Scarica La Poesia Siciliana e il Ruolo Di Dante Nella Storia della Lingua Italiana - Prof. Sergio e più Appunti in PDF di Linguistica solo su Docsity! La poesia siciliana risale l’Italia e fece da modello sia agli stilnovisti che a Dante. Dante è conosciuto, per i suoi meriti letterari, come il padre della lingua italiana, ma importante è anche il suo ruolo di teorico dell’italiano volgare: a lui si deve il primo trattato di storia della lingua italiana. Si pone alla scrittura del suo trattato, il “De Vulgari Eloquentia”, un titolo latino che significa “Sull’eloquenza del volgare”, e opera in latino e viene scritta tra il 1303 e il 1304. Fa una storia della lingua italiana e da uomo del medioevo, quindi profondamente religioso, fa partire la sua storia della lingua italiana da un episodio biblico, parte dalle prima origini, dalla creazione di Adamo notando che l’uomo è l’unica creatura dotata di linguaggio e questa proprietà caratterizza l’uomo in quanto tale rispetto agli altri animali. L'origine del linguaggio viene ripercorsa attraverso il racconto biblico e è centrale l’episodio della Torre di Babele: secondo Dante, la storia delle lingue inizia qui. Le lingue variano nel tempo e nello spazio perché originariamente in base ad una maledizione divina, gli uomini erano stati condannati a non capirsi reciprocamente. Il punto di partenza delle diversità delle lingue è proprio nella Torre di Babele. A partire da questo input si ha la diversificazione delle lingue. Il latino secondo Dante è un'invenzione dei dotti successiva alla maledizione babelica, è finalizzata a far comprendere e comunicare gli uomini gli uni con gli altri. Rispetto al punto di vista degli studiosi anche successivi a Dante, prima c'è il latino e poi le altre lingue romanze, per Dante prima avviene la dispersione babelica e poi il latino, come se fosse un’invenzione per far comunicare gli uomini. Questa è una convinzione erronea. Dante notava la parentela fra lingue come il provenzale, il francese e l’italiano, parentela che verificava grazie alla somiglianza di molte parole, oppure un’altra caratteristica, tipica dei moderni, è il giusto per l’osservazione concreta delle lingue: Dante fa una rassegna delle lingue del mondo allora conosciuto. È una rassegna “ad imbuto” che parte dall'Europa e poi restringe l'obbiettivo sull’Italia nel quale riconosce una serie di parlate diverse. È un precursore dei dialettologi, della dialettologia, perché nel 300 era stato in grado di riconoscere aree dialettali diverse. Aveva suddiviso i dialetti in ovest e est vedendo in un fattore extralinguistico come l’appennino, un fattore geografico, una limitazione geografica, un fattore determinante per la diversità dei dialetti. Dante fa la rassegna dei dialetti d’Italia, lo fa con un gusto descrittivo ma ha anche un fine più preciso, cioè Dante si rivolge a questi dialetti con l’obiettivo di trovare il dialetto migliore che secondo le sue parole dovesse essere illustre, avrebbe dovuto dare lustro a chi lo parlava e scriveva, aulico e curiale perché doveva essere degno di essere parlato in un'aula di tribunale e in una corte, e cardinale perché doveva essere il cardine, il fulcro attorno al quale devono ruotare le altre parlate. Il verdetto è negativo perché esaminando le varie parlate, Dante le elimina sistematicamente ritenendo che nella loro forma naturale sono indegne di essere considerate illustre, auliche e curiali e cardinali. Il siciliano e il bolognese sono meno peggio delle altre. Intende il siciliano e il bolognese di alto livello, formalizzati dalla scuola di Federico Il di Svevia e da Guinizzelli, il maggiore esponente dello stilnovismo. Il giudizio positivo è dato dal fatto che Dante non leggeva i siciliani in versione originale ma toscanizzata, da qui il suo giudizio relativamente positivo. Lo stesso vale per Guinizzelli e gli stilnovisti che riprendono la poesia siciliana. Dante sta cercando una lingua illustre selezionata di livello alto ed emerge fin da qui la una sua considerazione, ovvero che la nobilitazione del volgare dovesse avvenire attraverso la letteratura, non può esserci una lingua se non c’è una letteratura di supporto. Questo è un punto che faticherà a essere estirpato anche dai pensatori successivi. Questa esigenza di una letteratura porterà Dante a scrivere un trattato, il “Convivio”. Dante ci lavora tra il 1304 e il 1307. In virtù di questo fatto, egli nel Convivio modificherà la sua opinione e dirà che il latino rimane superiore al volgare perché è stato usato per scopi d’arte, per la letteratura. In questo caso rimane una fiducia nel volgare, denominato da Dante “il nuovo sole” destinato a splendere accanto al latino, perché secondo lui il latino allo stato attuale è superiore perché ha una letteratura, il volgare ancora no ma ha le potenzialità per averla. E così è stato: l’esigenza di stilizzazione del volgare che emerge nel “De Vulgari Eloquentia” pare che sia una delle ragioni per cui questo trattato è rimasto incompiuto proprio perché Dante pensava a questa esigenza di stilizzazione, ma nella sua testa incominciava a palesarsi un’idea di letteratura molto diversa, ovvero l’idea della Commedia che, proprio per il plurilinguismo e pluristilismo, era quanto di più lontano potesse esistere rispetto ad un’esigenza di stilizzazione. Nella Commedia coesistono argomenti alti e bassi, parole plebee, straniere e dialettali, un forte contrasto tra stilizzazione prospettata del “De Vulgari Eloquentia” e poi la forma linguistica concreta che assumerà la Divina Commedia. Dante si getta nella scrittura della Commedia, modello diverso rispetto al De Vulgari Eloquentia perché utilizza risorse molto vaste rispetto a quelle della poesia stilnovistica e siciliana. C'è una ricchezza tematica della Commedia: si affrontano quasi tutti gli argomenti dello scibile coevo, questo fatto implicitamente dimostrava che l’italiano aveva delle potenzialità illimitate, poteva essere impiegato per parlare di tutto. Si tratta di un’opera che Dante scrive in esilio a nord, è un’opera fiorentina proiettata linguisticamente all’Italia settentrionale, istituendo un connubio tra nord e centro. La Commedia ha fin da subito un successo enorme fra coloro che al tempo erano in grado di leggere, fu il cavallo di troia della lingua. La lingua con cui è stata scritta l’opera, anche grazie al successo di essa, si diffuse in tutta Italia. Questo successo era il motivo principale per la divulgazione, ma ci sono altri fattori che hanno portato al successo la lingua italiana, un altro fu il fatto che pochi decenni dopo Firenze poté contare su altre due opere letterarie che ebbero un immenso successo, il “Canzoniere” di Petrarca e il “Decameron” di Boccaccio. Noi oggi parliamo italiano di base fiorentina perché i tre grandi letterati dell'origine della lingua del 300 erano di Firenze. Per questo si può dire che l’Italiano è una lingua di base letteraria, perché la sua diffusione è avvenuta grazie al peso della letteratura, ad es. in Francia, il francese di Parigi si è diffuso come modello per via di fattori storico-politici. Altri fattori hanno portato alla supremazia di Firenze, per es. fatti di tipo economico-sociali perché nel 300 il fiorentino era espressione di una società molto vivace e ricca che aveva rapporti commerciali con tutta Italia e Europa. C'è anche un fattore strutturale che indica il successo del fiorentino, cioè il fatto che rispetto ad altre parlate dialettali, il fiorentino era strutturalmente mediano, ovvero non aveva particolarità fonetica e morfologiche evidenti, aveva una struttura mediana che poteva essere usato come lingua franca fra parlanti di dialetti diversi. L'ultimo fattore che ha portato al successo il fiorentino è la sua vicinanza strutturale rispetto al latino. | passaggi della grammatica storica dal latino al fiorentino erano minori. La Commedia ebbe un grandissimo successo e questo è testimoniato dal fatto che sono stati trovati della Commedia più di 600 manoscritti precedenti alla metà del 300. Questo fatto di possedere tanti manoscritti della Commedia, manoscritti vuol dire che c'è una copia scritta da Dante che è andato distrutto, e poi ci sono delle copie scritte a mano che hanno garantito la diffusione della Commedia. Questi manoscritti hanno compromesso l’originale dantesco perché i copisti sono intervenuti sul testo. La Divina Commedia odierna mostra le parole di Dante ma in parte perché non si possiede la copia originale, ma si ha una serie di manoscritti. L'edizione del Petrocchi della Divina Commedia è un’edizione fondata sull'esame dei primi codici della metà del 300 che riportano la Commedia. È un'edizione critica fatta da filologi, studiosi della forma linguistica di carte antiche, che hanno comparato le diverse versioni di manoscritti, i più affidabili, per ricavare la “lezione originale”, quella più aderente a quella che doveva essere la forma scelta da Dante. «Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.»