiore o minore i beni rimasti dalle corporazioni. Il legislatore ha individuato una serie di criteri ragionevoli per individuare questi sindacati “meritevoli”: ad es. il criterio quantitativo, la loro presenza territoriale, aver siglato un certo numero di contratti collettivi, la capacità di mobilitare i lavoratori. A questi criteri si è rifatta anche la giurisprudenza del lavoro quando le è stato chiesto se un sindacato fosse rappresentativo o meno. La Confederazione raccoglie al suo interno i rappresentanti di tutti i settori produttivi, indicando come molto rappresentativo un sindacato. La giurisprudenza ha sempre agito con funzione suppletiva, poiché le parti sindacali non hanno mai deciso quali fossero i criteri per determinare effettivamente la rappresentatività. Nel corso del tempo il legislatore italiano ha accresciuto la tendenza a delegare ai sindacati attribuzioni paranormative. La contrattazione collettiva svolge una funzione integrativa della norma di legge e può anche introdurre clausole collettive che derogano alla legge (in meius e in peius). Il concetto di rappresentatività qualificata è utile tanto ai sindacati quanto al legislatore. Il primo momento in cui si è posto il problema della quantificazione della rappresentatività si è posto col varo dello Statuto dei Lavoratori, in particolare nella parte “promozionale” dello Statuto questa parte tratta dei c.d. “privilegi sindacali”. Si è quindi posta l’esigenza di selezionare quelli che possono istituire una RSA (rappresentatività sindacale aziendale) e godere dei privilegi sindacali escludendo tutti gli altri. Art. 19 st.lav. è la norma chiave per la democrazia sindacale. A livello di azienda il sindacato incontra la propria base di consenso ed è lì che si misura la rappresentatività. Dove c’è il contatto tra base sindacale e lavoratore deve esserci consenso, altrimenti il sindacato è poco rappresentativo. Il rapporto tra rappresentante e rappresentato deve essere instaurato e portato avanti con metodi democratici. Nella sua versione originaria, questo articolo richiamava il concetto di “maggiore rappresentatività” senza aggiungere specifica: ad iniziativa dei lavoratori si costituiscono le RSA sei luoghi di lavoro e nell’ambito delle confederazioni maggiormente rappresentative o nell’ambito di sindacati non aderenti alle RSA ma che abbiano stipulato contratti collettivi aziendali o provinciali applicabili all’azienda. C’era un’assoluta coincidenza tra la realtà di fatto e la norma giuridica. Questo art. ha una duplice finalità: 1. Finalità promozionale doveva aiutare i sindacati a inserire le RSA nei luoghi di lavoro. Vuole creare un canale di accesso per i sindacati in modo tale da poter costituire una struttura di rappresentanza all’interno dei luoghi di lavoro. Se un sindacato non riesce ad entrare per quel piccolo varco creato dall’art. 19, farà molta fatica ad affermarsi poiché sarà sprovvisto degli strumenti giuridici promozionali necessari ad affermarsi. 2. Finalità selettiva seleziona i sindacati che possono costituire RSA e quelli che non possono costituire RSA. La tutela costituzionale spetta ovviamente a tutti i sindacati, ma le tutele del titolo III dello Statuto dei Lavoratori spettano solo alle confederazioni maggiormente rappresentative. I sindacati esclusi hanno protestato contro questa finalità selettiva. Nel 1974 la Corte Costituzionale è costretta ad occuparsi della legittimità costituzionale dell’art. 19 comma I e dell’art. 3 comma I. La Corte afferma che la norma è selettiva, ma non contrasta col principio aureo del pluralismo costituzionale. Nulla impedisce ad un sindacato che non abbia tutte le caratteristiche della lettera A, di attivare il meccanismo previsto dalla lettera B. Certamente è un iter più complicato, ma non è impossibile. Negli anni ’80 la Corte è ritornata sul punto, ma sempre con sentenze interpretative di rigetto (di carattere politico). Con la sentenza 30/1990, la Corte ha ribadito la legittimità dell’art. 19, ma deve essere il legislatore a rendere tale articolo più adeguato alle epoche che sono mutate. A questo punto partono le iniziative referendarie per abrogare la lettera A dell’art. 19 st.lav. ed eliminare il concetto di “più rappresentativo”. I vecchi sindacati che hanno goduto di rendite di posizione vediamo come si relazioneranno con i nuovi sindacati molto più combattivi. Per cercare di sventare il referendum abrogativo, i sindacati italiani hanno avviato un processo di riforma interna sfruttando la loro autonomia negoziale collettiva (Accordo Interconfederale del 1993 in cui si è cercato di innestare nell’art. 19 maggiore democrazia sindacale). Questo AI è solo un tassello di un accordo più ampio legato all’entrata nell’UE e nell’Eurozona dell’Italia. Questo AI ha introdotto l’RSU (rappresentanza sindacale unitaria) che è un modello organizzativo della rappresentanza sindacale che consente di essere rappresentativo di tutti i sindacati che sono presenti nei luoghi di lavoro. C’è una differenza fondamentale tra RSA ed RSU • RSA si costituisce nei luoghi di lavoro collegandosi alle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative • RSU organismi elettivi eletti da tutti i lavoratori iscritti e non iscritti al sindacato e tutti i sindacati possono presentare la loro lista di candidati, in modo tale da garantire a tutti i sindacati un minimo di rappresentatività (purché almeno si superi la soglia del 5%) Nell’Ai del 1993 si è anche affermato che l’RSU subentri nella RSA per tutte quelle agibilità sindacali previste dall titolo III dello statuto dei lavoratori. Questo accordo del 1993 non è, però, servito a bloccare l’azione referendaria. Il referendum è comunque avvenuto nel 1995 con l’abrogazione della lettera a. La soglia di accesso all’art. 19 viene enormemente abbassata non c’è più riferimento alla maggior rappresentatività e alle confederazioni. Questo crea un problema di raccordo con l’AI del 1993. I datori di lavoro si trovano di fronte ad una pluralità di soggetti sindacali che vogliono contrattare e anche questo è un problema, proprio per la mancanza di selettività prevista dalle RSA. Vi è un problema, quindi, di caos rappresentativo. Questi problemi hanno portato nuovamente l’art. 19 di fronte alla Corte Costituzione. La sent. 231/2013 è la sentenza che si pone a valle del caso Fiat. È una sentenza che detta una nuova linea applicativa ed interpretativa dell’art. 19 nella sua versione post statutaria. 22 febbraio 2019 I nuovi assetti della contrattazione nel settore privato Il modello interconfederale (T.U. rappresentanza del 10/01/2014 e Patto per la fabbrica del 09/03/2018). IL CASO FIAT (2010) La Fiat decide di innovare il proprio assetto organizzativo nei principali impianti e stabilimenti italiani introducendo un nuovo modello di organizzazione del lavoro che tagliava i tempi di riposo dei lavoratori addetti alla catena di montaggio (che prima erano 20 min di riposo e poi sono stati dimezzati a 10 min). Per introdurre questa modalità di lavoro occorre un nuovo contratto collettivo che Fiat vuole stipulare a livello aziendale andando in deroga in peius al contratto collettivo nazionale applicabile alle imprese metalmeccaniche. La Fiat chiedeva una deroga molto forte agli standard di tutela anche retributiva dei lavoratori. Fiat quindi decide di recedere dall’associazione sindacale (uscendo da Federmeccanica e Confindustria) in modo tale da non essere costretta a sottostare al contratto collettivo previsto dal sindacato. Confindustria tentò tutte le carte per convincere la Fiat a non recedere dall’associazione sindacale. A questo punto la Fiat convoca le RSU aziendali per stipulare il suo contratto aziendale (c.d. contratto di Pomigliano). Quasi tutte le RSU si rendono, dopo una lunga trattativa, disponibili a firmare questo contratto in peius. L’unico sindacato che si rifiuta di firmare è la Fiom – federazione italiana operai metalmeccanici (che fa parte della Cigl). Il contratto viene firmato e sottoposto a referendum dei lavoratori che lo avvallano. La Fiat, visto il rifiuto della Fiom decide di non dialogare più col membro delle RSU che rappresenta la Fiom. La Fiat non solo disconosce i rappresentanti della Fiom, ma li licenzia perché fondamentalmente non rappresentano più nessuno. Fino a che punto un contratto collettivo aziendale può derogare in peius ad un contratto collettivo nazionale? Escludere i rappresentanti sindacali che decide di non firmare il contratto aziendale ci pone di fronte alla legittimità costituzionale dell’art. 19 St.Lav. La Corte Costituzionale nella sent. 231/2013 ha ritenuto illegittimo l’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori interpretato come la Fiat. Il nuovo testo dell’art. 19 è illegittimo se il suo fine è escludere dei rappresentanti sindacali non firmatari. La libertà sindacale tutelata dall’art. 39 tutela la libertà di firmare o meno il contratto e tale libertà non può essere minata dal datore di lavoro. Dopo questa sentenza le parti hanno riaperto la trattativa al dialogo per dotarsi di regole di democrazia sindacale più stabili e coerenti affinché la vicenda della Fiat non possa più ripetersi. Il caso Fiat lascia questioni irrisolte: dal punto di vista giuridico e politico la nuova formulazione del nuovo testo dell’art. 19 comunque non risolve totalmente la situazione. Se ogni azienda è libera di scegliere quali regole adottare, allora perché un’azienda deve iscriversi ad un’associazione datoriale? Nel gennaio 2014 si arriva quindi alla stipula del Testo Unico sulla Rappresentanza che non è altro che un accordo interconfederale tra le associazioni sindacali di lavoratori e datori di lavoro. Questo testo prova a dare una risposta a tutti i problemi sollevati dal caso Fiat. I tre problemi che questo testo prova a risolvere sono: • Titolarità ed efficacia della contrattazione collettiva • Rapporti tra i livelli di contrattazione • Rappresentanza sindacale nei luoghi di lavoro La base di partenza (ratio) del testo unico è necessario darsi delle regole procedurali con le quali si stabiliscono modalità di sintesi dei conflitti tra i vari sindacati. Questo sistema è stato successivamente esteso anche agli altri settori merceologici al di fuori dell’industria. I 4 pilastri su cui si decide di riscrivere le regole sindacali: • Misurazione della rappresentatività delle associazioni sindacali • Principio di maggioranza e verifiche referendarie per la stipula dei contratti collettivi • Efficacia ed esigibilità dei contratti collettivi • Decentramento controllato: valorizzazione della contrattazione aziendale sotto il governo del CCNL I SOGGETTI DELLA CONTRATTAZIONE Il T.U. utilizza 2 parametri di carattere quantitativo: • Un sindacato è rappresentativo se misura almeno il 5% di rappresentatività della categoria calcolato secondo il mix di dato associativo (numero di deleghe relative ai contributi sindacali conferite dai lavoratori ai datori di lavoro in aziende con più di 15 dipendenti) e dato elettorale (% di voti ottenuti da ciascuna lista sindacale sulla totalità dei soggetti). • L’INPS calcolerà la rappresentatività di ogni organizzazione sindacale (oo.ss.) di categoria effettuando la media matematica tra ??? Per evitare che ci siano spaccature sulle firme dei contratti, il conflitto intersindacale viene gestito e regolato da una procedura democratica governata dal principio di maggioranza. Possono indire le elezioni e presentare proprie liste elettorali: 1. Oo.ss. aderenti alle confederazioni firmatarie del TU rappresentanza 2014 2. Oo.ss. firmatarie del CCNL applicato nell’unità produttiva 3. Oo.ss. costituite con un proprio statuto ed atto costitutivo a condizione che dichiarino di accettare integralmente e formalmente il trittico di accordi interconfederali 2011-2014 e la lista presentata sia firmata da almeno il 5% dei lavoratori dell’azienda (3 lavoratori nelle imprese da 15 a 59 dipendenti) Altra grande novità del TU è che qualunque intesa (nazionale o internazionale) può essere sottoposta a referendum da parte dei lavoratori. L’operazione del TU per quanto riguarda i soggetti sindacali è stata quella di darsi delle regole e delle procedure una regola funziona solo se in caso di violazione è prevista una sanzione. Il TU, infatti, prevede anche sanzioni specifiche per chi viola queste norme o procedure. Un’intesa firmata e stipulata da determinati si applica anche a un soggetto terzo e minoritario che nemmeno ha stipulato quel contratto. Questo TU come primo passaggio cerca di individuare delle regole per misurare la rappresentatività. Esso fissa delle soglie per misurare la rappresentatività. Nella realtà attuale questi criteri sono diventati molto insicuri. Vengono quindi individuate delle soglie quantitative (es. la soglia del 5%) minime di rappresentatività. Questa soglia viene parametrata sia sul numero delle deleghe, sia sul conto delle schede elettorali. Piattaforma negoziale proposta negoziale sulla base della quale si intavolano le trattative. Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una vera e propria esplosione dei contratti collettivi nazionali che da circa 200 sono diventati quasi 1000. Siccome la rappresentatività di un sindacato si calcola superando una data soglia. I sindacati che temono di non superare quella soglia, si costruiscono un contratto nazionale che contiene un “recinto” entro il quale sicuramente superano la soglia del 5%. Questi contratti vengono chiamati “contratti pirata”, perché sono appunto contratti che cercano di aggirare e adottare comportamenti che un sociologo chiamerebbe comportamenti opportunistici di chi approfitta della situazione creandosi un proprio habitat. Sono contratti a ribasso che abbassando significativamente anche i livelli retributivi. Stiamo parlando di tutti i livelli del mercato del lavoro, dall’operaio all’ingegnere. Dumping salariale se si abbassano gli stipendi del settore privato, si abbassano anche quelli del settore pubblico. 26 febbraio 2019 Il patto della fabbrica Proprio per affrontare la questione dei perimetri della rappresentatività, le confederazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori hanno stipulato quell’accordo che va sotto il nome di patto della fabbrica sottoscritto il 9 maro del 2018. Questo accordo è più politico che pratico-operativa. Qui le parti sociali riconfermano la loro volontà politica o sindacale di definire meglio quali sono le regole della rappresentatività e le modalità di accesso alla contrattazione collettiva. C’è l’impegno ad introdurre criteri di misurazione della rappresentatività anche dal lato datoriale questa è la grande novità. Il TU e il Patto della Fabbrica del 2018 non abrogano gli accordi precedenti, in particolare non si sostituiscono all’Ai del 1993. Essi introducono dei correttivi all’AI del 1993 per adattarlo alla situazione attuale. Il Protocollo del luglio 1993 (protocollo triangolare) doveva servire per impostare una politica economica coerente con l’ingresso dell’Italia nell’UE. Le parti sindacali, nell’ambito di quell’accordo, si assumono l’impegno di dare un riassetto importante alla contrattazione collettiva individuando 2 livelli di contrattazione collettiva (nazionale e aziendale/territoriale) stabilendo che ad ogni livello di contrattazione collettiva le parti sindacali possano negoziare determinate materie non ripetitive in modo da evitare la sovrapposizione tra i livelli. In quell’AI si definisce una sorta di competenza per materia del contratto collettivo nazionale. a livello nazionale si fissano quelli che sono i livelli salariali minimi. La parte più importante della retribuzione viene quindi decisa a livello centrale. Sul livello decentrato, le materie di competenza devono essere diverse da quelle già contrattate a livello nazionale e si può contrattare su quelle materie delegate dal livello superiore. A livello aziendale vi è proprio un divieto assoluto di toccare il livello salariale. Le imprese più presenti sui mercati globali hanno cominciato a chiedere più flessibilità a livello aziendale (chiedono di potersi slanciare dal livello nazionale). Confindustria ha addirittura proposto di eliminare il livello nazionale per lasciare solamente il livello aziendale. Volevano questa flessibilità per poter compere con le imprese internazionali. Si è quindi cominciato a discutere sulla riforma dell’assetto della contrattazione collettiva: Cgil si è da subito opposta all’eliminazione della contrattazione collettiva nazionale a favore di quella aziendale, poiché significava privare lavoratori di imprese medio-piccole di un contratto collettivo. Dal 2009 al 2014 vi è stato un acceso dibattito sulla conferma o meno dei due livelli di contrattazione collettiva. Per una sorta di eterogenesi dei fini, chi prima invocava una contrattazione collettiva solo a livello aziendale, ora chiede che si rafforzi il livello di contrattazione nazionale se scompare il contratto collettivo nazionale, non c’è più bisogno di avere un sindacato nazionale né di una confederazione sindacale. • Relazione tra i vari contratti collettivi Ciò che occorre migliorare rispetto all’accordo del 1993 è ridefinire i rapporti tra i vari contratti collettivi. Negli accordi più recenti le norme sono più flessibili e concedono ai contratti collettivi più margine di trattativa. • L’efficacia soggettiva è l’esigibilità del contratto collettivo occorre chiarire bene l’ambito di applicazione del contratto collettivo. I contratti collettivi, una volta sottoscritti, NON POSSONO assolutamente essere messi in discussione. Solo in questo modo il contratto collettivo diventa effettivamente stabile. L’efficacia soggettiva riguarda tutti i lavoratori (anche quelli non iscritti al sindacato). Occorre, quindi, fare i conti con regole costituzionali che garantiscono le libertà sindacali e mettono i sindacati tutti sullo stesso piano. Bisogna lavorare molto sulle regole interne di democrazia sindacale regole che consentono di dire che quel contratto collettivo che si applica a tutti è assolutamente coerente con le regole di democrazia. RISPETTO DEL DISSENSO – RISPETTO DELL’AUTONOMIA DELLE PARTI – RISPETTO DELLE REGOLE DEMOCRATICHE Gli assetti della contrattazione collettiva nel settore privato Gli assetti della contrattazione collettiva nel settore pubblico sono previsti dalla legge questo perché il datore di lavoro pubblico utilizza soldi pubblici provenienti dal bilancio dello stato. Occorre quindi avere regole certe perché si vanno a mettere le mani sul bilancio dello stato. Nel settore privato, invece, i soldi sono delle imprese e non si hanno quei vincoli di bilancio previsti per il settore pubblico. Il primo problema che il TU affronta è quello della titolarità del potere negoziale essa viene individuata in capo alle organizzazioni sindacali che abbiano una rapprestatività verificata non inferiore al 5%. Qui la rappresentatività viene misurata come soglia minima di accesso alle trattative. Ciascun sindacato che è legittimato ad accedere al tavolo delle trattative è legittimato a presentare una propria piattaforma contrattuale per il rinnovo del contratto collettivo nazionale. Le parti che hanno siglato il TU del 2014 si impegnano a presentare alla parte datoriale una piattaforma unitaria. Se l’accordo tra i vari sindacati per una piattaforma contrattuale comune MANCA, la parte datoriale ha il potere di iniziare la trattativa partendo dalla proposta dei sindacati che rappresentano la maggioranza (50% + 1). Una volta sottoscritto il contratto collettivo da parte della maggioranza dei sindacati che siedono al tavolo delle trattative, il contratto collettivo è efficace per tutti MA bisogna tenere conto dei lavoratori non iscritti ad alcun sindacato. I sindacati si impegnano a non proclamare lo sciopero clausola di tregua o di pace sindacale. È una clausola politica. Per garantire l’esigibilità dei contratti il TU del 2014 prevede che si introducano delle sanzioni e delle procedure di raffreddamento degli animi (procedure di conciliazione). Il contratto collettivo, una volta sottoscritto entra nella fase della gestione del contratto collettivo. La pace sindacale va garantita dal minuto dopo in cui il contratto collettivo è stato firmato, fino alla sua scadenza. Questa pace si mantiene mediante le procedure di raffreddamento. Il TU afferma che il non rispetto di queste procedure comporta delle sanzioni, ma non specifica quali. La contrattazione collettiva aziendale Le questioni sono più complesse perché a livello aziendale i sindacati minoritari hanno più potere contrattuale e non tutte le imprese sono iscritte a qualche sindacato. La prima complicazione sorge sulla titolarità chi contratta a livello aziendale? Le RSU. Vi sono, però, imprese in cui le RSU non esistono. In questi casi l’unica disciplina di riferimento è l’art. 19 dello st. lav. La titolarità negoziale va riconosciuta ad entrambi i soggetti. • Se ci sono le RSU il contratto collettivo è applicabile a tutti i lavoratori e a tutte le organizzazioni sindacali presenti in azienda. La RSU ha un mandato negoziale pieno. • Se ci sono le RSA esse NON HANNO un mandato negoziale pieno, quindi quando contrattano lo faranno solo per i loro iscritti. Occorre quindi introdurre una procedura più complessa che consente ai dissenzienti di contestare il contratto collettivo che le RSA vanno a stipulare. Entro 10 gg dalla stipula di quel contratto, le organizzazioni sindacali dissenzienti possono chiedere il referendum su quel determinato contratto. Anche i contratti collettivi aziendali possono prevedere clausole di tregua e clausole sanzionatorie Rapporti tra i livelli della contrattazione collettiva I rapporti tra i vari livelli sono disciplinati dal TU del 2014 esso introduce il principio di gerarchia debole a favore del contratto collettivo aziendale. Si ha più flessibilità rispetto agli anni ’90. Al livello aziendale si contratta sulle materie delegate dal contratto nazionale. La deroga ha alcune clausole di salvaguardia i contratti collettivi aziendali possono derogare con gli stessi limiti previsti dal contratto collettivo nazionale. Accordo Interconfederale Confindustria, Cgil, Cisl e Uil del 9 marzo 2018 • Misurazione della rappresentatività anche delle associazioni datoriali • Predeterminazione dei perimetri e degli abiti di applicazione dei CCNL • Governo del TEM (trattamento economico minimo) e TEC (trattamento economico complessivo) • Decentramento controllato del sistema di contrattazione collettiva e ruolo di “certificazione” svolto dal CCNL Art. 8 legge 138/2011 detto “Salva Fiat” questa norma non è stata abrogata da nessuno. Essa consente a qualsiasi datore di lavoro di guardare all’interno dell’azienda e a chiedere “chi è disposto a stipulare un contratto collettivo in perdita” ? E se trova un sindacato disposto, il contratto è valido. Alcune centinaia di contratti collettivi aziendali sono stati stipulati in questo modo. 1 marzo 2019 Analisi giuridica del contratto collettivo Il contratto è detto “collettivo” poiché stipulato da soggetti collettivi, non soggetti individuali. Queste sono parti sociali che rappresentano datori di lavoro e lavoratori. Il contratto collettivo odierno non è disciplinato da alcuna norma di legge. La dottrina ha però cercato di dare un inquadramento giuridico del contratto collettivo. Qualcuno lo ha assimilato ai c.d. contratti normativi la loro principale funzione è quella di regolare il contenuto dei singoli contratti individuali di lavoro che il datore di lavoro stipulerà nella sua azienda. Può essere anche chiamato “contratto tipo” poiché è il tipo generale al quale si riferiscono i vari contratti di lavoro. I singoli contratti individuali di lavoro spesso si riducono ad una mera lettera di assunzione che rinvia al contratto collettivo applicabile. Da questa descrizione è possibile capire la funzione di base del contratto collettivo funzione normativa. Nonostante la sua funzione, il contratto collettivo rimane un atto di autonomia privata. Per un breve periodo si è avuto un terzo genere di contratti collettivi ex lege Vigorelli si voleva fare sì che i contratti collettivi stipulati avessero un’efficacia generalizzata in modo tale da superare i contratti collettivi corporativi. Secondo l’art. 1321 cc il contratto ha forza di legge tra le parti e tra i soggetti rappresentati dalle parti. I contratti collettivi di diritto comune sono riservati ai sindacati. Il meccanismo della legge Vigorelli è utilizzato in Francia per ottenere un’efficacia generalizzata del contratto collettivo. Funzione normativa individuare le norme che governano i singoli rapporti di lavoro. Tale funzione, però, ha caratteristica ulteriore: è inderogabile. I contratti individuali di lavoro che rinviano per la loro disciplina ai contratti collettivi NON possono modificare in peius le previsioni del contratto collettivo. La sua funzione è, quindi, quella di impedire una contrattazione a livello individuale al ribasso. Il contratto collettivo svolge una funzione anti-dumping. Il dumping è il comportamento di chi ribassa. Tale funzione è nella genesi storica del contratto collettivo : esso nasce assai prima della norma di legge lavoristica. I contratti collettivi cominciano ad essere siglati verso la fine del 1800 e si chiamavano “concordati di tariffa”. La loro funzione era quella di stabilire la tariffa minima e impedire il ribasso a livello individuale. In termini giuridici il contratto collettivo di lavoro e il contratto individuale di lavoro sono sullo stesso piano non c’è gerarchia. Sono due atti di autonomia privata e hanno la stessa natura giuridica. Questo problema era facilmente risolto durante il periodo corporativo Art. 2077 (Efficacia del contratto collettivo sul contratto individuale). I contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle disposizioni di questo. Le clausole difformi dei contratti individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo, sono sostituite di diritto da quelle del contratto collettivo, salvo che contengano speciali condizioni piu' favorevoli ai prestatori di lavoro. Si realizza giuridicamente un fenomeno di sostituzione automatica delle clausole peggiorative nulle con le clausole del contratto collettivo corrispondenti. Come rendere il contratto di lavoro resistente ad una clausola peggiorativa? I giudici per lungo tempo hanno applicato l’art. 2077 cc attraverso l’interpretazione analogica. Anche oggi nel rapporto tra contratto collettivo e individuale, il contratto collettivo è INDEROGABILE da parte di quello individuale. In aiuto della giurisprudenza è intervenuto il legislatore solo negli anni ’70 in occasione della modifica dell’art. 2113 cc tale articolo stabilisce che sono invalide le rinunce, le transazioni rispetto a diritti indisponibili derivanti da norme inderogabili di legge e di contratto collettivo. Posso accettare a livello individuale una retribuzione inferiore ai minimi di legge, ma quella sottoscrizione è invalida perché ciò che vale è la clausola prevista dal contratto collettivo. Oggi la funzione normativa del contratto collettivo può essere spiegata secondo l’art. 2113 cc. Questo modo di agire del contratto collettivo nei confronti del contratto individuale può indurre a ritenere che vi sia un’equiparazione della norma di legge Non si può dire che il contratto collettivo sia una fonte del diritto. Sul piano di fatto hanno l’efficacia vincolante di una fonte del diritto, ma non sono fonti del diritto. I costituzionalisti hanno utilizzato una definizione di contratto collettivo che è quella di “fonte extra ordinem”. Il contratto individuale di lavoro rinvia al contratto collettivo. Questo rinvio non consente di incorporare il contratto collettivo nel contratto individuale del lavoro, ma il contenuto del contratto individuale di lavoro è integrato dall’esterno dal contratto collettivo che finisce per essere una delle fonti di eterointegrazione del contratto. Questo ragionamento è molto concreto nelle sue ricadute il rinvio al contratto collettivo è un rinvio mobile poiché il contenuto del contratto collettivo si modifica, e di riflesso lo fa anche quello del contratto individuale. I rinnovi contrattuali che periodicamente si verificano incidono sui singoli contratti di lavoro. Occorre verificare quali diritti assunti dal lavoratore devono essere garantiti e quali devono invece essere modificati. Il fatto che non abbiamo delle norme di legge ma degli Ai che definiscono le regole applicabili alla contrattazione collettiva, lascia aperte delle questioni che hanno ricadute concrete sul contratto: • Non si hanno indicazioni chiari sulla forma del contratto collettivo le forme obbligatorie sono previste dalla legge e qualora non vi sia una legge che disciplina quel determinato contratto, è previsto il principio della liberà delle forme. Esistono, quindi, non solo contratti collettivi in forma scritta, ma anche in forma orale. 6 marzo 2019 Conflitto collettivo – sciopero Sciopero forma storicamente prevalente assunta dal conflitto collettivo. In realtà le forme con cui si esprime il conflitto sociale variano a seconda del periodo di riferimento. Il riconoscimento del diritto al conflitto è l’altro pilastro (oltre l’art. 39 Cost) sul quale si regge il diritto sindacale. Lo sciopero non viene nemmeno definito dall’art. 40 Cost. come un diritto e il legislatore pare rinviare alle leggi l’applicazione di questo diritto. Inizialmente il diritto di sciopero venne considerato come una norma programmatica (e non precettiva) lasciata al legislatore. Questa interpretazione è risultata recessiva rispetto all’altra interpretazione dell’art. 40 Cost. che valorizzava il diritto al conflitto. L’obiettivo nel periodo corporativo era quello di negare la lotta fra classi. Il testo costituzionale, invece, riconosce il diritto al conflitto come parte necessaria ineludibile dell’ordinamento costituzionale perché il conflitto e lo sciopero sono degli strumenti di emancipazione sociale dei lavoratori. L’art. 40, quindi, deve essere letto assieme all’art. 3 comma II per realizzare un’eguaglianza sostanziale e formale di tutti di fronte alla legge. Il riconoscimento del diritto di sciopero ha incontrato diverse difficoltà : es. nel Codice Penale Rocco del 1930 molte norme incriminatrici penali considerano lo sciopero come reato. Queste norme sono rimaste scritte nel codice penale anche se ovviamente sono state adattate al nuovo assetto democratico dell’Italia sin dagli anni ’70 ad opera della Corte Costituzionale. Forse la prima domanda che ci possiamo porre alla luce della poca chiarezza dell’art. 40 Cost, è “che tipo di diritto è quello di sciopero”? Alcuni studiosi sostengono che non si possa parlare di “diritto”, ma di “libertà”. Tutte le soluzioni ricostruttive sono state utilizzate. C’è chi lo ha considerato un diritto assoluto, un diritto potestativo o un diritto soggettivo che appartiene alla persona. Quest’ultima è l’interpretazione preferita dai giuslavoristi degli anni ‘70 ciò significa che il diritto di sciopero è da considerarsi come un diritto individuale. Molti, però, lo considerano come un diritto a titolarità collettiva (quindi non un diritto individuale) facendo riferimento quindi al diritto sindacale. Questa interpretazione elimina il rischio che il lavoratore scioperi da solo per un interesse individuale. Le clausole di tregua contenute nei contratti collettivi non vincolano il singolo lavoratore. È l’organizzazione sindacale che si impegna a non scioperare, mentre il singolo è libero di esercitare quando vuole il suo diritto di sciopero. La proclamazione sindacale non è requisito fondamentale per compiere uno sciopero. Anche un gruppo spontaneo di lavoratori può scioperare senza ricorrere al sindacato. Da qualche anno ha preso fiato la ricostruzione della titolarità collettiva del diritto allo sciopero. Nell’ambito del settore pubblico, la legge 146/1990 introduce qualche elemento che va verso una maggiore responsabilizzazione sindacale rispetto all’uso dello strumento del conflitto collettivo. Questa esigenza di un maggior controllo sullo sciopero deriva dal fatto che le modalità di esercizio dello sciopero sono sempre più spesso delle modalità anomale, particolari [es. i pastori sardi che versano il latte sulle strade rappresentano uno sciopero oppure no?]. Di fronte a queste modalità anomale del diritto di sciopero c’è bisogno di una maggiore responsabilità che viene spesso accollata alle organizzazioni sindacali. Negli ultimi anni il fenomeno della mobilitazione collettiva e del conflitto non riguarda soltanto i lavoratori subordinati es. scioperi promossi dai riders, dagli avvocati, dagli artigiani … Le forme di mobilitazione collettiva interessano sempre di più i lavoratori parasubordinati o addirittura i lavoratori autonomi. È strano vedere che i magistrati scioperano molto di più dei metalmeccanici. Comunque, la tesi ancora oggi prevalente è quella di intendere lo sciopero come un’attività individuale ma da svolgere nell’interesse collettivo. Una volta concordato su un inquadramento giuridico sul diritto di sciopero, l’altra domanda che ci dobbiamo porre è “cos’è lo sciopero?” Storicamente lo sciopero si è manifestato con l’astensione collettiva dal lavoro. La prima definizione che è stata data dello sciopero nei primissimi anni ’60 da Francesco Santoro Passarelli astensione concertata dal lavoro per la tutela di interessi di carattere professionale dei lavoratori scioperanti. Questa era una definizione coerente con le modalità di sciopero che in quell’epoca venivano attuate, ma è una definizione desueta per la società attuale. Questo approccio, però, è tutt’altro che neutro questa definizione non voleva solo descrivere un fenomeno sociale, ma prescriveva quali fossero le modalità legittime di esercizio dello sciopero. La prima conseguenza di tale interpretazione fu quella di ritenere che lo sciopero debba sempre coincidere con un’astensione dal lavoro da ciò si ricava che chi non sciopera con quelle specifiche modalità può essere licenziato. Da questo approccio definitorio sono state osservate altre conseguenze negli anni ’80 sono illegittime quelle forme di sciopero che possano arrecare un danno ingiusto all’impresa (danno economico molto rilevante). Non c’è dubbio che l’esercizio del diritto di sciopero debba esercitare una forte pressione sull’impresa per essere efficace anche determinando un danno alla produzione. [es. laddove il lavoro e la sua organizzazione prevedevano una scansione dei tempi rigida - catene di montaggio – i sindacati avevano inventato modalità di sciopero in modo da arrecare un grosso danno alla produzione es. “scioperi a scacchiera”, scioperi improvvisi. Scioperi che comunque disorganizzavano i processi produttivi arrecando un grande danno alla produzione aziendale, ma un danno minimo alla retribuzione dei lavoratori.] Gli scioperi brevi “a singhiozzo” 10 min di sciopero e 10 di lavoro. Una catena di montaggio che si ferma e si riavvia ogni 10 min non produce nulla. Al termine della giornata i lavoratori hanno lavorato perché sono stati presenti nei luoghi di lavoro (quindi percepiscono il compenso) ma la produzione dell’azienda è pressoché nulla. Gli scioperi “a scacchiera” i lavoratori lavorano in modo così disorganizzato che la loro prestazione non diventa più utile ecnomicamente per l’impresa Queste forme di sciopero anonime sono state per lungo tempo ritenute illegittime dalla giurisprudenza e sanzionate dai datori di lavoro proprio sulla base della definizione degli anni ’60. Sent. 711/1980 ha sconfessato la teoria definitoria del diritto di sciopero. Questa sentenza, chiamata a pronunciarsi sull’ennesima forma anomala di sciopero, ha stabilito che lo sciopero NON PUO’ ESSERE DEFINITO una volta per tutte perché le modalità con cui si sciopera sono diverse a seconda del luogo e del contesto storico e sociale. Le modalità anomale non possono essere sanzionate. Lo sciopero è illegittimo quando non si limita ad arrecare un danno alla produzione ma quando lede la competitività e la produttività dell’impresa nel mercato (quando sostanzialmente arreca un danno che si proietta nel futuro). Spetta al giudice valutare quando un danno alla produzione si trasforma in un danno alla produttività. Non esiste una definizione giuridica di sciopero, ma è soltanto un fenomeno sociale. È SCIOPERO QUELLA FORMA DI MOBILITAZIONE COLLETTIVA CHE I SINDACATI RITENGONO IDONEA ALLA TUTELA DEGLI INTERESSI COLLETTIVI IN UN DETERMINATO PERIODO STORICO. Considerato che non esistono limiti interni al diritto di sciopero, ci si è domandato se esistano dei limiti esterni (riguardanti lo scopo dello sciopero). Di questa questione si è occupata nuovamente la Corte Costituzionale che è stata chiamata a verificare la legittimità costituzionale delle orme del codice penale Rocco es. nel cp Rocco era illegittimo lo sciopero per solidarietà, lo sciopero politico, lo sciopero per finalità professionali. Venivano puniti prevalentemente gli scopi eversivi dello sciopero perché si voleva tutelare l’ordine corporativo. L’unica norma del codice penale Rocco che la Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima era quella che puniva lo sciopero per finalità professionali poiché la principale finalità per la quale i lavoratori scioperano. Per quanto riguarda le altre modalità di sciopero vietate dal cp Rocco, la Corte Costituzionale ci invita a fare delle distinzioni: • lo sciopero di solidarietà riguarda lavoratori che non intendono tutelare la propria posizione, ma intendono solamente dare più enfasi allo sciopero di altri lavoratori. Oggi è molto molto rara questa forma di sciopero. Questo sciopero è legittimo a patto che esista un interesse comune tra le varie categorie di lavoratori che scioperano. È chiaro che se lo sciopero di solidarietà è utilizzato solo per creare ancora più rumore e caos è illegittimo. • lo sciopero politico è lo sciopero contro le istituzioni politiche. Gli scioperi politici secondo la Corte Cost. devono essere classificati in: sciopero politico tot court e sciopero di coazione economico e politico. Le forme di sciopero politico in senso stretto che riguardano la politica estera non sono illegittime ma sono l’espressione di un diritto individuale, quindi i lavoratori esercitano una propria libertà. I lavoratori possono agire, ma il datore di lavoro può rispondere con sanzioni disciplinari per l’esercizio di diritto di In termini giuridici, quindi, lo sciopero politico non è un diritto ma una libertà. • lo sciopero economico scioperi che vogliono condizionare la politica economica messa in atto dal governo. [es. scioperi durante il governo Berlusconi per la modifica dell’art. 18]. La politica economica ha effetti diretti sul rapporto di lavoro. • lo sciopero eversivo sciopero che va contro le istituzioni democratiche. Questo tipo di sciopero è illegale. Non si possono ostacolare le operazioni di voto e non si possono in generale ostacolare l’esercizio delle liberà politiche. Il codice penale contiene una serie di norme incriminatrici atte a sanzionare una serie di comportamenti che accompagnano lo sciopero picchettaggio, sabotaggio, boicottaggio… Picchettaggio azione di dissuasione dal lavoro da parte di crumiri che obbligano i lavoratori a scioperare. Il picchettaggio spesso è accompagnato da azioni violente. Sabotaggio comportamento violento con il quale si cerca di sabotare l’impresa creando un danno molto grave. Altre azioni sono il sequestro dei dirigenti fino a quando l’impresa non li ascolta. Tutti questi comportamenti che a volte si accompagnano allo sciopero sono al limite, non si può dare una risposta definitiva alla legittimità o meno di questi comportamenti. Sta di fatto che sono norme penali previste dal cp. Mentre nel settore privato lo sciopero si scontra con interessi economici del datore di lavoro privato, nel settore pubblico dei sevizi pubblici essenziali il bilanciamento avviene tra Le forme di sciopero non possono mai ledere diritti che sono di pari rango costituzionale le modalità dell’esercizio di sciopero devono sempre salvaguardare i diritti di pari rango (salute, istruzione ecc…. ) 8 marzo 2019 Gli strumenti datoriale nel conflitto collettivo Principio della parità delle armi datori di lavoro e lavoratori devono avere strumenti giuridici almeno paritari. Lo sciopero dei lavoratori deve essere bilanciato da strumenti di tutela degli interessi datoriali. Nella nostra Costituzioni non sono previsti strumenti di tutela nel conflitto collettivo a favore del datore di lavoro. Nel codice penale Rocco si trovano norme incriminatrici penali che puniscono penalmente sia lo sciopero che la c.d. “serrata” dei datori di lavoro. Serrata chiusura del luogo di lavoro. Quando i lavoratori decidono di scioperare l’impresa chiude la fabbrica Nell’ordinamento corporativo, quindi, veniva punito sia lo sciopero che la serrata. Nell’ordinamento post-costituzionale la serrata non è proprio citata la serrata è possibile utilizzarla come strumento di libertà imprenditoriale. C’è una grossa differenza tra l’esercizio di una libertà e l’esercizio di un diritto. Le ricadute in termini giuridici della serrata sulla gestione dei rapporti di lavoro consistono nel fatto che il datore di lavoro pone in essere un illecito civile: (c.d. mora del creditore) mancata cooperazione colposa da parte del datore di lavoro. È il datore che si sottrae all’esecuzione del rapporto di lavoro che impedisce al lavoratore di lavorare. L’ammontare dell’illecito civile si rifà agli stipendi dei lavoratori. La Corte Costituzione si è anche occupata delle norme che incriminavano penalmente la serrata la Corte Cost. con una sentenza del 1960 ha ritenuto che sia legittima la serrata per fini contrattuali. Vi è l libertà di chiudere l’azienda per contrapporsi alle azioni di lotta dei lavoratori. Sono invece rimaste valide le norme che incriminano la serrata per fini politici o per Nell giurisprudenza del lavoro si è posto il problema della legittimità o meno della c.d. serrata di ritorsione essa è stata spesso utilizzata dalle aziende per ribellarsi alle c.d. “forme anomale di sciopero”. La giurisprudenza si è interrogata sulla legittimità della serrata di ritorsione. Una reazione di questo tipo da parte dell’impresa può essere considerato un comportamento antisindacale (volto a smorzare l’effetto politico derivante dallo sciopero)? L’illegittimità del comportamento del datore di lavoro viene denominato “comportamento antisindacale” comportamento del datore di lavoro diretto ad incidere negativamente o limitare l’esercizio della libertà sindacale e il diritto di sciopero. La giurisprudenza prevalente ritiene che la serrata di ritorsione sia diretta ad incidere sulla libertà di sciopero e quindi possa legittimare il sindacato ad applicare l’art. 28 st. lav. Può il datore di lavoro limitare gli effetti dello sciopero? Sì, come? • esercitando il potere direttivo attribuendo ad altri lavoratori le mansioni dei lavoratori scioperanti Ovviamente i datori di lavoro devono rispettare i limiti previsti dal potere direttivo [es. i capi non possono sostituire gli scioperanti, questo perché si opererebbe un demansionamento e andrebbe contro i diritti dei dirigenti]. L’uso delle tecnologie in generale dà aiuto alle imprese. Ultimamente il crumiraggio tecnologico è diventato di gran moda. La giurisprudenza spagnola ha già affrontato questo problema. Parlando della legittimità o illegittimità della serrata si deve tener conto dell’art. 506 del codice penale Rocco che prevedeva come reato la serrata dei piccoli esercenti sono gli scioperi posti in essere dai lavoratori autonomi deboli o dai lavoratori parasubordinati. La Corte Costituzionale ha ritenuto illegittima questa norma, estendendo il diritto di sciopero non solo ai lavoratori subordinati, ma anche a quelli parasubordinati titolari anch’essi di questo diritto ex art. 40 Cost. La comunicazione scritta va inviata con un preavviso di almeno 10 gg: • alle amministrazioni o imprese che erogano il servizio • all’ufficio dell’autorità competente ad adottare l’ordinanza di precettazione che, a sua volta, trasmette alla Commissione di garanzia. Non si può disdire il giorno prima lo sciopero. La commissione di garanzia interviene in un sistema di regole che prevede sanzioni a carico: • dei lavoratori • delle organizzazioni sindacali • dei soggetti erogatori dei servizi pubblici ed essenziali • associazioni ed organismi rappresentativi di lavoratori autonomi Che sanzioni possono essere applicate? NON SI PUO’ MAI PROCEDERE AL LICENZIAMENTO DEL LAVORATORE. Possono, invece, essere irrogate tutte le restanti sanzioni disciplinati. Spesso si parla di potere-dovere del datore di lavoro il datore infligge la sanzione su ordine della commissione di garanzia. La natura disciplinare dell’addebito richiama soltanto il fatto che il datore di lavoro deve seguire le cautele (riferire all’irrogazione delle sanzioni da parte del datore di lavoro) previste dall’art. 7 st.lav. In mancanza di datore di lavoro (quando si tratta di lavoratori autonomi) la sanzioni è pecuniaria. Altri soggetti che ricevono sanzioni sono gli organi sindacali. Il legislatore prevede 2 casi: • se questi soggetti sono destinatari dal titolo III dello statuto -riguarda- Vi è inoltre una sanzione pecuniaria nei casi di mancata ottemperanza all’ordinanza di precettazione. La legge 146/1990 si aveva paura di uno sciopero dei trasporti per i Mondiali di Calcio. Questa paura ha reso la norma di legge una delle più veloci ad essere approvate. Stesso discorso vale negli anni 2000 con il Giubileo. Il settore più nevralgico sotto il profilo del conflitto rimane il trasporto. Se devono esservi delle modifiche nell’area del servizio pubblico essenziale sono finalizzate al trasporto pubblico. Una delle recenti proposte di revisione (presentata nel 2017) ha proposto di mettere sotto attacco lo sciopero. Per circoscrivere le astensioni dal lavoro nel settore dei servizi pubblici essenziali perché non subordiniamo la proclamazione dell’astensione soltanto a quei sindacati che siano dotati di una certa soglia di rappresentanza? La soglia di rappresentatività è fissata da questa legge (ancora non approvata) al 50% + 1. L’AI è stato sottoscritto nel 2018, ma non ha modificato la soglia di rappresentatività. Se non si dovesse giungere al 50% + 1 di rappresentatività, lo sciopero si può avere mediante un referendum preventivo con esito positivo per creare un referendum ci vogliono dei tempi… È costituzionalmente legittimo un progetto di questo tipo? 13 marzo 2019 Web e lavoro Digitalizzazione del lavoro, smart factory e poteri datoriali Digitalizzazione dell’economia termine descrittivo che evidenzia un trend che caratterizza tutto lo sviluppo dell’economia occidentale e dei paesi in via di sviluppo. Ci sono diversi fattori che determinano effetti sui rapporti di lavoro e sul mercato del lavoro : es. introduzione di processi produttivi altamente digitalizzati (vanno al di là dei semplici strumenti informatici). Questi strumenti possono funzionare solo con l’accesso al web c.d. internet of thing strumentazioni lavorative nei quali l’oggetto materiale ha in sé una connessione web che potenzia al massimo le potenzialità di quell’oggetto creando una continua interazione tra la materialità dell’oggetto e l’immaterialità di tutto ciò che si trova sul web. Un’altra macro area è quella definita come smart factory utilizzata dal modello tedesco di industria 4.0. Si tratta di “fabbrica intelligente” che punta su tecnologie digitali per migliorare la produttività. Altra importante novità nel mondo del lavoro è stata l’introduzione della robotica all’interno di questo mondo. Cosa accade al mondo del lavoro? Vi sono sicuramente degli impatti sull’occupazione. Il Word Economic Forum ha elaborato dei reports sull’impatto che il web ha avuto nel mondo del lavoro in quanto all’occupazione. Cosa potrebbe accedere nel rapporto di lavoro? Qual è l’impatto delle tecnologie su i concetti giuridici fondamentali? Possiamo osservare significative modifiche rispetto allo spazio e al tempo di lavoro. La tecnologia ci permette di essere dappertutto sempre. [es. telelavoro e lavoro agile]. Quando un dirigente riceve una e-mail alle 10 di sera, è orario di lavoro? È straordinario? E quando alle 10 di sera la stessa mail la ricede un impiegato come succede? Un altro problema è quello delle forme di controllo se sei sempre raggiungibile sei sempre controllabile. Potere di controllo tecnologico Strumenti digitali normalmente utilizzati dai lavoratori accrescono le possibilità, le finalità e l’ampiezza del controllo. Generano altresì una grande quantità di dati, costituendo flussi utilizzabili per una gestione su base algoritmica dei rapporti di lavoro (Human Resources analytics). Questo tipo di modalità gestionale non sarebbe possibile se non ci fossero grandi quantità di dati disponibili. La normativa statuaria dell’art. 4 st. lav. è stata modificata col d.lgs. 151/2015 non si è trattato di un adeguamento alle tecnologie informatiche e digitali, ma una ridefinizione del bilanciamento tra le esigenze organizzative datoriali e diritti dei lavoratori. Questo bilanciamento, con la modifica dell’art. 4, è stato solamente ridefinito in un punto diverso da quello precedente. Art. 4 dello Statuto dei Lavoratori: 1. Gli impianti audiovisivi e gli altri strumenti dai quali derivi anche la possibilità di controllo a distanza dell'attività dei lavoratori possono essere impiegati esclusivamente per esigenze organizzative e produttive, per la sicurezza del lavoro e per la tutela del patrimonio aziendale e possono essere installati previo accordo collettivo stipulato dalla rappresentanza sindacale unitaria o dalle rappresentanze sindacali aziendali. In alternativa, nel caso di imprese con unità produttive ubicate in diverse province della stessa regione ovvero in più regioni, tale accordo può essere stipulato dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In mancanza di accordo, gli impianti e gli strumenti di cui al primo periodo possono essere installati previa autorizzazione delle sede territoriale dell'Ispettorato nazionale del lavoro o, in alternativa, nel caso di imprese con unità produttive dislocate negli ambiti di competenza di più sedi territoriali, della sede centrale dell'Ispettorato nazionale del lavoro. I provvedimenti di cui al terzo periodo sono definitivi. 2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica agli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa e agli strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze. 3. Le informazioni raccolte ai sensi dei commi 1 e 2 sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro a condizione che sia data al lavoratore adeguata informazione delle modalità d'uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli e nel rispetto di quanto disposto dal decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196. • COMMA I controllo a distanza è lecito per: • esigenze organizzative-produttive • sicurezza del lavoro • tutela del patrimonio aziendale Obbligo di ottenere autorizzazione in sede sindacale o amministrativa • COMMA II controllo tramite strumenti “per rendere la prestazione lavorativa” e tramite strumenti di registrazione degli accessi e delle presenze può avvenire in deroga al precedente comma. • COMMA III utilizzabilità dei dati così raccolti “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro”, purché sia data adeguata informazione delle modalità d’uso degli strumenti e di effettuazione dei controlli nel rispetto del Codice privacy. Dalla modifica dell’art. 4 st. lav. i può evincere che l’area di controllo lecito è stata ampliata rimane differenza per ciò che concerne l’obbligo di esperire la procedura. Come si integra il Codice privacy? Il rispetto del codice privaci richiamato dal comma 3 è un rispetto dei principi essenziali di trasparenza, minimizzazione e finalità. Il datore di lavoro è tenuto a raccogliere solo i dati che gli servono davvero e non fare ricerche a tappeto. I Garante della privacy ha definito il confine tra comma I e comma II si tratta del caso riguardante il sistema di gestione delle attese alle Poste (provvedimento 16/11/2017). Il sistema che le poste utilizzava in precedenza realizzava l’acquisizione di una grandissima quantità di dati degli utenti, accessibile dal capo filiale, ma da tutta una più ampia categoria di dirigenti. Il garante ha bloccato questo sistema ritenendo non conforme alla disciplina del trattamento dei dati poiché non era nemmeno stato chiesto il consenso agli utenti delle poste (coloro ai quali venivano presi i dati). Controllo tecnologico e processi produttivi digitalizzati Disciplina per il controllo datoriale e smart factory: punti di frizione • Maggiore problematicità della distinzione tra strumenti ex comma 1 ed ex comma 2 = tutti gli apparati digitali o automatizzati sono strumenti per rendere la prestazione lavorativa = effetto di liberalizzazione completa del controllo. • Adeguate le garanzie di cui all’art. 3 ? Necessario garantire la consapevolezza del lavoratore a fronte dei sistemi di controllo complessi o che cambiano costantemente. Lavoro a distanza (telelavoro, lavoro agile, lavoro a distanza atipico, mobile workers) • La legge 81/2017, art. 21 = modalità concrete rimesse all’accordo individuale nel rispetto all’art. 4 st. lav. = si tratterà di dispositivi riconducibili al comma 2. • Rimangono limiti ulteriori rispetto all’art. 4 e cioè al codice privacy e art. 8 Statuto. Automazione e rapporto di lavoro Interazione tra lavoro e tecnologie automatizzate : effetto di sostituzione del lavoro umano o di complementarietà? • Rischio di polarizzazione del lavoro: obsolescenza delle attività lavorative con bassa professionalità e valorizzazione di quelle altamente professionalizzate (o di interazione con le macchine). Necessità di riconversione professionale. • Nel caso in cui si riesca a rendere complementare apporto dell’uomo e dei sistemi automatizzati, sorgono problemi in merito all’adempimento della prestazione. Chi è responsabile della correttezza dell’adempimento se la prestazione è condizionata o vincolata dalle macchine? Può ipotizzarsi una responsabilità della macchina? Una possibile soluzione nel “Rapporto Mettling” valutazione della performance individuale attraverso valutazione di quella collettiva. Risoluzione del Parlamento Europeo sulle norme di diritto civile nella robotica qui il Parlamento Europeo si pone il problema di come potranno incidere sistemi in grado di apprendere autonomamente (robot) nella società civile. Vengono ipotizzate delle risposte richiedendo che il legislatore si attivi per comprendere e dare risposte adeguate al fine di realizzare uno sviluppo sostenibile. Cenni sulle problematiche relative al trattamento algoritmico dei dati dei lavoratori Numerosi dati nella disponibilità del datore di lavoro (a causa dell’aumento spazio per controllo lecito e libera accessibilità di molte informazioni): si possono acquisire e trattare con gli algoritmi di HR analytics per la gestione automatizzata del personale? Utilizzabilità “a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro” può comprendere anche la profilazione se c’è interesse del lavoratore o interesse pubblico? Audizione Garante in tema di metodologie di data mining utilizzate dall’INPS per eseguire visite di controllo nei confronti dei lavoratori (18 settembre 2018). 15 marzo 2019 Il controllo della vita del lavoratore attraverso social network Quando parliamo di rapporto di lavoro e social network si aprono 2 grandi problemi: 1. impatto che i social network possono avere nell’accesso al mondo del lavoro (quindi nella fase pre-assuntiva) 2. impatto che i social network possono avere NEL mondo del lavoro. Può incidere ciò che condividiamo nei social network con l’obbligo di fedeltà anche se siamo al di fuori dell’orario di lavoro? Impatto che i social network possono avere nell’accesso al mondo del lavoro Come è possibile per i cittadini che entrano nel modo del lavoro proteggere la segretezza delle loro opinioni quando ci troviamo in un sistema in cui le nostre vite vengono pubblicate nelle piattaforme online? Dobbiamo distinguere sui social se il livello di segretezza che io pongo a un contenuto sia effettivamente rispettato. Il grande successo dei social network è dato dal fatto che questi obbligano l’utente ad una profilazione. Esiste la possibilità che i dati che pubblichiamo sui social (anche con un alto grado di riservatezza) possano non essere trattati correttamente come noi vorremmo. Come possiamo assicurarci che il datore di lavoro rispetti l’art. 8 st. lav.? Il principio di precauzione è un principio mutuato dal diritto ambientale e dal diritto del lavoro che impone al datore di lavoro e a chiunque abbia la capacità di trattare dato sensibile di porre in essere una serie di misure al fine di prevenire un utilizzo non corretto dei dati personali. Tutto ciò al fine di evitare una discriminazione nella fase pre-assuntiva fermo restando ciò che è prevista dall’art. 41. Cost. Impatto che i social network possono avere nel mondo del lavoro • Misure di welfare • Diritti collettivi Chi lavora tramite web si crea una reputazione digitale che vale più del curriculum sono le valutazioni lasciate dagli altri committenti. Su questa reputazione il free lance costruisce le proprie opportunità di lavoro e di crescita professionale. Questo tipo di diritto è radicato nel mondo del lavoro del web e il lavoratore comune non ha questo diritto. 20 marzo 2019 Lavoro e piattaforme digitali Piattaforme digitali (c.d. crowd employement platforms) sono soggetti intermediari che attraverso una struttura inserita nel web, fanno incontrare domanda e offerta di lavoro. La domanda di lavoro sarà una richiesta di servizi o di esternalizzazione di parti del processo produttivo. • La questione delle piattaforme digitali ha delicati punti di confine con la sharing economy : condivisione paritaria di spazi o oggetti che non si attende remunerazione perché orientata a scopi sociali (e pertanto non genera occupazione). [es. BlaBlaCar perché le condizioni generali prevedevano solo un rimborso spese] • Commons attraverso la partecipazione degli utenti alla realizzazione di “user generated contents” (video, testi, contributi informativi) disponibili su Internet creati o elaborati al di fuori di un’attività o di una mansione professionale. [es. Wikipedia] L’Agenda europea per economia collaborativa (2.6.2016) modelli imprenditoriali in cui le attività sono facilitate da piattaforme di collaborazione che creano un mercato aperto per l’uso temporaneo di beni o servizi spesso forniti da privati. I modelli sono estremamente eterogenei : 1. piattaforma digitale che veicola lavoro digitale puro e frammentato [Robot che nel 1770 girava le corti giovando a scacchi e battendo tutti. Edgar Allan Poe rese celebre questa invenzione affermando che dentro al turco meccanico c’era un nano che batteva tutti. Questa idea è stata ripresa da Amazon in cui le prestazioni meccaniche vengono scorporate e offerte sul web a chi vuole usufruirne]. 2. piattaforme che realizzano intermediazione per professionisti e non, ma realizzano intermediazione che riguardano attività professionalmente più complesse caricate sulla piattaforma e offerte al mercato. 3. piattaforme del food delivery e del modello uber Uber non è presente in Italia perché è stata dichiarata dal tribunale di Milano come un’attività di concorrenza sleale nei confronti dei tassisti. Caratteristiche del lavoro su piattaforma digitale • Ci sono sempre 3 soggetti: 1. la piattaforma 2. un committente/beneficiario 3. il prestatore/ lavoratore • Tutte le piattaforme utilizzano sempre contratti atipici misti che contengono le condizioni d’uso della piattaforma di svolgimento del lavoro • Regole di lavoro fissate nelle condizioni generali di contratto, senza negoziazione • Attività lavorative parcellizzate e ridotte in unità minime: micro-tasks, singolo progetto, singola consegna… • Offerta di servizi “spersonalizzata” e assimilata alla vendita (acluni contratti identificano le parti come buyers e sellers) • I prestatori sono considerati indipendent contractors: lavoratori autonomi occasionali oppure con collaborazione coordinata e continuativa (questa è una particolarità del food delivery italiano) In questo modo si tende ad evitare l’applicazione delle tutele avendo forza lavoro senza passare dai contratti di lavoro subordinati e talvolta anche autonomi. I problemi aperti sono tantissimi e c’è una concentrazione del dibattito pubblico sul tema dei riders, ma questi fenomeni sono molto più ampi e le problematiche che pongono sono ampie e diversificate. Le possibili risposte dell’ordinamento a fronte di questo fenomeno sono 2 : 1. Risposta qualificatoria il lavoro delle piattaforme digitali può essere lavoro autonomo o subordinato. Questa risposta applica a queste modalità di lavoro i criteri tradizionali (quindi anche gli indici di subordinazione). Si deve valutare se i lavoratori siano quindi subordinati o autonomi in base all’attività che svolgono. Ancora, i lavoratori possono far parte di collaborazioni coordinate o continuative. La legge 81/2017 considera che il lavoro coordinato è organizzato autonomamente dal prestatore, ma nell’ambito di linee di massima concordate paritariamente tra le parti. Questo significa che il prestatore ha qualche potere negoziale sulle condizioni di lavoro. L’art.2 comma 1 del d.lgs. 81/2015 pone l’accento sul problema del lavoro eterorganizzato (problema dei riders che sono stati qualificati in questo modo ?) Se si adotta la prospettiva qualificatoria si devono prendere in considerazioni tutte le opzioni che l’ordinamento mette a disposizione. Per ciascuna di queste l’ordinamento italiano prevede dei pacchetti di tutele diversificate. L’ordinamento Francese ha ritenuto di voler inserire previsioni per il lavoro autonomo veicolato da piattaforma digitale. È comunque un lavoro autonomo nel quale la piattaforma, anziché essere un intermediario, determina invece condizioni e prezzo. È un ordinamento un po’ sui generis. Le collaborazioni coordinate e continuative sono collaborazioni organizzate autonomamente dal prestatore autonomo che ai autoorganizza ma le modalità di coordinamento del committente sono stabilite di comune accordo tra le parti (nell’ipotetico contratto di co co co dovrebbero essere esplicitate le modalità di coordinamento l. del 2017). 2. L’altra opzione è quella relativa al nucleo minimo di garanzie per il crowdworker a prescindere da qualificazione • Anche ispirate da disciplina consumatore • Informazione preventiva su condizioni contrattuali (proposta Direttiva su “Condizioni di lavoro trasparenti e prevedibili” del dicembre 2017) • Idonee clausole antidiscriminatorie • Tutela della persona e della salute (rispetto a specifici rischi psico-sociali) e diritto alla disconnessione • Salario minimo • Altre misure : conto personale di attività (CPA) Loi Travail (2016) 22 marzo 2019 Lavoro digitale profili collettivi Profili collettivi del lavoro digitale la possibilità di trovare spazi di contrattazione per queste nuove forme di lavoro (lavoro digitale). Se parliamo di lavoro digitale ci vengono immediatamente in mente i drivers. La grande distinzione che si fa in dottrina è la seguente: • lavoro digitale veicolato da piattaforme digitali • lavoro digitale che si svolge all’interno delle piattaforme digitali Come si qualificano coloro che svolgono il loro lavoro mediante le piattaforme digitali? Come si declinano i diritti e gli obblighi del lavoratore? L’organizzazione sindacale può avere un qualche tipo di ruolo? E se sì quale? Queste 3 tematiche possono essere affrontate da prospettive differenti. Come organizzare l’azione collettiva dei lavoratori digitali? Nell’attuale capitalismo cognitivo la tecnologia digitale diviene lo strumento con cui si frammenta la catena di valore mondiale e si realizzano nuovi ed avanzati modelli di esternalizzazione che si avvalgono delle infrastrutture digitali per consentire a produttori e consumatori di attingere velocemente e a costi ridotti a una forza lavoro esterna e pressoché sterminata. Ciò favorisce l’emergere di pratiche neo—schiavistiche e/o forme di caporalato digitale. Tali fenomeni si caratterizzano per intermediare prestazioni occasionali, discontinue, frammentate e precarie. Nonostante tali difficoltà, un segnale di controtendenza è il proliferare di forme di auto-organizzazione dei lavoratori digitali a livello locale, europeo e trans-nazionale. Tali nuove tipologie di aggregazioni collettive sono rese possibili dalle stesse tecnologie digitali applicate al web, le quali facilitano la creazione di canali comunicativi da cui partono processi di costruzione di relazioni e di messa in rete di rivendicazioni, aprendo in tal modo nuovi e alternativi spazi di organizzazione sindacale. Le tecnologie digitali così come sono in grado di sviluppare nuovi ed avanzati modelli standardizzati di esternalizzazione e parcellizzazione del lavoro, allo stesso modo possono realizzare interconnessioni e legami globali tra i prestatori operanti nelle e tramite le piattaforme. Ciò permette di individuare e perseguire interessi collettivi al contempo locali e globali, aprendo nuovi spazi, per l’organizzazione e il conflitto collettivo. Il caso dei riders La condizione di sottoprotezione è evidente. La piattaforma digitale non fa nulla, veicola e organizza solamente un lavoro che è di tipo tradizionale. È un lavoro sostanzialmente non qualificato che può essere svolto da chiunque quindi i lavoratori sono facilmente rimpiazzabili. Questi lavoratori svolgono di fatto prestazioni materiali, quindi si può applicare loro un modello sindacale? Un vero contropotere negoziale è difficile da creare se essi non coinvolgono altri attori che hanno un ruolo all’interno del meccanismo dei riders. Questi attori sono banalmente i consumatori finali. Avere un mercato che utilizza come luogo di lavoro la città significa anche che la città ha delle responsabilità nei confronti dei lavoratori di questo mercato. La Carta di Bologna in quanto contratto collettivo territoriale siglato da organizzazioni dei riders (lavoratore formalmente autonomi) è compatibile con le regole europee in materia di concorrenza? Art. 101 TFUE sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tar imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commercio tra stati membri. Questa legge è stata pensata per l’antitrust, non per il caso dei riders. Ai sensi del diritto europeo, i prestatori autonomi sono in linea di principio imprese nel senso dell’art. 101 TFUE dal momento che : 1. offrono i loro servizi dietro corrispettivo in un determinato mercato 2. esercitano la loro attività come operatori economici indipendenti rispetto ai loro committenti Diversamente le organizzazioni dei lavoratori subordinati operano come parte sociale in quanto stipulano contratti collettivi per il miglioramento delle condizioni di impiego dei lavoratori dipendenti, pertanto sono sollevate dall’obbligo di rispettare il divieto dell’art. 101 TFUE. 26 marzo 2019 Il conflitto collettivo nell’era digitale Un osservatore delle dinamiche sindacali non farebbe fatica ad individuare delle tendenze: La rete internet e il web si impiegano sempre più frequentemente nell’ambito dei conflitti in materia di diritto del lavoro. Il web come luogo di lavoro e veicolo del conflitto collettivo: • mette a disposizione spazi diversi e ulteriori da quelli tradizionali • facilita la diffusione del conflitto e l’interazione tra gli aderenti al gruppo professionale • Riesce a creare un’inedita ubiquità delle rappresentanze sindacali dei lavoratori Nuove forme di conflitto collettivo si affermano, sfruttando le potenzialità della rete internet e dei social network. La rete ci fornisce anche una visione su come il conflitto cambia e si evolve. Alcuni esempi sono il net strike, il flash mob, il twitter storm e lo sciopero delle ricette digitali. Queste metodologie di sciopero hanno come punto in comune il fatto che si realizzano trovando nella rete sia un luogo della protesta che un veicolo della protesta stessa. Vi sono alcune di queste forme (net-strike, twitter storm e flash mob) trovano invece nell’utenza una buona risorsa addizionale per la buona riuscita del conflitto. Ad esempio Ataf falsh mob dei lavoratori - notizia del 9/2/2019. Oltre all’astensione dal lavoro, si rivolgono alla rete per chiedere un sostegno alla comunità. Il 9/2/2019 si sono radunate circa 1000 persone per sostenere gli autisti dell’Ataf. Siamo sempre nell’ambito dei servizi pubblici essenziali e in questo caso l’utenza NON È stata utilizzata come ostaggio, bensì ha partecipato sostenendo Net strike è l’occupazione simultanea di un sito web, che una determinata azienda utilizza per le comunicazioni con clienti e lavoratori, da lavoratori e altri soggetti che intendono sostenere la protesta dei lavoratori. La finalità è quella di paralizzare le comunicazioni dell’azienda coi dipendenti e coi fornitori. Questa paralisi nei casi più gravi potrebbe configurare sanzioni penalmente rilevanti. Si avvale del supporto degli utenti per garantire la buona riuscita del conflitto. Virtual picket line ≠ sciopero virtuale (si realizza esclusivamente per il trasferimento del compenso maturato ad un fondo di solidarietà) Una forma di ocnflitto che sta emergento è anche il twitter storm “tempesta di tweet” accompagnare la protesta normalmente svolta con azioni sul web mediante hashtag (#iostocontizio). In questo caso vi è una grandissima diffusione del fenomeno di conflitto anche sulla piattaforma digitale. Ad oggi non vi è nessuna pronuncia che si sia occupata di valutare la liceità o meno di queste forme di conflitto. Sono proposte di inquadramento giuridico che non hanno trovato risposte da parte della giurisprudenza. Anche il datore di lavoro si è munito di piattaforme tecnologiche per valutare come difendersi e rispondere al conflitto coi lavoratori. Crumiraggio tecnologico il datore di lavoro non si serve di personale per attutire l’impatto dello sciopero dei suoi dipendenti, ma si serve della tecnologia per ridurre i danni causati dallo sciopero. Nel giro di 10 anni è sorto un ricco