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Appunti Psicologia dello sviluppo, Santrock, Appunti di Psicologia dello Sviluppo

Appunti fatti esclusivamente dal libro Santrock, necessario, insieme al Miller, per il corso di Psicologia dello sviluppo. Appunti discorsivi e completi.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 27/02/2023

maddalena15g
maddalena15g 🇮🇹

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Scarica Appunti Psicologia dello sviluppo, Santrock e più Appunti in PDF di Psicologia dello Sviluppo solo su Docsity! 1. INTRODUZIONE SVILUPPO INFANTILE – IERI E OGGI Lo sviluppo è un cambiamento che ha inizio con il concepimento, e si svolge lungo tutto il corso della vita, finendo con la morte. È costituito per la maggior parte da periodi di crescita, ma sono presenti anche periodi di decadimento o involuzione; per questo si preferisce parlare di ciclo invece che arco di vita, prendendo in considerazione dalle origini fino all’età adulta e alla vecchiaia (life-span). In ogni periodo storico, i filosofi si sono interrogati a lungo sulla natura dei bambini, e su come dovrebbero essere cresciuti. Più recentemente, in Europa, si sono affermati tre approcci filosofici sull’infanzia: la prospettiva del peccato originale sosteneva che i bambini appena nati erano visti come creature malvagie e che solo l’educazione poteva offrirgli la salvezza. La prospettiva della tabula rasa fu formulata da Locke, che sosteneva che i bambini alla nascita fossero come tavolette vuote dove è possibile scrivere qualsiasi cosa, e che le esperienze infantili fossero importanti per determinare la persona adulta che poi sarebbero diventati. La prospettiva della bontà innata, invece, credeva che i bambini fossero innatamente buoni, e per questo dovevano crescere in modo naturale, limitando il controllo da parte dei genitori. Oggi, la visione occidentale dell’infanzia, afferma che questa sia un periodo ricco di avvenimenti, e che pone le basi della vita adulta, rimanendo completamente distinta da essa. Negli ultimi anni del XIX secolo, l’approccio alla psicologia non era più solo filosofico, ma includeva osservazioni e esperimenti sistematici. I filosofi dell’epoca si chiedevano, però, se i metodi della scienza fossero adatti per studiare le persone, e questo problema fu superato quando alcuni pensatori iniziarono a sperimentare nuovi metodi per studiare bambini, neonati e adolescenti. Tra questi ci fu Binet, che elaborò compiti per studiare l’attenzione e la memoria, arrivando alla stesura del primo test moderno dell’intelligenza. Altri pensatori furono Stanley Hall che promosse l’uso di questionari con ampi gruppi di bambini, e Gesell che inventò la cupola di Gesell, così da poter osservare sistematicamente il comportamento dei bambini senza interrompere le loro attività (inizio dello studio scientifico sui bambini). PROCESSI E PERIODI DI SVILUPPO I processi biologici producono cambiamenti nel corpo dell’individuo (cambiamenti ormonali, sviluppo del cervello o aumento dell’altezza). I processi cognitivi, invece, si riferiscono ai cambiamenti nel pensiero, nell’intelligenza e nel linguaggio dell’individuo (memorizzare una poesia o risolvere un problema matematico). I processi socio-emotivi includono cambiamenti nelle relazioni dell’individuo con altre persone, cambiamenti nella sfera emotiva e nella personalità (sviluppo della sicurezza di sé o il sorriso in risposta a una carezza). Tutti questi tre tipi di processi sono saldamente intrecciati tra di loro, e tale connessione è evidente in due campi di studio emergenti: le neuroscienze cognitive dello sviluppo, che esplorano i collegamenti tra sviluppo, processi cognitivi e il cervello, e le neuroscienze sociali dello sviluppo, che esaminano le connessioni tra processi socio-emotivi, sviluppo e cervello. In molti casi i processi biologici, cognitivi e socio-emotivi sono bidirezionali: i processi biologici possono influenzare quelli cognitivi e viceversa. Spesso però i diversi processi di sviluppo sono studiati separatamente. Lo sviluppo infantile viene descritto attraverso una suddivisione in periodi, che corrispondono a un arco di tempo specifico: 1- periodo prenatale, lasso di tempo compreso tra il concepimento e la nascita, che dura 9 mesi. 2- prima infanzia, che va dalla nascita ai 18/24 mesi. In alcune classificazioni questo periodo è diviso in periodo neonatale e infanzia. 3- seconda infanzia, che va dalla fine della prima infanzia ai 5-6 anni circa, e è chiamato anche prescolare. 4- fanciullezza, periodo evolutivo che va dai 6 agli 11 anni di età, chiamato anche scolare. 5- adolescenza, è il periodo che segna la transizione tra l’infanzia e l’inizio della vita adulta, che inizia tra i 10/12 anni e finisce tra i 18 e i 19. Ad oggi, gli studiosi credono che lo sviluppo, e quindi il cambiamento, non si fermi all’adolescenza, ma comprende anche l’età adulta e la vecchiaia: dopo l’adolescenza inizia un periodo evolutivo che va dai 18-22 anni fino ai 25-30 anni, che segna il passaggio all’adultità emergente. I tempi di ingresso e di uscita dall’adultità emergente variano a seconda delle culture, e consentono al non più adolescente di diventare gradualmente adulto. È da considerare il fatto che quando un gruppo di persone nasce nello stesso momento storico, condivide esperienze simili, che possono produrre differenze di sviluppo tra le coorti. Nella ricerca sullo sviluppo, gli effetti di coorte sono dovuti al tempo di nascita, epoca o generazione di una persona, e non all’età effettiva. Le diverse generazioni sono state etichettate dalla cultura popolare, e l’etichetta più recente è quella dei millennial, che riguarda coloro nati dopo il 1980. QUESTIONI RELATIVE ALLO SVILUPPO La contrapposizione natura-cultura è alla base del dibattito che cerca di stabilire se lo sviluppo sia influenzato in modo preponderante dalla natura o dalla cultura; natura viene utilizzato in riferimento all’eredità biologica dell’organismo, mentre cultura indica le esperienze vissute in un certo ambiente. Il dibattito continuità-discontinuità è volto a determinare se lo sviluppo è costituito da cambiamenti graduali e cumulativi, o da fasi distinte tra loro. Generalmente, gli studiosi che evidenziano l’aspetto culturale tendono a considerare lo sviluppo come un processo graduale e continuo, mentre quelli che esaltano l’aspetto naturale, vedono lo sviluppo come una serie di fasi distinte. Il dibattito prime esperienze-esperienze successive si basa sul fatto che le prime esperienze o le esperienze successive siano fattori chiave nello sviluppo infantile. Alcuni studiosi accettano il fatto che le prime esperienze contribuiscono in modo significativo allo sviluppo, ma non più di quanto non lo facciano le esperienze successive. È bene riconoscere che è poco saggio avere una posizione estremista nei confronti di queste questioni, in quanto tutte le componenti di cui trattato sopra, giocano un ruolo importante nello sviluppo dell’individuo lungo il corso della sua vita. Oltre a questi dibattiti storici, se ne aggiunge un altro: lo sviluppo è di dominio generale o di dominio specifico? Nel primo caso si pensa che lo sviluppo coinvolga tutto il sistema cognitivo simultaneamente, mentre nel secondo che lo sviluppo avvenga secondo modi e ritmi diversi, nelle diverse aree della conoscenza. TEORIE DELLO SVILUPPO Le diverse teorie sono in disaccordo su certi aspetti dello sviluppo, ma molti dei loro principi sono complementari: ci fanno vedere lo sviluppo infantile in tutta la sua ricchezza, integrando i tre processi fondamentali coinvolti, cioè quello biologico, cognitivo e socio-emotivo.  Teorie psicanalitiche : descrivono lo sviluppo come prevalentemente inconscio e influenzato dalla sfera emotiva. Secondo i teorici della psicanalisi, i comportamenti non sono altro che caratteristiche di superficie e che per arrivare a una vera comprensione dello sviluppo, è necessario analizzare i significati simbolici dei meccanismi profondi della mente. Nella psicanalisi sono fondamentali le prime esperienze con i genitori. Freud fu il padre della psicanalisi, e individuò cinque fasi dello sviluppo psico-sessuale, in cui il piacere è legato a determinate zone del corpo. 1) Microsistema, rappresentato dai contesti in cui vive l’individuo (famiglia, coetanei, lavoro etc.) Qui avvengono le interazioni più dirette con altri agenti sociali. 2) Mesosistema, include le relazioni tra microsistemi o le connessioni tra contesti differenti (esperienze familiari-esperienze scolastiche) 3) Esosistema, agisce quando le esperienze vissute in altri contesti sociali influenzano ciò che l’individuo vive nel suo contesto più immediato (esperienze lavorative che influenzano le relazioni tra coniugi) 4) Macrosistema, rappresentato dalla cultura in cui l’individuo vive. 5) Cronosistema, include i cambiamenti causati da eventi ambientali e dalle transizioni che avvengono nel corso della vita, così come le circostanze storico sociali. Nessuna di queste teorie riesce, da sola, a spiegare in modo esaustivo la complessità dello sviluppo infantile; è quindi un errore basarsi su una di esse per spiegare lo sviluppo. È fondamentale avere un approccio teorico eclettico, che non segue un unico approccio teorico, ma sceglie da ogni teoria gli elementi che ritiene più convincenti. Nello sviluppo sono fondamentali anche l’educazione e l’inclusione; quest’ultima è una condizione basata sull’accoglienza e sulla partecipazione di tutte le diversità, così come sono, valorizzandole con rispetto e uguali opportunità. Possiamo parlare, inoltre, dell’integrazione, secondo cui l’individuo è accettato a condizione che modifichi i propri comportamenti e le proprie credenze per aderire al sistema della cultura dominante. 2. LO STUDIO SCIENTIFICO DELLO SVILUPPO INFANTILE L’IMPORTANZA DELLA RICERCA SULLO SVILUPPO INFANTILE Gli studiosi dello sviluppo infantile usano il metodo scientifico, che si basa su quattro fasi e procedono seguendo i postulati della scienza. Il miglior modo per comprendere gli avvenimenti della realtà è allestire un progetto di ricerca che si basa sulla formulazione di enunciati o ipotesi e sottoporli poi a una verifica completa e esaustiva. Questo progetto può essere definito scientifico solo se obbedisce a alcuni postulati di base: determinismo, secondo cui la scienza presuppone la possibilità di determinare i fenomeni, l’empirismo, secondo cui la scienza si basa su osservazioni empiriche controllate, integrazione teorica, per la quale la scienza costruisce teorie confutabili capaci di spiegare un insieme di fatti, approccio dinamico, in cui la scienza è una prova continua, la dimensione pubblica, che sostiene che un procedimento è scientifico nel momento in cui autorizza altri ricercatori a riproporre osservazioni o ipotesi con lo scopo di confutarle e l’evoluzione paradigmatica, per cui la scienza si evolve partendo da paradigmi o modelli. Nelle scienze umane, oltre al metodo scientifico, si può ricorrere ad altri metodi per affrontare situazioni problematiche, come l’ostinazione, l’intuizione, il ragionamento che sono tutti metodi prescientifici. Ad esempio, l’ostinazione consiste nell’affidarsi a credenze consolidate perché così si è sempre pensato. La ricerca scientifica si basa sul metodo scientifico, ovvero un approccio che permette di ottenere informazioni accurate, e include quattro fasi: 1. Concettualizzare il problema, che prevede l’identificazione di un problema attraverso la formulazione di ipotesi sulla base di teorie già esistenti. La teoria è un insieme di idee legate tra loro che aiuta a spiegare un fenomeno, mentre l’ipotesi è una previsione specifica che può essere verificata. 2. Raccogliere i dati, il cui significato verrà poi compreso attraverso procedure statistiche. 3. Trarre conclusioni 4. Rivedere le conclusioni della ricerca e la teoria. Per mettere alla prova le ipotesi si possono scegliere diversi tipi di disegno di ricerca, a seconda dell’oggetto di studio e del tipo di validità che si vuole ottenere. Ad esempio, la validità ecologica potrebbe prevalere sulla validità interna. A seconda dell’oggetto di studio andrà privilegiato un tipo di validità piuttosto che un altro. La validità interna corrisponde a quanto il risultato della ricerca sia considerato “giusto” in rapporto alle ipotesi di partenza; questo tipo di validità, quindi, riguarda la logica della relazione causale tra la variabile indipendente manipolata. La validità esterna, invece, consiste nella possibilità di generalizzare i risultati della ricerca a individui o contesti diversi da quelli considerati. Un altro tipo di validità è la validità di costrutto, determinata dalla coerenza tra i risultati ottenuti e la teoria alla base della ricerca. Infine, la validità ecologica, che riguarda la corrispondenza tra la realtà sottoposta a verifica empirica e quella a cui i risultati dovrebbero essere generalizzati. DESCRIVERE E/O SPIEGARE LO SVILUPPO Le teorie sono spesso collegate a particolari metodi di ricerca. Sono tre i principali disegni di ricerca utilizzati dagli studiosi: 1) la ricerca descrittiva ha l’obiettivo di osservare e registrare un comportamento, 2) la ricerca correlazionale il cui fine è descrivere l’intensità della relazione tra due o più eventi/caratteristiche. Nella ricerca correlazionale è fondamentale il coefficiente di correlazione, cioè un numero basato su un’analisi statistica che descrive il grado di associazioni tra due variabili, 3) ricerca sperimentale, la quale prevede esperimenti che permettono di determinare una causa. L’esperimento è una procedura accuratamente regolamentata, in cui uno o più fattori vengono manipolati, mentre tutti gli altri rimangono costanti. Un esperimento include due tipi di variabili, una indipendente che è soggetta a manipolazioni, e l’altra è la variabile dipendente. Ci sono, inoltre, due elementi fondamentali dell’esperimento, che permettono di controllare i vari fattori: il gruppo sperimentale che è un gruppo la cui esperienza viene manipolata, e un gruppo di controllo, utilizzato per stabilire un confronto con il gruppo sperimentale. Si decide se i partecipanti debbano far parte di un gruppo rispetto all’altro, attraverso un’assegnazione casuale. Nel momento in cui il ricercatore non riesce a controllare tutte le condizioni di svolgimento della ricerca, si parla di quasi-esperimento. Infine, è importante ricordare l’esistenza del disegno sperimentale a soggetto singolo, cioè un esperimento ripetuto sullo stesso individuo. (A-B-A’) METODI PER LA REGISTRAZIONE DEL CAMBIAMENTO EVOLUTIVO L’approccio longitudinale è una strategia di ricerca, per cui gli stessi soggetti vengono studiati lungo un certo periodo di tempo (anni). Quando i cambiamenti che si vogliono osservare non avvengono rapidamente, si utilizza l’approccio trasversale, in cui si mettono a confronto soggetti di età diversa in un preciso momento. Il ricercatore può scegliere diversi modi di raccolta dei dati.  L’osservazione: richiede l’utilizzo di una serie di capacità importanti, si deve sapere ciò che si sta osservando, dove e come avviene l’osservazione. Le osservazioni possono essere condotte in laboratorio o nel mondo reale. Il laboratorio è un ambiente controllato in cui molti dei fattori complessi presenti nel mondo reale vengono eliminati. La ricerca in laboratorio, però, presenta alcuni problemi: ad esempio, è praticamente impossibile condurre una ricerca in modo tale che i partecipanti non sappiano di essere studiati, inoltre l’ambiente del laboratorio non è naturale, e può spingere i partecipanti a comportarsi in modo innaturale, e gli individui che hanno la possibilità di andare in laboratorio, potrebbero non essere rappresentativi della popolazione. L’osservazione naturalistica, invece, si occupa dei comportamenti in situazioni reali, che avvengono nell’ambiente naturale. Lo schema di Bailey del 1982 propone 4 tipi di osservazione: in ambiente naturale, in ambiente artificiale, strutturata e non strutturata dall’osservatore. L’osservazione è strutturata quando il ricercatore controlla alcune variabili per favorire la naturalità della situazione e avere parametri di confronto uniformi.  Questionari e interviste: sono il modo migliore e più rapido per ottenere informazioni dalle persone, chiedendo direttamente a loro. In un buon questionario le domande (item) sono chiare e non consentono risposte ambigue. Il problema dei questionari e delle interviste, è che i partecipanti tendono a rispondere in modi che ritengono socialmente accettabili, piuttosto che mostrare la vera realtà. L’impiego di questo metodo di raccolta dei dati, può mostrare limiti connessi con il livello di sviluppo dei bambini partecipanti, perché questi non potrebbero capire bene la domanda che gli viene posta, e non può essere utilizzato per tutti i bambini (sotto ai 3-4 anni nella modalità orale e sotto i 7-8 nella modalità scritta). Nei questionari, le risposte chiuse sono standardizzate, e ciò minimizza il rischio di ottenere risposte irrilevanti e confusionarie.  Test standardizzato: test con procedure uniformi per il completamento o per l’assegnazione di un punteggio. Questo tipo di test permette di confrontare i risultati di un individuo con quelli di altri individui. Ciò presenta però diversi svantaggi: non sempre i test standardizzati sono in grado di prevedere i comportamenti in situazioni al di fuori del test, si basano sull’idea che il comportamento di una persona sia stabile, mentre può variare molto a seconda della situazione, e infine è doveroso dire che i test sviluppati nelle culture occidentali potrebbero non essere adatti ad altre culture.  Misurazioni psicofisiologiche: utilizzate per valutare il funzionamento del SNC, del SNA e del sistema endocrino. Ci sono vari metodi per produrre diversi tipi di immagini della struttura del cervello: f-MRI che rileva il flusso sanguigno cerebrale, consentendo di localizzare le aree che si attivano durante lo svolgimento di un compito, e gli ERP che visualizzano l’attività elettrica del cervello in risposta a uno stimolo o durante la produzione di un comportamento. Il limite principale delle misurazioni psicofisiologiche è che implicano competenze specifiche per l’uso di macchinari e per l’interpretazione dei dati restituiti. L’associazione americana degli psicologi ha sviluppato linee guida per regolamentare gli aspetti etici della ricerca in psicologia: consenso informato e libertà della persona di ritirarsi dalla ricerca, la riservatezza, il rischio di danni permanenti o temporanei a chi partecipa alla ricerca la protezione di coloro che partecipano alla ricerca, la diffusione delle ricerche in sedi scientifiche. nelle donne incinte, può portare a bassi livelli di intelligenza nei bambini; l’eroina, infine, porta a una serie di problemi comportamentali nei bambini e deficit di attenzione. Un altro rischio per lo sviluppo prenatale può essere l’incompatibilità tra i gruppi sanguigni della madre e del padre. Una differenza nella struttura superficiale dei globuli rossi determina la suddivisione in gruppi sanguigni (A, B, AB, 0). Un’altra differenza determina ciò che noi chiamiamo sangue Rh positivo e sangue Rh negativo, e ciò indica se il marcatore Rh è presente nei globuli rossi dell’individuo. Se il padre è Rh positivo e la donna incinta Rh negativo, il sistema immunitario di quest’ultima può produrre degli anticorpi che attaccano il feto, e ciò può portare all’aborto spontaneo, alla nascita di un bambino morto, danni celebrali, anemia etc. Le malattie e le infezioni della madre possono produrre difetti nei figli, o provocare danni durante la nascita. Ad esempio, la rosolia contratta nella terza o quarta settimana può portare grossi danni. Anche la sifilide, a trasmissione sessuale, è più dannosa nei periodi successivi dello sviluppo prenatale, se contratta quattro mesi o più dopo il concepimento, e può danneggiare gli organi dopo che si sono formati. Infine, l’AIDS è pericolosa per il bambino, che può essere infettato dalla madre in tre modi: attraverso la placenta, durante la gestazione, durante il parto con il contatto con il sangue e altri fluidi della madre, dopo il parto attraverso l’allattamento. Un feto in via di sviluppo dipende completamente dalla madre per il suo nutrimento, che gli viene fornito attraverso il sangue materno. I bambini di madri malnutrite hanno più probabilità rispetto agli altri di avere malformazioni; la malnutrizione porta rischi anche alle donne, che possono andare incontro a complicazioni, la più grave la morte. Quando parliamo di possibili effetti negativi sui feti e sui neonati, si devono prendere in considerazione due periodi della vita della donna: l’adolescenza e l’età superiore a 35 anni. Questo perché la mortalità infantile nata da madri adolescenti, è il doppio più alta rispetto a quella dei bambini nati da ventenni. Un rischio in cui incorre una madre sopra i 50 anni è avere un figlio affetto dalla sindrome di Down (probabilità 1 su 10). Anche gli stati emotivi della madre hanno effetto sul feto: alti livelli di ansia e stress durante la gravidanza possono avere effetti a lungo termine sul bambino. Uno studio recente, inoltre, rivela che la depressione materna è correlata alla nascita pretermine e a problemi di crescita del neonato. È possibile, naturalmente, che il bambino corra rischi per fattori legati al padre. Il contatto dell’uomo con le radiazioni, alcuni pesticidi e prodotti petrolchimici può causare anomalie negli spermatozoi che, a loro volta, provocano aborti spontanei e malattie nei bambini (cancro). Anche se il padre fuma durante la gravidanza della madre, possono esserci problemi nei figli, come l’aumento del rischio di leucemia o un’interruzione precoce della gravidanza. Lo sviluppo del bambino, infine, può essere influenzato dai rischi ambientali: tra questi, le radiazioni prodotte durante una radiografia possono incidere sullo sviluppo del feto, soprattutto nelle prime settimane, oppure gli inquinanti ambientali e i rifiuti tossici sono assai pericolosi per i bambini nel periodo prenatale. LA NASCITA Tutta la gravidanza è focalizzata a preservare il momento della nascita dai diversi eventi che possono influenzare la vita del bambino. Si parla di ambiente prenatale, per indicare l’ambiente che circonda il momento della nascita, comprendente diversi fattori, tra cui le medicine date alla madre durante il travaglio, o l’ambiente sociale che circonda il bambino appena nato. Nella maggior parte dei casi, la nascita avviene in ospedale. Chi aiuta la madre al momento del parto, varia a seconda delle culture: ad esempio, in quella africana, il setting del parto è bandito agli uomini. Dal 1985, le raccomandazioni sulla nascita redatte dall’organizzazione mondiale della Sanità, sostengono l’importanza del supporto psicologico per le donne, al momento del parto (nel 92.2% dei casi, è presente il compagno). La comunità medica internazionale ha ritenuto che il tasso ideale di tagli cesarei dovesse essere compreso tra il 10 e il 15%, ma l’Italia continua ad essere il paese con il numero più alto di parti con taglio cesareo dell’UE (33.7% nel 2016). Il corso di preparazione al parto sembra essere un fattore di protezione dal parto cesareo. Tra le medicine date alla madre, hanno particolare importanza l’anestesia epidurale e l’ossitocina: la prima è un’anestesia locale che permette alla donna di sentire meno dolore, mentre la seconda è un ormone usato per stimolare le contrazioni uterine. È importante la posizione del feto nell’utero, e quindi la parte fetale che si presenta all’ingresso del bacino; la posizione più frequente è quella in cui il feto si presenta con la testa (presentazione cefalica). Se la testa, invece, è rivolta verso il fondo dell’utero, si presentano prima le natiche e i piedi (presentazione podalica). Il feto può, infine, trovarsi con il suo asse perpendicolare rispetto a quello dell’utero (presentazione di spalla). Durante ogni contrazione diminuisce l’apporto di ossigeno al feto; l’anossia si verifica quando il feto o il neonato ha un insufficiente apporto di ossigeno. Subito dopo il parto, il neonato viene pesato, pulito e sottoposto a test per capire se ci siano segni di problemi di sviluppo che potrebbero richiedere immediata attenzione. L’indice di Apgar viene usato per valutare la salute dei neonati a 1 minuto e a 5 minuti dopo la nascita; tale indice valuta il battito cardiaco, la respirazione, il tono muscolare, il colore della pelle e i riflessi del bambino. Un’ostetrica o un’infermiera assegna al bambino un punteggio di 0,1 o 2 per ogni indicatore di salute, e in base al punteggio fatto si verifica la condizione del neonato. Con più precisione, la salute del neonato viene verificata dalla Scala di valutazione del comportamento del neonato di Brazelton (NBAS): test a cui i neonati vengono sottoposti alcuni giorni dopo la nascita per valutarne lo sviluppo neurologico, i riflessi e le reazioni nei confronti di altre persone. Di recente, Brazelton insieme a Lester e Tronick, ha sviluppato un nuovo sistema di valutazione del neonato, ovvero la Scala neurocomportamentale della rete di terapia intensiva neonatale, la quale permette un’analisi più dettagliata del comportamento del neonato, delle risposte neurologiche, delle reazioni allo stress e delle capacità di regolazione. Questa scala fu progettata per valutare bambini a rischio, specialmente quelli prematuri o quelli che sono venuti in contatto con qualche tipo di sostanza. Tre condizioni collegate tra loro, rappresentano un rischio per i neonati: il sottopeso alla nascita, l’essere prematuro e l’essere piccoli in relazione all’età gestazionale. Coloro che nascono in sottopeso, pesano meno di 2500 grammi. I neonati prematuri, invece, sono quelli che nascono tre settimane, o più, prima che la gravidanza abbia raggiunto il suo termine. Infine, si definiscono neonati troppo piccoli per l’età gestazionale, quei bambini il cui peso è inferiore alla norma, tenendo in considerazione la durata della gravidanza. Ci sono anche variazioni etiche che caratterizzano la nascita pretermine: ad esempio, i bambini afroamericani hanno il doppio delle probabilità rispetto ai bambini bianchi di nascere prematuri. I neonati sottopeso sono più soggetti a problemi di salute e di sviluppo, rispetto ai bambini con un peso normale alla nascita; minore è il peso alla nascita, maggiore è la probabilità di danni celebrali, disturbi ai polmoni o al fegato, difficoltà di apprendimento etc. Programmi intensivi di recupero, sia per i bambini che per i genitori, possono migliorare gli esiti a breve termine del sottopeso alla nascita. Un esempio è la marsupio terapia, ovvero un abbraccio che mette in contatto il corpo della madre con il bambino per circa tre ore al giorno. 4. SVILUPPO FISICO, MOTORIO E PERCETTIVO CRESCITA E CAMBIAMENTI CORPOREI Durante lo sviluppo prenatale e la prima infanzia, la testa costituisce una parte straordinariamente grande rispetto alle dimensioni totali del corpo; la crescita segue due modelli, quello cefalo-caudale e il modello prossimo-distale. Il modello cefalo-caudale è una sequenza in cui la crescita più rapida avviene sempre in alto (testa) e la crescita fisica dal punto di vista della dimensione, peso e differenziazione delle caratteristiche procede dall’alto verso il basso. Ad esempio, lo sviluppo sensoriale e motorio, generalmente, procede secondo il principio cefalo-caudale. Il modello prossimo-distale, invece, è una sequenza in cui la crescita comincia dal centro del corpo per poi procedere verso le estremità. Il neonato medio occidentale, alla nascita è lungo circa 50 cm, e pesa 3 chili e 400 grammi. Una volta che i bambini imparano a succhiare, deglutire e digerire, la crescita diventa molto più veloce, aumentando di circa 150 grammi a settimana nel primo mese. Durante il primo anno, i bambini crescono di circa 2 cm al mese. Nel secondo anno di vita, la crescita rallenta notevolmente. Man mano che il bambino in età prescolare cresce, la percentuale dell’aumento di peso e altezza, diminuisce ogni anno che passa. Le bambine di solito sono più leggere e basse e hanno più tessuto adiposo rispetto ai maschi, in cui prevale il tessuto muscolare. I due fattori più importanti nel determinare le differenze di altezza sono l’origine etnica e l’alimentazione. Il periodo della fanciullezza (6-11) presenta una crescita lenta e costante. Negli anni della scuola primaria, i bambini in media crescono di 5-7 cm all’anno. Negli anni della tarda infanzia, il peso dei bambini aumenta di 2-3 chili all’anno; tale aumento di peso è dovuto principalmente all’aumento delle dimensioni del sistema osseo e di quello muscolare, oltre che di quelle di alcuni organi. In questi anni, i bambini raddoppiano la loro forza muscolare per l’effetto di fattori ereditari e per l’esercizio fisico. Dopo il rallentamento dell’infanzia, la crescita si impenna durante la pubertà, un periodo di maturazione fisica che consiste nei cambiamenti ormonali e fisici che si verificano all’inizio dell’adolescenza. È importante sottolineare che pubertà e adolescenza non coincidono, ma che la pubertà finisce molto prima che l’adolescenza inizi, e per questo è considerata l’indicatore più importante dell’inizio dell’adolescenza. La pubertà ha inizio tra i 10 e i 13 anni, e si conclude nel periodo che va dai 13 ai 17 anni. Si parla di pubertà precoce per descrivere l’esordio molto precoce e la rapida progressione della pubertà; la pubertà precoce si diagnostica quando i segni puberali compaiono prima degli 8 anni nelle femmine, e prima dei 9 nei maschi. Generalmente si affronta con un trattamento farmacologico-ormonale per fermare temporaneamente i cambiamenti puberali. Il momento in cui la pubertà comincia è programmato nei geni di ciascun essere umano, ma anche i fattori ambientali (influenze familiari o stress) possono influenzare la comparsa e la durata della pubertà. Dietro i cambiamenti in ragazzi e ragazze ci sono gli ormoni, sostanze chimiche secrete dalle ghiandole endocrine e trasportate dal sistema sanguigno. Durante la pubertà, la secrezione degli ormoni chiave è controllata dall’interazione dell’ipotalamo, delle gonadi e dell’ipofisi: l’ipotalamo è una struttura del cervello che controlla le funzioni legate al mangiare, al bere e al sesso. L’ipofisi è una ghiandola del sistema endocrino che controlla la crescita e regola il funzionamento di altre ghiandole. Le gonadi, infine, sono le ghiandole sessuali (testicoli nei maschi e ovaie nelle femmine). Si parla di androgeni per indicare la classe principali di ormoni sessuali maschili, mentre per indicare quelli femminili si usa il termine estrogeni. Un androgeno fondamentale è il testosterone, grazie al cui aumento, aumenta anche l’altezza e la voce cambia. Con l’aumento del livello di estradiolo, invece, avviene uno sviluppo del seno, uno sviluppo uterino e cambiamenti ossei. L’attività ormonale è influenzata da vari fattori ambientali. Lo scatto della crescita associato alla pubertà, nelle ragazze avviene circa due anni prima rispetto ai ragazzi, circa a 9 anni, mentre nei ragazzi a 11. I tre aspetti più visibili della maturazione sessuale maschile sono: l’allungamento del pene, lo sviluppo dei testicoli e la crescita di barba e baffi. Per quanto riguarda le ragazze, si manifesta prima o la crescita del seno o dei peli pubici, e in seguito nascono i peli ascellari. Le prime mestruazioni avvengono tra i 9 e i 15 anni d’età, e inizialmente i cicli non sono regolari. studiosi, il sonno REM nell’infanzia permetterebbe la rielaborazione delle stimolazioni ottenute durante la veglia, e quindi contribuirebbe allo sviluppo del sistema nervoso centrale. Un evento drammatico che può avvenire durante il sonno del neonato è la sindrome della morte improvvisa, in cui il neonato cessa di respirare, solitamente di notte, e muore senza una causa apparente. Gli studiosi hanno rilevato che la SIDS diminuisce quando i bambini dormono sulla schiena, piuttosto che sulla pancia o sul fianco. SVILUPPO MOTORIO Lo sviluppo motorio avviene attraverso la manifestazione di un piano genetico, cioè della maturazione. Secondo la teoria dei sistemi dinamici, i neonati accostano le capacità motorie al fine di percepire e agire; per poter sviluppare le capacità motorie, i bambini devono percepire qualcosa che li motivi ad agire e a usare le loro percezioni per affinare i propri movimenti. Quando i bambini sono motivati nel fare qualcosa è possibile che sviluppino un nuovo comportamento motorio, risultato di vari fattori combinati (sviluppo del sistema nervoso, proprietà fisiche del corpo etc.). Il neonato è dotato di alcuni riflessi fondamentali; i riflessi sono reazioni istintive a degli stimoli e controllano i movimenti del neonato. Sono definiti anche come meccanismi di sopravvivenza geneticamente tramandati che permettono ai bambini di rispondere al loro ambiente attraverso l’adattamento.  Riflesso di rooting: quando si accarezza la guancia di un bambino o un lato della sua bocca, il neonato si gira dalla parte in cui è stato toccato in uno sforzo di trovare qualcosa da succhiare.  Riflesso di suzione: quando i neonati iniziano a succhiare automaticamente un oggetto che è stato messo loro in bocca. Questo riflesso permette di trarre nutrimento prima ancora di aver associato un capezzolo al cibo.  Riflesso di Moro: quando il neonato si spaventa, dopo un suono o un movimento improvviso e intenso, arcua la schiena, butta indietro la testa e tende gli arti verso l’esterno. In seguito, il neonato ritrae velocemente braccia e gambe.  Riflesso di prensione: quando qualcosa viene a contatto con il palmo delle mani del neonato, il bambino risponde stringendo forte la mano intorno a ciò che lo tocca. Alcuni riflessi persistono per tutta la vita, altri spariscono dopo alcuni mesi dalla nascita; ad esempio, questi appena elencati tendono a scomparire entro i 3-4 mesi d’età. Le abilità grosso-motorie sono capacità che comportano ampie attività muscolari, come muovere un braccio e camminare. Il requisito fondamentale delle abilità grosso-motorie è quello di un controllo posturale; la postura è un processo dinamico legato alle informazioni sensoriali provenienti dai segnali propriocettivi della pelle, delle articolazioni e dei muscoli che ci dicono cove siamo rispetto allo spazio etc. La locomozione e il controllo posturale sono legati, specialmente per quanto riguarda il camminare eretti. La capacità fondamentale per imparare a camminare è considerata quella di riuscire a stabilire l’equilibrio su una gamba sola abbastanza a lungo per poter portare avanti l’altra gamba e allo stesso tempo spostare il peso su di essa senza cadere. Nell’apprendimento della locomozione, i bambini imparano anche quali tipi di spazi e superfici siano più sicuri. Una conclusione che deriva dallo studio di Karen Adolph rimanda alla specificità dell’apprendimento, ovvero l’idea che gli infanti che hanno esperienza con una modalità di locomozione non sembrano rendersi conto dei pericoli connessi con un’altra modalità di locomozione. Nel secondo anno id vita, i bambini diventano più capaci e mobili dal punto di vista motorio. Entro i 18-24 mesi riescono a camminare velocemente e correre goffamente per brevi tratti, camminare all’indietro senza perdere l’equilibrio, saltare sul posto etc. Le madri nei Paesi in via di sviluppo tendono a stimolare maggiormente le capacità motorie dei loro bambini rispetto alle madri nei paesi più moderni. Quando i bambini vengono guidati fisicamente attraverso un approccio fisico specifico o dandogli la possibilità di muoversi, spesso raggiungono le tappe dello sviluppo motorio prima rispetto agli altri bambini che subiscono un trattamento diverso. A tre anni i bambini vogliono compiere semplici movimenti, come correre avanti e indietro, saltare etc. perché queste attività sono fonte di orgoglio. Anche a quattro anni si divertono nello svolgere queste attività, ma diventano più avventurosi. Durante l’età scolare lo sviluppo motorio dei bambini diventa molto più omogeneo e coordinato rispetto alla prima infanzia. Durante gli anni della scuola primaria, i bambini guadagnano maggiore controllo del loro corpo e riescono a prestare attenzione per periodi di tempo più lunghi. Tuttavia, i bambini della scuola primaria non sono ancora fisicamente maturi, e hanno bisogno di restare attivi; l’azione fisica è essenziale per affinare le capacità di sviluppo dei bambini in quest’età. Gli sport organizzati sono uno dei modi per incoraggiare i bambini a essere attivi e a sviluppare le loro capacità motorie. È importante precisare però, che la partecipazione del bambino a degli sport non necessariamente porta dei benefici: può nascere pressione per la prestazione e la vittoria, incidenti fisici etc. SVILUPPO SENSORIALE E PERCETTIVO La sensazione avviene nel momento in cui l’informazione agisce con i recettori sensoriali: occhi, orecchie, lingua, narici e pelle. La percezione, invece, è l’interpretazione di ciò che viene sentito. Il nostro sistema percettivo riesce a operare in modo selettivo, a partire dalle informazioni che l’ambiente fornisce. Secondo la teoria ecologica, noi percepiamo direttamente le informazioni che esistono nel mondo attorno a noi; la percezione ci mette in contatto con l’ambiente circostante, così che possiamo interagire e adattarci ad esso. L’approccio è chiamato ecologico perché connette le capacità percettive alle informazioni disponibili nel mondo percepito. Secondo questa teoria, tutti gli oggetti hanno delle affordance, ovvero delle possibilità di interazione fornite dagli oggetti, necessarie per compiere azioni. Come possiamo studiare la percezione del neonato?  Tecnica della preferenza visiva: metodo sviluppato da Robert Fantz per capire se i bambini distinguono uno stimolo da un altro, che consiste nella misurazione dei tempi di osservazione sui diversi stimoli.  Presentare uno stimolo un determinato numero di volte; se il neonato riduce la sua risposta allo stimolo, il fenomeno prende il nome di abituazione. Si parla invece di disabituazione quando avviene un recupero della risposta abitudinaria dopo un cambiamento di stimolo.  Ampiezza dei picchi d’onda abbinati alla suzione: in questo studio ai neonati viene data una tettarella senza nutrimento collegata a un sistema che genera un suono, così il bambino presto impara che succhiare porta all’emissione di tale suono. Nel momento in cui i bambini iniziano a perdere l’interesse nel succhiare, lo scienziato cambia il suono generato.  Risposta orientativa: girare la testa verso un’immagine o un suono.  Eye tracking: consiste nel movimento degli occhi che seguono un oggetto in movimento, e viene usata per capire se un bambino vede o meno. Alcuni cambiamenti importanti che affiorano con l’età nella percezione visiva possono essere ricondotti alle differenze nel funzionamento dell’occhio; ciò influenza, per esempio, la chiarezza con cui vediamo un oggetto, se possiamo distinguere i colori etc. Alla nascita, i nervi, i muscoli e le lenti degli occhi si stanno ancora sviluppando; il risultato è che i neonati non vedono piccoli oggetti lontani. Un neonato può vedere circa a 6 metri ciò che un adulto normale può vedere a 73. Sin dalla nascita, i neonati mostrano grande interesse per i volti umani, e dai 3 mesi d’età gli infanti accoppiano le voci ai volti, distinguendo tra volti maschili e femminili. Fantz dimostrò che i neonati osservano oggetti diversi in periodi di tempo differenti. Anche la vista del colore migliora con l’età: a 8 settimane, e anche prima di quattro, gli infanti possono discriminare tra alcuni colori (verde e rosso). Tutti i recettori dell’occhio sensibili al colore funzionano a partire dai 2 mesi di vita. La visione binoculare, che si sviluppa tra i 3 e i 4 mesi, compone in una sola immagine le due diverse visioni del mondo ricevute dai nostri occhi data la loro distanza. I bambini diventano sempre più esperti nella distinzione dei confini tra i colori verso i 3-4 anni di età: a quest’età, i muscoli dell’occhio sono abbastanza sviluppati da permettergli di muovere i suoi occhi in modo efficiente attraverso una serie di lettere. Secondo la costanza percettiva gli stimoli sensoriali mutano, ma la percezione del mondo fisico rimane costante; lo sviluppo di questa costanza percettiva permette al neonato di percepire il suo mondo come stabile. Ci sono due tipi di costanza percettiva: la costanza della dimensione è il riconoscimento che un oggetto rimane uguale anche quando la sua immagine sulla retina cambia. La costanza della dimensione si sviluppa fino a 10-11 anni. La costanza della forma, invece, è il riconoscimento che un oggetto non modifica la sua forma, anche se la sua angolazione rispetto a noi cambia. La percezione della costanza della forma è presente nei bambini di tre mesi, anche se non ce l’hanno per oggetti con forme irregolari. Nei primi due mesi l’infante non percepisce oggetti nascosti come completi, bensì percepisce solo ciò che è visibile. Apprendimento, esperienza, esplorazione diretta dai movimenti oculari, sono tutti fattori che hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo della percezione degli oggetti interni nell’infanzia. Da uno studio recente è emerso che l’abilità di percepire gli oggetti nascosti completandoli, si sviluppa tra i 3 e i 5 mesi di età. Da un esperimento di Gibson e Walk, è evidente che i bambini percepiscano la profondità; tra i 6 e i 12 mesi i bambini hanno già un’intensa esperienza visiva, mentre invece bambini di 2-4 mesi mostravano differenze di ritmo cardiaco quando vengono posti sul lato più ripido del finto precipizio o sul lato più basso. Durante gli ultimi due mesi di gravidanza, il feto riesce a sentire i suoni dall’interno del grembo materno. Da un esperimento è emerso che il cervello di un neonato possiede già la capacità di imparare anche prima di nascere (storia del gatto nel cappello). I cambiamenti che avvengono durante l’infanzia nelle capacità uditive riguardano: altezza, perché lo stimolo per essere percepito dal neonato deve essere più alto rispetto all’adulto, tono, perché i neonati sono meno sensibili ai toni bassi e sentono quindi più facilmente i suoni a toni alti. A due anni di età i bambini aumentano la loro capacità di distinguere suoni dai toni diversi. Infine, la localizzazione, perché i neonati possono determinare la provenienza generale dei suoni, ma compiuti i sei mesi si diventa sempre più esperti nella localizzazione dei suoni e nella definizione delle loro origini. I neonati provano dolore e reagiscono al tatto. Per molti anni i dottori hanno praticato operazioni su neonati senza anestesia, per la supposizione che i bambini non sentissero il dolore. Quando la ricerca dimostrò il contrario, la pratica delle operazioni sui neonati senza anestesia fu messa in crisi. I neonati possono distinguere gli odori. Dall’espressione sui loro volti, sembrano preferire odori di fragola e vaniglia, rispetto a quelli di uova marce e pesce. La sensibilità al gusto può presentarsi anche prima della nascita. Secondo uno studio, a solo due ore di vita i bambini hanno espressioni diverse a seconda della loro esperienza di un gusto dolce, aspro o amaro. A circa quattro mesi i bambini iniziano a preferire i gusti salati. Esiste una grande corrispondenza tra informazioni visive e uditive; si parla di percezione intermodale, la quale implica l’integrazione delle informazioni provenienti da due o più modalità sensoriali, come per esempio vista e udito. Nei primi sei mesi di vita i bambini trovano ancora difficile collegare informazioni sensoriali provenienti da diverse modalità, ma nella seconda metà del primo anno di vita mostrano una migliore capacità ti eseguire tale collegamento a livello mentale. Nel campo dello sviluppo percettivo, i sostenitori della natura si definiscono innatisti, mentre chi enfatizza l’apprendimento e l’esperienza sono chiamati empiristi. Secondo i primi, l’abilità di percepire il mondo in un modo competente e organizzato è innata e congenita. La teoria ecologica, esaminata prima, si appoggia a una spiegazione innatista dello sviluppo percettivo, in quanto ha considerato la percezione diretta fin dai primi momenti dopo la nascita, e si sviluppa nell’infanzia consentendo la scoperta della costanza di forma e dimensione etc. L’approccio ecologico però enfatizza che lo sviluppo percettivo implica caratteristiche distintive che sono scoperte a età differenti. Molte delle percezioni precoci si sviluppano da un fondamento innato, eppure man mano che gli infanti si sviluppano le esperienze ambientali affinano molte funzioni percettive e può darsi che siano la forza trainante dietro ad alcune funzioni. COPPIA PERCETTIVO- MOTORIA L’azione può guidare la percezione e viceversa. Solo muovendo gli occhi, la testa e muovendosi da un luogo all’altro, un individuo può fare esperienza completa del proprio ambiente circostante e imparare ad adattarsi  Coordinazione delle reazioni circolari secondarie: avviene tra gli 8 e i 12 mesi, e le azioni diventano sempre più dirette verso l’esterno. L’infante deve coordinare vista e tatto, mani e occhi e, infatti, i cambiamenti più significativi in questo stadio coinvolgono la coordinazione degli schemi. Un’altra conquista del periodo è la presenza dell’intenzionalità: i bambini diventano capaci di coordinare azioni diverse orientate intenzionalmente verso una meta.  Reazioni circolari terziarie, novità e curiosità: tra i 12 e i 18 mesi i bambini sono affascinati dalle molte caratteristiche degli oggetti e dalle cose che possono fare con essi. Le reazioni circolari terziarie sono schemi in cui il bambino intenzionalmente esplora nuove possibilità con gli oggetti.  Interiorizzazione degli schemi: tra i 18 e i 24 mesi d’età, ha inizio la capacità del bambino di usare simboli rudimentali. Tali simboli permettono all’infante di pensare a oggetti o eventi concreti senza percepirli o agire direttamente su essi. Verso la fine del periodo sensomotorio, gli oggetti sono sia separati dal sé, sia permanenti. La nozione di oggetto permanente indica la comprensione del fatto che gli oggetti e gli eventi continuano a esistere anche quando non possono essere visti, sentiti o toccati. Piaget pensava che alcuni processi fossero indispensabili per le transizioni da uno stadio all’altro, ma non sempre è così. Es: errore A-non-B, termine per descrivere l’errore dei bambini nello scegliere il luogo familiare per un nascondiglio al posto di un nuovo luogo mentre procedono verso il sottostadio 4 dello stadio sensomotorio. Alcuni teorici, tra cui Elizabeth Spelke, sostengono che i bambini piccoli sono già capaci di interpretare il mondo, dal momento che fanno delle previsioni a partire dagli eventi percepiti. La Spelke, inoltre, appoggia l’idea di core knowledge, cioè l’idea che i bambini nascono con sistemi di conoscenza innati che fanno riferimento ai concetti di spazio, numero, permanenza dell’oggetto e linguaggio. Lo stadio preoperatorio è il secondo stadio nella teoria piagetiana, e dura dai 2 ai 7 anni circa. In questa fase i bambini cominciano a rappresentare il mondo attraverso parole, immagini, disegni e gioco simbolico. Il nome di questo stadio enfatizza il fatto che in questo momento il bambino non compie effettivamente delle operazioni (azioni interiorizzate che permettono al bambino di compiere mentalmente ciò che prima poteva fare solo fisicamente). Gli schemi mentali sono ancora limitati agli oggetti e alle azioni sperimentate nella realtà, e non sono ancora coordinati tra loro. Questo periodo è diviso convenzionalmente in due sottostadi:  Funzione simbolica: va dai 2 ai 4 anni circa, e qui il bambino acquisisce la capacità di rappresentare mentalmente un oggetto non presente. In questo periodo è forte la presenza dell’egocentrismo, cioè l’incapacità di distinguere la propria prospettiva da quella degli altri. Altra limitazione del pensiero preoperatorio è l’animismo, che consiste nel credere che oggetti inanimati abbiano qualità legate all’essere vivi e siano capaci di compiere azioni. Il finalismo, invece, è il principio presente nel pensiero del bambino, secondo cui si crede tutti i fenomeni abbiano uno scopo orientato a garantire all’uomo le condizioni di una vita serena. Anche con il conetto di artificialismo si fa riferimento a una tendenza tipica del modo di pensare del bambino preoperatorio: si crede che le cose siano state costruite dall’uomo o da un’attività divina che opera secondo le regole della costruzione umana.  Pensiero intuitivo: si sviluppa tra i 4 e i 7 anni d’età, e qui i bambini cominciano a utilizzare ragionamenti rudimentali, e vogliono risposte a tutti i tipi di domande. Uno dei limiti del pensiero preoperatorio è l’irreversibilità, cioè la capacità di annullare, invertire o compensare un certo risultato. Secondo Piaget, le azioni interiorizzate del periodo preoperatorio non sono coordinate in un sistema e il bambino non è capace di attivarne più di una alla volta (centrazione). L’irreversibilità del pensiero preoperatorio è responsabile della mancanza di conservazione dei bambini, ovvero la consapevolezza che una data quantità rimane inalterata al di là di come il suo contenitore cambia. Rochel Gelman dimostrò che quando migliora l’attenzione del bambino, egli acquisisce la conservazione più facilmente. Un altro limite del periodo preoperatorio è la trasduzione, ovvero il ragionamento tipico del periodo che si verifica quando il bambino ricava erronee conclusioni di carattere causale tra eventi contigui nello spazio o nel tempo. Lo stadio operatorio concreto va dai 7 agli 11 anni d’età circa. Qui il ragionamento logico sostituisce quello intuitivo nei casi in cui il ragionamento può essere applicato a esempi specifici o concreti; questo stadio segna quindi il passaggio dal dominio della percezione a quello della logica. Le operazioni concrete permettono ai bambini di coordinare più caratteristiche tra loro, invece di focalizzarsi su una singola proprietà dell’oggetto. Alcune forme di conservazione sono comprese prima di altre, e rispetto a questo sfasamento temporale Piaget parlò di décalage orizzontale: pensiero secondo cui capacità simili non emergono nello stesso momento in un determinato stadio di sviluppo. In questo periodo si arriva anche alla genesi del pensiero logico, che consiste nella coordinazione di punti di vista diversi tra loro che possono appartenere o a individui diversi o allo stesso individuo. Molte dele operazioni concrete identificate da Piaget implicano i modi attraverso cui i bambini ragionano sulle proprietà degli oggetti: una capacità importante è quella di classificare gli oggetti e di considerare le loro relazioni. La classificazione consiste nell’individuare proprietà invarianti di oggetti diversi e di paragonare la classe con le sue sottoclassi senza confonderle. Un’ altra operazione concreta è la seriazione, ovvero l’ordinare stimoli in una dimensione quantitativa. La transitività, o inferenza transitiva, coinvolge la capacità di ragionamento e di combinazioni di tipo logico rispetto alle varie relazioni. Lo stadio delle operazioni formali avviene tra gli 11 e i 15 anni, e qui gli individui passano oltre le esperienze concrete e pensano in modi più astratti e logici. Gli adolescenti imparano a pensare più astrattamente e idealisticamente, e anche a pensare in modo più logico; usano il ragionamento ipotetico- deduttivo, secondo cui gli adolescenti sviluppano la capacità cognitiva di fare ipotesi su come risolvere un problema e capiscono quale sia il miglior percorso da seguire. Un’altra caratteristica di questo periodo è l’egoismo adolescenziale, ovvero l’aumentata coscienza di sé che si riflette sulla convinzione che gli altri siano interessati a loro e al loro senso d’unicità e invincibilità tanto quanto lo sono loro stessi. Questo egocentrismo può essere suddiviso in due tipi di pensiero sociale: il pubblico immaginario, cioè la tendenza ad assumere comportamenti per richiamare l’attenzione su di sé, e la fiaba personale, che è quella parte dell’egocentrismo adolescenziale che comprende la sensazione di unicità e di invincibilità dell’adolescente. APPLICAZIONI E VALUTAZIONI DELLA TEORIA DI PIAGET Piaget elaborò alcune idee che possono essere applicate all’insegnamento:  Assumere un approccio costruttivista: i bambini apprendono meglio quando sono parte attiva e quando trovano le risposte da soli.  Facilitare l’apprendimento, piuttosto che dirigerlo: si devono creare situazioni che permettono agli studenti di imparare mettendo in pratica la teoria, perché così si promuove il pensiero e la scoperta da parte dei soggetti. Gli insegnanti fanno domande agli studenti per aiutarli in una migliore comprensione.  Considerare le conoscenze e il livello di pensiero del bambino: gli insegnanti devono essere capaci di interpretare ciò che uno studente dice e di rispondere tenendo conto del livello dello studente.  Utilizzare valutazioni continue: per valutare i progressi si possono utilizzare, per esempio, le conoscenze di matematica e di lingua.  Promuovere la salute intellettuale degli studenti: l’apprendimento nei bambini deve accadere in modo naturale. I bambini non devono essere sotto pressione per raggiungere presto lo stadio più evoluto del loro sviluppo.  Trasformare l’aula in un setting di esplorazione e scoperta: gli insegnati osservano gli interessi e la partecipazione spontanea alle attività degli studenti, così da determinare il loro percorso d’apprendimento. Piaget fu una pietra miliare nel campo della psicologia dello sviluppo. Il metodo da lui utilizzato, che diventò poi una sua prerogativa, prese il nome di metodo clinico-critico; consiste nel mettere insieme diversi metodi, come l’osservazione, il metodo clinico e il quasi-esperimento. Nonostante ciò, sono emersi dubbi riguardo tale teoria e non è rimasta indenne da revisioni. Per esempio, alcuni aspetti della permanenza dell’oggetto emergono prima di quanto esposto da Piaget, e la capacità cognitive possono emergere anche più tardi. Inoltre, Piaget pensava agli stadi come a strutture unitarie di pensiero, dando quindi per scontato che i vari aspetti di uno stadio emergessero nello stesso momento, e questo non sempre si verifica. Infine, la cultura e l’educazione esercitano influenze più forti sullo sviluppo dei bambini rispetto a quanto pensato da Piaget. Nasce anche il gruppo di teorici neo-piagetiani, che partono dalla teoria di Piaget ma che hanno sviluppato la convinzione che lo sviluppo cognitivo dei bambini, in molti casi è più specifico di quanto proposto dalla teoria di partenza. Un altro approccio derivato dalle idee piagetiane è quello denominato del conflitto socio-cognitivo, secondo cui si riteneva che lo sviluppo cognitivo dipendesse non solo dal conflitto intraindividuale tra strutture, ma anche da un conflitto interindividuale. LA TEORIA DELLO SVILUPPO COGNITIVO DI VYGOTSKIJ Oltre a Piaget, anche Vygotskij elaborò una teoria riguardo gli aspetti cognitivi dello sviluppo. Sottolineò che i bambini costruiscono attivamente la loro conoscenza, ma secondo lui le funzioni mentali hanno connessioni sociali. Lo sviluppo cognitivo degli individui dipende dagli strumenti messi a disposizione dalla società, e la loro mente prende forma a partire dal contesto culturale in cui vivono. L’evoluzione della mente avviene attraverso l’acquisizione di strutture psichiche che possono essere inferiori (percezione, motricità, emozioni etc.) o superiori (attenzione volontaria, pensiero, ragionamento etc.); è il linguaggio che permette alle funzioni psichiche inferiori di diventare superiori. Il linguaggio serve per la comunicazione e l’interazione sociale, ma è fondamentale in Vygotskij perché è anche lo strumento interno che guida il pensiero, utile per il trasferimento dell’esperienza a livello sociale e ha anche una funzione di autoregolazione. La transizione da un’intelligenza pratica a un’intelligenza condivisa non avviene solo attraverso il linguaggio: lo studioso parla infatti di mediatori simbolici, ovvero sistemi di segni che sono prodotti dello sviluppo storico culturale. Per Vygotskij lo sviluppo cognitivo è il risultato delle interazioni del bambino con altre persone che gli trasmettono gli strumenti culturali necessari per l’attività intellettuale. Questa convinzione, si riflette sull’idea della zona di sviluppo prossimale; questa è la differenza tra il livello di sviluppo effettivo di un individuo, manifestato quando risolve un compito da solo e il suo livello di sviluppo potenziale, che si può esprimere se il compito fosse risolto con le indicazioni di un altro soggetto più competente. Dal concetto di zona di sviluppo prossimale, deriva il riferimento alla sensibilità dell’adulto rispetto alle abilità del bambino e al concetto di scaffolding. Con questo termine si indica la modulazione del livello di supporto; durante una sessione di insegnamento, una persona con più abilità dosa il tipo di guida a seconda della prestazione del bambino. Un elemento fondamentale di scaffolding è il dialogo. Per Vygotskij linguaggio e pensiero all’inizio sono indipendenti, mentre verso i 2 anni i bambini capiscono che le cose hanno un nome e usano le parole come forme simboliche del pensiero. A 3 anni si ha un linguaggio privato che serve da guida per il pensiero e che a circa 7-8 anni diventa linguaggio interiore. Lo studioso, inoltre, sosteneva che i bambini usano il linguaggio per pianificare, guidare e monitorare il loro stesso comportamento. Questo uso del linguaggio per un’auto-regolazione è chiamato linguaggio interiore. Se per Piaget il bambino fino ai 7-8 anni parla e pensa in un modo egocentrico distaccato dalla realtà e fine a sé stesso, per Vygotskij il linguaggio egocentrico è strettamente connesso all’attività pratica. Inoltre, i bambini devono comunicare esternamente e usare il linguaggio per un lungo tempo prima di riuscire a compiere il passaggio tra linguaggio esterno e interno; questo periodo di transizione si verifica tra i 3 e i 7 anni e consiste nel parlare con sé stessi. Modi in cui la teoria di Vygotskij può essere usata in classe:  Valutazione della zona di sviluppo prossimale del bambino: Vigptskij sosteneva che la valutazione dovesse concentrarsi sulla determinazione della zona di sviluppo prossimale del bambino. La guida, quindi, presenta al bambino dei compiti di varia difficoltà per determinare il punto da cui è meglio far partire l’istruzione.  Utilizzo della zona di sviluppo prossimale del bambino nell’insegnamento: l’insegnamento dovrebbe partire dalla soglia più alta della ZPD, così che il bambino possa raggiungere gli obiettivi con un aiuto e procedere a livelli superiori di conoscenza.  Uso di compagni di classe più abili come insegnanti: non sono solo gli adulti ad essere importanti nell’aiuto all’apprendimento dei bambini, ma possono risultare utili anche il sostegno e la guida di compagni più abili. Usando questo approccio, i ricercatori descrivono e analizzano come la velocità di elaborare informazioni, la memoria, l’attenzione, il pensiero e la metacognizione cambiano nel tempo. L’approccio dell’elaborazione delle informazioni si focalizza sui modi in cui i bambini elaborano le informazioni sul loro mondo, manipolano, monitorano le informazioni e creano strategie per gestirle. Come le teorie viste nel capitolo 5, questo approccio rifiuta la posizione comportamentista. L’elaborazione delle informazioni nei bambini può essere limitata dalla capacità, dalla velocità e dall’applicazione di strategie appropriate per acquisire e utilizzare la conoscenza. Secondo tale approccio, lo sviluppo cognitivo dei bambini è il risultato della loro capacità di superare le limitazioni d’elaborazione attraverso l’incremento dell’esecuzione delle operazioni di base, così da acquisire nuove conoscenze e strategie. I cambiamenti nello sviluppo dell’elaborazione delle informazioni sono facilmente influenzati da capacità e velocità di elaborazione; queste due caratteristiche vengono chiamate risorse cognitive, e sembrano avere un importante influenza sulla memoria e sulla risoluzione dei problemi. Sia la biologia che l’esperienza contribuiscono alle risorse cognitive. La maggior parte degli psicologi dell’elaborazione delle informazioni sostiene che all’aumento della capacità di elaborazione delle informazioni, aumenta anche la loro capacità di tenere a mente diverse dimensioni di un argomento simultaneamente. La velocità con cui i bambini elaborano le informazioni spesso influenza ciò che riescono a fare di quelle informazioni; nei bambini, la velocità di elaborazione è legata alla loro competenza nel pensare. I ricercatori hanno identificato diversi modi per valutare la velocità di elaborazione: può essere misurata attraverso una tecnica che utilizza il tempo di reazione attraverso cui gli individui devono spingere un bottone appena vedono uno stimolo, oppure i soggetti devono collegare numeri, parole o simboli sullo schermo di un computer. La velocità di elaborazione continua a migliorare nella prima adolescenza. Secondo Robert Siegler, esistono tre meccanismi che si mettono in moto nella creazione dei cambiamenti nelle capacità cognitive dei bambini:  Codificazione: processo per il quale le informazioni passano nella memoria. I cambiamenti delle capacità cognitive dei bambini dipendono da un aumento di capacità di codificare informazioni rilevanti e ignorare quelle irrilevanti.  Automaticità: capacità di elaborare le informazioni con poco o nessuno sforzo. Il risultato è che l’elaborazione dei dati diventa sempre più automatica, e quindi possiamo eseguire i nostri compiti più velocemente ed eseguirne più di uno per volta.  Costruzione di una strategia: creazione di nuove modalità per l’elaborazione dell’informazione. Siegler, inoltre, sostiene che l’elaborazione di informazioni dei bambini è caratterizzata dall’auto-modifica: i bambini imparano cioè a utilizzare ciò che hanno appreso in circostanze precedenti adattando le loro risposte alla nuova situazione. Parte di questa auto-modifica dipende dalla metacognizione, ossia il “sapere di sapere”. Secondo Siegler, quindi, i bambini hanno un ruolo attivo nel loro sviluppo cognitivo. Come la teoria di Piaget, alcune versioni dell’approccio dell’elaborazione delle informazioni sono costruttiviste, e vedono i bambini come guide del loro stesso sviluppo cognitivo. Gli psicologi dell’elaborazione delle informazioni, inoltre, individuano capacità e limitazioni cognitive in vari momenti dello sviluppo: descrivono i modi in cui gli individui comprendono o meno importanti concetti in diversi momenti della vita e tentano di spiegare come una comprensione maggiore nasca da una comprensione minore. Al contrario di Piaget, questo approccio non vede lo sviluppo come un evento improvviso che avviene in diversi stadi con brevi periodi di transizione da uno stadio all’altro, ma vedono gli individui sviluppare gradualmente una maggiore capacità di elaborazione delle informazioni che permette loro di acquisire conoscenze e abilità sempre più complesse. All’interno dell’approccio information processing, la posizione dominio-specifica prevale su quella dominio-generale. 1) rispetto a Piaget, l’approccio dell’information processing fa riferimento a ambiti di conoscenza distinti e specializzati; 2) la presenza di questi domini specifici non esclude però la compresenza di domini con un funzionamento più generale: ad esempio, alcune ricerche rilevano come lo sviluppo della velocità di elaborazione delle informazioni si riverberi su diversi domini, mentre nel corso dello sviluppo la capacità di memoria di lavoro si collega a domini cognitivi molto specifici. L’ATTENZIONE L’attenzione è la messa a fuoco di risorse mentali; migliora l’elaborazione cognitiva di molti compiti, e sia bambini che adulti possono prestare attenzione solo a un limitato numero di informazioni. Esistono diversi modi attraverso cui si può distribuire l’attenzione:  Attenzione selettiva: consiste nel focalizzarsi su un aspetto specifico dell’esperienza considerato rilevante, ignorandone altri che sono irrilevanti.  Attenzione divisa: implica il concentrarsi su più di un’attività contemporaneamente.  Attenzione sostenuta: è l’abilità di mantenere l’attenzione sullo stimolo selezionato per un prolungato periodo di tempo.  Attenzione esecutiva: implica l’azione di pianificare, distribuire l’attenzione ai diversi obiettivi. L’attenzione nel primo anno di vita è dominata da un processo di orientamento, che implica il dirigere l’attenzione a localizzazioni potenzialmente importanti nell’ambiente e il passare in ricognizione gli oggetti e le loro caratteristiche. Un tipo di attenzione importante in questo periodo è l’attenzione sostenuta, che permette ai bambini di apprendere e di ricordare le caratteristiche di stimoli divenuti familiari. I processi di abituazione e disabituazione hanno legami stretti con l’attenzione: l’attenzione degli infanti è governata dalla novità e dell’abituazione, tale per cui quando uno stimolo diventa familiare, l’attenzione diminuisce e i bambini sono più vulnerabili alla distrazione. Un altro aspetto dell’attenzione, importante nello sviluppo infantile è l’attenzione congiunta, secondo cui gli individui si focalizzano sullo stesso oggetto o evento. Questo tipo di attenzione richiede: l’abilità di identificare la traiettoria del comportamento di un’altra persona, una persona che dirige l’attenzione di un’altra persona, un’interazione reciproca. I cambiamenti più importanti nell’attenzione avvengono durante la seconda infanzia; con l’età, i bambini diventano più capaci di concentrarsi su un compito per lunghi periodi, focalizzarsi sull’informazione pertinente, o pianificare la ricerca di informazioni che li aiuteranno a raggiungere uno scopo. In questo periodo i bambini fanno progressi soprattutto riguardo l’attenzione esecutiva e l’attenzione sostenuta: con l’aumento della prima si ha un incremento nella capacità di autocontrollare l’impegno e lo sforzo sul compito. Alcune strutture neurali coinvolte nell’attenzione subiscono cambiamenti fino alla pubertà, come ad esempio la formazione reticolare. Dopo i 6-7 anni, i bambini prestano più attenzione agli aspetti rilevanti per svolgere un compito o risolvere un problema; questo cambiamento evolutivo riflette il passaggio al controllo cognitivo dell’attenzione che permette ai bambini di agire in modo meno impulsivo. L’attenzione sostenuta e quella esecutiva sono aspetti molto importanti dello sviluppo cognitivo dell’adolescente. Dato che agli adolescenti è richiesto di impegnarsi in compiti più ampi e sempre più complessi, un fattore critico è rappresentato dalla loro abilità a sostenere l’attenzione in modo da riuscire con efficacia. Una tendenza implicata nell’attenzione divisa è quella degli adolescenti che si impegnano in più compiti contemporaneamente: il multitasking. Questa tendenza espande le informazioni a disposizione degli adolescenti e forza il cervello a condividere le risorse elaborate, il che può distrarre l’attenzione dell’individuo da ciò che dovrebbe essere momentaneamente importante. L’età adulta e anziana è caratterizzata dall’invecchiamento fisico, che porta a un cambiamento delle diverse funzioni sensorimotorie da cui dipende l’attenzione. Il rallentamento dei tempi di attenzione e la difficoltà a svolgere più compiti insieme sono caratteristiche di questo periodo. LA MEMORIA La memoria è la ritenzione di informazioni nel tempo. I ricercatori studiano i modi in cui le informazioni sono riposte o codificate nella nostra memoria, il modo in cui vengono immagazzinate e come vengono recuperate più tardi. Un tipo di memoria è la memoria a breve termine, ossia la ritenzione di informazioni intorno ai 15-30 secondi, a meno che non ci sia qualche ripasso dell’informazione; in questo caso, è possibile aumentare la durata della memoria a breve termine. La MBT può contenere solo pochi chunck (blocco di informazioni) alla volta. Poi abbiamo la memoria a lungo termine, che è un tipo di memoria relativamente permanente e illimitata. La memoria di lavoro (working memory) è un “banco di lavoro” mentale, sul quale gli individui manipolano e assemblano le informazioni mentre prendono decisioni, risolvono problemi e comprendono il linguaggio scritto e orale. I bambini con una buona working memory sono più avvantaggiati nella comprensione della lettura e nella risoluzione dei problemi rispetto agli altri bambini. Gli adulti e i bambini costruiscono continuamente i loro ricordi. Secondo la teoria degli schemi, le persone rimodellano le informazioni in modo che calzino con le informazioni che già esistono nelle loro menti; tale processo è guidato dagli schemi, cioè strutture mentali che organizzano concetti e informazioni. Gli schemi, inevitabilmente, influenzano il modo in cui codifichiamo, deduciamo e recuperiamo le informazioni. La teoria della traccia sfocata, invece, sostiene che quando si codificano le informazioni si creano due tipi di rappresentazioni: le tracce verbatim, composte da dettagli precisi e le tracce sfocate, che si riferiscono all’idea centrale dell’evento; per questo, tali tracce vengono chiamate anche gist, ovvweo il succo centrale dell’evento. La nostra capacità di ricordare nuove informazioni su un certo argomento dipende molto da cosa già ne sappiamo. L’expertise ha a che fare con la costruzione di una conoscenza particolarmente approfondita, relativa a uno specifico argomento. Recentemente, studiosi dello sviluppo del bambino hanno rilevato che bambini di appena 3 mesi mostrano un tipo di memoria limitato. Rovee-Collier e altri, sostengono che dai 2 ai 6 mesi d’età i bambini possono ricordare alcune esperienze fino a 1 o 2 anni d’età; tuttavia, i critici di questa teoria sostengono che gli esperimenti di Rovee-Collier dimostrano solo l’esistenza di una memoria implicita. Questa è priva di una ricostruzione conscia, si tratta infatti delle memorie di capacità e procedimenti abituali che vengono eseguiti automaticamente. Al contrario, la memoria esplicita si riferisce alla memoria conscia rispetto a fatti ed esperienze; questo tipo di memoria migliora notevolmente durante il secondo anno di vita. Da circa i 6 ai 12 mesi la maturazione dell’ippocampo e la corteccia cerebrale, specialmente i lobi frontali, rendono chiara la comparsa della memoria esplicita. La maggior parte degli adulti ricorda poco, se non nulla, dei primi 3 anni di vita; questo fenomeno è chiamato amnesia infantile. Uno dei motivi scatenanti questo fenomeno è l’immaturità dei lobi prefrontali del cervello, mentre secondo altri l’adulto non ricorda le esperienze dell’infanzia perché è come se le avesse “salvate” in una lingua che non parla più, cioè non dispone più delle modalità “primitive” in cui da bambino organizzò le esperienze in memoria. È opportuno ricordare un’altra distinzione all’interno della memoria a lungo termine, tra memoria episodica e memoria semantica. Nella prima i ricordi sono connessi allo specifico contesto spaziotemporale in cui sono avvenuti gli eventi a cui si riferiscono; nella memoria episodica è importante distinguere le memorie personali e le memorie autobiografiche, che contengono le esperienze personali significative, che hanno il focus sul sé, cioè sul soggetto che ricorda questi eventi. La memoria semantica, invece, contiene la rappresentazione dei concetti e delle loro relazioni, ovvero tutte le conoscenze che si formano con l’aiuto dei processi di astrazione. La memoria dei bambini migliora incredibilmente dopo la prima infanzia. I bambini, rispetto agli adulti, sono molto meno esperti in molti campi, ma la loro conoscenza crescente è proprio la causa del loro miglioramento di memoria. I bambini nel periodo delle scuole primarie iniziano a ricordare partendo dal cuore degli eventi. Un’altra fonte di miglioramento nella memoria infantile include i cambiamenti nel memory span e nell’uso delle strategie. Il memory span consiste nell’ascoltare una breve serie di stimoli presentati velocemente, e nel ripeterli subito dopo. Tra le strategie che possono venire in aiuto alla memoria ci sono la reiterazione, l’organizzazione, l’elaborazione e l’immaginazione. Organizzare, cioè raggruppare gli elementi da memorizzare in categorie o insiemi, è una strategia che aiuta a ricordare le informazioni, soprattutto ai bambini in età scolare. L’elaborazione consiste, invece, nell’inserire gli item da ricordare in una struttura significativa o nel collegarli con altre conoscenze di cui si è già in possesso, e perciò nel manipolare mentalmente il materiale transizione, importante nello sviluppo del pensiero critico. Diversi cambiamenti cognitivi avvengono in questa fascia di età, e permettono un maggior pensiero critico che include un aumento nella velocità, nell’automaticità e nella capacità di elaborazione delle informazioni, una maggiore conoscenza di diversi argomenti e un uso più spontaneo di strategie e procedure per ottenere e applicare conoscenza. In confronto ai bambini, gli adolescenti si formano più facilmente delle opinioni, immaginano le conseguenze delle loro decisioni e considerano la credibilità delle fonti. Essere in grado di prendere giuste decisioni non garantisce che questo avvenga nella vita di tutti giorni, dove spesso entra in gioco l’influenza dell’esperienza. Una proposta per aiutare gli adolescenti nel decision making a partire dalla spiegazione di come avviene, è rappresentata dal modello del duplice processo, che dichiara che il decision making è influenzato da due sistemi cognitivi, uno analitico e uno esperienziale, che sono in competizione l’uno con l’altro. In questo modello è il sistema esperienziale ad avere un ruolo di primo piano nel decision making per gli adolescenti. LA METACOGNIZIONE La metacognizione aiuta le persone a eseguire molti compiti cognitivi con più efficacia. La metacognizione può avvenire in molti modi: può, ad esempio, includere la conoscenza su quando e dove utilizzare particolari strategie per apprendere e risolvere problemi. La metamemoria, ovvero la conoscenza individuale rispetto alla memoria, è una forma importante di metacognizione; comprende la conoscenza generale sulla memoria e include la conoscenza rispetto alla propria memoria personale. Sotto alcuni aspetti, la metamemoria dei bambini è limitata: non comprendono che oggetti legati tra loro sono più facili da ricordare rispetto a oggetti slegati da qualsiasi relazione, o che ricordare il contenuto di una storia è più facile che ricordarsela a memoria. Inoltre, i bambini in età prescolare hanno un’opinione esagerata delle loro capacità mnemoniche, e hanno anche poca percezione dell’importanza dei cues d’aiuto per la memoria. Tuttavia, bambini della scuola primaria migliorano la loro capacità metacognitiva di monitorare consapevolmente e controllare i loro processi mentali; l’apprendimento auto-regolato consiste nell’auto-generazione e nell’auto-monitoraggio di pensiero, sentimenti e comportamenti intrapresi per raggiungere un obiettivo. Importanti cambiamenti metacognitivi avvengono anche durante l’adolescenza: gli adolescenti hanno un’aumentata capacità di monitoraggio e gestione delle risorse cognitive per andare incontro ai compiti di apprendimento in modo efficacie. Un aspetto importante delle funzioni cognitive e dell’apprendimento è stabilire quanta attenzione riporre sulle risorse esistenti. Gli adolescenti hanno un migliore meta-livello di comprensione delle strategie, ovvero hanno la capacità di riconoscere la migliore strategia da usare e il momento in cui attuarla, a seconda della situazione di apprendimento. LA TEORIA DELLA MENTE La teoria della mente riguarda il funzionamento dei processi mentali e si riferisce alla consapevolezza dei propri processi mentali e di quelli degli altri. La teoria della mente è un’abilità che tutti usiamo quotidianamente quando ci rapportiamo con gli altri: la cosiddetta psicologia del senso comune (o psicologia intuitiva) che consiste appunto nella tendenza dell’essere umano a spiegare le interazioni quotidiane, facendo riferimento agli stati interni che le hanno determinate. Nel 1983, Wimmer e Perner realizzarono il paradigma sperimentale noto come “compito della falsa credenza”, con lo scopo di verificare la capacità dei bambini di prevedere il comportamento di un’altra persona in base all’attribuzione di stati interni. Diversi studi si sono occupati di indagare quali elementi potessero essere considerati degli indicatori precoci della comparsa di una teoria della mente. Nello specifico, si tratta dei processi di condivisione dell’attenzione, della comunicazione intenzionale prelinguistica, dei giochi di imitazione e dei giochi di finzione. Per quanto riguarda il primo fenomeno, è definibile come quel meccanismo che consente di capire se il bambino e un’altra persona stanno osservando lo stesso oggetto, focalizzando l’attenzione su di esso. Durante i primi mesi di vita, il bambino può impegnarsi singolarmente, o in sequenze di interazione con l’adulto, o in sequenze di manipolazione ed esplorazione degli oggetti: questo periodo viene chiamato intersoggettività primaria, caratterizzata da relazioni esclusivamente diadiche. Solo dopo i 6 mesi le sequenze interattive diventano triadiche e coinvolgono contemporaneamente il bambino, la madre e un oggetto: si tratta della fase definita intersoggettività secondaria. Una delle prime forme di comunicazione intenzionale è il gesto di indicazione; quando l’indicazione assume una forma dichiarativa, verso la seconda metà del primo anno di vita, il bambino si serve dell’oggetto per ottenere l’attenzione dell’adulto, e quindi il gesto assume una funzione comunicativa. Forme particolarmente precoci di imitazione sono state riscontrate fin dalle prime ore di vita del bambino; giochi di imitazione assumono delle forme più complesse lungo lo sviluppo, e dipendono dal fatto che i bambini percepiscono una somiglianza tra sé stessi e le altre persone, e per questo tendono a comportarsi in modo simile. I giochi di finzione, infine, compaiono piuttosto presto, e già tra i 15-16 mesi i bambini mostrano di avere delle capacità elementari relative al “gioco del far finta”. Tra i 16 e i 24 mesi i bambini sviluppano tre essenziali forme di gioco di finzione: la sostituzione di un oggetto, la finta attribuzione di caratteristiche e l’immaginare la presenza di qualcosa dove non c’è niente. Il possesso di una teoria della mente riveste una cruciale funzione adattiva per il bambino, rendendo il comportamento altrui comprensibile e prevedibile. Alcuni studiosi, come Leslie e Baron Cohen sono sostenitori dell’innatismo modulare, secondo il quale la teoria della mente si è sviluppata sulla base di meccanismi innati, relativamente indipendenti dalle esperienze, che consentirebbero al bambino di acquisire la capacità meta rappresentazionale, che consente di rappresentare sé stessi e gli altri come persone in grado di rappresentare gli eventi. Altri autori, come Karmiloff-Smith sono a favore di un’ipotesi innatista più moderata (innatismo non modulare) che ritiene che i meccanismi su base innata, responsabili dello sviluppo delle capacità di mentalizzare, maturino grazie all’interazione con l’ambiente fisico e sociale. C’è poi anche chi sostiene l’idea che lo sviluppo della teoria della mente sia legato a fattori di tipo affettivo, culturale, sociale e familiare; la comprensione della mente altrui, secondo questa teoria, si baserebbe sulle esperienze del bambino nel mondo sociale, che gli consentirebbero di acquisire le competenze insite nella capacità di mentalizzare. A prescindere dai vari orientamenti teorici, tutti i bambini con sviluppo tipico acquisiscono una teoria della mente entro i 4 anni, generalmente. Dai 18 mesi ai 3 anni, i bambini cominciano a comprendere tre stati mentali:  Percezioni: le altre persone vedono ciò che gli sta di fronte e non necessariamente le stesse cose che sono di fronte a loro  Desideri: i bambini comprendono che se qualcuno vuole qualcosa, proveranno a ottenerlo.  Emozioni: i bambini riescono a distinguere tra emozioni positive e negative. Raggiunti i 4-5 anni, i bambini cominciano a capire che la mente può rappresentare gli oggetti e gli eventi in modo dettagliato o impreciso. Wellman definisce la teoria della mente come una psicologia del desiderio- credenza, secondo cui le azioni delle persone possono essere presagite in base ai desideri e alle credenze che gli vengono attribuiti in una certa circostanza. Solo a 5-7 anni i bambini sviluppano una più sottile comprensione della mente in sé in sostituzione della sola comprensione degli stati mentali. Con la seconda infanzia e la fanciullezza, i bambini concepiscono la mente come un’attiva costruttrice di conoscenza o centro di elaborazione. Sapere che le persone possono avere interpretazioni diverse è importante, ma è anche necessario rendersi conto che alcune interpretazioni e credenze possono essere già valutate sulla base dei meriti di evidenza. Ci sono differenze individuali nell’età in cui i bambini raggiungono certi traguardi nella loro teoria della mente; l’ambiente familiare è ritenuto uno dei contesti dell’elezione nello sviluppo di numerose competenze del bambino, tra cui quelle legate alla comprensione degli stati interni propri e altrui. La qualità affettiva delle relazioni all’interno del contesto familiare riveste un ruolo di primaria importanza nello sviluppo delle competenze di teoria della mente. Anche le funzioni esecutive possono essere collegate allo sviluppo della teoria della mente: in alcuni casi, i bambini con una prestazione migliore in termini di funzioni esecutive, mostrano anche una migliore comprensione della mente altrui. I bambini con autismo mostrano un certo numero di comportamenti differenti dai bambini della loro età, soprattutto riguardo l’interazione sociale e la comunicazione. La disabilità intellettiva è presente in alcuni bambini con autismo, ma non in tutti; molto frequenti sono invece i disturbi del linguaggio e a esserne colpiti più spesso sono i maschi. Le cause dell’autismo sono tutt’oggi sconosciute, ma in base alle attuali conoscenze, possiamo dire che l’autismo è una patologia con un elevato tasso di ereditabilità e con una significativa concordanza nei gemelli monozigoti. I bambini con autismo mostrano un deficit importante a lungo termine nello sviluppo di tutte le abilità sociali, che non si sviluppano, in genere, fino al raggiungimento di un’età mentale compresa tra i 17 e i 30 mesi. Sebbene i bambini con autismo tendano ad avere un ragionamento povero, hanno prestazioni migliori con compiti di ragionamento che richiedono una comprensione della causalità fisica. È importante anche considerare che alcuni affetti da autismo hanno meno problemi di altri; ciò implica che alcuni limiti, come i deficit nella capacità di mentalizzare, non sono universali nei soggetti con autismo. Bambini con autismo possono avere difficoltà non solo per deficit nella sfera della teoria della mente, ma anche per altri aspetti di ordine cognitivo. 7. APPROCCIO PSICOMETRICO IL CONCETTO DI INTELLIGENZA L’intelligenza è la capacità di risolvere problemi e di adattarsi a imparare dall’esperienza; possiamo valutarla solo indirettamente, studiando e confrontando gli atti d’intelligenza che le persone compiono. Le corrispondono non solo suoni, ma anche significati) e l’arbitrarietà: la relazioni tra suoni e significati è arbitraria nel senso che il significato non può essere ricavato dalla forma del suono, ma deve essere appreso e trasmesso culturalmente. Dalla trasmissione del linguaggio a opera del contesto socioculturale di appartenenza, deriva anche la sua convenzionalità, e il fatto che i nessi tra segno-suono e significato non sono uguali per tutti, ma dipendono da regole condivise all’interno di una data cultura. Tutti i linguaggi hanno caratteristiche comuni, tra cui la generatività infinita, che è la capacità di produrre un numero infinito di frasi di senso compiuto a partire da un numero finito di parole e regole. Quando si parla di regole si intende che: il linguaggio è un sistema ordinato e coerente che combina le parole in base a regole specifiche e che le regole descrivono il modo in cui questo sistema funziona. È importante fare delle distinzioni. Il segno è l’elemento che contiene una correlazione tra la sua forma visiva ed espressiva (significante) e il suo contenuto, l’oggetto o il concetto a cui si riferisce (significato). Il simbolo, invece, è l’elemento che può sintetizzare o evocare una realtà più vasta o astratta, non riconoscibile direttamente dal significante. Il linguaggio si compone di cinque sistemi:  Fonologia: sistema dei suoni di una lingua, cioè i tipi di suoni esistenti e le loro possibili combinazioni. La fonologia però non studia i suoni dal punto di vista delle loro caratteristiche fisiche, ma per la funzione che hanno all’interno del sistema linguistico. Si deve quindi distinguere la fonetica, che studia i suoni dal punto di vista fisico, in quanto foni con certe caratteristiche, dalla fonologia, che studia i fonemi, ovvero i suoni che in una certa lingua producono distinzioni di significato. Un fonema è l’unità di suono più piccola che influenza il significato. La fonologia contiene regole fonotattiche, ovvero regole che governano le combinazioni dei suoni che possono occorrere in sequenza all’interno di una parola e le restrizioni presenti all’interno del sistema linguistico in questione.  Morfologia: l’insieme di unità di significato diverse nella formazione della parola. Studia la struttura delle parole, i loro cambiamenti di forma e i loro processi di formazioni. Un morfema è un’unità minima dotata di significato, che non può essere suddivisa in parti più piccole. I morfemi vanno riuniti all’interno di due classi, della morfologia legata, che comprende l’uso dei morfemi grammaticali che non possono essere separati dalle parole, e la morfologia libera, che comprende l’uso di particelle che si presentano da sole, come parole indipendenti.  Sintassi: modo in cui le parole sono combinate tra loro per ottenere frasi e sintagmi accettabili. Per sintagma si intende un raggruppamento o un gruppo di parole che costituiscono la frase.  Semantica: fa riferimento al significato di parole e frasi e alla corrispondenza tra parole e significati.  Pragmatica: fa riferimento all’uso appropriato del linguaggio in contesti diversi. COME SI SVILUPPA IL LINGUAGGIO? I bambini producono attivamente suoni fin dalla nascita, con lo scopo ti attirare l’attenzione di chi si prende cura di loro. Vocalizzi del bambino nel primo anno di vita: 1) Piangere. Il pianto può esprimere sconforto ma esistono tipi di pianto che esprimono cose diverse. 2) Tubare. Emissione dei suoni in “uu”, solitamente espressi durante le interazioni con chi li cura. 3) Babbling o lallazione. A metà del primo anno di vita, i bambini iniziano a balbettare, combinando tra loro sequenze di vocali e consonanti. Le vocalizzazioni comprendono una varietà di suoni che non hanno la struttura propria del linguaggio. Nelle prime 2/3 settimane dopo la nascita, il bambino produce solo suoni di natura vegetativa e suoni legati al pianto. Gradualmente, questi suoni si staccano dal loro contesto originario, e il bambino li produce quando è in uno stato di calma o di benessere (vocalizzazioni non di pianto). Tra i 2 e i 3 mesi compaiono le imitazioni vocaliche nelle situazioni interattive diadiche, come se il bambino rispondesse al genitore che gli parla. Il termine lallazione indica la sequenza di sillabe, consonanti e vocali, ripetute due o più volte, che il bambino inizia a produrre a circa 4/6 mesi di vita. Si distingue una lallazione canonica, o reduplicata, che consiste nella ripetizione di sequenze di consonante-vocale semplici o ripetute, dalla lallazione variata, ovvero la produzione di sequenze di sillabe più lunghe e complesse che incorporano consonanti diverse. Gli infanti cominciano a usare i gesti a circa 8/10 mesi. Si definiscono gesti comunicativi tutte le azioni corporee che il bambino produce nello stesso periodo. All’inizio vengono prodotti gesti performativi o deittici, che esprimono l’intenzione comunicativa del bambino, il quale li usa per riferirsi a oggetti/eventi esterni. Si tratta di tre tipi di gesti: indicare, mostrare e richiedere. Il gesto dell’indicazione (pointing) può avere due diverse funzioni: funzione richiestiva, il bambino indica per chiedere, e funzione dichiarativa, per cui il bambino indica per richiamare l’attenzione dell’adulto su un oggetto o un evento esterno. Il pointing è un aspetto chiave dello sviluppo dell’attenzione congiunta e un indice importante degli aspetti sociali del linguaggio. Ci sono poi altri gesti, simbolici, referenziali, rappresentativi o iconici che compaiono tra i 12 e i 18 mesi, e hanno un referente specifico indipendente dal contesto, cioè il loro contenuto semantico non varia al variare del contesto. Contemporaneamente alla produzione di questi gesti compaiono anche le prime parole, e man mano che il linguaggio verbale si consolida l’uso dei gesti referenziali diminuisce fino a sparire. L’attenzione condivisa o congiunta è il fenomeno in base al quale il bambino e l’adulto “condividono l’attenzione”, cioè guardano lo stesso oggetto/evento esterno alla diade e, allo stesso tempo, mantengono un coinvolgimento sociale reciproco. Gli episodi di attenzione condivisa diventano frequenti dai 6 mesi di vita. Molto prima di imparare le parole, i bambini possono operare raffinate distinzioni tra i suoni di una lingua: una ricerca di Patricia Kuhl ha dimostrato che dalla nascita, fino ai 6 mesi, i bambini riconoscono i cambiamenti di suono la maggior parte delle volte, a prescindere dalla lingua di provenienza dei suoni. Tra gli 8 e i 12 mesi, i bambini mostrano un’iniziale comprensione delle parole. Solitamente, il bambino pronuncia la prima parola tra i 10 e i 15 mesi. Le prime parole pronunciate da un bambino sono parole che descrivono persone per lui importante, giochi, cibo etc. Il vocabolario ricettivo dei bambini (le parole che il bambino comprende) è molto più ampio del vocabolario parlato (le parole che il bambino usa). Il vocabolario parlato del bambino aumenta rapidamente una volta pronunciata la prima parola esplosione del vocabolario. I bambini talvolta estendono o restringono i significati delle parole che utilizzano: la sovraestensione è la tendenza ad applicare una parola a oggetti a essa non legati o inappropriati, mentre la sottoestensione è la tendenza ad applicare una parola in un modo troppo ristretto. Secondo Makman, il bambino giunge ad associare referenti a parole, partendo da una serie di “vincoli” predeterminati biologicamente, che guidano il processo di apprendimento. Di questi meccanismi specifici innati, i più importanti sono: il vincolo dell’oggetto intero (il nome si riferisce all’oggetto nella sua globalità), il vincolo tassonomico (il nome viene assegnato all’intera categoria, basandosi su somiglianza percettive), il vincolo dell’attribuzione rapida del significato (nuove parole vengono attribuite a oggetti nuovi di cui il bambino non conosce il significato). Per quanto riguarda il modo attraverso cui i bambini costruiscono i significati delle parole, è diffusa l’idea che ciò dipenda da fattori cognitivi, come lo sviluppo della capacità simbolica o il passaggio della conoscenza da schematica a categoriale. Tra i 18 e i 24 mesi i bambini passano, generalmente, dall’olofrase all’utilizzo di espressioni a due parole. L’olofrase (frase monorematica) consiste in una solo parola, in cui il significato implicito nella parola singola equivale a quello di una frase completa. A partire dai 16 mesi, il bambino produce combinazioni parola-gesto (combinazioni transmodali) che, in base al contenuto informazionale che trasmettono, si possono distinguere in combinazioni diverse:  Combinazioni equivalenti, in cui entrambi gli elementi portano lo stesso significato  Combinazioni complementari, in cui i due componenti si riferiscono allo stesso referente ma uno di questi è un elemento diettico  Combinazioni supplementari, in cui uno dei due elementi aggiunge informazioni all’altro, sia riferendosi allo stesso referente che a referenti distinti. I criteri necessari per poter parlare di combinazioni sono: concatenamento temporale (le parole devono essere prodotte in stretta successione temporale), relazionalità semantica (il significato della combinazione è diverso da quello delle singole parole che la compongono), legame strutturale unificante (intonazione). Quando tutti questi criteri vengono soddisfatti si hanno delle forme transizionali (più delle singole parole, non vere e proprie combinazioni). I bambini usano anche il discorso telegrafico, ovvero usano parole brevi e precise senza elementi grammaticali, come articoli, verbi ausiliari e altre congiunzioni. (mamma dà gelato) Il passaggio da frasi semplici a frasi più complesse avviene tra i 2 e i 3 anni di età, e continua fino alla scuola primaria. Allontanandosi dalle espressioni a due parole i bambini iniziano a conoscere le regole morfologiche. Bambini in età prescolare imparano anche ad applicare le regole della sintassi, componendo frasi non solo più lunghe, ma anche più complete dal punto di vista sintattico = frasi nucleari complete. Tra i 4 e i 5 anni si ha la comparsa di enunciati complessi, definiti sulla base della presenza di due verbi. Nello sviluppo lessicale e semantico di questo periodo, occupa un posto a sé il lessico psicologico, ovvero l’insieme dei termini che esprimono sia stati interni di natura cognitiva e non. Negli anni prescolastici avvengono miglioramenti anche nella pragmatica: iniziano, per esempio, discorsi più estesi, oppure si imparano specifiche regole di conversazione e di buona educazione. Alcune strategie per usare i libri in modo efficace con i bambini in età prescolare:  Usare i libri per avviare una conversazione con i bambini piccoli, chiedere loro di inserirsi nel libro e immaginare cosa potrebbero pensare o provare  Usare domande sul cosa e sul perché. Chiedere ai bambini cosa pensano che accadrà in una storia e poi vedere se accade veramente  Incoraggiare i bambini a fare delle domande sulle storie  Scegliere dei libri che giocano con il linguaggio, ad esempio quelli sull’alfabeto o sulle rime Entrando nella scuola primaria, i bambini acquisiscono capacità che permettono di leggere e scrivere e di progredire nelle abilità di lettura che avevano sviluppato prima. La consapevolezza metalinguistica si riferisce alla conoscenza del linguaggio, che permette ai bambini di “pensare al loro linguaggio, capire cosa sono le parole e definirle”. Questa consapevolezza include quattro aree specifiche: la consapevolezza fonologica, la consapevolezza della struttura dei segni, la consapevolezza della struttura frasale e la consapevolezza pragmatica. La capacità di lettura si sviluppano nel corso di molti anni, ma prima di imparare a leggere i bambini devono essere in grado di usare il linguaggio per parlare di oggetti assenti, cosa sia una parola e riconoscere e parlare dei suoni. Processi cognitivi di cui un bambino ha bisogno per leggere una parola: 1) Avere consapevolezza dell’unità di suono presente nella parola, attraverso la ricognizione ai fonemi 2) Decodificare la parola attraverso la conversione dei segni stampati in suoni 3) Accedere al significato della parola, quindi cercare una rappresentazione mentale del significato della parola Al momento ci si interroga su come si dovrebbe insegnare a leggere ai bambini, è il dibattito si concentra su due approcci: olistico o integrale al linguaggio, e quello fondato sulle abilità di base e sulla fonologia. Il primo sottolinea che le istruzioni sulla lettura dovrebbero andare di pari passo con l’apprendimento naturale della lingua nei bambini; i materiali di lettura devono essere interi e di senso compiuto. Il secondo invece sostiene che le istruzioni sulla lettura devono insegnare la fonetica e le sue regole principali per poter tradurre i simboli scritti in suoni. Questi due approcci sono complementari. I bambini iniziano a scarabocchiare intorno ai 2-3 anni; a 4 anni un bambino sa scrivere il suo nome in stampatello, e gradualmente si imparano a distinguere le caratteristiche principali delle lettere. Nei primi anni di scuola primaria, i bambini commettono errori, come invertire b e d, p e q, ma questo non è indice di problemi di alfabetizzazione. Molti bambini in tutto il mondo parlano più di una lingua; il bilinguismo è la capacità di parlare due lingue, ed ha un effetto positivo sullo sviluppo cognitivo dei bambini. Nell’ultimo ventennio, la strategia adottata più comunemente è stata quella dell’educazione bilingue, ovvero un metodo che insegna a bambini immigrati le materie di studio nella loro lingua e allo stesso tempo insegna loro gradualmente l’inglese. Chi impara una lingua in adolescenza e in età adulta ha meno difficoltà nel lessico e quindi sia nell’apprendere il vocabolario, sia nella grammatica che nella fonologia. che non sempre seguono eventi precisi e corrispondono a un umore diffuso, di cui si ha una consapevolezza più imprecisa. Darwin sosteneva che le espressioni facciali delle emozioni degli umani sono innate, universali, indispensabili per la sopravvivenza dell’individuo e si sono evolute dalle emozioni degli animali. Le emozioni, inoltre, sono collegate con le regioni del sistema nervoso umano a sviluppo precoce. La cultura d’appartenenza influenza l’espressione delle emozioni attraverso le regole di espressione o esibizione. Secondo i funzionalisti, le emozioni sono fenomeni relazionali strettamente interni e intrapsichici. Inoltre, l’approccio funzionalista sostiene che le emozioni sono collegate in molti modi agli obiettivi individuali. Gli scopi dei bambini non sono uguali a quelli degli adulti, e non lo sono nemmeno le loro emozioni. La competenza emotiva si riferisce all’abilità di affrontare in modo funzionale le proprie emozioni e quelle degli altri, nell’ambito della vita quotidiana, mantenendo o modificando adeguatamente gli scambi con l’ambiente. Carolyn Saarni sostiene che per diventare emotivamente competenti sia necessario sviluppare un certo numero di abilità in contesti sociali. Sono state definite tre dimensioni della competenza emotiva:  Espressione delle emozioni, l’abilità di comunicare gli stati emozionali attraverso il linguaggio verbale e non verbale. Nell’espressione delle emozioni è fondamentale la mimica facciale. Riguardo a tutto questo, Sroufe elaborò la teoria della differenziazione, secondo cui le emozioni non nascono all’improvviso, ma per differenziazione da sistemi-precursori. L’espressione delle emozioni è governata dalle regole di espressione, che si riferiscono a quando, dove e come le emozioni dovrebbero essere espresse; non sono universali, ma dipendono dalla cultura.  Comprensione delle emozioni, la capacità di dare significato a eventi emotivi propri e altrui, anche riconoscendone le cause; queste possono essere sia esterne alla persona, sia interne (desideri, ricordi etc.)  Regolazione delle emozioni, consiste nel controllare o attenuare efficacemente il proprio stato di attivazione o eccitamento psico-fisiologico (arousal), per adattarsi e raggiungere uno scopo. Tra le dinamiche per la regolazione dell’emozione durante l’infanzia possiamo trovare: stimoli da esterni a interni, strategie cognitive, attivazione (arousal) emotiva, scegliere e gestire contesti e relazioni, fronteggiare lo stress. Denham e colleghi hanno anche definito una competenza socioaffettiva, che unisce i concetti di competenza emotiva e quello di competenza sociale. LO SVILUPPO DELLE EMOZIONI Michael Lewis ha distinto tra emozioni primarie ed emozioni auto-consapevoli. Le prime si trovano sia negli umani che negli animali, e compaiono nei primi sei mesi di sviluppo del neonato; includono la sorpresa, l’interesse, la gioia, la rabbia, la tristezza, la paura e il disgusto. Le emozioni auto-consapevoli, invece, richiedono coscienza e un senso di “me”; appaiono per la prima volta a circa 1 anno e mezzo, e includono l’empatia, la gelosia, la vergogna etc. Le interazioni genitore-figlio sono descritte come reciproche o sincronizzate, anche quando il bambino è molto piccolo. Il pianto è il meccanismo più importante che i neonati hanno per comunicare con il mondo; esistono almeno tre tipi di pianti:  Pianto di base: modello ritmico che consiste in un pianto, un silenzio più breve, un fischio inspiratorio più corto, e una breve pausa prima del pianto successivo.  Pianto di rabbia: simile a quello base ma con una maggiore quantità d’aria spinta attraverso le corde vocali.  Pianto di dolore: comparsa improvvisa del pianto sonoro senza la presenza di un lamento preliminare e un lungo pianto iniziale seguito dal trattenimento del respiro per un periodo prolungato. Un altro mezzo che i bambini hanno a disposizione per comunicare le emozioni è il sorriso. Anche qui se ne possono distinguere tre tipi:  Sorriso endogeno o riflesso: non avviene in risposta a stimoli esterni ma si presenta durante periodi di sonno irregolare, non quando il neonato è vigile.  Sorriso esogeno: prodotto da sveglio in risposta a stimoli esterni.  Sorriso sociale: si verifica come risposta specifica alle persone familiari con cui si instaura uno scambio reciproco. Una delle prime emozioni del bambino è la paura, che appare per la prima volta a sei mesi e raggiunge l’apice a 18. Si parla di paura dell’estraneo per definire la diffidenza e la paura del bambino verso una persona estranea, appunto. Oltre a ciò, i bambini sperimentano un’altra paura: l’ansia da separazione. Questa si verifica quando i bambini sperimentano la paura di venire separati dal caregiver; consiste nel pianto o in altri segni di sofferenza. I neonati hanno, inizialmente, bisogno dell’aiuto del caregiver per regolare le loro emozioni. Il bambino poi inizia a sviluppare modalità interne di autoregolazione. Ci si è chiesto se sia giusto dare attenzione e consolazione a un neonato che piange o si rischia di viziarlo; Watson sosteneva che i genitori davano troppa importanza al pianto del bambino, aumentandone l’incidenza. Al contrario, la Ainsworth e Bowlby ritenevano che non si rispondesse mai troppo al pianto del bambino nel primo anno di vita. Negli anni prescolari diventano più comuni emozioni come l’orgoglio e il senso di colpa. Nell’ambito dell’espressione delle emozioni, in quest’età, è importantissimo il lessico emotivo: componente della competenza emotiva che consiste nell’insieme dei termini del vocabolario che il bambino utilizza per riferirsi a emozioni provate da se stesso e dagli altri. Insieme al lessico emotivo, un altro cambiamento fondamentale è la comprensione delle emozioni. Allo stesso tempo, la regolazione delle emozioni gioca un ruolo chiave nell’abilità dei bambini di gestire le richieste e i conflitti che devono affrontare mentre interagiscono con gli altri. I genitori possono aiutare i bambini in questo: il loro approccio può essere descritto o come allenamento all’emozione o come rifiuto dell’emozione. Nel primo caso, i genitori monitorano le emozioni dei loro bambini, considerando quelle negative come opportunità di insegnamento e insegnano ai bambini ad affrontarle efficacemente. Invece, i genitori che rifiutano l’emozione tendono a negare o cambiare le emozioni negative. Cambiamenti importanti nello sviluppo delle emozioni durante l’età scolare:  Maggiore abilità nel comprendere le emozioni complesse (orgoglio, vergogna), che diventano più interiorizzate e integrate con un senso di responsabilità sociale.  Comprensione maggiore che in una situazione particolare si può sperimentare più di un’emozione.  Accresciuta tendenza a tenere in considerazione gli eventi che portano a reazioni emotive.  Miglioramenti nell’abilità a sopprimere o nascondere reazioni emotive negative nel rispetto delle regole di espressione della propria cultura.  Uso di strategie autonome per ridirigere sentimenti, come ad esempio l’utilizzo di pensieri distraenti.  Maggiore capacità empatica “genuina” Un importante aspetto della vita dei bambini è imparare come far fronte allo stress. Il coping è un concetto strettamente connesso a quello di stress, e indica l’insieme delle strategie messe in atto da una persona per fronteggiare situazioni di stress. Il coping può essere attivo, quando un individuo fa qualcosa per affrontare una situazione difficile, mentre è passivo quando si adatta emotivamente a tale situazione. Il processo di coping può, inoltre, essere suddiviso in due componenti distinte: la gestione dei problemi e la gestione delle emozioni. La prima consiste nel cercare di liberarsi dal problema, mentre la seconda cerca di liberarsi dalla sofferenza causata dal problema. Lazaurs ha formulato l’espressione di valutazioni cognitive per indicare le interpretazioni che gli individui fanno degli eventi della loro vita come dannosi, minacciosi o provocatori e la loro determinazione ad affrontarli. I disagi socio-emozionali consistono in problemi seri e persistenti, che comportano aggressività, depressione e paure associate con i contesti personali e scolastici, ma anche altre caratteristiche socio-emotive inappropriate. In linea di massima, i disturbi emotivi e comportamentali possono essere distinti in due categorie: esternalizzanti e internalizzanti. Nella prima categoria rientrano i disturbi in cui il bambino manifesta il suo disagio all’esterno, mentre nella seconda il disagio del bambino resta interiore e spesso passa inosservato. La fobia o il rifiuto scolare, invece, si esplica in un disagio provocato da ansia e/o timore eccessivi, che coglie il bambino al momento di andare a scuola o durante le ore scolastiche. IL TEMPERAMENTO Il temperamento è uno stile di comportamento individuale e una risposta emotiva caratteristica. È strettamente legato alla personalità, cioè all’insieme delle caratteristiche personali durature di un individuo. Chess e Thomas hanno identificato tre tipi base di temperamento:  Il bambino facile: il bambino generalmente ha un umore positivo, stabilisce velocemente una routine regolare e si adatta facilmente a nuove esperienze.  Il bambino difficile: il bambino tende a reagire negativamente e piange frequentemente, costringe a irregolari routine giornaliere ed è lento ad accettare le nuove esperienze.  Il bambino lento a scaldarsi: il bambino ha un basso livello di attività, è piuttosto negativo, mostra bassa adattabilità e presenta un umore piatto. Un altro modo per classificare il temperamento si basa sulle differenze tra un bambino timoroso, pacato, timido e un bambino socievole, estroverso e sicuro di sé. Kagan considera la timidezza verso gli estranei come un aspetto di un’ampia categoria di caratteri, chiamata inibizione verso l’estraneo; uno studio ha classificato i bambini in tre gruppi, molto inibiti, molto disinibiti e intermedi. Rothbart e Bates hanno descritto tre ampie dimensioni che rappresentano al meglio ciò che qualifica la struttura del temperamento:  Estroversione/disinibizione: include l’anticipazione positiva, l’impulsività, il livello di attività e la ricerca di sensazioni.  Affettività negativa: include l’irritabilità, la frustrazione, la tristezza e la paura. Questi bambini possono agitarsi e piangere spesso.  Capacità di controllo (autocontrollo o autoregolazione): include la focalizzazione dell’attenzione, sensitività percettiva e piacere a bassa intensità. I bambini con un grande autocontrollo si mostrano abili nel far si che il loro arousal non aumenti troppo, e usano delle strategie per calmarsi. Axia porta al centro dell’attenzione sei dimensioni del comportamento, funzionali nel descrivere i contesti interattivi del bambino e a definire le qualità dell’adattamento alle richieste ambientali: emozionalità positiva, emozionalità negativa, orientamento sociale, attenzione, attività motoria e inibizione alla novità. A seconda del livello di ogni dimensione è possibile collocare il bambino in uno dei due poli speculari dell’adattamento: adattamento positivo, si hanno bassi livelli di attività motoria, inibizione alla novità ed emozionalità negativa e adattamento problematico, in cui ci sono alti livelli di attività motoria, inibizione alla novità ed emozionalità negativa. Kagan sostiene che i bambini ereditano una fisiologia che influisce sul tipo di temperamento che un bambino avrà, anche se attraverso l’esperienza possono imparare a modificarlo un po’. Un temperamento inibito è associato a un modello fisiologico unico che comprende un ritmo cardiaco stabile, un alto livello dell’ormone cortisolo e un’alta attività del lobo frontale destro. Questo tipo di temperamento può essere legato anche a un basso livello del neurotrasmettitore serotonina che può aumentare la vulnerabilità individuale verso la paura e la frustrazione. Anche il genere può essere un fattore importante che plasma il contesto e che, a sua volta, influenza il destino del temperamento. Allo stesso modo, la reazione a un temperamento può dipendere in parte dalla cultura: un temperamento attivo può essere apprezzato in alcune culture e non in altre. Un altro aspetto del temperamento implica l’emotività e la capacità di controllare le proprie emozioni. Il concetto di goodness of fit si riferisce alla consonanza ottimale tra il carattere del bambino e le richieste ambientali a cui il bambino deve far fronte. Sanson e Rothbart hanno individuato le migliori strategie genitoriali da utilizzare in relazione al temperamento dei bambini: L’attaccamento è uno degli argomenti più importanti in cui teoria e ricerca delle neuroscienze sociali dello sviluppo hanno orientato il loro interesse. Le connessioni tra attaccamento e cervello coinvolgono neuroanatomia del cervello, neurotrasmettitori e ormoni; in uno studio recente si propone che la corteccia prefrontale abbia un ruolo chiave nel comportamento di attaccamento materno, come anche le regioni subcorticali, l’amigdala e l’ipotalamo. Riguardo gli ormoni e i neurotrasmettitori, sono importanti l’ossitocina e la vasopressina: la prima è rilasciata durante l’allattamento e, ad alti livelli, predice la sensibilità materna che ci suggerisce una base biologica al legame di attaccamento. 10. IL SÉ E L’ACQUISIZIONE DI IDENTITA’ LA COMPRENSIONE DI SÉ E LA COMPRENSIONE DEGLI ALTRI La comprensione di sé è la rappresentazione cognitiva del sé del bambino, quindi sostanza e contenuto delle concezioni del bambino stesso. I ricercatori hanno visto che prima di raggiungere l’anno, gli infanti non riconoscevano se stessi allo specchio, ma i segni di auto riconoscimento iniziavano a verificarsi tra i 15 e i 18 mesi. Durante il secondo anno e l’inizio del terzo, i bambini mostrano altre forme di autoconsapevolezza, che riflettono un senso di “me”; in questo periodo, inoltre, i bambini sviluppano la consapevolezza del proprio corpo. Cinque caratteristiche principali della comprensione di sé nei bambini piccoli:  Confusione di sé, mente e corpo: i bambini piccoli, generalmente, confondono il sé, la mente e il corpo. La maggior parte dei bambini piccoli immaginano il sé come una parte del corpo, che generalmente viene identificata con la testa. Per loro, il sé può essere descritto secondo varie dimensioni materiali, come misura, forma e colore.  Descrizioni concrete: i bambini in età prescolare si descrivono in termini concreti, ma via via che ascoltano gli altri usare termini riferiti a tratti psicologici e emozioni, iniziano a impiegarli nelle descrizioni di se stessi.  Descrizioni fisiche: i bambini possono distinguere se stessi dagli altri attraverso molti attributi fisici e materiali.  Descrizioni attive: la dimensione attiva nella prima infanzia è una componente centrale del sé.  Supervalutazioni positive irrealistiche: le valutazioni di sé durante la seconda infanzia sono irrealisticamente positive e rappresentano una sovrastima delle qualità personali. Questo si verifica perché 1) i bambini piccoli non hanno difficoltà a differenziare tra le loro capacità reali e quelle desiderate, 2) non riescono ancora a generare un sé ideale e distinto dal sé reale, e raramente si impegnano in confronti sociali. Durante la fanciullezza la valutazione del sé diventa ancora più difficile. Ci sono cinque cambiamenti chiave che caratterizzano l’aumento della complessità:  Caratteristiche e tratti psicologici. Soprattutto tra gli 8 e i 11 anni di età, i bambini propendono a definire se stessi in termini di caratteristiche e tratti psicologici, contrariamente ai più piccoli.  Descrizioni sociali. Nelle loro auto descrizioni, bambini di quest’età cominciano a includere aspetti sociali.  Confronto sociale. La comprensione di sé dei bambini, in questo periodo, include un maggior riferimento al confronto sociale. A questo punto, è più facile che i bambini distinguano se stessi dagli altri. I bambini in età scolare tendono a pensare a ciò che riescono a fare, in confronto agli altri.  Sé reale e sé ideale. Questa distinzione implica la differenziazione delle loro reali capacità, da quelle che aspirano ad avere e che pensano siano le più importanti.  Realismo. L’autovalutazione dei bambini diventa più realistica; ciò accade grazie all’incremento del confronto sociale e all’acquisizione di prospettive diverse. Nell’adolescenza, lo sviluppo della comprensione di sé è complesso, e coinvolge diversi aspetti del sé. Modi in cui l’adolescente sviluppa una comprensione di sé sfaccettata, diversa da quella di un bambino:  Astratto e idealistico. Gli adolescenti iniziano ad avere un pensiero più astratto e idealistico.  Consapevolezza di sé. In quest’età, gli individui hanno maggiore consapevolezza di sé e di preoccuparsi della comprensione di sé stessi.  Sé fluttuante. La conoscenza di sé dell’adolescente fluttua attraverso le situazioni e il tempo; continua ad essere instabile fino a quando egli costruisce una teoria di sé più consolidata.  Sé reale e sé ideale. Un aspetto importante del sé ideale è il sé possibile (o potenziale), che rappresenta ciò che gli individui potrebbero o vorrebbero diventare e ciò che, invece, temono di diventare. Le qualità di futuri sé positivi possono dirigere le attività future degli adolescenti, mentre quelle di futuri sé negativi possono identificare ciò che cercheremo di evitare.  Autointegrazione. Nella tarda adolescenza, la conoscenza di sé diventa più integrata, con la connessione più sistematica delle parti disparate del sé. Il termine cognizione sociale, si riferisce ai processi coinvolti nella conoscenza del mondo che ci circonda, con riferimento: 1) al modo con cui comprendiamo noi stessi e 2) al modo con cui pensiamo e ragioniamo sulle altre persone. Negli anni prescolari, i bambini fanno progressi nella loro conoscenza degli altri; inizieranno a descrivere loro stessi in termini psicologici, ma inizieranno a percepire anche gli altri come portatori di tratti psicologici. Alcuni bambini capiscono, meglio di altri, che le persone provano sentimenti e hanno desideri. Durante la fanciullezza, i bambini hanno un aumento nel perspective taking, ovvero la capacità di assumere la prospettiva di un’altra persona e di comprendere i suoi pensieri e sentimenti. Questa capacità è importante per determinare se il bambino sviluppa comportamenti e attitudini prosociali o antisociali. AUTOSTIMA E CONCETTO DI SÉ L’autostima è definibile come la dimensione valutativa del sé, quanto si ritiene di valere. Esiste anche il concetto di sé, ovvero delle autovalutazioni in domini specifici del sé. Un’alta autostima può riflettere percezioni corrette e giustificate dal valore e dal successo di una persona, ma può anche essere riferita a un senso di superiorità arrogante e ingiustificata. Misurare autostima e concetto di sé non è mai stato facile: l’assessment (valutazione dell’autostima) presuppone che la si definisca come concetto uni o multidimensionale. Uno strumento utile è il Profilo dell’auto percezione per bambini, che prende in considerazione 5 ambiti: resa scolastica, performance atletica, accettazione sociale, aspetto fisico e condotta comportamentale. È stato poi sviluppato anche il Profilo dell’auto percezione per adolescenti, che valuta il valore del sé globale e i 5 ambiti testati per i bambini, ai quali sono aggiunti altri 3 campi: amicizia, attrazione amorosa e competenza lavorativa. Anche il TMA consiste in uno strumento di assessment, in cui l’autostima è considerata multidimensionale e riferita a un concetto globale sul sé; in questo test si valutano 6 dimensioni: area interpersonale, area scolastica, area emozionale, area familiare, area corporea, area del controllo e dell’ambiente. Alcuni ricercatori sostengono che, sebbene l’autostima possa decrescere in adolescenza, l’abbassamento è in realtà molto leggero. Generalmente le ragazze hanno sempre meno autostima dei ragazzi, e questo è causato da un’immagine negativa del corpo. Uno studio italiano ha esaminato l’immagine si sé di diversi adolescenti, con età compresa tra i 13 e i 19 anni, attraverso un questionario self-report che comprendeva 130 item raggruppati in 11 scale, che definivano 5 aspetti diversi dell’immagine di sé: 1) Il sé psicologico: comprende le scale che valutano il controllo degli impulsi, il tono emotivo e l’immagine corporea 2) Il sé sociale: consiste in scale che valutano le relazioni sociali, morali e scolastiche 3) Il sé coping: composto da scale che misurano la padronanza del mondo, l’adattamento e il fronteggiamento ai problemi 4) Il sé familiare: comprende una scala relativa al modo con cui gli adolescenti sentono il rapporto con i genitori 5) Il sé sessuale: composto da una scala che esamina l’attitudine e i sentimenti adolescenziali, rispetto alle questioni relative al sesso. Alcune caratteristiche e i comportamenti dei genitori, possono influire sull’autostima di un bambino, come per esempio l’armonia domestica, lo stabilire regole chiare e leali e rispettarle, oppure mostrare interessa ai problemi del bambino. Connesso all’autostima, è il concetto di autoefficacia, ovvero la credenza che si possa controllare una situazione e produrre dei risultati favorevoli. Bandura ritiene che per i bambini e ragazzi, l’autoefficacia sia un fattore cruciale per conseguire o meno dei risultati nel contesto scolastico. IDENTITA’ L’identità è un autoritratto, composto da molti pezzi, tra cui:  Percorso di lavoro e la carriera che una persona vuole seguire (identità attitudinale/lavorativa)  Visione politica: conservativa, liberale o tra le due (identità politica)  Credo spirituale (identità religiosa)  Stato civile di una persona: single, sposata, divorziata etc. (identità relazionale)  Motivazione nell’emergere e il livello intellettuale (motivazione, identità intellettiva)  Preferenze sessuali (identità sessuale)  Provenienza e quanto intensamente ci si identifica con la cultura di provenienza (identità etnica/culturale) individuo sono guidati da una motivazione interna a conformarsi agli standard e agli stereotipi socioculturali basati sul genere. STEREOTIPI DI GENERE, SIMILITUDINI E DIFFERENZE Gli stereotipi di genere sono impressioni e convinzioni generali sul mondo maschile e femminile. Uno studio dei primi anni ’70 aveva valutato quali tratti e comportamenti gli studenti ritenevano caratteristici di maschi e di femmine; i tratti associati con i maschi erano chiamati strumentali, e includevano l’essere indipendente e aggressivo. I tratti associati con le femmine erano espressivi, e includevano caratteristiche come essere caldo e sensibile. Nei bambini, i stereotipi di genere si presentano già a 2 anni, ma aumentano notevolmente a 4. I ricercatori hanno visto delle differenze nei cervelli di maschi e femmine, tra queste:  Il cervello delle femmine è più piccolo di quello dei maschi, ma ha più pieghe: le pieghe più larghe fanno si che ci sia più superficie di tessuto celebrale all’interno del cranio delle femmine.  Una parte dell’ipotalamo responsabile del comportamento sessuale è più grande negli uomini che nelle donne.  La banda di tessuto attraverso cui comunicano i due emisferi cerebrali (corpo calloso), potrebbe essere più larga nelle femmine che nei maschi.  Un’area del lobo parietale che agisce sulle capacità visuo-spaziali è più grande nei maschi che nelle femmine.  L’area del cervello coinvolta nell’espressione emotiva mostra più attività metabolica nelle femmine e nei maschi. Il genere è stato studiato in quattro aree dello sviluppo socio-emotivo: linguaggio relazionale, aggressività, emotività e comportamento prosociale. La comunicazione relazionale, secondo Deborah Tannen, deve essere distinta tra linguaggio di rapporto, che è un modo per stabilire connessioni e negoziare relazioni e linguaggio d’informazione, che è più caratteristico dei maschi. Le differenze di genere, spesso dipendono dal contesto caratterizzato da aspetti come: la misura del gruppo, in quanto la differenza di genere nella loquacità si presenta più nei grandi gruppi che nelle diadi, il parlare con pari o adulti, perché con gli adulti le ragazze parlavano più dei ragazzi, la familiarità, in quanto la differenza di genere nel linguaggio auto-assertivo si vedeva più facilmente nei discorsi con gli estranei che con i familiari, l’età, perché la differenza di genere nel linguaggio aggregativo era più visibile in adolescenza. Una fra le più consistenti differenze di genere, è che i ragazzi sono più aggressivi delle ragazze, soprattutto quando vengono provocati. Recentemente però, è aumentato l’interesse verso le aggressioni relazionali, nelle quali sembrano essere più esperte le femmine dei maschi; queste implicano il danneggiare qualcuno attraverso la manipolazione della relazione. Le femmine sono più inclini a esprimere le loro emozioni apertamente e intensamente, rispetto ai maschi, e sono migliori anche nel mostrare empatia. Le femmine considerano se stesse più prosociali ed empatiche, e mettono in atto comportamenti più prosociali dei maschi. La più grande differenza di genere è relativa ai comportamenti gentili e premurosi, mentre è minima per i comportamenti di condivisione. Secondo Alice Eagly, le differenze di genere sono dovute a condizioni sociali che hanno portato le donne ad avere meno potere e a controllare meno risorse degli uomini. La Hyde, invece, sostiene che le differenze di genere sono state ampiamente esagerate. 11. LO SVILUPPO MORALE I DOMINI DELLO SVILUPPO MORALE Lo sviluppo morale implica dei cambiamenti nei pensieri, sentimenti e comportamenti che riguardano il principio giusto e sbagliato. Ha una dimensione intrapersonale, che regola le attività di una persona quando non è impegnata in interazioni sociali, e una dimensione interpersonale, che regola le interazioni sociali. Per comprendere lo sviluppo morale dobbiamo considerare cinque questioni di base:  Come ragionano e cosa pensano i bambini e gli adolescenti rispetto alle decisioni morali? L’attenzione viene posta sul ragionamento che viene fatto per giustificare le decisioni morali.  Come si comportano realmente i bambini e gli adolescenti in circostanze morali?  Come si sentono i bambini e gli adolescenti rispetto alle questioni morali?  Cosa caratterizza la personalità dei bambini e degli adolescenti con riferimento alla moralità?  In che modo il dominio morale è diverso da quello sociale, convenzionale e personale? Piaget ha stimolato l’interesse sul modo di pensare dei bambini rispetto alle questioni morali, e concluse che i bambini, nella loro idea di moralità, passavano attraverso due stadi:  Moralità eteronoma: tra i 4 e i 7 anni, i bambini considerano la giustizia e le regole proprietà immutabili del mondo, su cui le persone non hanno controllo. Qui si crede al concetto di giustizia immanente, secondo cui se si rompe una regola viene immediatamente assegnata la punizione.  Moralità autonoma: dai 10 anni, il bambino diventa consapevole che le regole e le leggi sono create dalle persone e che, nel giudicare un’azione, si dovrebbero tenere presenti le intenzioni di chi la compie. Tra i 7 e i 10 anni i bambini sono in un periodo di transizione. Una seconda teoria importante sullo sviluppo morale è quella di Kohlberg, che suggerisce sei stadi per lo sviluppo morale, che sono universali. Il passaggio da uno stadio all’altro è incoraggiato dalle opportunità di prendere la prospettiva delle altre persone e di provare il conflitto tra uno stadio corrente di pensiero morale e il tipo di ragionamento previsto dallo stadio più alto. La moralità della persona diventa gradualmente più interna e matura. Il livello del ragionamento preconvenzionale è il più basso della teoria di Kohlberg, e secondo questo, il ragionamento morale dell’individuo è controllato da premi e punizioni esterni. Consiste in 2 stadi: 1) Moralità eteronoma: il pensiero morale è legato alla punizione 2) Individualismo, scopo strumentale e scambio: gli individui pensano sia giusto perseguire i propri interessi, e lasciano che gli altri facciano la stessa cosa. Il livello del ragionamento convenzionale è intermedio, e qui gli individui tengono fede a certi standard, ma sono gli standard di altri (genitori o leggi della società). Consiste in 2 stadi: 3) Aspettative interpersonali reciproche, relazioni e conformità interpersonale: gli individui danno valore alla fiducia, alla lealtà verso gli altri come fondamento dei giudizi morali. 4) Moralità volta al mantenimento del sistema sociale: i giudizi morali sono basati sulla comprensione dell’ordine sociale, della legge, della giustizia e del dovere. Il livello del ragionamento post convenzionale è il più alto, e sostiene che la moralità è del tutto interiorizzata e non basata sugli standard degli altri. Anche questo consiste in 2 stadi: 5) Contratto sociale o utilità e diritti individuali: gli individui ritengono che i valori, i diritti e i principi o stanno alla base, o scavalcano la legge. 6) Principi etici e universali: la persona ha sviluppato un modello morale basato sui diritti umani universali. Quando si trova davanti un conflitto tra legge e coscienza, la persona ritiene che si dovrebbe seguire la coscienza. La teoria di Kohlberg fu criticata per aver posto troppa enfasi sul pensiero morale e non abbastanza sul comportamento morale. Inoltre, alcuni critici hanno replicato che questa teoria fosse influenzata dalla cultura, e che quindi non fosse universale. Lo studioso riteneva che i sistemi familiari non fossero particolarmente importanti per lo sviluppo morale dei bambini; sosteneva che le relazioni genitore-bambino davano poche opportunità ai bambini di sperimentare la situazione e di acquisire prospettive diverse. La critica più forte viene probabilmente da Carol Gilligan, che sosteneva il fatto che la teoria di Kohlberg si basasse su una norma maschile, e quindi che fosse condizionata dal genere. La Gilligan è a favore di una prospettiva di cura, che vede le persone nei termini della loro contentezza con gli altri ed enfatizza le comunicazioni interpersonali, le relazioni e la preoccupazione per gli altri. Kohlberg invece, si pone su una prospettiva di giustizia, per cui ci si focalizza sui diritti dell’individuo, che prende le decisioni morali in aggravata, stupro e omicidio; i secondi, invece, sono meno gravi di questi, e comprendono la fuga da casa, saltare la scuola, fare uso di alcolici, promiscuità sessuale etc. I maschi sono più inclini a essere coinvolti in eventi delinquenziali rispetto alle femmine. 12. LA FAMIGLIA PROCESSI FAMILIARI Nel prendere in esame la famiglia, ci si deve rifare alla teoria ecologica di Brofenbrenner, il quale analizza i contesti sociali dello sviluppo secondo cinque sistemi ambientali:  Microsistema: ambiente in cui vive l’individuo (famiglia, mondo dei pari, scuola, lavoro etc.)  Mesosistema: relazioni tra i microsistemi (connessione processi familiari-relazioni tra pari)  Esosistema: influenze esercitate da ambienti diversi che l’individuo non sperimenta direttamente (modo in cui le esperienze lavorative dei genitori influiscono sul loro essere genitori a casa)  Macrosistema: cultura in cui vive l’individuo (nazione, gruppo etnico di appartenenza)  Cronosistema: circostanze storico-sociali (incremento numero madri lavoratrici, genitori divorziati etc.) Ogni famiglia è un sistema, cioè un insieme complesso fatto di parti che interagiscono e che sono collegate tra loro. Le relazioni all’interno di un sistema non sono mai unidirezionali, ma avviene uno scambio sincronizzato, dove il comportamento di ogni persona dipende dal comportamento precedente dell’altra; l’interazione può essere anche reciproca quando le azioni dei protagonisti combaciano. Un altro esempio di sincronia degli scambi è quello della scaffolding: comportamento dei genitori che sostiene gli sforzi dei bambini, permettendo loro di essere più abili di quello che sarebbero se avessero fatto affidamento solo sulle loro abilità. Avviene una socializzazione reciproca, cioè un processo attraverso cui i bambini socializzano con i genitori, proprio come i genitori socializzano con loro. Nei processi familiari, sia i ruoli della cognizione che dell’emozione, sono sempre più considerati centrali. La competenza sociale dei bambini è legata anche alla vita emotiva dei loro genitori, perché attraverso l’interazione con loro, i bambini imparano a esprimere le proprie emozioni in maniera appropriata. È stata fatta, a questo proposito, una distinzione tra genitori che allenano all’emozione e quelli che rifiutano l’emozione. Il concetto di traiettorie multiple di sviluppo riguarda il fatto che gli adulti seguono una traiettoria, mentre i bambini e gli adolescenti ne seguono un’altra. È importante sapere il timing di inizio di diversi compiti familiari, ovvero l’inizio o l’entrata nei diversi periodi di sviluppo dell’individuo. Recentemente, è aumentato l’interesse scientifico per il dominio-specifico della socializzazione dei bambini; Grusec e Davidov hanno proposto un approccio domino-specifico del parenting che enfatizza come i genitori spesso agiscano in differenti domini, caratterizzati da differenti tipi di relazione:  Protezione: molte specie si sono evolute in modo che i piccoli mantengano la vicinanza al caregiver, specialmente in circostanze pericolose. In questo dominio, il parenting efficace implica rispondere al bambino in modo che questo sviluppi un senso di sicurezza e si senta confortato. L’esito evolutivo dei bambini riguarda l’abilità di rispondere appropriatamente al pericolo, attivando strategie di autoregolazione per rispondere a situazioni stressanti.  Reciprocità: questo dominio non è implicato nelle situazioni di stress, ma più quando il genitore e il bambino interagiscono nel gioco, ad esempio. Il bambino svilupperà la capacità di interagire cooperativamente e il desiderio di aderire alle richieste dei genitori.  Controllo: in questo dominio, le interazioni tra genitori e figli implicano il conflitto, perché in genere vogliono due cose diverse. I genitori possono usare il loro potere per scoraggiare il comportamento sbagliato dei figli attraverso varie strategie (rifiuto affettivo, affermazione dell’autorità e induzione). La ripercussione sul bambino di questi diversi stili genitoriali coinvolge lo sviluppo di comportamenti basati su principi morali.  Apprendimento guidato: i genitori guidano i bambini nell’apprendimento delle abilità attraverso l’uso di strategie efficaci e del feedback.  Partecipazione sociale: la socializzazione implica aumentare la partecipazione dei bambini a pratiche culturali. Per i bambini, gli esiti evolutivi includono la conformità alle pratiche e ai valori del gruppo culturale di appartenenza, che fornisce al bambino un senso di identità sociale. GENITORIALITA’ (PARENTING) Il concetto di parenting fa riferimento a un processo biologico e sociale che implica l’allevare e l’educare un individuo dalla nascita fino all’età adulta. È un processo multi-determinato ed evolutivamente aperto, oppure una funzione che si esprime attraverso diversi comportamenti. Bornstein ha individuato sei categorie sovraordinate che costituiscono una tassonomia del parenting e rispecchiano le attività che i caregiver esercitano nel momento in cui rivestono il loro ruolo genitoriale. 1) Cura nurturant: attività dei genitori finalizzate a soddisfare le necessità biologiche e fisiche del bambino 2) Cura materiale: attività con cui i genitori organizzano l’ambiente fisico in cui il bambino vive 3) Cura fisica: attività che i genitori utilizzano per promuovere lo sviluppo motorio del bambino 4) Cura sociale: attività genitoriali indirizzate al coinvolgimento del bambino nelle relazioni interpersonali 5) Cura didattica: attività utilizzate per stimolare il bambino e imparare a comprendere tutto ciò che esiste nel mondo 6) Cura linguistica: modalità trasversale del parenting, poiché coinvolta in tutti i precedenti domini. I bambini cambiano nel passaggio dal periodo neonatale alla prima infanzia, la fanciullezza e l’adolescenza. Nel primo anno, l’interazione genitore-bambino si sposta da una forte focalizzazione sulle routine di accudimento giornaliero a successive attività meno legate alla cura fisica. Durante il secondo o terzo anno di vita, i genitori spesso si occupano di questioni disciplinari, usando contatti fisici. Quando i bambini si avviano verso gli anni della scuola primaria, le dimostrazioni fisiche e di affetto verso i genitori si riducono. Andando verso la fanciullezza, i genitori passano molto meno tempo con loro. In questo periodo, i genitori hanno un ruolo particolare nel supportare e nello stimolare le prestazioni scolastiche dei bambini. Il cambiamento maggiore verso l’autonomia non avviene fino ai 12 anni, o anche più tardi. Un compito evolutivo importante per i bambini in questo periodo è imparare a relazionarsi agli adulti che si incontrano regolarmente al di fuori della famiglia, come gli insegnanti. Nella fanciullezza, i genitori possono essere concettualizzati come “amministratori” della vita dei loro bambini. Un compito importante della fanciullezza e dell’adolescenza è sviluppare l’abilità di prendere decisioni competenti in un modo sempre più indipendente e autonomo. Diana Baumrind ha descritto quattro tipi di stile parentale: 1) Genitorialità autoritaria: stile restrittivo e punitivo, in cui i genitori esortano il bambino a seguire le loro direttive e a rispettare il loro lavoro e i loro sforzi. Al bambino vengono imposti dei limiti e un controllo molto fermi, è permesso poco scambio verbale. Questo stile è associato a un comportamento dei bambini socialmente incompetente, con povertà iniziativa e abilità comunicative precarie. 2) Genitorialità autorevole: incoraggia i bambini a essere indipendenti, ma pone ugualmente dei limiti e dei controlli sulle loro azioni. È permesso uno scambio verbale, e i genitori sono calorosi e educativi verso il bambino. Questo stile è associato a un comportamento dei bambini socialmente competente, con successo scolastico e autoefficacia. 3) Genitorialità negligente: il genitore è poco coinvolto nella vita del bambino. Questo stile è associato a un’incompetenza sociale dei bambini, in particolare a una mancanza di autocontrollo e a un’autostima povera. 4) Genitorialità indulgente: i genitori sono molto coinvolti con i loro bambini, ma fanno poche richieste ed esercitano poco controllo su di loro. Questo è associato a un’incompetenza sociale nei bambini e, in particolare, a una mancanza di autocontrollo e di rispetto per gli altri. Alla concettualizzazione che trova applicazione negli stili genitoriali vengono fatte diverse critiche, tra cui il fatto che la maggior parte dei genitori usa una combinazione di tecniche e strategie di parenting piuttosto che una esclusiva. Inoltre, alcuni critici sostengono che il concetto di stile genitoriale è troppo generico, in quanto i ricercatori hanno bisogno di analizzare diversi aspetti degli stili. Per secoli, la punizione fisica è stata considerata un metodo necessario e auspicabile nella disciplina dei bambini. Ad oggi, però, ci sono diverse ragioni che spingerebbero i genitori ad evitare le punizioni corporali. Tra queste, il fatto che il bambino abbia paura del genitore che lo punisce, che i bambini possano imitare il comportamento aggressivo del genitore, e che, soprattutto, possa trasformarsi in un abuso. Più che di abuso, si parla di maltrattamento infantile, e ne vengono distinti quattro tipi principali:  Abuso fisico: infliggere ferite fisiche (pugni, botte, calci etc.)  Trascuratezza: incapacità di soddisfare i bisogni in base del bambino, e può essere fisica, educativa o emotiva. La prima comprende il rifiutarsi di cercare assistenza medica per il bambino e il ritardo nel La genitorialità può essere influenzata dalla cultura, dall’etnia e dallo status socioeconomico. In alcuni paesi è sostenuta la genitorialità autoritaria. Nella maggior parte delle culture occidentali sono state individuate delle differenze connesse allo status socioeconomico:  I genitori con uno status socioeconomico basso: sono più interessati che i loro figli si conformino alle aspettative sociali, creano un’atmosfera familiare in cui è chiaro chi ha l’autorità sui bambini, usano più punizioni fisiche, sono più diretti e meno convenzionali.  I genitori con uno status socioeconomico alto: sono più interessati allo sviluppo del bambino, creano un’atmosfera autorevole in cui i ruoli sono negoziati democraticamente, sono meno inclini all’uso di punizioni fisiche, sono più conversazionali. 13. I PARI LE RELAZIONI TRA PARI I pari sono bambini che hanno circa la stessa età e lo stesso livello di maturità. Una delle loro funzioni più importanti è fornire una fonte d’informazione e confronto rispetto al mondo fuori dalla famiglia. Le buone relazioni tra pari possono rivelarsi necessarie allo sviluppo socio emotivo. Piaget e Kohlberg sostenevano che attraverso la relazione con i coetanei, i bambini sviluppano la competenza sociale e il ragionamento morale; benefici a lungo termine delle relazioni tra pari nell’infanzia successo nel lavoro e soddisfazione nelle relazioni sentimentali nella prima età adulta, popolarità tra pari e un basso livello di aggressività all’età di 8 anni prediceva un più alto status occupazionale a 48 anni. Altri teorici, invece, enfatizzano le influenze negative dei pari sullo sviluppo di bambini e adolescenti: essere rifiutati o trascurati dai pari induce alcuni bambini e adolescenti a sentirsi isolati e ostili. A seconda dei diversi contesti in cui i bambini e adolescenti interagiscono coi pari, questi incontrano diversi messaggi e diverse opportunità di essere coinvolti in comportamenti adattivi o no che possono influenzare il loro sviluppo. Anche le differenze individuali sono importanti nel considerare le relazioni tra pari, come i tratti di personalità, l’essere socievoli o timidi. Anche i genitori possono influenzare le relazioni tra pari dei loro bambini, sia in modi diretti che indiretti; le decisioni sullo stile di vita dei genitori determinano il bacino da cui i bambini selezionano i loro possibili amici. Quando i bambini iniziano la scuola primaria, aumenta sia l’interazione tra i pari, sia la loro capacità di acquisire prospettive diverse: l’abilità di perspective taking implica la capacità di assumere la prospettiva di un’altra persona e di comprendere i suoi pensieri e sentimenti. Nel corso dello sviluppo bambini e adolescenti acquisiscono sempre più conoscenza sociale, e c’è una considerevole variazione individuale in ciò che un individuo sa a proposito di cosa serve per fare amicizia e così via. Anche le emozioni giocano un ruolo importante nelle relazioni tra pari: l’abilità nel regolare le emozioni era collegata al successo nel relazionarsi ai coetanei. Lo status sociometrico descrive il grado attraverso cui un bambino piace al gruppo dei pari. I teorici dello sviluppo hanno distinto cinque categorie di bambini, partendo dalle scelte o nomine dei pari:  Bambini popolari: nominati spesso come migliori amici e raramente sono antipatici ai compagni  Bambini medi: ricevono un numero medio simile di nomine positive e negative da parte dei loro compagni  Bambini trascurati: raramente citati come migliori amici ma non sono rifiutati dai compagni  Bambini rifiutati: raramente citati come migliori amici e sono respinti dai compagni  Bambini controversi: frequentemente citati sia in qualità di migliori amici sia in qualità di bambini rifiutati La combinazione tra essere rifiutati dai pari e essere aggressivi è pronostico di problemi. Coie fornisce tre ragioni per spiegare i problemi nelle relazioni sociali dei ragazzi aggressivi rifiutati dai pari: 1) i ragazzi rifiutati e aggressivi sono più impulsivi, e hanno problemi nel mantenere l’attenzione 2) i ragazzi rifiutati e aggressivi sono emotivamente più reattivi e è più probabile che abbiano maggiori difficoltà a calmarsi una volta arrabbiati 3) i bambini rifiutati hanno meno abilità sociali nel trovare degli amici e nel mantenere relazioni positive con i pari. Molti studenti sono vittime di bullismo, la traduzione letterale di bullying, che connota il fenomeno delle prepotenze tra pari. Criteri che la comunità scientifica ha adottato per descrivere il fenomeno del bullismo: intenzionalità (le azioni devono essere compiute di proposito con lo scopo di danneggiare l’altro), persistenza (l’interazione bullo-vittima deve ripetersi nel tempo), asimmetria di forza fisica e psicologica a vantaggio del bullo. Le prepotenze che vengono messe in atto nel bullismo sono distinte come prepotenze dirette e indirette: le prime sono comportamenti di prevaricazione espliciti e visibili e possono essere sia fisici che verbali. Le seconde, invece, si manifestano in modo nascosto e sono più difficilmente riconducibili al responsabile dell’azione. La tecnologia consente una nuova forma di molestia, il cyberbullismo, consistente nell’inviare messaggi di minaccia alla vittima e nel diffondere calunnie sul suo conto. Il bullismo è il prodotto di complesse dinamiche relazionali che si verificano nel gruppo-classe, e in questi episodi ci sono diverse figure coinvolte: il bullo, la vittima, l’aiutante del bullo, il suo sostenitore, il difensore della vittima e l’esterno. IL GIOCO Il gioco è un’attività piacevole che viene intrapresa per se stessi. Secondo Freud e Erikson il gioco aiuta il bambino a controllare le ansie e i conflitti, gli permette di buttare fuori l’energia fisica in eccesso e di liberare le emozioni intrappolate. Queste funzioni del gioco hanno ispirato la giocoterapia: terapia che permette al bambino di buttar fuori le frustrazioni, ed è un mezzo attraverso cui il terapeuta può analizzare i conflitti del bambino e i suoi modi di affrontarli. I bambini possono sentirsi più disposti a esprimere i loro veri sentimenti in un contesto di gioco. Esistono diversi tipi di gioco:  Gioco senso-motorio: comportamento messo in atto dai neonati per ricavare piacere dall’esercizio dei loro schemi senso-motori.  Gioco d’esercizio: implica la ripetizione di un comportamento quando vengono apprese nuove abilità o quando vengono richiesti un controllo fisico o mentale e la coordinazione per giochi o sport.  Gioco di finzione o simbolico: il bambino trasforma l’ambiente fisico in un simbolo.  Gioco sociale: implica delle interazioni sociali con i pari.  Gioco costruttivo: mette insieme le attività senso-motorie con le rappresentazioni simboliche delle idee.  Giochi strutturati: ci si impegna per piacere e prevede delle regole e la competizione con uno o più individui. L’AMICIZIA L’amicizia soddisfa sei funzioni: compagnia, stimolazione, supporto fisico, supporto all’Io, confronto sociale, intimità/affetto. Che caratteristiche cercano i bambini e gli adolescenti nei loro amici? Le risposte variano a seconda dell’età, ma in genere gli amici si somigliano per età, sesso, etnia e per molti altri fattori. È fondamentale l’intimità in amicizia, vale a dire il confidarsi o condividere pensieri intimi. Le amicizie delle ragazze sono differenti da quelle dei ragazzi; le amicizie adolescenziali delle ragazze, ad esempio, sono più intime rispetto a quelle dei ragazzi. Sebbene gli adolescenti abbiano maggiori probabilità di avere amici dello stesso sesso, anche le associazioni con amici dell’altro sesso sono abbastanza comuni; ciò aumenta nella transizione verso e attraverso l’adolescenza, ed è più frequente nelle ragazze. LE RELAZIONI TRA PARI IN ADOLESCENZA Durante l’adolescenza ci si conforma di più ai modelli dei pari di quanto non si faccia nell’infanzia. Il conformismo può essere sia positivo che negativo; gli adolescenti più disposti al conformismo sono quelli incerti della propria identità sociale, con bassa autostima e alta ansia sociale. I gruppi selezionati e allargati hanno un ruolo fondamentale nella vita degli adolescenti. I gruppi selezionati vanno da 2 a 12 persone, con una media di 5/6 individui. Questi possono formarsi per amicizia, o perché si ritrovano in attività simili; generalmente i partecipanti sono dello stesso sesso e hanno pressappoco la stessa età. I gruppi allargati, o compagnie, sono la struttura più grande del gruppo selezionato. Gli adolescenti ne diventano membri sulla base della reputazione, e possono passarci più o meno tempo. Molti dei gruppi allargati sono definiti in base alle attività che gli adolescenti vi svolgono. Nella loro prima esplorazione delle relazioni sentimentali, gli adolescenti trovano spesso conforto nell’essere in tanti, e cominciano a stare insieme nei gruppi eterosessuali. Noi pensiamo che i gruppi misti siano importanti perché facilmente accessibili ai giovani adolescenti che possono prenderne parte nel modo che più si addice a loro. Internet ha creato un’altra possibilità: dating online. La maggior parte delle ricerche sulle relazioni sentimentali in adolescenza è focalizzata sulle relazioni eterosessuali; recentemente però i ricercatori hanno iniziato a studiare le relazioni gay, lesbiche e bisessuali. L’età media per l’inizio di attività omosessuali per le femmine va dai 14 ai 18 anni, mentre per i maschi dai 13 ai 15. Il copione del primo appuntamento riguarda l’insieme di modelli cognitivi che adulti e adolescenti utilizzano per dirigere e valutare le interazioni del primo incontro.