Scarica Appunti geografia Macchia 22/23 e più Appunti in PDF di Geografia solo su Docsity! GEOGRAFIA – MACCHIA A.A. 2022/20223 1) La storia del pensiero geografico e cartografico 2) I principali aspetti fisici della Terra 3) La popolazione e i suoi caratteri 4) I principali aspetti fisici e umani dei Continenti e dei Paesi del Mondo Introduzione -Che cosa è la geografia? È difficile dare una definizione completa. La geografia non è solo una disciplina nozionistica ma è comunque fondamentale conoscere i principali fenomeni geografici. Definizione: Scienza che ha per oggetto lo studio della Terra mediante la descrizione e la rappresentazione della sua superficie e della distribuzione spaziale dei fenomeni relativi alla vita umana, animale e vegetale. Questa ci suggerisce che ci occupiamo di ciò che succede sulla superficie terrestre, mediante la descrizione attraverso dati, numeri… e anche attraverso la rappresentazione tramite la cartografia, che permette di vedere un fenomeno in modo immediato ed è per questo importante da un punto di vista didattico e conoscitivo. Ci si occupa anche di quello che accade e quindi della vita delle creature che si trovano sulla superficie terrestre. -Che cosa studia la geografia? 1) Le forme della superficie terrestre → le forme morfologiche (pianure, mari…) sia per interesse conoscitivo/scientifico che utilitaristico per la sopravvivenza dell’uomo; 2) Il funzionamento della Terra, ovvero i suoi meccanismi come terremoti, il ciclo dell’acqua, il fenomeno della Banda Aceh… 3) La distribuzione della popolazione, la sua crescita e la sua organizzazione sul territorio (dimensione antropica); 4) Le caratteristiche della popolazione, le sue risposte all’ambiente, le sue manifestazioni culturali, il suo modo di produrre, i suoi spostamenti, la sua organizzazione del territorio… 5) Le criticità della popolazione, i suoi cambiamenti e i suoi problemi… L’uomo come altre creature è un animale territoriale perché deve poter usufruire di una porzione di superficie terrestre per soddisfare le sue esigenze fondamentali (acqua, cibo, riparo…); l’uomo come tutte le specie è adattabile ma comunque in modo minore rispetto a specie come per esempio il gatto. L’uomo infatti fa parte di una specie speculativa e tecnica ovvero memorizza e trasmette le informazioni sulla distribuzione di ciò di cui ha bisogno e impara a organizzare e gestire il territorio. L’uomo è in grado di trovare soluzioni a un problema e se adatte trasmetterle ai successori, questa è la base della formazione della cultura. Se uniamo i bisogni territoriali dell’uomo con la capacità di risolvere i problemi viene fuori la geografia che insegna all’uomo ad osservare il territorio. La geografia nasce con l’uomo: è infatti l’incontro tra la natura territoriale dell’Uomo e la sua capacità speculativa. Già in epoca preistorica l’uomo osservava l’ambiente perché aveva capito di aver bisogno di risorse e di essere in grado di organizzarsi (es: il fatto rifugiarsi in una caverna ci fa capire come l’uomo capisse di avere bisogno di rifugiarsi e usasse una sua capacità). Questo è ciò che ci distingue dagli animali. Storia del pensiero geografico Anche la geografia, come altre discipline, ha una evoluzione nel corso del tempo che ha portato la disciplina da essere rudimentale a diventare scientificamente valida. Non è una scienza esatta anche se la geografia fisica vi si avvicina. Si utilizza uno sguardo etnocentrico. Gli Europei nel corso del XV e XVI secolo hanno compiuto una serie di esplorazioni che lo hanno portato a scoprire e colonizzare in America e Asia. Oggi abbiamo strumentazioni tali con i quali si possono vedere luoghi dove non siamo mai stati (satelliti), ciò c’era già in parte con il volo aereo. La geografia ha l’obiettivo di conoscere la superficie terrestre anche se per esempio dell’oceano sappiamo molto poco: l’esplorazione degli oceani è estremamente difficoltosa a causa della pressione. La geografia serve a comprendere, spiegare e rappresentare il nostro vivere con la Terra e quindi anche i nostri rapporti con l’ambiente con cui viviamo. La geografia è l’incontro tra il bisogno dell’uomo di conoscere il territorio e la sua capacità speculativa. La geografia ha l’obiettivo di conoscere il territorio da un punto di vista fisica, come mostra per esempio questa carta tematica che mostra massima intensità macrosismica registrata in Italia. Conoscere il territorio in questo modo serve per prevenire e fare attenzione al pericolo del territorio. È importante conoscere il mondo, da un punto di vista fisico e politico. È importante conoscere le situazioni umane legate agli aspetti culturali della popolazione. I fatti culturali non sono legati a caratteristiche naturali degli esseri umani. La preistoria La geografia nasce con l’uomo: infatti l’uomo in ogni luogo della Terra si è sempre interessato ad essa per soddisfare i propri bisogni. Doveva servire a scopi pratici e si basava su rappresentazioni grafiche del proprio ambiente, senza una riflessione. Le cose cambiano molto con la rivoluzione neolitica (10000-7000 anni fa) con l’invenzione dell’agricoltura che dà vita a tre grandi rivoluzioni: 1) Se ho più cibo posso nutrire più persone → aumento demografico 2) Se ci sono eccedenze possono essere barattate → nascita del commercio 3) Nascita della città → è un luogo dove si trovano i servizi di cui l’uomo ha bisogno Questo permette di sviluppare la divisione del lavoro. La più antica rappresentazione topografica è quella della città di Catal Huyuk in Turchia (6200 a.C.). Hanno codici diversi dai nostri e sono rappresentazioni soggettiva. La cartografia essendo una produzione umana si basa su codici diversi che variano da luogo a luogo e nel corso del tempo. Inferiormente ci sarebbe una mappa di un villaggio e quella figura arancione sarebbe un vulcano in eruzione. Il concetto di codice è In sintesi → Quindi siamo di fronte a due filoni, uno pratico per descrivere il territorio per necessità e uno più filosofico per conoscere anche quello che non si vede. Il salto dall’uno all’altro filone avviene grazie ai pensatori greci. Il passaggio dalla geografia pratica alla geografia filosofica del Mondo Greco → L’epoca classica Per quanto riguarda l’epoca classica (geografia dei greci e dei romani) nel mondo classico si sviluppano o si perfezionano: - La navigazione - La rappresentazione della Terra, per capire come era fatto il mondo in cui si viveva - Matematica/astronomia - Riflessioni tra lo scientifico e il filosofico (la filosofia nasce in questa epoca) - Descrizione storico/geografica (da Erodoto in poi) Il mondo dell’antica Grecia è un mondo marittimo e di navigatori: si sono espansi sia verso Oriente (Turchia) sia nel Marr Nero e anche nel Mediterraneo occidentale (Sardegna, Napoli). Una serie di colonie arrivava anche fino alle coste della Francia e della Penisola Iberica (Marsiglia) Sicilia, Atene, Sparta... L’uomo occidentale è curioso, si è sempre messo in viaggio per questa sua curiosità e poi si sono aggiunti motivi economici tramite i commerci. Tutto questo è una conseguenza della cultura greca, che è stata ripresa da quella occidentale. Ci sono delle caratteristiche della cultura greca che ci siamo portati dietro: democrazia, agorà, cultura dell’individuo (ovvero ognuno di noi è considerato figlio di Dio e c’è anche il libero arbitrio, l’uomo come fautore di sé stesso). Iniziarono i viaggi di scoperta e di scambio commerciale e così si creò un piccolo mondo globalizzato. Il presupposto è che per navigare si devono avere delle conoscenze tecniche e conoscere i luoghi che visito. Si sviluppa quindi una letteratura pratica di viaggio: in epoca antica c’erano i pericli, che erano dei manuali per navigare in cui erano indicate le informazioni utili per un viaggio. E’ importante il periclo Massaliota, (VI sec a.C.)un manuale di navigazione che conteneva un resoconto di viaggio da Marsiglia attraverso il Mediterraneo Occidentale, oltre le colonne d’Ercole e fino alle coste dell’Irlanda. Sono dei resoconti che indicano tutto quello che può essere utile per la navigazione (dove sono i porti, che tipo di approdo è necessario seguire, se il porto è pericoloso, se ci sono ostacoli, che tipo di navigazione utilizzare, ecc.). Incominciano anche ad indicare i caratteri umani che si trovano nei porti (che tipo di mercato posso trovare, quali sono le merci scambiate, l’atteggiamento della popolazione locale nei confronti dei forestieri). Sono delle guide che nascono come supporto alla navigazione. Troveremo lungo la storia della Geografia cose simili sia nell’epoca romana che nel mondo medievale con i “portolai”, che sono molto simili ma più aggiornati e con conoscenze più solide. La Geografia ha ora un aspetto pratico, ma anche un carattere speculativo, prosegue il suo filone di scienza pratica con la grande diffusione delle colonie nel Mediterraneo, e accanto a tutto ciò nasce la Geografia speculativa, cioè nasce la geografia che vuole riflettere sul mondo. Il primo storiografo è stato considerato Omero, che nel 18° canto dell’Iliade descrive lo scudo di Achille: uno scudo istoriato che riporta tutta una serie di indicazioni geografiche e cosmologiche. Molti hanno visto in Omero la prima osservazione del mondo circostante naturale, astronomico, ma anche antropologico. È vero che Omero nella sua opera dà molta attenzione alle descrizioni dei luoghi in tutta l’Iliade e ha una certa attenzione per determinati aspetti del mondo, ma spesso si tratta di descrizioni stereotipate, molto poetiche; perciò, rimane il dubbio che non sia una descrizione ragionata, ma che sia una sorta di ambientazione, caratterizzazione, che creava lo scenario dove far svolgere l’azione della sua opera. Ai tempi di Omero, dato che non si poteva vedere la Terra con un unico sguardo, come invece si fa dallo spazio, si ipotizzava che la Terra fosse piatta e poco estesa, come un grande disco circondato dall’oceano e limitato superiormente dalla cupola del firmamento. Questa concezione perdura fino al V secolo quando Pitagora, grazie a presupposti teorici, arriva a teorizzare la sfericità della Terra. I primi geografi sono i milesi: 1) Talete di Mileto che è considerato il primo grande filosofo della Grecia. (Mileto è nelle coste dell’Asia Minore, sulla costa turca.) È il primo ad osservare la natura e cercare di trarre delle leggi naturali, che in sostanza è il metodo scientifico. Il primo vero geografo, vissuto a cavallo tra il VI-VII secolo a.C. È ricordato come uno dei 7 saggi dell’antichità, fu (anche se non ci rimane nulla di lui) un intellettuale estremamente poliedrico, ci sono molti aneddoti che ci raccontano di come fosse molto esperto nell’osservazione di molti fenomeni naturali, si racconta che abbia previsto delle eclissi di sole. Un famoso episodio è quello in cui Talete si era accorto che gli ulivi avevano un ritmo triennale ed essendosene accorto noleggiò tutti i frantoi con largo anticipo nell’anno di massima produzione e agì con un regime di monopolio. Questo lo fece in risposta a chi si prendeva gioco di lui, come faceva la famosa servetta di Trace che in un episodio riportato da Platone che narrava come Talete guardando le stelle cadde nel pozzo e la servetta gli disse: “Voi intellettuali avete la testa tra le nuvole però non sapete dove mettere i piedi”. Episodio che diventa emblematico per un certo tipo di atteggiamento, anche oggi per prendere in giro certi intellettuali la usiamo come espressione. Talete scrisse diverse osservazioni naturalistiche e astronomiche, pare che abbia disegnato una carta del mondo, ma non ci è rimasto niente. Quel poco che sappiamo lo sappiamo anche grazie all’opera del suo discepolo Anassimandro da Mileto. 2) Anassimandro: fu il primo a redigere una carta dell’Ecumene, ovvero una carta del mondo conosciuto e della Terra come entità astronomica (V-VI sec. a.C.) È il primo planisfero di cui abbiamo notizia. La terra è rappresentata come un disco piatto, circondata dalle sfere celesti, che assumono anche valenze quasi mistico-filosofiche. L’ecumene finisce con l’Etiopia, ad est si arriva all’Indo, alcune parti sono approssimate. La parola ecumene deriva dal greco oikos (casa)... per i greci, quindi, era inteso in questo modo, invece per il mondo Occidentale è interpretato in maniera differente. La mappa di Anassimandro non ci è pervenuta se non tramite descrizioni ma si può comprendere meglio attraverso questa del suo concittadino Ecateo (50 anni dopo) che ha compiuto un perfezionamento a partire da quella di Anassimandro. 3) Pitagora: (V/VI sec a.C.) con lui avviene un altro salto di qualità, la sua concezione dell’universo per la prima volta si svincola dall’idea del cosmo eliocentrico (universo organizzato intorno al Sole). Al centro lui mette un pianeta di fuoco attorno al quale gira il sole, e poi mette altre sfere. 4) Ecateo di Mileto: anche lui rappresenta l’ecumene: è un mondo considerato ancora piccolo. Si basa sul modello di Anassimandro e lo perfeziona. Egli disegna una carta che non amplia i confini del mondo conosciuto, ma migliora la forma (via via che si procede con l’esplorazione delle terre) e la rappresentazione dei singoli luoghi, quindi i contorni delle isole, ecc. Ecateo è anche il primo che comincia non solo a rappresentare, ma descrive la superficie terrestre. 5)Erodoto, nel 440 a.C. compì un progresso significativo e ha abbandonato l’idea pitagorica di una Terra sferica. Erodoto è considerato il primo storiografo per la presenza, per la prima volta, di un metodo nelle sue ricerche: egli, infatti, viaggiò molto e sebbene conoscesse solo una piccola parte della Terra, questa era da lui ben nota. La sua mappa copre un’area maggiore rispetto a quella di Ecateo ma in particolare è il livello del dettaglio ad essere notevolmente migliore. Descrisse un mondo tutt’altro che circolare e rise di quelli che l’avevano fatto. E’ importante anche la nascita del filone della storiografia: nasce la narrazione di eventi e la tradizione della cronaca diventa storia. La prima opera storiografica sono le “Storie” di Erodoto ( V sec. ) che registrano le tradizioni, l'etnografia, la geografia, la politica e i conflitti tra le varie culture che erano conosciute nell'Asia Occidentale, l'Africa settentrionale e la Grecia del tempo (esempio: guerra fra i greci e i persiani). Anche lui descrive i luoghi dell’ecumene, in modo molto completo, dal punto di vista morfologico, riportando dove sono le isole e i luoghi interessati dalla guerra. Eratostene da Cirene (III sec. a.C.): celeberrimo per la sua misurazione della circonferenza terrestre. È consapevole delle distanze terrestri e dell'idea colombiana per cui andando verso ovest è possibile raggiungere le Indie, misura la circonferenza terrestre. Il suo calcolo è famosissimo: si rese conto che nel giorno del solstizio d’estate, quando il Sole è al culmine del cielo, nella città di Siene a mezzogiorno un bastone non faceva ombra e quindi il sole era allo Zenit (90°), si rese altresì conto che ad Alessandria creava invece un certo angolo diverso da quello di Siene, ed arrivò a calcolare 39.375 km (o 39.700) considerandole sullo stesso meridiano. La vera distanza tra le due città è di circa 40.000 km, c’è andato vicino con gli strumenti dell’epoca e diede per la prima volta un’idea della reale grandezza del pianeta. sviluppa il primo planisfero scientifico, inaugurando la metodologia moderna, basata su un reticolato geografico. Il meridiano e il parallelo principali passano per Rodi e Alessandria. Anche lui disegnò una carta del mondo conosciuto. Inizia la perdita della terza dimensione (Terra nelle rappresentazioni è concepita in modo non tridimensionale), che si recupererà poi solo nell'800 con le isoipse. In sintesi → la geografia greca classica si articola in 3 filoni: • Filone pratico: viaggi, esplorazioni, scoperte, da un lato si avvalevano di strumenti e al contempo producevano resoconti delle scoperte di viaggio, nuove carte e l’aggiornamento della conoscenza del mondo. • Filone matematico e fisico (molto più tecnico): diaframma, circonferenza, … • Filone astratto, filosofico: legato alla concezione del mondo (Pitagora, Anassimandro, Aristarco, …), con la filosofia cambia anche la concezione del mondo. La geografia a Roma Roma inizia ad espandersi e a mettere le mani su aree sempre più vaste del Mediterraneo. La conquista definitiva della Grecia avviene a metà del II secolo, ci fu il contatto tra mondo greco e mondo romano. I romani si accorsero della ricchezza culturale del mondo greco. Roma divenne il centro di potere, di conseguenza intellettuali e studiosi andarono lì, in secondo luogo Roma riportò anche tutta una serie di nozioni, di aspetti culturali, di conoscenze scientifiche, rielaborandole a modo proprio. Uno dei primi studiosi famosi a Roma era Ovidio, che da un punto di vista geografico è molto moderno, poiché abbandona la visione deterministica di Erodoto e sostiene che il successo di un popolo deriva dal suo governo, dalla sua organizzazione, dall’ordinamento politico che i cittadini si danno e sostiene che il governo aristocratico era quello con maggiore successo. Roma però ha di diverso dalla Grecia l’essere una cultura pragmatica, che sviluppa soprattutto discipline e conoscenze pratiche (i cavalli di battaglia di questa civiltà sono l’ingegneria, l’idraulica, la costruzione delle strade e di edifici imponenti), questo influenza anche la conoscenza e la ricerca geografica. I romani organizzavano il territorio con il sistema della centuratio, basato sul sistema che già si adottava nei castra e nella fondazione di nuove città. Polibio di Megalopoli (III sec. a.C.): era uno schiavo di guerra che giunse a Roma, dove divenne un intellettuale molto apprezzato che scrisse le “Storie” (opera storiografica). Sostiene un determinismo di tipo culturale-politico: le scelte dell’uomo non sono determinate dal luogo in cui si trova (determinismo ambientale) ma dalla sua cultura, ossia l’insieme di valori che un gruppo unico possiede. È una concezione molto moderna e avvicina la geografia alla storia. Scrive in greco. Strabone di Amasia (I sec. a.C.): si trasferì a Roma e si calò nello spirito romano. La geografia è necessaria alla politica. Scrive 17 libri di geografia, di cui i primi 2 contengono le basi scientifiche della cartografia. Fissa l'ordine di lettura della carta, in senso circolare dall'Iberia verso nord, est e ritorno passando per il Mediterraneo meridionale. Opera romanocentrica dalle numerose imprecisioni, sia per quanto riguarda le misure della terra, sia sui piccoli dati locali. Abbandona la concezione deterministica e rivaluta la capacità di azione umana e le singolarità locali. La geografia diventa così a pieno titolo sapere politico necessario al buon governo. -Un grande esponente della geografia classica è stato Tolomeo (II sec. d.C.): una sua opera importante è la Geografia, che contiene un'esposizione delle basi teoriche della geografia matematica e le coordinate di 8000 diverse località. Le fonti principali dell'opera furono l'opera del geografo Marino di Tiro e resoconti di viaggi attraverso l’Impero Romano, la Persia e altrove, ma gran parte delle informazioni relative a paesi al di fuori dell'impero erano imprecise. Una delle innovazioni di tale opera fu proprio l'utilizzo, per la prima volta, della latitudine e della longitudine per l'identificazione dei luoghi sulla superficie terrestre. -Giulio Cesare (100-44 a.C.): altro esponente della geografia, scrive il “De Bello Gallico” e descrive bene il territorio, egli vede la conoscenza geografica come un qualcosa di solamente pratico. Non c’è più posto per le riflessioni filosofiche e di concezione del mondo, quello che conta è governare il territorio. Tacito è considerato l’ultimo storiografo latino. La geografia, nel mondo romano, viene ridotta ad essere un qualcosa di molto grafico, scadendo in un tecnicismo esasperato. Se una disciplina non ha un impulso a cambiare da un punto di vista interno si inaridisce e diventa molto tecnica. Decade anche il mondo romano, un mondo sempre più dedito alle mollezze e al lusso. Nell’epoca imperiale abbiamo ad esempio la nascita della letteratura di fantasia, così facendo la geografia muore, i popoli lontani vengono descritti in modi sempre più fantasiosi, conditi di stranezze. Non abbiamo mai l’attenzione degli studiosi per la città, per come si struttura. La geografia si inaridisce e cade in un discorso fanatico e poco oggettivo. Non si sviluppa mai una geografia urbana: nessuno studioso si occupa di come si struttura una città e dei suoi problemi. Si ha solo negli scritti di Giovenale la descrizione di Roma, una satira che descrive i problemi di Roma e che quindi allo stesso tempo fa una geografia urbana. In sintesi → A Roma la geografia si articola intorno a 3 filoni: • Filone pratico (agricoltura, militare…) • Storia descrittiva (Strabone…) • Tecnica-matematica (Tolomeo) La geografia nel Medioevo La geografia dottrinale L’età classica finisce nel 476 d.C. ed inizia il Medioevo. La caduta dell’Impero romano viene preparata già secoli prima con per esempio l’annessione di poteri esterni, l’indebolimento del potere economico… L’impero romano aveva come confine il Reno e il Danubio che separava la parte balcanica con i territori esterni. Le popolazioni barbare cominciano a premere e sfondare diverse zone per il fatto che l’impero si era indebolito. L’impero si fraziona in una serie di piccoli territori che caratterizzeranno l’epoca medievale. Un altro grande cambiamento è l’affermarsi del cristianesimo: dopo un periodo in cui i primi discepoli di Gesù erano perseguitati, nel 313 d.C. con Costantino diventa religione di Stato e inizia a diffondersi. Anche le popolazioni barbare finiscono per essere convertite al cristianesimo. La religione cristiana si sostituisce ai valori romani che si indebolirono dopo la sua crisi e successiva caduta. Portava un messaggio rivoluzionario. Rimane un’unica organizzazione, un’unica autorità che sembra in grado di tenere insieme i territori dell’ex impero e garantire una certa stabilità ovvero la nascente chiesa cattolica che inizia ad organizzarsi e differenziarsi. Questi processi avvengono in un territorio in enorme difficoltà, Roma fondava la sua efficienza sulla comunicazione in latino e sulla circolazione delle merci e delle persone con vie di comunicazione molto all’avanguardia. Ritornano anche malattie debellate, come la malaria. Si caratterizza per un discreto pragmatismo, quindi si sviluppano principalmente le discipline pratiche (come la geometria) che servono a trasformare il territorio. Con il mondo romano crolla la cultura classica: la geografia come tutte le discipline decade del tutto, sia scientificamente che come creatrice di teorie e si inizia a dimenticare tutto ciò che era stato fatto prima. Sono comunque presenti buoni geografi ma oscurati fino all’Umanesimo in quanto pagani e anticristiani. Per esempio, Ammiano Marcellino (IV d.C.) e Rutilio Namaziano (V d.C.). Claudio Rutilio Namaziano (V secolo) scrive ne “Il Ritorno” del viaggio che compie da Roma alla Gallia (la sua patria) quando è costretto a lasciare Roma per fare ritorno nei suoi possedimenti in Gallia devastata dall’invasione dei Vandali. Namaziano ci racconta del suo viaggio condotto per mare, perché con la caduta del potere romano le opere di bonifica vanno in rovina, le strade si dissestano, i ponti crollano e c’è anche il discorso della sicurezza, non essendoci più potere il percorso via terra diventa pericoloso. Le strade consolari erano impraticabili e insicure dopo l’invasione dei Goti. Egli è l’ultimo grande geografo, è un romano all’antica (pratica ancora il culto degli dei anche quando a Roma il cristianesimo diventa la religione ufficiale) ed essendo pagano non accetta i tempi nuovi, rifiutando i culti cristiani, da lui considerati estranei alla tradizione di Roma. Tutto in questo periodo è piegato all’ortodossia delle Sacre Scritture. Ciò che caratterizza il Medioevo è negare l’evidenza scientifica, l’esempio più famoso è il Mondo di Costantino di Antiochia (VI sec. d.C.), in cui si rappresenta la terra chiusa in un cofanetto dove sul coperchio ci sono le stelle fisse e creature divine. Al centro è rappresentata la montagna. Costantino spiega l’alternanza del giorno e della notte con il cielo che ruota e si “nasconde” intorno alla montagna. È l’esempio di come le conoscenze si piegano a ciò che è contenuto nelle Sacre Scritture. All’epoca non è la spiegazione scientifica che interessa, l’importante è essere coerenti con l’ortodossia delle Sacre Scritture (solo un millennio dopo gli studiosi si permettono di metterle in dubbio). In questo periodo si perdono molto spesso conquiste ottenute centinaia di anni prima (come la sfericità della Terra intuita da Pitagora). In pratica si tratta di una sorta di involuzione, l’evidenza scientifica si piega ai dettami e alle convinzioni religiose. nessuna rappresentazione oggettiva della realtà, esempio lampante del fatto che tutte le discipline erano piegate al potere cristiano e ai suoi dettami, il metodo scientifico è messo da parte). Il mappamondo di Andreas Walsperger (1493) è un mappamondo in cui c’è sempre un mondo rappresentato con al centro Gerusalemme. Il passaggio dal Medioevo all’Umanesimo con Fra Mauro Mappamondo di Fra Mauro (1450) primo esempio che qualcosa sta evolvendo e che il tipico modo di pensare medievale sta cambiando. Si distacca dai canoni tipicamente medievali, cominciano a sparire le figure allegoriche e crea un mappamondo relativamente serio. In questo mappamondo il Sud è posizionato in alto, però egli è il primo che rappresenta anche il Giappone (Fra Mauro si informava su scoperte e viaggi). Situato fuori dalla mappa egli rappresenta il Paradiso Terrestre, doveva mettercelo, ma usa questo espediente per mantenere l’oggettività. Con lui si ha il passaggio dal Medioevo più cupo all’Umanesimo con la riscoperta della cultura latina e greca. Il mondo arabo Mentre succede questo nel Mondo Cristiano, c’è anche un'altra cultura che raggiunge il suo massimo splendore dal punto di vista scientifico e che si occupa di cartografie: la cultura araba, che in quel periodo era all’avanguardia per quella che era la scienza dell’epoca. Anche lì la religione ha preso il sopravvento, però grandissime creazioni ancora oggi le dobbiamo agli studiosi arabi. Hanno una cartografia molto sviluppata e raffinata. I loro sono molto simili ai mappamondi cristiani, anche loro vedono il mondo circondato dall’oceano e spesso tripartito. La cosa interessante è che loro non mettono in alto l’Est, ma ci mettono il Sud perché al Sud c’era la Mecca e ancora una volta la religione è preminente. Il famoso cartografo dell’epoca è Al-idrisi (XII secolo), attivo in varie corti arabe e alla corte di Palermo di Ruggero II. Nel 1154 realizzò un planisfero per re Ruggero, detto “Tabula Rogeriana”, che è una delle più avanzate carte geografiche del mondo medievale. Al-idrisi disegna una decina di carte, erano opere che spesso venivano commissionate dai potenti anche perché impressionavano, come dimostrazione che potevano permettersi queste opere. Inoltre, compone l’atlante dell’Islam. La geografia pratica Questo Medioevo dove c’è la forte influenza religiosa non è l’unico Medioevo, c’è anche un medioevo pratico che ci riporta all’antichità: continuano i traffici, gli scambi i commerci e questo è rappresentato dai viaggi di Marco Polo verso Oriente. In questo periodo la parte ricca del mondo era proprio l’oriente, la rotta si invertirà con la scoperta delle Americhe che ha portato molte ricchezze. In questo periodo c’erano viaggi di molte città che si organizzavano per commerciare: è il periodo dell’esplosione delle repubbliche marinare. Tutti questi viaggi commerciali sono favoriti dall’invenzione della bussola, che sembra sia stata importata dall’Oriente (Cina) dagli amalfitani. La bussola permette di navigare meglio e di orientarsi non soltanto con la stella polare e il sole. Si diffondono anche i pellegrinaggi, troviamo molti racconti di pellegrinaggi (alcuni con stramberie e semi fantastici) e troviamo anche itinerari. Rimane comunque più frequente la creazione di strumenti e materiale per la navigazione, una delle creazioni è il Portolano (discendente del periplo greco) che è una guida per navigare, spesso ma non sempre correlata da cartografia. È scritto in sabir, una sorta di lingua franca che era comprensibile da tutti. Molto spesso con i portolani c’erano anche allegate carte nautiche vere e proprie, costruite o su pergamena o su altri supporti. Ne abbiamo pochissime perché essendo strumenti usati erano sottoposti a usura e intemperie. Es: la Carta Pisana (1275), l’ambito territoriale è il Mediterraneo, si caratterizza per l’estrema precisione nella rappresentazione. Non è organizzata per meridiani e paralleli ma è organizzata su un reticolo romboidale e compaiono le rose dei venti, proprio perché grazie alla bussola si poteva seguire le direzioni dettate dai venti. Abbiamo un ampio proliferare di queste carte nel periodo del XII e XII I secolo in cui fioriscono anche le repubbliche marinare. Ci sono diverse scuole di cartografia ed erano lavori di lusso perché erano in pochi coloro che sapevano fare questo lavoro. Le scuole di cartografia davano un vantaggio con la loro presenza per la navigazione. Abbiamo la scuola pisana, quella a Maiorca (esempio la carta della scuola maiorchina) e poi nel corso del tempo si sposteranno verso Venezia. Le grandi famiglie di cartografe provengono da una particolare cultura religiosa, quella ebrea, perché gli ebrei fin da quei tempi sono vittime di persecuzioni e dovevano scappare: questo spiega perché avessero delle professioni di questo genere, come medici, banchieri, gioiellieri… È un periodo di passaggio dove si affievoliscono sempre più le tendenze di tipo religioso e nasce una nuova geografia che verrà favorita dalle scoperte della fine del XV secolo. In sintesi → la geografia nel medioevo è doppia: - Dottrinale (i mappamondi T in O, le rappresentazioni per pale di altari, la geografia araba..) - Pratica (portolani, carte nautiche…) La geografia nel Rinascimento Nuove scoperte L’inizio dell’Età Moderna rivoluzionerà la conoscenza del mondo ed il suo assetto politico ed economico, darà impulso alle discipline come la cartografia. Già un anno dopo la scoperta dell’America si continua a rappresentare il mondo come prima, perché non ci si abitua facilmente a simili scoperte. Le prime navigazioni erano già state compiute dai portoghesi con Vasco da Gama ecc. già dalla metà del XV secolo: iniziano a scendere verso sud nel Portogallo e riescono anche a circumnavigare l’Africa. I portoghesi avevano questo interesse per ragioni economiche, erano interessati ai prodotti che arrivavano da Oriente. I problemi delle vie terrestri (viaggi di Marco Polo) è che si dovevano superare i territori arabi, che imponevano tasse e dazi: si sceglie la navigazione per mare per superare questo e si capisce che per farlo si può circumnavigare l’africa. Queste esplorazioni hanno come conseguenza l’evoluzione della cartografia: già alla fine del XV secolo ne Il mondo di Martello si vede come vengono già definiti meglio i contorni dell’Africa. Ciò che veramente porta a una rivoluzione sono tutte le esplorazioni seguenti: più si prosegue con le esplorazioni, maggiormente si conosce il territorio. Colombo ebbe la fortunata circostanza di basarsi sulle misurazioni di Tolomeo, che nella determinazione della longitudine e rende più lungo il Mediterraneo di quello che in realtà è e Colombo pensa che quindi la via più breve per raggiungere le Indie sia andando verso ovest. Il 14 ottobre nel 1492 credette di essere arrivato nelle Indie, non sapendo che fossero le Americhe. Farà altri viaggi. Subito dopo aver scoperto qualcosa di nuovo arriva una nuova cartografia come la carta di Juan de la Cosa (circa 1500), cartografo che si trovava tra i marinai di colombo e che rappresenta le nuove terre in maniera abbozzata. La carta riporta l’equatore e il tropico del cancro, però si vede ancora Gerusalemme, la torre di Babele, la Regina di Saba quindi è un anello di congiunzione tra le nuove carte umanistiche e le vecchie allegoriche medievali. Questo è il mappamondo di Mercatore (1587): è una cartografia che tende a diventare scientifica, ci sono meridiani, paralleli, i confini dei territori sono precisi… Questo è il grande risultato dell’Umanesimo. -Ortelio (Abraham Ortelius, fiammingo 1528-1598) è forte avversario di Mercatore. Nel 1570 ad Anversa pubblica il Theatrum Orbis Terrarum che è il primo atlante della storia, una raccolta completa delle carte delle varie parti del mondo. E’ un’opera che si compone del planisfero, dove compare sempre un presunto continente australe ma migliora il disegno delle Americhe e dell’Indo-Cina. Dopo troviamo rappresentazioni dei singoli continenti, per esempio abbiamo la rappresentazione dell’Europa con la zona della Scandinavia abbozzata. Fa anche delle carte “regionali”. Fu accusato di aver rubato questo atlante a Mercatore. Qualche decennio dopo anche Mercatore creerà un atlante. Planisfero di Ortelio Perché si chiama atlante? Atlante era uno dei titani che voleva rovesciare gli dèi e che fu punito a portare la Terra sulle spalle. Nella copertina dell’atlante si vede questo personaggio intento a misurare il mondo e sarebbe un presunto Re Atlante. Nel corso del tempo questo nome viene associato all’Atlante punito da Zeus. Fiorisce questo interesse per la cartografia: le carte servono per fare ricordare ciò che è stato scoperto. Anche l’Italia produce i suoi cartografi interessanti, abbiamo la rappresentazione dell’Italia nella Gallerie delle Mappe in Vaticano del 1580, che è abbastanza precisa. Emerge il problema della rappresentazione delle altitudini. Nel ‘600 abbiamo Giovanni Antonio Magini, che rappresenta l’Italia con carte anche regionali. Sebbene continuino divagazioni fantasiose con mostri marini e sirene, le terre sono rappresentate in modo abbastanza fedele alla realtà. Segno di un miglioramento di tecniche e conoscenze. Cresce anche la cartografia urbana, si vedono città con giardini e orti interni da usare in caso di assedio, siamo ancora a metà strada tra le rappresentazioni artistiche della città e la cartografia. Nasce anche la cartografia speciale con carte politiche che mettono in risalto l’articolarsi dei confini. Geografia scientifica Da un punto di vista scientifico è vero che la fine del ‘600 è un momento importante per il raffinamento delle tecniche e infatti quello che abbiamo è soprattutto una serie di figure di studiosi tecnici, di geometria; si vede l’emergere di tanti studiosi di scienze matematiche come Bernardo Varenio. Egli scrive la “Geografia generalis” che però non porta grandi innovazioni alle conoscenze del mondo, ma rimette insieme le conoscenze e lo stesso lo fa anche un altro studioso, Guglielmo de Isle, il quale elabora diverse proiezioni geografiche, cartografa, ma soprattutto è il primo a correggere il problema dell’eccessiva lunghezza del Mediterraneo disegnato da Tolomeo, elimina le terre immaginarie e fa un passo avanti verso un atteggiamento scientifico (ad esempio spariscono anche i mostri marini); tende ad ammodernare il modo di rappresentare la Terra. La geografia come riflessione sull’ambiente e sul rapporto uomo-ambiente non riprende vigore in questo periodo e si sviluppa soltanto la geografia scientifica. Geografia del ‘ 700 L’organizzazione del sapere Il ‘700 si caratterizza per la ripresa delle grandi esplorazioni. Importante è il capitano James Cook, famoso per aver compiuto viaggi di esplorazione nel Pacifico meridionale per la Corona inglese. Nel Pacifico si pensava che ci fosse una terra ancora non scoperta, ovvero la Terra Australis, che si credeva attaccata all’Antartide. James Cook scopre le varie isole del Pacifico come Tahiti dove incontra i nativi e trova una pratica strana: il tatuaggio, dopodiché introduce in Inghilterra la parola “tattoo”. Scoprì l’Australia e la Nuova Zelanda intorno al 1770 e anni dopo fu fondata la prima colonia inglese in Australia. Nel ‘700 la geografia si riduce a essere solamente tecnica, con molte innovazioni (ad esempio in cartografia) ma senza alcuna spinta verso l’interpretazione del mondo. Geografia del ‘ 800 La resurrezione della geografia Nel XIX secolo la Geografia rinasce con una serie di studiosi che diventeranno i padri fondatori della Geografia moderna: è il secolo d’oro della geografia. La geografia fisica si dividerà definitivamente dalla geografia umana che si avvicinerà alle discipline umanistiche come la storia e la sociologia. Prima si davano risposte di tipo deterministico: l’ambiente comanda, l’uomo si adegua, mentre in questo periodo si applica alla geografia umana i metodi di studio della geografia fisica e questo permette di confrontare casistiche simili. Si cominciano a fare carte comparative e si capisce che a parità di condizione molte situazioni si ripetono. Si applicano quindi metodi scientifici alla Geografia umana. L’800 è comunque il secolo del determinismo geografico, questo secolo vede anche la nascita dell’ecologia (= studio delle condizioni ambientali), della geografia culturale e quindi l’analisi delle risposte che l’uomo da all’ambiente e che sono mediate dalla cultura; la nascita della geografia urbana con l’analisi sistematica della città; della geografia politica con la teoria secondo cui gli stati devono ingrandirsi conquistando i territori vicini e della geografia umana/delle popolazioni e si iniziano a studiare le razze. La Geografia risorge e si appresta a diventare la disciplina che è adeso, entra nell’accademia e dunque nella cultura che conta. L’800 è uno dei periodi più fecondi della geografia. L’età moderna da un grande impulso a tutto ciò che è relativo alle scoperte geografiche. Vi è stato un gran fiorire della cartografia e al contempo comincia il superamento di quello che era l’atteggiamento dottrinale della scienza, il discorso particolare del superamento del condizionamento cristiano che già nel Medioevo aveva creato determinate conseguenze, ma ancora al tempo di Galileo continua a crearne. I grandi pensatori cominciano a smantellare questo tipo di atteggiamento e il metodo scientifico diventa migliore. Quindi abbiamo tante innovazioni tecniche, abbiamo innovazioni nel modo di rappresentare la terra (proiezioni cartografiche, rilevamento altitudini, …). Una serie di persone (Cassini, Varemio, …) portano avanti il pensiero geografico. La disciplina finisce presto per essere inaridita, non si hanno più quelle riflessioni e interpretazioni del mondo che caratterizzavano la geografia anche in epoca più antica. Nasce la geografia umana, ricordiamo per esempio il metodo di Alexander Von Humboldt (Germania, 1769-1859) che è un personaggio eclettico, nasce come ingegnere minerario ma poi si converte alle scienze naturali e compirà molti viaggi, è l’emblema di quelle persone erudite che viaggiavano per conoscere (siamo nell’epoca del Grand Tour). Si racconta che rimase profondamente scandalizzato dalla vendita degli schiavi tanto che acquistò degli schiavi e poi li liberò. La cartografia nazionale I vari stati si dotano di una cartografia nazionale perché se non si conosce il territorio non si può gestire. Famosa è la carta del 1832 del Granducato di Toscana, si tratta di una carta molto precisa che sta alla base della cartografia ufficiale toscana, altra importante è quella del Regno di Napoli e non è un caso poiché questi due, il Regno delle due Sicilie ed il Granducato di Toscana, erano i due Stati più attenti alla cartografia. Sappiamo che Leopoldo II Granduca di Toscana era fissato con geografia ed il territorio e portò avanti il cosiddetto Catasto Ferdinandeo-Leopoldino, catasto generale del granducato istituito da suo padre nel 1819. Questo ha una scala che rappresenta addirittura le case, le strade ed è, di conseguenza, uno strumento di conoscenza dettagliato. La nascita dell’ecologia Nel frattempo, continua la riflessione scientifica. Ernst Haeckel (biologo, zoologo, filosofo e artista tedesco) nel 1866 usa per la prima volta il termine ecologia, intesa come scienza che studia le condizioni e le interrelazioni tra esseri viventi e l’ambiente che le accoglie, studia le caratteristiche dell’ambiente [questa è l’ecologia intesa in senso scientifico, l’ecologismo è un’altra cosa]. Il determinismo ambientale Il più interessante personaggio dell’800 è Friedrich Ratzel (1844-1904 Germania) vive leggermente dopo rispetto ai due predecessori. Egli è un naturalista, si definiva un discepolo di Darwin; quindi, aveva un atteggiamento evoluzionista e molto positivista (nel senso che conta l’evidenza delle prove). Ratzel insegna a Lispia geografia e si concentra ad analizzare quelli che sono i rapporti fra l’ambiente naturale e l’uomo. Scrive un’opera monumentale, l’“Anthropogeographie”, pubblicata in volumi nel 1891, dove lui porta avanti l’idea di determinismo ambientale: ovvero le condizioni dell’ambiente fisico condizionano in maniera ferrea la risposta dell’uomo. L’ambiente obbliga l’uomo a determinate risposte, c’è quindi una casualità unidirezionale dall’ambiente all’uomo. La natura dà una sfida e l’uomo ha solo una possibile risposta. Oggi sappiamo che non è così, poiché l’uomo ha la possibilità di rispondere in maniera tale da modificare, condizionare, l’ambiente, dunque si tratta di un rapporto bidirezionale. Per Ratzel non era così, c’è una obbligatorietà di risposta, tutto quello che l’uomo fa è visto assolutamente condizionato dalle condizioni dell’ambiente fisico (per condizioni dell’ambiente fisico si intende non solamente il clima, ma anche il tipo di terreno, la presenza di acqua…). In pratica Ratzel nega l’importanza di tutti quei fattori antropici legati alla cultura, quindi fattori storici: l’uomo risponde all’ambiente in modo obbligato. Sono soprattutto i suoi successori a spingersi oltre come Ellen Churchill (1863-1932 professoressa di Chicago, geografa, allieva di Ratzel), una volta tornata in America è diventata la prima professoressa donna ad insegnare in università. È famosa non solo per la sua importanza nella storia di genere, ma anche perché scrisse la famosa opera “Influenze dell’ambiente geografico sul sistema dell’Antropogeografie di Ratzel”→qui scrive che l’uomo è un prodotto della Terra, questo significa non solamente che egli è figlio della Terra, ma che questa lo ha generato, alimentato, gli ha dato compiti, lo ha diretto nei suoi pensieri, lo ha messo a confronto con le difficoltà che hanno rafforzato il suo corpo e affinato il suo ingegno. La Terra è entrata nelle sue ossa, nella sua anima e quindi ha dato loro qualità per affrontare l’ambiente in cui vive: gambe forti in montagna, gambe esili, ma braccia forti nelle zone di acqua per usare i remi, ecc. Per lei l’ambiente crea l’uomo, ma non è così, non per forza chi vive in un certo ambiente ha particolari caratteristiche fisiche e soprattutto intellettive. Per certi versi ha ragione, l’uomo si deve adeguare all’ambiente fisico, ma sul plasmare la mentalità dell’uomo esagera. Inoltre, lei dice: “Perché le religioni monoteiste nascono tutte nella stessa zona?” Risponde: “Queste nascono nel vicino Oriente, terra unica, piatta, quindi l’uomo ha immaginato un unico Dio perché l’ambiente è unico, mentre le religioni politeiste nascono nei luoghi di grande vivacità paesaggistica come la Grecia, l’India, il Giappone”. Un atteggiamento di questo genere secondo molti ha portato anche alla formazione dell’ideologia nazista, un atteggiamento di questo tipo spinge a dire, se l’uomo dipende dall’ambiente fisico, che lo Stato ha bisogno di crescere in continuazione (espansionismo). Sicuramente la geografia tedesca dell’800 arriva a considerare troppo il determinismo ambientale, cioè a non considerare più l’importanza dei fatti storici in senso lato. Il determinismo ambientale sarà utilizzato per affermare la superiorità della razza. Il possibilismo I francesi ribaltano le idee tedesche, il tutto comincia con Paul Vidal de la Blanche: si rifà alla storia per spiegare l’organizzazione del territorio e riconosce la complessità delle relazioni tra uomo e ambiente. La natura non offre solo vincoli ma offre delle possibilità che i vari gruppi umani sfruttano a secondo della loro cultura. La frase tipica del suo pensiero è: “La natura propone, l’uomo dispone”, quindi la logica non è più che la natura impone e l’uomo si adatta, ma che la natura da delle sfide, delle proposte, e l’uomo ha delle possibilità di risposta che dipendono dalle sue diverse capacità, dalla sua diversa cultura, abilità tecnica, obiettivi, ecc. La geografia francese ribalta il problema. Importanti sono i fatti storici, questi differenziano le risposte dell’uomo, si tratta quindi di un discorso culturale. Questo tipo di atteggiamento si chiama possibilismo: va a sottolineare le possibili risposte dell’uomo alle sfide dell’ambiente. Riporta al centro la dimensione antropica e storica. Da Vidal de la Blache nasce tutta la scuola francese anche storica, cioè tutto quell’atteggiamento scientifico che vede storia e geografia indissolubilmente legate: dove le risposte dell’uomo all’ambiente vengono viste legate agli eventi storici e dove gli eventi storici vengono spiegati attraverso le condizioni dell’ambiente. Per De La Blache non è l’ambiente che obbliga l’uomo, ma la storia. Questo andrà avanti per diversi decenni anche se porterà ad un certo inaridimento della disciplina. Emergono una serie di esponenti importanti come Lucien Febvre che sostiene che non esistono necessità ma possibilità e l’uomo ne è padrone. Comincia una serie di studi e pubblicazioni che analizzano i rapporti ambiente/uomo in questa ottica nuova, si analizza come diversi gruppi umani si rapportano ad uno stesso elemento naturale. La geografia fa una scelta di campo: le scienze naturali si staccano dalle scienze umane e la geografia si colloca tra queste due, nella nuova geografia conta sia lo spazio che il tempo. Comincia ad osservare tutte quelle caratteristiche fino a quel momento trascurate come i caratteri sociali e politici, le religioni perché ogni gruppo umano ha le sue caratteristiche. Si introduce il concetto di paesaggio: insieme di elementi fisici e umani che si combinano manifestando il momentaneo equilibrio nei rapporti tra uomo e ambiente (definizione del Congresso Geografico Internazionale). Un paesaggio possiede caratteri ambientali e umani ben precisi. Si tratta dunque di un misto tra elemento naturale ed elemento umano, i quali dipendono ovviamente dalla storia: abilità, tecniche e visione del mondo. I paesaggi hanno elementi ben precisi, il paesaggio toscano tipico ha elementi riconoscibili, sia naturali che antropici: colline, clima mediterraneo, idrografia poco sviluppata e quindi aridità estiva tra gli elementi naturali, coltivazioni scelte, modo di coltivare, uso dei cipressi come confine o ornamento, abitazioni fatte sulla sommità della collina essendo il punto più stabile. Tutti questi sono elementi antropici. Certi elementi possono trovarsi anche in altre zone. I paesaggi si ripetono ciò che rende un’area unica è il genere di vita, introdotto dal possibilismo per indicare gli aspetti culturali e che differenzia i vari paesaggi. Il genere di vita: è l’insieme dei comportamenti sociali di un gruppo umano, un gruppo umano reagisce alle sfide ambientali organizzandosi in un certo modo. L’incontro tra un paesaggio ripetibile e un genere di vita che è unico perché espressione di un gruppo umano dà vita a quella che viene detta regione. Un territorio omogeneo si individua quando un paesaggio viene plasmato, ritrasformato in modo unico da una popolazione che lo usa per i suoi scopi. Una regione non è più dunque definita dall’omogeneità fisica ma serve l’elemento umano che la rende coesa, si passa da una variabile ambientale a una di tipo storico. In questo caso allora si abbiamo un paesaggio unico perché si trovano caratteri che vengono dati da quella popolazione ma non si ritrovano in altre zone: per esempio le Cinque Terra e San Rossore differiscono perché il primo nasce come località di pescatori e il secondo come centro turistico, gli atteggiamenti umani sono diversi, lo stesso vale per Taormina molto simile ai primi due ma influenzata da una cultura più antica greca, Santorini con le case bianche e blu e le cupole, è un paesaggio mediterraneo ma con elementi antropici ben definiti, Calvis che in Corsica nasce come caserma francese… Il paesaggio + genere di vita dà quindi vita alla regione formale/umana: territorio plasmato da un determinato genere di vita che ha come risultato un determinato paesaggio o un insieme di paesaggi tra loro connessi. A questo punto in geografia entra per la prima volta la storia. Si sviluppano opere che studiano le varie risposte che i diversi gruppi umano danno alla stessa sollecitazione ambientale ma tutto è ridotto al descrittivo. Oggi la geografia non è più nomotetica ma è idiografica. La geografia del ‘900 Il funzionalismo anglosassone e la regional science Alla metà del secolo c’è una reazione anche a questo tipo di approccio francese. Una reazione che troviamo soprattutto in ambiente anglosassone, che ribalta il filo del pensiero geografico (USA-Inghilterra). Si va alla ricerca di una geografia che teorizzi, crei norme e studi il mondo con regole ben chiare. Si apre dunque il periodo del funzionalismo che ribalta di nuovo il concetto di spazio organizzato che era stato ideato dai francesi. Lo spazio per i francesi era un qualcosa di plasmato da un gruppo umano (regione), ma con la crescita del mondo non c’è più omogeneità di generi di vita, basti pensare a una città che presenta generi di vita diversi (operai, contadini, colletti bianchi…). Si comincia a leggere lo spazio non in termini di uniformità paesaggistica ma in termini funzionali ovvero di organizzazione: contano gli elementi costituenti dello spazio visti nelle molteplici interrelazioni. Lo spazio non è più visto coeso perché organizzato in modo omogeneo ma grazie alle relazioni che si creano tra i suoi elementi. Viene messa al centro la città: tutti gli elementi alla base dell’organizzazione territoriale hanno sede nelle città dove tutto è organizzato in base alle funzioni. Per esempio, nella mappa dei flussi pendolari italiani del 2001 vediamo la reale organizzazione del territorio, come viene veramente vissuto il territorio: tutto viene fatto in poli e aree dove tutti convergono. La geografia si trasforma in una vera e propria regional science: individuata la struttura territoriale si può operare attraverso metodologie matematiche statistiche, è una disciplina fortemente operativa. Negli USA si formano i primi geografi che operano in questi termini. Tutto questo però è troppo rigido, è infatti meccanicistico ed economista finendo per trascurare gli aspetti di natura storica, culturale e antropica. L’uomo non risponde a rigide leggi matematiche perché possiede anche una parte culturale. Elementi di cartografia Se la geografia è l’incontro tra natura speculativa dell’uomo e il suo essere un animale territoriale (abbiamo visto come l’uomo ha bisogno di conoscere il proprio territorio per trarre risorse, avere riparo, per ricavarne ciò che gli serve), chiaramente la cartografia è il linguaggio privilegiato della geografia, nel senso che tutte le discipline hanno un linguaggio (la matematica ha il numero ad esempio), la cartografia è la rappresentazione grafica del territorio. Ormai essa è come una disciplina a parte perché si basa su tecniche molto precise e specifiche, soprattutto con le nuove tecnologie. Abbiamo visto come fin dagli arbori della civiltà umana compare questa tendenza a disegnare il proprio territorio, tendenza a rappresentare ciò che gli sta attorno in forma grafica. Un esempio è la mappa della Bedolina che mostra segni territoriali: capanne, sentieri, animali, campi coltivati… si tratta di una rappresentazione di una parte di territorio, è semplicemente una carta. Ovviamente è chiaro che vedendo una rappresentazione di questo genere la vediamo molto lontane da quelle che sono le nostre attuali conoscenze geografiche (le conoscenze e le tecniche erano diverse), però la logica sostanzialmente è la stessa. L’uomo rappresenta da sempre il proprio ambiente, lo descrive e lo disegna. Abbiamo visto come nel corso della storia dell’evoluzione del pensiero geografico ritorna quasi sempre l’elemento cartografico. Spesso la cartografia rappresentava non il mondo reale ma il mondo ufficiale, cioè una rappresentazione ideologica; quindi, ogni epoca aveva le proprie visioni del mondo, talvolta con l’aggiunta di visioni allegoriche che sono lo specchio di quella che era la cultura della civiltà dominante in quel dato momento. Inizialmente la rappresentazione dell’ambiente era per scopi pratici ovvero memorizzare e trasmettere informazioni utili alla sopravvivenza, in seguito anche per comprendere come sono fatti la Terra e l’Universo in cui viviamo. La rappresentazione è legata a un proprio codice convenzionale stabilito dalla popolazione che la rappresenta. Esempio è il Mappamondo Ebstorf che è usato a pala di altare e riporta il Cristo che abbraccia il mondo, Gerusalemme al centro e il Paradiso Terrestre, si tratta di una visione del mondo allegorica. Anche civiltà molto lontane usavano rappresentare, come la carta degli indigeni delle isole Marshall (XIX secolo), primitiva rispetto alle nostre conoscenze scientifiche, poi si capì che in realtà gli indigeni delle isole Marshall rappresentavano quello che era il loro ambiente, quindi il mare, con le conchiglie come isole e i nervi di palma come rotte. È cartografia anche quella, era una carta nautica. Loro rappresentavano ciò che gli serviva ed essendo isolani rappresentavano il mare e le rotte da prendere. I simboli sono diversi dai nostri ma questo è normale, perché i simboli sono frutto di convenzione (es. azzurro per il mare) e dunque ogni civiltà fa uso della propria simbologia. Non necessariamente queste simbologie devono essere simili tra di loro, da qui la difficoltà degli esploratori delle isole Marshall a riconoscere quel tipo di rappresentazioni. Noi siamo abituati per convenzione a determinate carte, ma altre carte con prospettive diverse, come i planisferi orientali, queste sono assolutamente corretta, è solo una prospettiva di un altro tipo di realtà, essi centrano la rappresentazione dove interessa a loro. La cartografia, in quanto rappresentazione, risponde a delle regole scientifiche e tecniche di disegno, ma è comunque una manifestazione culturale di chi la conosce e non è mai oggettiva. La carta non è la realtà, ma è una rappresentazione della realtà, tutte le carte sono convenzionali, di oggettivo c’è solo la realtà. Anche l’orientamento delle carte è convenzionale: siamo abituati ad avere il Nord in altro, ma sarebbero corrette anche carte che mettono in alto altri punti cardinali, oppure carte che centrano la rappresentazione in una zona piuttosto che in un’altra (es. carta con al centro il Giappone che finirebbe di lato se si centrasse la carta sull’Europa, nella carta si rappresenta sempre quello che ci interessa di più). Anche la simbologia e l’uso del colore è una convenzione per analogia. La Cartografia, in quanto rappresentazione, risponde a regole scientifiche di disegno, ma è sempre una rappresentazione culturale convenzionale e di conseguenza non è quasi mai oggettiva; la carta non rappresenta la realtà come è davvero, ma come viene percepita. Tutto quello che ha una distribuzione spaziale può trovare un riscontro cartografico, sia il Mondo che qualunque suo aspetto particolare, fisico o antropico. Si parte dal presupposto che tutto quello che ha una distribuzione spaziale può essere cartografato. Carta geografica: è una rappresentazione grafica, ridotta, approssimata e simbolica della superficie terrestre. È una descrizione ragionata di un determinato paesaggio o territorio realizzata attraverso l’uso di tecniche grafiche. Può essere la superficie stessa o un fenomeno su di essa distribuito. Tutto quello che ha una distribuzione spaziale può comunque essere cartografato. La carta fisica: rappresenta alcuni aspetti della superficie terrestre come se l’uomo non ci fosse. Possono essere lasciati i confini e i nomi dei paesi, ma non ci sono città, né strade. Questa va rappresentare il rilievo (i vari monti e catene), l’idrografia, i laghi, i mari. Uso questa carta quando devo analizzare l’ambiente fisico, serve per vedere, ad esempio, la distribuzione delle montagne... I colori scelti sono convenzionali. Le carte fisico-politiche: mette alcuni elementi fisici (montagne…), però sono sottolineati molti aspetti umani: i confini, le principali città, ecc. È un altro tipo di rappresentazione, a seconda di quello che io devo rappresentare scelgo la carta più adatta. Le carte tematiche: rappresentano la distribuzione e talora anche le entità di un fenomeno particolare, ad esempio: carta climatica, rappresenta quelle che sono le principali fasce climatiche del clima europeo, serve per capire come si distribuisce il clima. Sono importantissimi perché permettono una visione riassuntiva immediata e a primo impatto. Sono utili per capire la distribuzione di un fenomeno. Ci sono delle carte che sono puramente tematiche, come il cartogramma che rappresenta la metropolitana di Londra, senza che ci siano altri dati sulla città oppure la carta che rappresenta la distanza temporale da Londra a inizio XX secolo, costruita a isotime. Si punta il centro di Londra e si vede quanto tempo ci vuole per raggiungere quelle zone con il mezzo più veloce. La scala deve sempre essere indicata sulla carta, perché ci dà la chiave di lettura della carta ci dà la possibilità di recuperare le informazioni utili e le dà autorevolezza scientifica. Le carte senza scala sono prive di senso. Dunque, la scala o è indicata in modo esplicito, es. scala 1: 25.000 (scala esplicita numerica) o altrimenti trovo anche la scala grafica ovvero un segmento diviso in cm e il più delle volte con già la commutazione della scala reale. Tutto questo vale solo per le distanze lineari e non per le superfici → sono proporzionali al quadrato del rapporto espresso dalla scala. Le carte possono essere classificate a seconda di quella che è la loro scala: • Carte a grandissima scala denominatore < 10.000 dove il denominatore è piccolo, solitamente inferiore a 10.000 (realtà rimpicciolita non più di 10.000 volte). Rappresentano aree piccole della terra, però con una grande ricchezza di dettagli. Si dividono in: 1) piante (sono quelle urbane) 2) mappe (sono quelle rurali). Questa è la caratterizzazione più grande delle carte. • Carte a grande scala 10.000 < denominatore < 150.000/200.000 dove il denominatore è compreso fra 10.000 e 150.000/200.000 (realtà rimpicciolita al massimo per 150/200 mila volte). Con questa si perdono molti dei dettagli, sono carte che rappresentano con buoni dettagli porzioni piuttosto piccole di superficie terrestre. Si chiamano carte topografiche (topos, dal greco luogo), carte che rappresentano un certo luogo, cioè aree contenute, non vastissime. • Carte a media scala 150.000/2000 < denominatore < 1.000.000 dove il denominatore è compreso fra 150.000/200.000 e 1.000.000. Il dettaglio non è più presente, bisogna scegliere e sacrificare quelli che sono gli oggetti geografici secondari, meno importanti. Si chiamano carte corografiche, che rappresentano una regione, una parte della superficie ampia ma non ancora globale. • Carte a piccola scala denominatore > 1.000.000 dove il denominatore è superiore a 1.000.000. Sono dette carte geografiche in senso lato, perché rappresentano teoricamente anche tutta la terra o enormi porzioni di essa (ad esempio i continenti). Il dettaglio non si vede più, si vede la sintesi, però queste hanno uno scopo che è diverso da quello di una mappa catastale. L’approssimazione Le carte sono approssimate. La Terra è sferica e non può essere ridotta in piano, qualunque sviluppo di una superficie sferica in piano crea delle distorsioni più o meno evidenti. Per risolvere questa incompatibilità tra una superficie curva e una superficie piana si ricorre alle proiezioni geografiche: sono quelle metodologie che permettono alla carta di essere più aderente alla realtà limitandone le distorsioni. Una carta, per essere attendibile, dovrebbe soddisfare i seguenti 3 requisiti fondamentali, ovvero dovrebbe essere: • Equidistante: dovrebbe conservare i rapporti tra le distanze che ci sono nella realtà, quindi se una distanza è doppia nella realtà deve essere doppia anche sulla carta. • Equivalente: la carta dovrebbe conservare anche le superfici, le aree. Quindi deve conservare i rapporti tra le distanze, ma anche quelli tra le aree. • Isogonica: la carta dovrebbe mantenere invariati gli angoli formati intersecando la rete dei meridiani e dei paralleli. Solo un globo conserva contemporaneamente queste tre condizioni, ma la carta mai perché il passaggio dalla terra al piano sacrifica almeno una di queste 3 condizioni/requisiti. Le deformazioni saranno tanto minori quanto minore è la porzione di superficie terrestre rappresentata: quindi è minore nelle carte a grande scala. Più la superficie è ampia più troviamo problemi, perché si percepisce maggiormente la curvatura. Le proiezioni geografiche (metodologie geometriche atte a limitare le deformazioni causate dal passaggio dalla superficie sferica a quella piana) si classificano in: • Vere: costruite secondo rigidi principi matematici e geometrici: il reticolato geografico viene riportato geograficamente su una superficie ausiliare. Le proiezioni modificate sono ottenute queste apportando correzioni, attraverso l'applicazione di formule matematiche, così da diminuire inevitabili deformazioni. Troviamo: proiezioni azimutali o prospettiche, si immagina di proiettare il reticolato geografico direttamente su un piano tangente alla sfera terrestre. Il piano può essere tangente a un polo, a un punto dell’Equatore o a un punto qualsiasi della superficie terrestre. Il punto di vista è il punto dal quale partono le rette immaginarie che proiettano la superficie sferica sul piano di proiezione. Il punto di vista si trova sempre dalla parte opposta al piano di proiezione. A seconda del punto di tangenza del piano, la proiezione viene detta polare (piano tangente a uno dei due poli), equatoriale (piano tangente a un punto dell'equatore) od obliqua (tangente a un altro punto qualsiasi della superficie terrestre). Considerando, invece, la posizione del punto di vista, cioè il punto da cui si immagina che fuoriescano le visuali, le proiezioni possono essere definite centrografiche, stereografiche oppure ortografiche. Nelle proiezioni centrografiche il punto di vista si trova al centro della Terra; il difetto di una carta costruita con questo metodo è che la proporzionalità fra distanze reali e cartografate diminuisce con l'aumentare della distanza di un punto della superficie terrestre dal punto di tangenza. Nelle proiezioni stereografiche il punto di vista è situato sulla superficie terrestre e opposto rispetto a quello di tangenza del piano. Le distanze fra i paralleli non sono proporzionali a quelle reali, ma l'errore è meno accentuato rispetto alla proiezione precedente. Nelle proiezioni ortografiche il punto di vista è situato all'infinito e i raggi di proiezione sono paralleli. I paralleli risultano tanto più ravvicinati quanto più ci si allontana dal punto di tangenza. • Interrotte: Un’altra soluzione può essere la proiezione interrotta di Mollweide, si mantengono tutte e tre le caratteristiche ma il problema è che ci sono aree che non possono essere rappresentate. La simbologia La carta è simbolica, deve usare una serie di simboli che sostituiscono l’immagine reale, devo creare un alfabeto di segni che corrisponde a quelli che sono gli aspetti reali del territorio. Dunque, i simboli rappresentano gli elementi della realtà, danno la possibilità di capire che cosa c’è su un territorio. Devono essere riportati in una legenda Tre problemi da affrontare: • Simbolismo planimetrico (come rappresentare delle cose che si sviluppano in piano) per strade, case, stazioni, passaggi a livello, vegetazione, prati, idrografia, ecc. • Simbolismo altimetrico (altezze e rilievi) per le altitudini. Uno dei grandi problemi era quello di rappresentare le altitudini, fino a quando furono inventate le curve di livello (‘700), ovvero le isoipse: è come se tagliassi il rilievo con una serie di piani messi ad una certa distanza e proiettassi i punti dove questi piani tocca il rilievo. Questo ha permesso di calcolare l’effettiva altezza di ciascun punto e capire anche la forma del rilievo, a questo punto si ottengono delle curve che toccano tutti i punti che hanno la stessa altitudine. Più sono fitte e più il rilievo è ripido, viceversa più sono distante e più il rilievo è dolce. • Scritture – toponomastica: l’ultima categoria di simbologia sono le scritture, quindi la toponomastica, importantissima perché se viene dato un nome a qualcosa è come se me ne appropiassi. In tutte le carte quello che è più importante è scritto più grosso (i capoluoghi di provincia sono scritti più grossi rispetto alle altre città). Anche la semplice osservazione della scrittura ci dice tanto della rappresentazione. La cartografia nazionale Tra il ‘700 e l‘800 la cartografia diventa una disciplina scientifica ed è questo il momento in cui gli Stati iniziano a dotarsi di una cartografia ufficiale: per il governo del territorio ed è necessario avere una conoscenza dettagliata e concreta del proprio territorio. Fra i primi Stati ci sono il Regno di Napoli e il Granducato di Toscana che sviluppa soprattutto la cartografia catastale. Con l’Unità d’Italia si pone il problema dell’unificazione cartografica degli Stati e dunque con 278 fogli in scala 1:100'000 si crea la carta topografica d’Italia con anche Istria e Dalmazia che facevano parte dell’Italia. Il foglio si divide in 4 quadranti 1:50'000 e poi da altri 4 quadranti 1:25'000. Con la scala 1:25’000 si può vedere la forma di una città, le strade, la forme dei campi, dei rilievi… La cartografia tematica Le carte possono essere classificate a seconda di scala, tipologia e a seconda di quello che rappresentano: • carte generali rappresentano caratteri fisici, politici o fisico-politici • carte speciali che invece servono per rappresentare particolari aspetti della realtà: carte nautiche, linguistiche, geologiche… • carte tematiche invece concentrano l’attenzione su un unico aspetto particolare della realtà e trascurano gli altri (es. distribuzione della popolazione mondiale, numero di figli nei vari Paesi…). Qui ovviamente la realtà viene astratta, si rappresentano idee che sono elaborazioni della realtà geografica. Cartogramma: rappresentazione grafica semplice che illustra la distribuzione spaziale dei fenomeni nelle loro variazioni in quantità e frequenza. A differenza delle carte tematiche, il posizionamento dei simboli è solo approssimativo e non rispecchia la collocazione esatta del fenomeno sulla superficie terrestre. Carta tematica: rappresentazione grafica di alcuni fenomeni di cui vengono focalizzati le caratteristiche spaziali della distribuzione e i nessi con altri fattori geografici. In pratica sono saggi geografici in forma grafica. La principale distinzione delle carte tematiche è tra: • Carte tematiche qualitative: riportano la distribuzione spaziale di oggetti geografici in base alla loro semplice presenza, alle loro caratteristiche formali e alle loro reciproche differenze. • Carte tematiche quantitative: considerano anche il ruolo relativo o assoluto di un determinato fenomeno mediante una valutazione di quantità, grandezza, capacità o valore espressa in termini numerici. Alla base delle carte ci sono sempre i diagrammi che permettono di rappresentare il fenomeno in forma grafica, con un’immagine semplice e intuitiva rispetto a una tabella piena di dati: i diagrammi permettono dunque di visualizzare le informazioni in modo più rapido e semplice. Il diagramma può essere: lineare, fatto con le aree, con i volumi… Importante è il diagramma cartesiano che ci mostra un fenomeno che varia in relazione a una variabile, con esso si può per esempio mostrare l’andamento del tasso di natalità-mortalità in un certo Stato in un certo periodo di tempo. La grafica permette dunque di vedere le cose in maniera semplice e generale. Si può ovviamente rappresentare di tutto con i diagrammi: climi, tassi di natalità e mortalità… e posso per esempio confrontare i fenomeni tra di loro (come si è visto con natalità-mortalità). Altri diagrammi sono le così dette torte, ovvero i diagrammi areali (decomposti o no) che rappresentano il valore delle suddivisioni interne di un fenomeno con degli spicchi di circonferenza. Un esempio di fenomeno così rappresentato è la divisione dei 3 settori economici che ci permette di osservare il fenomeno in modo molto più chiaro. C’è poi l’istogramma fatto di rettangoli che hanno tutti la stessa base ma altezze diverse. Per creare il diagramma serve comunque sempre partire da una serie di dati che devono essere sempre affidabili. La cartografia tematica può anche avere carte spazio-tempo dove non contano le distanze ma i tempi: il territorio in questo caso si deforma perché sembra che luoghi distanti nello spazio siano invece vicini in relazione al tempo di percorrenza. Per esempio, la distanza Roma- Milano si schiaccia perché le due città sono raggiungibili in poco tempo, la Calabria invece risulta lontanissima quindi la penisola si allunga…o la Nuova Zelanda che si avvicina ad alcune zone e se ne allontanano altre invece. Queste carte sono di costruzione molto complessa. La Terra La Terra, pianeta che ci ospita, fa parte del Sistema Solare, si caratterizza per la grande presenza di acqua, gli oceani ricoprono più di ¾ della superficie della Terra. Siamo abituati a vedere la terra proiettata sulle carte, di conseguenza Alaska e Groenlandia risultano più grandi del Brasile o del Sud America che invece sono più grandi, però è l’unico modo che abbiamo per avere una visione di insieme. L’idea della terra è cambiata nel tempo: Anassimandro descrive la Terra come piatta circondata dal cielo delle stelle fisse (la considerava come un pezzo di colonna piatto e circondato dalle sfere celesti), ma siamo a cavallo fra VI e VII secolo a.C. Anche nel momento dell’ideologia cristiana c’erano state interpretazioni lontane dalla nostra. Costantino d’Antiochia nel VII secolo d.C. immagina la Terra piatta in un cofanetto dove l’alternanza tra il giorno la notte è data dal fatto che il sole passa dietro ad una montagna. Quindi abbiamo visto come durante il corso dell’evoluzione del pensiero geografico e della condizione del mondo si sono fatti passi avanti e passi indietro fino ad arrivare alla concezione della sfericità della terra. Prove empiriche che hanno portato gli antichi pensatori ad ipotizzare la sfericità della terra attraverso: l’analogia con gli altri pianeti; il fatto che le eclissi proiettano le orbite circolari; la storia della nave che compare all’orizzonte. Tutte queste cose al giorno d’oggi hanno solo un valore storico perché oggi grazie ai satelliti abbiamo una certezza visiva, anche se Magellano partendo da un punto e arrivando in quel dato punto, quindi circumnavigandola, aveva già dimostrato la stessa cosa. Ellissoide La scienza chiama la terra ellissoide di rotazione. La forza centrifuga della rotazione crea uno schiacciamento ai poli, la forza della rotazione tende ad allargare la zona della rotazione più veloce, cioè l’equatore, e tende a reprimere i poli. Essendo una sfera c’è anche il discorso degli antipodi: se scavassi un buco in una determinata zona sbucherei dal lato opposto. In questa forma si individuano due assi: l’asse polare che congiunge i due Poli e l’asse equatoriale che corrisponde con l’Equatore ma anche questa forma non è quella del tutto corretta. La forma della Terra è stata infatti studiata empiricamente con studi sulla forza di gravità: si è visto che in punti diversi della Terra anche la forza di gravità cambia ed ha valori diversi ed essendo questa in rapporto con la distanza dal centro della Terra si è desunto che i vari punti su cui essa viene applicata si trovino ad una distanza diversa dal centro del globo appunto: questo crea curvature diverse che non permettono di stabilire una forma precisa della Terra, la Terra ha una forma del tutto propria e particolare. Ma questa evidenza, oggi tanto scontata in quanto documentate dalle sonde lanciate nello spazio che ci danno una visione totale del pianeta, non lo era certo in passato. Nella Grecia di Omero si ipotizza una Terra piatta, simile a un grande disco circondato dall’oceano e chiuso superiormente dalla calotta del firmamento. Questa concezione perdurerà fino al V sec. quando Pitagora teorizzerà invece per prima volta la forma sferica della Terra. L’idea di una Terra piatta torna poi con forza nel Medioevo e viene successivamente definitivamente abbandonata durante l’Umanesimo poiché ci si basa sulle concezioni già avanzate da Aristotele e Tolomeo. Geoide La superficie della terra non è liscia perché presenta avvallamenti e protuberanze, le catene montuose, ma anche oceani e depressioni (punti in cui la terra scende sotto il livello del mare), quindi per capire meglio come funziona l’oggetto astronomico è stato creato il termine geoide: è quella figura geometrica che in ogni punto mostra una gravità perpendicolare (se mi trovo su una montagna posseggo una gravità che mi spinge al centro della terra come se fossi su un piano. distanza di un punto P dal Meridiano di Greenwich misurata sull’arco al centro del parallelo che li congiunge. Se il punto è sul meridiano di Greenwich sarà 0°, se è dalla parte opposta l’angolo che si formerà sarà un angolo piatto, quindi le longitudini vanno da 0°a 180° est e 0°a 180° ovest. (L’antimeridiano di Greenwich sarà il 180 est o ovest). Latitudine: distanza angolare espressa in gradi di un punto dall’Equatore, corrisponde all’ampiezza dell’angolo al centro della Terra che sottende l’arco di meridiano congiungendo un punto considerato all’Equatore, può essere nord o sud. Longitudine: distanza angolare espressa in gradi di un punto da un determinato meridiano, in questo caso quello di Greenwich, misurata sull’arco di parallelo che passa per quel punto. Può essere est o ovest a seconda che il punto si trovi a oriente o a occidente del meridiano scelto per convenzione. Anche nella concezione culturale del mondo quando si parla di emisfero occidentale ci riferiamo alle Americhe, è tutto convenzionale. L’oriente per noi è la Cina, visto da altri punti di vista no, chi lo dice che l’oriente non è gli Stati Uniti rispetto alla Cina. Il Nord e il Sud sono individuati in modo univoco essendo fissati ai poli, sull’Est e l’Ovest è un fatto culturale. Ogni paese ha la sua cartografia e molto spesso ha il proprio meridiano, per esempio in Italia il meridiano considerato 0 passa per l’osservatorio di Monte Mario, che si trova a Roma, è stato scelto perché taglia la penisola da Nord a Sud (passando per Venezia, Perugia, Roma, Trapani) in due sezioni piuttosto simili. Ogni luogo ha la sua longitudine e latitudine, su Google Earth vendono sempre indicate le coordinate. I movimenti della Terra La Terra fa due tipi di movimenti che sono stati dimostrai empiricamente attraverso vari esperimenti, e tra questi il pendolo di Foucault. Si dimostra che la Terra ha un moto di rotazione, anche in questo caso lo si capisce con l’analogia con i corpi celesti: tutti ruotano. Siccome è una sfera, all’Equatore ruota molto più velocemente che ai poli (dunque la velocità di rotazione diminuisce verso i poli) e siccome la Terra ruota da Ovest verso Est è chiaro che se io mando una mongolfiera verso Nord a causa della rotazione più va verso Nord e più rallenta e devia verso Est (se mi muovo verso Nord devio verso Sud). Nell’emisfero Sud succede il contrario, questo è importante per un discorso di navigazione e per un discorso aereo. Nel 1791 Guglielmini eseguì numerosi esperimenti sulla caduta libera dei corpi dalla Torre degli Asinelli di Bologna: egli osservò che un grave giungeva al suolo in un punto spostato verso Est rispetto alla verticale del luogo dal quale aveva inizio la caduta. Il fenomeno è spiegabile se si ammette che il corpo, come la torre, partecipa al moto di rotazione terrestre e durante la caduta mantiene la velocità lineare di rotazione che aveva nel punto di partenza, cioè una velocità maggiore di quella con cui ruota il punto di arrivo che è più vicino all’asse di rotazione. Il corpo avendo maggior velocità lineare di rotazione ruoterà di più e andrà a cadere in avanti, ossia spostato verso est. Questo fenomeno è noto come forza di Coriolis. La rotazione della terra incide sull’alternanza del giorno e della notte. A causa della rotazione terrestre, l’ora locale, stabilita riferendosi al sole, varia con la longitudine. Quando i raggi colpiscono perpendicolarmente un meridiano, su tutti i suoi punti si ha il mezzogiorno (nell’antimeridiano la mezzanotte); nello stesso istante gli altri meridiani hanno un’ora di differenza in più se stanno ad Est o in meno se stanno ad Ovest per ogni 15 gradi di distanza in longitudine. A mezzogiorno si trova allo Zenit, ovvero si trova proprio sopra il Meridiano di Greenwich. I fusi orari sono sezioni tra un meridiano e l’altro che vengono assegnati ad una determinata ora, si tratta di una congettura convenzionale: la Terra è divisa in 24 fusi orari di 15 gradi ciascuno. In realtà la stessa ora sarebbe solo nei luoghi in cui passa lo stesso meridiano, si cerca però di dare un ordine il meno problematico possibile. Questi si adattano ai confini politici, per esempio per un paese come la Spagna che verrebbe tagliato in due dal meridiano sarebbe assurdo che per un paese di piccole dimensioni ci siano due ore di differenza, per cui si cerca di ridisegnare il tutto. L’Europa cerca di dividersi in maniera razionale ma ovviamente questo non è possibile in paesi enormi, per esempio gli Stati Uniti hanno 5 fusi orari. Devo anche stabilire un punto dove il giorno cambia convenzionalmente e questo si identifica con l’antimeridiano di Greenwich, che passa tutto nell’oceano e di conseguenza non crea troppi problemi. L’inclinazione dell’asse terrestre combinato col moto di Rivoluzione attorno al Sole determina l’alternanza stagionale. Il Sole arriverebbe perpendicolarmente sulla Terra se questa fosse dritta e non avremmo alternanza stagionale. Essendo inclinato l’asse, c’è un periodo in cui è esposto l’emisfero settentrionale (dunque è estate qui) e girando lo sarà quello meridionale. Questa è l’alternanza stagionale, se l’asse non fosse inclinato non ci sarebbero le stagioni e tutto l’anno avremmo lo stesso tipo di insolazione. Ad esempio, in estate la Terra è inclinata in modo tale da essere illuminato di più l’emisfero settentrionale. Quindi la rotazione incide sul giorno e la rivoluzione, grazie anche all’inclinazione dei raggi, incide sull’alternanza delle stazioni. Nel Moto di Rivoluzione durante tutto il percorso della Terra lungo l’orbita l’asse terrestre si mantiene inclinato di 66 gradi 33’ rispetto all’eclittica, quindi di 23,27’ rispetto alla perpendicolare all’eclittica. Primavera: nell’emisfero boreale il dì si allunga progressivamente e l’altezza del sole aumenta. Nell’emisfero australe succede il contrario. All’equatore l’altezza del Sole diminuisce. Estate: nell’emisfero boreale il dì si accorcia progressivamente e l’altezza del Sole diminuisce. Nell’emisfero australe si verifica il contrario. All’Equatore l’altezza del sole cresce fino a raggiungere lo zenit nell’equinozio di autunno. Autunno: nell’Emisfero boreale il dì si accorcia e l’altezza del Sole si riduce fino a raggiungere il valore minimo nel giorno del solstizio d’inverno. Nell’emisfero australe accade il contrario. All’equatore l’altezza del sole diminuisce. Inverno: nell’emisfero boreale il dì si allunga progressivamente e l’altezza del Sole a mezzogiorno aumenta. Nell’emisfero australe succede il contrario. All’Equatore l’altezza del Sole cresce nuovamente fino a raggiungere lo zenit durante l’equinozio di primavera. Il vulcanesimo ci colpisce soprattutto per i rischi a cui siamo sottoposti e per la repentina azione che essi hanno. Nelle Hawaii i vulcani con lava particolarmente fluida riescono a far scorrere quantità enormi di materiale per km fino ad arrivare al mare solidificandosi e creando nuova terra e, di conseguenza, modificando la forma dell’isola in maniera veloce. Vulcani sottomarini creano anch’essi nuova terra. L’Isola Ferdinandea, a Sud della Sicilia era un’isoletta che emergeva in momenti di eruzione e poi riemergeva. I vulcani vengono associati a grandi tragedie: alla Martinica morirono tutti e 30 mila abitanti della cittadina tranne un detenuto chiuso in una segreta. Ancora oggi ci sono state delle eruzioni spaventose, come quella del Pinatubo nel 1991 nelle Filippine che buttò fuori grandi quantità di fumo. I vulcani sono capaci di cambiare il clima del pianeta per diversi anni, per esempio, il caso dell’eruzione del Tambora in Indonesia 1816 emise così tanta cenere, polvere e gas che la stessa estate le temperature in Europa crollarono (l’anno senza estate) le ceneri e il fumo crearono una sorta di inverno vulcanico che abbassò le temperature. L’arte venne influenzata, The Starlet Sunset di Joseph Mallord William Turner ci mostra come i tramonti continuavano ad essere suggestivi. Nel 2010 eruttò il vulcano Eyjafjoll in Islanda e impedì agli aerei d’Europa di volare per diversi giorni a causa del fumo. Oggi riusciamo a prevedere le eruzioni e a difenderci, ma esse fanno comunque sia dei danni anche economici. Che cosa è un vulcano? Il vulcano è un monte, il monte vulcanico è la struttura dove avviene l’attività vulcanica. È una fenditura della Terra da cui esce del magma; quindi, c’è un serbatoio dove il magma risiede e poi attraverso una serie di condotti arriva all’esterno. Si chiama magma quando è dentro, lava quando esce fuori. Il vulcanesimo è in sostanza la risalita di materiale roccioso fuso proveniente dal mantello a profondità variabili tra i 15 e i 100km. Siamo abituati a vedere il vulcano come un cono perfetto, ma non tutti i vulcani sono come il Fuji. Ci sono vulcani anche di diverse tipologie, cioè vulcani a scudo, piatti; esistono vulcani anche sottoforma di fenditure nella terra, detti lineari (come quelli in Islanda). Le diverse forme dei vulcani dipendono dalle diverse tipologie di magma: se il magma quando esce sottoforma di lava è estremamente fluido scorre velocemente come nel caso dei vulcani lineari, se invece la lava quando esce è molto viscosa si ferma e va a creare, strato sopra strato, il vulcano a cono. Il magma ha diverse composizioni: • Se il magma è ricco di silice (>65%) sarà più denso, il cosiddetto magma acido: viscoso, ricco di gas, bassa temperatura di solidificazione. → attività vulcanica: esplosiva, il magma è talmente viscoso che crea un tappo e i gas devono raggiungere alte pressioni per rimuoverlo e questo genera un’eruzione esplosiva. • Se nel magma non c’è molto silice (<65%) si ha il magma basico: fluido, alta temperatura di solidificazione, povero in gas. → attività vulcanica: effusiva, scorre come un fiume senza esplosioni e devastazioni, ma anch’essa è pericolosa dato che scorre velocemente. Le colate di lava solidificata e i materiali piroclastici fuoriusciti durante le eruzioni si accumulano intorno al condotto, formando un rilievo. La forma di questo rilievo dipende dalla composizione della lava e dal tipo di materiali eruttati. In base alla forma, si distinguono due tipi principali di edificio vulcanico: i vulcani a scudo o lineari nel caso di magmi basici e gli stratovulcani nel caso di magmi acidi. I più grandi vulcani terrestri sono del tipo a scudo. Sono edifici vulcanici larghi e con i fianchi poco ripidi. I vulcani a scudo sono originati da lave fluide. Queste lave contengono piccole quantità di gas e vapori, perciò le eruzioni sono poco violente. I vulcani-strato sono vulcani a forma di cono, dai fianchi generalmente assai ripidi. I vulcani-strato sono un’alternanza di colate di lava e di strati di materiali piroclastici eruttati dal condotto centrale durante le fasi esplosive. Ci sono diversi tipi di eruzioni: alcune non creano grandi problemi invece altre sono devastanti. Ad esempio: Santorini è il resto di un vulcano che eruttò svuotando tutta la camera magmatica, il vulcano collassò e rimasero solo le zone più esterne, formandosi una caldera. Un caso analogo è la caldera del Krakatoa che si è formata dopo l’eruzione del 1883. L’attività vulcanica è un grande rischio per le città. E’ particolarmente elevato il rischio dell’Indonesia che presenta più di 500 vulcani, con circa 100 attivi, uno dei quali il Merapi che è uno tra i più pericolosi al mondo per il fatto che è tra i più attivi vulcani del Mondo, è situato in una zona tra le più popolate al Mondo ed è il più attivo d' Indonesia. Reid: le rocce sono sottoposte a forze e si comportano in maniera elastica accumulando dunque energia elastica e deformandosi ma quando viene raggiunto il limite di rottura allora le rocce si spezzano, l’energia elastica si converte in energia meccanica che viene dunque rilasciata. Per riacquistare il loro equilibrio, infatti, le placche vibrano rapidamente ed è proprio questo il fenomeno di rilascio dell’energia meccanica: il fenomeno è indicato come rimbalzo elastico. Questo fenomeno avviene nel punto detto ipocentro: è lì che l’energia è rilasciata ed è lì che nasce il terremoto. Il punto sulla verticale al di fuori della crosta terrestre è detto invece epicentro. Dall’ipocentro partono le onde sismiche che sono la propagazione dell’energia che lì si è formata. Esse vanno in tutte le direzioni: alcune si perdono nelle profondità della Terra mentre altre arrivano in superficie e creano grandi disastri. Dall’ipocentro si sviluppano due tipi di onde: • onde longitudinali o prime o di compressione o P = al passaggio dell’onda la roccia oscilla avanti-indietro nella direzione dell’onda. Sono queste le onde più veloci e provocano il rombo cupo del terremoto quando, arrivando in superficie, provocano lo spostamento dell’aria. Fanno parte delle onde interne perché si producono sotto la superficie • onde trasversali o seconde o di taglio o S = al passaggio dell’onda la roccia oscilla perpendicolarmente alla direzione dell’onda. Viaggiano molto più lentamente rispetto alle onde P e non si spostano nei fluidi quindi si smorzano quando incontrano una massa di magma fluido. Fanno parte delle onde interne perché si producono sotto la superficie. Nel momento in cui le onde interne arrivano in superficie allora si trasformano in onde superficiali che dall’epicentro si propagano lungo la superficie terrestre. Quando queste arrivano in superficie si chiamano: • onde di Love (L) = le onde L si propagano con oscillazioni trasversali alla direzione di propagazione ma solo sul piano orizzontale. • onde di Rayleigh (R) = le onde R si propagano con orbite ellittiche. Le onde sismiche sono studiate con precisi strumenti detti sismografi che producono i sismogrammi che tengono in considerazione velocità e percorsi delle onde: il sismogramma sarà dunque più “denso e intricato” in punti vicini all’epicentro, meno in punti distanti da esso. Il tutto viene poi interpretato tramite la costruzione di un diagramma che mostrerà le dromocrone, ovvero curve che indicano l’andamento dell’onda permettendoci di individuare qual è la sua distanza dall’epicentro. Registrando almeno 3 stazioni sismiche si può individuare la posizione dell’epicentro e con 10 la profondità dell’ipocentro. Le scale sismiche Da sempre si è cercato di misurare i terremoti. I cinesi avevano ideato un antico sismografo con dragoni con una bocca aperta che avevano una pallina che cadeva a vari gradi sotto e permetteva la misurazione dell’intensità del terremoto. Oggi si usano metodi più scientifici e addirittura si individua anche l’epicentro in modo preciso. Si usano i sismogrammi che ci indicano l’andamento del terremoto. Per misurare i terremoti un tempo si usava la Scala Mercalli (MCS) che era organizzata in 12 gradi che descrive la gravità del terremoto a seconda degli effetti sul territorio a persone, manufatti e terreno da esso prodotti e dunque considerando solo i dati macrosismici. La scala identificava i terremoti nel seguente ordine: leggero – moderato – forte – fortissimo. Questo tipo di scala permette di capire anche la struttura geologica di un’area in esame: se i danni sono inferiori significa che la struttura geologica le ha smorzate, viceversa se i danni sono più gravi. Oggi si usa invece la Scala Richter che non usa i gradi ma usa il concetto della magnitudo e dunque ci permette di stabilire la forza di un terremoto valutando l’ampiezza delle onde: il terremoto è tanto più ampio quanto le onde sono più ampie. La magnitudo va differenziata dall’intensità: la prima è infatti la misura strumentale della forza del terremoto nel punto in cui si origina mentre la seconda misura invece gli effetti che il sisma ha provocato dunque come è stato avvertito nelle varie zone. La Scala Mercalli non si usa più perché essa descrive i danni a cose e persone, dunque ha due problemi: la capacità di giudizio dell’osservatore che è soggettiva, l’uso di una scala matematicamente discreta senza “i mezzi gradi”, i danni non dipendono dal terremoto in sé ma dal tipo di terreno, edifici e ambiente territorializzato che ho quindi se un territorio fortissimo è in Antartide non fa danni se è in una zona molto antropizzata fa grandi danni, in oltre varia anche la qualità del costruito e dunque i danni sono molto diversi: es. Giappone con strutture antisismiche e il Pakistan molto meno organizzato e con villaggi costruiti in modo precario. La Scala Richter invece con la magnitudo misura quanta energia viene sprigionata dal sisma e dunque questo è un valore del tutto oggettivo. La scala Richter è una scala logaritmica e aperta perché la magnitudo può assumere qualsiasi valore in base alla quantità di energia sprigionata. I terremoti non si prevedono, nessun ente è in grado di prevedere in anticipo l’arrivo del terremoto. Oggi ci sono allarmi che segnalano casi in cui c’è la possibilità che si verifichi uno tsunami e dunque permettono alle persone di avere il tempo di fuggire. Gli tsunami Fra i danni collaterali del terremoto c’è il coinvolgimento dell’oceano con, dunque, il grosso movimento delle acqua: lo tsunami. Il movimento tellurico crea una perturbazione nella colonna d’acqua sovrastante e dunque iniziano a prodursi onde circolari che si muovono a grande velocità: quando il fondale si abbassa o si alza bruscamente, l’acqua si alza e si generano onde che possono essere alte anche alcune decine di metri. Le onde si propagano anche a grandi distanze per inerzia e dunque i grandi tsunami possono fare morti anche in aree lontane dal punto scatenante. Le precauzioni I danni agli edifici dipendono ovviamente dalle oscillazioni orizzontali del suolo e dalla loro durata ma anche da fenomeni che interessano il terreno come quello in cui esso perde consistenza, detto appunto fenomeno di liquefazione, che porta allo sprofondamento degli edifici. Altri problemi sono le fratture nel suolo e il possibile abbassamento o innalzamento del suolo. La grande differenza per limitare i danni provocati dal sisma la fanno dunque il tipo di costruzione edilizia e la natura geologica del terreno che modifica l’andamento delle onde: In Giappone ci sono per esempio nuove strutture edilizie si mettono pistoni che fanno oscillare l’edificio all’arrivo del terremoto. Sono ovviamente mezzi molto costosi però. La complessità del fenomeno rende complicata ogni misura di difesa e solo uno studio approfondito del territorio può aiutarci in questo proposito. Tra i metodi per tenere sotto controllo i terremoti abbiamo: • previsione deterministica: permette di prevedere l’arrivo di un terremoto tenendo in osservazione i fenomeni precursori che annunciano l’arrivo del sisma: es. variazione di velocità delle onde P, l’aumento di radon nell’atmosfera rilasciato dalle rocce… • previsione statistica: permette di prevedere l’arrivo di un terremoto basandosi sulla storia sismica di ogni area in quanto si sa che esiste una periodicità sismica. Questo studio si può fare prendendo in esame tutti i terremoti che sono stati registrati in una certa zona ma le previsioni sono solo a lungo termine. I due studi sono complementari: la previsione statistica ci permette di prevedere quali sono le zone più soggette a terremoto e dunque in quali zone andare ad approfondire lo studio con una previsione deterministica. Per prevenire un terremoto bisogna basarsi su 3 parametri: • Pericolosità sismica: probabilità che la zona sia colpita da terremoto. • Vulnerabilità: misurare la debolezza di un territorio di fronte ad un sisma. • Costi: perdite subite. Solo individuando le zone ad alta pericolosità sismica si può lavorare per ridurre la vulnerabilità e dunque di conseguenza anche i costi. Un lavoro di questo genere è stato compiuto dalla zonazione sismica ovvero dalla divisione delle aree a seconda della loro diversa sismicità: questo metodo teorico permette di capire in quali zone bisogna intervenire maggiormente nella prevenzione pratica contro terremoti e anche per utilizzare eventuali fondi a sisma già avvenuto: soccorsi, ricostruzioni di edifici privati e pubblici, opere… all’interno della Terra c’è un elevato flusso termico: questi fenomeni vulcanici sono collegati alla risalita del materiale caldo in superficie e quindi non avrebbero nessun legame con il movimento delle placche. Placche e terremoti Gli ipocentri dei terremoti sono quasi tutti situati nei margini delle placche e ciò dimostra la stretta correlazione tra terremoti e tettonica a placche. Lungo le dorsali oceaniche i movimenti di allontanamento provoca la formazione di faglie che producono sismi di modesta entità mentre in corrispondenza delle fosse oceaniche i movimenti di subduzione di una placca sotto l’altra provocano sismi di grande entità, questo dipende dal forte attrito provocato dalle faglie nella placca sovrastante. Nel caso di catene montuose formatesi per orogenesi le spinte che hanno portato alla collisione delle placche continuano a essere in atto e dunque si verificano i terremoti. Il clima Il cambiamento climatico Si sa ancora poco del funzionamento del clima: secondo alcuni studiosi si conosce il 10/15% dei meccanismi di funzionamento della globalità del clima. Si sa ancora poco dei fattori che causano cambiamenti climatici (naturali o antropogenici o combinati?). E’ sicuramente presente una componente antropica, ma non bisogna dimenticare che c’è anche la parte naturale che influenza il cambiamento climatico, ci sono dei meccanismi anche extra-uomo. Gli eventi estremi (tornado, uragani, siccità, piogge, scioglimento dei ghiacci) si sono sempre presentati in natura. Oggi usiamo a supporto delle tesi sul cambiamento climatico gli eventi estremi che esso ha prodotto ma in realtà questi eventi ci sono sempre stati (es. la nevicata a Pisa del 1985 con i -25C° di temperatura). Inoltre, vedendo il “grafico del paleo clima” dall’antica Roma fino ad oggi si vedono oscillazioni del clima: il periodo caldo nel medioevo, la glaciazioni nel Rinascimento… Si vede come il clima varia nel tempo per fattori già studiati altri ancora da capire. La scienza che si occupa dello studio del variare del clima nel tempo è la paleoclimatologia, essa cerca di ricostruire i climi del passato basandosi su indizi registrati dalla Natura come la presenza di elementi chimici nella terra o sedimenti di piccoli organismi fossili sul fondo degli oceani che indicano quale può esser stata la temperatura di una certa epoca. Vedendo l’Europa da questi dati siamo arrivati alla conclusione che l’ultima glaciazione risale a circa 10.000 anni fa, dopodiché le temperature gradualmente aumentano e i ghiacci si sciolgono andando ad innalzare il livello del mare che sommerge alcune delle ampie zone costiere e la vegetazione si espande. Successivamente abbiamo invece un periodo di varie oscillazioni climatiche fino alla fine dell’età romana: prima un raffreddamento climatico con espansione dei ghiacciai in Europa, poi di nuovo un riscaldamento climatico e scioglimento dei ghiacci con diminuzione delle precipitazioni che determina un clima arido e poi un ulteriore raffreddamento con nuova espansione dei ghiacci. Nell’Alto Medioevo si ha poi di nuovo un innalzamento delle temperature con i mari che si alzano e ingombrano le foci dei fiumi formando zone paludose, mentre nel Basso Medioevo si ha di nuovo un abbassamento delle temperature e un conseguente ritorno a un clima freddo. Tra la fine del ‘500 e la metà dell’800 si ha di nuovo un abbassamento drastico delle temperature con una nuova Piccola Età Glaciale con i ghiacci che si espandono sui continenti. Dopo il 1850 si registra invece un progressivo riscaldamento del clima, alcuni studiosi ritengono che questo aumento sia da attribuirsi a cause antropiche, ma non bisogna dimenticare che i cambiamenti climatici derivano anche da cause naturali. L’uomo e il clima sono da sempre in relazione tra loro: il clima influenza l’uomo e l’uomo influenza il clima. Il clima determina le condizioni di vita umane, per esempio la presenza di animali e piante per il soddisfacimento delle esigenze alimentari umane dipendono dal clima; le capacità lavorative e di salute dell’uomo spesso dipendono dal clima; ecc. L’uomo ha cercato il più possibile di adattarsi ai vari climi delle zone in cui vive, ma talvolta ha anche fatto in modo di modificare volontariamente tempo e clima di queste zone per creare condizioni di vita più favorevoli: la produzione di piogge artificiali; la riduzione di precipitazioni dannose, come la grandine; creazione di laghi artificiali. Tra i cambiamenti climatici parzialmente inevitabili ci sono quelli dovuti alla presenza delle città che a causa delle attività che in esse si svolgono sono di solito molto più calde delle zone periferiche. I cambiamenti più dannosi e con più alto impatto ambientale sono quelli involontari come disboscamenti e inquinamento atmosferico, ovvero l’aumento di polveri sottili e anidride carbonica nell’aria che potrebbe portare ad un rapido aumento della temperatura globale. Negli anni si è cercato di limitare il più possibile questo rischio ad esempio con il protocollo di Kyoto per ridurre disboscamenti e le emissione di gas serra. Differenza tra tempo e clima Il tempo è una situazione momentanea dell’atmosfera in un dato momento del giorno. Il tempo atmosferico è agganciato all’osservazione di quella che può essere l’evoluzione della condizione dell’atmosfera. Esso indica la situazione momentanea dell’atmosfera in un momento del giorno: sole, pioggia, vento, grado e ci dà anche una visione dell’evoluzione dello stesso nel giro di qualche ora o pochi giorni. Tempo atmosferico: complesso delle condizioni fisiche che caratterizzano l’atmosfera in un dato momento e in un determinato luogo. Esistono le carte isodiafore che tengono conto delle escursioni termiche. Le isoterme sono utilizzabili anche per il tempo poiché gli elementi sono gli stessi sia per il clima che per il tempo. Si possono usare anche le isoterme medie annuali, cioè invece di basarsi su quelle di un mese, ci si basa su tutto l’anno e quindi si ottiene un’immagine meno dettagliata, ma più generale. Tutto dipende da ciò che si vuole osservare. La Temperatura è il primo elemento direttamente percepibile dall’uomo. Gli elementi del clima: la pressione Si misura in bar o pascal e viene rilevata con il barometro (storicamente la pressione atmosferica fu misurata in maniera accurata per la prima volta nel 1644 da Evangelista Torricelli). E’ il peso che la colonna d’aria esercita sulla superficie terrestre. La pressione media dell’aria su cm3 è di 760 mHg (tale unità è chiamata atmosfera Atm). Si definisce pressione atmosferica normale quella che equivale alla forza peso di una colonna di mercurio alta 760 mm. La pressione atmosferica dipende anche dalla temperatura dell’aria e dalla sua umidità. La pressione diminuisce con altitudine, umidità e temperatura: • più aumenta l’altitudine e più si riduce lo spessore della colonna d’aria che sta sopra ad un dato punto e di conseguenza la pressione da essa esercitata diminuisce; • La pressione atmosferica diminuisce con l'aumento della temperatura dell'aria, questo perché il riscaldamento provoca una dilatazione e una conseguente diminuzione di densità dell'atmosfera. Al contrario, quando l'aria si raffredda, la densità aumenta e con essa la pressione atmosferica. (con il caldo si ha una bassa pressione, con il freddo un’alta pressione atmosferica); • l’aria umida è più leggera dell’aria secca perché il vapore acqueo è più leggero sia dell’azoto sia dell’ossigeno. I movimenti delle masse d’aria sono dovuti a differenze di pressione atmosferica: l’aria che sovrasta zone diverse si trova in condizioni di pressioni differenti, tale situazione determina il movimento di masse d’aria, ovvero il vento. Le differenze di pressione responsabili dei movimenti di masse d’aria sono dette gradienti barici o gradienti di pressioni. La pressione è uno dei parametri con cui misuro le condizioni atmosferiche sia momentanee che a livello medio. La pressione e si esprime attraverso le isobare (= zone in cui l’aria ha lo stesso peso); le linee uniscono i punti, le aree, che hanno lo stesso valore di pressione a condizioni standard. Le isobare ci permettono di vedere come sulla Terra ci sono aree anticicloniche, ovvero zone in cui l’aria è più densa e pesa, quest’aria si sposta verso il basso e si dirige verso le aree cicloniche in cui l’aria è meno densa e più leggera e dopodiché si sposta verso l’alto e converge vorticosamente al centro. L’atmosfera tende all’equilibrio. I venti si muovono spostando grandi masse d’aria dalle zone di alta pressione a quelle di bassa pressione per cercare di equilibrare. Maggiore è la differenza di pressione e maggiore sarà la velocità dei venti. Nel caso di uragani, che hanno l’occhio con una pressione bassissima, si hanno venti molto violenti perché devono riequilibrare una differenza notevole. Se non c’è un significativo sbalzo di pressione il vento non c’è. Esiste la rosa dei venti che da un nome ai principali venti che esistono sulla Terra, Generalmente esistono dei venti costanti: ad esempio l’Equatore, zona della Terra dove i raggi solari per quasi tutto l’anno arrivano con una particolare incidenza, riceve la maggiore quantità di calore per unità di territorio e quindi l’aria si scalda e sale (essendo l’aria calda più leggera), per cui si crea una bassa pressione. L’aria sale, si condensa e piove in continuazione oppure richiama aria e quindi venti da zone di alta pressione, ovvero gli alisei (venti dai Tropici), che sono i venti che arrivano a compensare la bassa pressione equatoriale. Quindi ci sono delle circolazioni schematiche. È importante anche il meccanismo delle brezze, che sono definite come “venti locali”: nelle zone costiere di giorno il rapido riscaldamento del terreno produce condizioni di bassa pressione che fanno affluire aria dalle alte pressioni che si instaurano sul mare, relativamente più fresche (brezza di mare). Di notte si verifica la situazione opposta e il movimento dell’aria avviene dalla terra emersa, che si è raffreddata più velocemente, verso il mare (brezza di terra). La brezza di mare si genera nella tarda mattinata e si mantiene fino a sera, con massimo nel pomeriggio; la brezza di terra si leva intorno a mezzanotte e si mantiene fino al mattino. Questo meccanismo che è alla base delle brezze ci fa capire perché, ad esempio, il clima della località costiera è molto più mite, meno freddo: il mare durante l’estate accumula il calore e lo rilascia piano piano durante l’inverno. Viceversa, durante l’estate il mare rilascia il freddo che ha assorbito d’inverno e crea estati più fresche. È lo stesso fenomeno che accade anche nel caso dei monsoni (= venti periodici che interessano il sud del continente asiatico): in India e nel resto dell’Asia Meridionale si hanno i monsoni di mare durante l’estate perché la Terra si riscalda molto più del mare, c’è bassa pressione perché l’aria calda è più leggera e di conseguenza sale, di conseguenza arriva aria dal mare che essendo più umida e pesante, sale, si condensa, piove e si hanno piogge torrenziali da maggio a ottobre. D’inverno succede il contrario, la Terra è più fredda, il mare conserva il calore dell’estate e quindi la bassa pressione è sul mare, sale l’aria marina, arriva l’aria del continente (che essendo continentale è secca) e quindi da settembre a maggio si ha il monsone di terra che è secco e non piove. Gli elementi del clima: l’umidità L’umidità è la quantità di vapore acqueo contenuta nell’atmosfera. Quando l’atmosfera si satura di vapore acqueo (limite di saturazione) esso deve essere eliminato: il vapore si condensa (liquido) o sublima (solido). Si misura con l’igrometro che misura l’umidità relativa, ovvero il rapporto tra l’umidità contenuta nell’aria e il suo limite di (kg/m3). L’acqua sul pianeta è presente sempre nella stessa quantità: il ciclo dell’acqua consiste nell’acqua che diventa vapore, poi si condensa e torna sulla Terra sottoforma di pioggia tornando da dove è partita. Ci troviamo di fronte a diversi stati di uno stesso elemento: solida, liquida, gassosa = ciclo idrologico. Le precipitazioni sono il fenomeno più immediato che associamo all’umidità e si possono misurare con strumenti detti pluviometri, che indicano i mm di pioggia per cm2 di superficie. Si possono misurare le precipitazioni annue, la media mensile, ecc. a seconda di quello che interessa. Esse si esprimono con le isoiete → isoieta = in meteorologia, linea che congiunge i punti della superficie terrestre in cui l’altezza di precipitazioni atmosferiche in un dato periodo di tempo raggiunge lo stesso valore (punti con la stessa quantità media di precipitazioni). In luoghi dove ci sono le montagne il clima viene influenzato da esse: i monti sbarrano i venti e proteggono le zone dietro di essi. Un esempio è la Liguria, che ha un clima così mite perché le montagne a ridosso del mare sbarrano i venti che arrivano dal nord. I paesi delle località di montagna sono anche quasi sempre posizionati a Sud dove batte più Sole. Nelle parti al Sole ci sono anche più coltivazioni rispetto alle parti più in ombra. Ma un altro fattore di influenza è anche la presenza di vegetazione: le piante assorbono il calore per le loro funzioni vitali ed emettono vapore acqueo, di conseguenza il clima risulterà più mite in zone con più vegetazione. I fattori del clima: fattori antropogenici L’uomo incide sul microclima ovvero il clima di un luogo limitato. L’attività dell’uomo fa aumentare la presenza dei gas serra nell’atmosfera: l’intensa industrializzazione ha provocato, un’enorme quantità di emissioni di CO2 dovuta all’utilizzo dei combustibili fossili e la deforestazione è un altro fattore cruciale perché le piante hanno infatti contribuiscono a mantenere in equilibrio i livelli di ossigeno e di CO2. Queste emissioni hanno causato un ampliamento dell’Effetto serra per il quale la luce del sole che rimbalza sulla terra viene intrappolata dalle nubi di gas e quindi ritorna sulla terra. Le emissioni possono portare anche alla formazione delle piogge acide: esse sono dovute all'abbassamento del pH (acidificazione) delle precipitazioni, la causa di tale acidificazione viene essenzialmente imputata ad un aumento dell'anidride carbonica, degli ossidi di zolfo e, in parte minore, degli ossidi d'azoto. La città ha un microclima diverso dal territorio circostante perché in città si produce calore (il calore corporeo, il traffico, il riscaldamento, le industrie sono tutti fattori che vanno ad alzare la temperatura della città) e si crea un’isola di calore urbano. Studi su Londra avevano dimostrato che la temperatura della città era di 6 gradi più alta rispetto a quella della campagna. L’uomo dunque incide sul clima a livello globale, ma anche ad un livello più ristretto. Inoltre, il cemento assorbe più calore dell’erba. L’ecosistema Una delle conseguenze principali e più evidenti del clima è l’influenza sulle forme di vita vegetale ed animale, ovvero l’ecosistema. Contiene la parola “Oykos” = casa. L’ecosistema è l’insieme degli elementi naturali e antropici che circondano un soggetto, è una sorta di insieme di organismi viventi e delle sostanze non viventi che si influenzano tra di loro. L’ecosistema è l’insieme della biocenosi (comunità di esseri viventi che convivono e interagiscono tra loro) e biotopo (il luogo in cui essi vivono con caratteri fisici e climatici). I vari climi determinano infatti anche il tipo di piante e animali presenti in una certa zona: esistono piante che hanno bisogno di una certa quantità di luce e calore e altre che invece necessitano di una quantità diversa; dunque, sarà determinante in questo caso la temperatura; alcune che hanno bisogno di quantità di acqua più o meno abbondante e quindi saranno determinanti le precipitazioni; il vento favorisce l’impollinazione. Lo stesso vale per gli animali, esiste una fauna che necessita di più luce e una invece che preferisce l’oscurità, alcuni animali adatti ai climi caldi altri a quelli più freddi, animali che hanno più bisogno di acqua rispetto ad altri, ecc. Quello che otteniamo in base al clima sono dunque formazioni vegetali e associazioni animali differenti e i luoghi fisici in cui determinate varietà vegetali e determinate varietà animali convivono e i rapporti che tra loro si stabiliscono formano quello che viene detto ecosistema. Il classico ecosistema è lo stagno nel quale ci sono determinate condizioni fisiche, morfologiche, idrologiche, climatiche, ecc. e una serie di organismi vegetali e animali che interagiscono tra loro e creano un piccolo mondo: abbiamo ad esempio la vegetazione che in determinate condizioni prospera, le catene alimentari che si vanno a formare, ecc. Esso è un sistema perché tutto è interconnesso ed è anche una situazione nella quale un impulso dato da un elemento crea una serie di catene di reazioni, ad esempio se vicino allo stagno ci sono dei campi coltivati (concimati) e arriva una perturbazione da fuori succede che la pioggia scarica nello stagno sostanze nutritive (azoto, fosforo, ecc.) che danno un impulso alla crescita delle piante. L’esplosione di vita rende favorisce tutti: i girini che mangiano le piante, i pesci che mangiano i girini, quindi si ha un’esplosione di vita che però consuma ossigeno perché tutti respirano. Ad un certo punto l’ossigeno non basta più e quindi cominciano a morire i pesci, arrivando alla morte totale dello stagno. Questa è l’eutrofizzazione. Una semplice perturbazione che all’inizio sembra positiva, alla fine va a portare alla morte totale dello stagno. Gli ecosistemi funzionano più o meno così. Per ragionare in termini di clima dobbiamo parlare di biomi. Gli ambienti più estesi ma relativamente unitari comprendenti più ecosistemi simili formano i biomi. I biomi includono al loro interno ecosistemi simili e quindi è possibile generalizzare. Stessi biomi presentano ecosistemi simili, dunque, stessa vegetazione e stesse specie animali in qualsiasi parte del mondo essi si trovino. Un esempio è il bioma della Savana: formazione vegetale caratteristica di alcune zone dell’Africa e dell’America tropicali, e dell’Australia. È costituita da Poacee ricoprenti pianure più o meno vaste; il periodo di riposo delle piante coincide con la stagione secca, dopo la quale esse si sviluppano con grande rapidità, raggiungendo, a seconda della natura del terreno e delle specie vegetali, un’altezza che va da meno di 1 m fino a 6 m. Elementi marginali della savana sono alberi bassi a foglie caduche, piante epifite e piante scandenti legnose o erbacee. La fauna è costituita soprattutto da grandi branchi di ungulati erbivori (zebre, bufali, gnu, gazzelle); ben rappresentati sono pure i Carnivori, particolarmente i Felidi (leone, leopardo e ghepardo). Si può dunque dividere la Terra in biomi netti basati su valori di umidità e temperatura. Se andiamo a cartografare la distribuzione dei biomi principali si vede come questi seguono le latitudini a confermare che il principale fattore climatico sia dunque la latitudine. Le foreste equatoriali sono per esempio lungo l’equatore; la savana è invece leggermente a Nord e Sud dell’Equatore, ecc. L’Europa ha ecosistemi di media latitudine, quindi ambienti piuttosto riconoscibili: macchia mediterranea che si ripete in Italia, Grecia, Penisola Iberica poiché le condizioni generali sono pressoché le stesse. Si può dunque caratterizzare i climi partendo dal bioma basato su umidità e temperatura. In pratica quindi i Biomi individuano le grandi fasce climatiche mondiali. Riuscire comunque a dividere i climi in categorie precise è un compito molto difficile, servirebbero stazioni metereologiche uniformemente sparse sulla superficie terrestre e funzionanti in modo regolare e preciso, ma questo meccanismo è praticamente impossibile da realizzare. Una classificazione dunque più approssimativa, ma abbastanza efficace, la si ottiene considerando sia le cause che gli effetti che i climi producono sul paesaggio. Per esempio, la tundra (= prateria senza alberi che si trova alle altissime latitudini, cioè prima del ghiaccio perenne) ha una serie di ecosistemi al suo interno però è generalizzabile in modo netto e che posso differenziare dalla taiga che è la foresta (al suo interno ha tanti ecosistemi → lago, torrente, terreno) però è chiaro che il bioma complessivo è foresta boreale composta da conifere, betulle, ecc. di un certo tipo. Si può suddividere la Terra in biomi piuttosto netti. Questo grafico mette in relazione i biomi con i due elementi climatici fondamentali, cioè l’umidità sotto forma di precipitazioni e la temperatura media annuale. Se si ha una temperatura molto bassa e una piovosità molto bassa si trova un ambiente freddo nel quale non crescono grandi alberi (è freddo e piove poco) e quindi si trova la tundra. Ovviamente dov’è caldo e piove tanto si ha la foresta tropicale. Se c’è caldo ma poche precipitazioni si hanno situazioni di deserto o semi-deserto. Il deserto è un bioma che poi all’interno contiene diversi ecosistemi. La savana si ha in corrispondenza di zone caldo, ma ha un livello di precipitazioni inferiori rispetto alla foresta equatoriale. . Il primo a fare una classificazione dei climi è Wladimir Köppen che elabora la prima classificazione dei climi partendo dal rapporto tra temperatura e umidità, quindi piovosità. Koppen (scienziato tedesco che lavora in Russia, studioso che elabora la prima classificazione dei climi che ancora oggi è la migliore) scelse determinati parametri che si rivelano essere tutt’oggi i più chiari, egli creò la carta dei climi, famosa perché funziona con tutta una serie di lettere. Lui parte dal presupposto di analizzare gli effetti che la temperatura e l’umidità hanno sul territorio e per prima cosa distingue i climi in 3 grandi fasce in base alla temperatura: • caldi (mega-termici), • temperati (meso-termici), • freddi (micro-termici) Poi incrocia queste tipologie con umidità e precipitazioni creando una griglia con tutte le combinazioni possibili: per esempio il clima equatoriale → temperature maggiori di 18 e precipitazioni poco diffuse; clima arido → temperature tra 18-30 poche precipitazioni, ecc. Ad ogni clima corrispondono poi altrettanti tipi climatici e ad ogni tipo climatico corrispondono altrettanti biomi. Gruppi principali climatici Sei gruppi principali sono contraddistinti da lettere maiuscole. I gruppi A, C e D hanno calore e precipitazioni sufficienti da permettere la crescita di alberi d'alto fusto (vegetazione forestale e boschiva). • A: Climi tropicali umidi → La temperatura media di tutti i mesi è superiore a 18 °C. Questi climi non hanno una stagione invernale. Le precipitazioni annue sono abbondanti e superano l'evaporazione annua. Occupano quasi tutte le aree emerse comprese tra i 15° - 20° di latitudine N e i 15° - 20° di latitudine S. Il sole è alto nel cielo ogni giorno dell'anno e anche la lunghezza delle giornate non varia in modo significativo da una stagione all'altra. • B: Climi aridi → Sono gli unici ad essere determinati, oltre che dalle temperature, anche dai valori di precipitazione. L'evaporazione potenziale supera in media le precipitazioni nel corso di tutto l'anno. Non c'è eccedenza idrica, per cui nelle zone dei climi B non prendono origine corsi d'acqua a carattere permanente. Si estendono su circa il 30% delle terre emerse, un'area più vasta di quelle delle altre zone climatiche. Sono Rimangono scoperti dalle piante ampi tratti di territorio. La vegetazione prevede piante particolari come acacie e baobab, che per le loro caratteristiche mantengono buone quantità di acqua per i periodi di siccità. Si passa da un momento di grande disponibilità di acqua quando piove ad un momento in cui l’erba secca e quindi si ha un passaggio che da verde diventa giallo, tant’è che in questi periodi si hanno le migrazioni degli animali (a seconda delle variazioni stagionali): gnu, bisonti, zebre, giraffe e altri erbivori e predatori carnivori si muovono al loro seguito, leoni, iene, sciacalli, ecc. ma anche rettili come coccodrilli e insetti. Clima monsonico (sempre caldo con estate piovosa e inverno secco) Si estende dall’Asia Meridionale al Madagascar. Le precipitazioni variano: sono abbondanti con i monsoni di mare, scarse con i monsoni di terra. Il bioma prevalente del clima monsonico è la giungla con piante che cambiano le foglie; dunque, nella stagione secca si ha una vegetazione più spoglia, le piante tendono a risparmiare energie e perdono le foglie. Quindi si hanno spazi ampi e animali come la tigre. L’ambiente antropico prevede le risaie perché i monsoni favoriscono i raccolti di riso annui, è un grande vantaggio per i paesi molto popolosi e ancora basati sull’agricoltura come ad esempio la Cina, l’India, ecc. È interessante vedere come a Bali abbiano dovuto terrazzare le colline per avere più terra per coltivare il riso. Vediamo quindi come il clima influenza, specialmente in situazioni di economie non particolarmente sviluppate, le attività umane. Talvolta i monsoni scatenano pericolose inondazioni in India, Cina, Bangladesh, Pakistan che, andando a colpire una delle aree più povere del mondo (meno preparate e più densamente popolate) spesso causano danni enormi all’economia e alla popolazione. Come animali troviamo più o meno gli stessi del clima della savana e del clima equatoriale. Monsoni estivi: durante il periodo estivo (aprile-ottobre) i venti soffiano dall’oceano verso il continente e sono caldi e umidi. In estate l’aria presente sopra il continente si riscalda fortemente, determinando la formazione di un’area di relativa bassa pressione. Verso il continente, si muove, allora, dall’Oceano Indiano, dell’aria umida e sulle terre emerse si verificano abbondanti piogge. Monsoni invernali: durante il periodo invernale (novembre-marzo) soffiano dal continente all’oceano e sono freddi e asciutti. In inverno l’aria presente sopra l’oceano si raffredda più lentamente di quella che si trova sopra le terre emerse; sul continente rispetto che sull’oceano e i venti spirano perciò dalla terra verso il mare. Questi tra climi facenti parte della classe dei climi macrotermici si differenziano sostanzialmente per la distribuzione delle piogge nell’arco dell’anno: costante nel clima equatoriale, stagionale nel clima della savana e legato ai monsoni nel clima monsonico I climi aridi (caldi: >18°C, freddi: <30°C, piovosità media <250mm) Clima desertico La piovosità è sotto i 250mm annui, dunque si ha una scarsissima piovosità. C’è sia un clima desertico caldo che un clima desertico freddo, come il Deserto del Gobi o i deserti a Nord dell’Himalaya, dove non piove perché non arriva umidità, sono fredde ma secche perché non piove. I grandi deserti freddi si trovano di solito dietro a grandi catene montuose. I grandi deserti caldi invece sono in Africa (Sahara). Il clima desertico ha scarsissime piovosità e temperature con forti escursioni termine giornaliere (per i caldi) e annue (per i freddi). Dì molto caldi e notti fredde perché la temperatura oscilla in modo forte in quanto la roccia si riscalda velocemente, ma si raffredda anche molto velocemente. Forme di vita ce ne sono veramente poche. La vegetazione principale è formata ovviamente da formazioni desertiche, con pochissima vegetazione distribuita soprattutto in corrispondenza delle dune e composta prevalentemente da formazione erbacee e cespugli. Nelle zone desertiche calde si possono tuttavia incontrare delle oasi con vegetazione più abbondante caratterizzata da palme da dattero. Esistono anche deserti di sale per l’evaporazione di grandi laghi. Nel caso in cui piova il deserto fiorisce ma sono casi rari ed eccezionali. Tra gli animali: ragni, rettili, dromedari e cammelli. Clima predesertico Oltre alle desertiche, ci sono anche zone predesertiche, qui vi sono delle forme di vita, ma sono quasi solo piante che immagazzinano acqua come, ad esempio, le piante grasse tipo cactus o ciuffi erbacei. Abbiamo ambienti molto aridi perché le precipitazioni scarseggiano (es. a Sud Sahara verso il Niger, Mali…). Come animali troviamo piccoli roditori, canguri e coyote. I climi meso-termici o temperati (mese più freddo tra i 2 e i 15 °C) Sono climi né troppo caldi né troppo freddi, con precipitazioni moderate. Clima mediterraneo alterna stagioni moto gradevoli. È detto mediterraneo, ma lo si ritrova anche in altre zone a stesse latitudini. La vegetazione comprende la vite (la maggior parte del vino si produce lungo la fascia mediterranea), Cile, Argentina, California, in punti dove il clima è simile al mediterraneo. Il clima è gradevole con alternanza stagionale, estati calde, ma non torride, e inverni miti grazie alla presenza del mare. In estate si ha invece probabile siccità dato che le precipitazioni si concentrano in primavera e autunno. Le piante sono quelle che vanno a comporre la così “macchia mediterranea”, composte perlopiù da arbusti resistenti: mirto, rosmarino, ginestra, ecc. piante che resistono anche alla siccità. Ci sono anche ortaggi e agrumi, fichi, mandorli, lecci e le 3 coltivazioni tipiche sono vite, olivo, grano. Animali molto resistenti: vipere, cinghiali, daini, istrici, volpi, ecc. Climi temperati freschi (mese più freddo 0°C, mese più caldo max 15°C) Clima oceanico e atlantico. Clima influenzato dalla presenza di oceani, clima molto umido e piove molto, soprattutto d’estate: è il clima dell’Inghilterra, Irlanda, Seattle, Canada… Le temperature non sono basse, ma nemmeno alte; la piovosità è presente d’estate, il clima è piovoso, ma fresco. Il bioma è composto da formazioni arbustive e aperte come la brughiera con alberi meno frequenti, ma ricchezza di verde ed erba come si vedono in Irlanda, alberi come betulle e olmi, ma anche sottobosco con eriche, luppolo e muschi. In alcune zone è più arido (come in Kansas negli USA). In Europa si ritrova la prateria ungherese, distese enormi di erba in cui il clima arido non fa crescere alberi, ma erba. Gli animali tipici sono i bisonti che si adattano al freddo ma anche all’aridità. Lontano dal mare con inverni freddi nevosi ed estati calde torride (tipico clima della Russia con temperature molto sotto lo zero e picchi estivi altissimi), piovosità limitata perché c’è poca umidità. C’è dunque una forte escursione annuale.