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Appunti Diritto Commerciale a.a. 23/24, primo semestre, Appunti di Diritto Commerciale

Appunti integrati con registrazioni della prima parte del corso di Diritto Commerciale della professoressa Marchegiani. Argomenti: Impresa - Titoli di Credito - Lezione introduttiva sulle Società Manca la prima lezione ma nella seconda lezione è ripartita dalle fonti della materia, per cui gli appunti possono ritenersi sostanzialmente completi.

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 17/01/2024

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Scarica Appunti Diritto Commerciale a.a. 23/24, primo semestre e più Appunti in PDF di Diritto Commerciale solo su Docsity! 1 Diritto commerciale primo semestre a.a.23/24 Lezione 2, 26 settembre 2023 Nel capitolo introduttivo del manuale c’è un paragrafo dedicato alle fonti del diritto commerciale. Al centro c’è il Codice civile. I confini tra diritto privato e diritto commerciale sono labili: diritto commerciale non è autosufficiente. Il mercato ha bisogno del diritto privato per realizzare gli scambi. Ci sono contratti considerati civilistici e altri lasciati al diritto commerciale: è un regolamento di confini discrezionale, potrebbe cambiare nei diversi momenti storici. Sono due materie strettamente interconnesse. Fonti: il Codice civile è il testo normativo principale, anche se non l’unico. Per una serie di ragioni, in parte storiche (già nel codice di commercio delle origini c’era un insieme di materie che con l’unificazione sono finite in leggi separate), sia perché la legislazione commercialistica è sempre più complessa, il Codice civile non è l’unica fonte che ci interessa. Sito di riferimento per le norme: normattiva Seguiremo un flusso argomentativo che segue la posizione degli istituti nel codice. Altre fonti oltre al Codice civile: - d.lgs. 14 del 2019 codice della crisi di impresa - Testo Unico della finanza d. lgs. 58 del 1998, anche chiamato decreto Draghi: è un corpo di regole che riguarda principalmente i c.d. emittenti quotati, cioè quelle società che operano sui mercati. Le reazioni dei mercati sono le oscillazioni delle società le cui azioni sono quotate sui mercati regolamentati. Il c.d. T.U.F. (acronimo del Testo unico della finanza) è il corpo normativo che disciplina la regolamentazione dei mercati su cui vigila la CONSOB, che è un’autorità indipendente che esamina le informazioni delle società quotate e si assicura che il funzionamento dei mercati sia regolare. Le norme sono vincolanti, è richiesto un alto tasso di informazione per garantire la trasparenza. Questo perché su questo mercato sono in gioco i nostri risparmi. Quando sottoscriviamo un fondo pensione, un prodotto finanziario, andiamo ad investire denaro sui mercati. Acquistiamo azioni o obbligazioni delle società e finanziamo le imprese che operano sui mercati. Questo elevato tasso di informazioni che deve garantire la trasparenza del mercato serve a tutelare i nostri risparmi. Quando ci furono i crack CIRIO e PARMALAT, rimasti famosi perché legati a importanti patron di squadre calcistiche, coinvolti in fallimenti disastrosi in cui i bilanci falsi pubblicati per diversi anni avevano fatto credere che queste società fossero in bonis, invece ad un certo punto è esplosa la crisi che in realtà era maturata all’interno di queste società. Dopo questi crack fu emanata una legge intitolata alla Tutela del risparmio (nel 2005). Questa denominazione della legge faceva capire, anche se era un intervento postumo che non ha avuto 2 effetti su quei casi, la funzione di inasprimento delle regole: si aumenta il livello di trasparenza richiesto alle aziende per evitare disinformazione e illusioni nei confronti dei consumatori. - Legge antitrust. Disciplina che ricalca le regole presenti nel TFUE, quindi non ha piena autonomia. È chiaro che le concentrazioni di potere anche quando hanno portata nazionale di per sé sono già idonee a produrre effetti di rilevanza europea. Le regole sono le stesse anche per praticità: inizialmente la Commissione Europea avocava a sé tutti i casi di antitrust; negli ultimi anni diversi casi sono stati devoluti alle autorità nazionali attraverso un sistema di attribuzione decentrata. In Italia, ad esempio, c’è l’Autorità garante del consumo e del mercato. - Codice della proprietà industriale, d. lgs. n. 30 del 2005, che contiene una serie di norme che prima erano contenute in leggi sparpagliate. Si chiama codice perché è una sorta di testo unico con intento razionalizzatore. Contiene principi generali comuni che sono applicabili a tutte le fattispecie e poi delle sezioni dedicate alle singole invenzioni. - Codice del consumo, il vecchio diritto commerciale era un diritto di classe, il diritto di un ceto dominante dal punto di vista politico-economico che si imponeva a tutta la società. Con l’evoluzione della società questo strapotere dell’impresa è in parte venuto meno e si sono messe in campo strategie per porgli un freno. Il codice del consumo ne è un esempio: è un corpo normativo che serve a proteggere il consumatore rispetto all’impresa in situazioni squilibrate perché i contratti non sono realizzati su base paritaria sia dal punto di vista informativo sia dal punto di vista della consapevolezza che implica un certo tipo di acquisto. - Testo unico bancario, d. lgs. 385 del 1993 che disciplina il settore bancario. Abbiamo parlato della libertà di iniziativa economica: normalmente qualsiasi attività economica è libera, quindi è nella disponibilità del singolo iniziarla, intraprenderla, portarla avanti. Ci sono però alcune attività particolarmente delicate perché hanno a che fare con il risparmio, esempio tipico: attività bancaria, che possono essere esercitate solo previa una specifica autorizzazione. L’ente preposto a questa autorizzazione è la Banca d’Italia che svolge sia attività autorizzante sia di vigilanza su quanto prodotto. Questa è solo l’architettura minima della produzione normativa. Tutte le autorità indipendenti nominate (Banca d’Italia, CONSOB, Ivas, eccetera) hanno a loro volta un potere regolamentare: ci sono provvedimenti di rango amministrativo o decisioni che creano precedenti non vincolanti ma di riferimento che formano un diritto vivente molto articolato. - Fonti euro-unitarie internazionali. Parlavamo del fatto che il diritto commerciale è per sua natura universale, nasce come diritto sovra-territoriale. Questa fisionomia rimane, vi sono convenzioni in materia di proprietà intellettuale che risalgono alla fine dell’800 tutt’ora in vigore seppur con qualche modifica. C’è poi l’intervento importante dell’unione europea: per noi ha un’influenza importante soprattutto nel diritto societario, delle organizzazioni complesse. C’è una storia di direttive molto risalente (anni 50-60 del secolo scorso); l’UE batte su temi come la sostenibilità in maniera molto incisiva sui diritti nazionali. In che modo? Con lo strumento della direttiva, che lascia margini al momento dell’attuazione per un adattamento alle specificità del mercato interno. Hanno un impatto molto forte perché il mercato è globale: non posso 5 Chiaramente questo comporta che c’è una nozione troppo generale: non è l’unica nozione generale che troviamo nel libro V del codice. Confronto tra due nozioni fondamentali: Imprenditore e Società (capisaldi della nostra materia). Sono nozioni generalissime. L’unico attributo dell’Imprenditore è il fatto che svolge l’attività professionalmente – non occasionalmente, quindi lo fa di mestiere – e l’attività economica è organizzata – cfr. concetto di azienda richiamato prima. Organizzazione è una parola chiave di tutto il sistema dell’impresa sia dal punto di vista del soggetto sia dal punto di vista dell’attività sia dal punto di vista degli strumenti con cui l’attività viene svolta. Se prendiamo in considerazione la nozione di società, anche qui vediamo che è molto ampia: con il contratto di società (anche se non sempre sorgono da un contratto, cfr. società unipersonali) con cui una o più persone (si intendono le parti) conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica (ritorna il concetto di attività economica). Il legame tra impresa e società è proprio l’attività economica: significa che la società è un modo di organizzare l’impresa, di mettere insieme risorse di più soggetti per esercitare quella stessa attività che nell’art. 2082 è esercitata da una singola persona, che noi immaginiamo come persona fisica ma può essere anche una persona giuridica (società) o un ente collettivo non personificato (le società di persone non hanno soggettività giuridica). Potrebbe essere imprenditore anche un’associazione del libro I anche se non è la sua logica finalità. Schema: Il soggetto che l’art. 2082 qualifica come imprenditore può essere - Persona fisica - Persona giuridica - Soggetto non dotato di personalità giuridica Il tratto comune è l’attività economica, che è al centro di tutto il diritto commerciale, intesa non solo come serie di atti ma come fenomeno che non si esaurisce in uno scambio. Studiando il diritto dei contratti, cfr. contratto sinallagmatico, abbiamo visto che gli interessi si realizzano con lo scambio: gli effetti si fermano lì. Nell’impresa no: è un’attività dinamica che nasce per essere proseguita nel tempo. Ci sono obblighi ciclici che l’impresa deve soddisfare (es. redazione del bilancio) finché non si decide di cessare l’attività. La decisione può essere: - Presa dall’imprenditore o dai soci - Liquidazione giudiziale dell’attività, è una cessazione decisa dall’ordinamento. Non ci sono più i presupposti per continuare l’attività: se continuasse, graverebbe sui creditori. L’interesse viene spostato su chi ha una pretesa nei confronti dell’attività: dipendenti che 6 devono prendere lo stipendio, fornitori che devono essere pagati. Il rischio non lo subisce più l’imprenditore ma viene traslato sugli stakeholder. Impresa e società sono concetti molto generali: per questo potevano avere funzione politica- demagogica di comunicazione di una unità del sistema ma poi quando si vanno ad applicare le regole servono a poco. Una nozione che comprende dal piccolo imprenditore alla multinazionale necessita una differenziazione. Sono diverse tipologie reali di impresa con interessi diversi che necessitano una disciplina specifica. Abbiamo menzionato l’uso del metodo dell’economia nella scrittura del Codice civile: si vede molto bene nella nozione di imprenditore che è tipica dell’economia classica. Anche questo è tuttavia frutto di una politica legislativa precisa, che voleva eliminare dal testo del Codice civile tutti i concetti astratti. Esempio: nel Codice civile non troviamo la locuzione “negozio giuridico”. La scelta fatta è quella di utilizzare concetti vicini alla realtà economica eliminando quelli astratti. Concetto ben noto all’economia classica: l’imprenditore è l’attivatore del sistema economico, ha anche una funzione intermediaria intesa come chi compra per rivendere, ma anche intesa come intermediazione che opera sui fattori della produzione, quindi mi procuro materie prime, le trasformo e creo il prodotto finito: anche questa è intermediazione. Per questo l’imprenditore è anche il commerciante in questo senso. Questo designare l’imprenditore come operatore che organizza i fattori della produzione e soddisfa bisogni aveva anche funzione di risolvere conflitti sociali: l’imprenditore guadagna tanto perché rischia tanto. Questo concetto è stato trasposto nella nostra mentalità: l’attività imprenditoriale è remunerata di più rispetto a quella subordinata, perché il rischio d’impresa è un’alea che ricade solo sulle spalle dell’imprenditore. In questo modello di concetto economico di imprenditore che ritroviamo nel nostro codice, è il soggetto che mette in moto un meccanismo produttivo combinando i bisogni delle diverse categorie presenti nella società: soggetti che vogliono investire, i lavoratori che sono accomunati a chi investe dal fatto che si attendono una remunerazione mensile (titolari di una pretesa fissa, che non varia a seconda dell’andamento dell’impresa). Il consumatore come entra in questa dinamica? Sono i bisogni del consumatore a rendere necessario l’intervento dell’imprenditore, che organizza e produce beni e servizi destinati a soddisfare bisogni (reali o velleitari che siano). Se non ci fosse un mercato stimolato da bisogni, l’azione dell’imprenditore non avrebbe senso. L’art. 2082 non basta: abbiamo una serie di norme che, così come avveniva nel codice di commercio in cui c’era un elenco di attività considerate atti di commercio che andavano a costruire complessivamente la figura del commerciante, vanno aggiunte al 2082 per trovare le singole fisionomie dell’impresa. Sono: - Definizione di piccola impresa, art. 2083 7 - Definizione di impresa commerciale, art. 2195 - Definizione di impresa agricola, art. 2135 Un’idea più precisa di chi è e cosa fa l’imprenditore ci è data dal combinato disposto di queste 4 norme. Tuttavia, solo questo non basta: ci sono altri settori – diritto tributario, diritto della crisi d’impresa – che sono a loro volta dotati di nozioni di impresa diversa da quella del codice civile. Non è in definitiva una nozione esaustiva: andando a studiare singole branche della disciplina troveremo delle nozioni ad hoc. Diritto tributario Una di queste è la nozione tributaristica di impresa: ai fini dell’imposizione fiscale non si considera il 2082 per intero. Qualsiasi attività economica è sottoposta a tassazione anche se non è organizzata, e quindi anche se manca un pezzetto della nozione di imprenditore, cfr. art. 55 del TUIR in materia tributaria. (testo per intero presente nella slide) Co. 1: per esercizio di imprese commerciali si intende l’esercizio per professione abituale – ritorna la professionalità – ancorché non esclusiva – questo vale anche per nozione codicistica – delle attività indicate nel 2195. Il TUIR richiama la nozione del Codice civile, ma non il 2082: richiama il 2195, una norma che ha il compito di definire l’impresa commerciale. Si considerano redditi di impresa anche quelli provenienti da enti non organizzati in forma di impresa: si va oltre la nozione codicistica. Diritto comunitario Andando in altri settori dell’ordinamento, anche nel diritto comunitario abbiamo una nozione diversa da quella del codice. Applicando la legge ANTITRUST nominata a inizio lezione, vediamo che si parla di qualsiasi ente che esercita un’attività economica consistente nell’offerta di beni e servizi su un determinato mercato a prescindere dallo status giuridico dell’entità e dalle sue modalità di funzionamento. Non si parla di organizzazione, non si parla di economicità della gestione: potrei anche essere un ente interamente finanziato da fondi pubblici o da economie di terzi, non sono tenuto ad essere un ente che trova dentro il suo equilibrio economico finanziario, potrei anche essere un soggetto che svolge attività di professionista intellettuale. A questi soggetti si applica il diritto comunitario ma non lo statuto dell’imprenditore. Riassunto: Il concetto da fissare con queste ultime informazioni è il seguente: la nozione di impresa del Codice civile limitata al 2082 è una descrizione dell’imprenditore in senso economico molto generale. Non fa altro che trasferire nel codice una nozione economica, per la ragione strategica per cui invece che di negozio giuridico si parla di contratto. Sono parole degli operatori dell’economia, non sono parole della dogmatica. 10 cooperativa a condizioni più vantaggiose di quelle di mercato. È sempre uno scopo egoistico ma si realizza in modo diverso dal profitto puro, pur ricollegandosi alla percezione di un utile. Il bilancio finale mostra che si sono maturati degli utili: vengono percepiti dall’imprenditore se è una persona singola, o redistribuita tra i soci. L’attività rileva in senso giuridico perché c’è funzione unitaria, gli atti non sono visti partitamente come tanti fotogrammi ma per la funzione che svolgono. La funzione è l’attività economica: produrre beni o merci e scambiare beni o servizi. L’attività potrebbe essere puramente commerciale – scambio, acquisto e rivendo – oppure produco e rivendo. I passaggi potrebbero essere molti. Distinguiamo queste due modalità: - Scambio - Produzione Che possono essere integrate in capo allo stesso imprenditore o a imprenditori diversi. Non sempre l’attività creatrice dell’imprenditore dà vita ad un nuovo prodotto, non ha natura industriale manifatturiera. A volte ciò che si offre è un servizio. Può essere una prestazione di fare ma anche di non fare: se noleggio un furgone per il trasporto di mobili, mi astengo dall’esercitare le facoltà derivanti dalla proprietà su quel mezzo per consentire ad un altro soggetto di utilizzarlo. È prestazione di un servizio. Questo ha le caratteristiche dell’attività di impresa: a volte è qualcosa di molto semplice come la compera per rivendere; a volte la combinazione dei fattori produttivi mette insieme una rete di contratti molto articolata. Esempio: imprenditore che prende in locazione un immobile, stipula contratti di fornitura, assume dipendenti, compra materie prime. Possono esservi vari contratti in essere: tutto questo compone un’unica attività. Questa unificazione ce l’abbiamo guardando il risultato: è il risultato che ci fa capire che tutti quei tasselli sono funzionali a quella produzione di ricchezza. 1. Economicità Attività produttiva e attività economica sono la stessa cosa? Il termine di attività economica, considerato che l’attività rilevante è quella produttiva, funzionale a un risultato, è qualcosa in più o è un finto requisito già implicito nel concetto di attività economica? Si apre uno scenario: l’imprenditore è sempre effettivamente orientato a uno scopo di lucro come normalmente capita? C’è di nuovo un discorso legato all’uso del metodo dell’economia: se mi riferisco all’imprenditore in senso economico, normalmente vale la massima per cui “Il benefattore non è imprenditore”: imprenditore è colui che organizza le fasi dell’attività per conseguire un profitto. In realtà, il diritto non ragiona secondo ciò che è statisticamente prevalente ma deve andare a guardare quelli che sono i requisiti minimi affinché la fattispecie impresa si configuri in concreto. 11 Diventa utile fare un distinguo tra il programma, cioè come l’attività viene configurata e organizzata, e la destinazione dei risultati, cioè dove vanno a finire i profitti che si conseguono all’esercizio dell’attività. Scopi dell’attività (risultato) Questo perché in realtà nel nostro ordinamento non c’è spazio solo per l’imprenditore ispirato dal lucro vero e proprio, cioè dall’intento di realizzare profitti e poi redistribuirli. Scopi dell’attività possono essere: - Lucrativo, produzione di un profitto e sua redistribuzione ai soci; - Mutualistico, offre ai soci condizioni di lavoro e possibilità di acquisto dei beni di consumo migliori di quelle che troverebbero sul mercato; - Consortile, legato al consorzio (un tipo di esercizio dell’impresa con cui due imprenditori mettono in comune risorse per migliorare una certa fase produttiva). Solitamente c’è scopo di lucro, ma potrebbe essere attività di impresa anche qualora non ci fosse. Ad esempio: caso delle società mutualistiche (cooperative) previste in una serie di norme del libro V, in particolare all’art. 2511, si dice che è società anche la società con scopo mutualistico. Cfr. 2247, società è un contratto tra due o più persone che ha ad oggetto l’esercizio di attività economica. Ci farebbe pensare che se c’è società c’è sempre scopo lucrativo. Il 2511 ci dice che sono società anche quelle a scopo mutualistico. Lo scopo lucrativo mira alla produzione di un profitto e alla sua redistribuzione ai soci; lo scopo mutualistico mira a offrire condizioni di lavoro e possibilità di acquisto dei beni di consumo ai suoi soci migliori di quelle che troverebbero sul mercato. È sempre un beneficio soggettivo perché io socio della cooperativa acquisisco il mio patrimonio ad esempio acquistando a meno, ma non intacca l’utile. Esempio: La società normalmente è un contratto in cui i soci mettono in comune beni o servizi (risorse) per esercitare attività economica e dividere gli utili. Si ottengono ricavi superiori al costo di produzione: questo surplus, differenza attiva tra costi e ricavi, vengono divisi tra i soci. Nello scopo mutualistico il sistema è diverso: c’è sempre attività economica ma il socio non ha diritto a conseguire l’utile. Ha diritto ad acquistare i beni della cooperativa o lavorare per la cooperativa. I suoi contratti sono stipulati a condizioni più favorevoli di quelli che si troverebbe sul mercato. Il suo patrimonio viene sempre incrementato ma non nel modo diretto costituito dalla percezione di un utile proprio dello scopo lucrativo. C’è sempre un risultato soggettivo positivo ma è calibrato in maniera diversa. Quello che conta, per capire se una certa iniziativa è di un benefattore o di un imprenditore, è il metodo utilizzato. Guardando allo scopo, cioè al modo in cui il socio consegue l’utilità dell’essere in società, abbiamo guardato al risultato finale. 12 Modi di organizzazione dell’attività (come arrivo al risultato) Non abbiamo guardato al modo in cui l’attività è organizzata: cioè cosa si prefiggono questi soci, come svolgono l’attività, cosa si aspettano dal livello di risultato nel momento in cui portano sul mercato prodotti o servizi. Questo dipende dal programma che hanno stabilito, fondamentalmente quando hanno stabilito i prezzi di prodotti e servizi che immetteranno sul mercato. Se l’impresa non è benefattrice, cioè spende più per produrre di quanto poi ricava (cfr. imprese pubbliche), potrebbe adottare: - Metodo economico, cioè stabilire dei prezzi costo. Quando vado a vendere copro i costi di produzione. Faccio pari - Metodo lucrativo, i prezzi che fisso a monte sono prezzi ricavo. Incorporano in sé i costi della produzione ma li sopravanzano di un tanto che è quel ricavo che voglio conseguire per ciascuna unità venduta. Questo è un calcolo che l’imprenditore fa prima, è la scelta fra pareggiare – tenere in equilibrio costi e ricavi – o conseguire un lucro. Questo a livello di programmazione perché poi l’impatto con il mercato potrebbe smentire questi pronostici: non si può sapere per certo se i risultati sperati saranno conseguiti. Questo però è sufficiente per rientrare nella fattispecie impresa: il metodo utilizzato deve essere al minimo il metodo economico. Così si rispetta il brocardo per cui il benefattore non è imprenditore. Il benefattore realizza un’attività in una logica di perdita programmata: posso essere ente erogatore o di beneficenza, ma non sono imprenditore. Si può porre il caso limite dell’impresa fatta per conto proprio: è una sorta di autoproduzione. Esempio: ho un terreno e voglio costruire una casa per me. Se la costruisco in proprio, senza affidare il compito a un’impresa, divento imprenditore? Tema di nicchia perché ha una ricorrenza pratica piuttosto limitata: la giurisprudenza è arrivata alla conclusione che se c’è la fattispecie c’è anche l’impresa. Se organizzo l’attività in modo da adottare un metodo economico io mi potrò trovare di fronte alle stesse problematiche di un imprenditore, cioè alla tutela del credito. Anche se sono uno studente o un professore, potrei dare vita a problemi di tutela del credito alla produzione del tutto simili a quelli di un imprenditore. Se metto in piedi un complesso che ha le caratteristiche di un’impresa, divento imprenditore anche se ad esempio la casa la costruisco per me. Ci potrebbe essere fattispecie impresa anche quando opero non per vendere ma per arricchire il mio patrimonio personale: creo ricchezza. Devono scattare le norme a tutela dei terzi che mi hanno finanziato: non si intende solo della banca che mi ha erogato il mutuo, ma anche dell’operaio a cui ho fatto un contratto di lavoro, del fornitore dei materiali edili, eccetera. 15 Ciò che fa questa norma è imporre delle strutture che devono servire anche a prevenire la crisi (riferimento al codice della crisi): tuttavia, “anche” ci dice che il contenuto è più ampio, non si limita alla prevenzione della crisi ma si estende. Non sempre l’imprenditore deve avere dei dipendenti affinché ci sia impresa. Ad esempio, il titolare di una lavanderia automatizzata, anche se non ha dipendenti, è un imprenditore commerciale anche se lui si limita semplicemente a fare attività di manutenzione o sorveglianza alle macchine che svolgono quel servizio. Inoltre, altro aspetto soprattutto nei servizi di investimento, non sempre c’è un’azienda intesa in senso materiale, quindi una sede fisica. Si potrebbe fare impresa anche utilizzando denaro, quindi nei servizi di investimento è quello il capitale investito nelle imprese e utilizzato nell’attività produttiva. Potrebbero esserci imprese senza dipendenti ma anche imprese senza stabilimenti. Esempio: attività bancaria. Allo stato attuale delle cose è in corso una transizione verso una digitalizzazione quasi integrale di certi servizi per cui non vediamo più la filiale ma il servizio viene svolto attraverso sistemi automatici. Non servono per forza dipendenti così come non serve per forza un apparato fisico, tangibile. 4. Scopo di lucro Un ultimo aspetto in parte già chiarito riguarda lo scopo di lucro. Non serve necessariamente per avere un’impresa. Ci sono molte teorie a riguardo: c’è chi dice che l’attività economica comporta una lucratività; un’altra opinione distingueva tra scopo mezzo e scopo fine, in cui l’attività potrebbe essere lucrativa anche se il titolare non si intesti i risultati; ultima teoria, da noi adottata, dice che bisogna verificare come viene organizzata l’impresa. Se può sostenersi ricorrendo al proprio equilibrio economico e finanziario, allora abbiamo impresa: non serve lo scopo di lucro né oggettivo né soggettivo. È un elemento ricorrente nella pratica ma non necessario. Dobbiamo sempre tenere distinte le intenzioni dai risultati. Ciò che guardiamo per qualificare l’impresa sono le intenzioni: - pareggio costi-ricavi - ottengo un profitto che ha due momenti o Momento in cui l’attività lo mostra, al momento della redazione del bilancio vedo che ho conseguito degli utili. Con questi utili che ci faccio? o Li distribuisco tra me e agli altri soci o li lascio lì. Rilevano due aspetti diversi: - Scopo mezzo, che voglio perseguire con l’attività, attività organizzate per produrre utili - Scopo fine, lo stabilisco io nel contratto di società. Voglio che alla fine, approvato il bilancio, se ci sono utili saranno distribuiti tra i soci. Questo è lo scopo finale, mi dice se è un’attività 16 e se è un’impresa. Basta questo per avere un’impresa; lo scopo di lucro è solo una cosa in più. Diverso è il profilo, che non incide sulla qualificazione dell’impresa, di quello che succede in pratica. Volevo fare grandi profitti ma non riesco a vendere neanche un prodotto sul mercato. In conclusione, bisogna distinguere: - Piano del programma organizzativo, come voglio fare impresa (lucro oggettivo) - Piano dei risultati, cosa ci voglio fare (lucro soggettivo) - Piano pratico, che succede? L’impresa va bene o male. Questo non rileva ai fini dell’applicazione della disciplina. Ci sono nell’ordinamento vari comparti che non hanno quello scopo lucrativo, quindi non corrispondono a quella fattispecie del 2247 (Società). Prima abbiamo fatto l’esempio dell’impresa mutualistica in cui il beneficio è un vantaggio diverso dal lucro; ci sono le imprese esercitate dagli enti pubblici che non fanno ricorso solo alle proprie economie ma hanno una parte consistente di sovvenzione pubblica, anche se mirano al metodo economico; ci sono imprese che possono assumere tante conformazioni organizzative diverse che prendono il nome di imprese sociali. Le imprese sociali sono imprese che pur avendo forma lucrativa non possono quasi per niente distribuire utili e sono orientate a svolgere attività di utilità sociale, quindi operano nel c.d. terzo settore pur essendo dal punto di vista dell’organizzazione delle società per azioni, quindi il tipo lucrativo più spinto, però la loro funzione e svolgere attività di welfare e utilità sociale. La disciplina che le riguarda, codice del terzo settore, limita fortemente la possibilità di distribuire utili. Tratto comune tra tutte queste imprese è il metodo economico. Lezione 3, 3 ottobre 2023 Terminiamo l’esame della nozione di imprenditore. ➔ Esaustività della fattispecie impresa Profilo non secondario: ci eravamo arrestati sulla definizione dello scopo di lucro e sull’opportunità di considerarlo o meno un requisito dell’attività di impresa. L’imprenditore è un soggetto che mette in essere un’attività per realizzare un profitto. La fenomenologia delle imprese che abbiamo non solo nella realtà pratica, ma anche nella disciplina del nostro ordinamento, sono imprese che non sempre realizzano il lucro in senso stretto. Non sempre perseguono profitto per distribuirselo, ma possono perseguire scopi diversi. Esempio eclatante: imprese cooperative, cioè che perseguono scopo mutualistico, ex art. 2511 c.c. Non ci spiega analiticamente lo scopo mutualistico ma ci dice che anche le società cooperative sono imprese: lo scopo di lucro non è l’unico scopo perseguibile. Ci può essere la ricerca di un obiettivo individuale ma che non si realizza nella corresponsione di una parte di utile, il c.d. dividendo. Nelle cooperative abbiamo un fenomeno per cui i soci hanno una doppia connotazione: da un lato sono soci, quindi soggetti che hanno investito nel programma imprenditoriale – mettere insieme risorse per esercitare un’attività economica, ci fermiamo allo scopo mezzo. L’attività societaria è 17 sempre orientata a fini produttivi, scopo mezzo, quindi è sempre impresa. Affinché sia impresa non importa come vuole destinare i risultati, scopo fine. Una volta che ho conseguito degli utili, degli avanzi di gestione positivi, cosa ci voglio fare? È comunque impresa purché sia organizzata col metodo economico, quindi in modo da tendere alla remunerazione dei fattori della produzione con i ricavi attesi. Organizzazione secondo il metodo economico significa che l’impresa tende a pareggiare i costi con i ricavi: lo fa fissando i prezzi. Prezzi costo – prezzi ricavo. Se il prezzo è fissato a livello del costo abbiamo pareggio, metodo economico puro. Se il prezzo è fissato al ricavo, abbiamo il metodo lucrativo. Questo però riguarda l’organizzazione: il principio organizzativo riguarda il principio fondamentale che ispira tutto il diritto commerciale in particolare delle società. Principio organizzativo che però non ci dice nulla su cosa fanno i risultati della gestione: abbiamo anche imprese senza scopo di lucro. Imprese che pur ispirando la propria attività a un’organizzazione ispirata al metodo economico o addirittura lucrativo, non realizzano l’obiettivo lucrativo finale. Lo scopo fine è uno scopo diverso da quello di ottenere una remunerazione del proprio investimento. Abbiamo diverse categorie: alcune sono evergreen, sempre presenti nella realtà economica, cfr. società cooperative, società e imprese del terzo settore; altre sono modelli recessivi, cfr. impresa pubblica. L’impresa pubblica è un modello che è stato dominante nel nostro paese fino agli anni 70-80 del secolo scorso: successivamente, negli anni ’90, si sono avviate e sono state portate a termine delle procedure di privatizzazione. Anche le imprese pubbliche, partecipate dallo stato o da altri enti, svolgono sempre funzione di offrire servizi di pubblica utilità ma usano schemi, metodologie, discipline, di diritto privato. Privatizzazione significa che l’interesse rimane di carattere generale, come fornire acqua potabile o servizi di trasporto: la forma però diventa privata. Sono per lo più società di diritto privato partecipate da enti pubblici. A queste società è dedicato un Testo unico ad hoc, disciplina organica che è stata emanata nel 2016 e che si intitola proprio T.U. delle società partecipate: il fatto che vi siano azionisti pubblici implica una serie di specificità nella regolamentazione. Quando c’è un T.U. non si è sottoposti alle stesse regole delle società che potremmo costituire anche noi: chiaramente i rischi che derivano dalla partecipazione di un privato a una struttura pubblica riguardano tutti. Per il resto, nel perimetro stabilito dalle leggi dello stato, l’impresa esercita la sua attività economica in un regime di fondamentale libertà. È il principio ispiratore del principio di libertà economica, art. 41 Cost., con tutte le attenzioni che il legislatore statale deve dedicare ai valori fondamentali non solo della persona ma anche 20 Inoltre, possono essere distribuiti, sia pure con una limitazione molto stringente dei dividendi, la misura stringente è il tetto stabilito e ancorato all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi. Dato questo interesse che si verifica sul mercato, i soci possono avere, rispetto al capitale di 10mila euro che hanno sottoscritto in questa società, un dividendo pari a questo interesse, supponiamo del 3%, aumentato di altri 2 punti percentuali, quindi potrebbero avere rispetto a questo 10mila euro, potrebbero avere un dividendo del 5%. A seconda di quanto gli utili sono stati elevati, ciò che si può distribuire è questa piccola somma. Perché si è andati verso questa soluzione di consentire una remunerazione per i soci? Per la funzione che le imprese sociali si trovano a svolgere sempre di più e promuoverne la nascita. Poiché lo stato fa passi indietro nell’offrire questi servizi di utilità sociale, si vuole incentivare la nascita di imprese sociali per sopperire alle mancanze dello stato. Questo incentivo che è la mitigazione del divieto di avere un beneficio individuale soggettivo all’impresa sociale è legato all’intento di incentivare la nascita di imprese sociali. Sempre parlando di incentivi, 2. Decreto-legge 1882 del 2015 sulle Società benefit c’è stata la crisi del 2008, le fragilità connesse a periodi di crisi economica, lo stato sempre più vincolato a spese: non è un caso se dal 2010 in poi troviamo tutti interventi che si pongono a seguito di una situazione sempre più deteriore del c.d. stato sociale e dell’economia. Nel sistema dell’Europa continentale lo stato sociale è stato un grosso supporto al superamento di fasi di crisi economica: la risposta europea non è più solo “più concorrenza”. Si è affermata l’idea per cui la concorrenza è un mezzo e non un fine. L’idea che abbiamo di concorrenza è molto diversa da quella degli americani: nonostante le congiunture sistemiche che abbiamo visto, in America c’è ancora l’idea che la formula magica sia la competizione, che porta al miglioramento dell’individuo, si accetta come male necessario che fette della società restano indietro senza accesso a lavori dignitosi, istruzione, sanità, ma l’idea è sempre quella di spingersi avanti con la competizione. L’Europa continentale non è così, da noi l’idea che il benessere generale della popolazione sia un problema del governo e non solo una cosa che deve essere risolta dall’individuo non è stata ancora abbandonata. Questo spiega perché questa misura di cui parleremo, società benefit, nasce negli USA in cui il problema di tutto ciò che nella società rimane di irrisolto incide sul benessere generale, quindi le imprese si cerca di richiamarle a obiettivi di responsabilità sociale, in un quadro diverso però, la società benefit da noi è un’aggiunta allo stato sociale; in USA, tenendo sempre conto dei fenomeni di greenwashing molto diffusi, è una spinta importante. La società benefit è introdotta con l. di stabilità del 2016 nel nostro ordinamento, questo inserimento pone una serie di problemi sistematici. 21 Pone problemi consistenti per la ragione per cui non è andata ad incidere nel codice genetico delle nostre imprese, in particolare delle nostre società. Art. 2247-> la società è il contratto con cui due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di una attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Il nostro sistema è fondato sulla società di esercizio, la società è tale ai sensi della disciplina del libro V solo se svolge attività di impresa, quindi se è organismo dinamico, non statico che gode solo dei frutti dei beni di cui dispone, solo se crea nuova ricchezza nel senso della produzione della ricchezza nel sistema economico. Lo scopo di cui ci parla il 2247 è solo lucrativo: siamo dovuti andare a fare una piccola digressione andando a prendere il 2511 chiedendoci come mai la società con scopo mutualistico a capitale variabile sia impresa, sia una società anche se le due immagini del 2247 e il 2511 non si assomigliano, non sono identiche, una è più settoriale dell’altra. Abbiamo dovuto fare una sorta di lavoro induttivo ricavando dall’esistenza di una norma come quella delle società cooperative una nozione di impresa non sempre lucrativa ma anche neutra dal puto di vista dello scopo fine e che si pone essenzialmente il pareggio dei costi con i ricavi. È un lavoro che abbiamo dovuto fare perché abbiamo trovato due norme in contraddizione: una che ci dice che tutte le società pluripersonali sono produttive, un’altra che ci dice che società possono anche perseguire scopo mutualistico. Terza contraddizione quella del codice del terzo settore: ci sono società che sono S.p.A., essendo imprese sociali non possono distribuire utili oltre la soglia di cui prima. La società benefit è un’ulteriore eccezione perché ha nella stessa organizzazione due anime e due scopi: uno scopo lucrativo nel senso stretto, si richiama l’art. 2247, ma anche lo scopo ulteriore che è di beneficio comune, si riassume nella parola benefit. Il che ci mostra in modo molto chiaro qual è la traiettoria legislativa, nel senso di coinvolgere sempre di più le imprese private nel perseguimento di fini di interesse generale MA pone problemi perché le regole del nostro codice sono del 1942, quindi l’art. 2247 non è stato toccato. La scelta di innestare novità anche deflagranti ricorrendo a leggi contenitore come nel caso delle leggi di stabilità, pone una serie di problemi di ricostruzione interpretativa. Pausa Società benefit: novità del 2015. Inserimento abbastanza discutibile per una novità di questo spessore: spesso il legislatore per evitare di mettere le mani su questioni sistematiche fa aggiunte un po’ appiccicaticce, interviene con leggi emergenziali o contenitore quali sono le misure di stabilità e va a toccare l’aspetto al momento ritenuto strategico, anche per ragioni limitative cioè per far vedere ce ci sono interventi normativi che cercano di dare una scossa al sistema economico, o nel senso di incrementare le imprese, i modelli organizzativi sono uno degli elementi dei fattori che posizionano l’impresa sul mercato, ci sono soprattutto nel’ordiamento italiano fattori pesanti quali costo del lavoro, fiscalità delle imprese che attraggono o respingono l’investitore straniero. Ci sono anche fattori organizzativi che il nostro ordinamento mette a disposizione delle imprese. 22 Tutta la politica organizzativa in materia di start up innovative ha avuto lo scopo di creare una figura che doveva incentivare, anche godendo di benefici fiscali, di una facilitazione nell’applicazione della disciplina lavoristica, la disciplina sulle start up serviva a costruire un regime di favore per le imprese, soprattutto se attivate da giovani e se aventi ad oggetti un’attività ad alto tasso tecnologico o comunque fortemente innovativa. Questo quadro innovativo ha avuto negli anni una serie di ulteriori spinte. Da ultimissimo, quadro PNRR ci sono molti fondi per l’attivazione di nuove start up. Ci sono tanti contest a vario livello per far emergere queste idee imprenditoriali, ma ci sono anche molte iniziative a fondo perduto. È un percorso volto a far si che i giovani si orientino verso l’attività imprenditoriale, mettendo a frutto le loro competenze non solo strettamente tecnologiche ma di percezione di quelli che possono essere i loro bisogni nel mercato. La gran parte di questi prodotti consistono in applicazioni che offrono servizi. In questo contesto in cui si cerca di promuovere il terzo settore, si inserisce la figura della società benefit con una sfilza di commi che hanno vari contenuti nel senso che all’inizio c’è un discorso programmatico, si definisce la società benefit, si dichiara che si vuole favorire la diffusione di questa tipologia di società e le si definisce come società che nell’esercizio di attività economica, siamo nell’impresa degli artt. 2082 e 2247 a tutti gli effetti. Vediamo che queste imprese oltre allo scopo di dividere gli utili (lucrative per la prima parte) perseguono una o più finalità di beneficio comune (quindi doppia finalità di utilità sociale) e però non bastano questi due scopi fine utili – utilità sociale; dal punto di vista organizzativo, dello scopo mezzo, operano in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di quelli che nel lessico attuale si chiamano ormai comunemente stakeholders, cioè tutti i portatori di interesse che si aspettano l’impatto e subiscono l’impatto dall’attività dell’impresa, quindi persone, comunità, territori, ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interessi. La definizione di stakeholder nei cui confronti la società benefit deve operare responsabilmente; quindi, organizzarsi in modo da rispettare le aspettative, le domande e i bisogni di questi soggetti, sono tutti i possibili interlocutori che l’imprenditore si può trovare davanti nel contesto in cui opera (enti e associazioni del terzo settore, enti culturali, ambientali) È una formulazione estremamente vasta. Il legislatore apparentemente se ne rende conto, nel co successivo dice “le finalità di cui sopra sono indicate esplicitamente nell’oggetto sociale della società benefit” che è clausola dell’atto costitutivo della società che ha all’interno la descrizione delle attività programmate. Nel momento in cui si costituisce una società viene redatto dal notaio questo documento di cui una clausola importante è quella dell’oggetto sociale. Nel caso della società benefit attenzione anche a come la società svolge la sua attività che non è più neutra oltre alle sue finalità ma deve essere esercitata in modo responsabile e sostenibile se vogliamo usare due parole di sintesi in questa formulazione. 25 Problema che si risolve agevolmente quando ci sono tutte quelle dotazioni di fattori produttivi che caratterizzano un’impresa, che se fossero messe in campo per mettere sul mercato un bene caratterizzerebbero impresa, si applica lo statuto dell’impresa. Non importa che il bene sia destinato o meno al mercato. Chi lavora per lui, consegna materie prime, lo finanzia, è un soggetto che deve essere tutelato perché se rimanesse senza tutela il mercato avvizzirebbe e scomparirebbe, non ci sarebbe più fiducia nelle attività produttive. Le norme poste a tutela del mercato si devono applicare anche se chi produce non produce per il mercato. Cosa ne fa di quello che produce non interessa ai fini dell’applicazione dello statuto dell’imprenditore. Questo problema dell’esaustività si pone per l’altro aspetto che il manuale conclude apoditticamente. La giurisprudenza ha un approccio più pragmatico, applicava il ragionamento per cui se queste norme sono a tutela dei terzi e non le andiamo ad applicare a chi viola la legge, gli diamo addirittura vantaggio rispetto agli imprenditori onesti. La giurisprudenza diceva che non si può far dipendere dalla illiceità dell’attività l’applicazione di norme che proteggono il mercato, quindi soggetti che sono parti deboli rispetto all’imprenditore. In tutta questa riflessione si è fatta distinzione ulteriore tra vizio meno grave dell’impresa illegale, che esercita attività senza autorizzazione o opera in un campo dove servono autorizzazioni amministrative che non ha conseguito, cfr. banchiere di fatto cioè soggetto che mette a disposizione denaro o raccoglie risparmio o lo investe, svolge attività di impresa di investimento senza le prescritte autorizzazioni. È questa ipotesi di impresa illegale, nel nostro ordinamento per esercitare attività bancaria così come finanziaria occorre aver conseguito una specifica autorizzazione. Qui si fa abbastanza presto a discernere, nel senso che sicuramente a questo soggetto si applicano le sanzioni amministrative del caso: quello su cui si discute è se l’applicazione dello statuto dell’imprenditore sia integrale (si applicano sia regole a favore sia contro). Le sanzioni saranno quelle delle altre sezioni dell’ordinamento che vanno a punire questo tipo di attività. Nel caso dell’impresa immorale si dice l’oggetto sia illecito; l’impresa che si organizza per raffinare la trota o per commerciare armi di contrabbando, l’oggetto è illecito ma anche questa impresa potrebbe dar luogo a contratti leciti. Vi si applicherebbero solo le disposizioni che sono a lui sfavorevoli, sulla base di questa impostazione per cui si dice che la qualità di imprenditore non può essere invocata perché nel momento in cui ci si dichiara imprenditore si mette a presupposto dell’attività che si vuole promuovere un illecito. Pomeriggio Stamattina abbiamo introdotto due concetti - Impresa sociale - Società benefit 26 Ci dedichiamo a quelle qualificazioni dell’imprenditore che ci consentono di porre rimedio a quella definizione estremamente generica incontrata al 2082 c.c. L’impresa è una fattispecie: che significa? L’impresa ha rilevanza giuridica in quanto dotata di una serie di caratteristiche da riconoscere nell’esperienza concreta della vita pratica, delineate in uno schema dato dal 2082. Il fatto di esercitare impresa non fa scaturire reazioni giuridiche di per sé: i fini a cui rileva individuare la fattispecie impresa è l’attrazione al soggetto che la esercita di una certa disciplina. Anticamente e comunque nella struttura del diritto commerciale che corrisponde all’età napoleonica – il nostro Codice civile ha quella matrice, il codice francese – era basato sulla concezione oggettiva perché in quella fase storica non si tollerava la separazione dei cittadini in classi, cioè non si tollerava la differenza in discipline differenziate. Sistema attività piuttosto che sistema soggetto. L’imprenditore nel 2082 lo definiamo chiamandolo imprenditore, lo definiamo sull’attività non tanto sulle qualità che gli appartengono. Nel diritto commerciale, rispetto all’esperienza fatta col diritto privato, abbiamo un sistema ad attività e non a soggetto. Nell’art. 2082 possiamo riconoscere varie figure che vanno dalla persona fisica fino alla grande società multinazionale. Quello che rileva è l’attività. Questa prospettiva dell’attività la vedremo in una disciplina particolare che è quella dell’azienda: l’abbiamo menzionata parlando dell’organizzazione dell’impresa. L’azienda assume un valore unitario perché organizzata in funzione dell’attività, quindi non tanto sulla base dei titoli giuridici su cui l’imprenditore si assicura i prezzi della produzione Come si fa a ritrovare le regole da applicare alle singole figure concrete? A questo scopo servono gli artt. 2083 e 2135 e 2195. Tutte queste regole che stanno più o meno vicino alla nozione di imprenditore servono a individuare quegli imprenditori che sono destinatari di una disciplina più intensa, di un nucleo più stringente che si chiama statuto dell’imprenditore commerciale. La differenza tra statuto generale e speciale dell’imprenditore commerciale medio-grande, nel corso degli anni si è attenuata. Nell’impianto originario del codice questa differenza era molto marcata: imprenditore agricolo e piccolo imprenditore era destinatario di un numero minimo di norme, si riteneva che la tutela dal mercato di cui parlavamo stamattina era meno stringente. C’era una divisione in due: statuto generale dell’imprenditore che si applica a tutti; statuto dell’imprenditore medio-grande che era un insieme di norme più vincolanti e più impositive di una compliance da parte dell’imprenditore che erano riservate a chi svolgeva attività commerciale. 27 Esonero delle imprese piccole e delle imprese agricole da una serie di oneri e incombenze legate allo status di imprenditore commerciale medio-grande. Con gli anni questa distinzione si è attenuata: un po’ perché è mutata la fisionomia del nostro tessuto imprenditoriale, le imprese molto variegate dal punto di vista delle dimensioni e della tipologia di attività nell’economia degli anni ’40 del secolo scorso prevalentemente rurale, si sono innestate in un tessuto più dinamico. Da un lato l’impresa industriale ha preso degli spazi più ampi; dall’altro l’impresa agricola si è meccanizzata. Alcune delle ragioni per cui inizialmente l’impresa agricola era esonerata da una serie di vincoli sono venute meno. Impresa agricola: siamo consapevoli del fatto che le norme che leggiamo sono figlie di un periodo storico ben preciso e di scelte ideologiche precise. Nell’ideologia fascista l’obiettivo era dare una connotazione unitaria all’impresa, di fare un modello che potesse andare bene per tutte le misure. Questo corrispondeva a un’idea di ugualitarismo: rispetto al vecchio commerciante, soggetto privilegiato di una classe sociale che si autoregolava, con la nozione di imprenditore queste disuguaglianze vengono eliminate. Queste sono il potere demagogico di questo discorso ma in realtà col sistema corporativo di quegli anni si voleva dare un ordinamento specifico e si applicava una forma di dirigismo all’economia. Le corporazioni di epoca fascista non c’entravano nulla con le corporazioni medievali: servivano solo a dare orientamento, ordinamento di matrice politica, stabilendo a monte obiettivi produttivi. Le corporazioni sono state abrogate anche se ci sono dei residui di questo vecchio riferimento all’ordinamento corporativo. Cosa alla fine rimane di questo passaggio storico? Rimane una nozione unitaria che però ha bisogno di essere ulteriormente specificata, perché sarebbe sicuramente eccessivo applicare alle imprese minori, soprattutto a quelle di piccole dimensioni, delle regole pensate per la tutela del credito e della produzione di cui parlavamo stamattina. Le norme elencate, 2083; 2195;2135, sono norme che servono a definire le fattispecie concrete di imprenditore che potranno essere di varie tipologie e che possono essere classificate anche in diversi modi. Il fatto di isolare le categorie minori, quindi le imprese di minori dimensioni dando modo a queste imprese di essere esonerate da alcune regole – regole sull’impresa più sono stringenti più si traducono in costi, oneri pubblicitari, di trasparenza. Perché occorre statuto differenziato per le imprese agricole? Si giustificano oneri organizzativi di pubblicità e trasparenza tanto più sono coinvolti interessi di terzi. Più l’impresa è grande più sarà finanziata dall’esterno, cfr. problema di tutela del risparmio nel caso in cui sono i consumatori a fornire il capitale delle aziende: ciò che succede facendo trading acquistando azioni. Siamo sottoposti al rischio di impresa: se la società incorre in qualche evento sincratico o sistemico, esempio del Covid-19, le nostre azioni perdono valore fino allo zero. 30 a tenere traccia del numero delle imprese agricole e della loro fisionomia in Italia, quindi introducendo la c.d. pubblicità notizia, un registro con funzioni anagrafiche delle imprese con quell’oggetto; nel 2001 questa iscrizione è stata completamente equiparata a quella dell’imprenditore commerciale. Questi negozi sono stati via via oggetto di erosione progressiva. Perché? L’impresa agricola nel ’42 era esonerata da tutta una serie di cose: di fatto operava fuori da qualsiasi regola di trasparenza e tutela dei creditori. Perché questo regime di favore? Ci sono due giustificazioni: 1. Tesi biologiche sulla impresa agricola, essendo diretta alla coltivazione e allo sfruttamento del fondo fondamentalmente anche quando si risolve in attività di allevamento, assomiglia ad attività di godimento piuttosto che attività imprenditoriale produttiva; l’attività agricola prima della meccanizzazione era essenzialmente legata allo sfruttamento del fondo, come se si traessero dal fondo le risorse che naturalmente poteva dare, era più vista come attività di godimento che come attività produttiva vera e propria 2. L’imprenditore agricolo deve essere esonerato da una serie di oneri e quindi di costi perché è sottoposto al c.d. doppio rischio. Imprenditore agricolo non rischia solo quello che ciascun imprenditore rischia, quindi non riuscire a recuperare i costi di protezione con le vendite sul mercato, ma rischia anche che il raccolto vada distrutto perché ci sono condizioni atmosferiche meteorologiche che sono da lui imprevedibili e anche incontrollabili, cfr. effetti del cambiamento climatico. Si riteneva quindi di dover dare delle regole specifiche, in particolare esonerare l’impresa agricola da alcune disposizioni. Prima della riforma del 2001, tutt’ora fondamentale per la nozione di impresa agricola, la nozione era la seguente: era considerato imprenditore agricolo colui che esercitava attività diretta a coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame e attività connesse. Per attività connesse si intendevano le attività di trasformazione o di vendita dei prodotti agricoli, purché il collegamento con queste attività accessorie – che sarebbero di per sé di natura commerciale perché se io vendo un bene faccio un atto di commercio, quindi non tutte queste attività bisognava dare un criterio di collegamento affinché le attività commerciali rimanessero agricole – era dato dall’esercizio normale dell’agricoltura. In sintesi, con l’art. 2135 anzitutto si imponeva il collegamento dell’attività principale con il fondo, queste attività dovevano essere risolte sfruttando il fattore terra; secondo aspetto, per allevamento si intendeva bestiame. È un concetto zootecnico, fa riferimento ad animali che hanno a loro volta un collegamento diretto col fondo perché si nutrono con i prodotti del fondo o perché lavorano sul fondo. In questa nozione, ad esempio, l’allevamento degli animali da pelliccia non rientrava, così come l’allevamento di animali sportivi (cavalli da corsa). Già allora erano incluse in questo regime di favore anche le attività commerciali connesse, strumentali, purché rientrassero nell’esercizio normale dell’agricoltura. Questa parola normale ha non solo un significato importante dal punto di vista del perimetro dell’art. 2135 perché ciò che è normale ci richiama qualcosa di retrospettivo, cioè per diventare normale vuol 31 dire che si è affermato nel settore nel tempo. Questo per l’aspetto anacronistico dell’impresa agricola, ed è la ragione per cui con questo decreto legislativo del 2001 si sono volute adeguare le regole alla modernizzazione verificata nell’ambito del modo di esercitare queste attività anche se sono state adottate delle formule più ampie e prospettiche, piuttosto che retrospettive, che consentono di cogliere gli avanzamenti che ci sono stati nel frattempo. pausa Testo vigente del 2135: nel 1942 fino agli anni di questa riforma la fisionomia dell’impresa agricola nella realtà socio-economia era molto cambiata, c’era stato un processo di forte meccanizzazione, di industrializzazione dell’agricoltura, anche gli investimenti del settore agricolo si erano fortemente rafforzati; questo esonero dell’impresa agricola dalle regole relative all’impresa commerciale era sempre più difficile da giustificare. Teoria relativa al ciclo biologico, che comunque aveva un concetto estensivo di impresa agricola perché qualsiasi impresa che avesse curato un ciclo biologico, apriva a un’idea moderna di impresa agricola. Contrastava con un’altra lettura di questo fenomeno che riteneva che nel 2135 ci dovessero rientrare solo le imprese che producevano in modo tradizionale, sfruttando pienamente il fondo. Tra queste visioni contrapposte ha preso piede quella estensiva, che non dà importanza alle forme di produzione e che amplia notevolmente la sfera di pertinenza delle attività tipiche aprendo a una serie di attività accessorie, che prima erano connesse, non più legate a un dato qualitativo ma quantitativo della prevalenza. Al posto della normalità delle attività connesse, nel nuovo testo del 2135 troviamo il riferimento alla prevalenza. Attività essenziali, cosa dice la norma: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Animali al posto di bestiame, si allarga la sfera del concetto su cui insiste la definizione di allevamento, ci rientrano anche l’apicoltura, l’allevamento dei pesci, l’impresa ittica, e le attività connesse. Nella definizione delle attività tipiche, viene adottata questa teoria dell’impresa agricola estensiva legata al ciclo biologico. È impresa agricola qualsiasi attività che realizza un ciclo biologico a prescindere dalla misura con cui utilizza il fondo. Per selvicoltura e allevamento di animali si intendono attività relative alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso di carattere vegetale animale che utilizzano o possono utilizzare il fondo. Il fondo è elemento solo eventuale dell’attività agricola. Non importano le tecniche utilizzate per realizzare il prodotto agricolo, ci può essere coltivazione idroponica, aeroponica, sul fondo del mare, purché ci sia la cura del ciclo biologico e l’uso eventuale del fondo. Se poi decido di coltivare sotto il livello del mare non importa ai fini della nozione. Il concetto di animali allarga molto l’ambito e la nozione di impresa agricola. 32 Chi compra gli animali per rivenderli è commerciante, non è imprenditore agricolo. Guardiamo l’oggetto dell’attività ma deve esserci attività essenziale: se io, titolare di un’impresa agricola che ha una vigna, trasformo l’uva e vendo vino e acquisto lana shetland e rivendo questo prodotto, un’attività è agricola, l’altra è commerciale. Per essere considerato imprenditore agricolo devo essere autore di una delle attività tipiche che poi attraggono a sé le attività di trasformazione e rivendita. Se produco uva e vendo bestiame non sono imprenditore agricola per quanto riguarda il bestiame. Non è tanto l’oggetto dell’attività ma come questo oggetto viene realizzato e l’attività secondaria di vendita o trasformazione sia dipendente e connessa all’attività principale Anche nella definizione di attività connesse sono state introdotte delle attività che hanno scopo di ampliare l’ambito delle attività sottratte alla disciplina commerciale. Tutte queste attività connesse sono in sé commerciali. Queste attività connesse sono oggettivamente commerciali che vengono qualificate come agricole solo perché connesse, collegate a attività principale di natura agricola. Sono in realtà molto ampie perché si parla di attività di manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione, valorizzazione dei prodotti ottenuti prevalentemente dall’attività principale. Mentre avevamo delle attività connesse che erano esonerate dallo statuto dell’impresa commerciale perché legate a quelle principali da un legame di normalità, con occhio retrospettivo quello che è normale e si è consolidato nella tradizione di quel settore produttivo, qui abbiamo attività più ampie. Il concetto base non è più qualitativo, normalità, ma è quantitativo, prevalenza. Le risorse sulle quali si applicano queste attività commerciali devono venire prevalentemente dall’attività principale: prevalentemente, non del tutto. Esempio dell’uva: potrei anche trasformare vino con il 51% di uva che io produco e il 49% che importo. Quel 51 fa si che la commercializzazione del prodotto sia attratta nell’ambito dell’impresa agricola. Ci sono quindi due elementi: - Connessione soggettiva primo elemento, cioè attività principale e connessa devono avere lo stesso oggetto ed essere fatte dalla stessa persona. - Elemento qualitativo della prevalenza che va a sostituire il vecchio criterio qualitativo della normalità, criterio che frenava l’evoluzione dell’impresa agricola perché guarda al passato piuttosto che al futuro, mentre col criterio della prevalenza le attività connesse sono configurate nei modi più diversi, sicuramente fanno parte di questo catalogo di attività di fornitura di beni e servizi, di valorizzazione del patrimonio rurale , attività turistiche, arriviamo fino all’attività di prestazione di servizi che sono lontane dall’attività tipica di coltivazione del bosco, collegamento di animali. 35 La risposta è no, non c’è bisogno di terza categoria per includere queste attività in cui di fatto non c’è attività manufatturiera, perché il senso della produzione industriale può essere inteso nel senso della trasformazione anche non materiale, non fisica di risorse esistenti per la creazione di nuova ricchezza e la soddisfazione di bisogni nuovi. Quanti dei servizi che noi conosciamo vengono offerti tramite i social? Di base le risorse dei social si limitano a controllare quello che esiste, quello che noi mettiamo a disposizione pubblicando le nostre informazioni o accettando i cookies quando entriamo in un nuovo sito. Questi sono tipici esempi di attività che è vero che utilizzano risorse messe a disposizione dal pubblico attraverso navigazione in Internet, ma di fatto creano nuove risorse, creano ricchezza perché soddisfano nuovi bisogni. Anche se non producono nel senso storico del termine industriale in senso di manufatturiero, comunque producono prodotti o servizi che caratterizzano la loro industrialità nel fatto di dare utilità nuove. In una società come la nostra della comunicazione di massa, le utilità sono sempre più minute, sempre più difficili da qualificare nel processo produttivo, ma questo fa parte di come l’assetto dei nostri bisogni e il nostro mercato dei consumi si è sviluppato nel tempo. Questo dibattito sull’impresa civile è superato e superabile, così che data la corrispondenza dell’attività di impresa alla nozione dell’art. 2082 possiamo lavorare per sottrazione. Esclusa l’impresa agricola, si tratta sicuramente di impresa commerciale 2195. Lezione 4, 10 ottobre 2023 Impresa bancaria Impresa che esercita attività di raccolta del risparmio tra il pubblico per l’esercizio del credito. L’attività bancaria tipica può essere esercitata solo dalle banche, imprese autorizzate da autorità pubbliche e sottoposte a vigilanza. Ci sono anche altre possibilità per investitore e imprese di trovare risorse finanziarie: si può creare un rapporto tra investitore e impresa. Qualsiasi soggetto può comprare quote di debito per finanziare una società: in alternativa la banca è l’intermediario. Vedremo che le banche, per la loro specifica attività, sono soggette a regole particolari che deroghino alla normativa - TUB, Testo Unico Bancario, contenente le regole riguardanti attività e organizzazione di impresa bancaria; vigilanza; procedure concorsuali. Una banca non è soggetta a fallimento, ma è soggetta a specifiche procedure concorsuali destinate a tentare di salvare l’impresa. Questo perché, mentre un’impresa che fallisce ha effetti solo su chi ha rapporti con l’impresa, se fallisce la banca l’effetto domino è più ampio. - Codice civile, terzo libro - Discipline settoriali, ad esempio sui servizi di pagamento. La disciplina specifica è nel d.lgs. 11 del 2010, aggiornato nel 2018. 36 Che cos’è una banca, quando un soggetto o impresa può essere qualificato come banca Il TUB dice che la banca è un’impresa autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria. Questa definizione data dal legislatore dà indicazioni importanti per individuare il soggetto TUB. Anzitutto la banca è un’impresa, che svolge attività bancaria. È l’attività svolta che qualifica il soggetto. L’attività bancaria è subordinata a un’autorizzazione. Primo elemento: la banca è impresa che svolge la propria attività all’interno del mercato finanziario. Art. 2082 c.c.: non dà solo definizione di impresa ma riprende concetto economico di imprenditore, cos’è attività di impresa? Un’attività coordinata, una serie coordinata di atti legati tra di loro da una Si caratterizza per scambio di beni e servizi in determinate modalità: organizzazione, metodo economico, professionalità. Si tratta di un’attività, c.c. fa riferimento a organizzazione quando parla di imprenditore come soggetto al vertice, più alto in grado nella catena impresa, e all’azienda, beni funzionali a esercizio di impresa. Si presuppone che imprenditore si organizzi. Economicità dell’attività Sistematicità dell’attività. La banca deve svolgere la propria attività all’interno dello stato finanziario seguendo queste caratteristiche: non in modo occasionale senza organizzazione, anzi la specifica attività della banca fa si che ci siano regole organizzative molto più rigide di quelle dell’impresa. 1. Attività, aspetto più importante dell’attività bancaria. La specifica attività di impresa è definita all’art. 10 del TUB. Da una parte raccolta di fondi; dall’altra erogazione del credito. Il TUB specifica che questa attività ha carattere di impresa. Attività bancaria è riservata alle banche e si intende il fatto che le due attività appena menzionate siano esercitate congiuntamente. Più nello specifico, attività di raccolta fondi presso pubblico è funzionale a attività di erogazione credito. Questo è elemento che distingue ancora oggi la banca da tutti gli altri soggetti che attualmente si trovano nel mercato finanziario. Le due attività disgiuntamente possono essere svolte anche da altri soggetti che non sono intermediari bancari. Es. istituti di pagamento, paypal. 37 Non è banca, svolge attività parabancaria. Possiamo fare un piccolo conto, una piccola somma. Una specie di raccolta di fondi. Questa è l’attività principale della banca, ma svolge anche ulteriori attività. Es. attività strumentale a quella principale (raccolta fondi e erogazione credito) ampliando i servizi offerti. Es. cassetti di sicurezza. Tuttavia, attività di servizi di pagamento non è esclusiva dell’intermediario bancario. Le banche non possono svolgere attività assicurativa. In sé ha molti rischi pertanto il legislatore potrebbe evitare che si cumuli una quantità eccessiva di rischi su uno stesso soggetto. Si vuole evitare che l’intermediario bancario utilizzi i proventi di una delle due attività per realizzare l’altra attività. Quali sono le due attività realizzate dalla banca: - Raccolta di denaro verso il pubblico - Erogazione di denaro al pubblico È un’attività in cui la banca diventa debitrice dei propri clienti. Tutte le operazioni che rientrano in questa categoria sono considerate passive. Quali sono le principali operazioni passive della banca: per quanto riguarda raccolta denaro a breve termine, il deposito bancario (c.c.). Se c’è termine convenuto alla scadenza la banca restituisce la somma: può esserci contratto in cui richiesta di restituzione può essere immediata, senza necessità di preavviso, si parla di Questo tipo di contratto si lega al contratto di conto corrente bancario: instaura rapporto tra cliente e banca permettendo di gestire il deposito bancario, posso svolgerlo sul conto corrente, fare prelievi, versare somme, addebitare direttamente le bollette che devo pagare sul mio conto corrente bancario. La banca gestisce il mio conto e ha acquisito la proprietà del denaro che ho depositato. Qual è il principale rischio di questo tipo di contratto. perché è rischioso per la banca? L’attività della banca deve essere sistematica e basata su larga scala, su tantissimi contratti di conto. L’attività della banca si basa su un calcolo statistico in cui la banca cerca di calcolare la riserva monetaria che deve tenere per far fronte alle richieste improvvise del cliente. Se metto deposito a vista, quindi con possibilità di riprendere denaro quando voglio senza preavviso, la banca potrebbe non avere più denaro disponibile da dare come prestito, non può trovarsi scoperta. È necessario che abbia quantità di riserve monetarie tali per portare avanti le attività. C’è una gestione a monte del rischio Altra operazione tipica per cercare di avere dei fondi monetari, sono le obbligazioni bancarie. Sono funzionali alla ricerca di fondi monetari a medio e lungo termine. 40 La banca pubblica elenco intermediari che non adempiono Dal punto di vista monetario, nell’immediato non è un problema per l’intermediario perché è solo pubblicazione nomi, ma è importante per la sua reputazione. Terzo elemento: necessità di un’autorizzazione. L’attività di impresa è libera nei limiti di ciò che è lecito. Il codice dice anche che vi sono particolari categorie di imprese che possono subordinare lo svolgimento dell’attività a una autorizzazione o una concessione amministrativa, cfr. attività bancaria, proprio perché particolarmente delicata e rischiosa. Si può svolgere lecitamente solo se autorizzata. Il TUB punisce esercizio abusivo di attività bancaria con reclusione fino a 6 mesi e pena pecuniaria. Autorizzazione rilasciata da BCE su proposta della Banca d’Italia, dopo aver verificato la sussistenza di determinati requisiti. Il soggetto che vuole svolgere attività bancaria deve dimostrare di avere questi requisiti previsti dalla legge. Mancanza di autorizzazione inficia lo svolgimento dell’attività: l’impresa è costituita ma svolge abusivamente la propria attività. È l’attività che è illecita perché manca l’autorizzazione. Quali sono i requisiti? - Lett. A fino a lett. D riguardano organizzazione, struttura che deve essere perseguita per svolgere attività bancaria. o Forma giuridica. Posso decidere se sono imprenditore di svolgere attività in forma individuale o associata. Se decido di costituire società con più soci posso scegliere fra diversi tipi di società. Non esistono società atipiche. Nel caso dell’attività bancaria la scelta è fatta dal legislatore. Posso costituire banca solo in forma di S.p.A. o società cooperativa per azioni. Il contratto di società viene disciplinato dall’art. 2247 secondo cui con contratto di società due o più persone conferiscono beni o servizi per l’esercizio in comune di un’attività economica allo scopo di dividerne gli utili. Si tratta anzitutto di attività svolta da più soggetti non in forma individuale. Le società in generale si caratterizzano per presenza di tre elementi: ▪ Conferimenti dei soci, in denaro. Sono la parte del patrimonio personale che decido di vincolare alla mia attività di impresa, parte del mio patrimonio che metto a rischio di impresa. ▪ Esercizio in comune di attività economica, che ha le caratteristiche di economicità, il c.d. scopo mezzo ▪ Scopo di divisione degli utili. Non è l’unico scopo che si persegue con una società, c’è anche scopo mutualistico cioè di offrire ai soci tutta una serie di servizi o occasioni di lavoro o beni a condizioni più convenienti di quelle che i soci potrebbero ottenere sul mercato. All’interno delle società con scopo di lucro, tradizionalmente, si fa una divisione che non c’è nel codice civile ma che viene riportata tra società di persone e di capitali. Società di persone che 41 pongono una particolare attenzione alle figure dei soci tanto è vero che ci sono regole tese a mantenere per tutta la durata della società la stessa formazione iniziale, regole stringenti per quanto riguarda successione da socio all’altro, ma che si caratterizzano anche per possibilità riservata ai soci di adeguare la società, le regole societarie alle esigenze dell’attività che viene svolta. Ai soci è data la possibilità di derogare a regole del c.c. che si impongono, disciplinano la società se i soci nulla dispongono. Diverse sono le società di capitali, il nome cerca di rievocare l’importanza che il legislatore da al capitale. Sono società che hanno regole più rigide per quanto riguardano la formazione del capitale sociale che hanno una serie di regole a tutela dei creditori della società. Soprattutto S.p.A. è il modello classico della società di capitali e che ha organizzazione particolarmente strutturata. Quando l’attività svolta è bancaria si richiede questo tipo di società, con regole di base molto rigide. per quanto riguarda struttura societaria, se il TUB nulla dice si fa una S.p.A. o Sede legale e principale ubicate nel territorio nazionale o Capitale sociale. Nelle S.p.A. il legislatore stabilisce capitale sociale minimo previsto per iniziare l’attività d’impresa. Indicato dalla banca d’Italia per l’attività bancaria, cfr. potere di vigilanza sul mercato finanziario che ha la Banca d’Italia. Attualmente il capitale sociale richiesto è di 10milioni di euro per banche in forma di S.p.A. e 5 milioni per banche di credito cooperativo. Vi è deroga a regole del c.c. perché capitale richiesto per S.p.A. che non svolga attività bancaria è di 50mila euro. Nel caso della banca il capitale richiesto è molto più alto. o Programma riguardante attività iniziale. Non solo deve descrivere l’attività, quali sono i risultati economici puri che si prevedono, ma si deve anche fare descrizione di quelli che sono i rischi a cui la banca andrà incontro rispetto all’attività che si pensa di portare avanti e quali sono i rimedi che la banca pone in essere per cercare di bloccare questi rischi. Programma elaborato dagli amministratori. - Requisiti da E a G, tendono a consolidare la posizione della banca o Esponenti aziendali. Nelle banche di grandi dimensioni requisiti sono richiesti anche per direttori generali e chi è predisposto a determinati uffici, es. antiriciclaggio. Anzitutto requisiti stabiliti dal ministro dell’economia e delle finanze sentita la Banca d’Italia con decreto. L’ultimo è quello del 2020. Viene fatta una distinzione tra requisiti e criteri anche se poi quando la banca di grandi dimensioni si applica a tutti gli organi importanti. Quali sono requisiti degli esponenti aziendali? Questi sono requisiti rigidi applicati automaticamente: la banca può applicarne di più restrittivi. ▪ Onorabilità, requisito che serve a salvaguardare il buon nome della banca. Esempio: non può esercitare attività bancaria chi è stato recluso, anche nelle posizioni più basse. Nel caso in cui l’ipotesi si verifichi dopo che il soggetto ha avuto la carica, la carica deve essere ritirata ▪ Professionalità, scopo di infondere fiducia e far si che la gestione e l’amministrazione della società sia affidata a persone che hanno conoscenze, 42 siano idonee a ricoprire quel ruolo. Viene valutata non solo la conoscenza teorica del soggetto che deve ricoprire quella carica ma anche l’esperienza. Si deve garantire apporto fiduciario tra amministratori e ruolo di controllo. Chi aspira a ruolo esecutivo deve avere almeno esperienza triennale in società o altra banca o comunque nel settore del credito, assicurativo, deve aver maturato una serie di conoscenze. ▪ Correttezza, si valuta sia profilo personale che quello professionale. Il tutto al fine di salvaguardare la reputazione della banca Chi aspira a ruolo apicale non può avere avuto sentenze anche non definitive in cui viene appurato che c’è stato comportamento illecito ▪ Indipendenza, es. essere coniuge di un membro ad esempio di un altro organo e devo garantire che questa situazione di potenziale conflitto di interesse non interferirà col mio lavoro. Nelle banche di grandi dimensioni vengono valutati altri elementi ▪ Adeguata composizione collettiva dell’organo ▪ Disponibilità di tempo ▪ Cumulo di incarichi Altro elemento dell’elenco di prima dopo requisiti aziendali o Presupposti per acquisizione di partecipazioni L’obiettivo del legislatore è quello di garantire che le scelte gestionali fatte nella banca siano indipendenti e quindi non influenzate da soggetti esterni all’impresa. I soci di una società in base alle azioni che possiedono hanno maggiore o minore potere di controllo. Più azioni ho più ho possibilità di far sentire la mia voce in assemblea. Partecipazione rilevante quando di fatto il numero di partecipazioni che ho mi garantisce la possibilità di controllare le vicende di difesa, quindi avere maggiore potere e esercitare su di essa influenza notevole. Influenzare scelte della società verso i miei interessi personali. Ci sono regole specifiche di diritto societario e in ambito bancario, proprio perché vista l’attività che svolge la banca intesa come attività sociale – da intendere non come attività socialmente sostenibile ma come funzione importante all’interno della società – per evitare che si creino situazioni di controllo che possano sviare la banca da una corretta gestione, il legislatore ha individuato soglie oltre cui per l’acquisto di ulteriori azioni ci deve essere autorizzazione dalla BCE che viene rilasciata solo se si ritiene che il soggetto sia solido e in grado di far mantenere gestione. La domanda di autorizzazione deve essere presentata prima o comunque contestualmente alla stipula dell’atto costitutivo. Il notaio può poi procedere a deposito di atto costitutivo, 45 idiosincratiche, come sono le crisi individuali dell’impresa che non riesce a realizzare sul mercato il programma che si è prefissata, ma anche crisi sistemiche, come crisi, pandemia. Perché la disciplina della crisi è centrale anche per l’impresa? La crisi non è solo un momento eventuale ed ipotetico ma diventa un momento fisiologico dello sviluppo del sistema economico. Ecco perché questa disciplina va a toccare in modo penetrante anche la disciplina dell’impresa nella sua fisiologia. Art. 2086 nel co. 2 ha funzione centrale nel definire requisito di organizzazione dell’impresa. Altra incidenza significativa è nel definire la dimensione organizzativa dell’impresa. Abbiamo definito due categorie di imprenditore: - Imprenditore commerciale - Imprenditore agricolo Fra queste due categorie, se facciamo del 2082 un insieme comprendente tutte le attività economiche, professionali o organizzate volte alla produzione o scambio di beni e servizi, abbiamo due soli sottoinsiemi dal punto di vista dell’oggetto della produzione, quindi cosa fa o può concettualmente fare l’imprenditore: o svolge attività agricola o commerciale. Questi due sottoinsiemi sono legati a loro volta a due norme definitorie: - 2195 per impresa commerciale - 2135 per impresa agricola È possibile un terzo sottoinsieme, quello dell’impresa civile? Che sfrutta risorse senza effettuare la trasformazione delle stesse quindi senza creare qualcosa di nuovo. No: le imprese o sono agricole o sono commerciali. Per le imprese agricole si applica la parte di statuto dell’impresa destinata all’impresa agricola; non si applicano le norme destinate all’imprenditore commerciale: contabilità, pubblicità anche se fino a un certo punto: nel 2001 una legge di modernizzazione del settore agricolo ha introdotto anche per l’impresa agricola l’obbligo di iscriversi nel registro delle imprese. Le differenze di disciplina nel ’42 erano molto rilevanti, nel 2001 rispetto alla pubblicità si equiparano le imprese, anche se è prevista una sezione speciale per questa iscrizione, sezione prima prevista solo per una pubblicità notizia. Abbiamo quindi un contenitore che è il 2082 e due tipi di attività possibili. Non c’è un terzo genere. Quando parliamo di piccolo imprenditore ex art 2083 c.c., parliamo di un altro tipo di classificazione. Non distinguiamo più sulla base dell’oggetto della produzione, di che cosa l’imprenditore fa, ma stiamo distinguendo sulla base delle sue dimensioni. Abbiamo detto che la nozione di impresa è troppo grande per poterci dire qualcosa di preciso rispetto alla qualificazione di una fattispecie concreta: stabilire un criterio dimensionale, verticale (non più solo orizzontale circa l’oggetto) ci aiuta a tracciare confini. 46 Quella di piccola impresa è una nozione anzitutto economica: il legislatore del ’42 utilizza il metodo dell’economia, sceglie consapevolmente di utilizzare un linguaggio economico proprio per far si che la legge sia vicina alla pratica, ossia ai termini utilizzati in pratica. Esempio dell’uso del termine contratto invece che negozio giuridico. Anche quando si parla di impresa si descrive una categoria della realtà: il piccolo imprenditore è un concetto che ha un suo background, un suo significato proprio nella realtà economica. Dal punto di vista economico fondamentalmente sono 3 gli elementi che si guardano per definire un’impresa di piccole dimensioni: - L’ammontare del fatturato, quindi gli affari dell’impresa - Il numero dei dipendenti, forza lavoro impiegata in quell’organizzazione - Il capitale investito. Oggi tanta parte di produzione può essere automatizzata: possiamo avere un’impresa di grandi dimensioni che però impiega poco personale umano. Cfr. grandi software house: il capitale materiale è prevalente rispetto a quello umano impiegato nello sviluppo di prodotti e servizi. Una nozione economica esisteva ai tempi in cui fu scritta questa norma ed esiste anche oggi: la tecnica legislativa adottata dal codice è di dare una sorta di tassonomia non chiusa ma esemplificativa. Vengono indicate delle figure tipiche di piccolo imprenditore: tipiche al momento in cui fu scritta questa legislazione. Se oggi dovessimo fare una tassonomia dei piccoli imprenditori ci sarebbero i creator digitali. Questa esemplificazione risponde a quello che accade nel momento storico in cui quella legge viene scritta: non ci sorprende vedere che nell’art. 2083 come figure tipiche sono individuati: - Coltivatore diretto del fondo, economia italiana era prevalentemente agricola anche se l’industrializzazione iniziava ad affermarsi - Piccolo commerciante, figura evergreen, esiste ancora anche se sempre più in crisi da forme di commercializzazione massive, cfr. commercio al minuto collegato ad attività di vendita di prodotti freschi è uno spazio utile per il piccolo commercio in quanto difficilmente sostituibile dalla grande distribuzione - Artigiano, esistono ancora anche se sono figure meno rilevanti La norma deve essere generale e astratta quindi deve ricomprendere anche le possibili varianti che sorgono nel tempo. Notiamo differenza tra norma giuridica, che deve poter ricomprendere una realtà mutevole anche nelle sue eccezioni, e la regola economica, che si basa su ciò che è quantitativamente più frequente. Infatti, il 2083 inserisce una clausola generale, considerando piccoli imprenditori tutti quelli il cui lavoro personale prevale sull’organizzazione dell’attività. Abbiamo incontrato la prevalenza anche nel 2135 parlando delle attività connesse dell’imprenditore agricolo. Prevalenza è il criterio che ha sostituito il vecchio criterio della normalità: nel 2135 la prevalenza era quantitativa. Negli esempi fatti abbiamo detto che 47 l’imprenditore che trasforma uva in vino resta imprenditore agricolo anche se utilizza il 49% di uva di un terzo, purché il 51% dell’uva provenga dalla sua vigna. Nel 2083 invece il discorso è qualitativo: bisogna vedere in che modo il lavoro personale dell’imprenditore incida sulla produzione, quindi sull’organizzazione dell’attività. Sono piccoli imprenditori i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti – esemplificazione di piccole imprese per definizione e per tipicità sociale – e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia. Esempio del creator digitale. Due cose vanno tenute presenti rispetto al 2083: il carattere della prevalenza qualitativa del lavoro dell’imprenditore sugli altri fattori della produzione, che possono essere capitale o lavoro altrui (di soggetti diversi da lui stesso e componenti della famiglia), deve essere rispettato anche quando siamo di fronte ad artigiano, piccolo commerciante o coltivatore diretto del fondo. La menzione “coltivatore diretto del fondo” deve farci ricordare che esistono società agricole che si sono aperte al mercato, sono di grandi dimensioni e magari sono anche quotate in borsa. Cosa implica essere piccolo imprenditore? Il piccolo imprenditore è comunque sottoposto al c.d. Statuto generale dell’impresa: è sottoposto a: - Norme sulla concorrenza - Norme sui segni distintivi, può avere un suo marchio, brevettare sue invenzioni, avere AU (intelligenza non brevettata) - Norme relative alla capacità dell’esercizio di impresa e all’imputazione dell’attività di impresa È esonerato da: - Obbligo di iscrizione nel registro delle imprese - Tenuta delle scritture contabili - Regolazione ordinaria della crisi Per l’esercizio dell’attività di impresa occorre normalmente la capacità di agire – vi sono regole particolari sull’esercizio da parte dell’incapace – e ci sono regole che ricaviamo dalle norme sul mandato che riguardano i meccanismi di imputazione dell’attività di impresa e quindi gli effetti patrimoniali dell’esercizio di attività di impresa, che ricordiamo essere rischiosa. Come anticipato, una corretta gestione della responsabilità patrimoniale comporta fiducia o sfiducia del mercato: è un meccanismo che incide sul buon funzionamento del mercato. Più le pretese dei creditori sono tutelate, più il mercato funziona; diversamente, si crea sfiducia da parte di investitori e lavoratori e il meccanismo del mercato si inceppa. 50 Aspetti interpretativi da risolvere: i beni iscritti in questo attivo patrimoniale possono essere anche beni storici il cui valore potrebbe essere cresciuto. In genere, ormai l’adozione dei principi contabili internazionali ha risolto questo problema: il valore del costo storico non viene utilizzato come bene contabile. A volte c’è grande differenza tra attivi di un’impresa costituita 30 anni fa e attivo attuale; vi sono i beni in leasing che misurano la dimensione che l’impresa ha - Ricavi lordi annui guardati in ottica triennale non superiori a 200mila€ Accade che l’impresa abbia ricavi straordinari legati a operazioni particolari che non fanno parte della normale attività d’impresa. La tendenza è guardare ai ricavi senza considerare da cosa derivano perché c’è questa dimensione triennale: l’impresa, per essere minore e quindi essere indirizzata al sovraindebitamento e non alla crisi dell’impresa, non deve aver superato queste soglie negli ultimi 3 anni. Basta il superamento di 1 soglia affinché l’impresa sia attratta nella disciplina della crisi e dell’insolvenza delle imprese medio-grandi. In economia per misurare la dimensione di un’impresa si guardano i parametri dimensionali delle sue attività + parametro del numero dei dipendenti. Quest’ultimo parametro non rileva ai fini fallimentari: avere un gran numero di dipendenti non pagati regolarmente incrementa il valore dei debiti. Raccomandazione 2003/361/CE, spesso citata in regolamenti interni verso le piccole-medio imprese: il fatto che la piccola impresa sia l’assetto dimensionale prevalente non è solo questione italiana ma riguarda tutta l’Europa (coprono circa il 70% del fatturato europeo e ammontano al 97%). L’UE le definisce in modo estensivo: - Media impresa: rimaniamo nell’ambito della media impresa quando abbiamo attività che impiega fino a 250 dipendenti, con fatturato annuo non superiore a 50mln€ oppure, in alternativa, un totale di bilancio annuale non superiore a 43mln€. Quando, come è accaduto nella S.R.L., abbiamo adottato normativa che apriva a tutte le s.r.l. piccole-medie imprese in senso europeo la disciplina del crowdfunding, quasi tutte le imprese italiane ci cadevano. Vi sono altre distinzioni importanti da fare: - Società L’impresa può essere una persona fisica ma spesso è una società, cioè è la società che si organizza per svolgere l’attività del 2082 c.c.; - Impresa pubblica - Enti privati del terzo settore, nell’ambito delle attività volte a finalità non strettamente lucrative. o Imprese sociali 51 o Associazioni o Fondazioni Dal punto di vista dei soggetti e degli interessi perseguiti questo ci consente di avere le diverse tipologie di soggetti che possono caratterizzare impresa. Forme dell’impresa pubblica Era un fenomeno importante in tutta la fase storica successiva all’emanazione del codice. Quando nasce il codice esistevano le corporazioni fasciste; ci sarà un grande intervento pubblico nell’economia da cui nascono i grandi enti pubblici economici che esistono ancora, es. SIAE. Oggi in gran parte sono stati privatizzati: passiamo da una fase in cui tutti i gangli principali dei servizi erano non solo nel controllo dello Stato ed esercitati da enti pubblici economici, organismi creati dallo stato per esercitare attività economica (di impresa) in un settore strategico per la società nel suo insieme. Negli anni ’90 del secolo scorso si è andati verso un modello privatistico: non è cambiata la strategicità di certi asset ma cambia l’esercizio dell’attività. C’è un T.U. dedicato alle società partecipate dallo Stato, d.lgs. 175/2016 sulle società a partecipazione pubblica che disciplina sia le grandi società in cui lo Stato ha ancora partecipazione rilevante attraverso il Ministero dell’economia, sia le società partecipate da enti pubblici territoriali. L’altra forma dell’impresa organo è una specie di apparato organizzativo che viene creato dentro il contenitore dell’ente territoriale, esempio: vecchie aziende sanitarie locali erano imprese organo, perché l’ente territoriale ha bisogno di offrire dei servizi e può scegliere di farlo organizzando un’attività di impresa all’interno della propria struttura. L’azienda territoriale è parte della struttura pubblicistica. Disciplina dell’impresa pubblica: le disposizioni del libro V si applicano solo agli enti pubblici economici. - Art. 2093, si fa riferimento alle associazioni professionali ma di fatto ci riferiamo agli enti pubblici economici, organismi creati dallo Stato per esercitare attività economica. Quando l’ente pubblico nasce per operare con metodo economico e agire sul mercato gli si applica la stessa disciplina dal punto di vista delle iscrizioni delle imprese private. Da un lato le società partecipate hanno disciplina privatistica fatto salvo per quanto previsto dal T.U.; le imprese organo non sono soggette a disciplina dell’impresa perché sono soggetti pubblici. Associazioni: gli enti del libro I possono svolgere attività economica, anche se hanno finalità ideale, cfr. distinzione tra scopo mezzo e scopo fine (il fine può essere ideale ma il mezzo può essere attività economica, quindi lucrativa). Secondo alcuni dovrebbero essere trattati come imprese pubbliche: la finalità è realizzare utilità sociale non arricchire i partecipanti; anche gli enti pubblici economici non sono sottoposti al codice della crisi. 52 Nel caso dell’associazione questo esonero diventava delicato: bastava che mi inventassi uno scopo ideale nell’oggetto, facevo molti debiti e comunque non fallivo lasciando i creditori in una posizione spiacevole. Si creava disparità di trattamento ingiustificata. È prevalsa la soluzione più restrittiva che nel caso di attività principale non pone distinzioni in base alla forma giuridica assunta per esercitare l’attività. È un’attività economica, si svolge sul mercato, pone il problema di tutela del credito alla produzione legato al fatto che sia esercitata da un ente nella forma del libro I. Nel caso di un’attività accessoria, qui l’argomento a favore dell’esonero era più significativo perché parte dell’attività era fuori dallo schema commerciale. Possiamo fare tutti i ragionamenti che vogliamo ma il giudice poi guarda i precedenti della Cassazione: si è consolidata l’opinione per cui se c’è attività d’impresa anche se è solo un ramo dell’attività, mentre nel caso dell’ente pubblico territoriale non si applica la disciplina dell’impresa, nel caso della riproduzione di questo modello in uno schema privatistico, quindi costituisco una associazione o una fondazione e poi la ramifico in un’attività commerciale, non ho le basi normative per trattarla come un’impresa organo. Privato e pubblico non possono essere messi sullo stesso piano sul versante interpretativo. Prevalendo l’esigenza di tutela dei terzi – principio ispiratore di tutto quello che diciamo – anche associazioni e fondazioni che hanno un ramo di attività commerciale pur svolgendo prevalentemente altre attività, sono sottoposte alla disciplina di impresa, con obblighi di pubblicità, contabilità, trasparenza e della Crisi secondo i parametri dimensionali. È attività commerciale a tutti gli effetti. Non si può estendere all’attività accessoria di una associazione o di una fondazione una regola pensata per l’impresa pubblica, anche se l’impresa pubblica a livello locale tende sempre più ad utilizzare schemi privatistici. Gran parte dell’attività pubblica in economia è comunque svolta da società partecipate dallo Stato o da enti territoriali. Impresa sociale: per la sua caratteristica di impresa volta a esercitare attività nell’ambito del terzo settore lasciato sguarnito dall’arretramento del welfare statale, è sottoposto alla liquidazione coatta amministrativa, previsione contenuta nel d.lgs. 112/2017, codice del terzo settore. C’è una previsione normativa che legittima il trattamento differente rispetto al caso ordinario; per associazioni e fondazioni questa normativa non c’è. Pausa In tutti i casi in cui c’è capacità di agire il problema dell’attività di impresa non si pone. Parlando della disciplina costituzionale, abbiamo visto che attività economica è libera. Chiunque può esercitare attività d’impresa: questo è il dettato di fondo che però incontra delle norme speciali a tutela degli incapaci o limitatamente capaci. Il diritto di impresa si trova a dover valutare disposizioni in altre parti del codice civile. 55 produttiva non è consentito. Si può solo chiedere continuazione di un’impresa che sia finita nel patrimonio dell’incapace. C’è una piccola diversità di trattamento rispetto al minore sottoposto a potestà genitoriale, in cui la presenza dei genitori rende meno penetrante il ruolo del Tribunale rispetto alla valutazione dell’utilità. Il fatto che il minore abbia i genitori ad affiancarlo nelle valutazioni relative alla gestione del suo patrimonio, comporta che non serve accertamento puntuale dell’utilità evidente, perché i genitori, rispetto al tutore, sono considerate persone più vicine rispetto all’interesse del minore quindi si attenua il controllo esterno sull’attività. Non possono comunque esercitare un’attività ex novo, non hanno comunque una libertà piena. Nel caso del minore sottoposto a tutela serve l’accertamento dell’utilità evidente: la domanda è sempre proposta dal tutore e l’autorizzazione viene espressa dal Tribunale. L’interdizione colpisce il maggiore di età che si trovi in condizioni di infermità di mente abituale e pertanto incapace di provvedere alla gestione e alla cura dei propri interessi: l’interdetto è trattato come il minore. Può solo continuare un’impresa che gli arriva nel patrimonio oppure, nel caso dell’interdetto, potrebbe essere stato lui a iniziare l’impresa prima che sopravvenisse l’interdizione. Mentre nel caso della minore età l’incapacità è legata a minore età, nel caso dell’interdetto le cause di incapacità possono essere sopravvenute. Si pone lo stesso problema circa l’autorizzazione a continuare: serve sempre l’assistenza del curatore. L’interdizione è una fattispecie più grave dell’inabilitazione per quanto concerne la deminutio della capacità; nel caso dell’inabilitato c’è una variante. Una volta che sia stato autorizzato, l’inabilitato può esercitare impresa da solo; gli viene affiancato un curatore per gli atti di straordinaria amministrazione. Quello che accade nella maggior parte dei casi è che il Tribunale gli affianchi un istitore: il piccolo imprenditore non può nominare un rappresentante. Il rappresentante tipico si chiama ISTITORE: ha potere completo sulle attività di impresa. L’inabilitato in genere, i contenuti di questi poteri dipendono da cosa il tribunale decide nel caso di specie. La regola di base prevede una gestione conservativa del patrimonio anche se una volta autorizzato l’esercizio dell’impresa, l’impresa è come qualsiasi altra. Vive di vita propria e viene esercitata come una qualsiasi impresa ad iniziativa autonoma. Non ci sono limitazioni in quello che un’impresa può fare La peculiarità del minore emancipato è che può iniziare l’impresa ex novo su autorizzazione del tribunale sentiti il curatore e il giudice tutelare. Non solo acquista qualità di imprenditore, ma acquista capacità di agire piena con esclusione della capacità di donare. Ultima figura è quella dell’amministrazione di sostegno: istituto che tende a tutelare persone che, pur non versando in condizioni gravi come quelle che determinano inabilitazione o interdizione, si trovano in situazione di limitata capacità di curare i propri interessi. 56 La disciplina è molto scarna: per capire cosa può fare rispetto all’impresa un amministrato di sostegno bisogna vedere quali sono gli atti che nel provvedimento che ha emesso l’amministrazione di sostegno sono stati ammessi o vietati. In teoria non c’è un divieto di iniziare attività economica ma nel provvedimento del giudice cautelare potrebbe essere inserito. Non abbiamo ancora toccato il tema della pubblicità legale dell’esercizio dell’impresa e di come questi caratteri distintivi dell’imprenditore e della sua attività vengono resi conoscibili al pubblico secondo le regole di trasparenza che sono capisaldi dell’istituto dell’imprenditore commerciale; come vengono iscritti nel registro delle imprese. Chi contratta con un imprenditore deve sapere se ci sono limitazioni strutturali o funzionali alla sua capacità di agire e quindi quali sono i soggetti autorizzati a porre in essere le dichiarazioni che attengono all’attività imprenditoriale. L’incapace, se autorizzato, diventa imprenditore commerciale. Inizio dell’impresa (capitoli 4 e 5 del manuale) È solo individuando il momento di inizio e fine dell’impresa che possiamo applicare la disciplina. Il sistema dell’impresa non è a soggetto ma ad attività. È un sistema dinamico: dobbiamo porci due problemi. 1. Da quando e fino a quando si applica lo Statuto dell’impresa? 2. Come imputare, cioè quali sono i criteri dell’imputazione della responsabilità d’impresa? La ragione per cui questo statuto deve essere chiamato a svolgere tutte le utilità che gli sono connesse è il fatto che molte delle regole di cui parliamo sono regole di trasparenza, fissate non solo nell’interesse dell’imprenditore ma anche nell’interesse dei terzi che contrattano con l’imprenditore. Potremmo dire che l’impresa inizia quando l’imprenditore si iscrive nel registro delle imprese: avremmo un dato certo. Se è vero che la disciplina si segnala anche per tutelare interessi di terzi, così sarebbe facile per l’imprenditore sottrarsi a certe conseguenze evitando di compiere quell’adempimento. Serve un dato oggettivo: doppia lettura sull’inizio dell’attività di impresa a seconda che si tratti di - persone fisiche e in generale per tutti i soggetti che non hanno come scopo istituzionale l’esercizio dell’impresa vale il principio c.d. di effettività: la qualità di imprenditore inizia dall’inizio effettivo e permane fino alla cessazione effettiva dell’attività. Criterio sostanziale. - soggetti che nascono per l’impresa e hanno come scopo istituzionale l’esercizio di attività economica, esempio: società, la qualità di imprenditore si possiede dalla costituzione della Società, quindi dalla stipulazione dell’atto costitutivo, fino alla cancellazione dal registro delle imprese. Criterio formale. Il manuale accoglie la seconda opinione dicendo che un atto posto in essere da un singolo può avere poco significato in senso imprenditoriale; l’atto singolo di una società ha un altro significato. 57 Se acquisto un immobile, per quanto sia immobile industriale, potrei non volerci iniziare un’impresa; se lo fa una società costituita per produrre maglieria, questo stesso atto assume un significato differente, più pregnante. Il manuale dice questo: vale comunque il principio di effettività, sia che si tratti di una persona fisica sia che si tratti di un ente del libro I o di una società; quello che conta è l’azione, l’attività che fa scattare l’applicazione della disciplina dell’impresa. Tuttavia, è chiaro che la valutazione dei fatti che portano a ritenere che l’impresa sia iniziata possono essere diversi a seconda del tipo di soggetto che li pone in essere. Non è che nel caso della Società non vale il principio di effettività: se rimane sulla carta, anche se iscritta nel registro delle imprese, non è impresa attiva. Vi sono imprese fantasma, costituite ma non hanno avuto seguito. Il principio di effettività vale in tutti i casi. I fatti vanno però valutati nel contesto. Il principio di effettività è quello che si applica in tutti i casi. È importante capire quando parte l’impresa perché è un organismo complesso nella sua struttura organizzativa, in cui si possono distinguere due momenti: - atti organizzativi o di organizzazione, di predisposizione del complesso aziendale, con cui si costruisce l’azienda - atti dell’organizzazione, che intervengono quando si inizia a interagire col mercato è importante includere anche gli atti organizzativi nell’attività di impresa, perché possono porre problemi di tutela del credito e della produzione simili a quelli che si pongono nell’esercizio dell’attività. L’imprenditore che ha investito così tanto può essere sottoposto a liquidazione giudiziale anche se non ha ancora iniziato il processo produttivo? Al di là di quanto necessario per le osservanze del diritto tributario o previdenziale, potremmo avere un imprenditore che è già ricorso moltissimo al credito prima di iniziare la produzione. Devono scattare le tutele previste nel caso in cui l’attività non venga proseguita. Non è un nulla di fatto quello che succede al momento dell’organizzazione, che spesso è tanto impegnativa quando un ciclo produttivo. Tutte le immobilizzazioni industriali più importanti in genere vengono predisposte nella fase preliminare. Due cose da ricordare: - vale principio di effettività a prescindere dalla tipologia di imprenditore, anche se i fatti possono influenzare il convincimento del giudice - gli atti di organizzazione sono già attività di impresa Cessazione dell’impresa 60 Tutti i patrimoni vengono acquisiti alla massa attiva del fallimento: questo è l’unico temperamento che abbiamo al principio formale della spendita del nome. Qui la formalità, anche se passa attraverso l’espediente di considerare questi soggetti soci di una società palese, di fatto, è un modo per ovviare alle storture che possono emergere dalla previsione di un criterio esclusivamente formale. Lezione 6, 31 ottobre 2023 Statuto dell’Imprenditore commerciale Il c.d. statuto dell’imprenditore commerciale è spiegato nelle sez. da seconda a ottava del manuale. Definita la fattispecie impresa, ci sono dei segmenti di disciplina che riguardano lo statuto dell’impresa commerciale. Nel definire le regole applicabili all’impresa, abbiamo detto che non si applicano in maniera del tutto indifferenziata alle imprese. Imprenditore è definizione generica che non descrive la singola attività produttiva di cui si parla: abbiamo il grande imprenditore, l’artigiano, il professionista intellettuale che non è impresa nel senso stringente del codice ma è considerato tale dall’ordinamento comunitario. L’imprenditore commerciale è sottoposto a regole più stringenti: sono figure di produttori che pongono problemi rilevanti di tutela del credito alla produzione. Più l’impresa è grande, più sono numerosi i soggetti con cui l’impresa viene in contatto e che possono essere coinvolti da una situazione di crisi dell’impresa: la crisi è elemento centrale del diritto d’impresa. Non ci stupisce il fatto che il diritto della crisi consideri solo le imprese non minori, quindi di maggiori dimensioni. Seguendo la sequenza del codice, analizziamo le discipline che rappresentano il cuore di questo Statuto. Partiamo da due aree: contabilità (rendicontazione dell’attività d’impresa) e pubblicità (sistema del registro delle imprese). La cornice è l’art. 41 Cost. sull’iniziativa economica: libera, socialmente utile, nel rispetto di valori fondamentali quali salute umana e ambientale. Vi sono norme sull’organizzazione: 2086 definisce la gerarchia nell’impresa e l’obbligo per l’impresa di istituire assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati anche alla prevenzione della crisi. Il principio della crisi non è lasciato discrezionalmente all’imprenditore ma viene in qualche misura concretizzato e dotato di contenuti più specifici e concreti. Si applicano a tutte le imprese le regole sull’interpretazione del contratto, sulla vigenza della proposta contrattuale quando una parte è imprenditore. Sono regole che derogano rispetto a disciplina comunque dei contratti: si va ad alimentare un organismo dinamico come è l’impresa. 61 Quando parliamo di statuto dell’imprenditore commerciale siamo in un arcipelago di istituti tra loro connessi: tutti servono a posizionare l’impresa sul mercato in modo trasparente, in modo tale che le dichiarazioni poste in essere dall’imprenditore siano suscettibili di affidamento da parte dei terzi, cfr. fiducia del mercato. Il sistema statutario dell’impresa commerciale serve a rispondere a questa domanda di fiducia, di informazione. C’è un altro pezzo dello statuto dell’imprenditore commerciale che ritorna sul tema organizzazione, cfr. art. 2086, che ritorna in un’altra area disciplinare che è quella dell’azienda. Questi primi due segmenti (contabilità e pubblicità) hanno funzione informativa e di trasparenza. L’informazione è un bene fondamentale per il mercato: il mercato funziona solo se c’è sistema di informazione affidabile, cfr. registro delle imprese. È importante anche dentro l’impresa: la gestione equilibrata e funzionale delle informazioni che rappresentano attività di impresa è strumento fondamentale per gestire in maniera efficiente l’impresa. L’informazione è al centro anche della gestione: soltanto un imprenditore che ha un sistema di informazione anzitutto interno efficacie, può avere un monitoraggio costante e affidabile sull’attività di impresa. La contabilità ci interessa perché ci sono regole giuridiche che rendono alcune disposizioni vincolanti per le imprese medio-grandi: tenere ordinata contabilità è una regola di buona organizzazione di qualsiasi economia, anche familiare. Inoltre, queste regole entrano in campo quando gli imprenditori si trovano a dover affrontare una controversia o un’azione giudiziaria nei confronti di altri imprenditori o di soggetti non imprenditori: la contabilità dell’impresa diventa strumento processuale. Già da subito dobbiamo sottolineare questo: le regole che stiamo studiando le vediamo in potenza, come prescrizioni, norme che dovrebbero essere seguite. Se non vengono seguite? Si apre il versante dell’enforcement delle norme: come riuscire a far rispettare e valere questo diritto? Come dirimere una questione tra due imprese? I problemi delle imprese sono spesso legati a relazioni con fornitori, clienti o altre imprese. L’aspetto processuale è molto importante. Queste regole che il codice detta rispetto alla contabilità – tema aziendalistico più economico che giuridico, ma il codice tiene bene in considerazione l’aspetto economico – servono a due scopi: - Funzione interna (diretta/essenziale), di consentire il controllo sull’andamento dell’attività. La contabilità, che nelle organizzazioni imprenditoriali più complesse assume una sua specificità e una struttura molto più articolata che culmina con l’obbligo di pubblicare e depositare presso il registro delle imprese il bilancio di esercizio, ha funzione di rappresentare la gestione. Cosa è stato fatto in quell’anno solare. Serve anzitutto all’imprenditore stesso per capire come stanno andando le cose. 62 - Funzione esterna (indiretta/eventuale), di ricostruzione dell’andamento della gestione ex post. L’impresa è andata in crisi, che è successo? Imprenditore onesto ma sfortunato o imprenditore che ha compiuto fatti sussumibili in fattispecie di reato? o Ricostruzione dei rapporti con i terzi, quando l’imprenditore nasconde i profitti e fa continuare l’attività dell’impresa in perdita, sta trasferendo il rischio sui propri stakeholders. Problema affrontato della determinazione della responsabilità: del prestanome? Del rappresentante? Dell’imprenditore? L’imprenditore reale può venire coinvolto attraverso il sistema della c.d. società occulta che sta dietro un’impresa palese individuale i cui soci sono solo una parte dei soci reali. o Determinazione del patrimonio e delle ragioni dell’insolvenza. È importante ricostruire attraverso la contabilità il modo in cui l’impresa è stata gestita, sia per identificare responsabilità penali sia per determinare i fattori che hanno inciso sulla crisi. Nel caso della liquidazione giudiziale viene fatto in contesto concorsuale: tutti i rapporti giuridici facenti capo all’imprenditore vengono ricostruiti da un soggetto terzo insieme al patrimonio che viene distribuito ai creditori secondo criterio della par condicio. Le pretese di tutti i creditori vengono in parte decurtate, c.d. falcidia fallimentare, e prendono una parte percentuale del credito nominale che vantavano all’apertura della procedura concorsuale. È difficile che un creditore chirografario, cioè che non abbia causa di prelazione su qualche bene, ottenga più del 20% del proprio credito. Quando l’impresa arriva a una situazione di insolvenza c’è perdita trasversale per tutti coloro che vi hanno fatto credito o comunque erano portatori di un interesse. La contabilità, anche se apparentemente non sembra così, serve a tenere un monitoraggio ordinato dell’attività e dei suoi andamenti. Quando l’impresa si trova in crisi o in fase prodromica alla crisi, si applica, ad esempio per le società, la regola del “ricapitalizza, trasforma o liquida”. O i soci iniettano nuovo capitale oppure la società deve sciogliersi perché l’ordinamento non tollera che permangano sul mercato imprese non in equilibrio. Scritture contabili nel codice Il codice prevede una struttura a geometria variabile. Alcune scritture sono obbligatorie per tutti gli imprenditori commerciali (una base) e queste scritture sono: - Libro giornale - Libro degli inventari - Fascicolo della corrispondenza Disciplina pensata per contabilità cartacea: ormai è tutto digitale. Questi libri dobbiamo immaginarli come file che consentono una serie di registrazioni relative alle operazioni indicate dall’impresa. Art. 2214 c.c.: esprime, rispetto alla contabilità, un principio generale. 65 della firma digitale dell’imprenditore. Sistema che sostituisce tutte le caratteristiche di vidimazione, bollatura, eccetera che erano prima necessarie. Ciò che interessa a noi è il tema dell’efficacia probatoria: la contabilità normalmente è segreta. A parte le eccezioni – caso del bilancio di esercizio – normalmente sono a disposizione dell’imprenditore. Quando escono dalla segretezza oltre al caso della crisi irreversibile dell’imprenditore che sfocia nella liquidazione giudiziale in cui la contabilità viene messa a disposizione degli oneri della procedura per ricostruire cause della crisi e avviare azioni di cui parlavamo? Quando vengono utilizzate in giudizio: troviamo delle regole che sono un po’ stravaganti rispetto alla normale regolazione delle prove. Anzitutto, vi è il fatto che la scrittura contabile può far prova a favore dell’imprenditore. È un’eccezione rispetto a un principio generale per cui nessuno si può precostituire la prova di un fatto a sé favorevole. È una regola generale del processo civile che risale alla tradizione romanistica. Non mi posso precostituire un documento da far valere in giudizio come prova. Nel caso dell’imprenditore invece, le scritture contabili hanno, in certi limiti, valenza di prova a favore dell’imprenditore. Il fatto che siano scritte dall’imprenditore spiega anche l’altro principio che vale rispetto alle scritture contabili: le scritture contabili predisposte dall’imprenditore fanno sempre prova contro di lui, cfr. divieto di far prova contro un fatto affermato dalla stessa persona. Il grosso limite della possibilità di far prova a favore dell’imprenditore è legato alla necessità che la controversia sia tra imprenditori. Imprenditore può si far valere una propria scritturazione a suo favore in una controversia ma solo se la controparte è un altro imprenditore. Quando la controversia è fra imprenditori, se faccio valere un mio credito l’altra parte, in quanto imprenditore, avrà a sua volta una regolare contabilità. Mi potrà ad esempio opporre un’uscita di cassa. Dal punto di vista di queste regole imprenditore e privato non sono sullo stesso piano. L’imprenditore non può portare a suo favore l’irregolarità o la falsità delle proprie scritture contabili. La possibilità per l’imprenditore di bloccare pretesa altrui è possibile sia attraverso regolare tenuta e potranno farlo solo se dall’altra parte c’è un imprenditore. Questo è il limite che hanno gli imprenditori nel far prova a proprio favore, cioè la possibilità che i libri e le scritture regolarmente tenute facciano prova tra imprenditori è sempre connessa al fatto che sia da una parte sia dall’altra vi siano figure imprenditoriali e quindi professionali. Questo è espresso dall’art 2709. 66 Altra regola che viene imposta a chi voglia far valere delle scritture contabili contro l’imprenditore è l’impossibilità di scinderne il contenuto che va considerato complessivamente. La possibilità di far valere le scritture contabili nelle controversie tra imprenditori, lascia al giudice la possibilità di apprezzare liberamente queste prove. 2711 comma 2: segreto. A meno che non siano rapporti tra imprenditori e quindi sono imprenditori che si scambiano informazioni, le scritture contabili rimangono segrete. C’è possibilità da parte del giudice di chiedere esibizione di scritture contabili, però non c’è mai un ingresso negli atti del giudizio di tutte le scritture contabili. Il giudice potrà chiedere l’estrazione di singole scritturazioni, di singoli documenti che sono funzionali a decidere la controversia in corso. Solo in alcuni casi limitati ci può essere comunicazione integrale dei libri contabili. Non è il caso del fallimento, della liquidazione giudiziale in cui le scritture contabili vengono acquisite, ma sono casi di controversie civili in cui è fondamentale ricostruire l’intero assetto contabile di quell’impresa. Sono casi limitati a: - Scioglimento di società - Controversie su comunione dei beni - Controversie su successioni mortis causa Casi in cui il giudice può domandare comunicazione integrale, di tutta la contabilità che normalmente è presidiata da segretezza. pausa Nel manuale la parte sulla pubblicità d’impresa introduce la sezione seconda. Tutte le regole dello statuto dell’imprenditore commerciale di non piccole dimensioni servono a mantenere e consolidare la fiducia del mercato. Nella scrittura della contabilità prevale la funziona organizzativa in ottica di un monitoraggio che avviene all’interno dell’impresa e rimane nella disponibilità dell’imprenditore. Nessuno può impedire all’imprenditore di tenere una contabilità infedele: controllo può avvenire solo a valle. Il mercato si basa sulla fiducia: la conoscenza delle informazioni relative all’impresa da parte del mercato è fondamentale per il funzionamento del mercato. Questo ha vari livelli: la circolazione delle informazioni serve anche allo sviluppo del mercato in quanto sono elementi di competitività importanti. Per l’impresa è strategico essere dotata di informazioni, cfr. quanto sono cresciute imprese che riuscivano a disporre gratis delle nostre informazioni: preferenze di acquisto, cookies. 67 L’impresa difficilmente può resistere sul mercato se non riesce a farsi conoscere e a posizionarsi sul mercato. Il sistema delle informazioni pone anche delle responsabilità: se l’imprenditore scrive una contabilità falsa, non possiamo scoprirlo finché non emerge una crisi definitiva. Le informazioni pubbliche, date al mercato, consentono se sono affidabili al mercato di funzionare e alla fiducia di rimanere elevata. Rispetto al piccolo sottogruppo di norme viste prima – in cui la compliance è lasciata all’imprenditore e le conseguenze sono generalpreventive, il deterrente è l’effetto generalpreventivo che ha una norma quale quella del falso in bilancio – quando parliamo di informazioni che devono circolare, c’è in gioco la fiducia del mercato. La responsabilità viene effettivamente incardinata in capo all’imprenditore. È chiaro che il nostro codice civile è stato scritto molti anni fa, in un momento in cui la circolazione delle informazioni era qualcosa di diverso rispetto ad oggi. Già 20 anni fa con la digitalizzazione abbiamo fatto passi avanti tale da avere un sistema di informazione digitale a livello europeo. Vi sono paesi anche molto evoluti che sono restii a questa apertura, cfr. Germania: gli imprenditori spesso hanno convenienza ad avere opacità nelle informazioni da dare al pubblico. Informazione è potere: un’impresa che può mantenere le sue informazioni segrete si trova in posizione di vantaggio rispetto agli altri imprenditori. Fino agli anni ’90 erano i Tribunali a tenere registri di informazioni delle imprese. Solo nel momento in cui si è fatta una scelta politica decisa nel senso della hard information, si sono messe in circolo informazioni reliable, cioè su cui il mercato può fare affidamento. Questo implica la costruzione di un sistema di controllo e gestione di queste informazioni capillare, iniziato in forma cartacea che poi è diventato digitale: oggi, accedendo alle banche dati della camera di commercio, possiamo conoscere la carta d’identità di tutte le imprese operanti sul territorio. Come è impostato questo sistema? Il caposaldo di questo sistema, oltre al fatto che si tratti di struttura centralizzata gestita dalle camere di commercio, è il principio di tipicità e tassatività delle iscrizioni. Solo le informazioni previste, atti e fatti che la legge individua come fondamentali rispetto all’organizzazione di imprese di una certa tipologia, e solo le informazioni improntate al principio di certezza sono iscritte nel registro delle imprese. -> pubblicità giuridica. Si vuole evitare l’overload informativo. La pubblicità commerciale è un’altra cosa, qui parliamo di informazioni previste dalla legge. Non possono essere registrate cose “in più”. 70 o Consorzi con attività esterna. Consorzio è un contratto con cui più imprenditori si organizzano – anche con struttura comune – per mettere in comune, sviluppando un risparmio di costi e una maggiore efficienza, determinate fasi delle rispettive imprese. Esempio: più imprenditori stipulano contratto di consorzio per acquistare in comune le materie prime e ottenere prezzi più vantaggiosi; oppure per presentarsi insieme sul mercato estero e condividere spese di marketing, partecipazione a fiere, servizi di consulenza. Lo scopo è sempre migliorare la competitività o aumentare l’utile. Sono forme collaborative, con comunione di scopo, non contratti di scambio. Nel campo dell’impresa raramente troveremo il contratto di scambio: troviamo per lo più contratti associativi, di collaborazione. Un’attività di impresa può essere svolta anche da più scambi (compro e rivendo). Quando però parliamo di organizzazione, quindi non siamo nel piano del rapporto tra imprenditore e cliente, ma di produzione di impresa, troviamo per lo più forme collaborative, predisposizione di strutture che consentano di svolgere attività in comune, cfr. contratto associativo. o G.E.I.E., gruppo europeo di interesse economico. È una forma di cooperazione, è un ente che si forma quando necessario mettere insieme una collaborazione a livello internazionale, sempre con finalità di tipo consortile anche se abbiamo disciplina ad hoc. È chiaro che la collaborazione si limita ad alcune sezioni dell’attività, molto simile a quella consortile. Più che mettere in comune delle fasi dell’attività, le imprese mettono in comune alcuni servizi, che sono nell’interesse di tutte le imprese e vengono gestiti in maniera centralizzata. o Enti pubblici economici, governati da statuto speciale ma hanno scopo istituzionale di svolgere attività d’impresa. Sono ormai recessivi nel nostro ordinamento. o Società estere con sede in Italia, società costituite in paesi stranieri comunitari e non che hanno sede in Italia, anche se è una sede secondaria, di ridotte dimensioni che svolge attività minima. Questo per le ragioni di trasparenza di cui parlavamo. Nessun operatore può mancare dalla fotografia che questa raccolta di dati offre al mercato: quello che è scritto nel registro è accessibile da chi ne abbia interesse, non siamo più nel regime di segretezza caratteristico delle scritture contabili. o Rete di impresa con fondo comune o Associazioni e fondazioni titolari di impresa commerciale, sono enti del libro I, tipicamente hanno finalità ideale e non lucrativa. Capita spesso che esercitino attività d’impresa: a volte accessoria, a volte ha una consistenza equiparabile a quella di una finalità ideale. Esempio: svolgimento di finalità educative o di gestione di edifici culturali (musei, teatri), cfr. ambiti lasciati scoperti dall’arretramento del Welfare. Non è anomalo che un’associazione abbia anche un’attività con caratteristiche tipiche dell’impresa. L’impresa diventa braccio attraverso cui fondazione o associazione finanzia la finalità ideale: non si può trasferire in un ente privato, privo dei controlli e bilanciamenti relativi all’esercizio del potere tipici dell’impresa pubblica o comunque dell’ente pubblico in senso proprio, una disciplina pensata per un soggetto di diritto pubblico. L’impresa esercitata dalla fondazione o dall’associazione, anche se secondaria, impone in quanto impresa l’iscrizione nel registro delle imprese. 71 la sezione ordinaria corrisponde alla logica dei primi anni del codice: facciamo fare l’iscrizione solo a chi è più importante per liberare dagli oneri i piccoli imprenditori. Espansione negli anni dovuta a diversi fattori: anzitutto, il registro a un certo punto non viene più tenuto dal Tribunale in forma cartacea ma dalle Camere di commercio. Diventa uno strumento con più potenziale e più capacità di assorbire realtà che non erano nella mente del legislatore del ’42. La digitalizzazione rende il tutto più semplice: quando iscriviamo la nuova impresa nel registro delle imprese, si compila un form telematico, si inviano i dati telematicamente e questi vengono registrati. Queste potenzialità hanno portato il sistema ad espandersi: c’è facilità nel registrare le imprese, si possono registrare tutte. Non solo le imprese commerciali medio-grandi ma anche impresa agricola e piccola impresa – realtà consistente del tessuto imprenditoriale italiano – mettendole in una sezione speciale. - Sezione speciale. Raccoglie le imprese c.d. minori. La specialità risiede nel fatto che la pubblicità di queste imprese non ha gli stessi effetti che appartengono alla pubblicità delle imprese commerciali medio grandi. o Impresa agricola, Non è/non era perché l’impresa agricola, come accennato, anche se sta nella sezione speciale ha degli effetti dell’iscrizione identici a quelli dell’imprenditore commerciale. Questa equiparazione avviene nel 2001 con d.lgs. di modernizzazione del settore agricolo. In questa modernizzazione si inserisce l’equiparazione dell’impresa commerciale e agricola dal punto di vista della pubblicità legale. È vero che tutt’ora l’impresa agricola è nella sezione speciale e quella commerciale è nella sezione ordinaria: però l’efficacia dell’iscrizione è la stessa. o Piccoli imprenditori. Non valgono le soglie del fallimento ma vale la nozione del 2083: il fatto che il lavoro proprio o dei familiari dell’imprenditore prevalga sul lavoro altrui e sul capitale proprio altrui. Il contributo produttivo principale è dato dall’imprenditore stesso o dai suoi familiari. Diversamente, questa soglia viene superata e l’iscrizione deve essere fatta nella sezione ordinaria sempre se parliamo di impresa commerciale. o Società semplici, società che non può esercitare attività commerciale o Artigiani e consorzi tra artigiani, non abbiamo analizzato la legge quadro sull’artigianato. L’artigiano tipicamente sta nel 2083 c.c., appartiene alla categoria del piccolo imprenditore perché si caratterizza per il lavoro manuale (contatto diretto con prodotto finale) cfr. criterio per cui il piccolo imprenditore non può essere sostituito nella produzione. Per l’artigiano vale lo stesso. Ci sono codici che consentono a infocamere di fare delle stazioni per vedere le imprese registrate: il contenitore però è unico, stanno tutte nella sezione speciale. Tuttavia, solo imprenditori individuali agricoli e società semplice ad oggetto agricolo godono di quell’efficacia rafforzata che li equipara alle imprese della sezione ordinaria. - Sezioni apposite 72 Nate sulla base di leggi speciali che hanno individuato nuove forme di impresa, non necessariamente perché abbiano previsto nuove tipologie di società. Le caratteristiche sono più o meno le stesse, ma vi sono stati interventi normativi nella disciplina. o Società tra professionisti, ritenute per anni illegittime perché c’era contrasto tra natura personale della prestazione del professionista (architetto, medico, avvocato) e lo schema lucrativo spersonalizzante della società. Se non ché si è arrivati a una disciplina prima delle società tra avvocati, poi da professionisti e si è rimosso divieto antico di costituire società per esercitare attività professionale: si è creato contenitore all’interno del registro delle imprese per raccogliere queste società con questo oggetto particolare, normalmente estraneo all’attività di impresa. o Società appartenenti a un gruppo, stessa storia normativa delle società tra professionisti. Sono società che operano individualmente ma sono inserite in un contesto più ampio che può avere diverse strutture: ▪ A CATENA, ogni società detiene una parte di capitale in un’altra società (c.d. partecipata). Questa catena può essere molto lunga e consentire di governare un’impresa a valle ▪ STELLARE O A RAGGERA, la società capogruppo partecipa in una serie di società satellite. Sono modelli che consentono di avere due effetti: da un lato una logica centralizzata, un interesse di gruppo perseguito usando tutte le pedine della scacchiera del mercato; d’altro lato ogni società ha una sua individualità, con un suo patrimonio, una sua soggettività giuridica. Nel caso di società di capitali, la crisi e la responsabilità patrimoniale di una di queste imprese non si riflette sulle altre imprese del gruppo. Il gruppo diventa un modo per articolare il rischio di impresa. È un modo per portare avanti interessi imprenditoriali molto vasti isolando il rischio perché ogni società rischia per sé. È un fenomeno non nuovo: la previsione di una disciplina che mirava a mitigare i rischi, cioè evitare che l’interesse di gruppo andasse a svuotare il patrimonio di una società del gruppo a favore di un’altra, andando a svantaggio dei soci c.d. esterni, cioè soci solo di una società e non anche della capogruppo o di quella che si è avvantaggiata del patrimonio della società le cui casse vengono svuotate. Nel 2003 viene introdotta una disciplina volta a tutelare questo soggetti, aumentando gli obblighi di trasparenza nel caso in cui una società sia capogruppo: la capogruppo ha una responsabilità speciale che parte anzitutto dalla pubblicità. La sezione apposita è stata costituita per far si che tutte le società appartenenti ad un gruppo fossero iscritte in un elenco e potessero essere facilmente identificate da chi contratta con la società. Questo per rendere noto che gli interessi di una società di un gruppo non si esauriscono in quella società ma possono trovarsi anche aliunde. o Imprese sociali, rappresentano imprese con qualità non nuova. Riforma del terzo settore con introduzione del codice del terzo settore: si caratterizzano per avere 75 o efficacia positiva, avvenuta iscrizione, c’è presunzione assoluta a favore dell’imprenditore circa il fatto che i terzi abbiano conosciuto il dato iscritto nel registro delle imprese. L’efficacia dichiarativa positiva si produce istantaneamente, nel momento dell’iscrizione. È una regola che pone vantaggio a favore dell’imprenditore perché non c’è, se non nel limitato caso degli atti delle società di capitali in cui ci sono 15 giorni di vacatio in cui la presunzione può essere vinta dalla controparte. Nel caso del rappresentante di diritto comune vigono regole diverse: giustificazione dei poteri + i fatti modificativi e istitutivi devono essere portati alla conoscenza dei terzi con mezzi idonei - Efficacia costitutiva, esempio della S.p.A. che non solo deve essere costituita con atto pubblico ma viene ad esistenza solo nel momento dell’iscrizione nel registro delle imprese. È una condizione indispensabile in questo caso affinché gli effetti negoziali si producano non solo verso i terzi ma anche tra le parti. La società non esiste nemmeno per le parti contraenti finché non è avvenuta l’iscrizione nel registro delle imprese. Questo tipo di efficacia è totalmente costitutiva: senza iscrizione la società non viene ad esistenza. Vi sono ipotesi di efficacia parzialmente costitutiva: sono operazioni societarie in cui ad esempio la liberazione di alcune risorse tramite riduzione del capitale si può produrre solo dopo un certo periodo dall’iscrizione nel registro delle imprese. Questo effetto è solo per i creditori della società, non erga omnes. Questa è la sottile differenza: l’efficacia è costitutiva perché si realizza dall’iscrizione, però non per tutti. - Efficacia normativa, nel caso in cui prima o dopo l’iscrizione si applicano diverse regole giuridiche, un diverso statuto. È il caso della società in nome collettivo in cui la disciplina che si applica dopo l’iscrizione sulla responsabilità patrimoniale dei soci è diversa tra prima e dopo l’iscrizione. Sono una tipologia di società che si traduce in ragione sociale particolare, nell’oggetto deve essere inserito il nome di uno dei soci esempio Mario Rossi e C.; è una derivazione di un’antica forma societaria che è la compagnia. Di base deriva il suo nome dal cum panis, i soci facevano parte di una stessa rete familiare o condividevano la vita quotidiana. Si ha una responsabilità condivisa, ognuno risponde con il proprio patrimonio delle obbligazioni sociali. Si iscrivono nel registro delle imprese ma non vengono ad esistenza solo con l’iscrizione nel registro delle imprese, cfr. fallimento delle società di fatto. Per questo si distingue disciplina tra prima e dopo l’iscrizione, perché esistono anche prima dell’iscrizione. Questo sistema è simile a quello della pubblicità immobiliare. Il sistema del registro immobiliare però tende a salvaguardare la conservazione della proprietà; il registro delle imprese semplifica la circolazione della ricchezza perché tende a salvaguardare la certezza dei traffici. Il bilancio deve essere depositato ogni anno nel registro delle imprese: facevamo cenno alla circostanza per cui nella corrispondenza commerciale devono esserci delle indicazioni. Esempio: le società che fanno parte di un gruppo lo devono scrivere nella carta intestata, così come il registro delle imprese in cui sono iscritte. Questo ci indica il luogo in cui troviamo tutte le informazioni relative a quell’impresa. 76 A livello europeo c’è stata molta resistenza per implementare un sistema di pubblicità trasparente e certo: in anni relativamente recenti si è creato un sistema di interconnessione tra registri nazionali (2017). Direttiva sul tema dell’interconnessione dei registri commerciali e delle società. Ciò che interessa dal punto di vista operativo è che il portale europeo della giustizia elettronica consente ad accedere a informazioni su imprese registrate nella UE, Islanda, Lichtestein e Norvegia. Questo facilita l’esercizio della giustizia: nel corso degli ultimi 20 anni c’è stata un’evoluzione molto intensa del sistema di pubblicità delle imprese che ha riguardato tutta l’Europa grazie alla digitalizzazione. Lezione 7, 7 novembre 2023 Analisi di alcune sentenze Principio cardine: corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Schema sillogistico: il giudice basa e giustifica la sua decisione sulla base di premesse normative, una fattispecie astratta a cui viene agganciata concettualmente la fattispecie concreta; la conseguenza è logica. Se si riesce a sussumere la fattispecie concreta nella fattispecie astratta, c’è nesso logico. Il giudizio mantiene un certo ambito di discrezionalità seppur sempre in questi binari. Lo schema sillogistico ci aiuta a riconoscere una sequenza logica nella sentenza: si apre con l’intestazione, l’indicazione delle parti, il richiamo delle conclusioni delle parti, cfr. corrispondenza tra chiesto e pronunciato; vengono ripercorsi i fatti di causa; si spiega la motivazione della decisione, cioè ragionamento logico razionale che ha portato alla decisione. Mancanza della motivazione è vizio di legittimità che comporta l’invalidità dell’atto. Nel diritto industriale la misura più importante è quella inibitoria: impedire a chi ha compiuto un atto di contraffazione di continuare in quei comportamenti. Centralità peculiare perché, trattandosi di rapporti tra imprese e in cui le imprese competono per avere spazio sul mercato, ogni giorno in più in cui continua il comportamento scorretto determina una perdita in capo all’impresa danneggiata da quel comportamento. Si discute del conflitto tra segni distintivi presenti nei registri. C’è un versante della tutela, della predisposizione dei meccanismi di tutela e c’è un versante di confronto sul mercato che diventa importante per ragioni di principio. Dopo la motivazione della sentenza, si dà il dispositivo: P.Q.M., la motivazione si chiude con questa formula che apre il dispositivo, cioè la decisione vera e propria del giudice. CASO COSTA SMERALDA Si discute dell’invalidità di un segno. Ricostruzione dei fatti: ➔ Si richiede di tutelare il proprio marchio attraverso la dichiarazione di nullità del marchio avversario ➔ Si richiede di dichiarare la condotta di parte avversa contraffazione di marchio registrato 77 ➔ Si richiede l’inibizione – divieto – dall’utilizzo di qualsiasi altro segno distintivo che possa riportare la mente del consumatore al segno distintivo di Costa Smeralda ➔ Si richiede di cancellare da qualsiasi sito internet ogni tipo di riferimento a questo marchio Gli ultimi due punti si inseriscono convenzionalmente ➔ Si richiede sanzione pecuniaria ➔ Si richiede che le spese sostenute per il giudizio siano pagate dalla parte soccombente Non si chiede una sanzione fissa, ma legata alle volte in cui prosegue la violazione: intento dissuasivo in forma preventiva di rafforzamento dell’eventuale condanna che può essere pronunciata a carico della convenuta. Questo è tipico della proprietà industriale: è importante non solo ottenere subito l’inibitoria ma evitare che il convenuto ponga in essere ulteriori atti di contraffazione perché questo arreca un pregiudizio all’impresa. Il conflitto concreto in questo caso specifico non era del tutto evidente: tuttavia, l’esistenza di un segno confondibile fa perdere capacità distintiva al marchio. Anche se non c’è in concreto sviamento di clientela, questo danno è configurabile. La parte convenuta è contumace (non si è costituita): il giudizio si basa solo su quanto addotto dalla parte che presenta domanda. Motivazione del giudice ➔ La domanda di nullità è fondata. La prima cosa che il giudice fa è analizzare il marchio in questione. Il tribunale dice tre cose importanti: o Costa Smeralda non è segno descrittivo ma di fantasia, esempio della parola “scarpe” che non può essere utilizzato come marchio di scarpe in quanto preclude agli altri produttori di scarpe di utilizzare una parola di uso comune. o Costa Smeralda è un marchio forte, capacità distintiva. C’è un’allusione alla promozione dell’investimento. La differenziazione, che in questo caso c’è tramite un’aggiunta di denominazione, non è tale da non compromettere la capacità distintiva del marchio o Si fa riferimento a una classificazione dei prodotti. Lo si fa perché esiste un sistema di classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi a cui vengono agganciate le domande di marchio. Si deve dichiarare per quali classi merceologiche o di servizi si vuole dichiarare il marchio. È una classificazione riconosciuta. La sentenza dà ragione solo in parte all’attore perché non chiede alla convenuta di cancellare i riferimenti al marchio dai profili social che di fatto lo continua ad utilizzare. Accertare la nullità del marchio ma poi consentire la prosecuzione del suo utilizzo potrebbe essere una tutela minore: non sembra soddisfacente. CASO LOUBOUTIN V. AMAZON Tema: contraffazione del marchio. Louboutin propone azione di contraffazione nei confronti di Amazon. 80 Coesiste sui marchi nazionali: potremmo registrare in Italia e anche a livello europeo. Possiamo poi registrare in altri paesi extraeuropei: c.d. registrazione internazionale. Qual è la differenza tra queste registrazioni? - Ambito di protezione - Costo amministrativo, più l’estensione geografica è ampia più è elevato. La tutela della proprietà industriale intellettuale è una forma di investimento, cfr. sentenze esaminate stamattina, alludono allo sforzo profuso dall’imprenditore per promuovere la notorietà e la buona reputazione di quel segno, che può essere svilita dalla sua comparsa nel sito Facebook di un altro ente. Altro elemento: carattere distintivo. Sempre nel caso Costa Smeralda, si parte dall’analisi linguistica. È un luogo o è creato dal titolare? Creato dal titolare: è diventata indicazione geografica a seguito dell’uso fatto dal consorzio di promozione turistica di costruzione di immobili in quell’area della Sardegna. Il marchio è un messaggero: serve a comunicare un messaggio al pubblico. Che tipo di messaggio? Termine capacità distintiva più volte incontrato. Il marchio distingue se è in grado di distaccarsi visivamente e foneticamente dall’espressione generica del prodotto e va a descrivere il prodotto. Il termine che descrive il prodotto non sempre manca di capacità distintiva, cfr. prodotti farmaceutici. Le denominazioni contengono richiami al principio attivo. Sono elementi descrittivi, che però, in questo tipo di prodotti, la giurisprudenza e gli uffici brevetti tollerano perché hanno una funzione di orientamento del consumatore: riesce ad essere indirizzato più facilmente verso il prodotto che contiene la componente medica che a lui serve in quel particolare momento. Per questo convivono sul mercato marchi che si distanziano solo per un prefisso. Sono però marchi deboli: coesistono con tutti gli altri che hanno interesse a utilizzare la stessa radice che aiuti il consumatore a capire cosa c’è nel prodotto. Avremo marchi che si assomigliano in questo settore e che non potranno essere oggetto di pronuncia di nullità per mancanza di capacità distintiva o di novità. L’altro aspetto importante del marchio è che, non solo deve essere diverso dal nome generico del prodotto, ma deve anche essere diverso dagli altri segni distintivi presenti sul mercato. La l. ci dice che la funzione principale del marchio è quella distintiva: il messaggio che il marchio trasmette al consumatore è l’identificazione di un prodotto o di un servizio come proveniente da una certa fonte di origine. Serve a separare all’interno di una categoria omogenea di prodotti e servizi, una tipologia di prodotti. Sia il modo in cui è usato sia il marchio in sé non devono portare a confusione: confondere è l’esatto opposto della funzione del marchio. Questa concessione serve a promuovere lo svolgimento ordinario del gioco concorrenziale. Il marchio può essere monopolizzato. 81 Si basa sull’idea di una produzione decentrata, gli operatori siano diversi gli uni dagli altri, si competa anche sulla qualità dei prodotti disponibili. Nel momento in cui la clientela è confusa, viene sviata, tratta in inganno: questo mina il gioco concorrenziale. Il rovescio della medaglia è che il marchio comporta monopolio: quel segno lo può utilizzare solo chi lo ha registrato. Differenza tra regolamento sul marchio UE e nostro codice della proprietà industriale sta nel fatto che il marchio europeo è tutelato in quanto registrato. Non esiste alcuna protezione per il marchio di fatto, che viene usato ma che non è stato registrato. Nel nostro codice della proprietà industriale abbiamo una tutela, seppur più limitata, anche per il marchio usato senza essere registrato. Questo monopolio non è di poco impatto sulla libertà di azione delle imprese: il diritto che viene attribuito con la registrazione ha durata decennale e può essere rinnovato di 10 anni in 10 anni senza nessun limite superiore. Apparentemente, purché vengano pagate tasse di concessione amministrativa, l’esclusiva sul marchio rimane in piedi senza termine. Questo è un problema: in tema di invenzioni questo non accade. C’è sempre un regime di esclusiva: chi ha inventato un nuovo macchinario o un nuovo farmaco ha anch’egli la riserva di attività. Viene sottratto alla concorrenza per quanto concerne il prodotto o il procedimento realizzato: questa sottrazione alla concorrenza ha il termine finale di 20 anni (durata del brevetto per invenzione). Decorsi questi 20 anni il trovato cade in pubblico dominio: liberamente utilizzabile, riproducibile ed esportabile senza bisogno di autorizzazione del titolare. Giustificazione economica: incentivo a chi ha inventato dandogli la possibilità di godere in via esclusiva del ritorno economico di questa invenzione per un certo periodo. Nell’economia attuale – dell’innovazione – 20 anni sono molti: non siamo più nell’era delle invenzioni della meccanica. Siamo in un ciclo dell’innovazione in cui le innovazioni sono molto più rapide, basate su un andamento incrementale: invento qualcosa che si appoggia su invenzioni precedenti. Non sempre l’invenzione precedente mi autorizza ad avere licenza per sviluppare nuova invenzione. Questa economia dell’innovazione facilita chi ha già un’impresa nel settore che si considera e che poi continua a godere di questi profitti monopolistici legati alle successive evoluzioni. Cfr. campo tecnologie della comunicazione. Altro aspetto: il marchio è sempre pensato per l’impresa. Questo non significa che possa registrarlo solo chi è imprenditore: può essere registrato anche da un non imprenditore, purché chi lo registra sia intenzionato a farne uso nell’ambito di un’attività imprenditoriale anche non necessariamente propria. Si potrebbe registrare un marchio con l’intento di darlo in licenza ad un imprenditore a lui collegato. 82 Se il marchio non viene utilizzato entro 5 anni dalla registrazione, si verifica ipotesi di decadenza. È un diritto esclusivo, potenzialmente limitato temporalmente ma che viene meno se non utilizzato dal titolare. Nel caso Costa Smeralda abbiamo avuto testimonianza del fatto che basta la registrazione per avanzare una pretesa. Il titolare non deve dimostrare nulla in questo caso, se non allegare il titolo di proprietà industriale. Il fatto che il marchio sia stato registrato non assicura che sia valido: la validità può essere sempre contestata. Quando c’è azione di contraffazione del marchio, la riconvenzionale mira a far dichiarare la nullità del marchio che viene fatto valere nei confronti del contraffattore: è una contestazione sempre possibile, soprattutto quando manchi capacità distintiva, cioè il fatto che il marchio sia idoneo a contrassegnare prodotti in quanto provenienti da una certa impresa. Art. 4 Regolamento UE: Possono costituire marchi UE tutti i segni, […], a condizione che tali segni siano adatti a: a) Distinguere – funzione distintiva – i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese; b) Essere rappresentati nel registro dei marchi dell’UE in modo da consentire all’autorità competente e al pubblico di determinare in modo chiaro e preciso l’oggetto della protezione garantita al loro titolare. Questo secondo requisito si chiamava responsabilità della responsabilità grafica del segno: oggi si parla di rappresentabilità nel registro. Nel registro delle autorità nazionali possono essere depositati anche formati non grafici, cfr. file mp3 che riproduce un suono. CASO MESSI Comunicato stampa del 2020 della CGUE. Caso: nel 2011 Messi fa richiesta presso ufficio europeo della proprietà intellettuale di registrare un segno figurativo come marchio UE, per identificare articoli di abbigliamento sportivi. Nel novembre 2011 il sig. Coma ha proposto opposizione avverso la registrazione di questo marchio. Motivazione: rischio di confusione con i marchi denominativi MASSI registrati a livello UE, in particolare sono marchi registrati sempre per articoli di abbigliamento e accessori per ciclisti. Nel 2013 l’opposizione viene accolta. Messi fa ricorso all’EUIPO. Aprile 2014 il ricorso viene respinto, ritenendo che vi sia rischio di confusione tra Massi e Messi. Messi si rivolge al Tribunale dell’UE per chiedere annullamento della decisione. Il Tribunale cambia il verdetto e annulla la decisione, ritenendo che la notorietà del calciatore neutralizzasse le somiglianze tra i due marchi ed escludesse rischio di confusione. Vengono riportate le motivazioni: si evidenzia che il Tribunale ha ben tenuto conto della percezione dei due marchi da parte del pubblico di riferimento. 85 Questa è la caratteristica degli NFT. Caso: realizzazione di NFT che riguardavano un giocatore della Juventus senza rispetto delle prerogative del titolare dei diritti patrimoniali. Siamo nel perimetro disegnato dall’art. 8 del codice della proprietà intellettuale, da cui si desume un principio generale che possiamo costruire attraverso il combinato disposto con la l. sul diritto d’autore che autorizza la pubblicazione dell’immagine di una persona per ragioni di interesse pubblico. Art. 8 del codice della proprietà industriale che autorizza soltanto la persona famosa a registrare il proprio marchio e gli artt. 97 e 98 della l. sul diritto d’autore che discriminano la riproduzione autorizzata dell’immagine di una persona solo per pubblico interesse IN COMBINATO DISPOSTO, ci mostrano che l’utilizzo dell’immagine di una persona per scopi privati, l’NFT rende quell’elemento autentico. Sollecita lo spirito del collezionista che è disposto a pagare una certa cifra per ottenere quel piccolo elemento da collezione. Il soggetto interessato da questa commercializzazione di queste cards era un giocatore della Juventus: in questa tokenizzazione dell’immagine era riportato il nome della squadra. Dagli anni ’90 questi diritti d’autore/di proprietà intellettuale si sono evoluti di fronte alla tecnologia: alla fine, cosa ci porta a decidere sulla bontà o meno di una pretesa? Il raffronto tra le intenzioni. Il diritto di proprietà intellettuale in generale ci sono forme di libera utilizzazione per le denominazioni protette: possono operare solo quando c’è interesse di natura individuale, mai quando c’è interesse lucrativo. Se offro servizi di riparazione di un prodotto, posso indicare il marchio del prodotto perché mi serve per comunicare alla clientela quali prodotti riparo: caso di libera utilizzazione. Non c’è l’intento di sviare la clientela o approfittare della notorietà del marchio con fini illegittimi, ma c’è esigenza di informazione. Quando pubblico l’immagine di un personaggio famoso perché scrivo un articolo o lo intervisto o voglio fare una parodia è la stessa cosa. In tutti i casi in cui l’interesse non è lucrativo e la finalità non è puramente economica, c’è libera utilizzazione. Negli altri casi (scopo lucrativo), il risultato della notorietà è di chi ha portato il marchio (nome/personaggio) alla notorietà. Lezione 8, 14 ottobre Ci stiamo avviando verso la fine della parte che sarà oggetto del primo parziale. Tecnologia e design: invenzioni industriali. Fanno parte della stessa area tematica e concettuale della proprietà industriale. Le discipline sono in parte omogenee e in parte diverse: - Omogenee, le invenzioni non possono essere brevettate sempre e comunque, ma devono implicare una novità, uno step innovativo rispetto allo stato della tecnica. Solo in quel caso c’è diritto esclusivo, quindi potere da parte del titolare di impedire una serie di 86 comportamenti da parte della collettività. È un diritto analogo a quello della proprietà ma che si sostanzia nell’impedire a tutti gli altri di produrre, utilizzare, commercializzare quel bene. Marchio e invenzione da questo punto di vista funzionano allo stesso modo: anche il marchio può legittimamente essere utilizzato dal solo titolare che si può opporre ad atti di imitazione posti in essere. - Diverse, nel caso delle invenzioni la protezione dura per 20 anni, non per sempre. Trascorsi 20 anni dal deposito della domanda di brevetto, l’invenzione cade in pubblico dominio. Chiunque può utilizzarla, può produrre attraverso quel procedimento, può imitare quel macchinario o quel composto chimico. Nel caso del marchio invece, rinnovando la tassa amministrativa delle spese di registrazione, la protezione può durare per sempre: questo perché il marchio è uno strumento di comunicazione, se ne possono trovare molti non è insostituibile. Per l’invenzione è diverso: un farmaco ad esempio può non essere replicabile, solo quella molecola offre quel tipo di trattamento terapeutico. Questa è la ragione per cui l’esclusiva nell’invenzione ha un termine finale, cfr. farmaci generici. Il fatto che il farmacista proponga l’acquisto di un farmaco generico, significa che il brevetto è scaduto e su quel farmaco si è aperta la concorrenza, non c’è più monopolio del titolare del brevetto. Eticamente questo sistema crea disaccordo. La logica che ispira il sistema è quella per cui in mancanza dei profitti garantiti al titolare dell’invenzione, l’inventore non inventerebbe: la casa farmaceutica ad esempio non investirebbe in ricerca e sviluppo di farmaci. Consideriamo che molte ricerche non conducono ad un prodotto commercializzabile: i farmaci che arrivano in commercio ci fanno carico di tutte le attività di ricerca che non sempre arrivano ad esito commerciale. Ci sono molte questioni in merito al modo in cui le big pharma esercitano il loro diritto d’esclusiva: ogni potere comporta una responsabilità. Il potere monopolistico che viene dato all’inventore è funzionale all’innovazione, cioè far si che questi investimenti siano remunerati. È chiaro però che se inizio a mettere in campo pratiche con brevettazioni strumentali ad allargare nel tempo il mio monopolio posso incorrere in sanzioni, cfr. brevetto di un farmaco per uso su una certa fascia d’età, poi deposito un altro brevetto per il suo uso pediatrico: tipico comportamento sanzionato dall’antitrust, che va a colpire concentrazioni di potere che nascono spesso da fenomeni di innovazione. Pfizer ha una enorme quota del mercato farmaceutico mondiale grazie alla rete di ricerca premiata dal successo di alcuni farmaci: è in grado di determinare i propri comportamenti in modo indipendente da quanto avviene nel mercato. È un potere economico e quindi anche politico che fanno di questi giganti imprenditoriali dei soggetti che devono essere vigilati dall’antitrust. Grazie a questo grande potere economico riescono a tenere poteri indipendenti rispetto alla risposta dei consumatori. Tutte le regole che troviamo raggruppate nella sezione sull’impresa del mercato si basano sulla convinzione che l’economia di mercato sia un modello efficiente, desiderabile per le nostre società. Nel tempo questo è stato temperato riferendosi all’economia sociale di mercato come fortemente competitiva: in questa definizione troviamo due elementi contraddittori: o Sociale, attenzione ai bisogni della società o Fortemente competitiva, ci deve essere concorrenza ma deve essere uno strumento per arrivare a un progresso complessivo della società. Questi due elementi vengono tenuti insieme attraverso l’antitrust: la concorrenza funziona bene perché ci sono attività di controllo che mettono dei paletti ai soggetti che raggiungono un potere 87 economico eccessivo, per eccessivo intendendosi autonomia globale di comportamento. Possono comportarsi in modo libero non temendo sanzioni amministrative, non temendo aumenti di prezzo per i consumatori. Se un farmaco brevettato deve essere somministrato a gran parte della popolazione, è nella disponibilità del titolare del brevetto fissare il profitto. Essendoci il brevetto (offerta) ed essendoci bisogno del farmaco (domanda) non solo da parte dei privati ma anche dai servizi sanitari, il potere del produttore è estremamente non solo invasivo ma che tende ad incidere sulla salute che è un diritto fondamentale. Allo stesso tempo, se questo farmaco è realmente necessario ed è stato concesso il brevetto, il potere è tutto nelle mani del produttore che ha gli strumenti giuridici per fissare il prezzo e non considerare la difficoltà eventuale d’acquisto del farmaco, perché nessun altro può produrre quel farmaco. Questo è il problema del diritto all’esclusiva, cioè la creazione di monopolio in merito a beni che costituiscono diritti fondamentali delle persone, cfr. diritto alla salute: da questo dipenderà la produzione, il costo del welfare, l’aspettativa di vita. Qui interviene l’Antitrust: può dire che il prezzo fissato dal produttore è eccessivamente gravoso. Un altro meccanismo attuabile dal produttore potrebbe essere di produrre poco per avere poca disponibilità e quindi alzare il prezzo. Interviene l’Antitrust dicendo che se la produzione è troppo poca possono essere concesse licenze obbligatorie: è un meccanismo che troviamo solo nel diritto dei brevetti. Serve a colmare delle lacune e ad assicurare che di fronte ad una invenzione ci sia una produzione adeguata a raggiungere tutti coloro che hanno bisogno di quella risorsa. È un freno al potere del titolare del brevetto. Comprendere la proprietà intellettuale significa capire questo punto di interstizione: quanto la proprietà intellettuale può diventare pericolosa per il sistema concorrenziale? Noi diamo per scontato che l’economia di mercato sia il modello migliore: non è però un modello perfetto. Il mercato produce anche tanti fallimenti, cfr. informative dovute ai grandi avanzamenti tecnologici. Le prime 100 economie mondiali per quanto concerne il PIL, più della metà sono imprese, non Stati nazionali. Le imprese hanno economie molto più floride di quelle degli Stati nazionali. Questo comporta quasi un conflitto di potenze tra Stati nazionali o aree regionali (pensiamo all’Unione europea) che spesso non sono in grado di costringere certe imprese a tenere determinati comportamenti. Quanto studiamo a livello giuridico funziona bene finché c’è un’autorità in grado di presidiare queste regole: quando abbiamo a che fare con le grandi multinazionali questo è abbastanza difficile. Non c’è una norma di legge che possa costringere in modo coattivo una multinazionale a tenere determinati comportamenti: ogni tanto parte l’Antitrust con sanzioni miliardarie, cercando di mitigare questi comportamenti. Oggi l’economia è questa, spesso le imprese hanno più denaro – e quindi potere – degli Stati. Queste imprese fondano il loro potere sulle proprietà intellettuali: questo crea conflitto con l’Antitrust che vuole che il mercato rimanga contendibile 90 Una parte di questa disciplina organizzativa riguarda la struttura personale dell’attività di impresa: come è organizzato il complesso produttivo dal punto di vista delle persone che sono al di là del singolo che può essere titolare dell’impresa? Abbiamo due fattori organizzativi già menzionati quando abbiamo toccato il requisito dell’organizzazione: - fattore umano, personale: imprenditore, se è persona fisica. L’imprenditore potrebbe essere anche una società, quindi un ente con personalità giuridica che si sostanzia in diversi esecutori materiali che fanno già parte dell’organizzazione; - fattore materiale: l’azienda. È importante capire questi ruoli: tutta la disciplina che stiamo analizzando si occupa di dare un particolare regime giuridico alle decisioni e alle dichiarazioni dell’imprenditore. Siamo fuori da una logica di scambio, cioè di soddisfazione immediato dell’interesse, ma siamo in una logica dinamica: l’attività non solo è complessa in sé, quindi si compone di tante operazioni, atti e contratti, ma è destinata a durare ciclicamente nel tempo. È un organismo dinamico, non c’è stasi tra due interessi contrapposti come nel diritto privato: abbiamo un’attività. Devono quindi esserci regole precise per l’assunzione di decisioni e anche per le dichiarazioni: rispettivamente chi può decidere e cosa; chi può vincolare l’impresa all’esterno, cfr. pubblicità, il registro delle imprese è il modo legalmente tipico per dare evidenza esterna ai fatti dell’impresa fra cui anche il fatto fondamentale di sapere e di far conoscere chi è legittimato a vincolare l’impresa con le sue dichiarazioni. L’impresa ha una duplice dimensione: - organizzativa interna, come funzionano le cose, come si mettono insieme i fattori della produzione, che è un tema più aziendalistico - organizzativa esterna, come l’impresa si relaziona sul mercato. L’impresa è sempre immersa nel mercato da quando inizia la sua attività: tutte le sue relazioni esterne si svolgono in un ecosistema più ampio. Più l’organizzazione è grande più il sistema è complesso e sono necessarie regole specifiche e articolate sulla sostituzione dell’imprenditore nelle decisioni e nelle dichiarazioni. Se l’impresa è piccola, l’imprenditore può fare quasi tutto da sé anche se serve comunque un po’ di etero organizzazione, altrimenti non avrebbe impresa: servono fattori produttivi che vanno al di là delle forze del singolo imprenditore (esempio dell’idraulico che va con la sua cassetta degli attrezzi ad aggiustare una tubatura: è lavoratore autonomo). Può tuttavia esserci prevalenza: nella piccola impresa il lavoro del singolo imprenditore prevale su quello degli altri, quindi lavoro proprio e capitale proprio prevale su quello altrui. Se l’attività è completamente automatizzata (esempio della lavanderia a gettoni) non si parla di impresa. Chi sostituisce o coadiuva l’imprenditore nell’assunzione di decisioni, e quindi nella rappresentanza esterna, sono una serie di figure che si chiamano ausiliari dell’imprenditore (o collaboratori). 91 Gli ausiliari sono la componente umana impiegata nell’impresa; c’è poi la componente materiale che analizzeremo in una prossima lezione. Ci sono tecniche ormai utilizzate nelle imprese che si pongono un po’ a metà tra queste due categorie, cfr. intelligenza artificiale: può essere capace di riprodurre modi di ragionamento tipici delle persone umane, quindi ad esempio assumere decisioni. È possibile oggi immaginare decisioni delegate all’intelligenza artificiale. Questo è il caso in cui un capitale materiale (computer con dotazioni necessarie per applicare l’intelligenza artificiale) può sostituirsi in decisioni e dichiarazioni, queste ultime con riferimento allo smart contract. Potrebbe essere un modo per avvicinare queste due componenti che tradizionalmente sono state sempre separate: sfida dei nostri tempi. Descriviamo però l’approccio tradizionale, basandoci sull’assunto che gli ausiliari siano persone. Nell’organigramma d’impresa abbiamo diverse figure di collaboratori: - Ausiliari tecnici, compiono operazioni intellettuali o tecniche, di natura materiale, che consentono lo svolgimento del processo. - Ausiliari giuridici, sostituiscono l’imprenditore, quindi svolgono attività giuridica in luogo dell’imprenditore, con poteri più o meno ampi a seconda della posizione in cui si trovano all’interno dell’impresa. Possono avere: o Meri poteri esecutivi, quindi esercitano una rappresentanza molto limitata o Sostituzione quasi integrale all’imprenditore Quando parliamo di ausiliari giuridici che si sostituiscono all’imprenditore quasi integralmente, emerge un istituto che già conosciamo: la rappresentanza. Sono figure che agiscono al posto dell’imprenditore, lo sostituiscono nelle decisioni che deve assumere rispetto all’attività di impresa e nelle dichiarazioni, se hanno potere esterno: la rappresentanza è il prototipo della sostituzione di un soggetto ad un altro nel compimento di attività giuridiche. Ricordiamo le tre tipologie di rappresentanza principali: - Rappresentanza diretta, art. 1388 c.c., in cui il contratto viene concluso dal rappresentante in nome e nell’interesse del rappresentato. Gli effetti si producono direttamente in capo al rappresentato. Questa stessa regola ci porta ad adottare normalmente il criterio formale della spendita del nome quando parliamo di chi è imprenditore: bisogna capire chi è il soggetto a cui l’attività viene imputata. Non c’è un criterio speciale nell’impresa: utilizziamo il criterio del diritto comune. Non si guarda la titolarità dell’interesse ma il nome che viene speso. Eccezione alla regola: c’è un correttivo nella legge sulla crisi d’impresa in cui, eccezionalmente, quando l’impresa va in default si consente di superare il criterio formale e utilizzare criteri sostanziali. Insieme all’imprenditore che ha speso il nome c’erano anche altri interessati, che non sono mai comparsi attraverso la spendita del loro nome ma che erano titolari di interesse. Questa è però un’eccezione: finché non viene accertata l’insolvenza dell’imprenditore non possiamo uscire dallo schema della rappresentanza diretta e della c.d. rappresentanza di interessi; 92 - Rappresentanza di interessi, non viene speso il nome del rappresentato anche se è palese l’altruità dell’interesse. Questo non comporta uno spostamento degli effetti giuridici rispetto al soggetto che ha contrattato. - Rappresentanza organica, incontreremo nel secondo semestre una figura di rappresentante organico della società che è l’amministratore. Sia esso un singolo o componente di un organo collegiale (Consiglio d’amministrazione) è rappresentante organico dell’ente società: è figura centrale per il diritto delle società. Ricordiamo che diversamente dai casi visti prima in cui c’è duplicità di soggetti, nel caso del rappresentante organico non c’è alterità soggettiva ma immedesimazione del rappresentante organico nell’organismo società. È come se il rappresentante organico fosse la bocca della società che, essendo figura legaltipica e non avendo quindi materialità, non ha capacità di svolgere attività di comunicazione e azione che sono tipiche dell’essere umano. Prima di passare ad analizzare le figure di institori, procuratori e commessi, dobbiamo sapere che l’imprenditore è circondato da una rete di collaboratori esterni che sono importanti per l’impresa perché gli consentono di radicarsi nel mercato: c.d. ausiliari o collaboratori autonomi. Ci concentriamo sugli ausiliari dipendenti (che stanno all’interno dell’organizzazione) ma sono importanti anche quelli esterni: la caratteristica è che non hanno un rapporto di lavoro subordinato che li lega all’imprenditore. Possono essere stabili e avere un rapporto continuativo con l’imprenditore, oppure essere incaricati di singoli servizi. Esempio: agenti di commercio, sono figure che coadiuvano l’imprenditore promuovendo l’attività in una zona territoriale lontana dalla sede principale. Vi sono poi i mandatari, commissionari, gli spedizionieri. Lo spedizioniere tipicamente viene incaricato occasionalmente: non si può escludere che vi sia uno spedizioniere stabile, dipende da come vengono configurati i singoli rapporti. Detto che gli ausiliari autonomi sono importanti per l’impresa perché consentono sia ai prodotti di impresa di arrivare sia di far conoscere l’impresa promuovendo la conclusione di contratti in zone che l’imprenditore non potrebbe raggiungere, sono comunque diversi agli ausiliari interni che sono inseriti stabilmente nel c.d. organigramma dell’impresa. L’impresa è una struttura tendenzialmente verticale, gerarchica: l’imprenditore è al vertice. A seconda della dimensione dell’impresa, l’organigramma può essere più o meno complesso. Gli ausiliari giuridici stabili sono tre: - Institore - Procuratore - Commesso Il tratto comune di queste tre figure è che sono tutte figure dipendenti, legate all’imprenditore da un rapporto stabile di prestazione di lavoro subordinato. La caratteristica è che il loro potere decisionale e dichiarativo al posto dell’imprenditore, quindi di sostituirsi all’imprenditore in questi due poteri, deriva dalla legge. Sono figure tipiche, in cui, a prescindere da quello che è l’accordo 95 - modificare il complesso aziendale. Non può rientrare nel concetto di pertinenza: esiste un vincolo di necessità degli atti che l’institore può compiere. Tutto quello che ritiene opportuno per l’esercizio dell’impresa rientra nel suo potere decisorio e dichiaratorio. - alienare o affittare l’azienda. Non può compiere delle attività negoziali che di fatto impediscono sostanzialmente l’esercizio dell’attività di impresa. Il suo potere si giustifica perché orientato alla gestione: lui serve come figura ausiliaria che deve coadiuvare l’imprenditore e quindi sostituirlo nella gestione e nello svolgimento di quelle attività decisorie e dichiaratorie che realizzano il processo produttivo - dismettere beni aziendali, quindi liquidare l’azienda. Supponiamo che l’azienda abbia come core business la produzione di un prodotto che si basa su un brevetto, quindi su un diritto di proprietà industriale. La cessione di questo brevetto di fatto toglie all’impresa il titolo giuridico su cui si basa il suo core business: determinerebbe una trasformazione sostanziale dell’attività. Questa è un’operazione riservata esclusivamente all’imprenditore: questo è un concetto che ritroveremo anche per gli amministratori di società caratterizzati da rappresentanza organica che si immedesimano nell’ente: pur avendo poteri ampi assimilabili a quelli dell’imprenditore, non possono cessare l’attività o metterla in condizioni di cessare. Questo avviene perché in questo modo si intacca l’iniziativa economica che è nella piena disponibilità dell’imprenditore. Nessuna figura ausiliaria, per quanto apicale, può decidere di cessare la gestione: l’incarico assegnato a questi operatori è sempre al fine di continuare l’attività, tanto che amministratori e institori hanno il dovere di porre in essere tutti i presidi organizzativi in grado di far proseguire l’attività di impresa, cfr. art. 2086 c.c.: dovere per le imprese, soprattutto quelle collettive, di predisporre gli assetti amministrativi, contabili, gestionali adeguati a prevenire la crisi. Prevenire la crisi significa far funzionare l’impresa in modo fisiologico. Limiti puntuali, più specifiche: riguardano singole limitazioni quantitative o oggettive, ad esempio un certo tipo di contratto deve necessariamente essere firmato dall’imprenditore. Sono limiti che costituiscono un’eccezione alla regola generale del 2204 c.c., con cui l’imprenditore assume su di sé determinati atti che, o quantitativamente o per l’oggetto, ritiene particolarmente rilevanti e quindi esclude l’intervento dell’institore. Questa esautorazione non può però essere generale altrimenti verrebbe meno la fattispecie di institore. Di cosa si giova l’institore, figura che troviamo nell’impresa medio-grande? Meccanismo pubblicitario studiato nell’esaminare il registro delle imprese, la c.d. efficacia dichiarativa dell’iscrizione. L’iscrizione attraverso il registro delle imprese produce effetto positivo immediato: appena il fatto viene iscritto diventa opponibile ai terzi. L’imprenditore non deve dimostrare ulteriormente i limiti dell’institore. Riprendiamo l’esempio dei contratti superiori a 100mila€: se stabilisco che Tizio è institore della mia impresa ma non gli consento di firmare contratti superiori a 100mila€, devo iscrivere la procura nel registro delle imprese. Dal momento dell’iscrizione, questa procura diventa efficacie e non può essere opponibile dai terzi. Funzione potente della pubblicità commerciale: chiunque contratti deve controllare nel registro delle imprese. Se l’institore è tale, ha poteri ampi: 96 ciò che ho onere di fare nel contrattare con l’institore è andare a vedere se nel registro delle imprese ci sono delle limitazioni apposte attraverso procura. Questa è la ragione per cui la procura institoria non serve se non si vogliono limitare i poteri: in mancanza di procura iscritta nel registro delle imprese, Tizio institore di Caio può fare tutto ciò che la legge gli consente. Fonte del potere dell’institore non è la procura ma l’atto di preposizione, atto che ha effetti giuridici ma è un atto di organizzazione aziendale, non è un contratto. Ha natura fattuale, si mette una persona al vertice di quell’impresa o di quel ramo d’azienda. Grazie all’efficacia dichiarativa, tutte le limitazioni della procura diventano immediatamente opponibili ai terzi in quanto iscritte nel registro delle imprese. L’institore ha una posizione apicale nell’impresa: condivide con l’imprenditore una serie di obblighi, doveri, ad esempio: procedere alle iscrizioni nel registro delle imprese; coadiuvare l’imprenditore nella tenuta delle scritture contabili. Tanto è vero che nel caso in cui in un’impresa sia tenuta una contabilità infedele, l’institore può essere coinvolto nei c.d. reati fallimentari: bancarotta semplice o fraudolenta, che dipendono da un’infedele documentazione dell’attività di impresa. Si chiamano reati fallimentari perché scattano quando si verifica la liquidazione giudiziale. Sono previsti perché proseguire un’attività in condizioni di dissesto simulando una condizione di equilibrio determina allarme sociale + importante danno al credito alla produzione. Ci sono creditori che ritenevano di poter contare su una certa garanzia patrimoniale che invece non esisteva. Imprenditore e institore sono corresponsabili per quanto concerne la tenuta delle scritture contabili. Responsabilità penale dell’institore, art. 2208 c.c. Questa regola è peculiare della disciplina dell’institore: come vedremo, definisce una responsabilità da posizione. Questa norma ha formulazione per certi versi singolare: in prima battuta ci dice che l’institore è personalmente obbligato se omette di far conoscere al terzo che egli tratta per il preponente. Si riprende la regola generale della rappresentanza diretta: c’è rappresentanza di interessi ma se non c’è contemplatio domini, quindi se non viene speso il nome dell’imprenditore, l’institore risponde in proprio. Questa è la regola generale, che ricaviamo dal confronto tra 1388 e 1705 c.c.: l’institore che non spende il nome del dominus risponde in proprio dell’obbligazione che ha assunto. La norma però continua: l’institore non è nella stessa posizione di un rappresentante, proprio perché è stabilmente preposto all’impresa, alla sede o al ramo d’azienda. Il terzo – che ha contrattato con l’institore – può agire anche – è una responsabilità ulteriore – contro il preponente – imprenditore – per gli atti compiuti dall’institore che siano pertinenti all’esercizio dell’impresa a cui è preposto. 97 Questa regola quindi ci dice che in generale l’institore è tenuto a spendere il nome dell’imprenditore se si vuole che funzioni il meccanismo dell’imputazione diretta degli effetti in capo all’imprenditore; tuttavia, visto che l’institore sta normalmente a capo dell’impresa e quindi si presume che gli atti che compie siano fatti nell’interesse sostanziale dell’imprenditore, anche l’imprenditore risponde. Non viene meno l’indice formale della contemplatio domini: non viene meno la responsabilità diretta dell’institore che ha speso il suo nome mentre contrattava per l’impresa. È responsabile però anche l’imprenditore. Questo avviene a garanzia del terzo: se il terzo sa, perché lo dice la legge, che l’institore può fare un certo numero di cose solo per il fatto di natura organizzativa senza bisogno di procura, quando l’institore non spende il nome dell’imprenditore, il terzo viene tutelato per aver fatto affidamento sulla responsabilità dell’imprenditore che deriva dal fatto che sono atti pertinenti all’impresa. È chiaro che se l’institore spende il proprio nome e compra una Ferrari non c’è dubbio sul fatto che ha contratto in proprio; se non spende il nome dell’imprenditore nell’acquisto di materie prime, viene tutelato il terzo. Questo serve come meccanismo di fiducia del mercato nei casi dubbi, cioè nei casi in cui si potrebbe disquisire su operazioni in cui è incerto se l’institore abbia voluto agire nell’interesse dell’imprenditore o nell’interesse proprio. Il caso della Ferrari è indubbio, ma se l’atto è pertinente all’esercizio dell’impresa, questo potrebbe comportare una responsabilità aggiuntiva, che si sostanzia in una doppia garanzia per il terzo che contratta con l’impresa. Procuratore Ha meno potere dell’institore: anche lui ha rappresentanza dell’imprenditore, è anche lui un collaboratore stabile quindi legato all’imprenditore da un rapporto di lavoro subordinato, quindi anche il procuratore è inserito in modo stabile e continuativo nell’organigramma aziendale. Tuttavia, i suoi poteri decisionali così come la sua rappresentanza hanno carattere settoriale. Non ha potere decisorio e dichiaratorio di carattere generale come nel caso visto prima dell’institore. Non è un alter ego ma è il responsabile di un settore. Non presiede un intero ciclo produttivo, sia esso una sede o dislocato in un certo luogo o ramo d’azienda, ma dell’impresa supervisiona un settore (acquisti, personale, eccetera). Ha sicuramente funzione dirigenziale ma non ha rappresentanza di carattere generale né tantomeno è messo a capo dell’impresa. È direttore di un settore specifico. Almeno secondo l’interpretazione prevalente, la differenza tra institore e procuratore è una differenza di quantità: non sono poteri strutturalmente diversi, ma sono limitati nel loro ambito di applicazione. Sono figure intorno a cui sono state fatte tante interpretazioni. Nel codice civile la disciplina del procuratore è molto scarna: mentre all’institore vengono dedicate norme dettagliate, il procuratore è disciplinato con dei rinvii piuttosto limitati dal punto di vista del significato.