Scarica Appunti du Biologia animale e vegetale parte 2 e più Appunti in PDF di Biologia Vegetale solo su Docsity! BIOLOGIA DELLA CELLULA VEGETALE IMPORTANZA DELLE PIANTE: • Ambiente e regolazione del clima • Alimentazione • Fabbisogno energetico • Risorse utili rinnovabili • Usi farmaceutici • Benessere psichico PRINCIPALI CARATTERISTICHE DELE PIANTE: • Autotrofia per il carbonio • Assenza di spostamenti • Adeguamento alle condizioni ambientali • Ancoraggio al suolo • Accrescimento indefinito • Differente geometria rispetto agli organismi animali AUTOTROFIA PER IL CARBONIO: Il carbonio è lo scheletro di tutte le molecole organiche: lipidi, proteine, glicidi e acidi nucleici. Il carbonio per costruire queste molecole proviene dalla CO2 disponibile nell’ambiente (concentra- zione nell’atmosfera: 340 ppm). I vegetali sono i soli organismi autotrofi per il carbonio e capaci di organicare quest’ultimo attraver- so la fotosintesi clorofilliana: 6 CO2 + 6 H2O luce C6H12O6 + 6 O2 Il carbonio assimilato in questo modo viene utilizzato per: 1. Costruire tutte le molecole biologiche (proteine, lipidi, glicidi e acidi nucleici) 2. Per produrre energia, attraverso il processo della respirazione C6H12O6 + 6 O2 6 CO2 + 6 H2O + energia ASSENZA DI SPOSTAMENTI: Non potendo muoversi per catturare il cibo come fanno gli animali o per fuggire in caso di situazio- ni avverse, gli organismi vegetali attuano un adeguamento a livello cellulare. Le cellule sono orga- nizzate per resistere a condizioni ambientali estreme e per catturare CO2 e H2O senza doversi muo- vere. Mentre gli animali tendono ad avere un ampio volume ed una minima superficie, le piante tendono ad avere un volume modesto, ma la massima superficie per poter assimilare CO2 senza 1 muoversi; pertanto se le cellule animali presentano una forma a sfera, quelle vegetali avranno una forma laminare. PRINCIPALI DIFFERENZE CON LA CELLULA ANIMALE: • Assenza di un centro di coordinamento (SNC) • Assenza di un sistema immunitario • Sostanza di riserva: amido (polimero del glucosio, scisso in carenza di quest’ultimo) • Ampia capacità rigenerativa • Presenza di tessuti meristematici (embrionali) per tutta la vita dell’organismo Negli animali esistono centri di coordinamento che controllano diverse attività, come il SNC e il controllo ipotalamo-ipofisarico a livello ormonale. Il risultato sarà una rapidità nella risposta agli stimoli ambientali. Nelle piante non vi è coordinamento centralizzato, inoltre vi sono meno ormoni che sono, quindi, capaci di svolgere molteplici funzioni e vi è l’assenza di alcuni tipi di organi. Il risultato sarà una lentezza nella risposta e un’ampia capacità rigenerativa. • Assenza di separazione tra linea somatica e linea germinale • Ridotte barriere tra specie (formazione di ibridi) • Pochi ormoni assolvono numerose funzioni (mancanza di un centro di coordinamento del- l’attività ormonale) • Presenza di parete all’esterno della membrana cellulare • Presenza di plastidi (leucoplasti, cromoplasti e cloroplasti) • Presenza di un vacuolo di grandi dimensioni • Particolare ciclo dei microtubuli • Presenza di gliossisomi • Assenza di alcune strutture connesse con il ciclo cellulare (es. aster) • Organizzazione della cromatina nucleare correlata con il contenuto di DNA e con lo stato funzionale. Il carbonio non è il solo elemento necessario alla costruzione delle molecole biologiche, infatti le piante assorbono anche altri elementi in forma ionica (sali disciolti nell’acqua del suolo), ad esem- pio NO3- e SO4-2. Nonostante queste importanti differenze, a livello cellulare molti processi sono simili, se non identi- ci. Gran parte delle informazioni, relative a strutture e processi, conosciute per le cellule animali sono valide anche per le cellule vegetali. PARETE CELLULARE DEI VEGETALI: I vegetali, come i procarioti e i funghi, presentano una parete che avvolge la cellula esternamente. Le sue funzioni sono: • Conferimento e mantenimento della forza meccanica • Controllo dell’espansione cellulare • Controllo del trasporto intercellulare • Protezione da microrganismi patogeni • Produzione di molecole segnale, specialmente in relazione ad attacchi patogeni 2 Lungo le fibrille si trovano delle zone dette micelle, con struttura al- tamente ordinata, di tipo cristallino, alternate ad altre zone con aspetto meno organizzato. A causa delle sue organizzazioni, la cellulosa presenta straordinarie caratteristiche di resistenza alla trazione ed agli attacchi enzimatici. EMICELLULOSE: Sono sostanze estraibili dalla parete mediante trattamento con alcali. Categorie in base alla composizione chimica-catene di monosaccaridi, più o meno ramificate. Possono essere polimeri di xilosio, xilosio e glucosio, glucosio e mannosio, galattosio e mannosio, mannosio, glucosio, con vari tipi di legame (α o β, 1-3, 1-4, 1-6). Ramificazioni ed eterogeneità impediscono l’impacchettamento in fibrille. Le emicellulose costituiscono il 40-45% delle pareti primarie e il 30-33% delle pareti secondarie. Frequentemente svolgono il ruolo di sostanze di riserva oppure di trattenimento dell’acqua. PROTEINE: Sono polimeri costituiti da amminoacidi, molecole che presentano un gruppo amminico (-NH2) e un gruppo carbossilico (-COOH). Gli amminoacidi si legano tra di loro con un particolare legame detto peptidico (da cui il nome di polipeptidi). Le proteine possono essere classificate in globulari, con forma approssimativamente tondeggiante, e fibrose, con forma di filamenti; inoltre possono essere proteine strutturali o enzimatiche. Le prime contribuiscono alla formazione e organizzazione delle strutture. Le secondo funzionano da catalizzatori (acceleratori di reazioni chimiche) per le reazioni biochimiche. Nella parete sono presenti sia proteine strutturali sia enzimatiche. Proteine strutturali: HRGP: sono glicoproteine ricche di idrossiprolina. La più nota è l’estensina Arabino-galattano-proteine: ricche di idrossiprolina, piccole e molto solubili Proteine ricche di glicina: tipiche dei tessuti vascolari e delle risposte alle ferite PRP: proteine ricche di prolina Proteine di adesione: mediano le interazioni tra parete, plasmalemma e microtubuli del citosche- letro 5 Proteine enzimatiche: Cellulasi Pectinasi Perossidasi Pectin-metilesterasi Fosfatasi acide Chitinasi Glucanasi PARETE SECONDARIA: È tipica delle cellule che hanno terminato il processo di distensione e di differenziamento. Si distin- gue da quella primaria per la natura delle componenti, per le caratteristiche chimico fisiche e per il momento in cui viene deposta. Le variazioni di composizione dipendono dalla comparsa di nuove sostanze (lignina, cere e cutine, suberina e sporopollenina) e dalla variazione di percentuale di quelle precedentemente presenti. Il contenuto di pectine ed acqua cala drasticamente, aumentano la cellulosa e le zone con struttura cristallina, inoltre i polimeri di cellulosa sono più lunghi. Le microfibrille tendono ad associarsi e formare macrofibrille. LIGNINA: È un polimero di natura fenolica molto complesso. Non tutti i passaggi della sintesi sono chiari, è noto però ch l’enzima chiave del processo è la fenilanalina-ammoniaca-liasi (PAL). Tre calcoli, basati sullo scheletro carbonio del fenilpropano, vengono secreti nella parete come monomeri e qui polimerizzano, sostituendo l’acqua. Il processo avviene lungo le fibrille di cellulosa, coinvolge tutta la parete e conduce alla morte cellulare. La parete cellulare lignificata è idrofoba, resistente e non plastica. ⬅ ESEMPIO DI LIGNINA 6 CERE E CUTINE: La superficie esterna degli organi epigei delle piante superiori è rivestito da uno strato lipofilo, la cuticola, che ha diverse funzioni: controllo della temperatura, protezione dalle aggressioni chimi- che, dal vento e da agenti patogeni. La cuticola è costituita da cere (catene di idrocarburi a lunga catena ed esteri di acidi grassi) e cuti- ne (poliestere a maglia tridimensionale di ossiacidi, acidi grassi e acidi epossidici). SUBERINA: È un poliestere di acidi grassi, alcoli e ossiacidi, con componenti fenoliche lignino simili ed ha la funzione di impermeabilizzare totalmente la cellula. È tipica degli elementi esterni del fusto, ma può essere presente anche in zone diverse. SPOROPOLLENINA: Polimero presente solo nello strato più esterno (esina) dei pollini, in alcune spore di alcune critto- game e di alcune alghe: Hanno una composizione chimica complessa, molto resistente ad acidi e basi. VACUOLO: Il vacuolo è presente solo nelle cellule vegetali. Mentre le cellule vanno assumendo la forma e le dimensioni definitive, compaiono nel citoplasma numerosi piccoli vacuoli, che aumentano sempre di volume durante la crescita dei vegetali. Esso è rivestito da una membrana detta tonoplasto e contiene una soluzione acquosa, detta succo vacuolare. TONOPLASTO: È una membrana lipoproteica bistratificata asimmetrica. Le proteine intramembrana sono per la maggior parte carriers, pompe protoniche, proteine canali ed enzimi. Spesso si tratta di glicoprotei- ne, ovvero proteine complessate con residui di oligosaccaridici rivolti verso il succo vacuolare. Inoltre il doppio strato lipidico del tonoplasto presenta in minima parte fosfolipidi, mentre sono predominanti i glicolipidi, ad esempio i galattolipidi. Tra le pompe protoniche molto importanti ci sono le H+-ATPasi e le H+-PPasi, le quali idrolizzano addensino trifosfato (ATO) e pirofosfato inorganico (PPi), generando una forza protonica per il tra- sporto di ioni e metaboliti attraverso il tonoplasto. GENESI E DIFFERENZIAMENTO DEL VACUOLO: Le cellule non differenziate normalmente posseggono iniziali vacuoli, detti provacuoli; il processo di formazione del vacuolo normalmente inizia durante le primissime fasi del differenziamento. Si ritiene che i vacuoli abbiano origine da una porzione di reticolo endoplasmatico, localizzata in prossimità della faccia trans dei acculi del Golgi, costituita da un sistema tubolare membranoso in- terconnesso a cisterne appiattite. 7 Ruolo tamponante del pH citoplasmatico: Il succo vacuolare ha un pH acido il cui valore, in condizioni fisiologiche normali, si aggira tra pH 4 e 5. Questo valore è sempre notevolmente più basso rispetto a quello del citoplasma (pH 6.8-6.9) La capacità di mantenere il succo vacuolare ad un pH acido è dovuto alla presenza sul tonoplasto di pompe protoniche (H+-ATPasi e H+-PPasi) che, attraverso l’idrolisi dell’ATP e del perfosfato inor- ganico, forniscono protoni al succo vacuolare acidificandolo. La presenza di pompe protoniche sul tonoplasto è di notevole importanza fisiologica poiché alla loro funzionalità è strettamente legata la capacità di trasportare selettivamente ioni e metaboliti dal citoplasma al vacuolo e, in misura mini- ma, dal vacuolo al citoplasma; permettendo così il mantenimento del pH costante del citoplasma. Equilibrio e riserva di ioni: Nel vacuolo si accumulano molti ioni inorganici, la cui natura e quantità sono dovute al tipo di ter- reno su cui cresce la pianta. Tutti gli sono non immediatamente utilizzati, vengono immagazzinati nel vacuolo mediante l’utilizzo di speciali proteine trasportatrici a livello del tonoplasto (trasporto attivo). Piante che vivono su terreni ricchi di elementi tossici tendono ad accumularsi nel vacuolo. Gli sono nel vacuolo possono rimanere sotto forma libera oppure formare dei sali e dei cristalli con gli acidi organici accumulati nel vacuolo (come l’ossalato di calcio: acido ossalico + Ca2+); in parti- colare, cristalli di assalto di calcio formano degli inclusi solidi insolubili di varie forme (rafidi, pri- smi o stiloidi, druse e sabbia cristallina). Riserva di metaboliti: Molti metaboliti organici di riserva vengono accumulati nel vacuolo, tra cui amminoacidi e protei- ne, zuccheri monosaccaridi (es. glucosio nell’uva), disaccaridi (es. saccarosio nella barbabietola e nella canna da zucchero), pigmenti che conferiscono i colori alla frutta, ecc. (flavonoidi, antociani, flavoni e, a volte, tannini). Gli acidi organici vengono accumulati nel vacuolo per rimuoverli dal citoplasma quando sono in eccesso in quanto possono interferire in varie vie metaboliche, come l’acido citrico (agrumi), l’aci- do malico e l’acido ossalico. Nelle cellule dei tessuti di riserva dei semi, si possono accumulare i granuli di aleurone, che sono contenuti in vacuolo fortemente modificati per immagazzinare proteine che vengono convogliate probabilmente attraverso il reticolo endoplasmatico, e che precipitano nel vacuolo durante la matu- razione a causa della disidratazione. I granuli di aleurone possono contenere, oltre alle sostanze pro- teiche, anche altre sostanze, come la fitina. Possiedono una membrana che delimita una matrice pro- teica (formata da albumine) che può includere un cristalloide proteico (formato la globuline) e corpi sferoidali di fitina (GLOBOIDI). Durante la germinazione le riserve vengono mobilitate e i granuli aleuronici si dilatano per formare vacuoli pressoché normali. Segregazione di metaboliti: Alcuni metaboliti secondari vengono riversati nel vacuolo come sostanze di rifiuto, anche se ven- gono riutilizzati in altre vie metaboliche. Queste sostanze sono: • ALCALOIDI: foltissimo gruppo di sostanze organiche contenenti azoto di norma in anelli eterociclici, in genere a reazione basica ed inodori. Solitamente sono veleni o importanti principi attivi di piante medicinali e possono avere importanti effetti biologici su piante, pa- 10 rassiti ed animali.
Esempi: colchina e vinblastina bloccano la proliferazione cellulare; atropina, scopolami- na, caffeina, papaverina, cocaina, efedrina, morfina e nicotina agiscono a livello del si- stema nervoso centrale e periferico; stricnina e aconitina hanno effetti tossici. • GLICOSIDI: sono composti formati da uno zucchero (il più comune è il glucosio) comples- sato ad una molecola non zuccherina. In generale sono sostanze di sapore amaro e abbastan- za diffuse. Possono essere anche molto tossici, come i glicosidi cianogenici che liberano per idrolisi acido cianidrico.
I glicosi sono presenti nelle mandorle amare, mele, pesche, susine (amigdalina), nel sambu- co, nel granoturco e nel sorgo (murrina) e in varie leguminose. • TERPENI: sono lipidi (quelli a basso peso molecolare sono volatili) profumati ed insolubili in acqua. I terpeni sono i principali componenti degli oli essenziali e conferiscono alle piante un profumo ed un’aroma spesso gradevole. Gli oli essenziali sono presenti nei fiori, nelle foglie e nei frutti, ad esempio basilico, salvia, finocchio, sedano e prezzemolo. • Alcuni vacuoli contengono RESINE, OLEORESINA (trementine), BALSAMI, GOMMO- RESINE (mirra e incenso), GOMME NATURALI (caucciù dell’Hevea brasiliensis, che è un politerpene). Funzioni litiche: La presenza di idrolisi acide (peptidasi, glicosidasi ed esterasi) dentro il vacuolo fa sì che esso ven- ga considerato il più importante compartimento mitico della cellula vegetale. Quando i vacuoli han- no funzione idrolitica sono analoghi ai lisosomi delle cellule animali. PLASTIDI: Tutti gli organismi vegetali sono costituiti da cellule e nei vegetali pluricellulari i compiti vitali sono suddivisi in gruppi di cellule specializzate, vere cooperative di cellule chiamate tessuti, che a loro volta formano gli organi della pianta, cioè la radice, il fusto, la foglia ed il fiore. L’organizzazione delle singole parti è essenziale per la sopravvivenza dell’intero organismo. Le cellule vegetali, oltre ad essere costituite da parete cellulare e vacuoli, contengono organuli chiamati plastidi. Essi sono costituiti, come i mitocondri, da un involucro fatto da due membrane bistratificate: membrana esterna e membrana interna. All’interno di queste due membrane si trova lo stroma o matrice, fluido contenente vari metaboliti ed intermedi di reazione, ioni, proteine, ri- bosomi, DNA e lipidi. 11 La membrana esterna attua il riconoscimento ed il trasferimento all’esterno di componenti plastidia- li sintetizzati all’interno, mentre la membrana interna regola il flusso di metaboliti e ioni inorganici. Sulle membrane sono inseriti numerosi enzimi che partecipano a vari processi metabolici. I plastidi hanno ribosomi e DNA propri rispetto a quelli della cellula e perciò possono svolgere sin- tesi proteica autonoma. Nelle cellule non differenziate si trovano i PROPLASTIDI, piccoli e con un sistema interno di membrane poco sviluppato. Dai proplastidi si differenziano i plastidi che si dividono a seconda del- la loro funzione, del loro colore, dello sviluppo delle membrane interne e del contenuto dello stro- ma, in tre diversi tipi: - CLOROPLASTI - LEUCOPLASTI - CROMOPLASTI LEUCOPLASTI: Sono plastidi incolori coinvolti nella biosintesi di numerosi composti, tra cui i terpeni ed hanno una funzione di riserva. Sono caratterizzati da un sistema a due membrane, un denso stroma, un sistema interno di membrane poco sviluppato e presenza di plastoglobuli (gocce lipidiche). Sono circondati da un R.E. liscio che collabora alle biosintesi. Si trovao nei tessuti di ri- serva delle parti della pianta non esposte alla luce, come nel midollo dei fusti (parte centrale del fu- sto, nelle radici, in organi sotterranei, nei frutti e nei semi Si suddividono in: amiloplasti, elaiopla- sti e proteoplasti. AMILOPLASTI: Sono plastidi non pigmentati, privi del sistema tilacoidale, contengono granuli di amido secondario (o di riserva) e sono comuni negli organi di riserva. Nelle cellule della cuffia della radice partecipano al gravity sensing, innescando la risposta gravi- tropica. ELAIOPLASTI: Plastidi che accumulano lipidi e possono contenere una goccia di olio. 12 ORIGINE DEI PLASTIDI: Teoria autogena: i procarioti hanno dato origine agli eucarioti divenendo sempre più complessi e sviluppando un sistema di endomembrane da cui si originano i plastidi ed i mitocondri. Teoria endosimbiontica: Questa teoria ipotizza che i plastidi ed i mitocondri possano essere derivati da procarioti inglobati all’interno delle cellule eucariotiche. Infatti i plastidi ed i mitocondri hanno in comune alcune caratteristiche con i procarioti: 1) presenza di un proprio DNA: molecola piccola, circolare e non organizzata dentro un nucleo 2) ribosomi 70S (e non 80S come quelli classici presenti nel citoplasma degli eucarioti) sensibili agli stessi antibiotici dei procarioti (streptomicina), sono perciò in grado di sintetizzare proteine a partire dal proprio DNA 3) si dividono per scissione binaria così come i procarioti 4) hanno una doppia membrana e non posseggono microtubuli. FOTOSINTESI: La RUBISCO, il più importante enzima plastidiale coinvolto nella fotosintesi, è formata da 8 subunità proteiche grandi e 8 subunità piccole. L’informazione genica per costruire la subunità grande è contenuta nel DNA dei cloroplasti mentre quella per costruire la subunità piccola nel DNA della cellula ospite. Le trasformazioni, orientate alla produzione di materia organica, subite dall'acqua e dall'anidride carbonica sono processi che non avvengono spontaneamente, ma hanno bisogno di un notevole apporto di energia dall'esterno per poter essere svolti (si parla, in questo caso, di reazioni “endoergoniche”. La luce del Sole, catturata dai pigmenti fotosintetici, forniscono l’energia necessaria ad alimentare l'intera serie di reazioni chimiche. Il fatto che la superficie della Terra (a differenza di quel che accade negli altri pianeti del Sistema Solare) sia un luogo tanto adatto per il manifestarsi delle innumerevoli forme di vita che ci circondano, si deve principalmente a due cause: 1. la presenza dell'acqua allo stato liquido, 2. la presenza dell'ossigeno nell’atmosfera. La reazione complessiva della fotosintesi può essere riassunta così: x CO2 + y H2O => Cx(H2O)y + x O2 e si divide in fasi: fase luminosa e fase oscura (fase biochimica). I carboidrati vengono costituiti utilizzando l'anidride carbonica dell'aria, che viene ridotta per mezzo dell’idrogeno estratto dall’acqua. L’energia luminosa necessaria per alimentare il processo è catturata dal pigmento verde clorofilla, presente nelle foglie. L’acqua è un donatore di elettroni di atomi di idrogeno piuttosto povero (potenziale redox di 0,82 V contro un valore di -0,82 V del NADH). Alla base di tutta la complessa serie di reazioni che portano ad ottenere tale equazione, troviamo la scissione dell'acqua nei suoi componenti. 2 H2O => O2 + 4 H+ + 4 e- 15 L'ossigeno viene liberato sotto forma di gas O2 (l’ossigeno molecolare dell'aria, appunto), mentre l'idrogeno (sotto forma di ioni H+ ed elettroni) è poi utilizzato nelle reazioni successive per trasformare la CO2 in carboidrati. L'acqua è una molecola stabile, quindi poco reattiva, e il processo della sua scissione è una reazione fortemente endoergonica, che per avvenire ha bisogno di essere alimentata dall'energia solare (si parla infatti di "fotolisi", ossia "scissione per mezzo della luce”). Per mezzo della fotolisi, l’energia radiante della luce solare viene convertita in energia chimica, dato che le molecole di idrogeno e di ossigeno contengono una quantità maggiore di energia chimica rispetto alla molecola d’acqua da cui sono derivate. La clorofilla, a normali temperature e con l’energia della luce visibile, scinde le molecole d’acqua, svolgendo un lavoro che, in condizioni ordinarie, richiede temperature di circa 2000°C o una forte corrente elettrica. Proprio la fotosintesi, svolta nel corso di centinaia di milioni di anni da piante e batteri fotosintetici, sarebbe responsabile delle trasformazioni che hanno portato l'atmosfera del nostro pianeta alla sua attuale composizione. Gli organismi fotosintetici avrebbero dunque trasformato radicalmente la nostra atmosfera, estraendo l'ossigeno gassoso dall'acqua e riducendo notevolmente la proporzione di anidride carbonica (oggi vicina allo 0,03%). La radiazione luminosa è costituita da fotoni, in grado di colpire i pigmenti fotosintetici e di eccitare gli elettroni ad un livello energetico più alto (teoria quantistica). La luce però ha anche propagazione di tipo ondulatorio ed è dotata di una lunghezza d’onda caratteristica, dalla quale dipende la quantità di energia trasportata (teoria ondulatoria). RAGGI GAMMA da 10-3 a 10-6 nm RAGGI X da 1 a 10-3 nm ULTRAVIOLETTO da 103 a 1 nm LUCE VISIBILE circa 103 nm INFRAROSSO da 103 a 106 nm MICROONDE da 106 a 109 nm ONDE RADIO > 109 nm (1 m) Lo spettro dei colori della luce visibile va dalla zona del violetto (a circa 400 nm) a quella del rosso (a circa 750 nm). Nell'intervallo compreso tra le zone del rosso e del viola troviamo tutti gli altri colori, tra i quali anche quelli delle radiazioni utilizzate dalle piante per la fotosintesi. Il fatto che la fotosintesi utilizzi la luce visibile piuttosto che le altre zone dello spettro elettromagnetico è probabilmente legato alla maggior abbondanza delle radiazioni luminose rispetto 16 a tutte le altre (la nostra atmosfera è trasparente alla luce visibile) per cui gli organismi, come le piante, in grado di sfruttarle sarebbero stati favoriti da un punto di vista evolutivo. Inoltre, le radiazioni a lunghezza d'onda più grande di quelle del rosso (oltre 750 nm) hanno scarsa energia, che per la maggior parte è assorbita dall'acqua come calore, mentre quelle a lunghezza d'onda minore della luce viola (sotto i 400 nm) ne hanno troppa e, se assorbite, degraderebbero rapidamente molte molecole biologiche. PIGMENTI: Sono sostanze chimiche che appaiono colorate perché, quando vengono illuminate dalla luce bianca, sono in grado di assorbire solo alcune radiazioni dello spettro luminoso, mentre si lasciano attraversare da tutte le altre. La molecola di un pigmento che rientri tra le sostanze organiche (categoria alla quale appartengono anche i pigmenti fotosintetici), presenta caratteristiche chimiche ben precise. I pigmenti organici contengono infatti (accanto a particolari gruppi funzionali, detti "cromofori" se sono colorati di per sé, o "auxocromi" se aumentano l'intensità del colore) e una serie di "doppi legami coniugati“. Un doppio legame isolato assorbe infatti radiazioni nella zona dell'ultravioletto, ma se viene "coniugato" con altri doppi legami, l'assorbimento si sposterà nel campo della luce visibile (e, all'interno di questo, dalla zona del viola a quella del rosso). In altre parole, quanto maggiore è il numero dei doppi legami coniugati, tanto maggiore sarà la lunghezza d'onda assorbita dal pigmento. L'assorbimento di una radiazione luminosa da parte di un pigmento è un fenomeno che riguarda l'attivazione di uno o più elettroni periferici che fanno parte del sistema dei doppi legami coniugati. Quando cioè un fotone di frequenza appropriata (ossia un fotone che trasporta l'esatta quantità di energia per quella certa transizione) colpisce una molecola di pigmento, gli elettroni dei doppi legami passano dal loro normale livello energetico (stato fondamentale) ad un livello energetico più alto (stato energetico “eccitato"). Tre doppi legami coniugati: assorbono a circa 260 nm. La sostanza appare bianca perché tutte le frequenze del visibile sono riflesse. Cinque doppi legami coniugati: assorbono a circa 330 nm. La sostanza appare bianca perché tutte le frequenze del visibile sono riflesse. Sette doppi legami coniugati: assorbono a circa 380 nm. La sostanza appare verde perché tutte le frequenze del visibile sono riflesse, ad eccezione di quella viola assorbita. Nove doppi legami coniugati: assorbono a circa 425 nm. La sostanza appare giallo-verde perché tutte le frequenze del visibile sono riflesse, ad eccezione di quella blu-viola assorbita. Undici doppi legami coniugati: (es. carotenoidi) assorbono a circa 450 nm. La sostanza appare giallo-arancione perché tutte le frequenze del visibile sono riflesse, ad eccezione di quella blu assorbita. L'energia assorbita dal pigmento può essere poi riemessa in modi molto diversi a seconda dei casi e dello stato eccitato raggiunto. 1.Riemissione sotto forma di radiazione luminosa avente minore energia e quindi lunghezza d'onda maggiore di quella assorbita: questo fenomeno si definisce fluorescenza. In pratica l'elettrone sale al livello eccitato con un solo salto, mentre ridiscende allo stato fondamentale con due o più salti (l'energia di ognuno dei quali è una frazione di quella assorbita). E' il fenomeno con cui i carotenoidi assorbono le radiazioni blu-violette e riemettono le radiazioni rosse che possono essere assorbite dalla clorofilla. 2.Riemissione lenta di radiazione luminosa. Questo fenomeno viene definito fosforescenza 17 CATTURA DELL’ENERGIA LUMINOSA: I fotoni che, attraversando gli strati dell'epidermide ed entrando nel cloroplasto, raggiungono la membrana dei tilacoidi, e colpiscono i fotosistemi. Ciascun fotosistema è composto da due subunità complementari: il gruppo dei pigmenti antenna ed il centro di reazione fotochimico. In quest’ultimo avviene la separazione di carica che dà inizio a una serie di reazioni redox. I FOTOSISTEMI: PS I: presenta più clorofilla A e assorbe a 700 nm, il suo centro di reazione prende il nome di P700 PS II: con clorofilla A = clorofilla B, assorbe a 680 nm e il suo centro di reazione prende il nome di P680 (fotosintesi ossigenica da 3 mld di anni). Nel caso della clorofilla a in un centro di reazione, l’elettrone "ridiscende" (in termini energetici) in più tappe, ma anziché attraversare i livelli energetici della molecola di partenza fino allo stato fondamentale, fa la sua discesa abbandonando la clorofilla e trasferendosi agli orbitali di molecole vicine, posti a livelli energetici via via più bassi. In altri termini, l'elettrone della clorofilla, una volta raggiunto il suo stato eccitato viene perduto dalla clorofilla stessa (che resta carica positivamente) e ceduto ad un accettore di elettroni che si trova nello stesso complesso del centro di reazione, da dove, successivamente, continuerà la sua "discesa energetica" passando alle altre molecole del sistema di trasporto elettronico. FASE LUMINOSA: TRASPORTO DI ELETTRONI L’energia luminosa, alimentando una reazione redox endoergonica, viene trasformata in energia elettrica in forma di cariche elettriche separate (cioè di differenza di potenziale): avendo perso un elettrone, la clorofilla rimane carica positivamente e la molecola di accettore che ha acquisito l’elettrone porta una carica negativa. Le reazioni del trasferimento elettronico possono essere considerate come una serie di ossidoriduzioni, in cui ogni molecola si comporta, di volta in volta, da accettore e donatore di elettroni (riducendosi e acquistando energia e, poi, ossidandosi di nuovo e tornando alla sua energia di partenza). La figura rappresenta il cosiddetto “schema Z", che prende il nome dal modo in cui viene generalmente rappresentata la traccia lasciata dal movimento degli elettroni e che riassume i 20 passaggi fondamentali della fase luminosa della fotosintesi. Come si vede lo schema è diviso in due segmenti, uno per ogni fotosistema: • il primo segmento (quello alimentato dal fotosistema II) riguarda la fotolisi dell'acqua e la produzione di ATP (e viene perciò detto segmento ATP) • il secondo (alimentato dal fotosistema I) riguarda il destino finale degli elettroni e la produzione di NADPH.
21 Riassumendo, il flusso degli elettroni nelle membrane dei tilacoidi ha convertito l’energia luminosa in due forme: 1. Il potenziale ridotto del NADPH, che sarà successivamente usato nella fissazione del carbonio. 2. Il gradiente di H+ attraverso la membrana dei tilacoidi. La generazione di questa riserva di H+ e la sua utilizzazione per alimentare la sintesi chemiosmotica di ATP, insieme vengono chiamate fosforilazione fotosintetica (o fotofosforilazione). Gli elettroni a volte seguono un diverso itinerario di trasporto elettronico. Questa via è chiamata flusso di elettroni ciclico perché la clorofilla P700, nel fotosistema I, funge contemporaneamente da donatore e da accettore finale di elettroni (a colori, nella figura seguente). Ciò si verifica quando la maggior parte del NADP+ è stato ridotto, e ne rimangono poche molecole disponibili ad accettare elettroni. Gli elettroni allora cedono la loro energia al segmento-ATP del sistema di trasporto elettronico, dove vanno ad incrementare la riserva di H+ nello spazio interno dei tilacoidi (con produzione di ulteriori molecole di ATP). ADP + P i + (luce) ! ATP + H 2 O 22 Fotosistema I P700* !A o !A 1 (fillochinone) ! Fe-S ! Fd (ferredossina 2Fe-2S) Ferredossina-NADP+ ossidoreduttasi (Fp) 2Fd 2+ red + 2H + + NADP + (nello stroma) !2 Fd 3+ ox + NADPH + H + Reazione totale della fase luminosa 2 H 2 O + 2 NADP + + 8 hv ! O 2 + 2 NADPH + 2 H + 4 fotoni assorbiti in in ogni PS 6 H + nel lume (2 dallo stroma e 4 dall’acqua) pH 8 nello stroma e pH 4,5 nel lume IL DESTINO DEL
3-FOSFOGLICERATO...
* Rigenerazione del ribulosio-1,5-
bisfosfato. 12 AT?
* Si combina con il didrossiacetone ‘eat si; Folio
fosfato (aldolasi e fruttosio-1,6- re se NANI
bisfosfatasi) a formare fruttosio-6-fosfato —‘ Ribulosio Sn
. 20 atomi di
e glucosio-1-fosfato, un precursore Ho
dell’amido. 6 ATP\ sammiac
* Convertito in diidrossiacetone fosfato 4 /
(trioso fosfato isomerasi), poi trasportato | somma
dal cloroplasto nel citosol (antiporto P- an Gliceraldeide
Irioso fosfato), e infine degradato nella operi y”
glicolisi (sintesi acidi grassi e Meet FruttoGio 16 de
aminoacidi) o utilizzato per la sintesi di y
fruttosio-6-fosfato e quindi di saccarosio Pruttegio 6-P
atomi il f
(linfa elaborata) o per il trasporto netto di
NADPH/NADH e ATP nel citosol.
* Convertito in cellulosa o in altri
costituenti saccaridici della parete
cellulare.
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RIGENERAZIONE DEL
RIBULOSIO-1,5 BISFOSFATO
Via inversa della via ossidativa del pentosio:
fosfato, che converte gli esosi fosfato in
pentosi fosfato e viceversa.
La transchetolasi trasferisce un gruppo a due
atomi di C di un chetosio donatore al gruppo
prostetico TPP dell'enzima e poi ad un
aldosio accettore. La TPP lega un gruppo
shstolico CH,OH-CO-
25
• Alcuni enzimi stromali (rubisco attivasi, fruttosio-1,6-bisfosfatasi) necessitano di ambienti alcalini e con la presenza di Mg2+, due condizioni che si verificano solo in presenza di luce, quando H+ è importato nei tilacoidi e Mg2+ esportato nel citosol. 26 Piante contro Animali Le piante hanno sequenze di reazioni uniche per ridurre la CO2 a triosi fosfato, associate anche alla via riduttiva del pentosio fosfato. Negli animali invece, la sintesi di carboidrati necessita sempre di precursori con almeno tre atomi di C e con uno stato di ossidazione più basso della CO2. Le piante possono utilizzare CO2 come unica fonte di carbonio (autotrofi) per la biosintesi non solo di carboidrati, ma anche di lipidi e proteine. Negli animali invece, non possono ridurre la CO2 per formare glucosio e le poche reazioni di fissazione diretta della CO2 vedono la CO2 immediatamente persa nelle reazioni succesive (piruvato carbossilasi nella gluconeogenesi con CO2 fissato nell’OAA; acetil-CoA carbossilasi nella sintesi degli AG; carbamil fosfato sintetasi I nel ciclo dell’urea). • Ribulosio-5-P chinasi, fruttosio-1,6-bisfosfatasi e la sedoeptulosio-1,7-bisfosfatasi sono regolati dalla condizione dei loro residui Cys (ossidati inattivi, ridotti attivi). PS I ! ferredoxina ! tioredoxina (S-S ! 2 –SH) ! enzimi regolabili (S-S ! 2 –SH). ALTERNATIVE ALLA CLOROFILLA: Batteri chemiosintetici: scoperti nel 1880, ricavano energia senza l’uso della clorofilla: assorbono andride carbonica al buio e non liberano ossigeno. Ricavano energia ossidando composti di zolfo o di ferro. Batterioclorofille: composti simili alla clorofilla, presenti in alcuni batteri, che permettono di di convertire la CO2 in composti organici sfruttando l’energia luminosa e a volte anche l’infrarosso, cosa che la normale clorofilla non riesce a fare. Tuttavia le batterioclorofille non riescono a catalizzare la fotolisi e quindi a favorire l’accumulo della grande quantità di energia prodotta da questa reazione. Tutti i metodi per ricavare energia da fonti primarie, escluso quello che utilizza la luce solare tramite la clorofilla, esistono solo in rare e particolari condizioni e sono essenzialmente un “binario morto”, in quanto nessun organismo più evoluto di un batterio ha utilizzato questi metodi con successo. Per quasi tutte le forme di vita, la clorofilla e la fotosintesi, direttamente o indirettamente, sono la base della vita. FOTORESPIRAZIONE: La fotorespirazione costituisce una deviazione della fotosintesi, questo è dovuto all’enzima chiave della fotosintesi, la RUBISCO, che si lega alla CO2 e la combina ad uno zucchero a cinque atomi di carbonio. Quando la concentrazione di CO2 nelle cellule del mesofillo è troppo bassa, rubisco può legarsi all’ossigeno anziché all’anidride carbonica; in questo caso la fotosintesi non porta ad alcun prodotto, perché gli zuccheri che si formano vengono immediatamente riossidati a CO2 e H2O in modo non redditizio (dal momento che la fotorespirazione, a differenza della respirazione cellulare, non produce ATP). La fotorespirazione equivale, pertanto, ad una minor crescita della pianta. La temperatura influenza la fotosintesi: il tasso di fotosintesi aumenta all'aumentare della temperatura fino ad un valore di circa 28-30 °C dove vi è il massimo dell'efficienza fotosintetica. Oltre i 30 °C l'efficienza fotosintetica si abbassa fino a raggiungere il punto di compensazione, determinato dalla diretta dipendenza della respirazione e della fotosintesi dalla temperatura. La temperatura influenza la fotosintesi perché numerosi enzimi coinvolti nella fase biochimica si denaturano facilmente; la respirazione cade per valori molto più alti. Durante la respirazione si ha liberazione di calore e quindi gli enzimi sono meno sensibili ad aumenti della temperatura. Una pianta tenuta sempre al punto di compensazione non cresce. Ogni pianta passa almeno due volte al giorno, al tramonto e all'alba, per il punto di compensazione. La luce influenza un debole aumento di respirazione: aumentando l'intensità luminosa si producono più fotosintesi e quindi vi è più materiale per la respirazione cellulare. La foglia eliofila presenta un parenchima a palizzata ricco di cloroplasti; la foglia sciafila non presenta un parenchima a palizzata. Per entrambe le foglie l'andamento di fotosintesi e respirazione è uguale ma con punti di compensazione diversi. All'aumento della concentrazione della CO2 corrisponde una crescita del tasso fotosintetico. Il valore del punto di compensazione è di 50ppm per le C3; le C4 non hanno praticamente punto di compensazione grazie all'altissima affinità della PEPcarbossilasi per l' H CO3- (CO2 + H2O). 27 • Il flusso lineare di elettroni per la fotorespirazione consuma ATP con un rapporto più alto di ATP/NADPH rispetto al ciclo di Calvin, e non contribuisce alla formazione del gradiente protonico (Asada, 2001) PIANTE C4 e CAM: Piante originarie dei tropici (grano, canna da zucchero, s o r g o , m a i s ) , l e C 4 appartengono a specie f i logenetecamente non correlate. Anche alcune alghe, come Anacystis n i d u l a n s , e a l c u n i dinoflagellati hanno un metabolismo C4. Crescono i n c o n d i z i o n i d i illuminazione intensa e temperature elevate; hanno alta velocità di fotosintesi e d i c r e s c i t a , b a s s a fotorespirazione, limitate perdite di acqua, morfologia f o g l i a r e d i v e r s a ( v i a scoperta da Hatch e Shack nel 1960).
30 In sostituzione del ribulosio-1-5-difosfato, che le piante con ciclo C3 utilizzano direttamente per questo processo, nelle specie C4 è stato riscontrato un diverso composto formato da 3 atomi di carbonio, l'acido fosfoenolpiruvico denominato PEP. Nelle piante C3 l'enzima Rubisco fissa la CO2 nel 3-fosfatoglicerato: in questo processo a causa dell'attività della Rubisco una parte del substrato viene ossidata con consumo di energia (fotorespirazione). Le piante C4 hanno sviluppato un meccanismo più efficiente per far arrivare la CO2 all'enzima Rubisco. L'enzima PEPcarbossilasi nelle cellule del mesofillo catalizza la reazione tra CO2 e PEP formando ossalacetato, un composto a 4 atomi di carbonio (che danno il nome al ciclo). L'ossalacetato diffonde attraverso i plasmodesmi nelle cellule adiacenti (quelle della guaina del fascio). Qui viene decarbossilato (cede un carbossile al ribulosio-1-5-difosfato). Qui poi il Ciclo di Calvin fissa per mezzo dell'enzima rubisco la CO2 riducendola a glucosio. Il piruvato, formato dalla decarbossilazione dell'ossalacetato, torna alle cellule del mesofillo dove viene fosforilato dall'ATP per formare nuovamente acido fosfoenolpiruvico e mantenere attivo il ciclo. Il processo a differenza delle piante a C3 avviene in due cellule differenti collegate fra di loro da una fitta rete di plasmodesmi: nelle cellule del mesofillo, disposte tipicamente a corona intorno alle cellule della guaina del fascio, che presentano l'oxygen evolving system, e quindi possono scindere l'acqua, viene sintetizzato il primo composto a C4 e NADPH, che vengono trasportati nelle cellule della guaina del fascio, dove il composto C4 viene decarbossilato con rilascio di CO2 che entra nel ciclo di Calvin. Queste cellule si differenziano da quelle del mesofillo poiché i loro plastidi non presentano l'oxygen evolving system, dunque presentano solo fotosistemi primari che producono ATP e non rilasciano ossigeno all'interno del plastidio. Così facendo si evita la fotorespirazione, che abbasserebbe il rendimento della fotosintesi. A livello delle cellule della guaina del fascio avviene il ciclo di Calvin, la fase buia della fotosintesi. In sostanza, le cellule del mesofillo funzionano da sistema di cattura e pompaggio di CO2 che ne rende più efficiente la fissazione e fa diminuire il 31 grado di apertura degli stomi necessario per il suo assorbimento, con conseguente riduzione della perdita d'acqua. Nelle piante di tipo C4 il tasso di fotosintesi per unità di area fogliare (CO2 assorbita/peso in mg della clorofilla) raggiunge il suo massimo intorno ai 40°C con elevata intensità luminosa, mentre nelle C3 tale massimale si aggira attorno ai 20 °C con moderata intensità luminosa. L'efficienza fotosintetica delle prime è maggiore delle seconde, come maggiore è il fattore di resistenza alle alte temperature e di conseguenza le potenzialità produttive risultano più alte. SVANTAGGI DELLE PIANTE C4: • Il processo ha un costo energetico superiore perché per ogni molecola di CO2 fissata bisogna rigenerare una molecola di PEP a spese di due legami ad alta energia dell’ATP • Per ogni molecola di CO2 fissata si consumano 5 ATP (contro i 3 ATP del C3) • Tale costo viene ricompensato dall’efficienza delle piante C4 alle alte temperature (> 28°C – 30°C), quando l’affinità della rubisco per la CO 2 diventa più bassa Nelle regioni temperate c’è un’intensità luminosa minore e questo avvantaggia le piante C4 a discapito delle C3. Le piante C3, infatti, usufruiscono del loro basso tasso di fotorespirazione in queste condizioni e perché non necessitano di energia aggiuntiva per la fissazione della CO2. C3 vs C4: • Le piante C3 possono perdere fino al 20% del carbonio fissato nel ciclo di Calvin in condizioni di forte irraggiamento, quando la fotorespirazione è 1,5 – 3,5 volte più alta di quella al buio. Il tesso netto di fotosintesi nelle C4 invece è molto più alto di quello delle C3 in condizioni di forte irraggiamento. • La temperatura ottimale della fotosintesi nelle C4 è al di sotto di quella della respirazione al buio e quindi le perdite causate dalla respirazione sono maggiori ad alte temperature. • Dove la luce è un fattore dominante e le temperature più basse (ad es. zone temperate) sono le C3 ad avere vantaggio, mentre le C4 sono quasi tutte specie erbacee o arbusti presenti in zone aperte o in microclimi più caldi. ORMONI VEGETALI: Si definisce ORMONE una sostanza chimica prodotta in un tessuto e trasportato in un altro, su cui esercita uno o più effetti specifici. ORMONE significa ”eccitare” in greco, ma tali sostanze tuttavia possono avere anche una funzione inibitrice. Quindi più propriamente gli ormoni sono sostanze chimiche che hanno una funzione regolatrice. Agli ormoni viene affidata la capacità della pianta a rispondere agli stimoli ambientali, attraverso una modificazione della crescita della pianta detta tropismo. Gli ormoni vegetali si dividono in: AUXINE CITOCHININE ETILENE 32 do di idrolizzare lipidi, proteine e zuccheri per permettere all’embrione di ricavare energia e sostan- ze necessarie per il proprio metabolismo. ACIDO ABSCISSICO: E’ un ormone inibitorio ed è responsabile della quiescenza del seme e della chiusura degli stomi in condizione di forte siccità e per questo viene considerato l’ormone antistress idrico per il ruolo che svolge. FOTOTROPISMO: Il fototropismo è la risposta della pianta ad uno stimolo luminoso, che si attua attraverso la curvatu- ra della pianta verso la luce. Alla base di questo fenomeno vi è l’auxina che migrerebbe dalle cellule del lato illuminato della pianta verso le cellule del lato in oscurità, promuovendo così un allunga- mento rapido di queste cellule. GEOTROPISMO: Il geotropismo è la capacità della pianta giovana di rispondere alla gravità, e si pensa che anche in questo caso l’auxina gioca un ruolo importante come nel fototropismo. Nel germoglio messo in po- sizione orizzontale, l’auxina migra verso la parte inferiore, mentre gli ioni calcio migrano nella par- te superiore inibendo la crescita. L’auxina stimola l’allungamento delle cellule poste nel lato infe- riore con il risultato che il germoglio si ripiega verso l’alto in verticale, per cui a questo punto le differenze ormonali si annullano e riprende la crescita in verticale. Le piante distinguono il basso e l’alto grazie agli statoliti, cioè plastidi che contengono granuli di amido. Quindi se mettiamo in orizzontale un radice, gli statoliti che normalmente si concentrano nel lato inferiore delle cellule più interne della cuffia radicale, ora si mettono sul lato in basso che prima era verticale . In pochi minu- ti la radice si comincia ad incurvarsi ed gli statoliti scivolano sul lato inferiore. Rimane ancora poco chiaro come l’effetto della gravità si traduca in gradienti chimici di auxina e di ioni calcio forse si hanno delle alterazioni delle proprietà elettriche e della permeabilità della membrana. PLASMODESMI: Le cellule si organizzano in tessuti attaccandosi le une alle altre, trovandosi, quindi, in comunica- zione. La parete cellulare è un impedimento a questa comunicazione, pertanto sono presenti delle strutture dette plasmodesmi, che rappresentano dei punti di interruzione della parete. Si formano quando si verifica la divisione nelle cellule figlie e si riuniscono a formare campi di punteggiature. Con la formazione della parete secondaria, le punteggiature vengono circondate dal materiale di parete e assumono l’aspetto di un piccolo canale, motivo per cui prendono il nome di porocanali (visibili al microscopio ottico). Alcuni tessuti sono costituiti da cellule morte e in questo caso si parla di punteggiature areolate.
35 TESSUTI MERISTEMATICI: Sono i tessuti embrionali e si trovano negli apici vegetativi, nel fusto e nelle radici. Il merisistema primario è formato a cellule indifferenziate che, mantenendo o riacquistando in un secondo tempo la loro capacità di divisione, portano ad una crescita indefinita dell’individuo in lun- ghezza. Si localizza principalmente negli apici del fusto e della radice (merisistemi apicali) e al di fuori di essi (merisistemi primari intercalari). Le cellule meristematiche sono piccole (15-20µm), isodiametriche, con elevato rapporto nucleopla- smatico, parete pecto-cellulosica sottile costituita da poco più del setto di separazione, assenza del vacuolo, plastidi allo stato di proplastidi e assenza di spazi intercellulari fra le varie cellule. Il merisistema secondario ha in comune con quelli primari la capacità di moltiplicazione cellulare per mitosi e di produzione di cellule destinate a diventare adulte, ma hanno forma, dimensioni e proprietà citologiche differenti, a causa della loro origine: da tessuti adulti, appunto, e non dallo zi- gote. Le cellule di un meristema secondario hanno maggiori dimensioni, (diverse decine o anche centinaia di µm) non sono isodiametriche ma allungate, presentano un maggior grado di differen- ziazione citologica e risultano più o meno vacuolate. I tessuti meristematici secondari dai quali deriverà la struttura secondaria sono due: il cambio cribro-vascolare (destinato a produrre tessuto cribroso e tessuto vascolare) e il cambio subero- fellodermico, (che produrrà sughero e felloderma) o fellogeno. I tessuti definitivi sono costituiti da cellule che perdono la capacità di dividersi, si differenziano e si specializzano per lo svolgimento di una particolare funzione. TESSUTI PARENCHIMATICI: Hanno funzione di riserva e si trovano in tutti gli organi. Possono essere classificati in: • Parenchima clorofilliano: si trova nel mesofillo fogliare, nella corteccia esterna del fusto e delle radice aeree. È formato da cellule cilindriche, tondeggianti o lobate, con un grande vacuolo cen- 36 Organizzazione in tessuti Meristemi Primari Secondari Tessuti differenziati Parenchima Tessuti di conduzione Tessuti di sostegno Tessuti tegumentali Tessuti secretori trale che preme i cloroplasti contro la parete cellulare in unico strato, favorendone la ricezione della luce e l’assorbimento di anidride carbonica • Parenchima di riserva: si trova in frutti, fusti e radici, quini non sono esposte direttamente alla luce; il più diffuso è il parenchima amilifero • Parenchima acquifero: si trova in fusti e foglie succulenti • Parenchima aerifero: Tipico di piante che vivono su terreni acquitrinosi, sommersi dalle acque per periodi più o meno lunghi o permanentemente. In queste situazioni gli scambi gassosi delle parti sommerse della pianta sono difficoltosi (perché in acqua l’ossigeno non ha una buona solubilità e la sua velocità di diffusione è migliaia di volte più bassa che in fase gassosa). E’ quindi necessario il rifornimento a partire dalle parti aeree tramite la rete degli spazi intercellulari. TESSUTI DI CONDUZIONE: Si classifica in tessuto vascolare (xilema) e tessuto cribroso (floema). Le principali cellule conduttrici dello xilema sono le tracheiti e gli elementi delle trachee. -La parete secondaria lignificata può essere apposta contro la parete primaria in forma di anelli più o meno ravvicinati (tracheidi anulate) di spirali (tracheidi, spiralate), di combinazione dei due tipi (tracheidi anulo-spiralate) o in modo più esteso (tracheidi reticolate, scalariformi). La deposizione di parete secondaria è massima nelle tracheidi punteggiate, nelle quali le zone di sola parete primaria non lignificata sono ridotte a numerose ma piccole aree circolari o ellittiche. Un tipo particolarmente elaborato di tracheide punteggiata è quello caratteristico delle Gimno- sperme, detta tracheide con punteggiature areolate. -I principali elementi conduttori del floema sono le cellule cribrose e gli elementi dei tubi cribrosi. La sovrapposizione dei vari elementi dei tubi cribrosi in file longitudinali forma un tubo cribroso. Le cellule del floema sono cellule vive ma a maturità la loro struttura interna è profondamente alterata: nucleo e rifossimo sono assenti, l’ultrastruttura di mitocondri e plastidi è rudimentale; il tonoplasto, in tutto o in parte, è stato distrutto per cui il citoplasma e il succo vacuolare non sono più separati e al loro interno compaiono numerosi gruppi di fibrille proteiche. Le cellule dei tubi cribrosi sono allungate, sovrapposte le une alle altre, hanno una parete primaria, spesso sottile, non lignificata e sono provviste di “placche cribrose”, costituite da grossi porocanali attraversati da plasmodesmi al cui livello spesso si riscontrano fascetti di fibrille proteiche. TESSUTI DI SOSTEGNO: Detti anche meccanici, i tessuti di sostegno forniscono resistenza al piegamento e alla trazione e si dividono in: collenchima e sclerenchima. Collenchima: tessuto adulto primario alla periferia, appena sotto l’epidermide. Si trova nelle parti della pianta in accrescimento ed è costituito da cellule vive. Sclerenchima: cellule che dopo aver completato il differenziamento muoiono. Tipico delle parti della pianta che hanno completato la crescita per distensione; le cellule presentano parete secondaria lignificata. Le cellule del tessuto sclerenchimatico sono sempre provviste di parete secondaria, spesso di notevole spessore. TESSUTI TEGUMENTALI: Epidermide: tessuto tegumentale estrerno che ricopre foglie, radici e giovani fusti; svolge funzione di protezione 37