Scarica Appunti Plasticità e Apprendimento e più Appunti in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! 2 1. Sistema visivo DALLA RETINA AL GENICOLATO Gli esperimenti di Hubel e Wiesel si basano sul sistema visivo La funzione cui è deputato il nostro sistema è quella di darci la capacità di discriminare gli stimoli presenti nel mondo che ci circonda. La capacità discriminativa può essere allenata. La possibilità di modificare la capacità discriminativa significa che sta succedendo qualcosa Le vie visive partono dall’occhio e arrivano alla corteccia visiva primaria. Comprendono: • Occhio e retina • Nervo ottico • Tratto ottico • Nucleo genicolato laterale • Corteccia visiva primaria Queste formano la via retino-genicolo-striata Dalla retina al chiasma ottico - Rispetto al punto di fissazione, l’informazione visiva proietta nell’emiretina nasale e temporale di ciascun occhio - Ogni occhio contiene informazioni relative alle due emiretine - Nel chiasma le fibre dalle due retine nasali incrociano andando ad unirsi con quelle temporali dell’altro occhio, formando il tratto ottico. Si noti che ogni emicampo visivo è più ampio per l’occhio ipsilaterale che controlaterale. Questo perché il naso delimita il campo visivo dell’emiretina temporale controlaterale. Tratto ottico: porta informazione al NGL NGL: primo nucleo della via retino-genicolo-striata → genicolo perché la struttura dei neuroni è come un ginocchio. Qui arrivano fibre da entrambi gli occhi. - Fibre dall’occhio ipsilaterale: dall’emiretina temporale - Fibre dall’occhio controlaterale: dall’emiretina nasale Mentre il nervo ottico ha informazioni da entrambi gli emicampi, il tratto ottico ha tutta l’informazione di un certo emicampo. Dal chiasma ottico a V1 - Il tratto ottico, che porta info da due occhi, ma dallo stesso campo visivo, termina nel NGL - Da qui le fibre procedono, formando le radiazioni ottiche, verso V1 - Ogni V1 riceve informazioni dallo stesso emicampo (controlaterale) ma da due occhi diversi Strutture neurali di analisi dell’informazione visiva: • Retina nell’occhio • Nucleo genicolato laterale (6 strati di neuroni, come quelli della corteccia) • Corteccia visiva primaria RETINA Qualsiasi forma di discriminazione percettiva visiva non può prescindere dall’attività che avviene nell’occhio a livello retinico 3 La sua funzione è quella di tradurre la luce in segnali nervosi da inviare al cervello, del quale è legittimamente considerata un’estensione. Retina: estensione del cervello, ci sono neuroni al suo interno (anche il midollo spinale è un’estensione del cervello) RETINA → Consiste in un insieme di strati di fotorecettori e cellule nervose: - Coni e bastoncelli - Cellule bipolari - Cellule amacrine - Cellule orizzontali - Cellule gangliari (gli assoni formano il nervo ottico) Connessioni dirette e indirette Dirette: - Pochi fotorecettori sono collegati con una cellula bipolare e questa (o poche di queste) è a sua volta collegata con una cellula gangliare Indirette: - Una cellula orizzontale collega molti fotorecettori con una cellula bipolare - Una cellula amacrina collega molte cellule bipolari con una cellula gangliare Convergenza dei segnali nervosi nella retina - Nella fovea, zona di massima acuità visiva, ogni fotorecettore è collegato con una cellula bipolare e questa ad una gangliare - In periferia si osserva convergenza → più fotorecettori su una cellula bipolare e più cellule bipolari su una cellula gangliare Come interpreta le informazioni visive la retina? Per sapere quali sono le informazioni sul mondo esterno che la retina invia al cervello dobbiamo guardare alla risposta output delle cellule gangliari. Sono queste infatti l’ultimo stadio di elaborazione retinica, in cui vengono raccolti i segnali provenienti da fotorecettori e cellule bipolari. Il campo recettivo delle cellule gangliari - Il concetto di campo recettivo è uno strumento importante per capire il comportamento di una cellula sensoriale, sia essa gangliare, del genicolato o della corteccia visiva (ma si applica anche alle altre modalità sensoriali) - Nella sua accezione più restrittiva definisce quali recettori forniscono informazioni ad una cellula del sistema nervoso - Quando si definisce il campo recettivo di una cellula non si determinano solo i suoi limiti spaziali ma anche quali caratteristiche deve possedere lo stimolo per evocare una risposta cellulare - Stephen Kuffler, attorno al 1950, fu il primo a registrare la risposta delle cellule gangliari dalla retina del gatto (presentava macchie di luce di varie dimensioni) → solo nel 1950 si è arrivati a registrare la risposta di cellule gangliari o Gatto: organizzazione del sistema visivo molto simile alla nostra. Molte ricerche per quanto riguarda il sistema visivo Scoperte di Kuffler: 6 CORTECCIA STRIATA V1 La corteccia visiva primaria o striata: V1 - È la sede della prima analisi corticale dell’informazione visiva - Afferenze principali dal NGL - Rispetto al NGL conta circa 200 milioni di neuroni - È una struttura multistrato con uno spessore di circa 2 mm (presenta 6 strati distinti) Tipi di cellule in V1: da un punto di vista della risposta fornita agli stimoli, i neuroni della corteccia visiva striata possono essere distinti in almeno 3 tipi: • Cellule granulari o del primo strato • Cellule semplici • Cellule complesse Nella corteccia nessun tipo di cellule è attivato da una luce diffusa (mentre una risposta debole può essere osservata nel NGL). NEURONI DEL PRIMO STRATO Gli assoni che arrivano dal NGL fanno sinapsi nello strato 4 (nello specifico, nello strato 4c) Nello strato 4c le cellule hanno un’organizzazione funzionale centro/periferia simile a quelle osservate nella retina e nel NGL → campi recettivi circolari organizzati in centro ON o centro OFF In altre parti dello strato 4 si trovano cellule semplici che rispondono a linee e bordi. I neuroni sono strettamente monoculari (come quelli nel NGL). Nello strato 4 non c’è ancora il fenomeno di convergenza binoculare → sono monoculari I lavori di Hubel e Wiesel sulla corteccia visiva Negli anni 50-60 del secolo scorso Hubel e Wiesel compiono una serie di lavori fondamentali per capire l’organizzazione anatomica e funzionale della corteccia visiva primaria. Registrando la risposta dei neuroni in V1 agli stimoli visivi (in gatti e scimmie). → le loro scoperte hanno avuto un enorme valore teorico, ma anche applicativo. È grazie al loro lavoro che oggi, per esempio, sappiano trattare (in parte) un grave difetto visivo come l’ambliopia, o si possono progettare e sperimentare protesi elettroniche in grado di simulare l’analisi della corteccia visiva per le persone non vedenti. Ambliopia: viene perso il feedback di un occhio, il quale viene perso Le cellule semplici e complesse In due lavori, del 1959 e del 1962, H&W scoprono in V1 del gatto l’esistenza di due tipi di cellule: semplici e complesse → le stesse cellule sono presenti anche nelle scimmie e nell’uomo CELLULE SEMPLICI: CAMPO RECETTIVO Come le cellule gangliari, quelle del NGL, e quelle granulari dello strato 4c, le cellule semplici hanno campi recettivi in cui un punto luminoso produce una risposta eccitatoria oppure inibitoria. I campi recettivi delle cellule semplici hanno una geometria diversa rispetto a quelle dei livelli precedenti (4c in V1, NGL, gangliari nella retina) 7 Muovendo un punto luminoso H&W hanno mappato il campo recettivo delle cellule semplici. In funzione della risposta, possono essere identificati 3 tipi di campi recettivi in cui la zona eccitatoria ed inibitoria sono sempre separate da una linea diritta. → campi recettivi definiti da un bordo; sono le prime cellule che codificano una parte rettilinea. Cellula di tipo “centro OFF” quando la luce è accesa al centro da una risposta inibitoria. Quando viene spenta diventa eccitatoria. La stessa risposta eccitatoria si osserva anche quando la luce viene accesa nella periferia, sia a destra che a sinistra nella zona verticale centrale. Nessuna risposta con illuminazione diffusa. Effetti di sommazione spaziale nel campo recettivo della cellula semplice: = Maggiore l’area è stimolata, maggiore sarà la risposta neurale. Cellule codificano la quantità di luce inviata. Effetti antagonistici = stimolazioni contemporanee di aree eccitatorie ed inibitorie riducono la risposta cellulare. Meccanismi di sommazione che possono diventare antagonisti quando le due info sono opposte. Le cellule semplici: barre di luce Lo stimolo più efficace per attivare la risposta del neurone è una piccola barra di luce → ma posizionata e orientata correttamente. Ruotando la linea scopro qual è l’orientamento preferenziale della cellula per il quale essa risponde. C’è una tolleranza nella risposta: come si distribuirà al risposta? Risposta più forte quando è orientata perfettamente, e via via minore quando l’orientamento si sposta. Sensibilità della cellula per l’orientamento: 20/30° Selettività per l’orientamento dello stimolo - Neuroni selettivi per tutti gli orientamenti - Scostamenti entro i 20° dall’orientamento preferenziale provocano un declino nella risposta neurale. Ampiezza del campo Le dimensioni del campo recettivo variano in funzione del fatto che la cellula mappi porzioni del campo visivo centrale oppure più periferico. - Nella parte foveale o parafoveale le dimensioni più piccole individuate corrispondono a 0,25° x 0,25° di angolo visivo, con una parte centrale avente un’ampiezza di pochi minuti di arco - A 57 cm di distanza dall’osservatore un centimetro corrisponde ad 1° di angolo visivo. Quindi a questa distanza la parte centrale del campo recettivo copre pochi millimetri. Afferenze dal NGL e forma del campo recettivo H&W hanno proposto come potrebbero essere collegati i neuroni del NGL o dello strato 4c con le cellule semplici per spiegare il campo recettivo di queste ultime. Caratteristiche delle cellule semplici in V1: - Selettività spaziale: ogni neurone risponde per una zona molto piccola del campo visivo - Selettività per l’orientamento: ogni neurone risponde solo per un dato orientamento dello stimolo - Risposta ON o OFF - Campo recettivo diviso in zone eccitatorie ed inibitore: le regioni eccitatorie ed inibitorie non sono concentriche e circolari ma sono ampie aree separati da bordi lineari - Risposta ottimale a barre di luce (chiare o scure). Risposta meno ottimale solo a punti di luce o buio - Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa - Campo recettivo monoculare o binoculare 8 - Afferenze dalle cellule del NGL tramite quelle dello strato 4c CELLULE COMPLESSE Sono cellule che si trovano inframezzate con quelle semplici nei vari strati della corteccia. Rispetto alle cellule semplici, da cui ricevono le afferenze, hanno alcune proprietà di risposta particolari: • Rispondono, come le semplici, a barre luminose orientate in modo non appropriato, non a punti né a condizioni di illuminazione diffusa • Nel campo recettivo la distinzione tra zone ON e OFF (ed eccitatoria e inibitoria) non è così netta come nelle cellule semplici Geometria del campo Una barra di luce stazionaria con orientamento appropriato evoca una risposta che è indifferenziata rispetto alla posizione dello stimolo. La geometria del campo può essere molto complessa e particolare → può esserci una risposta ON nella parte superiore ed una parte OFF in quella inferiore (campo recettivo diviso in due parti: in una parte risponde abbassando la frequenza di scarica quando c’è la luce, in un’altra alzando la frequenza). Risposta ai bordi Alcune cellule complesse non rispondono a linee sottili, ma solo a bordi tra aree chiare e scure. Il bordo deve essere orientato correttamente. Il movimento Lo stimolo ottimale per evocare la risposta di una cellula complessa è una barra che si muove nel campo recettivo. La cellula risponde se trova il bordo orientato, ma risponde di più se il bordo si muove. Selettività direzionale Una parte delle cellule complesse risponde solo ad una direzione di movimento; altre non presentano alcune selettività rispondendo ad ogni direzione. Caratteristiche delle cellule complesse: - Selettività spaziale - Selettività per l’orientamento - Campo recettivo complesso dove le zone ON e OFF non sono sempre nettamente demarcate - Lo stimolo ottimale è in movimento - Alcune selettive per la direzione di movimento, altre no - Risposta ottimale per la direzione di movimento, altre no - Nessuna risposta a luce (o buio) diffusa - Campo recettivo monoculare o binoculare - Afferenze soprattutto dalle cellule semplici 11 2. PLASTICITÀ La parola plastico (o plastica) deriva dal greco Plastikos, che significa malleabile, adatto ad essere plasmato. Per plasticità corticale si intende la proprietà del cervello (o di qualsiasi parte del sistema nervoso), per quanto riguarda la corteccia (ma non solo), di poter essere modificato. - Modificato da cosa? - Come? - Quali sono le conseguenze dell’essere modificabile? - È una caratteristica sempre auspicabile? La plasticità corticale L’idea che il cervello possa essere modificato non è così ovvia. In genere si pensa al cervello come a una struttura stabile che analizza le informazioni sensoriali, prende decisioni e attua comportamenti appropriati alla situazione. La plasticità si riduce ma non scompare in età adulta. Ma se pensiamo alla capacità del cervello di apprendere, e alla memoria, allora l’idea che sia immodificabile è messa in crisi. A meno che non adottiamo una prospettiva dualista (mente/corpo), tale per cui la mente trascende il corpo (cervello) e l’apprendimento è una proprietà della mente immateriale, dobbiamo chiederci alcune cose: - Cosa implica materialmente per il cervello apprendere? - Cosa significa acquisire un’informazione o un’abilità prima sconosciuta? Non esiste alcun pensiero/emozioni che non sia il prodotto di ioni calcio/magnesio … che passano in una sinapsi. Se si cambia la composizione chimica delle sostanze che passano nel cervello, si cambiano le persone → è ciò che fanno le droghe Apprendere implica modificare il cervello L’acquisizione si una nuova informazione o competenza (una nozione o un gesto motorio) richiede al cervello di andare incontro, a qualche livello, ad una modifica → tutti i supporti per memoria che conosciamo devono poter essere modificati in qualche loro caratteristica fisica per alloggiare l’informazione da memorizzare Per poter apprendere, e ricordare quanto appreso, è quindi necessario che il cervello sia modificabile. Già nel 1904 il famoso neurologo Ramon y Cajal sosteneva che: “Per capire il fenomeno dell’apprendimento è necessario ammettere, oltre al rafforzamento di vie organiche prestabilite, la formazione di nuove vie attraverso la formazione e la crescita di arborizzazioni dendritiche e terminali nervosi” → il cervello deve modificarsi e solo così si può apprendere qualcosa di nuovo - Che cosa sono le abitudini? Connessioni che vengono rafforzate continuamente (per questo è difficile perderle, sono modifiche sostanziali di come è organizzato il nostro cervello – è difficile scardinare le sinapsi: sono robuste, e date uno stimolo il cervello agisce, perché quella è la via che viene attivata) Il cervello plastico: il periodo critico Un tempo si pensava che il cervello fosse malleabile solo entro un certo periodo della vita. Tale malleabilità era massima nell’infanzia, e poi scompariva nell’età adulta - Esiste solo una finestra di tempo limitata per imparare certe cose - Quello che non si impara durante l’infanzia non potrà più essere appreso - Le esperienze e le conoscenze acquisite nell’infanzia saranno determinanti per l’individuo 12 L’idea che il cervello sia plastico solo durante l’infanzia porta con sé importanti implicazioni circa le possibilità di recupero a seguito di lesioni cerebrali. Se una lesione avviene oltre il periodo di plasticità sarebbero scarse o nulle le capacità di recupero e riorganizzazione. Ambliopia: un occhio è così dominante che l’altro occhio viene perso. L’oculista mette un cerotto sull’occhio sano per forzare l’occhio a guardare. Il problema non è l’occhio, ma i neuroni della corteccia visiva. L’idea dell’esistenza di un periodo ben definito nell’età infantile oltre il quale non siano più possibili cambiamenti sostanziali del cervello è stata profondamente influenzata dai lavori di Hubel e Wiesel (1963- 1965) sul “periodo critico”. Anche i lavori di Lorenz (1937) sull’imprinting suggerivano l’esistenza di tale periodo post-natale cruciale (imprinting sulle oche). La plasticità nell’età adulta Negli ultimi 30 anni le ricerche sulla plasticità corticale hanno messo in luce che il cervello presenta una notevole plasticità anche nell’età adulta, non solo in un ristretto periodo nell’infanzia. Tuttavia rimane vero che l’elevato grado di plasticità presente nei primi anni di vita non è più raggiungibile durante gli anni successivi. • Per eccellere in certi sport bisogna averli praticati sin da bambini (talento = predisposizione innata dei neuroni ad elaborare determinati tipi di stimoli) • Apprendere certi schemi motori da adulto non è la stessa cosa, e l’apprendimento non è mai così efficiente come quando avviene da piccoli La moderna visione sulla plasticità nell’adulto non considera questa caratteristica come un qualcosa legato ad un particolare periodo dello sviluppo, ma piuttosto come uno stato continuo del cervello Il cervello è una struttura in continuo cambiamento, modificata in ogni istante dalle esperienze sensoriali, motorie, emotive, cognitive. La plasticità corticale del sistema motorio Gli studi di Pascual-Leone e colleghi (1995-1996) Ai soggetti era richiesto di eseguire ripetutamente una certa sequenza di movimenti con le dita sui tasti del pianoforte. Due ore di allenamento ogni giorno per 5 giorni, per 5 settimane. Ogni giorno, prima e dopo ogni sessione di allenamento, attraverso l’uso della TMS veniva mappata l’area motoria coinvolta nel movimento delle dita. → si stimolano alcuni punti della corteccia e si vede quando si induce un movimento delle dita. In questo modo si può approssimativamente mappare l’area corticale coinvolta nel controllo delle dita della mano. - Dopo ogni sessione l’accuratezza del movimento migliorava (sia in termini di errori sia di tempo) a riprova dell’avvenuto apprendimento (l’area corticale adibita aumentava notevolmente: vengono richiamati neuroni dalle aree adiacenti) La mappatura dell’area motoria coinvolta ha rivelato due tipi di cambiamenti: (plasticità a breve e a lungo termine: nei 5 giorni di allenamento (lunedì-venerdì), l’area corticale aumentava mentre dopo il weekend le connessioni tornavano quasi al punto di partenza): 13 Altro studio di Pascul-Leone e colleghi (1995-1996) Un gruppo di soggetti fu invitato semplicemente ad immaginare di eseguire il compito. Pratica fisica = pratica mentale → Questo funziona almeno in due ambiti: uno è quello motorio e l’altro è la capacità discriminativa-percettiva (se devo allenarmi a discriminare se l’oggetto è orientato a dx o a sx, la capacità discriminativa migliora molto). Ci sono ambiti in cui la semplice attività immaginativa può produrre plasticità. In questo studio anche il mero allenamento mentale può indurre una modifica cerebrale, comparabile a quella prodotta dal reale esercizio fisico. Altro studio Rapida riorganizzazione della rappresentazione motoria indotta da TMS - Compito: stringere ritmicamente il pugno della mano destra ogni secondo; il soggetto è nello scanner fMRI - Ad un gruppo è applicata rTMS per interferire con l’attività neurale della M1 Se interferisco con i neuroni che controllano l’attività della mano, ma ci sono connessioni con aree omologhe nell’altra parte del cervello, si attiveranno queste ultime. Quando l’attività viene perturbata, noto quindi attività dall’altra parte. Questi studi TMS dimostrano che: • L’esecuzione ripetuta di un certo gesto motorio determina una modifica dell’area corticale coinvolta nel controllo di tale gesto • Se una certa area necessaria per un movimento viene esclusa, il cervello recluta altre aree per eseguire il movimento La corteccia motoria presenta quindi elevata plasticità e capacità riorganizzative piuttosto rapide. Plasticità corticale e cecità L’essere umano è un organismo prettamente visivo. La perdita della vista comporta quindi per l’individuo la necessità di un adattamento ad una situazione di deficit sensoriale. Tipicamente le persone cieche sviluppano diverse abilità compensatorie, migliorando la loro sensibilità nelle altre modalità sensoriali, specialmente nell’udito e nel tatto. Esistono ormai evidenza consolidate che nelle persone non vedenti le aree deputate all’analisi visiva siano attivate anche durante l’elaborazione di stimoli da altre modalità. Questo potrebbe spiegare perché le persone non vedenti hanno abilità uditive e tattili superiori a quelle delle persone normo vedenti. Già negli anni 90 alcuni studi PET hanno dimostrato un’attivazione di V1 in soggetti cechi dalla nascita mentre eseguivano la lettura Braille. - L’attivazione era però assente nel caso in cui le dita venivano mosse passivamente su simboli Braille, una condizione in cui la lettura non era richiesta. 16 Deprivazione visiva Un modo per studiare la plasticità cerebrale è quella di alterare il normale l’input sensoriale e vedere come il cervello risponde Hubel & Wiesel sono stati tra i maggiori esponenti di questo approccio metodologico, e in particolare la loro tecnica consisteva nell’indurre una robusta alterazione dell’input visivo tramite deprivazione sensoriale. Dal 1963 al 1964 Hubel e Wiesel pubblicarono una serie di lavori fondamentali sulla plasticità cerebrale nella fase di sviluppo. Da questi lavori emerse il concetto di “periodo critico” che negli anni a venire influenzò profondamente la psicologia e le neuroscienze. SEI LAVORI DELLA SERIE SULLA DEPRIVAZIONE VISIVA → in questi studi suturavano la palpebra di un occhio; altri studi arrivano a togliere l’occhio all’animale. In altri casi mettevano sull’occhio una lente a contatto opaca. 1° lavoro: Effetti della deprivazione sulla morfologia e fisiologia delle cellule nel nucleo genicolato laterale del gatto Nel sistema visivo questo aspetto era stato studiato esaminando gli effetti della deprivazione sensoriale generale (binoculare) sul sistema visivo. Non erano emerse grandi modifiche. Hubel e Wiesel si concentrarono però su deprivazioni selettive → trovarono grandi modifiche con deprivazione monoculare: se da un lato entra luce ma dall’altro no, è un problema! Lo scopo del primo lavoro della serie è quello di estendere queste conoscenze studiando gli effetti della deprivazione monoculare sulle cellule del NGL a livello della risposta fisiologica e morfologica. Per valutare gli effetti della deprivazione, la tecnica usata è quella della registrazione da singole unità (neuroni) e dell’esame anatomico della struttura (post-mortem) - Impianto elettrodi nel NGL: per vedere come cambia la risposta della cellula, se cambia - Analisi post-mortem: per vedere se quelle cellule hanno cambiato aspetto/morfologia Metodo Soggetti: 9 gattini Durata deprivazione: variabile da 1 a 4 mesi Tipo di deprivazione: monoculare, sutura delle palpebre di un occhio - I gattini vengono deprivati o alla nascita o qualche mese dopo - Il gatto adulto da adulto Sito di registrazione: NGL sinistro - Da uno strato con afferenze dall’occhio deprivato - Da uno strato con afferenze dall’occhio aperto Cambiamenti fisiologici nel NGL Tutte le cellule (34) registrate, sia dall’occhio chiuso, sia aperto, mostrano il classico campo recettivo concentrico organizzato in centro ON-periferia OFF o viceversa. La dimensione della parte centrale del campo recettivo era normale. Se ne deduce che l’input sensoriale non è necessario per lo sviluppo normale dei campi recettivi dei neuroni del NGL. Tuttavia, alcune cellule mostrano una risposta meno pronta e precisa alla luce → il centro del loro campo recettivo era molto più grande di quello delle altre cellule del NGL, anche più grande di quello delle cellule del gatto adulto. 17 A parte queste eccezioni, in generale la deprivazione monoculare non sembra aver modificato in modo sostanziale la risposta fisiologica delle cellule del NGL. Cambiamenti morfologici nel NGL A seguito della deprivazione, in tutti i gattini sono emersi profondi cambiamenti morfologici nei neuroni del NGL. I neuroni che ricevevano l’input dall’occhio chiuso sono risultati marcatamente atrofici. Gli strati dell’occhio deprivato risultato più sottili degli altri, assottigliamento causato principalmente da atrofia delle cellule. → anche nello strato normale ci sono cellule più piccole e più grandi, nello strato deprivato soprattutto le più grandi si rimpiccioliscono. Cambiamenti morfologici in altre strutture La deprivazione monoculare non sembra aver modificato la struttura e le cellule in: - Retina - Nervo ottico - Collicolo superiore I cambiamenti morfologici sembrano quindi aver luogo solo nel NGL. Plasticità: qualche neurone si è modificato a seguito della modificazione dell’input sensoriale Deprivazione monoculare in animali con precedente esperienza visiva È stata valutata in gattini deprivati a 2 mesi di età (uno deprivato per 4 mesi ed uno per 1 mese). Ma avergli lasciato due mesi per fare esperienza visiva normale, potrà avere qualche effetto se poi gli chiudo l’occhio? L’atrofia era presente, anche se meno marcata di quella generata quando la deprivazione avveniva sin dalla nascita→ avere un’esperienza visiva di tipo normale comincia a far ridurre la plasticità: si atrofizzano meno e sono meno soggette a modifiche. Questo può far pensare che tanto più precoce è la deprivazione, tanto maggiore è l’effetto della stessa. Se si vuole intervenire sull’ambliopia, è meglio farlo precocemente per questo motivo! Prima si interviene, più posso sfruttare la plasticità del sistema. Più tardi intervengo, più il sistema si stabilizza. Deprivazione monoculare in animale adulto Un fatto adulto deprivato per 3 mesi: - Nessuna differenza tra gli strati del NGL che ricevevano afferenze dall’occhio aperto e da quello chiuso - Normale spessore degli strati e grandezza delle cellule in essi contenute. Questo risultato conferma il ruolo importante dell’età nella quale avviene la deprivazione. Conclusioni La deprivazione monoculare dalla nascita induce marcata atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. La risposta funzionale rimane però tutto sommato normale, anche se in quale caso ridotta. Se la deprivazione inizia dopo un breve periodo di esperienza visiva, i suoi effetti risultano meno marcati o, addirittura, assenti negli animali adulti. La marcata atrofia del genicolato dovuta a deprivazione non era stata osservata negli studi precedenti → quegli studi usavano deprivazione binoculare Un possibile motivo è il fatto che gli studi precedenti usavano una deprivazione binoculare, mentre qui si è usata quella monoculare. 18 La deprivazione monoculare tende a modificare morfologicamente in modo selettivo il NGL. 2° lavoro: Campi recettivi delle cellule della corteccia striata nei gattini senza esperienza visiva precedente In questo lavoro gli autori vogliono capire dopo quanto tempo dalla nascita le cellule di V1 mostrano le normali proprietà di risposta presenti nell’animale adulto Vogliono inoltre verificare quanto sia importante l’esperienza visiva per assicurare un normale sviluppo di V1: procedono quindi con una deprivazione binoculare. Metodo 2 gattini, dal momento in cui iniziano ad aprire gli occhi (dopo circa una settimana di vita), vengono deprivati binocularmente per una settimana e poi testati • La deprivazione avviene con lenti translucide che fanno passare poca luce diffusa 1 gattino ha normale esperienza visiva e funziona da controllo. Risultati A due settimane di vita, dopo una settimana di deprivazione binoculare, i neuroni di V1 tendono a rispondere in modo debole alla luce. Gli stimoli devono essere separati da alcuni minuti per poter evocare risposte significative - Questi effetti di affaticamento non sembrano riguardare il NGL (Nello studio precedente avevamo già visto che la deprivazione non comporta alterazioni funzionali significative) A parte lentezza e debolezza delle risposte, le proprietà funzionali dei campi recettivi dei neuroni in V1 sembrano normali, come quelli osservati nell’animale adulto. - Selettività per l’orientamento, movimento, ecc. Normali interazioni binoculari con preferenza oculare differenziata da neurone a neurone. I risultati dimostrano che la complessità della fisiologia (organizzazione del campo recettivo, interazione binoculare, selettività della risposta) che si riscontra nella corteccia del gatto adulto è presente già alla nascita e non richiede esperienza visiva. → la deprivazione binoculare rende meno efficiente il sistema ma non cambia le sue proprietà di risposta. Quindi anche il normale sviluppo delle connessioni tra retine, NGL, corteccia non richiede esperienza visiva → questo risultato sarà importante per interpretare i dati derivanti dalla deprivazione monoculare in corteccia. 3° lavoro: Risposta di singole cellule nella corteccia striata di gattini deprivati ad un solo occhio UN SOLO OCCHIO → Nel primo lavoro della serie dimostrano che la deprivazione monoculare produce atrofia nei neuroni del NGL. Il presente lavoro estende l’indagine fisiologica e morfologica, dopo deprivazione monoculare, allo stadio successivo di analisi visiva, V1. Nella corteccia striata dove la maggior parte dei neuroni hanno campi recettivi binoculari, l’effetto della deprivazione monoculare dovrebbe riflettersi in un cambio della risposta binoculare. Distribuzione preferenza oculare nel gattino deprivato binocularmente alla nascita Distribuzione preferenza oculare nel gatto adulto 21 4° lavoro: Comparazione degli effetti della deprivazione monoculare e binoculare nei gattini Nel quarto lavoro della serie vengono comparati gli effetti della deprivazione monoculare con quelli della deprivazione binoculare. Dai lavori precedenti è emerso che la deprivazione monoculare precoce causa notevoli cambiamenti nel sistema visivo, mentre una breve deprivazione binoculare non produce grossi danni. Nella deprivazione monoculare, quando l’attività del NGL e della corteccia è registrata 3 mesi dopo la chiusura delle palpebre, quello che si osserva è una marcata riduzione dei neuroni che in V1 rispondono all’occhio deprivato. Nel NGL le cellule rispondono perlopiù normalmente sia all’occhio deprivato sia a quello rimasto aperto, anche se è presente una marcata atrofia per quelle che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Abbiamo visto che una deprivazione monoculare è la condizione che crea maggiori problemi nel sistema visivo, mentre quella binoculare non sembrava sortire particolari effetti. Ma è proprio vero che una deprivazione binoculare non porta a nessun danno per i neuroni di V1? Cosa succede se la deprivazione binoculare è sostenuta? Metodo - Soggetti: 7 gattini - Durata della deprivazione: circa 4 mesi → nello studio precedente era di una settimana - Inizio deprivazione: una settimana circa dopo la nascita - Tipo di deprivazione: monoculare in 2 animali, binoculare in 5 animali - Sito di registrazione: V1 Risultati della deprivazione monoculare prolungata Confermano quelli del lavoro precedente: in V1, dove la maggior parte dei neuroni risponde binocularmente, i neuroni rispondono solo all’occhio aperto. Sono quasi assenti neuroni che rispondono all’occhio deprivato. La morfologia dei neuroni è però normale. Risultati della deprivazione binoculare prolungata Quasi la metà delle cellule studiate rispondeva in modo normale. Tuttavia, la corteccia non era normale, in quanto il rimanente 50% delle cellule rispondeva in modo anomalo e presentavano campi recettivi mal definiti, senza specificità di risposta per l’orientamento. Una piccola percentuale non rispondeva affatto. Risultati da 126 cellule di 4 animali → danni sostanziali anche con deprivazione binoculare. La normale distribuzione gaussiana sulla binocularità viene persa, questi neuroni cominciano ad essere monoculari => Mancando per 4 mesi di fila attività visiva normale, molti neuroni perdono caratteristica di binocularità. Risultati istologici nel NGL Il livello del NGL si conferma che gli strati con afferenze dall’occhio deprivato mostrano neuroni atrofici. Lo stesso grado di atrofia si manifesta anche nel caso di deprivazione binoculare sostenuta, la quale produce quindi atrofia in tutti gli strati di entrambi i NGL. Effetti comportamentali Quando uno dei due occhi viene aperto, dopo 4 mesi di deprivazione binoculare, non emersero indicazioni che il gatto vedesse dall’occhio, né seguisse oggetti in movimento che gli venivano presentati 4 mesi di deprivazione binoculare avevano reso l’animale cieco. Quindi una deprivazione binoculare precoce e sostenuta crea danni anche in V1. 22 5° lavoro: Recupero dopo gli effetti di deprivazione visiva nei gattini Nell’ultimo lavoro della serie, gli autori indagano un altro aspetto della plasticità nel sistema visivo, e cioè la capacità di recupero dai deficit indotti dalla deprivazione visiva. Deficit: modo per mostrare l’estrema plasticità presente nel sistema nervoso di un animale in fase di sviluppo, soprattutto durante il periodo critico. Ma se il sistema è così plastico da subire alterazioni potenti, questa plasticità non può portare al recupero delle abilità perse? Fino a che punto posso contare su questa plasticità? Quanto è plastico e per quanto tempo è plastico il sistema? Il periodo critico cambia da specie a specie – dipende da dimensione e complessità del sistema nervoso. Gli effetti della deprivazione da luce per alcuni mesi portano a marcate anormalità nelle vie visive. La cecità è accompagnata da cambi morfologici nel NGL, e alla distruzione di connessioni con la corteccia visiva, che creano anormalità nella risposta binoculare dei neuroni. Questa forma di plasticità (maladattamento o adattamento disfunzionale) indotta dalla deprivazione sembra essere riscontrabile solo nei primi mesi di vita. Þ Un gatto adulto deprivato per lo stesso periodo di tempo non mostra alcun deficit Metodo - Soggetti: 7 gattini - Deprivazione: 3 mesi di deprivazione dalla nascita, 6 gatti monoculari e 1 binoculare - Recupero: periodo da 3 a 18 mesi o A 2 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso o A 4 dei monoculari viene aperto l’occhio che era chiuso, ma chiuso quello che era aperto o Al deprivato binocularmente viene riaperto uno dei due occhi Effetti comportamentali Ad un primo gatto è stato aperto l’occhio chiuso da 3 mesi, ed è stata testata la visione coprendo l’altro occhio: • Se testato subito sull’occhio chiuso l’animale risultava cieco • Testato dopo altri 3 mesi riusciva a seguire per qualche secondo gli oggetti, ma la visione non è mai tornata normale, sbattendo ancora contro oggetti piccoli (per esempio le gambe delle sedie) Ad un secondo gatto è stato aperto l’occhio chiuso da 3 mesi ed è stata testata la visione dopo 18 mesi, coprendo l’altro occhio: • Nessun miglioramento particolare rispetto al primo gatto • Il grado modesto di recupero era quello avvenuto nei primi 3 mesi dopo al riapertura dell’occhio Quindi anche allungando di oltre 15 mesi il potenziale periodo di recupero non si osserva nessun beneficio particolare. Ad altri 4 gatti durante il periodo di recupero è stato chiuso l’occhio che era rimasto aperto durante la deprivazione monoculare. Questo per verificare se il recupero potesse essere indotto forzando l’animale ad usare l’occhio prima deprivato. Anche dopo 18 mesi il recupero era molto modesto. - Un gatto che era il leader del gruppo diventò sottomesso quando fu costretto ad usare l’occhio deprivato Gli stessi effetti osservati nel gatto con deprivazione binoculare. Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione monoculare 23 - In 3 animali, dopo 3 mesi di chiusura dell’occhio destro, questo fu aperto e fu chiuso il sinistro per altri 3 mesi - Dopo questi 3 mesi la registrazione mostra che i neuroni rispondono ancora solo all’occhio sinistro (inizialmente non deprivato) o La deprivazione durante il periodo iniziale sembra essere cruciale → I neuroni continuano a rispondere all’occhio rimasto aperto dopo 3 mesi. Risposta dei neuroni in V1: recupero dopo deprivazione binoculare Nel gatto che aveva subito deprivazione binoculare per 3 mesi è stato riaperto l’occhio destro. Dopo 18 mesi è stata registrata l’attività dei neuroni in V1. - La distribuzione della dominanza oculare non era particolarmente alterata, come ci si poteva aspettare da una deprivazione binoculare iniziale - Nei neuroni che rispondevano – circa la metà – si sono osservate risposte anomale, soprattutto in quelli che rispondevano all’occhio riaperto Morfologia dei neuroni del NGL L’iniziale deprivazione monoculare per 3 mesi ha causato la nota atrofia delle cellule del NGL che ricevono afferenze dall’occhio chiuso. Anche dopo 18 mesi dalla riapertura dell’occhio inizialmente chiuso non si è osservato nessun recupero dell’atrofia indotta della deprivazione iniziale. Si conferma che il periodo iniziale è cruciale nell’indurre una modifica morfologica, che non pare essere poi recuperabile. Conclusioni generali Nella serie di lavori Hubel & Wiesel hanno dimostrato una forma di plasticità del sistema visivo Attraverso la deprivazione monoculare e binoculare hanno messo in luce come esista un periodo critico, che nei gatti corrisponde alle prime settimane di vita, durante il quale il sistema visivo può essere fortemente modificato a livello funzionale, morfologico e strutturale (uomo = due anni circa) La deprivazione monoculare induce: • Atrofia nei neuroni del NGL che ricevono afferenze dall’occhio deprivato, ma modesti cambiamenti funzionali • Pochi cambiamenti morfologici ma sostanziali cambiamenti funzionali nelle proprietà di risposta dei neuroni in V1. I neuroni rispondono solo all’occhio non deprivato • La deprivazione monoculare sembra indurre deficit maggiori di quella binoculare • Se la deprivazione dura più di 3 mesi non è possibile nessun recupero funzionale e morfologico • I deficit prodotti dalla deprivazione monoculare non sono dovuti al mancato normale sviluppo, quando ad una distruzione di connessioni esistenti già alla nascita Ulteriori evidenze circa la presenza del periodo critico Grado di recupero dopo deprivazione monoculare → Blakemore e Van Sluyters 26 L’apprendimento non sembra specifico per l’orientamento dello stimolo, poiché è mantenuto anche quando viene ruotato lo stimolo (new target). Compito di discriminazione (“Era sopra o sotto?”): l’aumento di visibilità è reale perché si accompagna anche ad un aumento di d’ nel compito di discriminazione (sopra vs. sotto) d’ = 0 → il soggetto non vede niente; con un po’ di allenamento, a livello inconscio poteva aver imparato qualcosa. Posso insegnare a neuroni a vedere qualcosa che prima non vedevano. Li posso allenare a diventare più/meno dominanti, a ridurre il livello di ambliopia. ESPERIMENTO 2 Scopo del secondo esperimento è verificare se l’effetto del training è monoculare. La fase di training è uguale a quella dell’esperimento 1, ma nel test vengono invertiti gli occhi in cui appaiono target e maschera. Se il training è binoculare (avvenuto in neuroni binoculari), quando inverto la maschera non cambia niente – trovo il vantaggio. Se invece è monoculare, quando inverto l’occhio a cui presento lo stimolo il miglioramento viene perso. Risultati Compito di rilevazione: con la pratica aumenta la capacità di vedere il target. Aumentano i breakthrough → l’apprendimento è specifico per l’occhio allenamento e viene perso completamente se si cambia l’occhio Conclusioni - È possibile migliorare la visibilità dall’occhio svantaggiato attraverso il training - L’apprendimento avviene a livello di neuroni monoculari - La plasticità dimostrata è ottenibile con un numero relativamente basso di allenamento - Possibili indicazioni per paradigmi di recupero di deficit indotti da ambliopia Il ruolo dell’ambiente nella plasticità Negli stessi anni in cui Hubel e Wiesel conducevano i loro lavori sulla corteccia del gatto, si stava sviluppando un’altra importante linea di ricerca sulla plasticità corticale Rosenzweig è stato l’esponente di spicco di questa linea di ricerca che ha indagato l’effetto della complessità dell’ambiente nel quale viene cresciuto l’animale, sulla sua organizzazione corticale (=> voleva vedere se l’esperienza prolungata in ambienti impoveriti producesse delle alterazioni rispetto ad ambienti più ricchi). Gli esperimenti di Rosenzweig 3 gruppi di ratti appena nati, ognuno dei quali era sottoposto ad un tipo diverso di ambiente (gabbia) nel quale vivere: - Ambiente Impoverito = un animale da solo - Ambiente Standard = 3 ratti con cibo e acqua - Ambiente Arricchito = 10 ratti con cibo, acqua e oggetti nella gabbia Gli esperimenti dimostrarono che lo sviluppo cerebrale dipende non solo dal corredo genetico, ma anche dall’interazione con l’ambiente: • Lo sviluppo del ratto in un ambiente arricchito, in cui poteva avere molteplici interazioni (motorie, sociali e cognitive) con vari aspetti dell’ambiente, induceva attraverso una ramificazione una maggior crescita delle spine dendritiche dei neuroni → un animale in situazione ottimale ha uno sviluppo cerebrale e fisico ottimale • Questo ha portato ad un maggior spessore della corteccia, ed in particolare dei lobi frontali 27 Cervello e ambiente arricchito • Studi più recenti hanno confermato i risultati degli esperimenti originali di Rosenzweig e collaboratori • È stato inoltre dimostrato che lo sviluppo in un ambiente arricchito induce anche un aumento del numero di neuroni nell’ippocampo → l’esperienza sensoriale ridotta (non attraverso deprivazione di un recettore/organo di senso ma nel modo in cui l’animale fa un’esperienza sensoriale) si traduce in una riduzione dello spessore della corteccia E i bambini che vivono in ambienti deprivanti? Un neonato tenuto in un ambiente impoverito molto probabilmente svilupperà un sistema nervoso più debole rispetto ad un neonato che ha avuto un’esperienza ottimale. (3) Remapping corticale da deafferentazione Gli studi di Hubel e Wiesel hanno dimostrato la presenza di un periodo critico post- natale durante il quale il sistema visivo mostra un elevato grado di plasticità a seguito di deprivazione sensoriale. • Oltre tale periodo critico, i deficit prodotti dalla deprivazione non possono più essere recuperati, ma nemmeno indotti o La plasticità della corteccia visiva pareva quindi ristretta nel periodo critico Lo studio della plasticità corticale è stato successivamente rivolto anche agli effetti della riduzione o eliminazione dell’input sensoriale in aree corticali diverse da quella visiva. Una delle prime dimostrazioni della plasticità corticale nell’età adulta ha riguardato il sistema somatosensoriale dei primati (scimmie adulte). Michael Merzenich: pioniere di questo tipo di studi sulla plasticità della corteccia somatosensoriale nei primati non umani. Assieme ai suoi collaboratori ha condotto una serie di studi nei quali ha testato la riorganizzazione delle aree corticali di rappresentazione della mano (aree di Brodmann 3b e 1), a seguito di deafferentazione dell’input cutaneo tramite taglio del nervo mediano. Lo studio è stato guidato da una serie di domande: • Quali conseguenze si osservano nella corteccia somatosensoriale a seguito di un danno ai nervi periferici? • I settori corticali delle aree 3b e 1 che non ricevono più input sensoriale rimangono silenti o iniziano a rispondere ad input da altre regioni cutanee? o In altre parole: a seguito di denervazione i settori corticali che si rappresentano la parte di cute denervata continuano a rappresentarsi tale distretto corporeo o sono riutilizzati da altri input sensoriali? Gli esperimenti di Merzenich (fine anni 80): - Soggetti: scimmie adulte - Tecnica: registrazione, tramite microelettrodi, della risposta corticale (aree 3b e 1 della corteccia somatosensoriale) alla stimolazione cutanea di varie parti della mano - Sezione del nervo mediano della mano → c’è una riorganizzazione Il nervo mediano nelle scimmie innerva la parte palmare della mano che va dal pollice a metà del dito medio. Rappresentazione corticale della mano nella corteccia SI (aree 3b a 1) nella scimmia. Mappatura dello spazio cutaneo molto dettagliata per la mano (in entrambe le aree). 28 Così come c’è una mappatura dello spazio esterno nella modalità visiva, c’è una mappatura dello spazio cutaneo sulle mani. Rappresentazione corticale della mano nella corteccia (aree 3b e 1) nella scimmia dopo sezione del nervo cutaneo: 3b e 1: porzioni di queste aree rispondono a stimolazioni della cute innervata dal nervo mediano → dopo la sezione del nervo mediano tutta la corteccia 3b e 1 risponde solo alle parti della mano che continua a ricevere afferenze dai nervi non tagliati/intatti (ulnare e radiale Questa parte del cervello “ha deciso” di mappare un’altra parte dello spazio cutaneo I neuroni si sono connessi e riorganizzati → si formano connessioni ex-novo? Difficile. Evidenze da un altro studio di Merzenich I risultati mostrano che l’area corticale che riceve afferenze dall’area della mano denervata non continua a rappresentarsi la stessa porzione della mano. L’area viene reclutata dall’input proveniente dalle zone della cute adiacenti rimaste innervate: - Si osserva un’espansione dell’area corticale che risponde sia al nervo radiale, sia a quello ulnare, a scapito di quella che prima rispondeva al nervo mediano - Dopo qualche mese dalla lesione, l’occupazione è completa e non rimangono aree corticali silenti che si rappresentano zone della mano denervate Dinamicità delle mappe corticali I risultati dei lavori di Merzenich dimostrano che anche nei soggetti adulti le mappe corticali non sono statiche, ma dinamiche. La rappresentazione corticale di una certa superficie corporea non è fissa, e le aree coinvolte possono essere dedicate ad altri segnali se queste smettono di essere stimolate dall’input sensoriale Questo suggerisce che nella corteccia sensoriale normale sono in atto processi di competizione tra input sensoriali. Le rappresentazioni corticali dei distretti corporei hanno mappe non statiche, ma che sono mantenute stabili da processi competitivi tra i vari input sensoriali. Continua competizione: i neuroni dopo la lesione rispondono alla parte della mano innervata dal nervo intatto. Dopo aver visto gli studi sulla plasticità corticale indotta da deafferentazione nel sistema somatosensoriale di primati adulti passiamo a studi analoghi nel sistema visivo. Rappresentazione corticale della mano (aree 3b e 1) nella scimmia 31 “Rapid Reorganization of Cort ical Maps in Adult Cats Fol lowing Restr icted Deafferentation in Retina” Un successivo lavoro di Chino et al. (1992) indaga ulteriormente i meccanismi corticali che consentono la riorganizzazione nel sistema visivo a seguito di lesioni retiniche. Chino et al. Vogliono verificare se sia possibile osservare riorganizzazioni corticali in tempi rapidi dopo la lesione periferica. Se le evidenze fossero positive questo suggerirebbe che anche il sistema visivo, come quello somatosensoriale, presenta un elevato grado di plasticità in tempi brevi anche nell’animale adulto. Procedura: - Lesione della retina di un occhio - Misura dello scotoma a livello corticale - Enucleazione dell’occhio sano - Nuova misura dello scotoma corticale per valutare possibile riorganizzazione o Condizione immediata o Condizione ritardata (dopo due mesi) o 2 condizioni per vedere se il sistema riesce a riorganizzarsi Risultati prima dell’enucleazione La topografia corticale risulta normale quando mappata attraverso l’occhio sano. Quando viene testato l’occhio lesionato, emerge una zona corticale (corrispondente a quella retinica) in cui i neuroni non rispondono → Non ci sono più neuroni in corteccia che rispondono a quella parte di campo visivo, perché ho lesionato la parte corrispondente della retina. Risultati gruppo immediato Campi recettivi per l’occhio lesionato, prima e subito dopo l’enucleazione di quello sano. Appaiono nuovi campi recettivi attorno all’area lesionata. Si noti che subito dopo l’enucleazione dell’occhio sano, la comparsa di nuovi campi recettivi attorno all’area lesionata. Questi sono i campi recettivi di quei neuroni che prima mappavano l’area lesionata. I neuroni spostano il loro campo recettivo solo dopo la rimozione dell’occhio sano. I nuovi campi recettivi hanno proprietà di risposta normali, per quanto riguarda la selettività all’orientamento, al contrasto e alle frequenze spaziali. I neuroni che non rispondevano perché mappavano l’area lesionata spostano i campi recettivi verso zone retiniche intatte. I risultati del gruppo immediato dimostrano che ina lesione bilaterale (locale in un occhio + enucleazione altro occhio sano) è necessaria per indurre una rapida riorganizzazione topografica della corteccia. Ma l’enucleazione dell’occhio sano è proprio necessaria per la riorganizzazione corticale? Si avrebbe lo stesso riorganizzazione lasciando molto più tempo per il recupero? Risultati gruppo ritardato - A quattro gatti vengono lasciati due mesi per recuperare dalla lesione, senza enucleazione dell’occhio sano 32 - Vengono testati, poi si procede all’enucleazione - Vengono quindi ritestati subito dopo (B) Dopo 2 mesi in cui l’occhio sano è rimasto attivo, non compare alcun campo recettivo attorno alla zona lesionata. Non è avvenuta riorganizzazione della topografia corticale (no riorganizzazione campo recettivo). I neuroni che vedono la porzione lesionata la vedono solo monocularmente. Quindi devono procedere con l’enucleazione. (C) Appena tolgono l’occhio sano, i neuroni si spostano nelle zone adiacenti del campo recettivo → ha luogo immediatamente la riorganizzazione corticale con lo spostamento dei campi recettivi in zone limitrofe alla lesione. Prima non l’hanno fatto perché accettavano l’input dall’altro occhio. Conclusioni I risultati indicano che solo poche ore dopo la lesione retinica che depriva una parte della corteccia di input sensoriale si può osservare una profonda riorganizzazione corticale della zona deprivata. Perché questa riorganizzazione avvenga è necessaria una deprivazione binoculare, locale (occhio lesionato) e totale (occhio enucleato). La rapidità della riorganizzazione suggerisce l’esistenza di connessioni pre- esistenti, normalmente silenti a causa di meccanismi competitivi. I risultati suggeriscono che l’organizzazione e l’architettura della corteccia visiva non è rigida ma plastica, mostrando la capacità di riorganizzarsi a seguito di modifiche dell’input sensoriale. - I meccanismi che consentono la riorganizzazione della porzione corticale che riguarda le afferenze di un occhio possono essere bloccati dall’attività dell’altro occhio o Quando questa rimane normale (4) Remapping corticale da stimolazione Gli studi di Merzenich e collaboratori hanno messo in luce gli effetti di una deprivazione sensoriale (denervazione di una mano) sull’organizzazione della corteccia somatosensoriale La parte della corteccia che si rappresentava l’area deafferentata sposta i suoi campi recettivi verso distretti cutanei sani e adiacenti a quelli lesionati Un meccanismo analogo è emerso anche nella modalità visiva, sia dagli studi di Kaas sia da quelli di Chino Nel loro insieme, gli studi sulla deafferentazione portano ad una conclusione univoca: Le rappresentazioni corticali del corpo o del campo visivo si riorganizzano in seguito a modifiche nel pattern di stimolazione sensoriale A seguito della riorganizzazione non rimangono parti della corteccia silenti perché non più stimolate dall’input periferico La parte della corteccia corrispondente all’area lesionata sposta i propri campi recettivi verso porzioni dello spazio adiacenti Nel valutare il grado ed i meccanismi della plasticità corticale, possiamo chiederci se analoghe modifiche corticali possano essere prodotte anche da una iperstimolazione dei recettori, non solo dalla loro lesione o disconnessione (A) Prima dell’enucleazione rispondono alla zona scomatosa, perché ricevono afferenze dall’occhio sano. 33 “Riorganizzazione funzionale della corteccia somatosensoriale primaria nelle scimmie adulte dopo stimolazione tattile” Uno dei primi studi che ha controllato gli effetti della stimolazione tattile sulla riorganizzazione della corteccia somatosensoriale è stato condotto da Jenkins e collaboratori (1990) I ricercatori partono da una considerazione importante: gli studi sulla deprivazione dimostrano che l’organizzazione corticale è uso-dipendente. Se i neuroni sono ipostimolati a causa di deprivazione sensoriale la corteccia si riorganizza → È possibile quindi immaginare che anche una differenza nell’uso, dovuta a iperstimolazione, possa produrre alterazioni corticali? Jenkins e coll. verificano quest’ipotesi testando gli effetti di un allenamento tattile sulla corteccia somatosensoriale (area 3b) della scimmia adulta - La stimolazione è ristretta ad una porzione limitata delle dita della mano - 6 scimmie adulte - Viene esposta la corteccia 3b e vengono impiantati gli elettrodi per mappare la mano Jenkins et al. 1990: apparato sperimentale e compito tattile: Il compito della scimmia era quello di toccare per circa 15 secondi il disco in rotazione senza bloccarlo. Se lo faceva la scimmia riceveva un reward che consisteva in cibo Il disco, che ruotava ad una frequenza di 1Hz, aveva settori con due diverse superfici L’animale eseguiva correttamente il compito ed in media otteneva circa 600 pellet in 24Hr. 109 giorni di allenamento. Risultati → Allargamento della rappresentazione corticale dei settori delle dita stimolate L’allargamento dipende dalla quantità di stimolazione: la falange 2D (100%) era sempre stimolata a contatto con il disco. La falange 3D solo il 50% delle volte. La falange 4D meno del 20% Non solo osservo un incremento che dipende dal fatto che le falangi siano state stimolate, ma ho anche un dato a mio favore: quantità di aumento dipende da quantità di esperienza sensoriale. L’incremento dell’area dipende dall’uso ed è reversibile se l’uso viene sospeso. Quando la fase di iperstimolazione finisce, la quantità di neuroni diminuisce: quei neuroni saranno tornati a rappresentarsi le altre parti delle falangi. 36 • L’analisi della dimensione delle rappresentazioni corticali del dito stimolato non ha messo in luce alcuna differenza tra le varie condizioni • È stata però condotta un’analisi più precisa confrontando le varie condizioni solo in merito all’area del dito specificatamente stimolata o Si sono quindi confrontate le rappresentazioni corticali facendo riferimento allo specifico punto stimolato sul dito Rappresentazioni specifiche del punto stimolato: condizione attiva Quando il confronto riguarda solo lo specifico punto di stimolazione attiva, ed un punto analogo nel dito adiacente non stimolato, allora emerge un chiaro incremento dell’area corticale indotto dalla stimolazione attiva. Rappresentazioni specifiche del punto stimolato: condizione passiva Non c’è differenza → se non c’è attenzione, la stimolazione di quella porzione di dito non provoca un aumento. Se la stimolazione è passiva NON emerge NESSUN incremento dell’area corticale quando confrontata con il dito adiacente L’attenzione funziona come regolatore della plasticità corticale. È coerente con ciò che hanno detto H&W? Quando i neuroni diventano monoculari, è evidente che il gattino prestava attenzione alle info provenienti da quell’occhio → manipolazione sì dell’info proveniente dall’occhio, ma anche dell’attenzione. Conclusioni I risultati del lavoro di Recanzone e collaboratori confermano quelli dello studio precedente dei Jenkins Si dimostra che la rappresentazione corticale somatosensoriale può essere modificata dalla stimolazione sensoriale, ma solo per lo specifico sito di stimolazione - Si dimostra inoltre che non basta che tale stimolazione avvenga passivamente, ma deve essere una stimolazione rilevante per l’animale - L’attenzione gioca quindi un ruolo cruciale nel modulare la plasticità corticale Abbiamo visto che lesioni periferiche (nervi della mano o porzioni della retina) inducono una riorganizzazione topografica della corteccia, sia somatosensoriale (SI) che visiva (V1) → Merzenich et al. (1983); Kaas et al. (1990) Esistono inoltre evidenze che la corteccia somatosensoriale si riorganizza anche a seguito di una iperstimolazione attiva di alcuni distretti corporei → Jenkins et al. (1990); Recanzone et al. (1992) Come si comporta la corteccia uditiva? Esistono evidenze che anche la corteccia uditiva si riorganizza tonotopicamente a seguito di lesioni cocleare specifiche che impediscono la percezione di certe frequenze (Robertson & Irvine, 1989) Þ In uno studio del 1993 Recanzone e collaboratori dimostrano un’analoga riorganizzazione tonotopica a seguito di un training su di una specifica frequenza. “Plasticità nella rappresentazione della frequenza nella corteccia uditiva primaria” – Recanzone et al. 1993 • Soggetti: scimmie adulte • Allenate per vari giorni a distinguere stimoli di una certa frequenza target • Alla fine del training registrazione da A1 (corteccia uditiva primaria) 37 • Confronto dell’ampiezza della zona di corteccia che si rappresenta la frequenza stimolata tra scimmie allenate e non allenate Risultati 1. Psicofisica → l’allenamento produce un miglioramento della prestazione discriminativa che si traduce in una riduzione della differenza di frequenza tra target e non target Differenziare target vs. non target: all’inizio alla scimmia serviva uno stimolo di 900 Hz; poi man mano che si allena bastano 100 Hz Concetto di soglia: hanno variato gli stimoli ma hanno tenuto la prestazione costante 2. Mapping corticale → in parallelo al miglioramento di prestazione, l’allenamento induce una espansione dell’area corticale che si rappresenta la frequenza allenata, ma non se presentata passivamente Due modi per migliorare il (AUDIO) Gli studi appena visti dimostrano che un allenamento percettivo, che porta ad una migliore discriminazione, si accompagna ad una espansione corticale dell’area coinvolta (almeno nella modalità tattile e uditiva) Tuttavia non è ovvio se la relazione vale anche in senso opposto, cioè se un incremento dell’area corticale coinvolta si accompagni sempre ad un aumento della capacità discriminativa. Posso indurre, senza fare training, riorganizzazione corticale e osservare che essa ha prodotto gli stessi effetti che avrebbe fatto il training? - Alcuni studi hanno non hanno trovato tale relazione o Aumento area tramite microstimolazione Una possibilità è che la differenza stia nel meccanismo che determina l’aumento dell’espansione corticale. Se l’espansione corticale è ottenuta tramite attività, ho aumento della prestazione. Altrimenti no. → Il problema viene affrontato in uno studio di Thomas e collaboratori, nel quale si vuole vedere se un aumento dell’area corticale tramite esposizione a rumore bianco passivo si traduce in un aumento di prestazione “Modifying the adult rat tonotopic map with sound exposure produces frequency discrimination deficits that are recovered with training” - Thomas et al. Metodo Soggetti: 6 gruppi di ratti (3,5-6 mesi) • 3 gruppi UnTrained (UT) 1. 1 gruppo 3 settimane in ambiente standard (Naive UT) 2. 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 7KHz (7KHz UT) 3. 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 15KHz (15KHz UT) • 3 gruppi Trained (T) 1. 1 gruppo 3 settimane in ambiente standard + 10 settimane di training a 7KHz (Naive T) 2. 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 7KHz + 10 settimane di training a 7KHz (7KHz T) 3. 1 gruppo esposto passivamente a 2 settimane di WN + 1 settimana a tono di 15KHz + 3 settimane di training con toni leggermente diversi o uguali a 7KHz Il training • Tono target presentato nel 20% dei trial • Nel restante 80% è un tono diverso • Se è presente target il ratto deve inserire il naso in una apertura per ricevere il reward 38 o Target presente e inserimento: HIT o Target presente e non inserimento: MISS o Tono diverso e inserimento: FA o Tono diverso e non inserimento: CR • Analisi della prestazione con d’ → sensibilità a sentire la presenza del segnale, a prescindere dal fatto che i ratti vogliano ricevere il reward Posso applicare la teoria della detezione del segnale: uno è il segnale, l’altro è il rumore. Il rumore è tutto ciò che non è il segnale. Schema stimolazione gruppi a 7KHz Dopo la fase di esposizione passiva e dopo la fase di training (per i gruppi allenati) si registrava dalla corteccia uditiva primaria → Mappatura della risposta a varie frequenze: da 0,75KHz a 70KHz Risultati La semplice esposizione passiva al tono di 7KHz induce un’espansione dell’area corticale che rappresenta tale frequenza. Ma l’esposizione passiva al tono di 7KHz riduce l’effetto del training discriminativo. L’esposizione passiva al tono di 7KHz aumenta l’area dedicata, ma riduce PL (C rispetto ad A) → Un aumento analogo si osserva anche come risultato di puro PL (B) • B rispetto ad A, simile a C • Quindi le due espansioni non sono qualitativamente equivalenti Se NON ci si allena NON c’è miglioramento della prestazione, anche se c’è espansione dell’area corticale. Conclusioni Anche la corteccia uditiva mostra la capacità di riorganizzarsi non solo a seguito di lesioni ma anche in risposta ad un allenamento specifico (per una certa frequenza) Un aumento della corteccia non è però una plasticità che si traduce automaticamente in un vantaggio percettivo Anche la stimolazione passiva induce remapping, che però interferisce con la capacità discriminativa, che richiede invece training per migliorare Inoltre, a conferma di quanto emerso nel lavoro di Recanzone et al. (1992), i risultati dimostrano ancora una volta il ruolo cruciale dell’attenzione nel regolare la plasticità corticale Un aumento di corteccia dovuto a training comporta anche aumento di prestazione. Un aumento di corteccia dovuto a stimolazione passiva non comporta un aumento di prestazione. Lo stesso stimolo se è un elemento rilevante ha una rappresentazione, se invece non è rilevante ha un’altra rappresentazione. 41 → Le evidenze di plasticità corticale che abbiamo sinora visto riguardano insiemi o popolazioni di neuroni (parti della corteccia) che vengono dedicate all’analisi di altri input sensoriali nel caso di deprivazioni, o che vengono reclutate nell’analisi di input sensoriali particolarmente rilevanti a seguito di allenamento specifico. Anche quando i neuroni spostano i loro campi recettivi a seguito di lesioni retiniche, come nel caso dei lavori di Kaas e Chino, le proprietà di risposta dei campi recettivi rimangono normali ed inalterate. – Stessa sensibilità all’orientamento, frequenze, contrasto, etc. Maggior o minor quantità di corteccia, monoculare o binoculare, ma tutte le altre proprietà rimangono inalterate. • È possibile però che la plasticità del sistema nervoso sia tale da consentire modifiche anche della proprietà di base dei campi recettivi dei neuroni? Spostare la zona dello spazio = spostare la zona del campo recettivo. Ma un neurone che codifica linee verticali, può essere modificato in modo che risponda solo alle linee orizzontali? • Queste sono caratteristiche definite geneticamente che vengono consolidate durante il normale sviluppo (deprivazione esclusa). Possono essere modificate? SÌ Plasticità dei campi recettivi Definizione di campo recettivo: parametri dello stimolo sensoriale in grado di alterare l’attività fisiologica della cellula, tipicamente la sua probabilità di risposta Parametri che definiscono il campo recettivo: • Posizione • Colore • Orientamento • Direzione di Movimento • Contrasto • Frequenza (spaziale/acustica), ecc. Plasticità e apprendimento Plasticità e apprendimento sono due concetti e fenomeni intimamente connessi: - Da un lato possiamo vedere la plasticità, almeno in alcune sue forme, come un modo in cui il cervello apprende a rispondere a nuove condizioni di stimolazione - Dall’altro è evidente che l’apprendimento necessariamente richiede alcune modifiche del cervello, e quindi un certo grado di plasticità In ultima analisi qualsiasi forma di apprendimento deve trovare una spiegazione a livello neurale → qualsiasi forma di apprendimento (non a breve termine, perché non serve modifica strutturale) deve portare a modifica delle connessioni sinaptiche È quindi necessario ipotizzare un qualche meccanismo che consenta l’apprendimento, e la plasticità, a livello del comportamento dei singoli neuroni. Una riposta a questo problema è stata data da Donald Hebb nel 1949 con la sua teoria sull’apprendimento. La teoria di Hebb per l’apprendimento La teoria Hebbiana (1949) spiega come avverrebbe l’apprendimento (associativo) a livello neurale. Descrive i meccanismi della «plasticità sinaptica», che stanno alla base dell’apprendimento. La plasticità sinaptica è un processo per mezzo del quale un incremento dell’efficacia sinaptica è prodotto dalla persistente e ripetuta stimolazione del neurone post- sinaptico da parte dei quello pre-sinaptico. La regola di Hebb (1949) 42 Qualsiasi coppia di cellule o sistema di cellule che sono ripetutamente attive allo stesso momento tendono a diventare «associate», così che l’attività di una facilita l’attività dell’altra. Quando una cellula interviene ripetutamente nell’indurre la scarica in un’altra, l’assone della prima cellula sviluppa bottoni sinaptici (o ingrandisce quelli che ha già) in contatto con la seconda cellula. La regola di Hebb può essere quindi riassunta nel seguente enunciato: «Cellule che scaricano assieme tendono ad essere collegate assieme» Meccanismo di temporizzazione tra l’attività di diversi neuroni fa sì che essi si leghino assieme. Connessioni sinaptiche che si rafforzano o che vengono perdute (oblio). Sulla base dei meccanismi di plasticità sinaptica teorizzati da Hebb, lo studio di Frègnac et al. (1988) indaga la plasticità dei campi recettivi dei neuroni → non più come risponde la corteccia nel suo insieme – plasticità corticale, ma posso indurre plasticità nel singolo neurone? “A cellular analogue of visual cortical plasticity” - Soggetti: gattini e gatti adulti - Metodo: procedura di accoppiamento tra stimolo e risposta modulata da iontoforesi Iontoforesi: tecnica attraverso la quale viene modulata la risposta fisiologica della cellula ad uno stimolo. Consiste nell’inviare una scarica elettrica ad un neurone simulando la depolarizzazione. La modulazione avviene attraverso la somministrazione al neurone di correnti positive o negative, così che posso favorire o sfavorire la risposta che arriva dal neurone presinaptico → spingo il neurone a rispondere o a non rispondere sulla base dell’impulso elettrico che do al neurone – insegno al neurone che cosa deve rispondere ad uno stimolo al quale prima non rispondeva - attraverso le correnti positive (potenzio la risposta) o negative (la indebolisco). Stimoli e condizioni sperimentali • Stimoli: vengono presentati uno stimolo S+ ed uno S- in grado di evocare una risposta ottimale o meno nella cellula per quanto riguarda dominanza oculare e orientamento o S+ evoca risposta ottimale – facilitazione o S- evoca risposta non ottimale • Controllo: Presentazione di S+ e S- senza iontoforesi • Pseudo Pairing (o pseudo condizionamento): Presentazione di S+ e S- senza relazione con iontoforesi; presento la scarica elettrica e lo stimolo, ma a volte c’è la scarica senza lo stimolo o lo stimolo senza la scarica • Pairing (condizionamento): Presentazione sistematica di S+ seguito da corrente negativa e S- seguito da corrente positiva; sistematicamente lo stimolo è seguito da corrente → se non sono accoppiati, non c’è modo di imparare che ad un certo stimolo si deve rispondere in un certo modo Due neuroni si connettono ad un terzo neurone 43 → 50 sequenze di S+ e S- per ogni condizione: • Uno stimolo evocava una risposta maggiore dall’occhio destro ed era verticale, mentre l’altro evocava una risposta maggiore dall’occhio sinistro ed era orizzontale Risultati → Effetti dell’iontoforesi sulla risposta di dominanza oculare di un neurone monoculare sinistro A livello di singolo neurone, hanno insegnato a rispondere all’occhio al quale non rispondeva: apprendimento tramite cambiamento delle proprietà di risposta → hanno cambiato la proprietà di selettività all’orientamento → Effetti dell’iontoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento: neurone “verticale” → Effetti dell’iontoforesi sulla risposta di preferenza all’orientamento Hanno insegnato alla cellula a rispondere ad uno stimolo diverso alla quale doveva rispondere: è temporaneo? Sì – dopo un po’ la preferenza sparisce Discussione La tecnica utilizzata ha consentito di cambiare le proprietà del campo recettivo dei neuroni, modificando sia la loro dominanza oculare sia la selettività per l’orientamento → si potrebbe cambiare anche la prorietà di risposta al colore delle cellule (in V4). Gli effetti più forti di questa plasticità neurale sono stati dimostrati nei gattini durante il periodo critico (sistema plastico, reagisce meglio a queste modifiche). Tuttavia effetti analoghi anche se minori sono stati osservati anche nei gatti adulti La plasticità si osserva anche a livello del campo recettivo del neurone – non solo in termini di maggiore o minore quantità di neuroni implicati in un compito e non solo in termini di monocularità o binocularità. La modifica è probabilmente dovuta ad un meccanismo di plasticità sinaptica che si basa sulla correlazione temporale di risposta pre e post sinaptica, qui modulata attraverso iontoforesi I dati sono compatibili con la teoria di Hebb sull’apprendimento e la plasticità sinaptica. Devo cercare di indurre un’attività in questa condizione: si insegna al neurone a rispondere all’occhio a cui non rispondeva → hanno trasformato un neurone che rispondeva ad un solo occhio in uno binoculare 46 Per tentare di dare delle risposte a queste e altre domande restringeremo il nostro interesse al Perceptual Learning nella modalità visiva (vale anche per le altre modalità sensoriali). Due studi importanti che negli anni 80 del secolo scorso hanno indagato alcuni aspetti del PL: – Fiorentini & Berardi (1981) – Ball & Sekuler (1987) Questi studi sono tra i primi che hanno dimostrato la specificità del PL in riferimento alle caratteristiche dello stimolo sul quale viene fatto un compito di discriminazione → dimostrano cioè che l’allenamento che viene fatto è molto specifico Senza tecniche di neuro-immagine, ma solo sulla base delle conoscenze dell’organizzazione del sistema visivo, questi due studi cercano anche di dare una risposta sulle possibili basi neurali del PL studiato: “Learning in grating waveform discrimination: specificity for orientation and spatial frequency” – Fiorentini e Berardi 1981 → Hanno scoperto che l’apprendimento è specifico per orientamento e frequenza spaziale Gli autori studiano il PL per stimoli che consistono in 2 grating (grate) semplici oppure di 4 grating complessi (hanno più frequenze spaziali (alte/basse) mischiate assieme). Nello spazio varia la luminosità: chiaro/scuro. Nello specifico, lo scopo del lavoro è valutare gli effetti dell’allenamento sull’abilità di discriminare tra i vari stimoli, e vedere se l’abilità acquisita... o viene mantenuta nel tempo o si traferisce tra stimoli diversi Metodo Stimoli: 4 differenti grating complessi di differente forma d’onda oppure 2 semplici. Stimoli: • 4 differenti grating complessi di differente forma d’onda • 2 grating sinusoidali semplici con differente frequenza spaziale (7% di differenza) • Gli stimoli sono visti binocularmente in tutti gli esperimenti, tranne che nell’esperimento sul trasferimento interoculare Procedura La discriminazione dei vari grating, semplici o complessi, si basa su un compito a scelta forzata a 2 intervalli (2AF) → presento prima lo stimolo, poi lo tolgo e presento il secondo. Posso chiedere: “Quale delle due immagini aveva la frequenza più alta?” – discriminazione dei grating Nel compito con i grating complessi c’è un grating di riferimento a, che viene presentato con il grating b, c, oppure d → Ogni grating presentato per 100ms. ISI = 500ms • I due grating sono presentati in due intervalli separati, in ordine casuale • Il primo grating è presentato con un suono • Il soggetto riporta se il grating a è presente nel primo (con suono) o secondo intervallo • La stessa procedura è usata per studiare la discriminazione dei grating semplici con diverse frequenze spaziali • Il grating di riferimento ha una frequenza spaziale pari a 10Hz. Il grating test pari al 7 % in più. Nelle prime 3 sessioni sperimentali ogni soggetto è testato con gli stimoli complessi verticali, oppure con gli stimoli semplici con una certa frequenza spaziale di riferimento (10 Hz). → Questo per valutare gli effetti dell’apprendimento e del suo mantenimento nel tempo 47 Nelle successive sessioni sperimentali i grating complessi vengono presentati ruotati di 90°, cioè orizzontali. Quelli semplici con una nuova frequenza di riferimento più alta (stessa differenza ma spostata su altre freq.) → Questo per valutare il grado di trasferimento del PL da un set di stimoli ad un altro con altri parametri (orientamento oppure frequenza) - Numero di prove: da 100 a 500 per sessione Soggetti 10 soggetti; - 5 soggetti esperti di esperimenti di psicofisica - 5 soggetti naive Negli esperimenti è necessario ridurre la variabilità: 10 soggetti sono pochi, quindi vengono fatti tantissimi trial per ogni soggetto (approccio tipico della psicofisica) → molti studi di PL si basano su questo approccio. Con tante osservazioni si eliminano anche le fluttuazioni dovute al caso. Risultati: apprendimento del compito Il Perceptual Learning emerge con l’allenamento: I risultati mostrano un chiaro effetto dell’apprendimento. I soggetti diventano sempre più bravi nel discriminare gli stimoli, in tutti e 3 gli accoppiamenti. Per ogni tipo di accoppiamento c’è apprendimento. Si mostra quindi PL. Scala da 50 a 100 di accuratezza: discriminare tra 2 stimoli → non più basso di 50 Risultati: mantenimento del compito Il PL si mantiene ed aumenta tra le sessioni: Il PL si mantiene di sessione in sessione nei vari giorni. Ad ogni nuovo giorno il livello di AC parte da un valore sempre più elevato. Un soggetto è stato testato a 6 settimane di distanza e il PL era parzialmente conservato. I neuroni si creeranno un modello dello stimolo (rilevante). Risultati: PL specifico per orientamento/caratteristiche dello stimolo Il PL è specifico per le caratteristiche dello stimolo Risultati: grado di specificità per orientamento Il PL si mantiene di sessione in sessione nei vari giorni. Ad ogni nuovo giorno il livello di AC parte da un valore sempre più elevato. Un soggetto è stato testato a 6 settimane di distanza e il PL era parzialmente conservato Quando dopo aver appreso la discriminazione di forma d’onda con gli stimoli verticali si passa a quelli orizzontali la prestazione riparte dal valore inziale. Non c’è trasferimento del PL, che si dimostra specifico per la caratteristica dello stimolo. Apprendimento è avvenuto in neuroni selettivi per l’orientamento → sono neuroni che stanno imparando la frequenza spaziale, ma solo per un certo orientamento. 48 Il PL ha una certa tolleranza per l’orientamento: Il PL si dimostra specifico per l’orientamento dello stimolo anche quando la caratteristica appresa è la forma d’onda. Esiste trasferimento sino ad una rotazione di 30°. A 45° il PL non si trasferisce più. Grado di specificità per frequenza spaziale Il PL è specifico per la frequenza spaziale allenata: Più aumento la frequenza spaziale (lontana da quella del training), più ho la possibilità di perdere una parte dell’allenamento. Specificità per posizione spaziale Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per posizione dello stimolo, o se si trasferisce nelle varie parti del campo visivo, alcuni soggetti sono stati allenati in due differenti parti del campo visivo. → non viene ruotato, né cambia la frequenza spaziale: cambia soltanto la porzione di campo visivo. Tutto ciò che si impara nella fase 1, viene perso: apprendimento che avviene in V1, perché se fosse in corteccia infero-temporale non cambierebbe nulla. Risultati: grado di specificità per posizione spaziale Il PL si dimostra specifico per la posizione del campo visivo nella quale è avvenuta la stimolazione sensoriale • Cambiando la posizione dello stimolo il PL deve ricominciare: V1 → caratteristica dei neuroni in corteccia visiva primaria => campo recettivo piccolo, non codificano tutto il campo visivo Specificità oculare Per valutare se l’apprendimento percettivo sia specifico per l’occhio allenato, prima hanno allenato i soggetti a fare il compito con visione monoculare sinistra. Poi hanno iniziato l’allenamento in visione monoculare destra. In V1 ci sono neuroni sia monoculari che binoculari. L’apprendimento avviene principalmente nei monoculari o binoculari? (chiusura occhio, manipolazione come negli esperimenti di H&W) Risultati: specificità oculare I risultati hanno mostrato trasferimento completo dell’allenamento da un occhio all’altro. – Questo indica che le basi neurali dell’apprendimento di questo tipo compito sono localizzabili ad uno stadio di convergenza delle informazioni tra i due occhi → neuroni binoculari Il primo stadio di convergenza sono i neuroni binoculari di V1 (lo strato sopragranulare → apprendimento che sicuramente non avviene nello strato 4, dove i neuroni sono monoculari). Es. studi sulla planaria (tagliando l’animale in 2, la testa che ricresceva manteneva l’apprendimento/anche quando degli animali venivano frullati e dati da mangiare ai conspecifici, questi dimostravano apprendimento) → apprendimento trasmesso grazie all’RNA presente nell’animale → scoperta che mette in dubbio i meccanismi della memoria Conclusioni Il PL di stimoli come quelli usati nel presente studio risulta specifico per: • Posizione spaziale • Orientamento oltre i 30° 51 ESPERIMENTO 5: specificità emisferica Uguale all’Esperimento 2 con le seguenti modifiche - Test e training solo sull’occhio destro - Rispetto al punto di fissazione viene presentato il movimento nell’emicampo destro (emiretina nasale destra → emisfero sinistro) oppure sinistro (emiretina temporale destra -> emisfero destro) - Test su due direzioni: 90° o 180° - Training solo su una direzione e un emisfero Risultati L’obiettivo è verificare se il PL per la direzione allenata in un emisfero trasferisce anche all’altro emisfero. I risultati dimostrano che quando il test viene fatto sullo stesso emisfero del training (condizione SAME) si osserva PL. Il PL però NON trasferisce dall’emisfero allenato a quello non allenato, e quindi il test nell’emisfero diverso (condizione DIFFERENT) non mostra segni di apprendimento. “Where practice makes perfect in texture discrimination: Evidence for primary visual cortex plasticity” - Karni e Sagi (1991) → Cercano di determinare quale sia il livello neurale a cui avviene il PL nei compiti di discriminazione di tessitura (= background formato da una serie di elementi). L’interesse di partenza era quello di valutare se e che tipo di apprendimento è possibile osservare in un compito di segregazione figura-sfondo (“texture segregation” → figura che si segrega dallo sfondo a causa di una tessitura con orientamento diverso; si percepisce un bordo illusorio che non c’è). Quest’analisi: prima analisi che fa il sistema visivo → segregazione di un oggetto da un altro Þ Texture segregation o Processo automatico e pre-attentivo (avviene prima dell’intervento dell’attenzione) o Si ritiene avvenga a livelli precoci dell’elaborazione visiva (V1-V2 → V1 crea bordi illusori) È possibile migliorare le proprie prestazioni in compiti di texture segregation, che coinvolgono stati così precoci di elaborazione dell’informazione? o In pratica ci si chiede se analisi così precoci siano permeabili all’effetto dell’allenamento o se siano invece processi automatici e obbligatori fissi. o Processi automatici = fissi; se c’è uno stadio d’analisi così automatico e precoce, posso trovare effetti di miglioramento delle capacità discriminative anche quando queste avvengono a stadi precoci? Gli autori sono inoltre interessati a valutare la specificità di questo tipo di apprendimento, in termini di: - Orientamento - Posizione spaziale (retinotopia) - Monocularità Metodo Partecipanti: 5 soggetti inesperti (naive) ed uno degli autori Procedura - I soggetti venivano sottoposti a sessioni di 16-20 blocchi di 50 prove ciascuno (circa 1000 prove a sessione) → approccio psicofisico - Le sessioni venivano svolte a distanza di 1-2 giorni Metodo 52 Stimoli: usano la tecnica del masking per ridurre la visibilità dello stimolo e rendere il compito impegnativo. In centro c’è uno stimolo particolare: la lettera T. La prima schermata dura molto poco e subito dopo viene mostrata una maschera, che fa sparire la tessitura. →Tecnica per ridurre il tempo di visibilità dello stimolo. Compito: dire se la zona che è segregata, segrega un oggetto orizzontale o verticale. Come controllare che la fissazione venga mantenuta? Con un eye-tracker => dispositivo che controlla in che direzione guarda l’occhio. Importanza del punto di fissazione → La T è così piccola che non si vede; la si vede soltanto se la si guarda direttamente. L’immagine viene mostrata pochissimo, il tempo minimo per fare un movimento saccadico. Per compiere un movimento saccadico (saccade) ci vogliono circa 200ms – dopo l’occhio inizia a muoversi. In questo modo i ricercatori potevano essere certi che il soggetto stesse guardando in un punto ben preciso. Procedura: Immagine-stimolo presentata per 10ms. L’immagine entra nel sistema visivo e partono dei sistemi di memoria che mantiene l’immagine per un tempo più lungo. Il mascheramento è una tecnica per garantire che l’immagine duri il tempo che desidero. Dopo lo stimolo di 10ms fanno passare del tempo (variabile) e poi distruggono quest’immagine con la maschera. Se l’intervallo tra stimolo e maschera fosse 0, il cervello avrebbe 10ms per analizzare la maschera. Se allungassi l’ISI (Inter-Stimulus Interval), il cervello avrebbe più tempo per analizzare la maschera. La variabile indipendente scelta per misurare il grado di apprendimento era il tempo trascorso tra lo stimolo e la maschera (SOA = Stimulus Onset Asynchrony = asincronia tra l’accensione degli stimoli. Asincronia perché il primo stimolo si accende prima dell’altro: dice quanto tempo passa tra l’accensione di uno stimolo e dell’altro. Minore è il SOA, minore è la visibilità dello stimolo; maggiore è il SOA, maggiore è la visibilità). SOA = ISI + durata dello stimolo Þ Nei paradigmi di mascheramento temporale, minore è l’intervallo tra lo stimolo e la maschera, minore è la visibilità dello stimolo! - Nella prima sessione veniva scelto un SOA abbastanza lungo (250-300 ms) di modo da rendere il compito piuttosto facile (95% di risposte corrette). 53 - Ad ogni sessione l’SOA veniva ridotto di 20 ms ogni 150-200 prove: rendono il compito via via più difficile → IDEA = rendo progressivamente sempre più difficile il compito e vedo se mantengono l’accuratezza. Se c’è apprendimento, migliorano. - Nelle sessioni successive il valore SOA di partenza era il valore SOA più basso della sessione precedente a cui i soggetti rispondevano correttamente il 95% delle volte o In questo modo era possibile stimare una funzione psicometrica calcolata sulla percentuale di risposte corrette ad ogni livello di SOA testato L’apprendimento veniva misurato come la variazione, ad ogni sessione, del valore di SOA per cui i soggetti rispondevano correttamente nell’80% delle prove. Se c’è apprendimento, ieri avevo bisogno di un SOA di 200ms per la stessa prestazione, oggi mi basta 100 e domani basterà 50 → stessa prestazione con un tempo sempre più breve di esposizione: significa che c’è apprendimento. Risultati L’intervallo SOA richiesto per eseguire il compito all’80% di risposte corrette era più che dimezzato con la pratica (ogni curva rappresenta una prestazione; i primi giorni sembrano salti enormi, poi si allargano sempre di più → le curve si schiacciano sempre di più quando raggiungo il limite). Giorno dopo giorno il soggetto vede sempre meglio – lo capisco perché ha la stessa prestazione per intervalli sempre più bassi (primo giorno: 100 ms, ultimo giorno: meno di 40ms). Non si può partire subito da una condizione troppo difficile, perché il soggetto non vedrebbe nulla (più accorcio il tempo, meno bene vede il soggetto). L’apprendimento mostrava un andamento rapido nelle prime sessioni e lento verso la fine, raggiungendo un livello stabile dopo 5-10 sessioni. L’apprendimento non trasferisce per posizioni diverse da quelle allenate → questo apprendimento è specifico per posizione (specificità spaziale). Se veniva riproposto lo stesso compito dopo il training a soli 3 gradi di distanza dalla posizione addestrata, le prestazioni tornavano pari a quelle di partenza ed il compito doveva completamente essere “ri-appreso”. Erano necessarie ancora 5-10 sessioni per arrivare ad un miglioramento simile a quello della serie iniziale. Specificità Una volta raggiunto l’asintoto per ogni soggetto (massimo livello di apprendimento) gli autori testarono il grado di specificità di tale apprendimento per mezzo di alcuni cambiamenti sulle proprietà dello stimolo. Specificità per orientamento I partecipanti venivano testati nuovamente utilizzando orientamenti ortogonali delle linee target. La prestazione rimaneva uguale → Veniva appreso l’orientamento della configurazione, non l’orientamento delle linee che la formano. Target presentati con orientamento verticale, aumentando il gradiente assoluto tra foreground e background da 45 a 90° → prestazione con le linee orientate a 90° rispetto allo sfondo mostra un miglioramento, perché? Perché lo rendo più visibile. Specificità per orientamento dello sfondo 56 Conclusioni - L’apprendimento percettivo legato alla pratica porta ad un significativo aumento della capacità di discriminare orientamenti - Date le caratteristiche di questa forma di apprendimento, è possibile assumere che i suoi correlati neurali siano situati a livelli precoci delle aree visive - Uno dei risultati importanti è l’elevata specificità retinica del PL in questo tipo di compito - Il miglioramento non avviene nella sessione di training ma tra sessioni diverse in giorni diversi o Necessità fase di consolidamento notturno (non sempre necessario) o In realtà spesso si osserva miglioramento anche all’interno della stessa sessione § Forse dipende dal compito discriminativo usato ATTENZIONE E APPRENDIMENTO PERCETTIVO (11) Abbiamo visto che l’apprendimento è specifico per le caratteristiche dello stimolo allenato (p.e. posizione retinica, orientamento). Queste specificità dell’apprendimento percettivo sono importanti perché suggeriscono che il meccanismo di apprendimento interessa stati precoci dell’elaborazione dell’input visivo in cui informazioni (come orientamento o posizione retinica) sono segregate. → A questo punto possiamo porci alcune domande importanti: - Come viene controllato il processo di apprendimento percettivo? - Apprendiamo tutto ciò a cui siamo esposti in modo indiscriminato? Si tratta di un processo completamente «bottom-up» (automatico)? Senza controllo o supervisione? O c’è un controllo «top-down»? - Come facciamo a selezionare ciò che è importante? Quali sono i fattori che regolano la plasticità corticale indicando quali informazioni sono rilevanti e quali no? - L’apprendimento sembra avvenire ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. Quanto è forte l’impatto dell’attenzione a questo livello? Può modulare il PL? “Improvement in line orientation discrimination is retinally local but dependent on cognitive set” – Schiu & Pashler È uno dei primi che ci dice che il PL non è semplicemente un processo bottom-up; l’attenzione ha un ruolo come regolatore dell’apprendimento. Se prestare attenzione ad uno stimolo nel suo complesso è sufficiente ad indurre apprendimento, allora la caratteristica specifica su cui ci si allena dovrebbe essere irrilevante. Ci potrebbe essere un miglioramento della prestazione nella posizione allenata indipendentemente dal compito fatto sullo stimolo. Esperimenti 1 e 2: vogliono dimostrare specificità e ruolo del feedback I lavori precedenti avevano dimostrato che il PL era specifico per: • Direzione di movimento (Ball & Sekuler, 1987) • Frequenza spaziale (Fiorentini & Berardi, 1981) • Orientamento della tessitura (Karni & Sagi, 1991) • Posizione spaziale (Vogel & Orban, 1985) Gli autori vogliono quindi confermare che il PL è specifico per la posizione retinica, orientamento dello stimolo e verificare se è influenzato dal feedback. Esperimento 1: metodo generale Stimoli: - Linee inclinate a 7° o 9.8° - Linee presentate in due posizioni retiniche opposte Due tipi di compito: 57 1. Discriminazione («uguale» o «diverso»?) 2. Identificazione (7° o 9.8°?) → Una sessione di training, 12 blocchi di allenamento - Training in una posizione per i primi 9 blocchi - Test in un’altra posizione per gli ultimi 3 blocchi → Manipolazione del feedback (tre gruppi di partecipanti) - Un gruppo: feedback ad ogni prova (gli viene detto subito se la risposta è giusta o sbagliata) - Un gruppo: feedback solo a fine blocco (% risposte corrette → prestazione nelle prove) - Un gruppo: mai nessun feedback NB. il feedback potrebbe aiutare a migliorare, ma non è sempre necessario per apprendere. “Supervised- learning”: quando si dà il feedback vs. “Unsupervised-learning” Risultati Specificità per posizione spaziale - La prestazione peggiora in modo significativo quando le linee vengono presentate in una nuova posizione (emicampo opposto o diverso quadrante) - Si dimostra quindi specificità per la posizione allenata: quando cambio la posizione, la prestazione decade. Il feedback inoltre ha un ruolo. Dare un feedback trial per trial e darlo alla fine del trial sembra funzionare allo stesso modo, ed è strano. Nel primo caso si insegna qual è la risposta giusta e quale quella sbagliata. Ma nel caso del feedback a fine trial? Apprendimento non è visibile in assenza di feedback - Tuttavia il learning sembra essere latente perché si osserva una caduta della prestazione nella posizione non allenata Esperimento 2: metodo Uguale ad esperimento 1 con le seguenti modifiche: - Feedback sempre assente - Training distribuito in diverse giornate o 8 sessioni di training per partecipante 1 o 5 sessioni +2 di test per partecipanti 2 e 3 Il test può riguardare: - Lo stimolo nella direzione e posizione allenata - Lo stimolo allenato in una posizione nuova - Lo stimolo nuovo nella posizione allenata Risultati Miglioramento delle prestazioni visibile anche in assenza di feedback - un risultato non in linea con quanto emerso nel primo esperimento. Osservo specificità per posizione spaziale e orientamento → La prestazione peggiora in modo significativo quando le linee vengono presentate in una nuova posizione, o quando viene testato un nuovo orientamento. Il fatto che presti attenzione in un punto non fa sì che io migliori a prescindere dal tipo di stimolo che verrà presentato → l’attenzione regola quale caratteristica dello stimolo viene appresa. Nel successivo esperimento i ricercatori si chiedono quale sia il ruolo dell’attenzione nel PL. Alcuni lavori precedenti avevano già messo in luce che l’attenzione è importante per il PL, ma non è chiaro quanto sia specifico il suo effetto - Uno stimolo può avere più caratteristiche che lo definiscono – inclusa la posizione. 2 1 58 o Quindi basta che l’attenzione sia diretta allo stimolo per avere PL, o il PL è selettivo per la caratteristica dello stimolo attesa? o Ipotesi: Attenzione diretta su una specifica caratteristica dello stimolo. Quindi quanto è selettivo il ruolo dell’attenzione nei compiti di apprendimento selettivo? Esperimento 3: metodo Stimoli: definiti da 2 caratteristiche, orientamento e luminosità - Inclinazione: 7° o 9.8° - luminosità: 48 o 21 cd/m2 (candele su m2) - Orientamento e luminosità variati in modo ortogonale (indipendenti) Compito: discriminazione («stessa luminosità» o «diversa luminosità»?) - Test iniziale su discriminazione orientamento 5 sessioni di training su discriminazione della luminosità - Test finale su discriminazione orientamento - Feedback sempre assente Previsioni in merito all’effetto sull’orientamento Si aspettano di trovare due possibilità: ipotesi 1: allenamento su luminosità non ha effetto su discriminazione orientamento (apprendimento regolato dall’attenzione, potrebbero quindi non imparare niente) ipotesi 2: anche se si presta attenzione alla luminosità è sufficiente per indurre PL di tutto lo stimolo, e quindi anche sull’orientamento (ma miglioramento solo nella posizione allenata). Risultati Non c’è differenza significativa tra pre-test e post-test nel compito di orientamento nè per coloro che si sono allentati con compito facile né difficile. Sembrano andare nella direzione di una non-selettività dell’effetto del training della luminosità sull’orientamento; invece, non è cosi: non basta essere esposti ad una linea inclinata per imparare meglio a discriminare l’orientamento di quella linea → dipende a cosa presto attenzione. Il miglioramento non è maggiore nella posizione allenata rispetto a quella non allenata, e quindi non dipende dall’allenamento. Questo significa che senza attenzione alla specifica caratteristica non c’è PL. L’attenzione quindi è un regolatore della plasticità: ho imparato solo quella caratteristica sulla quale ho prestato attenzione. Essere esposti passivamente ad una stimolazione di solito non produce grandi benefici. Conclusioni Il miglioramento è specifico per posizione retinica e orientamento dello stimolo. Può avvenire anche in assenza di feedback durante l’apprendimento → «unsupervised learning mechanism» L’apprendimento non ha bisogno di feedback ma richiede l’attenzione sulla caratteristica che rilevante per il compito. “Attentional control of early perceptual learning” – Ahissar e Hochstein 1993 Diversi studi hanno mostrato che l’apprendimento percettivo è altamente specifico per le caratteristiche dello stimolo usato durante l’allenamento, e questo fa supporre che l’apprendimento avvenga ad un livello precoce dell’analisi dell’informazione visiva. 61 L’apprendimento interessa quindi solo quei neuroni che sono attivati dalle caratteristiche dello stimolo (specificità), e che, allo stesso tempo, sono rilevanti per svolgere il compito. “Motion perceptual learning: When only task-relevant information is learned” – Huang, Lu, Tjan, Zhou e Liu 2007 Lo scopo di questo esperimento è studiare se è possibile apprendere delle caratteristiche soprasoglia di uno stimolo quando queste non sono rilevanti durante la fase di allenamento. In questo studio, diversamente da quelli precedenti, il PL riguarda la percezione del movimento. Stimoli: → Compito di detezione del movimento: scelta forzata a due intervalli – c’è o non c’è il movimento (movimento nel primo o secondo intervallo?) → Compito di discriminazione del movimento: direzione oraria o antioraria rispetto a direzione di riferimento? Si noti che la direzione di movimento è una caratteristica rilevante solo per i partecipanti a cui era stato assegnato il compito corrispondente. Attraverso i punti degli stimoli si può produrre una percezione di movimento (più o meno semplice, in base a quanti stimoli si muovono). Metodo 1. Sessione di familiarizzazione 2. Stima delle curve psicometriche per entrambi i compiti per ciascun partecipante 3. Training con compito di discriminazione oppure di detezione 4. Stima delle curve psicometriche (come al punto 2) (1) Sessione di familiarizzazione - Orientamento di riferimento: 45° o 135° - Compito detezione: o Direzione ± 8° dalla direzione di riferimento (primo o secondo intervallo?) o % di coerenza fissa (50%) - Compito discriminazione: o Direzione ± 40° dalla direzione di riferimento o % di coerenza fissa (50%) - Feedback ad ogni trial - Ripetuto fino al raggiungimento di accuratezza del 95% (2) Stima delle curve psicometriche per ciascun partecipante - Orientamento di riferimento: 45° o 135° - Compito detezione: o % coerenza testate: 5%, 10%, 15%, 20%, 30%, 40% o Direzione ± 8° dalla direzione di riferimento - Compito discriminazione: o % coerenza che garantisce 95% di accuratezza in detezione o Direzioni testate: ±3°, ±5°, ±8°, ±11°, ±15°, ±30°. - No feedback - La stima delle curve psicometriche viene ripetuta dopo l’allenamento (3) Training con compito di discriminazione o detezione - Compito detezione: 62 o 10 partecipanti o % Coerenza iniziale: 40%, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette - Compito discriminazione: o 9 partecipanti o Direzione iniziale: ±20° dalla direzione di riferimento, poi adattata in modo da mantenere l’80% di risposte corrette Training per 8 o 15 giorni - Feedback ad ogni prova Risultati soglia complessiva Tutti i partecipanti migliorano in seguito al training, sia nel compito di detezione che in quello di discriminazione. Per ogni partecipante, tranne rare eccezioni, la prestazione post-training si abbassa – si abbassa la soglia: ho bisogno di meno punti coerenti per ottenere la stessa percentuale di risposte giuste. Entrambi i compiti sono soggetti ad apprendimento percettivo. Risultati funzioni psicometriche Conclusioni Apprendimento di discriminazione si trasferisce a detezione, ma non viceversa. La direzione del movimento, che non era rilevante per il compito, non fa parte delle informazioni che vengono apprese nel compito di detezione, e quindi non trasferisce al compito di discriminazione. Viceversa il compito di discriminazione richiede sempre anche di rilevare la presenza del movimento (detezione) e quindi l’allenamento trasferisce al compito di detezione. Conclusioni generali: • I risultati di questi studi suggeriscono che l’attenzione sia un meccanismo fondamentale per il controllo dell’apprendimento percettivo. • Perché ci sia apprendimento non solo bisogna portare l’attenzione su uno stimolo, ma bisogna anche selezionare attivamente la caratteristica che si vuole apprendere. SPECIFICITÀ VS. TRASFERIMENTO (12) Abbiamo visto che esiste un notevole livello di specificità nell’apprendimento di semplici stimoli visivi: • Specificità per posizione • Specificità per orientamento • Specificità per frequenza spaziale • Specificità per direzione di movimento • Specificità per compito (globale vs. locale) Tanto più l’apprendimento è specifico, tanto meno generalizza. Quando parliamo di apprendimento, l’ideale sarebbe generalizzarlo ogni volta che vedo un certo stimolo, e non confinarlo a condizioni particolari. Ottengo la stessa percentuale di risposte giuste con meno coerenza. Il training fa si che serva sempre meno coerenza per discriminare il movimento. Se mi alleno sulla detezione, pur se sono esposto al movimento, questo non produce alcun miglioramento nel compito di discriminazione. Il contrario invece accade: se devo rilevare il segnale, non mi interessa discriminarlo. Se invece devo discriminarlo, devo anche rilevarlo. → effetto dell’attenzione 63 L’elevato livello di specificità è in parte un problema per il PL, perché lo rende limitato alle caratteristiche dello stimolo/compito usato durante l’allenamento. Una questione interessante è se questa specificità sia inevitabile, o se possa essere in qualche modo superata/attenuata. → È quindi possibile indurre una generalizzazione o trasferimento del PL? “Complete transfer of perceptual learning across retinal locations enabled by double training” – Xiao, Zhang, Wang, Stanley, Levi, Yu I ricercatori avrebbero dimostrato di poter trasferire l’apprendimento in modo completo attraverso una procedura da loro inventata. Come si può spiegare la specificità del PL? • La spiegazione tradizionale è che l’allenamento cambi qualche proprietà di risposta dei neuroni delle aree visive primarie • L’allenamento provocherebbe una regolazione della proprietà di risposta (tuning = “regolazione”) dei neuroni, in modo che diventino sempre più sensibili alla caratteristica allenata; con la tecnica del tuning faccio in modo che i neuroni si “settino” su una determinata caratteristica. PL come tuning in aree visive primarie Più mi allontano dall’orientamento preferenziale, meno è probabile che il neurone risponda. Ho dei neuroni che rispondono ottimamente ad una direzione, poi però rispondono anche ad altre. Che cosa farebbe l’allenamento? Stringerebbe le gaussiane: se mi alleno su un certo orientamento, i neuroni fanno tuning (riduzione della variabilità di risposta dei neuroni) – imparano a rispondere selettivamente per lo stimolo sul quale si sono allenati. Se riduco la variabilità, aumento la correttezza delle risposte. Una spiegazione alternativa... • Esiste un’altra spiegazione, che presuppone che il PL non dipenda da cambiamenti nelle proprietà di risposta dei neuroni nelle aree visive primarie • Il PL avviene perché cambiano le connessioni tra aree decisionali di alto livello e i neuroni sensoriali • Allenamento: insegno ad una corteccia superiore, cambio i collegamenti tra aree visive - re-weighting PL come tuning delle connessioni tra aree di alto livello e aree visive primarie • Nessun cambiamento nelle proprietà di risposta in V1 • Il PL dipenderebbe dal fatto che le aree decisionali si connettono meglio con i neuroni rilevanti per il compito, riducendo le connessioni con quelli meno rilevanti • Meccanismo di re-weighting (ripesaggio delle connessioni) → specifico per posizione allenata • L’unità decisionale per ottimizzare le connessioni deve essere quindi collegata con una certa area del campo visivo 66 Quali sono le condizioni necessarie perché si osservi trasferimento con la procedura di double training? - Che ruolo ha lo stimolo che produce double training? - Che ruolo ha l’attenzione? → Xiao et al. (2008) ipotizzano che il double training consenta il trasferimento perché l’attenzione in posizione 2 mette in collegamento questa posizione con l’unità decisionale, che poi può trasferire il compito appreso in posizione 1 Un lavoro di Mastropasqua et al. ha cercato di dare alcune risposte: “Local transfer of perceptual learning: Passive stimulation and double training” Esperimento 1 L’obiettivo è replicare la specificità spaziale del PL in un compito di discriminazione di orientamento di un gabor: • 800 trials per sessione giornaliera: in ogni trial veniva presentato un unico stimolo (gabor) in un angolo del monitor. Si chiedeva di rispondere se il gabor (100ms) fosse orientato sopra o sotto rispetto ad un’asse di inclinazione Risultati Si conferma la specificità spaziale del PL per quanto riguarda la discriminazione di orientamento. L’alfa si riduce dalla prima sessione alla quarta; quando, dopo le sessioni, si cambia gabor, i soggetti devono cominciare daccapo. Esperimento 2 • Il lavoro di Xiao et al. (2008) suggeriva che il trasferimento poteva avvenire perché il doppio compito portava l’attenzione nella seconda posizione, mettendola quindi in collegamento con l’unità decisionale → l’attenzione fungeva da mediatore • Nel lavoro di Xiao nella seconda posizione non c’era solo l’attenzione ma veniva svolto anche un compito • Si ottiene lo stesso transfer senza compito ma solo se viene portata l’attenzione? Basta l’attenzione? Paradigma In ogni prova il gabor nella posizione 1 era seguito da un onset nella posizione 2 che i soggetti dovevano osservare in maniera passiva → L’onset serviva per portare l’attenzione in posizione 2. Si portava l’attenzione nella posizione 1 per il compito, e nella posizione 2 soltanto perché compariva uno stimolo (che poi sarà il punto in cui compariva il gabor). Se l’attenzione da sola è sufficiente, quando poi il gabor compare nella posizione 2 dovrei osservare trasferimento dell’apprendimento. La risposta è NO: Risultati Solo l’attenzione nella posizione 2 non basta a favorire il trasferimento del PL dalla posizione 1 alla 2. Aver portato l’attenzione nel punto 2 non ha aiutato il trasferimento del learning. Perché? Abituazione: dopo un po’ che veniva presentato lo stimolo della posizione 2, avveniva abituazione (era uno stimolo irrilevante). Esperimento 3 • L’obiettivo è verificare/confermare che con un compito nella posizione 2 è possibile indurre trasferimento del PL dalla posizione 1 • Inoltre, diversamente da Xiao et al. (2008), in posizione 2 viene usato un compito (discriminazione X vs Y) con uno stimolo completamente diverso da quello usato per il PL in posizione 1 Paradigma • Posizione 1: orientamento gabor • Posizione 2: X oppure Y? Stimolo scollegato da quello con cui avviene il training 67 Risultati Si osserva completo trasferimento del PL dalla posizione 1 a 2, anche se il trasferimento avviene tra il gabor allenato in una posizione e l’altro stimolo allenato in un’altra. → C’è PL anche nella posizione 2 nel compito X/Y Il tipo di compito non c’entra. Però se invece contasse, ci si può aspettare che la probabilità di osservare trasferimento dipenda da quanto training si fa. Esperimento 4 Obiettivo: quanto è importante la quantità di allenamento nella posizione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? - Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) nella posizione 2 appare solo nel 20% delle prove - Nessun trasferimento! Se faccio poco training, non trasferisco. Serve un compito e serve farlo un certo numero di volte – non ne bastano poche. Esperimento 5 Obiettivo: è sufficiente la stimolazione passiva nella posizione 2 affinché trasferisca il PL dalla posizione 1? - Rispetto all’Esperimento 3 lo stimolo (X/Y) appare ma non è richiesto alcun compito - Nessun trasferimento! Conta fare il compito e conta anche l’allenamento in una nuova posizione per far sì che avvenga il trasferimento dell’apprendimento. Conclusioni Gli esperimenti di Xiao et al. (2008) e di Mastropasqua et al. (2015) suggeriscono quanto segue: • Il trasferimento del PL è possibile solo se nella seconda posizione si porta l’attenzione • L’attenzione da sola però non basta • Sembra sia necessario un compito nella seconda posizione • Il secondo compito può riguardare uno stimolo che non ha nulla in comune con quello allenato nella posizione 1, e per il quale si vuole indurre il trasferimento • La quantità di PL nella posizione 2 è critica per indurre il trasferimento del PL dalla posizione 1 Il ruolo del raggruppamento percettivo e dell’attenzione nel trasferimento del PL… “Perceptual grouping enhances visual plasticity” – Mastropasqua e Turatto 2015 Abbiamo visto che l’attenzione, se combinata ad un compito, può favorire il trasferimento del PL È noto anche che il raggruppamento percettivo influenza il modo in cui si distribuisce l’attenzione. Le cose del campo visivo che si somigliano tendono a raggrupparsi assieme. Compito: indicare qual è la lettera al centro (X). Se ho una lettera diversa, questo crea interferenza con la risposta. Si può variare il colore: trovo interferenza quando la lettera diversa ha lo stesso colore della lettera che devo identificare (anche se è lontana). È possibile usare il raggruppamento percettivo per indurre trasferimento del PL senza procedura di doppio compito? Esperimento 1 - 32 partecipanti (4 esclusi dalle analisi) - 5 sessioni sperimentali condotte in giorni 5 consecutivi • Training in ogni sessione 68 • Test alla prima e quinta sessione - Eye tracker per il controllo dei movimenti oculari - Fase di training • Perceptual grouping indotto attraverso il principio di similarità (Gestalt) • 1500 presentazioni per sessione, divise in 5 blocchi consecutivi • Compito: rilevare il gabor “attended” a basso contrasto (degli altri gabor, uno si raggruppa con lo stimolo principale in virtù del fatto che hanno lo stesso orientamento – fa grouping, mentre l’altro non lo fa, perché ha orientamento diverso) - Fase di test • 900 trial divisi in 3 blocchi consecutivi, ciascuno per ogni posizione • Task: discriminazione di orientamento grating (same vs. different) Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no- grouping. Meno è la differenza tra i gabor, più la prestazione peggiora o è bassa. Gabor non atteso, che però si raggruppa (stesso orientamento): non c’è differenza nella prestazione con quello atteso → il training ha trasferito nella posizione in cui i soggetti non hanno fatto il compito. Aspetti critici Non è certo che sia stato davvero il perceptual grouping a favorire una prestazione più alta nella posizione grouping rispetto a quella no-grouping. Infatti la prestazione migliore nella posizione grouping rispetto alla no-grouping potrebbe spiegarsi con il fatto che nella grouping il gabor aveva lo stesso orientamento di quello atteso durante la fase di training. Esperimento 2 - 38 partecipanti (6 esclusi dalle analisi) - Fase di training • Perceptual grouping indotto attraverso il principio della regione comune (Gestalt) • Il gabor della condizione grouping ha orientamento diverso da quello attended e uguale a quello no-grouping Risultati Nella prima sessione la prestazione (d’) non differisce tra le diverse posizioni; nell’ultima sessione le prestazioni nella posizione attesa e in quella grouping sono più alte della prestazione nella posizione no- grouping – totale trasferimento tra posizione attesa e grouping, ma non con quella che non si raggruppa. Ciò che ha prodotto il trasferimento è stato il raggruppamento percettivo. Conclusioni Il raggruppamento percettivo sembra essere un fattore importante nei meccanismi di apprendimento percettivo. Non è chiaro se il perceptual grouping agisca sul perceptual learning direttamente o attraverso l’attenzione. 71 La contiguità temporale tra CS e US Affinché avvenga condizionamento di norma CS precede US → forward conditioning: l’intervallo ottimale tra l’inizio di CS e US è solitamente inferiore ai 2 secondi Forward conditioning: trace e delay – Trace e Delay conditioning differiscono per il tipo di relazione temporale tra CS e US Condizionamento di secondo ordine Il meccanismo di apprendimento associativo può coinvolgere più di un CS. Overshadowing Non tutti gli stimoli hanno la stessa potenzialità di condizionamento: se presento due stimoli neutri contemporaneamente, può accadere che solo uno dei due vinca. L’organismo sceglie solo uno dei due stimoli, e l’altro viene messo in ombra. Generalizzazione della risposta condizionata La generalizzazione è il fatto che stimoli simili al CS sono in grado di evocare la medesima CR • Se CS è un tono 100Hz, anche uno di 98Hz evoca la CR • Quanto più lo stimolo è simile al CS tanto più è facile che evochi la CR. Quanto più è diverso tanto meno è probabile Estinzione della Risposta Condizionata Se si continua a presentare solo CS la CR verrà abolita. Due possibili meccanismi/spiegazioni: 1) Viene cancellata l’associazione CS → US: l’associazione CS-US viene cancellata 2) Viene appresa una nuova relazione CS → no US: l’animale apprende qualcos’altro, cioè la relazione tra CS e l’assenza di US. Recupero spontaneo della CR Una volta ottenuta l’estinzione di CR se si aspetta un po’ di tempo e poi si ripresenta CS, allora riappare CR - L’estinzione dopo recupero spontaneo è più rapida - Questo fatto suggerisce che durante l’estinzione non fosse cancellata la relazione CS → US; il recupero spontaneo mostra che la traccia di CS è rimasta → Che cosa causa il condizionamento classico secondo Pavlov? Il condizionamento avverrebbe perché US funziona come un rinforzo del legame associativo con CS. Gli stimoli incondizionati (US) funzionano da rinforzi: lo stimolo ha un valore primario, forte ed è ciò che lega/rinforza l’associazione tra CS e US stessi. Trace conditioning: si chiama così perché il CS lascia una traccia 72 - Più forte il legame più facilmente CS agirà come US e quindi attiverà CR (o UR) CS US L’accoppiamento CS → US, cioè la contiguità temporale tra i due eventi, sarebbe quindi sufficiente secondo Pavlov. Ma noi sappiamo che non è così, il secondo fattore che gioca un ruolo nel condizionamento è la contingenza: relazione probabilistica tra la presentazione di CS e quella di US. Ma accoppiamento e contiguità sono sufficienti? Negli anni 60 del secolo scorso alcuni lavori hanno cominciato a mettere in crisi l’idea che la semplice contiguità tra CS e US fosse sufficiente, dimostrando che il meccanismo che consente il condizionamento classico era più complesso. I lavori di Kamin e quelli di Rescorla. L’importanza della predittività di CS: il blocking (Kamin, 1968) Perché avviene il blocking? Dimostra che non è sufficiente l’accoppiamento tra CS e US per favorire il condizionamento. Prima condiziono uno stimolo neutro, lo faccio diventare CS; dopo aggiungo un secondo stimolo, che provo a condizionare. Scopro che A è sempre condizionato, mentre B no. Eppure è stato accoppiato con lo stimolo incondizionato. Perché? Lo stimolo B non produce condizionamento perché l’informazione che fornisce circa la probabilità di comparsa di US è già fornita dallo stimolo A (condizionato precedentemente). Quindi B non aggiunge nessuna nuova informazione al sistema cognitivo in merito a US, e pertanto la sua relazione con US non viene appresa perché irrilevante – l’animale ignora lo stimolo B. L’importanza della contingenza tra CS e US: il lavoro di Rescorla (1967) Nel suo lavoro Rescorla dimostra come la contiguità non sia sufficiente affinché si verifichi il condizionamento. Il fattore cruciale è invece la contingenza, cioè deve esistere una relazione predittiva tra CS e US. Il gruppo in cui il cibo appare senza la luce, lo stesso numero di volte in cui appare con la luce, non si mostra condizionamento, perché la luce non dice niente all’animale di quando apparirà il cibo. - Si osserva condizionamento solo quando la probabilità di comparsa di US è maggiore in presenza di CS che in sua assenza - Tradotto formalmente: p(US | CS) > p(US | no-CS) → la probabilità che ci sia US dato CS deve essere maggiore della probabilità di ottenere US quando CS non c’è. Quando la prima è maggiore significa che CS è predittore della comparsa di US. Più è alta, più è forte il condizionamento. Aspetti cognitivi nel condizionamento classico Gli esperimenti di Rescorla così come il fenomeno del blocking dimostrano che anche nel condizionamento classico sono in gioco fattori cognitivi. L’organismo deve poter crearsi un’aspettativa, quindi una credenza su uno stato del mondo nel formato “se... allora...” (se c’è CS, arriverà US). - Nello specifico l’aspettativa o credenza riguarda la relazione tra CS e US → CS come predittore di US. 73 - Solo in questo caso avviene il condizionamento - Non basta la semplice contiguità temporale Il condizionamento strumentale o Operante o del II tipo THORNDIKE: l’apprendimento è un processo incrementale che avviene per prove ed errori. “Si impara facendo e si dimentica non facendo”. - Misura quanto tempo impiega il gatto a trovare la soluzione per uscire dalla gabbia - Una volta uscito il gatto ottiene la ricompensa e viene rimesso nella gabbia per un’altra prova Thorndike scopre che il tempo impiegato dall’animale diminuisce gradualmente con l’aumentare delle prove Apprendimento per prove ed errori Il gatto è motivato a cercare una soluzione per uscire perché vede del cibo all’esterno e vuole raggiungerlo. Il comportamento è quindi emesso con un obiettivo. Il cibo agisce come un rinforzo, ma può diventare un incentivo, un motivatore all’azione. → Questo è un aspetto teorico importante che differenzia il lavoro di Thorndike da quello di Skinner • Le azioni sono inizialmente casuali ma guidate dalla motivazione • Alcuni comportamenti non portano a nessuna conseguenza piacevole e quindi non vengono rinforzati • La pressione della leva, all’inizio per puro caso, è invece seguita da un premio. o Questo aumenta la probabilità che sia ripetuta in seguito Imparare dalle proprie azioni Quello che dimostrano gli esperimenti di Thorndike è che l’individuo apprende per mezzo delle conseguenze delle proprie azioni. Così si sviluppano le abitudini. Thorndike scopre il principio di base del condizionamento strumentale o operante studiato poi estesamente sia da Konorski sia da Skinner. L’apprendimento avviene in base a rinforzi e punizioni. Azioni e conseguenze: quale relazione? Il condizionamento operante ha lo stesso schema del condizionamento classico, ma tra CS e US vi è la risposta deliberata dell’animale. Nei paradigmi di condizionamento operante c’è sempre un po’ di condizionamento classico. Il fatto che l’animale impari dalle conseguenze delle proprie azioni non implica necessariamente che esso “creda” che la sua risposta sia causa del risultato (outcome) che la segue. L’outcome rafforza lo schema stimolo-risposta. Semplicemente il premio potrebbe agire sull’associazione tra le due rappresentazioni attive, quella dello stimolo e quella della risposta, rinforzandone il legame. Il meccanismo iniziale di Thorndike non prevede necessariamente che l’animale conosca le conseguenze delle sue azioni (per es. non serve che sappia che premendo la leva riceve il cibo). Ma le conosce? Sì, l’animale sa che cosa accadrà se preme la leva. Vanno comunque differenziate azioni volontarie e automatiche. Molti comportamenti che sembrano volontari in realtà non lo sono. (es. se si mette del cibo davanti ad un animale, lui va verso di esso. È volontario? No, è in riflesso). Si può capire quando un comportamento è volontario e quando è automatico → si sa quando un ratto preme la leva perché vuole farlo. Il comportamentismo radicale di SKINNER L’approccio di Skinner allo studio del comportamento è chiamato comportamentismo radicale. → Radicale perché non viene riconosciuto a processi mentali un ruolo causale nel comportamento 76 → Non esiste una spiegazione univoca del PIT • Una possibilità è che il CS acquisisca un potere motivazionale (si veda dopo la teoria degli incentivi) che spinge l’animale a lavorare di più per il reward in sua presenza • Altra possibilità è che il CS, anticipando l’arrivo del US, renda più saliente la sua rappresentazione nella mente dell’animale, e che questo aumenti la disponibilità a lavorare per ottenerlo (la luce diventa il cibo) Dei CS possono generare motivazione e questo non era presente nella teoria di Pavlov. Conditioned place preference Altro paradigma, in esso il condizionamento (classico) viene usato per misurare gli effetti motivazionali di certi US. L’ambiente/il contesto può funzionare da CS. US viene presentato in un certo luogo o contesto e l’animale sviluppa una preferenza di approccio o fuga per quell’ambiente. Approccia il posto dove ha avuto l’esperienza piacevole = conditioning place preference = condizionare la preferenza per un posto dello spazio rispetto all’altro 77 (14) APPRENDIMENTO E MOTIVAZIONE La motivazione Partiamo con una semplice domanda: perché un animale si muove, o agisce? Per due ragioni principali: – O si muovono per un riflesso, oppure per uno scopo – I riflessi sono importanti, ma sono risposte stereotipate che non sono guidate da scopi e motivazioni La motivazione è uno stato mentale che spinge l’animale ad agire per raggiungere uno scopo. Le motivazioni principali nascono da esigenze fisiologiche: • La fame porta a desiderare il cibo e ad agire per ottenerlo • Il desiderio sessuale porta a cercare un partner Motivazione e dipendenza - Una persona che ha sviluppato una dipendenza mostra una grande motivazione all’uso di una certa sostanza È quindi importante avere un’idea di cosa significhi il termine motivazione, e quali siano i possibili meccanismi che generano una motivazione Una delle teorie più influenti sulla motivazione è stata proposta da Clark Hull (1943): Drive-reduction theory Drive-Reduction Theory: punti chiave Lo scopo di una pulsione (drive) psicologica è quello di ripristinare una condizione di omeostasi nell’organismo. La pulsione psicologica ad agire nasce da un bisogno fisiologico che deve essere soddisfatto. Esistono bisogni fisiologici innati: fame, sete, sesso, (riduzione del dolore) Le pulsioni innescano un comportamento mirato al ripristino dell’omeostasi → Ripristino equilibrio fisiologico e quindi riduzione della pulsione. La riduzione della pulsione funziona come un rinforzo per l’azione che ha portato a tale riduzione → Se dopo aver bevuto non ho più sete, lo stato di soddisfazione (essere dissetati) è un rinforzo per l’azione “bere” quando ho sete. Un concetto chiave della teoria di Hull è quello di omeostasi. - L’omeostasi è la tendenza a mantenere una condizione di equilibrio in un sistema. o Esistono vari sistemi omeostatici nel corpo: regolazione del glucosio, del sale, della concentrazione di CO2, etc. - Lo spostamento dall’omeostasi genera uno squilibrio fisiologico che si traduce in un bisogno, che genera a sua volta nell’organismo una pulsione (drive) a soddisfare tale bisogno. Nasce la motivazione. o Se si riduce il livello di glucosio nel sangue si sente fame, e quindi si è motivati a muoversi per cercare il cibo Squilibrio = Bisogno ÞPulsione = Motivazione 78 Il cibo è un rinforzo perché riduce la pulsione (riducendo lo stato di fame) → L’azione (pressione della leva) rinforzata è quella che ha portato alla riduzione della pulsione In realtà, l’azione rinforzata dal cibo è sia l’approccio sia il consumo del cibo stesso. → Il ratto vede il cibo, e lo approccia mangiandolo Drive-Reduction Theory: punti salienti - La motivazione nasce da uno squilibrio omeostatico - La motivazione ha lo scopo di ridurre la pulsione attraverso l’ottenimento di un reward - Il reward funziona come rinforzo riducendo la pulsione o Ne segue che riduce anche la motivazione - Dopo aver mangiato non siamo più motivati ad uscire per andare - Con il tempo si riproduce lo squilibrio omeostatico e quindi ricompare la motivazione che genera una pulsione a prendere una pizza. Prima invece sì Drive-Reduction Theory: critiche e problemi Sebbene offra una spiegazione molto intuitiva, la teoria di Hull, dopo un periodo di successo, venne criticata a causa di alcune scoperte: - Olds e Miller (1954) scoprirono che i ratti erano molto motivati ad auto-stimolarsi elettricamente i centri del piacere nel cervello o Ipotalamo laterale e Nucleo Accumbens (NAcc) o Tra premere una leva per il cibo e una per la stimolazione preferiscono la seconda azione Olds e Miller, 1954 I loro risultati sono un problema per la drive-reduction theory • La motivazione ad auto-stimolarsi non dipendeva da nessuna pulsione che derivasse da uno squilibrio di uno stato di omeostasi • Il livello di motivazione mostrato è esagerato: sono disposti a sopportare scosse elettriche molto forti per potersi stimolare • I ratti lavoravano senza mai raggiungere uno stato di “sazietà” o omeostasi Questi elementi hanno messo in crisi la teoria della motivazione di Hull. In particolare l’idea che tutta la motivazione nasca da pulsioni create da squilibri omeostatici. Motivazione e rinforzo: una crisi La motivazione non è necessariamente legata alla presenza di una pulsione che nasce da uno squilibrio dell’omeostasi. Il reward non agisce (solo) come rinforzo della relazione S-S o S-R attraverso la riduzione di una pulsione. La nascita della teoria degli incentivi motivazionali Negli anni 70 inizia una nuova prospettiva teorica secondo cui la motivazione può essere scatenata anche da alcuni stimoli ambientali, non solo da uno stato di bisogno. La funzione del reward (inteso come rinforzo) non sarebbe principalmente quella di rinforzare una associazione, ma piuttosto di agire come un incentivo all’azione, cioè generare motivazione. Uno dei precursori di questa teoria è Bolles Nel 1972 è uno dei primi ricercatori che propongono un diverso ruolo del reward nei meccanismi di apprendimento. 81 Toates riconsidera il ruolo degli stati fisiologici (fame, sete, etc) nella teoria degli incentivi. La sua posizione è che fame e sete o altri stati fisiologici servono per potenziare il valore del reward. Il valore edonico degli incentivi non è assoluto, ma dipende dallo stato fisiologico. - Quanto ci può piacere un cibo dipende dal fatto che siamo affamati o meno, cioè dallo stato fisiologico o Se abbiamo fame un panino sembra buonissimo o Se abbiamo appena pranzato un panino può essere nauseante - Cabanac (1979) infatti aveva dimostrato che i soggetti umani giudicano la stessa soluzione zuccherina più o meno buona a seconda del livello di fame o Alliestesia: la percezione (anche edonica) di uno stimolo dipende dallo stato fisiologico Toates aggiunge un aspetto importante alla teoria originariamente sviluppata da Bolles e Bindra: Þ Se le pulsioni aumentano il potere incentivante del reward, aumentando la motivazione, allo stesso modo il reward può aumentare il livello di fame e quindi la motivazione o Ecco perché assaggiare una patatina può portare a mangiare tutto il pacchetto, anche se non avevamo fame (“L’appetito vien mangiando”) Toates (1986): l’influenza tra stato fisiologico e reward sulla motivazione è bidirezionale La fame può potenziare il valore edonico del reward → Se ho fame le cose mi sembrano più buone Ma il reward, funzionando come incentivo, può potenziare il livello di fame → Se assaggio una cosa buona può venirmi fame Sappiamo che i CS possono assumere le proprietà di un reward, e possono essere in grado di funzionare come incentivo che genera una motivazione, e quindi anche il loro valore è potenziato dallo stato fisiologico. es. I simboli pubblicitari sono dei CS che innescano un desiderio per il reward (inducono motivazione): funzionano di più se abbiamo fame, e possono portarci a mangiare anche se non avevamo fame Quando un CS innesca un desiderio e la motivazione (Weingarten, 1983) Weingarten nota che normalmente si ritiene che un organismo cerchi il cibo quando ha fame, cioè è in uno stato di deficienza nutrizionale. Þ Cioè la motivazione nasce dallo stato fisiologico → Come previsto dalla drive-reduction theory di Hull Þ Tuttavia anche CS associati al cibo possono indurre motivazione a consumare il cibo → Come previsto dalla teoria degli incentivi motivazionali Weingarten vuole quindi testare questa ipotesi, cioè che dei CS possano controllare quando e se l’animale cerca e consuma il cibo, a prescindere dallo stato di fame • Prima fase (11 giorni) di condizionamento Pavloviano: CS+ (suono) precede rilascio del latte (US) in una ciotola • Seconda fase di test (21 giorni) Il ratto ha pieno accesso al cibo tramite un dispenser durante tutto il giorno, ma una volta al giorno viene presentato anche il CS+ e rilasciato altro latte nella ciotola 82 I risultati mostrano che, pur essendo sazio, il ratto consuma il cibo rilasciato nella ciotola quando è preceduto dal CS+. Conduce poi un secondo esperimento simile al primo, ma nella fase di test ci sono giorni in cui il CS+ è presente e giorni in cui è assente. • La quantità di latte assunto è simile nei due giorni, ma nei giorni in cui è presente il CS+ il 20% del latte viene assunto dalla ciotola Il ratto quindi preferisce mangiare il latte quando viene anticipato dal CS, che quindi controlla la sua motivazione ad ingerire cibo ma il CS è responsabile dell’assunzione del 20% del cibo I risultati del lavoro di Weingarten dimostrano che la motivazione ad assumere cibo non è determinata solo dalla fame, ma anche da stimoli ambientali (incentivi) che hanno acquisito un loro valore motivazionale attraverso un condizionamento Pavloviano La teoria degli incentivi: conclusioni - Il ruolo principale del reward non è quello di rinforzare una risposta ma di promuoverla - Il reward è quindi un incentivo all’azione - Il livello di motivazione dipende dallo stato fisiologico ma anche dal valore edonico del reward - Il reward però può alterare il livello di motivazione - Stimoli condizionati (CS) possono assumere le stesse proprietà del reward, innescando un desiderio (motivazione) per il reward Reward, Incentivi e Rinforzi: riassunto Il reward è un oggetto che ha un valore edonico - Il reward può essere primario (cibo) o condizionato (soldi) attraverso meccanismi pavloviani positivo per un organismo - Può essere inteso sia come incentivo sia come rinforzo L’incentivo è un oggetto che genera un desiderio o motivazione nell’animale - L’incentivo può essere primario o condizionato Il rinforzo è un oggetto che aumenta la probabilità che l’animale emetta una risposta - Il rinforzo può essere primario o condizionato Incentivi, reward, pulsioni e motivazione Possiamo concludere che la motivazione può essere innescata da tre fattori: 1. Lo stato fisiologico quando non in equilibrio genera una pulsione (per esempio la fame o la sete) Ho fame e cerco il cibo 2. Un reward che produce uno stato edonico Assaggiare un pezzo di pizza fa venir voglia di mangiarne di più 3. CS associati a reward La vista di un dolce scatena il desiderio di mangiarlo – La vista dell’insegna PIZZA fa venire voglia di pizza 83 Diversi apprendimenti nel condizionamento Pavloviano La differenza tra Sign tracker e Goal tracker fornisce un esempio delle diverse forme di apprendimento che possono essere implicate nel condizionamento - Per i sign tracker il CS ha acquisito non solo potere predittivo per l’arrivo del US, ma anche le sue proprietà edoniche e motivazionali → Lo usano come US - Per i goal tracker il CS ha acquisito solo il potere predittivo circa l’arrivo del US → Usano CS per prepararsi ad approcciare il vero US (15) DALLE AZIONI ALLE ABITUDINI Quando una persona fa un uso compulsivo della droga quali sono le ragioni del suo gesto? Il gesto di assumere la droga è un atto deliberato, pianificato, volontario, oppure in quanto gesto compulsivo ha una natura obbligatoria e automatica? L’abitudine come meccanismo psicologico della dipendenza Alcuni ricercatori hanno proposto che le dipendenze si sviluppino come conseguenza del fatto che l’azione “drogarsi” diventi, a seguito della ripetizione, una forma di abitudine o gesto automatico (Tiffany, 1990). Per capire meglio questa proposta, non condivisa da tutti, dobbiamo chiarire quale sia la differenza tra “azione” e “abitudine”. Alcune domande cruciali - Quando nel condizionamento strumentale il ratto preme una leva per ottenere una ricompensa sta svolgendo un’azione volontaria o sta rispondendo in modo automatico? - In che modo si passa dall’azione all’abitudine? - Quali conseguenze ci sono quando l’azione diventa un’abitudine? → Quando il ratto impara a premere una leva per ottenere il reward, cosa ha imparato rispetto alla relazione tra i due eventi? Non c’è dubbio che pressione della leva e comparsa del cibo siano due eventi fisici legati da un rapporto causa-effetto. Ma questi due eventi sono causalmente collegati anche nella mente del ratto? → È necessario che il ratto abbia una rappresentazione del rapporto di causa effetto tra pressione della leva e comparsa del reward affinché ci sia condizionamento? - In altre parole: il ratto “sa” che deve premere la leva per ottenere il cibo? Può sembrare ovvio che sia così, e forse lo è, ma in realtà non è necessario che esista questa conoscenza. Il fatto che il ratto prema la leva, non implica necessariamente che nella testa dell’animale esista la relazione causale tra la pressione della leva e l’ottenimento del cibo. → Almeno i ratti hanno questa conoscenza: sanno che premendo la leva accade qualcosa. Il concetto di rinforzo È stato introdotto da Pavlov pe spiegare come avviene l’apprendimento CS > US Se US arriva temporalmente vicino a CS allora funzionerà da rafforzatore della loro associazione, così che CS evocherà US e la risposta associata UR. Il concetto di rinforzo sta anche alla base del modello S-R proposto da Thorndike per spiegare il comportamento animale e la nascita delle abitudini. Apprendere senza aspettative 86 Il modello S-R: la risposta non cambia in funzione dello stato motivazionale Il modello Teleologico: la risposta si adatta allo stato motivazionale Modello teleologico e S-R a confronto: la rivalutazione degli obiettivi - L’animale ha appreso due diverse rotte, A e B, per raggiungere la stessa pozza d’acqua - Successivamente arrivando alla pozza dalla rotta A scopre che l’acqua è ora inquinata Cosa accade se l’animale si trova sulla rotta B? - Un meccanismo S-R lo porterà automaticamente ancora alla pozza - Un meccanismo teleologico non lo farà proseguire perché l’animale sa che «se prende la rotta B» arriverebbe alla pozza inquinata; sa quali sono le conseguenze. Il sistema teleologico consente quindi una grande flessibilità nel controllo del comportamento e nell’interazione con l’ambiente. Non è solo l’ambiente che controlla il comportamento (S-R), ma è lo stato fisiologico attuale (motivazionale) e le conoscenze circa le conseguenze delle proprie azioni a determinare come l’animale agisce nell’ambiente. Þ Meccanismo S-R: cieco, automatico Þ Meccanismo teleologico: adatta i comportamenti in funzione degli obiettivi/delle conseguenze Gli umani sono (spesso) capaci di comportamenti teleologici. Per esempio possiamo decidere di non mangiare il nostro dolce preferito se scopriamo di avere la glicemia alta. Ma gli animali? Sono capaci di comportamenti volontari/teleologici? Sapere se gli animali sono capaci di azioni e non di risposte è cruciale per due motivi: - Per poter usare i modelli animali per lo studio della dipendenza anche nell’essere umano - Per capire il ruolo di motivazioni, azioni e abitudini nella dipendenza Criteri per definire il condizionamento strumentale un’azione e non una risposta L’animale deve possedere una rappresentazione della relazione causale tra la sua azione e la comparsa del reward → Deve “sapere” che agendo in quel modo otterrà il reward. - Deve ad es. adattare il suo comportamento alla contingenza tra risposta ed ottenimento del reward; se scopre che tale risposta non porta al reward, deve smettere di dare tale risposta L’animale deve possedere una rappresentazione del valore motivazionale del reward → Deve “desiderare” quel reward perché soddisfa un suo bisogno. - Non deve premere la leva a causa di un automatismo. Come possiamo capire se l’animale sa che agendo in un certo modo otterrà il reward? Il problema è che non possiamo interrogare verbalmente l’animale. La soluzione al problema è stata proposta da Adams & Dickinson (1981) attraverso il PARADIGMA DI SVALUTAZIONE DEL RINFORZO. Il paradigma di svalutazione del rinforzo si basa sul condizionamento avversivo e sui meccanismi sottostanti. 87 • Il condizionamento avversivo è un caso di condizionamento Pavloviano nel quale un CS predice l’arrivo di un US sgradevole. • Come abbiamo però visto nel condizionamento Pavloviano le proprietà del US si possono trasferire sul CS. Condizionamento avversivo del sapore Un caso interessante che dimostra il trasferimento delle proprietà edoniche al CS si osserva nel condizionamento avversivo del sapore (taste aversion conditioning). Un cibo commestibile viene usato come CS che viene accoppiato con un malessere indotto nell’animale, tipicamente attraverso iniezione di Cloruro di Litio, che provoca vomito. Dopo il condizionamento, il ratto mostra reazioni di disgusto se gli viene fatto assaggiare il cibo che prima gli piaceva, ma che era stato accoppiato con il malessere. La proprietà di malessere è stata associata al cibo (effetto Garcia). Þ Si noti che è cambiato il sapore del cibo, cioè è cambiata la proprietà edonica del CS Quindi se quel cibo non più desiderato la domanda interessante è se il ratto è ancora disposto a premere una leva per ottenerlo. → Questa è l’idea alla base del paradigma di svalutazione del rinforzo Che questo fenomeno dipenda dal condizionamento è dimostrato dal fatto che risponde alle stesse regole, come ad esempio la latent inhibition – inibizione latente (difficile condizionare uno stimolo a cui si è abituati; più semplice condizionare uno stimolo nuovo): o La capacità di condizionare un CS diminuisce se prima lo stimolo è presentato da solo più volte in modo che si crei l’associazione CS > no US. Questo rallenta l’associazione CS>US successiva o Allo stesso modo è più difficile creare taste aversion conditioning per un cibo piacevole che è consumato abitualmente dall’animale, poiché tale cibo ha una forte associazione con una sensazione piacevole Il paradigma di svalutazione del rinforzo “Instrumental responding following reinforcer devaluation” – Adams e Dickinson 1981 La pressione della leva è un gesto automatico (risposta) alla presenza della leva (stimolo) che è stato rinforzato, oppure è un’azione dettata dalla conoscenza della relazione causale tra pressione leva e arrivo del reward? L’esperimento è diviso in 4 fasi e coinvolge 2 gruppi di ratti (Paired e Unpaired) 88 La logica Se il ratto preme la leva in maniera automatica, allora nonostante l’accoppiamento con il malessere dovrebbe premere la leva. Se invece questo gruppo di ratti P sa quali sono le conseguenze della pressione della leva, allora non la premerà → sa che premendola il cibo non gli piacerà. Se nel condizionamento strumentale esiste una rappresentazione della relazione A → O, allora non c’è ragione O per emettere un’azione se porta ad ottenere un outcome spiacevole. Se invece si tratta di una mera relazione S → R, la risposta evocata dallo stimolo è indipendente dal fatto che il rinforzo sia stato svalutato dopo l’apprendimento. Nota: Nella fase 2 il cibo diventa un CS predittore di uno stato di malessere. Diventa quindi un CS avversivo e non desiderato. Risultati I ratti del gruppo P (reward svalutato) sono molto meno interessati a premere la leva per ottenere un alimento che è diventato un CS avversivo. Sono meno disposti a lavorare i ratti che sanno che premendo la leva otterranno un outcome spiacevole. Questo è evidente sia in fase di estinzione sia in fase di riacquisizione del learning. Si noti che l’animale non ha mai avuto occasione di associare la pressione della leva con il malessere causato dalla iniezione di LiCl. Rappresentazione della contingenza tra azione e outcome - Conclusioni I risultati suggeriscono che i ratti sanno che premendo la leva arriverà un certo reward. Infatti, quando in un secondo momento questo reward viene reso indesiderabile, i ratti riducono molto la pressione della leva. Questo significa che posseggono una rappresentazione che associa tra loro stimolo (la leva), risposta (pressione della leva) e conseguenze dell’azione (arrivo di un certo outcome). Dalle azioni alle abitudini Quindi anche un semplice ratto è in grado di mostrare un comportamento strumentale guidato in modo teleologico – a meno che non sia troppo esteso. Ma anche negli esseri umani non tutti i comportamenti sono vere azioni. Alcune azioni, ripetendole, diventano abitudini. Abitudini vs. riflessi: i riflessi sono innati, le abitudini diventano tali a forza di ripeterle - Anche noi mostriamo comportamenti stereotipati del tipo S-R - In alcuni casi è addirittura necessario che ci siano tali gesti automatici, come quando impariamo a guidare l’auto in modo efficiente - Nella letteratura sull’essere umano si distingue tra processi controllati e automatici Dalle azioni alle abitudini: il ruolo della pratica È possibile che nel condizionamento strumentale il passaggio da un comportamento controllato di tipo teleologico ad uno automatico regolato dalle abitudini avvenga attraverso una pratica estesa. → La ripetizione di un’azione può trasformarla in una risposta. Scoprire se la pratica può trasformare un comportamento guidato da conoscenze e aspettative, in uno automatico o abitudinario che è indipendente dal valore del rinforzo, è potenzialmente importante per spiegare in parte la dipendenza. → i tossicodipendenti continuano a drogarsi perché è diventata un’abitudine, quindi anche se non le danno valore continuano a farlo? 91 - Cosa cambia nel cervello? Chiedersi perché le persone iniziano a drogarsi è molto diverso dal chiedersi perché poi continuano a farlo in modo compulsivo. - È precisamente la compulsione che caratterizza la dipendenza - Le persone possono iniziare a drogarsi per un motivo (per esempio per provare piacere o per noia), ma poi potrebbero continuare per altre ragioni; le ragioni per continuare in genere sono le stesse. La dipendenza è inoltre caratterizzata dal rischio di ricaduta. → Una volta sviluppata una dipendenza la ricaduta è molto probabile anche dopo che si è smesso di assumere droga da molto tempo. L’uso ricreativo delle droghe invece non ha questo problema. → Ci sono persone che possono drogarsi senza sviluppare dipendenza. Un dato interessante riguarda l’incidenza dello sviluppo di dipendenza nelle persone che assumono droghe: • Circa il 60% della popolazione adulta americana ha fatto, almeno una volta nella vita, uso di droghe (il 90% se si considera anche l’alcol). • Tuttavia, contrariamente a quanto si potrebbe pensare “solo” circa il 20% di chi fa uso di droghe sviluppa dipendenza. La dipendenza non è quindi caratterizzata solo da un uso regolare di droghe, ma... • Riguarda una ricerca ed un uso compulsivo a scapito di altre attività sociali (famiglia, lavoro, studio, etc.) • Un uso sostenuto anche se la droga non produce più un gran piacere • Ricadute: si torna a drogarsi anche quando i sintomi di astinenza sono terminati Lo studio della dipendenza si basa ampiamente sui modelli animali (ratti e scimmie): - Permette studi anatomici e farmacologici - Permette di partire da un organismo pulito e studiare sperimentalmente la transizione verso la dipendenza (questo non è possibile con i soggetti umani) Gli studi clinici su umani consento solo di studiare: - Il mantenimento dello stato di astinenza - I cambiamenti neurali associati alla dipendenza Meccanismi della dipendenza Esistono diverse spiegazioni riguardo la dipendenza, ma la maggior parte può essere ricondotta a tre categorie principali, tre teorie su come si sviluppa e si mantiene una dipendenza. i. Teoria edonica ii. Teoria dell’apprendimento anomalo iii. Teoria della salienza motivazionale Tutte le spiegazioni fanno comunque riferimento ad alcune nozioni fondamentali: Motivazione; Apprendimento; Plasticità neurale Le due questioni principali a cui una teoria sulla dipendenza deve cercare di dare una risposta sono: - Perché in alcuni individui ricerca e consumo di droga si traducono in un comportamento compulsivo? - Perché queste persone non sono in grado di smettere, o in altre parole perché esistono le ricadute? “once addicted, always addicted” → il problema non è provare la droga in sé, è scoprire dopo le conseguenze La teoria edonica a due stati Esistono varie formulazioni della teoria, che vanno sotto i nomi di: • Teoria del piacere/dolore • Teoria dei rinforzi positivi/negativi 92 • Teoria dell’omeostasi edonica • Teoria dei processi opponenti • Teoria della dis-regolazione edonica Sono tutte versioni di un principio di base → Il principio guida di questa teoria è che le persone assumano la droga per due motivi: 1. Per il piacere legato all’assunzione della droga (edonia) 2. Per evitare i sintomi spiacevoli dell’astinenza In particolare i due processi controllerebbero fasi distinte: 1. Le persone iniziano a drogarsi per provare il piacere della droga 2. Successivamente continuano in modo compulsivo per evitare il malessere legato all’astinenza → Spiegazione che il 99% delle persone crede vera per la tossicodipendenza; ma è veramente quella situazione così sgradevole la motivazione per cui le persone non riescono a smettere di drogarsi? La teoria edonica e astinenza I sintomi da astinenza variano in funzione del tipo di droga e possono comprendere reazioni sia di tipo neurovegetativo sia affettivo: - Tremore - Aumento sudorazione - Aumento frequenza e pressione cardiaca - Dolore (crampi allo stomaco) - Depressione - Ansia - Irritabilità - Apatia Un caso specifico: La teoria dei processi opponenti (Solomon & Corbit, 1974) L’assunzione di droga genera dei processi fisiologici (rilascio di neurotrasmettitori, tipo DA – dopamina) e psicologici (reazione di piacere), che sono seguiti da processi in direzione opposta (riduzione DA, e malessere), che almeno a livello fisiologico, sono tentativi di ristabilire l’equilibrio o omeostasi nel sistema (p.e. quello dopaminergico). Con l’assunzione ripetuta i processi positivi si riducono (assuefazione, mi abituo alle sensazioni piacevoli) mentre quelli negativi si amplificano (sensibilizzazione) nel tempo. La dipendenza si sviluppa come tentativo di ridurre gli effetti negativi, con il risultato di distruggere sempre più l’omeostasi nel sistema dopaminergico. Il SISTEMA DOPAMINERGICO MESOLIMBICO E MESOCORTICALE Sono le due vie principalmente coinvolte nell’analisi del reward. Originano entrambe della VTA. Molte evidenze neurobiologiche indicano che le droghe sono in grado di produrre due tipi di plasticità neurale, che agiscono contemporaneamente e portano a due tipi di adattamenti: • Assuefazione (abituazione), per cui le sensazioni di piacere diminuiscono nel tempo, portando ad un aumento graduale della dose. Neurovegetativo Affettivo 93 • Sensibilizzazione, per cui la stessa dose produce nel tempo effetti sempre maggiori, per esempio aumentando sia i sintomi da astinenza, sia la risposta di desiderio della droga alla vista di alcuni stimoli che sono collegati alla droga. La causa principale della dipendenza sarebbe il fatto che la droga altera permanentemente l’equilibrio del sistema DA. Con l’uso prolungato si crea assuefazione (tolleranza) ai sintomi piacevoli, ma aumentano quelli legati all’astinenza, che portano il soggetto a cercare altra droga (e dosi maggiori). - Il sistema DA e affettivo/emotivo perde il suo equilibrio. Un punto chiave di questa teoria è che la DA è ritenuta essere il neurotrasmettitore del piacere (Wise, 1985). È una teoria sbagliata → la dopamina NON è il neurotrasmettitore del piacere!! Dis-regolazione del sistema del piacere: assuefazione al piacere della dose, più sensibilizzazione nella risposta di compensazione inibitoria della DA con aumento del malessere → Sintomi dolorosi dell’astinenza Dal punto di vista cognitivo la teoria chiama in causa meccanismi di condizionamento strumentale. L’assunzione della droga sarebbe regolata da: • Meccanismo di rinforzo positivo => è predominante all’inizio dell’uso della droga, la quale agisce come rinforzo positivo producendo una sensazione piacevole dopo l’uso e quindi rinforzandolo o Mi drogo, provo piacere, quindi la prossima volta lo rifaccio • Meccanismo di rinforzo negativo => entra in gioco con l’uso prolungato, quando diventano dominanti i sintomi spiacevoli dell’astinenza. In questo caso la droga agisce come rinforzo negativo eliminando la condizione spiacevole o Sono già nella fase della dipendenza, l’unico effetto della droga è togliere gli effetti della dipendenza; non è più quindi un rinforzo positivo La spiegazione che invoca i due meccanismi di rinforzo, positivo e negativo, è intuitiva e coerente con il senso comune: - Ci si droga per piacere - E poi si continua per evitare i sintomi spiacevoli dell’astinenza Questa spiegazione presenta tuttavia alcuni problemi... Spiegazione del rinforzo negativo: evidenze critiche Gli psicostimolanti, come anfetamine o derivati, e gli allucinogeni (LSD), generano una forte dipendenza psicologica (desiderio della droga) a fronte di scarsi sintomi fisici da astinenza → Il forte desiderio di droga non dipende dal fatto che si stia particolarmente male senza. Farmaci che possono produrre forti sintomi da astinenza, come gli antidepressivi, non generano dipendenza e uso compulsivo. Þ Non mi prendo il farmaco solo perché lo vedo! Spiegazione del rinforzo negativo: l’evidenza critica principale Le ricadute sono frequenti anche dopo che i sintomi da astinenza sono terminati da molto tempo. → Se il tossicodipendente continua a drogarsi nonostante i sintomi di astinenza, non si spiega perché, quando gli effetti di astinenza sono finiti, dovrebbe tornare a drogarsi. Lo stare male non può essere la vera ragione del perché si sviluppa la dipendenza. Quindi il meccanismo di rinforzo negativo non pare in grado di spiegare da solo il bisogno di drogarsi quando la condizione spiacevole causata dall’astinenza è finita. 96 La droga rinforza la risposta emessa per ottenerla, ma i soggetti non riportano alcun effetto piacevole dopo l’assunzione (esclusa la dose da 30mg). Conclusioni Alla luce dei loro risultati Lamb e collaboratori conclusero che: - “These resuts indicate that there can be a significant dissociation of the reinforcing and the subjective effects of opioids, which has implications for theories of opiod abuse, particularly those assuming that the reinforcing effects are causally related to the euphoric effects of opioids” - Anche chi lavora per dosi basse non smettono di lavorare, nonostante dica di non provare niente. - Come vedremo questa dissociazione è centrale nella teoria della Salienza Motivazionale: il piacere non c’entra niente, la dipendenza sta nel desiderio puro, svincolato dal desiderio edonico – perché la droga lavora sui centri del desiderio Spiegazione del rinforzo positivo: evidenze critiche Il lavoro di Lamb et al. (1991), così come quello di analogo di Fischman & Foltin (1992), è importante per stabilire che nella dipendenza il desiderio all’uso della droga non è sempre attribuibile al piacere che ne deriva. Se normalmente pensiamo di desiderare quello che ci piace, nella dipendenza il piacere non è necessariamente la causa del desiderio di droga La teoria edonica a due stati: conclusioni Sebbene il piacere collegato all’uso della droga, così come i sintomi di astinenza che emergono alla sospensione della stessa, possono essere fattori implicati nell’uso e abuso della droga, molte evidenze critiche suggeriscono che potrebbero esserci altre ragioni importanti che spiegano lo sviluppo e mantenimento della dipendenza. (17) DIPENDENZA E APPRENDIMENTO ANOMALO La teoria dell’apprendimento anomalo Secondo questa prospettiva teorica la dipendenza si sviluppa per un passaggio da un uso iniziale controllato, probabilmente motivato dal piacere, ad uno uso incontrollato imputabile a meccanismi di apprendimento che creano associazioni molto forti tra stimoli ambientali e azioni, ricordi o sensazioni, associate alla droga. Questa idea nasce dall’osservazione che l’attività dopaminergica nel NAcc sembra rappresentare un processo di apprendimento della relazione CS-US. Þ Reward-prediction error (Schultz, 2000): i neuroni dopaminergici nel sistema limbico sembrano rispondere alla sorpresa dell’arrivo del reward Poiché la droga è un reward molto potente, l’ipotesi è che gli stessi meccanismi di apprendimento, qualora diventino aberranti, possano spiegare lo sviluppo della dipendenza da stupefacenti. Þ Si creano delle associazioni molto forti tra le rappresentazioni mentali di alcuni eventi Queste associazioni o apprendimenti sarebbero particolarmente potenti (i.e. anomali o aberranti) perché la droga attiva in modo esagerato il sistema dopaminergico di rinforzo (normalmente implicato nei meccanismi di apprendimento), portando a comportamenti compulsivi in presenza di alcuni stimoli. Le associazioni che verrebbero potenziate dalla droga in modo anomalo possono essere di 3 tipi: 1. Action-Outcome (azione-risultato) 2. Stimolo-Risposta (formazione di abitudini) 3. Stimolo-Stimolo (condizionamento Pavloviano) 97 Questi apprendimenti o associazioni possono essere sia espliciti/consapevoli, sia impliciti/inconsci. APPRENDIMENTO ANOMALO ESPLICITO Quando le persone assumono la droga è probabile che apprendano in modo consapevole due tipi di relazione: - Quella tra certi stimoli ambientali e la droga (S-S) Þ Imparo ad associare lo spacciatore agli effetti della droga, o la bottiglia di vino all’alcol - Quella tra l’azione di assumere la droga e gli effetti della droga stessa (A-O) Þ Imparo che assumendo una certa sostanza provo piacere Associazione tra stimoli o azioni e il ricordo esageratamente ottimistico degli effetti della droga (simile alla teoria edonica). L’attivazione di questo ricordo fa nascere inevitabilmente il desiderio di riassumere la droga. → Ma può una aspettativa o ricordo anche esageratamente ottimistico degli effetti della droga portare all’uso compulsivo della droga? Non sembra molto probabile, se consideriamo: • I resoconti che della loro vita fanno le persone dipendenti: spesso disastrosa e piena di sofferenza • Che le persone dipendenti spesso riportano che drogarsi non gli procura più molto piacere o Nonostante questo “desiderano” e cercano la droga → Vedere lo spacciatore è difficile che inneschi un piacere per la droga così forte da far sì che la si desideri assumere APPRENDIMENTO ANOMALO IMPLICITO Gli apprendimenti impliciti in questo caso sono del tipo: • S-R (condizionamento strumentale > abitudine) → Si ricordi l’ipotesi di Tyffani (1990): dipendenza = abitudine • S-S (condizionamento Pavloniano) Apprendimento anomalo implicito: l’abitudine Una visione tradizionale della dipendenza vuole che il passaggio dall’uso ricreativo a quello compulsivo avvenga perché la droga trasforma un’azione (A-O) in una abitudine (S-R). Molti autori hanno proposto che la dipendenza si basi su un meccanismo S-R che, data la presenza di certi stimoli, porta all’assunzione della droga (Tiffany, 1990; O’Brien & McLennan, 1996; Robbins & Everitt, 1999; Berke & Hyman 2000). L’abitudine farebbe perdere, in alcune persone, il controllo sull’uso della droga portando a un uso compulsivo. Particolari stimoli ambientali, associati con l’uso della droga, scatenano la risposta compulsiva di ricerca e assunzione della droga Anche se il CS può elicitare R, il soggetto mantiene R sotto controllo: può decidere di non mangiare perché sa che quel cibo lo farà ingrassare! Il CS elicita la risposta di consumo R: il soggetto non ha nessun controllo su R. la sua risposta è determinata dalla presenza e disponibilità della droga, che ha rinforzato in modo esagerato l’associazione S>R 98 Il fatto che l’uso sia diventato un’abitudine spiegherebbe perché continua nonostante il reward (droga) ha meno valore: • Assumo la droga anche se mi fa male • Assumo la droga anche se distrugge la mia vita • Assumo la droga anche se non mi piace più, etc. Ma ci sono evidenze che il consumo di droga è un comportamento automatico e quindi meno sensibile al valore/piacere della droga? Il lavoro di Dickinson, Wood & Smith (2002): “Alcohol seeking by rats: Action or habit?” Tiffany (1990) sostiene che la dipendenza si sviluppa nel passaggio da un’azione ad un’abitudine. → Si instaura una risposta stereotipata (assunzione della droga) innescata da alcuni stimoli ambientali (visione della siringa, del posto dove si consuma la droga, delle persone che spacciano, etc.) (S-R) Dickinson e colleghi si chiedono quindi se è vero che la droga faciliti lo sviluppo di abitudini rinforzando la relazione S-R, e quindi tale risposta sia poi meno sensibile alla svalutazione della sostanza stupefacente. Premesse: - Una insensibilità al valore dell’outcome (reward) suggerisce la presenza di una abitudine. - Viceversa, una sensibilità alla svalutazione dell’outcome (reward) suggerisce la presenza di un comportamento teleologico (guidato da obiettivi, sotto controllo della motivazione e del valore degli obiettivi). Þ Come dimostrato dal paradigma di svalutazione del rinforzo - Infatti una relazione tra abitudine e valore del rinforzo era già stata dimostrata dal lavoro di Adams (1982): maggiore l’allenamento e quindi maggiore l’abitudine, e minore la sensibilità al valore del reward I ratti con maggior training lavorano anche per un reward svalutato, rispondo cioè in modo abitudinario (l’azione di pressione della leva è diventato automatico, quindi non risentiva della svalutazione della ricompensa). Domanda Se l’abitudine porta a lavorare per un reward svalutato, in questo lavoro gli autori si chiedono se la droga mantiene il condizionamento strumentale più di un reward naturale come il cibo quando il reward viene svalutato (cibo svalutato → si smette di lavorare, riduzione del lavoro ≠ DROGA? Porta anch’essa ad una riduzione del lavoro oppure rinforza l’associazione tra stimolo e risposta?) Gli autori mettono quindi a confronto due tipi di reward: pellet di cibo vs. soluzione con etanolo → Vogliono vedere in che modo agiscono i ratti quando avviene una svalutazione del reward L’esperimento è diviso in 3 fasi e coinvolge 2 gruppi di ratti (Etoh → etanolo e Pel → pellet): Ad un gruppo si svaluta attraverso iniezione di cloruro di litio il pellet, ad un altro l’etanolo. In estinzione, do la possibilità di lavorare per ottenere il pellet o l’etanolo,