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Appunti di diritto ecclesiastico, Schemi e mappe concettuali di Diritto Ecclesiastico

Sono fatti bene e permettono di sostenere appieno l'esame

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2019/2020

Caricato il 17/11/2021

sophia-tontarelli
sophia-tontarelli 🇮🇹

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Scarica Appunti di diritto ecclesiastico e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! Diritto Ecclesiastico (Lezione 1 15/02/2021) Codice del diritto canonico 1917 da parte del cardinale Gasparri di Ussita. Il diritto ecclesiastico non è legato alle problematiche legate al diritto ecclesiastico, quindi a tutte quelle questioni che non riguardano l'ordinamento della Chiesa ma riguardano i rapporti tra lo Stato italiano ed il fenomeno religioso. Il diritto ecclesiastico si basa infatti sul rapporto tra diritto e religione, un rapporto moderno che si fonda su nuove dinamiche, su nuove concezioni che fondano questo rapporto. Diverso è invece il diritto canonico che approfondisce i profili interni della Chiesa cattolica; esso si occupa delle questioni relative alla regolamentazione interna della Chiesa, ad esempio i poteri dei vescovi, i diritti che si acquisiscono all’interno della Chiesa, le prerogative della gerarchia ecclesiastica, vengono quindi disciplinate le figure del vescovo, del pontefice, le cause di nullità matrimoniale... tutto ciò che regolamenta o serve a regolamentare la vita della Chiesa è all’interno del diritto Canonico, non più del 1917 ma del 1983 in quanto questo codice è stato riformato a seguito di una serie di eventi importanti da parte della Chiesa, come il Concilio Vaticano Il che portò ad una nuova ecclesiologia conciliare su cui si fonda il codice del 1983. Quello di cui invece si occupa il diritto ecclesiastico sono i rapporti con le religioni. Se prima il confronto del diritto ecclesiastico era solo quello con la Chiesa Canonica, ad oggi invece è molto più vasto e riguarda più religioni. Ciò che è importante tenere in considerazione è un presupposto che caratterizza il sistema occidentale, cioè che un precetto giuridico non potrà mai fondarsi su un precetto religioso. Come diceva Giorgio Lapira: “lo Stato è la casa dei credenti, non credenti e diversamente credenti”, quindi se lo Stato assumesse come fondamento di un precetto giuridico un precetto religioso dovrebbe scegliere quale religione e quindi su quella religione, su quel precetto religioso, andrebbe poi a costituire un precetto giuridico vincolante per la generalità dei consociati con tutta una serie di problemi che ne scaturirebbero. La religione è ad ogni modo parte integrande della società, difatti la Corte Costituzionale quando ha elaborato il principio di laicità ha precisato in maniera molto forte come la neutralità che deve essere alla base dell’attività dello Stato rispetto al fenomeno religioso, non deve significare indifferenza. Neutralità non significa indifferenza al fenomeno religioso. Anche in Italia la religione ha avuto un ruolo fondamentale, basti pensare che il Quirinale fino a non molto tempo fa era sede del pontefice; è uno Stato che ha vissuto e che ancora vive un rapporto con lo Stato Città del Vaticano e con la religione cattolica. Storicamente ciò risale all’unificazione d’Italia, a quando si crea la cosiddetta “questione romana” perché il pontefice si sentiva addirittura prigioniero da parte del Regno d’Italia, con la presa di Roma era venuta meno la potestas in temporalibus, quindi era venuto meno il potere temporale e lo Stato pontificio ma comunque nasce un'idea di trovare una soluzione alla questione romana. L’Italia ci provò con la legislazione sulle Guarentigie, che aveva creato una serie di garanzie a favore del pontefice ma che non erano mai state accettate per due motivi: 1) era stata introdotta con legge ordinaria (che può essere modificata da una legge successiva), la Chiesa non si sentiva tutelata. 2) L'assegnazione dei palazzi pontifici alla gerarchia ecclesiastica, non mediante trasferimento della proprietà, ma trasferimento del possesso. Quindi il Regno d’Italia aveva trasferito i palazzi vaticani trasferendone il possesso. Tutto ciò aveva portato ad attenzioni notevoli all’inizio del 900 dove cittadini italiani si sentivano divisi tra un’appartenenza religiosa al pontefice ed un’appartenenza al Regno d’Italia. Nel 1929 tutto questo viene meno in quanto vengono sottoscritti i Patti Lateranensi, essi pongono fine a questa condizione di prigionia ed isolamento del pontefice. Essi si compongono di tre documenti importanti: 1) Il Trattato: Il trattato del laterano, dove vengono previste a favore della Chiesa una serie di prerogative. Perché la Chiesa accetta il Trattato e non la legge delle guarentigie? Perché il trattato è uno strumento del diritto internazionale, quindi lo Stato italiano ha regolato i rapporti con la Chiesa non più sulla base della propria legislazione interna, la legge ordinaria, ma ha collocato i rapporti con la Chiesa cattolica su un piano superiore, cioè quello del diritto internazionale. Perciò qualsiasi modifica lo Stato vorrà apportare al trattato del laterano dovrà concordarla preventivamente con la Chiesa Cattolica e non potrà effettuare modifiche unilateralmente. Quindi con il trattato la Chiesa si sente molto più tutelata. Esso non è modificabile. 2) Il Concordato: è un sistema di rapporti che viene a crearsi dal 1929 che hanno un valore storico e giuridico. La Chiesa nel corso dei tempi ha visto diversi sistemi di rapporti, 313 d.c. con il sistema del cesaropapismo, un sistema in cui confluiva nella figura del pontefice sia le prerogative di Cesare, dell’imperatore, sia quelle del papa. Poi sistemi teocratici in cui il sistema di riferimento era quello del papa, riteneva di avere una potestà anche rispetto al potere civile. Poi un sistema giurisdizionalista che riteneva che la Chiesa dovesse essere ai margini; tale sistema prevedeva che gli enti della Chiesa fossero pubblici e quindi lo Stato poteva intervenire a regolamentarlo come un ente pubblico e qui nascono le leggi eversive. Nell’ 800, invece, un sistema separatista. Nel 1929 nasce un sistema concordatario; ad ogni modo il Concordato è modificabile. 3) La Convenzione finanziaria: è parte integrante dei patti lateranensi, in particolare del trattato del laterano, svolgendo un’analisi della struttura e della forma di questa convenzione, si ritrova questo riferimento. All’interno della convenzione si premette che la Santa Sede d’Italia, a seguito della stipulazione del trattato con il quale è stata definitivamente composta la questione romana, ha ritenuto necessario regolare con una convenzione distinta ma formante parte integrale del trattato, i loro rapporti finanziari. Si premette che Il sommo Pontefice, considerando da un lato i danni ingenti subiti dalla sede apostolica per la perdita del patrimonio di San Pietro, cioè tutto quel territorio costituito dagli antichi stati pontifici, quindi tutti i beni degli enti ecclesiastici. Considerando perciò queste perdite di carattere oggettivo che si manifestarono e dall’altro i bisogni crescenti della Chiesa, anche se con riferimento alla città di Roma, tenendo poi presente le condizioni economiche dello stato Italiano, le due parti hanno ritenuto di limitare allo stretto necessario la richiesta di indennizzo. Si arriva pertanto ad una indennità che viene riconosciuta alla Chiesa parte in contante e parte in consolidato con la quale si è ritenuto di corrispondere a quell’impegno assunto in esecuzione della legge 13 Maggio del 1871 (legge sulle guarentigie). C'è estrema diplomazia nei termini utilizzati perché ci troviamo su un piano internazionale. Lo Stato d’Italia si obbliga a versare alla Santa Sede 750 milioni di lire, inoltre, contemporaneamente, ha versato dei titoli al portatore dal valore nominale di 1 miliardo di lire alla Santa Sede. A margine della convenzione finanziaria vi sono le firme del cardinale Gasparri e del rappresentante del Governo Benito Mussolini. Il sistema Concordatario: significa che lo Stato Italiano deve concordare con la Chiesa Cattolica i contenuti su specifiche materie, non su tutte: la materia degli enti, dei beni culturali, dell’insegnamento della religione nella scuola pubblica, l'assistenza nelle carceri. Ci sono quindi una serie di materie previste dal Concordato che richiedono un coordinamento prima della regolamentazione tra lo Stato Italiano e la Chiesa. Un esempio di applicazione di questo sistema si è avuto negli anni ’90, quando lo Stato Italiano decise di introdurre delle normative finalizzate a semplificare procedimenti amministrativi, quindi con la Legge Bassanini introduce una serie di disposizioni finalizzate ad eliminare il parere del Consiglio di Stato da una serie di procedimenti che espressamente prevedevano la richiesta preventiva di parere al Consiglio di Stato prima del perfezionamento del procedimento stesso. Accade che, una volta introdotta la normativa nel nostro ordinamento giuridico, qualcuno si accorge che esiste anche nel nostro ordinamento una normativa concordataria (cioè quella che si fonda sul diritto internazionale). Allora si pone un problema, un conflitto tra norme nazionali ed internazionali: questa legge Bassanini poteva estendersi sulle disposizioni concordatarie che prevedevano la richiesta del parere al Consiglio di trattato del Laterano, che indica la ragione per cui venga sottoscritto, cioè le parti hanno riconosciuto la convenienza reciproca e l'opportunità e necessita di chiudere ogni ragione di dissidio. Inoltre si tratta di irreversibilità, cioè indica che non si potrà più tornare indietro, infatti i trattati indicano qualcosa che una volta sottoscritto determina un impegno per il futuro. Lo strumento internazionale è di per sé irreversibile, in quanto nessuna delle due parti può modificarlo senza il consenso dell’altra. Viene nella sottoscrizione ribadito il concetto di “irreversibilità” da parte della Chiesa in quanto essa utilizza delle forme di prudenza, ripetendo ciò che sembrerebbe ovvio in maniera superflua, ma invece forse anche utilizzata per quella sua raffinatezza giuridica che nei secoli l’ha contraddistinta e aiutata a superare delle controversie importanti e delicate. Dovendo assicurare alla Santa Sede l’assoluta e visibile indipendenza, si è ravvisata la necessità di costituire con particolari modalità la Città del Vaticano, riconoscendo alla medesima (Santa Sede) la piena proprietà e giurisdizione sovrana. Mancava quell’elemento di territorialità, di visibilità che potesse garantirle di esercitare la sua potestà nel campo internazionale. Inoltre, un elemento di differenza rispetto alle leggi sulle guarentigie è la piena proprietà di quei palazzi che oggi fanno parte della Città del Vaticano. L’art.1 dei patti lateranensi, modificato nel 1984, nella sua formulazione originaria “riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello statuto del regno del 4 marzo 1848, quindi si riprende lo Statuto albertino del 1848 in cui si affermava che la religione cattolica apostolica romana è la sola religione dello Stato. Solo l’art. 1 viene modificato nel 1984 in seguito alla Costituzione, i principi di uguaglianza e di non discriminazione, la giurisprudenza della Corte Costituzionale, certamente non poteva sopravvivere un articolo che tendeva a riconoscere solo alla religione cattolica apostolica romana i rapporti con lo Stato. Viene modificato in modo tale che quella religione non sia la sola religione con la quale lo Stato abbia rapporti. Il trattato poi prosegue con l’art.2 con cui “l’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura e in conformità alla sua tradizione e alle esigenze della sua missione nel mondo”, quasi a voler ribadire una necessità seppur minima (pochi ettari di terra) di terreno. L'art. 3 “riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e l’esclusiva e assoluta potestà della giurisdizione sovrana”: la Chiesa ama ripetersi, in modo tale che non vi siano dubbi dal punto di vista semantico. In questo contesto però resta inteso che “la piazza di San Pietro, pur facendo parte della Città del Vaticano, continuerà ad essere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai poteri di polizia italiana”; viene quindi disciplinato il regime giuridico di Piazza San Pietro. Questi poteri si arresteranno all’inizio della scalinata della basilica, a meno che non siano invitate ad intervenire. L'art. 4 “la sovranità e la giurisdizione esclusiva che l’Italia riconosce alla Santa Sede sulla Città del Vaticano importa che sulla medesima non possa esplicarsi alcuna ingerenza da parte dello Stato Italiano e che non vi sia altra autorità che quella della Santa Sede. L'art. 5 “per l'esecuzione di quanto stabilito prima dell'entrata in vigore del presente trattato il territorio costituente la Città del Vaticano dovrà essere, a cura del governo Italiano, reso libero da qualsiasi vincolo e la Santa Sede provvederà a chiudere gli accessi.” L'art.7 “Lo Stato si impegna a non costruire costruzioni che creino problemi ambientali”. L'art. 8 “L'Italia considerando sacra ed inviolabile la persona del sommo pontefice dichiara punibili l'attentato contro di esso e la provocazione a commetterlo con le stesse pene stabilite per l'attentato e la provocazione a commetterlo contro la persona del Re.”, che ad oggi è il Presidente della Repubblica. Art.9, tutte le persone che hanno stabile residenza nella Città del Vaticano sono soggette alla sovranità della Santa Sede, tale residenza non si perde per il fatto di una temporanea dimora altrove, né in seguito all'abbandono della residenza. Sono all’incirca 900 o 1000 le persone sottoposte a tale sovranità. L'art.11 indica che “gli enti centrali della Chiesa cattolica sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato Italiano”, questa disposizione è la più importante dell’articolo. Questa disposizione, apparentemente priva di criticità, ha invece provocato molte situazioni problematiche. La prima riguardava il caso IOR, Istituto per le Opere di Religione, il cardinale Marcincus era un direttore finanziario della banca vaticana; per alcune ragioni ignote alcuni investimenti divennero rischiosi e portarono al fallimento di alcune banche italiane. Tale cardinale fu pertanto esposto anche dal punto di vista del diritto penale, pertanto l’autorità giudiziaria del tempo cercò di procedere nei suoi confronti in quanto responsabile di questo istituto per le opere di religione ma viene invocato l’art. 11. Quando il pm invia la richiesta per procedere nei confronti di Marcincus, la Corte di Cassazione dichiara una carenza di giurisdizione dello Stato Italiano nei confronti dello IOR, in quanto ente centrale della Chiesa. L'art. 11 si fondava su un sunto in base al quale “Chiesa delinquere non potest”, nessuno immaginava, quando fu sottoscritto il trattato del laterano, che ci potessero poi essere circostanze che potessero coinvolgere la Chiesa sul piano penale. Quando fu scritto l’art.11 nessuno immaginava che ci sarebbero stati quegli sviluppi. In ogni caso questa disposizione blocca questa iniziativa penale nei confronti di Marcincus per carenza di giurisdizione. Nel 2003, dopo oltre 20 anni, la Corte di Cassazione cambia orientamento rispetto ad una vicenda che aveva riguardato la Radio Vaticana per inquinamento elettronico in quanto era stato potenziato l'emittente. In una zona vicino Roma si riteneva che tale inquinamento avesse provocato dei gravi danni alla salute dei cittadini, da qui partirono indagini e l’autorità giudiziaria decise di agire contro i responsabili i quali si ricordarono del precedente. Questa volta la Cassazione muta il suo orientamento per due motivi: 1- probabilmente ritiene Radio Vaticana non qualificabile come ente centrale della Chiesa Cattolica, cioè quell’ente che fonda l’attività della Chiesa, necessario alla struttura e funzione della Chiesa, senza il quale la Chiesa avrebbe difficoltà a funzionare. 2- ritengono che lo Stato Italiano non possa creare delle aree di immunità all’interno del proprio territorio non intervenendo a tutela e salute dei propri cittadini. Quale sarebbe stata la conseguenza in questo caso? La conseguenza sarebbe stata che lo Stato Italiano non sarebbe potuto intervenire né per reprimere quel danno, né per impedire che quella situazione di danno continuasse a protrarsi nel tempo laddove fosse stata ribadite carenza di giurisdizione. Lo Stato Italiano non può rinunciare alla propria sovranità. L'art.13 “L'Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà delle Basiliche patriarcali di San Giovanni in laterano, di Santa Maria maggiore e di San Paolo....lo Stato trasferisce alla Santa Sede la libera gestione e amministrazione di detta basilica.” L'art.14 anche in questo caso parla di proprietà, non di possesso. Nell’art.15 c’è una serie di indicazioni di palazzi, della cancelleria, palazzo di propaganda fide (che pur trovandosi in Piazza di Spagna gode dell’extraterritorialità, cioè quando entriamo in quel palazzo siamo a Città del Vaticano, non a Roma). Tutti questi immobili che vengono elencati negli artt. 13, 14, 15 non saranno mai assoggetati a vincoli o espropriazioni per cause di pubblica utilità. Si va quindi a precisare che non saranno MAI assoggetate a tali vincoli, è un aspetto urbanistico importante. Saranno poi esenti da tributi ordinari e straordinari tanto verso lo Stato quanto verso ogni altro ente. Questa è una anticipazione di quello che è stato il federalismo fiscale, hanno quindi intuizione le due parti di esentare tali enti dai tributi, ma l'aspetto più importante di questa disposizione è l’inciso che fa riferimento ai tributi sia ordinari che straordinari tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente relativamente ai palazzi negli artt. 12, 13, 14. Leggendo questa disposizione sembrerebbe di non trovare particolari problemi in quanto l’espressione è piuttosto perentoria, eppure nel 2012 la Cassazione ha reinterpretato l'applicazione di questa disposizione, affermando che in realtà si tratta di una disposizione programmatica priva di un valore di applicazione diretta dell’ordinamento dello Stato. C'è una vicenda specifica che è stata oggetto di analisi da parte della Corte di Cassazione: il Comune di Roma invia all’università gregoriana una cartella di pagamento per 300 mila euro di una tassa comunale sui rifiuti (la tari) che doveva essere pagata secondo dall’università. L'ammontare di questa tassa veniva fatta su metri quadrati, tale tassa aveva un'importanza notevole. | responsabili dell’università gregoriana cercano di difendersi affermando che l’art. 16 del trattato del laterano prevede espressamente che l’università gregoriana è esente da contributi regionali. Tale problema arriva di fronte alla Corte di Cassazione ed essa dà ragione al comune perché l'esenzione secondo i giudici non può derivare dal fatto che tale esenzione è prevista nel trattato, in quanto il trattato è una norma programmatica da cui deve seguire anche l'introduzione, nel nostro ordinamento, di una legge ordinaria che prevede quell’esenzione, come previsto per esempio per l’IMU. L'esenzione dell’imu nei confronti delle chiese non viene applicata non per l’art. 16 del trattato ma per effetto di una normativa ordinaria statale che è stata introdotta nel 1992 nel nostro ordinamento. Nel caso della tari non c’è stato un analogo provvedimento di esenzione e quindi secondo i giudici di legittimità non si può far discendere direttamente dal trattato che una norma programmatica (che non ha un effetto diretto). Il ragionamento è stato innovativo, anche discutibile se si vuole. In realtà i giudici non hanno affermato l’impossibilità per questi istituti e università di usufruire delle esenzioni, ma hanno affermato che possono usufruire delle esenzioni solo dopo che c’è stata una legge ordinaria, Peraltro l’istituto dell’analogia in diritto tributario è vietato: un contribuente non potrà mai chiedere un’esenzione di un tributo sulla base di un’altra situazione giuridica che in un’altra situazione preveda ad esempio l'esenzione, seppur sovrapponibile nei suoi contenuti strutturali e funzionali. | giudici della Corte hanno ragionato seguendo questo schema. Lezione 4 del 01/03/2021 Il trattato è stato fatto per risolvere la questione romana però le parti hanno poi cercato di trovare un accordo che gli consentisse una coesistenza senza ingerenza: creare uno Stato attraverso un trattato è semplice, ci si siede, si parla e si delineano i confini. Da una parte vi erano le legittime aspettative da parte dello Stato di mantenere un’integrità funzionale a quella che era la nuova immagine dello Stato italiano, dall’altra l'esigenza di corrispondere a quella visibilità internazionale della Santa Sede attraverso un'espressione territoriale. La Santa Sede non aveva bisogno di chissà quanti kilometri di estensione, ma un territorio per visibilità internazionale. Lo Stato Città del Vaticano è l’espressione, lo Stato nella sua configurazione tradizionale, uno Stato a tutti gli effetti. Nulla ha a che vedere con la dimensione spirituale della Chiesa Cattolica o con la Santa Sede intesa come entità collegata allo Stato Città del Vaticano, strumentale per lo svolgimento della Santa Sede allo svolgimento della sua finalità istituzionale. Nel 1929 le parti non potevano prevedere che un giudice di legittimità dopo più di 80 anni mettesse in discussione quel valore dal punto di vista delle applicazioni. Il giudice non le ha ritenute inapplicabile, ma come programmatiche, di principio e nulla di più; questo ha creato delle difficoltà derivanti dagli effetti che e disposizioni dovevano esprimere. Le parti immaginavano una completa esenzione dei tributi tanto verso lo Stato quanto verso qualsiasi altro ente. | rapporti tributari tra Stato e Chiesa sono sempre stati complicati nonostante vi sia anche nella religione cattolica un esplicito riconoscimento di Cesare: il cristianesimo rispetto ad altre religioni prevede una netta separazione e ritiene che si debba dare a Cesare ciò che è di Cesare (espressione della sovranità statale e tributaria) e a Dio ciò che è di Dio. rappresentare sé stessa nella sua interezza e non diminuirsi con un richiamo ad un documento esterno. Quale sarebbe stata la conseguenza? Non ci sarebbe stata questa diminuzione e al tempo stesso avremmo collocato nella dimensione internazionale i rapporti con la Chiesa Cattolica. Le modificazioni dei patti lateranensi accettate dalle parti non richiedono procedimenti di revisione costituzionale, quindi non solo c'è il richiamo ai patti lateranensi ma c’è anche la variabile dinamica, quella dell'eventuale modifica che viene presa in considerazione. Le modifiche vengono stabilite di comune accordo, cioè necessitano del consenso di entrambe le istituzioni. Il costituente ha trovato il modo quindi di evitare il procedimento di revisione costituzionale quando le due parti sono d'accordo ma, al tempo stesso, il procedimento di revisione è una garanzia per una delle due parti, soprattutto per la Chiesa Cattolica che si è garantita a livello costituzionale. Questo procedimento assicura alla Chiesa una stabilità sicura. L'art. 8 della Costituzione tratta invece di tutte le confessioni religiose, “egualmente libere davanti alla legge”. Lo Stato deve essere libero tanto dalla Chiesa quanto dalle altre religioni, in quanto i precetti religiosi non possono fondare precetti giuridici; lo Stato è la casa comune dei credenti, non credenti e diversamente credenti e i precetti giuridici non possono mai fondarsi su precetti religiosi. Perché? Perché è una distanza necessaria in quanto non sapremo in futuro quale religione sarà prevalente, quindi se noi ammettessimo che il precetto giuridico possa fondarsi su un precetto religioso rientreremmo in un sistema in cui una religione in particolare fonda un precetto giuridico, anzi è il precetto giuridico che verrebbe assorbito dalla religione e secondo quel sistema religioso tutto e ciò che è nella religione sarebbe un valore, ciò che non è nella religione no. Per esempio, il sistema islamico si fonda su precetti religiosi, in quella cristiana ci sono due dimensioni diverse; c’è una differenza con la Chiesa Cattolica, tutte le confessioni religiose sono ugualmente libere di fronte alla legge ma manca la sovranità, solo la Chiesa ha la sovranità. Vene riconosciuta a tutte le confessioni religiose la libertà, l'indipendenza ma non la sovranità. Un'ulteriore differenza è che i rapporti tra Stato e Chiesa hanno una rilevanza internazionale, i rapporti tra lo Stato Italiano e le altre confessioni religiose hanno una rilevanza interna e statutaria (tutte le religioni possono organizzarsi internamente secondo i propri statuti). Lezione 6 del 06/03/2021 Nella lezione precedente si è visto come il discorso sul dialogo interreligioso in realtà sia diventato immanente, anche rispetto alle nostre problematiche costituzionali. In realtà le modifiche del 1984 sono state necessarie proprio perché era mutato lo scenario e il contesto sociale, prima la religione cattolica era considerata l’unica religione di riferimento, le altre religioni venivano trascurate. Il dialogo interreligioso è stato riconosciuto intorno alla metà degli anni ’60 con il Concilio Vaticano Il: riconosce la possibilità ma anche la necessità di questo dialogo. Anche a livello giuridico la situazione tende a modificarsi con l'eliminazione dell’art. 1 del trattato del Laterano che riprendeva l’art.1 dello Statuto Albertino e confermava la religione cattolica apostolica romana come la sola religione dello Stato. Tutto questo non aveva solo conseguenze interordinamentali o di rapporti tra lo Stato e la Chiesa, ma aveva delle conseguenze anche giuridiche perché molti finanziamenti anche regionali, ad esempio venivano esclusi alle religioni diverse dalla cattolica e il riferimento era all'art. 1 del trattato del Laterano, rimasto in vigore fino al 1984. Da talune disposizioni di sistema, quindi, potevano discendere delle conseguenze, come quella sul finanziamento che lo limitava alla religione cattolica e non anche alle altre confessioni religiose, cioè direte applicazioni di queste impostazioni che nel 1984 poi si modificano per dei principi costituzionali che impongono una uguaglianza delle confessioni religiose: art.8 della Costituzione. La prima a riconoscere questa uguaglianza è stata sicuramente la Chiesa. Qual è il riferimento per il giurista nel momento in cui si confronta con il fenomeno religioso diverso da quello cattolico? Lo Statuto. Il primo elemento che deve essere presente all’interno dello Statuto della confessione religiosa è un richiamo al valore immanente e quindi il collegamento con la religione che deve essere presente all’interno delle disposizioni statutarie. AI di là delle clausole giuridiche e che spesso tendono a disciplinare esclusivamente rapporti pratici, ci deve essere in premessa un riferimento alla religione e quindi un collegamento con dei valori trascendenti che siano da considerare come valori religiosi; per cui lo Stato non pretende di qualificare le religioni ma che ci sia un collegamento col trascendente all’interno di questi statuti, in quanto altrimenti non sarebbero statuti di confessioni religiose ma statuti di una qualsiasi associazione riconosciuta o non riconosciuta. Quindi il primo elemento a dover essere presente è il riferimento al trascendente, solo in tal caso lo Stato ha la certezza di trovarsi difronte ad una religione e quindi riconoscere uno status particolare. Lo statuto è quindi il primo elemento con il quale il giurista si deve misurare, deve andare poi a verificare tutte le altre clausole statutarie e la loro armonia con i princìpi costituzionali. Gli Statuti sono atti di diritto pubblico interno mentre i trattati sono di diritto internazionale, quindi gli esami degli statuti devono essere fatti in conformità con i princìpi della costituzione. Perché la professione religione dovrebbe realizzare e predisporre uno statuto per essere riconosciuto dallo Stato? | motivi sono economico-tributari, solo le confessioni che hanno ottenuto il riconoscimento possono accedere all’8x1000, per cui questa importante forma di finanziamento viene concessa solo alle confessioni religiose che hanno ottenuto il riconoscimento da parte dello Stato. | fedeli di quella confessione potranno attribuire l'8x1000 del proprio reddito ad una delle confessioni indicate nella dichiarazione dei redditi. Quali confessioni? Non tutte, solo quelle che hanno ottenuto il riconoscimento e ad oggi in Italia sono riconosciute non più di 10 confessioni religiose perché c’è tutta una procedura di riconoscimento rispetto alla quale c’è l'esame dello statuto da parte delle autorità statali, c'è l'intervento della presidenza del consiglio dei ministri che decide discrezionalmente l'avvio di queste procedure di riconoscimento. Per alcune confessioni le procedure di riconoscimento sono più spedite, per altre meno rapide, ma ciò che induce la confessione religiosa a chiedere il riconoscimento è un motivo essenzialmente economico. L’8x1000 è importante in quanto determina l'assegnazione di quote non solo sulla base delle scelte espresse. Come funziona? L’8x1000 è stato introdotto nel 1984, quando si passa da un sistema di finanziamento che era il sistema della congrua che funzionava in modo tale ad essere lo Stato che interveniva direttamente sulla differenza tra le quote economiche in possesso delle strutture religiose e quelle ritenute congrue per un dignitoso sostentamento. Il sistema della congrua era la differenza che poi lo Stato corrispondeva alle strutture religiose per arrivare a quel livello ritenuto congruo per un dignitoso sostentamento da parte delle strutture religiose stesse. Questo creava vescovi ricchi e vescovi poveri, parroci ricchi e parroci poveri perché le strutture religiose sparse per tutta l’Italia avevano delle solidità economiche diverse, alcune avevano già un'importante base rispetto ad altre e ciò generava delle discriminazioni e differenze economiche. Si intervenne con l’8x1000, all’inizio degli anni ’90 esso trova applicazione. Il finanziamento alle confessioni religiose non è solo un finanziamento fine a sé stesso, ma la stessa libertà di religione è direttamente collegata al finanziamento perché se viene assicurato un finanziamento a quella confessione allora la manifestazione religiosa potrà essere in maniera molto più consona e appropriata, ciò vuol dire gestire più efficientemente i luoghi di culto e le strutture religiose ed altre attività istituzionali. L’8x1000 dà la possibilità di assegnare quote importanti a quelle confessioni religiose che hanno ottenuto il riconoscimento. In Italia parliamo di una quota che si aggira ogni anno intorno ai 900 milioni di euro che vengono ripartiti tra Chiesa cattolica e le altre confessioni riconosciute. Funziona sulla base delle scelte effettuate da chi presenta la dichiarazione dei redditi, ad un certo punto c’è una scheda che permette, attraverso la firma, di destinare l'’8x1000 del proprio reddito alla confessione religiosa che si sceglie. C'è da dire che tra questi soggetti che si possono scegliere c’è anche lo Stato; come funziona? Non funziona sulla base delle scelte espresse. La quota complessiva rimane quella di 900 milioni di euro, accade che tutta la somma viene distribuita e la quota effettivamente aspettante alla confessione religiosa viene assegnata non su quanto hanno scelto i rappresentanti delle confessioni religiose. Es. la Chiesa Cattolica riceve in genere l’85/90% di tale somma ma la percentuale è scesa negli ultimi anni al 45% ma il livello è rimasto invariato, perché? Perché poi la destinazione di questi fondi viene effettuata non sulla base delle scelte espresse, ma in proporzione alle scelte espresse, quindi anche se coloro che scelgono di destinare alla Chiesa Cattolica una quota del proprio reddito sono il 40%. Viene fatta la proporzione tra quanti hanno scelto: viene effettuata la neutralizzazione della scelta, coloro che non destinano a nessuno la propria quota non capiscono che questa quota sarà ripartita in proporzione alle scelte che hanno effettuato gli altri. Se la metà dei contribuenti decidesse di non destinare il 5x1000 a nessuna confessione, i 900 milioni di euro rimangono tali ed è l’altra metà a decidere. Il 5x1000 alle associazioni di volontariato funziona diversamente, cioè si riceve solo quello che le persone fisiche sottoscrivono in corrispondenza di quell’associazione e non c’è più la ripartizione sulla base delle quote espresse ma solo le quote effettivamente assegnate per effetto della sottoscrizione a quell’associazione di volontariato. Mentre per l’8x1000 devi fare un vero e proprio marketing dal punto di vista sociale, per il 5x1000 è diverso, prevalgono solo le firme di chi ha sottoscritto. Questo sistema è nato nel 1984, concordato bilateralmente tra Stato e Chiesa, se ci vorrà essere una modifica essa dovrà essere avvenire con il consenso tra le due parti. Questi soldi lo Stato li assegna alle confessioni religiose le quali, sulla base di quelle che sono le destinazioni che hanno deciso, le orientano verso un tipo di destinazione (il sociale, sostentamento del clero). Quindi lo Stato le dà alle confessioni e le confessioni li utilizzano dovendo però rendicontare ciò che ci hanno fatto allo Stato attraverso dei bilanci pubblici. Quindi il riconoscimento è importante per questo, per i finanziamenti che determinano un sostegno dell’attività religiosa. | procedimenti con cui si ottiene il riconoscimento sono le intese, che contengono disposizioni sui matrimoni, beni culturali e situazioni della Chiesa che possono creare un confronto con lo Stato italiano e quindi quando lo Stato sottoscrive l’intesa, sostanzialmente sottoscrive un sistema analogo a quello cattolico. Dal momento in cui riconosce l’intesa i rapporti con quella confessione religiosa sono regolati dall’intesa stessa. Art. 19 della Costituzione :”Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa”. Si parla di tutti, non solo dei cittadini, ciò vuol dire che non c’è un riferimento alla limitazione soggettiva ma c'è una estensione dal punto di vista della soggettività che non avverte nessun tipo di limitazione. Stessa cosa vale per l'art. 53 della Costituzione “TUTTI devono concorrere alle spese pubbliche”, non i cittadini. Per alcune diposizioni costituzionali il costituente ha voluto limitare gli effetti esclusivamente alla cittadinanza e quindi apre la disposizione costituzionale con “i cittadini devono, i cittadini possono”, mentre per altre disposizioni il costituente ha ritenuto di non limitare gli effetti alla qualifica della cittadinanza ma attraverso un’estensione generalizzata, “tutti hanno diritto di professare liberamente...”. In questa libertà c’è anche per corrispondenza la libertà di non professare nessuna fede religiosa; dall’art. 19 si ricava tanto la libertà in positivo di poter professare liberamente le fedi religiose, ma anche quella che viene concessa a chi non vuole professare alcuna fede religiosa, senza che da questa loro scelta derivi alcuna conseguenza o discriminazione sul piano giuridico. L'art. 19 contiene al suo interno non solo dichiarazioni programmatiche, ma il costituente riempie di contenuto questa dichiarazione perché tutti hanno diritto di professare la propria fede religiosa în qualsiasi forma, “individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, competenza nel territorio in cui l'ente ha sede, al ministero dell'interno. Questa domanda deve contenere delle indicazioni oggettive: definizione dell’ente, la sua natura, le finalità (servono alla prefettura per verificare che l'elemento soggettivo sia soddisfatto), indicazione del legale rappresentante, indicazione della sede, provvedimento di costituzione da parte dell’autorità ecclesiastica, le norme statutarie, la sua struttura interna e i controlli canonici. Questa fase istruttoria, benché complessa, va fatta. Completata la fase istruttoria tutta la documentazione viene inviata al ministero dell'interno che emana un decreto di riconoscimento che è un DM, cioè un decreto ministeriale. Precedentemente si prevedeva l'obbligo di richiedere in funzione consultiva il parere al consiglio di Stato sulla validità di questa fase istruttoria e anche sulla legittimità di questo riconoscimento, poi nel 97 viene emanata la legge Bassanini che snellisce questa procedura e togliere quest'onero al Consiglio di Stato tranne che per determinati atti che vengono esplicitamente previsti dalla legge. Quello che era interessante è che all’interno di questa legge non vengono affatto citati gli enti ecclesiastici, questo procedimento di riconoscimento non viene indicato. All’inizio, quando questa legge entra in vigore, non c’era stato nemmeno un interpello tra lo Stato e la Santa Sede: cosa successe? Un anno dopo la Santa Sede interviene, c’è uno scambio di note in cui la Santa Sede afferma il proprio orientamento favorevole, quindi il parere al Consiglio di Stato fu di fatto eliminato. Una volta emanato il decreto di riconoscimento occorre l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche, potrà operare nel territorio dello Stato ed è un ente amministrativamente autonomo ed è annoverato ai fini fiscali tra i soggetti passivi sul reddito delle società (IRES). Nel registro devono risultare le norme di funzionamento dell’ente, l'organigramma e tutte le altre indicazioni. Questo registro dal 2000 viene tenuto dagli uffici territoriali del governo, cioè delle prefetture. Bisogna rivolgersi alla prefettura per eventuali aggiornamenti o cancellazioni dell’enti, prima della prefettura questi registri stavano nella cancelleria del tribunale competente. Quando entrò in vigore questa normativa la Santa Sede non si è dovuta iscrivere in quanto per alcuni enti la personalità giuridica era già presunta o comunque si acquistava automaticamente all’entrata in vigore della legge 222/1985. Enti che avevano personalità giuridica per antico possesso di stato erano Santa Sede, Sacra Rota, la Segnatura Apostolica, cioè enti fondamentali preesistenti al concordato del ’29. Altri enti l'hanno acquistata automaticamente come la Conferenza Episcopale, le CIEI, seminari, mentre per le parrocchie e le diocesi è stata data la possibilità entro un anno di inviare un elenco completo delle diocesi e parrocchie da parte della Santa Sede per il loro riconoscimento automatico. Per quelle successive serve la procedura di riconoscimento. Lezione 8 del 15/03/2021 Abbiamo detto che l’ente ecclesiastico è un ente che nasce nell’ordinamento canonico, diverso da quello italiano, tuttavia questo ente che si forma secondo il diritto canonico ad un certo punto chiede di interagire con enti che invece sono presenti nell’ordinamento giuridico italiano. Il nostro ordinamento, per tutelare gli interessi legittimi dei nostri soggetti giuridici che operano all’interno dell'ordinamento giuridico italiano, chiede a questi soggetti che invece provengono da un altro ordinamento giuridico, di essere sottoposti ad una procedura per il riconoscimento. Che vuol dire? Vuol dire che l'ordinamento italiano vuole verificare che questi siano in possesso di tutti i requisiti formali e sostanziali per operare in maniera legittima nel nostro ordinamento, quindi lo Stato italiano prevede che debba essere presentata una domanda alla prefettura territorialmente competente l'autorizzazione per questo riconoscimento. La prefettura verifica la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi per il riconoscimento. Quindi questo procedimento non è discrezionale, in quanto le autorità della prefettura verificano che l’ente ha residenza in Italia (requisito oggettivo), approvazione da parte dell'autorità canonica che deve essere allegata nella procedura (è una garanzia circa la legittimità dei fini che andrà a realizzare), i fini di religione e di culto che devono sussistere. Ente del terzo settore: ente ecclesiastico viene citato nel codice del terzo settore, ci sono degli articoli che lo trattano e tengono conto di tutte le specialità che caratterizzano questi enti. Riforma del terzo settore è una riforma normativa che ha cercato di razionalizzare e semplificare tutto quell’insieme di norme che andavano a regolamentare il terzo settore (quindi associazioni riconosciute e non, fondazioni, organizzazioni di volontariato, aps, asp etc..). Terzo settore è un settore che si trova a metà tra il primo settore, cioè lo Stato che si occupa dei bisogni dei cittadini, Stato che spesso si muove lentamente nel rispondere ai bisogni, e il privato sociale, cooperative sociali, volontariato e quant'altro, che sono invece più veloci e riescono a rispondere meglio alle esigenze sociali. Questo settore sta tra lo Stato (1° settore) e il mercato (2° settore), mercato che il più delle volte agiscono for profit ed hanno meno interesse ad occuparsi dei bisogni dei cittadini, si parla delle aziende e degli imprenditori. Questa riforma, quindi, si occupa di questo settore e cerca di dare una normativa uniforme, di semplificare e razionalizzare tutto questo mare di normative che erano in vigore (ogni organizzazione aveva le sue norme), quindi l'intento del legislatore è stato quello di creare un unico codice che raggruppi tutte le normative e creare una legge comune. Questo terzo settore è perciò collocato tra Stato e mercato, tra la finanza e l’entica, tra l'impresa e la cooperazione e per favorire l’autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono anche in forma associata a perseguire il bene comune. Per la prima volta viene definita una definizione di ente di terzo settore, anche questa infatti mancava, viene indicato come “quella persona giuridica costituita o informa di associazione o anche fondazione, volta al perseguimento senza scopo di lucro (no profit), persegue finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento in via esclusiva o principale di una o più attività di interesse generale. Tali attività devono essere realizzate in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni e servizi o di mutualità, produzione e scambio di beni e servizi”. Questa è una definizione ridondante ma esaustiva. L'intento del legislatore era di semplificare questo settore solo che il legislatore non agisce mai in maniera semplice e si tratta di una normativa che è tutta in divenire. Inizialmente vi erano delle linee guida, un documento programmatico dove si esprimeva questa volontà di riformare questo settore. Queste linee guida poi vengono tradotte in una legge, la legge-delega sulla riforma del terzo settore e successivamente a questa legge-delega vengono emanati dei decreti legislativi. Oggi si parla di terzo settore in maniera uniforma ma in realtà fino alla riforma si utilizzavano espressioni anche varie, si parlava di privato sociale o anche di organizzazioni no- profit ed era quella l’espressione più comunemente utilizzata. Il no-profit richiamava quasi ad un fenomeno di importazione semantico dai paesi anglosassoni, quando invece si dal medioevo si ha testimonianza di enti che svolgevano delle attività riconducibili al modello di attività non lucrativo (case di Don Orione, interventi sulle scuole che non volevano differenze sociali etc...), non si parla di un fenomeno di importazione. Il terso settore si basa sulla solidarietà, parte della nostra storia sociale e giuridica. Gli enti facenti ora parte del terzo settore non avevano mai ricevuto attenzione fino agli anni ’90, si era soliti ritenerli come enti di piccolo volontariato ma da decenni sono al centro di dibattiti economici nazionali ed internazionali, hanno infatti un volume economico che non ha nulla da invidiare alle fondazioni ed altre strutture di terzo settore articolate. Tutta questa valorizzazione la si conta dagli inizi degli anni '90, scontarono un pregiudizio ottocentesco che si basava sulla convinzione che nulla potesse esistere oltre lo Stato ed il mercato, quindi non c’era spazio per enti come quelli del terso settore che venivano emarginati, ritenuti non importanti e non valorizzati. Nel 900 venivano valorizzate le corporazioni, cioè quelle strutture capaci anche di creare valore economico. Una dimostrazione della marginalità di questi enti si trova nel libro primo del codice civile, disposizioni marginali, generiche, approssimative ed inadeguate rispetto al libro quinto del codice sulle società che prevede disposizioni molto più articolate. Tutto questo deriva da una concezione ideologica di base che attribuisce molta più importanza al mercato piuttosto che al privato sociale. Tutto ciò finisce con la legislazione di inizi anni ’90 sul volontariato ed ONLUS, questi enti vengono riqualificati sul piano economico e sociale con una riforma anche tributaria che valorizza questo settore. Nel 1997 c’è questa riforma, il dlgs 460/1997 che riordina gli enti no- profit e al loro interno gli enti ecclesiastici in particolare, e comincia una vera e propria rivoluzione che ci porta agli assetti giuridici attuali con una serie di innovazioni. L'ente ecclesiastico civilmente riconosciuto può rientrare nella categoria degli enti del terzo settore e può beneficiare di un sistema di esenzione completa dei proventi da attività commerciali. Cosa vuol dire? Quell’ente ecclesiastico che prima della riforma si occupava di assistenza e di beneficenza e realizzava accanto alle attività istituzionali di assistenza e beneficenza anche delle attività di natura commerciale, sulle attività di natura commerciale riceveva una riduzione solo al 50% dell’importa. Questa riforma, invece, crea una completa esenzione, vale a adire che se quell’ente ricava alla fine dell’anno 100'000 euro da attività diverse da quelle istituzionali, non paga un euro di tasse. Tuttavia molte di queste strutture che hanno beneficiato dell’esenzione hanno poi perso la loro natura originaria, quella di prestare soccorso, assistenza e riparo alle persone che ne hanno bisogno e via via si sono lasciate andare attraverso la realizzazione di strutture sempre più ampie che alla fine avevano come beneficio quello di non pagare le tasse in quanto enti di terzo settore ma in realtà le modalità erano commerciali a tutti gli effetti, tanto che poi si passava dal dare ospitalità solo a persone che vivevano in condizioni di disagio a darla anche ad altri (studenti universitari fuori sede a prezzi più bassi in quanto l'ente non pagava le tasse e lo studente andava dove l’offerta economica era più conveniente). Questo, però, aveva creato non solo delle distorsioni sul mercato dal punto di vista della concorrenza, ma anche dei fenomeni elusivi e anche gli enti ecclesiastici erano stati e sono ancora oggetto di attenzione con una serie di ricordi che pendono difronte alla Corte di Cassazione nella sezione tributaria, dove vengono continuamente esaminate problematiche che riguardano proprio la materia delle attività economiche svolte dagli enti ecclesiastici, enti di terzo settore. Ecco perché è importante, all’interno di questo scenario, andare ad esaminare le nuove innovazioni che adesso sono state introdotte e come hanno influito su questa situazione che ha portato alla riforma. Il fallimento delle impostazioni precedenti si fonda su questi fenomeni che hanno caratterizzato delle situazioni rendendole abusive dal punto di vista del diritto tributario e rispetto alle quali è stato necessario intervenire. Continuo della riforma: Il codice del terzo settore entra in vigore con il dlgs 177/2017. Si parla nell’art. poc'anzi citato di attività, quali sono queste attività? Le elenca l’art.5 del codice del terzo settore e prevede 26 macro-categorie che indicano quelle che sono le attività che l'ente del terzo settore può svolgere: sanità, educazione e formazione, ambiente, cultura, turismo, assistenza, sport, rispetto di diritti umani etc... Sono molti settori in cui gli enti possono muoverci, nulla vieta a loro di occuparsi di una o più attività e devono essere svolte in via principale e prevalente e con modalità non commerciale. Si considera che queste attività siano svolte non commerciali quando sono svolte a titolo gratuito, quindi con volontari, o svolta dietro un versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi dell'attività stessa (l’ente va in pareggio o in perdita). Questi ricavi non devono superare del 5% i relativi costi, viene quindi fissato questo limite per ciascun periodo di imposta e comunque non per non oltre due periodi di imposta consecutivi. Se si sfora questo limite, quindi si hanno dei ricavi che superano i costi, allora l'ente non può più annoverarsi tra gli enti di terzo settore, perde la qualifica di ente no profit e diviene ente for profit a tutti gli effetti e perde di tutte le agevolazioni fiscali. secondo modalità previste dall’atto costitutivo dell’ente stesso: ciò non si applica agli enti religiosi, non c’è questa possibilità per essi. Art. 29 comma 3 c'è la possibilità di denunciare, all'organo di vigilanza o al giudice, l'amministratore dell’ente qualora si ritenga che questo abbia compiuto una grave irregolarità nella gestione e questa possibilità viene estesa ai soci o associati dell'ente, anche questa non è prevista per gli enti religiosi per evitare delle ingerenze troppo rilevanti, in quanto l’ente ecclesiastico è sottoposto a sistemi di controllo. Denominazione sociale, come succedeva per le ONLUS, se l’ente di terzo settore si costituiva come onlus doveva indicare l'acronimo onlus accanto al nome; stessa cosa per gli enti del terzo settore che, negli atti, nelle corrispondenze, nelle comunicazioni al pubblico, sui siti internet, accanto al nome devono indicare l'acronimo ETS, anche questa non si applica agli enti religiosi. Il sistema concordatario è stato rispettato? No, noi ci aspetteremmo degli incontri bilaterali tra Stato e Chiesa finalizzati a collocare meglio la figura dell’ente ecclesiastico nel codice del terzo settore, un ente che ha le sue complessità e specificità e tuttavia questo ente ecclesiastico di terzo settore viene calato nel codice da parte del legislatore statale senza alcun tipo di protezione. Ci ritroviamo, quindi, un ente che a volte viene assimilato agli enti secolari e altre volte sembra che gli venga concessa una situazione di specificità rispetto agli altri enti. Invece, per quanto riguarda il sistema tributarie o relativo allo svolgimento delle attività economiche, non troviamo delle differenze o specificità. Tutto ciò accade perché vi è un problema originario, non è stato realizzato quel modello concordatario che avrebbe dovuto portare le due parti ad una definizione, condivise da entrambe, non tanto per creare delle situazioni di privilegio o di vantaggio, ma comunque anche per cercare di non disperdere all’interno di una normativa statale enti che invece hanno poi la loro specificità. Già ciò si era verificato nel 1997 quando si aveva la possibilità di acquisire la qualifica di “ente di terzo settore”, con l’aggravante nella fase del 1997 di acquisire la qualifica senza che venisse coinvolto l’ordinario diocesano, è stata necessaria la circolare istruzione amministrativa della conferenza episcopale italiana del 2005 per far rientrare la costituzione di ente onlus di terzo settore tra gli atti di straordinaria amministrazione per i quali c'è bisogno di un’autorizzazione dell'ordinario diocesano. Quindi, in poche parole, un ente ecclesiastico poteva iscriversi onlus senza chiedere permesso al vescovo o iscriversi nella sua diocesi, ciò fino al 2005. Oggi invece è necessaria l'autorizzazione del vescovo. Lezione 10 del 23/03/2021 Premessa: Gli enti ecclesiastici che vengono “dispersi” nel nostro ordinamento giuridico, ciò perché il sistema tributario italiano è caratterizzato da una prevalente incertezza, è un sistema che ha delle complessità notevoli, tant'è che una recente classifica stilata da organismi di valutazione internazionale ha classificato il sistema tributario italiano al 3° posto per complessità fiscale, dopo la Turchia e il Brasile. Ciò vuol dire andare ad inserire una struttura come l’ente ecclesiastico in una complessità, in più ha dei livelli di tassazione tra i più alti al mondo, la tassazione complessiva sulle imprese in Italia sfiora il 60% (la media europea è al di sotto del 40% e vi sono stati che hanno una media del 12,5-20% o, i magnifici 7 come Olanda, Lussemburgo, Cipro, Malta etc.. attraverso tax ruling, accordi diretti con le imprese, arrivano ad annullare qualsiasi tipo di tassazione). Pertanto il sistema italiano sotto questo profilo è molto debole, quindi l'inserimento dell’ente ecclesiastico in questo sistema è molto importante in quanto è un sistema sbilanciato dal punto di vista dei rapporti con l’amministrazione finanziaria: il contesto italiano non da molti affidamenti a questi enti. Nel nostro paese c'è un’amministrazione finanziaria pregna di controlli e si dimostra poco attrattivo per le imprese. Tuttavia quando si parla di attività istituzionali collegate a quelle sociali è assolutamente legittimo il riconoscimento di agevolazioni ed esenzioni tributarie ed è atrettanto legittimo che quando questi enti si trasformano in attività commerciali si applichino le disposizioni vigenti per gli altri enti di diritto civile. Questa è la normativa concordataria, mentre quella statale è molto più confusa, non è chiara da questo punto di vita. In quella concordataria ci si è occupati direttamente dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in materia di regolamentazione giuridica, civilistica, tributaria e degli enti ecclesiastici, nel sistema tributario quest’attenzione tributaria non c'è stata e quindi gli enti sono stati dispersi all’interno del sistema tributario e anche esposti ad una serie di accertamenti e problemi da parte dell’amministrazione finanziaria. Abbiamo visto come a livello normativo l’ente ecclesiastico si inquadri nella nuova disciplina del terzo settore. In capo agli oneri a cui sono sottoposti questi enti c'è anche una disciplina tributaria di favore che prevede una serie di agevolazioni per quegli enti che si iscrivono nel registro nazionale mentre, per gli enti ecclesiastici, tutte queste agevolazioni si applicano ma vi sono delle specialità, quindi non tutti gli articoli del codice si applicano ad esso ma comunque vi sono agevolazioni importanti. Prima di tutto importante è il fatto che tutto ruoti sul concetto di non commercialità dell'ente, perché dal momento in cui l’ente svolge attività di interesse generale quelle previste dall’art.5 con modalità non commerciali, queste attività sono esente da qualsiasi forma di tassazione. Come si capisce la non commercialità? Su dei criteri mobili, c'è un calcolo legato ad un parallelismo legato ai costi e ai ricavi per ogni esercizio finanziario. Non si va a guardare solo la qualificazione soggettiva dell'ente ma bisogna vedere in concreto che l’ente svolga in via esclusiva e principale un'attività non commerciale. Come si stabiliscono i criteri? Attraverso l’art. 79 del CTS (codice terzo settore) dove al secondo comma si stabilisce il criterio secondo cui queste attività di interesse generale possono qualificarsi non commerciali o commerciali. Le attività di interesse generale si considerano non commerciali quando sono svolte a titolo gratuito o dietro corrispettivo che non supera il costo, l'ente chiude il bilancio o in pareggio o in perdita. Il comma 2 bis dà un parametro e dice che queste attività di cui al comma 2 si considerano non commerciali se i ricavi non superano il 5% dei costi per ciascun periodo di imposta e comunque per non oltre due periodi di imposta consecutivi. Sono dei parametri mobili, si verifica sempre tutto. Se si determina che l’ente per due periodi di imposta consecutivi abbia delle entrate che superano i costi, allora quell’attività non si può più considerare non commerciale ma diventa un’attività commerciale a tutti gli effetti e sarà soggetta al regime di tassazione di quell’attività. Le impostazioni della precedente riforma hanno registrato un’incapacità di determinare correttamente la coesistenza tra l’attività istituzionale e l’attività commerciale, quindi il fallimento delle impostazioni della riforma precedente si basava proprio su queste incapacità normativa e legislativa di trovare dei parametri di coesistenza tra quelle attività. Con l’art. 79 il legislatore tenta di risolvere il problema cercando di definire quella che è l’attività economica e quella che è l’attività commerciale, vale a dire quando un'attività economica assume un valore commerciale: lo assume, riprendendo un’impostazione di derivazione europea in base alla quale l’attività economica si considera commerciale quando i ricavi non superano i costi relativi alla produzione di quell’attività. Tutto questo non porta da nessuna parte, ciò vuol dire ancorare l’attività di questi enti di terzo settore a dei parametri numerici contabili che andranno ad influenzare in maniera negativa e a condizionare l’attività istituzionale. Quali saranno le conseguenze? In caso di superamento di questi parametri l’ente di terzo settore diviene ente commerciale, cioè perde le esenzioni ed agevolazioni e viene inserito nel sistema tributario come qualsiasi altro ente commerciale, vuol dire che sarà sottoposto ad un regime di tassazione ordinaria tra i più alti al mondo con nessuna (o quasi) possibilità di sopravvivere o garantire quella continuità associativa. Allo stesso tempo si presta anche a delle attività di controllo dell’amministrazione finanziaria e quali sono? Si dovrà verificare se quella coesistenza tra attività commerciale ed istituzionale risulti effettiva o se risulti una prevalenza delle attività commerciali rispetto a quelle istituzionali, come farà? Andando ad esaminare quelli che sono i rendiconti e la documentazione di cui questi enti devono disporre nello svolgimento delle corrispondenti attività ed il legislatore ha è previsto che ci siano due tipi di contabilità, una relativa all’atti istituzionale e una relativa a quella commerciale, in modo che l’amministrazione finanziaria sia in grado di accertare con immediatezza se ci sia una prevalenza dei costi o dei ricavi. L'amministrazione finanziaria andrà a disporre un'attività di accertamento nei confronti di questi enti, che porterà alla perdita della qualifica di enti del terzo settore che determina la perdita di tutti i benefici fiscali connessi a quella qualifica. | benefici si perdono dall’anno in cui viene accertata la prevalenza delle attività commerciali rispetto a quelle istituzionali (non verifica solo l’anno in corso, di regola verifica l’anno in corso più gli ultimi due e se registra anomalie può andare indietro fino a cinque anni prima per verificare il rispetto della normativa tributaria; farà venir meno tutte le agevolazioni da quell’anno). Cosa farà l’amministrazione finanziaria? Applicherà i livelli di tassazione ordinaria a tutti quei ricavi che sono stati registrati nella contabilità dell'ente. Oltre a ciò, verranno anche applicate delle sanzioni: recupero della tassazione e poi applicherà sanzioni piuttosto gravi dal punto di vista delle sanzioni amministrative. Il d.lgs 460/1997 aveva già approvato ad inserire al suo interno delle sanzioni, come la perdita della qualifica quando i ricavi superavano i costi, ma si era visto che un’applicazione matematica di questi parametri avrebbe portato la maggior parte degli enti ad essere fuori e ad essere oggetto di accertamento da parte dell’amministrazione finanziaria con il recupero di imposte. Una circolare va ad intervenire per chiarire la legge, dicendo che il superamento dei valori commerciali rispetto a quelli istituzionali non determina la perdita automatica della qualifica ma costituisce un indice di commercialità che deve essere valutato unitamente a tutti gli altri aspetti. Non c’è più applicazione automatica! Si ha quindi una circolare che modifica una legge (per il sistema delle fonti una circolare non può modificare una legge). L’art.79 comma 2 bis, che parla del parametro del 5%, è un comma introdotto alla fine del 2018 con la legge di bilancio, quindi non c’è stata mai troppa coerenza ed uniformità negli interventi normative. La soluzione: sul piano tecnico-normativo non sembra esserci perché quelle sono le disposizioni, la prima disposizione diceva semplicemente di realizzare un'attività economica che sia incapace di generare utili e in cui i ricavi non superino o siano uguali ai costi. Siccome questi enti devono avere una vita economica e devono impostare i loro bilanci in maniera da avere una redditività capace di sostenerli, se avessimo avuto solo questa disposizione questi enti sarebbero tutti falliti, in quanto l'impianto economico complessivo non li avrebbe messi nella condizione di generare un minimo di utile capace di mantenere la vita di questi enti che vivono anche di costi, gestione, affitti, stipendi, rimborsi; se tutto questo venisse limitato al fatto che non possono fare utili questi non andrebbero da nessuna parte. Ecco, quindi, che nel 2018 interviene l’altra disposizione che introduce un valore numerico volto a dare più elasticità al sistema. La soluzione è quella di prestare la massima attenzione a quel rapporto strumentale, che la giurisprudenza ha evidenziato già da tempo, che deve sussistere tra le attività commerciali e le attività istituzionali. Cosa vuol dire rapporto strumentale tra attività commerciali e le attività istituzionali? Vuol dire che qualsiasi ricavo ottenuto dall’attività commerciale deve essere utilizzato in maniera strumentale per migliorare l’attività istituzionale. Es. si è parlato delle associazioni che operano per i senzatetto, esse compreranno centinaia di capi di abbigliamento, scarpe, affitterà strutture abitative soprattutto per periodi più esposti come quelli invernali dimostrando tutto attraverso le scritture contabili, cioè lasciando traccia di questi passaggi economici che hanno come obiettivo degli acquisti che migliorino l’attività istituzionale. Tornando alla disciplina tributaria: la norma di riferimento è l’art.79 modificato nel 2018, questo è uno di quegli articoli per cui è necessaria l'autorizzazione della commissione europea perché è stato introdotto un regime fiscale di favore per determinati enti (questi di terzo settore) in cui lo del Vaticano e queste hanno la cittadinanza che gli consegue in seguito all'ufficio o carica ricoperta. Acquisiscono cittadinanza anche la famiglia, coniuge, figli di un cittadino che a seguito di autorizzazione risieda nella Città del Vaticano. La residenza è quindi molto limitata e i cittadini che ce l'hanno sono davvero pochi. La forma di governo: è uno Stato teocratico ierocratico in quanto il monarca è un diretto rappresentante della divinità; una monarchia assoluta elettiva; è uno Stato patrimoniale cioè è di proprietà del Pontefice. Divisione dei poteri: viene delegata dal sommo Pontefice alla pontificia commissione. «Il potere legislativo: è svolto da questa commissione ma poi deve essere approvato dal pontefice. =Il potere esecutivo: viene esercitato dal governatorato e il presidente della pontificia commissione è anche presidente del governatorato. =Il potere giudiziario: ci sono dei tribunali dove c’è un giudice unico, c’è un tribunale di primo grado, una Corte d’Appello, una corte di Cassazione che esercitano le loro funzioni sia in ambito civile che in ambito penale. Non vanno confusi con i tribunali rotali che si occupano per la nullità dei matrimoni. Questi sono i tribunali della Città del Vaticano che esercitano il potere giudiziario sempre su delega del sommo pontefice, tant'è che c’è una possibilità per egli di avocare a sé la causa e decidere autonomamente e può anche concedere delle grazie, cioè un perdono. Lo Stato Città del Vaticano non c'entra niente con quello che era lo Stato Pontificio; si tratta di uno stato nuovo, istituito nel 1929. All’interno del sistema legislativo il diritto canonico è ritenuto la fonte primaria, è proprio criterio di interpretazione. Ogni norma che viene emanata all’interno dello Stato Città del Vaticano deve essere interpretata secondo i principi del diritto canonico e in caso di contrasto quella norma deve essere abrogata o comunque modificata in quanto deve allinearsi ai principi del diritto canonico che sono la fonte primaria. Lezione 12 del 12/04/2021 Il riciclaggio Nel 2010 lo Stato Città del Vaticano ha introdotto in sé una normativa antiriciclaggio, armonizzando le direttive dell’Unione Europea in tema di riciclaggio. L'ha fatto per un obbligo da parte dell’Unione Europea, se non l’avesse fatto sarebbe stato inserito nella black list di quei paesi che non hanno una trasparenza finanziaria. Perché era importante per uno Stato così piccolo? Una volta l’importanza risiedeva nella grandezza dello Stato, oggi non è così perché con i flussi di capitali che girano indisturbati non è più importante per lo Stato avere una struttura territoriale rilevante, possono trovare dei flussi finanziari illeciti che possono destabilizzare intere nazioni pur essendo piccoli. La seconda direttiva nel 2000, una terza, una quarta ed ora una quinta. Perché è stato utilizzato lo strumento della direttiva? Uno Stato potrebbe prevedere la migliore normativa sotto tutti i punti di vista, ma a nulla servirebbe perché i flussi finanziari andrebbero ovunque, la normativa antiriciclaggio così vieta che tali flussi all’interno dell’Unione Europea, tuttavia c'è la possibilità di trovare dei raggiri che eludono questi sistemi di controllo, ecco perché siamo arrivati alla quinta direttiva, aggiornata rispetto le altre. Le normative antiriciclaggio italiana e vaticana sono pressoché simili. L’antiriciclaggio è un reato che destabilizza l'economia a livello globale, un fenomeno di portata transnazionale che ha una risposta a livello internazionale. Serve un coordinamento, in questo caso a livello comunitario, per la lotta all'evasione, lotta al riciclaggio, quindi abbiamo delle direttive che si allineano e coordinano per contrastare questo fenomeno e lo Stato Città del Vaticano ha recepito queste direttive pur non facendo parte dell’Unione Europea. L’ha fatto per non essere inserito nei paesi della black list che hanno condotte opache dal punto di vista finanziario, quindi per la sua immagine. Il riciclaggio è legato alla criminalità organizzata, c’è bisogno di riciclare, cioè di “ripulire e coprire” i flussi di denaro, per metterli all’interno del sistema. Complesso di operazioni per tramutare i soldi che derivano da attività illegali a soldi puliti da immettere nel sistema. Inizialmente veniva preso in considerazione solo il traffico di droga ma poi, in seguito al recepimento delle direttive europee, il novero delle attività illecite si è ben ampliato. Si tratta di un reato trifasico, ha 3 fasi: - Introduzione della fase di collocamento: i proventi derivano da qualcosa di illecito (es. traffico armi, droga etc...) -Trasferimento del denaro illimitatamente nel tempo e nello spazio. Si passa tra i paesi che sono definiti “paradisi fiscali” dove c'è una normativa antiriciclaggio molto blanda e in cui c’è possibilità di aprire conti correnti senza che ci siano troppi controlli. Quindi passano da questi istituti di credito e trasferiti con acquisti -Rimmissione: Dopo che sono stati camuffati vengono rimessi all’interno del circuito finanziario legale e quindi possono poi essere reinseriti nei circuiti finanziari di quegli Stati che non si trovano in black list. Il codice penale vaticano inizialmente non prevedeva il reato del riciclaggio. Lo Stato Città del Vaticano nel 1929 recepisce la normativa italiana con i suoi quattro codici, che per il codice penale prevedeva lo “Zanardelli”. Succede poi che l’Italia modifica il proprio codice penale, infatti abbiamo il codice “Rocco” ma lo Stato Città del Vaticano sceglie di mantenere lo Zanardelli in quanto aveva un'impostazione più liberale rispetto al codice Rocco, emanato nel periodo del fascismo. Ovviamente nel tempo i pontefici hanno introdotto modifiche, leggi complementari, sono andati a toccare tanti aspetti aggiornandolo, ma nell’impianto di base dello Zanardelli mancavano reati come il riciclaggio. Quando nel 2010 lo Stato Città del Vaticano introduce la prima normativa antiriciclaggio, con l'art. 127 del 2010, emanata sotto il pontificato di Ratzinger e all’art. 3 di tale legge vi è l'introduzione del nuovo articolo 421 bis, rubricato con “antiriciclaggio”. Lo stesso iter è presente nel nostro ordinamento giuridico, cioè leggi che introducono articoli nei nostri codici. La prima formulazione del 2010 era tuttavia un po’ caotica e non molto chiara, tant'è che nel 2012 la legge n. 127 viene riformata dalla legge n. 166. All’art. 3 della 166 viene introdotta una nuova formulazione dell’art. 421 bis che è rubricato con “riciclaggio e autoriciclaggio”. Distinzione tra riciclaggio e autoriciclaggio. Riciclaggio: la condotta illecita viene fatta da due persone distinte, cioè c'è chi alla base pone in essere il reato base, cioè l’attività illecita (associazione che si occupa del traffico delle armi, stupefacenti) ed è un soggetto che pone in essere una prima condotta illecita. Poi vi è un altro soggetto (o più) che si occupa del riciclo del denaro proveniente da quell’attività. Autoriciclaggio: l’autore del reato presupposto e del reato di riciclaggio coincidono, chi pone in essere l’attività illecita di base poi li ricicla. Un unico soggetto che si occupa di entrambi i reati. Al comma 3 del 421 bis si dice proprio che il reato di riciclaggio sussiste anche quando l’autore del reato di riciclaggio è lo stesso del reato presuppposto. Il legislatore vaticano dice che si ha reato di riciclaggio ogni volta che c'è un soggetto che, comma 1, “sostituisce, converte, trasferisce denaro contante, beni o altre risorse economiche sapendo che queste provengono da un altro reato”. Alla base c'è un dolo alla base della condotta in quanto si cerca di occultare o dissimulare l’origine illecita di questi proventi, o di aiutare chi eserciti quest'attività criminale. Oppure il legislatore vaticano dice che “si ha riciclaggio quando si va ad occultare o dissimulare questa natura, provenienza, proprietà del denaro”. L'importante è sottolineare un dolo alla base, cioè la consapevolezza. Il legislatore vaticano poi dice la sanzione: reclusione da 4 a 12 anni oppure una multa da 1000 a 15000 euro. Nel codice penale, invece, c’è una scissione tra riciclaggio (648 c.p.) e autoriciclaggio (648 ter.1), introdotto, quest’ultimo, nel 2015 dopo che lo Stato Città del Vaticano lo aveva già disciplinato. Oltre alle sanzioni della reclusione e la multa, si può predisporre anche la confisca (il giudice la predispone) dei beni in maniera diretta oppure per equivalente. Dove finiscono questi beni? Vengono confiscati dalla Santa Sede e vengono devoluti alle opere di religione e carità del Sommo Pontefice. All'ultimo comma si stabilisce che il giudice possa disporre il sequestro per prevenire la vendita e disposizione di questi beni per evitare che se ne perdano le tracce. Le condotte: Sostituire, convertire o trasferire il denaro contante o altre risorse economiche sapendo che provengono da un reato. Come trasferire il denaro? Attraverso degli strumenti negoziali finalizzati allo spostamento di denaro materiale o virtuale (comprare valute diverse) ad esempio nei paesi “paradisi fiscali”. Tali condotte vengono ben distinte nell’articolo ma la finalità è la stessa, quella di dissimulare. Qual è l'oggetto? Denaro contante, qualsiasi bene mobile o immobile, materiale o immateriale o “altre risorse economiche”, dice il codice penale vaticano, cioè qualsiasi altra cosa che sia suscettibile di valutazione economica. L'elemento soggettivo è il dolo: il soggetto è consapevole, c'è la volontà di dissimulare l’origine di qualcosa che deriva da un reato. Nella normativa del riciclaggio il codice penale italiano è uguale a quello vaticano, il nostro codice dice che “fuori dai casi nel concorso del reato, chiunque sostituisce, trasferisce denaro, beni, o altre utilità provenienti da delitto non colposo (quindi c'è dolo) ovvero compie in relazione ad essi operazioni in modo da ostacolare l’identificazione della loro provenienza, è punito con una reclusione da 4 a 12 anni e con una multa da 5000 a 25000 euro, la pena è aumentata nel caso dell'esercizio di un'attività professionale.” La pena è aumentata nel caso in cui chi lo fa è un professionista, come un avvocato che aiuta un cliente ad esempio. Viene introdotto nel 2014 con la legge 186 l’art. 648 ter.1, rubricato con “autoriciclaggio” e, così facendo, il nostro ordinamento si allinea alla disciplina dello Stato Città del Vaticano tanto quanto alla normativa europea. Per tale reato il nostro legislatore esordisce con la sanzione, cioè una “pena da 2a 8 anni e una multa da 5000 a 25000 euro a chiunque avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo chi impiega, sostituisce, trasferisce in attività economiche, finanziarie, imprenditoriale o speculative il denaro, i beni o qualsiasi altra utilità proveniente da reato base”. Poi vi sono delle aggravanti come l'associazione mafiosa, se tale reato è stato commesso nell'esercizio di un'attività bancaria, professionale etc... Chi invece collabora con la giustizia ha una pena minore. Il comma 4 lascia più perplessi, in quanto si dice che “non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le utilità vengono poi destinati alla mera utilizzazione o godimento personale.” La giurisprudenza deve ancora chiarire questo comma, sicuramente vi è una sanziona, ma è minore. Questa normativa antiriciclaggio vaticano, come tutte le altre, sono soggette a dei controlli e monitoraggi ogni 2/3 anni da parte di un organo europeo chiamato “organismo Moneval” che si occupa di controlli sulla normativa e sulla sua applicazione. Ci sono ispettori che vanno in sede, chiedono documenti e fanno proprio ispezioni (un’ispezione recente è stata fatta in Vaticano). quello che si chiede è che la struttura abbia un soggetto che la rappresenti, l'importante è che ci sia una struttura organizzata che abbia uno statuto. Il rappresentante potrebbe essere l'imam ma non c'è nessun imam che sia stato registrato come ministro di culto, ex. legge 1159 del ’29, essere imam avrebbe conseguenza sugli atti e sull'assistenza spirituale. Anche qui, però, l’imam è un soggetto che conduce alla preghiera, non ha una responsabilità. Potrebbe esserci un'evoluzione, il nostro modello è quello del ministro di culto cattolico, ma nulla vieta che ci possano essere altre realtà come mediatori di culto. | finanziamenti: il processo creerebbe un finanziamento statale come l’8x1000 ma dall'altra parte richiederebbe che fossero rendicontati, quindi bisognerebbe chiedersi se la realtà islamica fosse pronta a questo. La conclusione: La comunità islamica ha interesse nello stipulare un'intesa? Lo Stato ha tutte le carte in regola per poter stipulare un'intesa, ma per arrivare ad un accordo servono due volontà. Seminario dott.ssa Ciccioli del 19/04/2021 | recenti aspetti giurisprudenziali che affermano la configurabilità del reato di riciclaggio in relazione alla ricchezza sottratta a tassazione è un argomento che suscita una vivace discussione nella stessa giurisprudenza che in dottrina. In concreto la sua applicazione comporta numerosi problemi interpretativi che riguardano sia il concorso nel reato presupposto che l'individuazione del profitto dell'illecito fiscale sia l’anteriorità del momento di consumazione del reato tributario rispetto a quello del riciclaggio. L'analisi evidenzia questi delicati e controversi aspetti interpretativi che vengono in rilievo in relazione alla fattispecie del riciclaggio, utilità provenienti da reati di natura fiscale. L'inclusione fra i reati del riciclaggio dei reati di natura fiscale è stata una scelta di politica criminale dettata dall'esigenza che il legislatore ha fatto propria di porre un ulteriore freno all'evasione fiscale nel nostro paese. Quest'esigenza ha poi trovato il culmine con l'introduzione dell’autoriciclaggio, con la legge del dicembre 2014. Il riciclaggio: Il concetto di riciclaggio designa un illecito penale che in quanto tale deve essere anche soggetto della tipizzazione richiesta dal principio di legalità che è proprio di qualsiasi stato di diritto. Questa figura è stata introdotta dal legislatore con l'intento di colmare alcune lacune dell'ordinamento penale che pestavano il fianco alla impunità di alcune condotte illecite che riguardavano l’impiego e utilizzo dei proventi da atti illeciti. Quest'esigenza è insorta fin dagli anni 70 co la prospettiva di spostare la tutela da quello che era il patrimonio individuale del singolo soggetto ad una tutela dell'ordine economico. Ha fatto sì, quindi, che il legislatore introducesse previsioni, fattispecie penali volte a contrastare la circolazione e la sostituzione del profitto d’illecito. Nell'ambito della repressione delle condotte dei profitti illeciti, dopo che è stato commesso un delitto, il primo intervento fu fatto nel Codice Rocco, nel 1930, con l'introduzione della fattispecie autonoma del reato di ricettazione. In passato l’impiego e utilizzo dei proventi di un reato configuravano un così detto ausilium, era una co partecipazione nel delitto che produceva quel provento, era una co partecipazione post-delictum. Fu solo con l'avvento del 21 secolo che la dottrina italiana sottolineò l’inconsistenza logica di poter concorrere in un reato già commesso da altri, è per questo che è stata introdotta una figura autonoma come quella della ricettazione che comportava la condotta susseguente di chi riceve o acquista una cosa, una res, un valore, un bene, del denaro proveniente da un altro reato. Questa repressione penale vuole contrastare l’impiego del profitto illecito sotto la pressione internazionale, seguendo l'indirizzo di introdurre normative di contrasto ai fenomeni di impiego di proventi di delitti e quini ad estendere la tutela non solo al patrimonio individuale del soggetto che è stato aggredito, ma anche l'ordine pubblico ed economico. Nel 1978 è stato introdotto nella sua prima versione il diritto di riciclaggio, art. 648 bis che veniva intitolato con “sostituzione di denaro o valori provenienti da estorsioni o rapina aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione”. Questa norma mirava a colpire un'attività che poteva essere un vero e proprio incentivo, cioè colpiva quelle condotte che assicuravano il profitto di reati così gravi. Nel 1990 il delitto di riciclaggio è stato modificato e la rosa dei reati da cui potevano provenire i proventi da riutilizzare è stata allargata anche alle attività di traffico di sostanze stupefacenti, ma una norma così tassativa con specifici reati comportava delle difficoltà nella sua applicabilità perché ciò richiedeva un doppio accertamento: 1) provare l’esistenza di una condotta di sostituzione di somme proventi di quegli specifici reati e 2) si doveva provare che la gente che reimpiegava quei valori fosse consapevole di sostituirli somme frutto di quegli specifici delitto. Nel 1993 la legge 328 ha introdotto una nuova formulazione del delitto di riciclaggio così come oggi è vigente, modificando l'art. 628 bis. Il delitto di riciclaggio è normalmente riconosciuto come “lavaggio di denaro sporco”, consiste in quell’attività o insieme di attività volte a nascondere, occultare o ostacolare l'accertamento dell'origine illecita di risorse patrimoniali o finanziarie utilizzate in una certa operazione finanziaria o economica. Il soggetto che detiene questi proventi, denaro o beni vuole immetterli nel mercato attraverso operazioni, negozi giuridici o altre attività lecite consentite dall'ordinamento. Quindi è facile intuire che oggi giorno la liberalizzazione dei mercati e la facilità di movimentazione di capitali sono senz’alcun dubbio elementi significativi dello scenario economico e il generale processo di globalizzazione caratterizzato dallo sviluppo di sempre più maggiore facilità di comunicazione conseguenti alle ornami rilevanti conoscenze tecnologico-informatiche, ha indotto una parallela espansione e internazionalizzazione dei marcati, in particolar modo quelli finanziari, così da agevolare il trasferimento di capitali connessi a qualsiasi tipo di transazioni. Alla luce di tutto ciò è chiaro che non esistano più confini nazionali o barriera che possa porre un freno alle transazioni di capitali anche di provenienza illecita. Dal testo della fattispecie di riciclaggio si evince che “il riciclatore è una persona necessariamente diversa e tersa rispetto al reato presupposto da cui derivano i denari da riciclare” che “il reato è un reato comune, piò essere commesso da chiunque” e che “la condotta si sostanzia nella sostituzione, nel trasferimento o nel compimento di operazioni atte ad ostacolare l’identificazione dei proventi delittuosi e che la res del reato è costituita da denaro, beni o altre utilità comunque provenienti da delitto non colposo”. Qual è il procedimento attraverso il quale questo fenomeno viene posto in essere? Ci sono le fasi di riciclaggio, inizialmente individuate nella pulizia del denaro o degli altri beni per ostacolarne l’identificazione dell'origine illecita (Money loundering) e nell'impiego dei beni ripuliti in attività economico- finanziarie perfettamente legali, il riciclo. Tuttavia, l’analisi più recente del fenomeno che tiene conto della crescita esponenziale delle opportunità di cui dispone il moderno riciclatore e la maggiore complessità delle operazioni disponibili, fa sì che possano individuarsi 3 fasi. 1 Fase: Il collocamento (placement stage) è l'introduzione dei proventi illeciti nel mercato interno o internazionale, compiere tutto ciò che serve per allontanare il denaro o gli altri beni derivanti da delitto, dallo scenario del crimine che li ha generati, ponendo loro una collocazione provvisoria che renda difficoltoso individuarne l'origine e consenta poi la successiva ripulitura. 2 Fase: La stratificazione (lenduring) stipulare alla ricchezza provvisoriamente collocata, una copertura tale da legittimarne l'appartenenza e provenienza, queste sono operazioni molto sofisticate e spesso complesse e consistono in trasferimenti internazionali di fondi, operazioni societarie in paesi paradisi fiscali. La stratificazione consiste anche nella scansione dei trasferimenti delle transazioni finanziarie, per far perdere le tracce delle loro origini. 3 Fase: Integrazione, reimpiego dei proventi così ripuliti e spesso aggregati a capitale di origine perfettamente lecita, in circuiti economico-finanziari dove gli stessi si confondono diventando indistinguibili. In questa fase è estremamente difficile, se non impossibile, risalire alla provenienza delittuosa. In ogni fase è importante l'informatica, essenziale soprattutto nella stratificazione, serve infatti molta rapidità ed emerge come dai metodi tradizionali quali l'approccio alla creazione di società fittizie o operazioni transnazionali. Elementi costitutivi del reato di riciclaggio. Nel nostro ordinamento ci sono state varie modifiche all'art. 648 bis del c.p. ma nel 93 si è definitivamente optato ad una definitiva applicazione dei delitti presupposto e riciclaggio, volta a tutti i delitti non colposi. Anche il nostro legislatore ha optato per un'estensione massima della fattispecie prevedendo solo una fattispecie attenuata qualora il reato presupposto sia un delitto punibile con una reclusione inferiore ai 5 anni. Questo trend normativo testimonia come si sia passati da un'eccessiva limitazione dei reati presupposto che prima erano individuati singolarmente (nel legislatore del 78) ad un'apertura di un'apertura massima quanto all'apertura del reato presupposto, il che è comunque una problematica che comunque porta a delle implicazioni. Oggi non è raro che i proventi illeciti, ossia potenzialmente idonei ad essere oggetto di riciclaggio, derivino dai reati di natura tributaria. Uno dei reati da cui possono scaturire questi denari sono proprio quelli fiscali che comportano per l'impresa che ne beneficia la disponibilità di risorse in maniera maggiore e in minor costo rispetto all'impresa che rispetta le regole. L'esistenza di utilità e proventi derivanti da reati di natura tributaria pone il problema dell'impiego del riutilizzo di queste risorse: il problema di collegamento tra proventi di natura fiscale e successive attività di riciclaggio. | primi orientamenti giurisprudenziali e la dottrina prevalente hanno ritenuto che ci fosse una prevalente incompatibilità tra riciclaggio e reati tributari e che questi non potessero essere il reato presupposto per il successivo riciclaggio. Questa incompatibilità veniva letta principalmente sotto un duplice profilo, innanzitutto c'è la presenza della clausola di riserva con la quale esordisce l'art. 648 bis c.p. “fuori dai casi di concorso del reato...”, ciò impedisce di poter configurare il riciclaggio quando il soggetto attivo abbia commesso il reato tributario da cui deriva il denaro o utilità da reimpiegare. La ragione di tale assunto normativo risiede nella logica che la consunzione e il principio che vedrebbe esaurire i valori della condotta nel reato antecedente ed identifica quello successivo, cioè reimpiegare i proventi del reato commesso, come un normale sviluppo della condotta medesima. Oggi questa impostazione viene superata dall’introduzione del delitto di autoriciclaggio con la legge 186 del 2014. Il secondo aspetto di incompatibilità tra riciclaggio e reati fiscali era dato dal fatto che il reato presupposto del reato riciclaggio sarebbe dovuto essere esclusivamente un delitto che determinasse un arricchimento evidente e tangibile nella disponibilità dell'autore. Secondo questa interpretazione il reato fiscale non costituiva un presupposto idoneo per la successiva disponibilità di riciclaggio, a causa dell'impossibilità concreta di individuare la natura e la concreta provenienza dei proventi di questa condotta. Se infatti il reato di evasione fiscale, cioè l'omessa dichiarazione o la dichiarazione infedele, colpisce solamente un semplice risparmio d'imposta, ecco che verrebbe a mancare il legame diretto tra il legame fiscale e l'eventuale provento; in tal caso la dottrino non accettava che il reato tributario potesse essere incluso nel novero dei reati idonei a generare ricchezze da riciclare. In sostanza, nel caso specie, mancherebbe l'individuazione dell'entrata, di quell’arricchimento del patrimonio a carico del soggetto che ha commesso il reato, per cui la sua condotta seppure illecita, non si configurava come un aumento, ma solo come un risparmio e come tale impossibile da riciclare. In aggiunta veniva ipotizzato che anche qualora di potesse individuare utilità o proventi, la dottrina considerava sempre il reato di evasione fiscale come non compatibile con la successiva attività di riciclaggio di denaro, perché l'eventuale utilità derivata dal delitto non si sarebbe poi inevitabilmente conclusa con il restante patrimonio del contribuente che aveva natura lecita e avrebbe precluso al possibile riciclatore l'opportunità di identificare e distinguere quale fosse la ricchezza illecita da poter riciclare, essendo il patrimonio unico e indistinto. Oggi, nonostante queste perplessità non siano venute meno, l'orientamento maggioritario è cambiato e considera i reati di natura fiscali come potenziali attività di riciclaggio. Anche i proventi dell'evasione fiscali devono essere considerati come possibile fonte di riciclaggio e nel nostro ordinamento la giurisprudenza ha confutato le precedenti prese di posizione muovendo dalla riformulazione della fattispecie del riciclaggio nel 93, dove ci fu l'apertura a tutti i delitti non colposi quali reato presupposto di riciclaggio. La nuova formulazione individua in tutti i delitti non colposi i delitti presupposto del reato di riciclaggio, si può presupporre come reato principale non solo quei delitti orientati alla costruzione di capitali illeciti, ma anche i reati di natura fiscale. Per cercare di ottenere una corretta individuazione è importante individuare l'esatta espressione della parola “provenienza”. L'accezione del termine è duplice: da un lato possiamo avere una lettura che si può definire dinamica, cioè riferibile alla derivazione da delitto non colposo ed indicare un flusso di somme, di beni e proventi che provengano da un'altra condotta. Dall'altro si può avere una lettura statica che sottolinea una valenza prettamente economica e come tale derivabile dall'attività delittuosa anche in termini di mancato depauperamento a seguito della conservazione di beni di denaro nella loro sfera patrimoniale. Quello che è sempre stato oggetto del dibattito dottrinale è l'oggetto materiale del riciclaggio, non può essere annoverato tra questi l'evasione fiscale, in quanto ciò che deve essere preso in considerazione è il reato o illecito che termina ciò. L'elemento soggettivo del riciclatore: Questa persona deve accettare il rischio che i proventi derivino da attività illecita o deve esserne certo? È richiesta una particolare tipologia di dolo generico o eventuale La terza legge riguarda tutte le regole per la cittadinanza e soggiorno La quarta legge sull'ordinamento amministrativo La quinta legge sull’ordinamento economico, commerciale e professionale La sesta legge di pubblica sicurezza Le sei leggi vanno a definire gli elementi essenziali di questo Stato che si era appena costituito. Dal 1929 queste leggi hanno subito delle modificazioni, in particolare la legge fondamentale 1 viene abrogata e sostituita nel 2000 e il 26 novembre del 2000, sotto il pontificato di Papa Giovanni Paolo Il entra in vigore la nuova legge fondamentale che per propria scelta e richiesta del pontefice non ha una numerazione, è l’unica senza numero. In questa vengono definiti i poteri, a chi vengono applicati e chi li esplica. Art. 1 della legge fondamentale: Il sommo pontefice è il sovrano e ha i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. È una monarchia assoluta, ma ad oggi questi poteri vengono delegati ad organi specifici. Il pontefice ha sempre il controllo, tanto che le leggi devono sempre ottenere la sua approvazione, però ci sono organismi, tipo pontificia commissione per il potere legislativo, governatorato per il potere esecutivo, sistema di tribunali (giudice unico, tribunale di primo grado, corte di appello, corte di cassazione) per il potere giudiziario. Art. 2 della legge fondamentale: Si parta della Segreteria di Stato, organo che si occupa delle relazioni diplomatiche, affari esteri con l'estero ma che ha avuto nuovi poteri dopo l'emanazione della normativa antiriciclaggio. La segreteria di Stato, infatti, si rapporta spesso con l’AIF, l'Autorità di Informazione Finanziaria che ha funzioni di intelligence e di informazione finanziaria e vigilanza prudenziale sugli enti che esercitano attività economiche nello Stato Città del Vaticano. È l'autorità corrispondente all’UIF, Unità di Informazione Finanziaria che interviene nella normativa antiriciclaggio. Ogni Stato dell’Unione Europea ha una sua unità di intelligence che va a monitorare, investigare e seguire le forme illecite di riciclaggio. Quest’autorità quando si rapporta con altre autorità analoghe di altri paesi deve sempre dare notizia stipulando dei protocolli di intesa. Ci deve essere scambio di informazione tra le autorità di intelligence. Art. 3 della legge fondamentale: Si parla del potere legislativo, delegato dal Sommo Pontefice ad una commissione che è la Pontificia Commissione che promulga le leggi dopo che siano state approvate dal Pontefice. Questa commissione ha un presidente che è un cardinale e da altri cardinali tutti nominati direttamente dal Pontefice La legge n.2 sulle fonti del diritto viene riformata il 1° ottobre 2008 ed entra in vigore il 1°gennaio 2009 (legge 71) sotto il pontificato di papa Benedetto XVI. È una legge importante perché fa capire le fonti del diritto vaticano Art. 1legge 71: Ordinamento giuridico vaticano riconosce nell'ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo. La prima fonte normativa per eccellenza è pertanto l'ordinamento canonico. Le fonti principali, invece, la legge fondamentale del 2000, le leggi promulgate dal Sommo Pontefice o dalla pontificia Commissione o da altre autorità a cui il Sommo Pontefice abbia conferito il potere legislativo. Alcune norme possono essere emanate anche dal Governatorato e poi devono essere confermate in legge (come accade per i nostri decreti-legge). Inoltre, quanto disposto al terzo comma, riguarda anche i decreti, regolamenti e ogni dispositiva normativa legittimamente emanata. Ci dice anche che l'ordinamento giuridico vaticano si conforma alle norme di diritto internazionale generale e a quelle derivanti da tutti i trattati e altri accordi di cui la Santa Sede è parte. Quindi lo Stato Città del Vaticano ha una propria legislazione interna dove la fonte primaria è il diritto canonico, fonti principali sono le leggi emanate dalla Pontificia Commissione o quelle direttamente emanate dal Pontefice oppure quelle leggi emanate da altre autorità, organi a cui il Pontefice ha conferito l'esercizio del potere legislativo. Altre fonti sono anche i decreti e regolamenti e poi vi sono le norme derivanti dai trattati di diritto internazionale, normative comunitarie etc. Cosa significa che l'ordinamento giuridico Vaticano riconosce nell’ordinamento canonico la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo? Si stabilisce che il diritto canonico è il diritto vigente nello Stato Città del Vaticano, quindi tutto quel diritto contenuto nel codice del diritto canonico ma anche in tutti gli atti promulgati dal Pontefice e tutta la normativa canonica, vige direttamente all’interno dello Stato Città del Vaticano e questa è la fonte primaria e anche il criterio interpretativo. Cosa significa? Significa che qualsiasi norma che viene emanata all’interno dello Stato Città del Vaticano deve essere in sintonia con i principi, canoni e norme del diritto canonico. Se ci fosse un qualsiasi contrasto la legge vaticana viene abrogato. Questo indica un legame indissolubile tra Stato Città del Vaticano e Santa Sede. Quindi diritto canonico è fonte primaria e primo criterio interpretativo. Tutto quello che viene emanato nel Vaticano deve essere interpretato alla luce dei principi del diritto canonico e deve essere in armonia con i suoi principi. Si parla quindi di rinvio dinamico, tutto ciò che viene emanato e abrogato all’interno del diritto canonico automaticamente è vigente nello Stato Città del Vaticano. Questo è un aspetto molto importante perché ad esempio c’è una differenza con un altro tipo di rinvio che la normativa vaticana fa alla legge italiana, all’art.3 della legge sulle fonti del diritto, si stabilisce che il legislatore vaticano può fare dei rinvii alla legislazione italiana nelle materie in cui le fonti del diritto vaticano non provvedono direttamente. Si osservano in via suppletiva e previa recezione (prima deve esserci la normativa vaticana e se c'è qualche lacuna) la normativa italiana, che viene recepita nello Stato Città del Vaticano. Il recepimento è disposto nel caso in cui tali leggi non risultino contrarie ai precetti del diritto divino e principi generali del diritto canonico. In questo caso si tratta di rinvio statico, se quella legge nello Stato Italiano quella legge viene modificata o abrogata il legislatore non è obbligato a recepire anche tutte le modifiche, nel momento in cui la normativa italiana viene recepita è come se venisse cristallizzata all’interno dello Stato Città del Vaticano, poi avrà un suo iter autonomo, nel senso che il legislatore vaticano sceglierà cosa fare, se modificarla, integrarla, abrogarla in base alle necessità e alle esigenze dello Stato Città del Vaticano. Es. nel 1929 è stato recepito il Codice Penale italiano che ha avuto moltissime modificazione e sostituito, mentre nel Vaticano ha avuto modifiche differenti. Non per forza tutto quello che viene modificato nello Stato italiano deve essere modificato anche nello Stato Città del Vaticano. La legge italiana non deve contrastare né con i precetti del diritto divino né con quelli del diritto canonico per il recepimento. Si tratta di uno Stato teocratico/ierocratico in cui il diritto divino è alla base, tant'è che si stabilisce che anche chi governa lo Stato è un rappresentante divino in terra. Nel 1929 viene costituito questo Stato e recepisce tutti i codici che vigevano nello Stato italiano, non poteva fare diversamente perché la creazione dello Stato Città del Vaticano è un evento del tutto straordinario e come avrebbe fatto lo Stato nato in brevissimo tempo a modificare tutte le normative? Ha scelto la tradizione italiano perché il Vaticano riponeva grande fiducia nella tradizione giuridico-italiana, ma anche per comodità, quindi si è adeguato alla normativa italiana, costituendo un apparato normativo in grado di poter far funzionare uno Stato. Infatti, inizialmente nel 1929 recepisce il codice di procedura civile italiano poi nel 1946 si dota di un proprio codice di procedura civile, che viene promulgato con moto proprio di Pio XII, rubricato con la legge 1° maggio 1946 ed entra in vigore il 1° novembre dello stesso anno. Il vaticano ha ancora l'impianto del Codice Zanardelli, l’Italia ha adottato invece il codice Rocco.