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Appunti riguardanti la materia di Diritto Agrario, Prove d'esame di Diritto Agrario

Gli argomenti trattati sono quelli inerenti all’impresa agricola, imprenditore agricolo, le funzionalità del loro lavoro ecc.

Tipologia: Prove d'esame

2021/2022

Caricato il 20/08/2023

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Scarica Appunti riguardanti la materia di Diritto Agrario e più Prove d'esame in PDF di Diritto Agrario solo su Docsity! DIRITTO AGRARIO CAP. II LE FONTI DEL DIRITTO AGRARIO 1. L’AGRICOLTURA COME MATERIA DI COMPETENZA NORMATIVA DELL’UNIONE EUROPEA E DELLE REGIONI La competenza normativa della materia agricoltura è dell’Unione Europea (artt. 4 e 38 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea) e delle Regioni (art. 117 Cost.).Essi sono i soggetti investiti del potere di creare le norme che regolano l’agricoltura. Dobbiamo capire cosa si intende per agricoltura nell’ord ue e nell’ord ita. 2. LA MATERIA AGRICOLTURA NELLA COMPETENZA COMUNITARIA L’Unione Europea ha competenza concorrente con gli Stati membri nella materia agricoltura. “Competenza concorrente” in ambito ue si intende che l’Unione e gli Stati membri possono legiferare e adottare atti giuridicamente vincolanti in tale settore, però gli Stati membri esercitano la loro competenza nella misura in cui l’Unione non ha esercitato la propria e tornano ad esercitarla nella misura in cui l’ue non ha deciso di cessare di esercitare la propria. Finora l’Unione ha disciplinato larghi settori della materia agricoltura data la necessità di una disciplina per la costituzione di un mercato unico dei prodotti agricoli fra gli stati membri. L’Unione Europea, cerca di armonizzare le diverse legislazioni degli stati membri attraverso le sue direttive. 3. LE COMPETENZE LEGISLATIVE DELLO STATO E DELLE REGIONI NELLA MATERIA AGRICOLTURA L’art 117 Cost. definisce le materie in cui è competente lo Stato co 2, quelle in cui Stato e regione hanno competenza concorrente co 3, e quelle che non sono riservate espressamente allo stato sono delle regioni co 4 (competenza residuale).Lo stato nel diritto agrario è competente in via concorrente per quel che riguarda il sostegno all’innovazione, la gestione del territorio, l’alimentazione, la valorizzazione del territorio, la tutela della salute e altre materie collegate all’agricoltura. La materia agricoltura è competenza residuale ed esclusiva delle Regioni che devono attuare ed eseguire i principi fondamentali che l’Unione europea detta in materia di agricoltura. Ex co 5 spettano alle regioni, nelle materie di loro competenza, l’attuazione e l’esecuzione degli atti dell’Ue: la conseguenza è che essendo l’agricoltura materia riservata all’ue (art 38 TFUE) il più delle volte i princ fondamentali sono già contenuti nelle disposizioni comunitarie. Qualora le Regioni non provvedano a dare attuazione alle direttive comunitarie, è lo Stato a doversi attivare, altrimenti viene ritenuto responsabile. In questi casi lo Stato può sostituirsi alle Regioni (art.120 Cost.). 4.LA NOZIONE DI AGRICOLTURA NEL DIRITTO DELL’UNIONE EUROPEA Lo stato italiano non dà una definizione normativa di agricoltura, mentre la dà il diritto dell’ue. L’art 38 TFUE dopo aver proclamato che il “mercato interno comprende l’agricoltura, la pesca e il commercio di prodotti agricoli”, stabilisce che “per prodotti agricoli si intendono i prodotti del suolo, dell’allevamento e della pesca, come pure i prodotti di prima trasformazione che sono in diretta connessione con tali prodotti”. la norma si incentra sulla distinzione tra prodotti agricoli e industriali. L’art 38 specifica poi che i prodotti agricoli sono quelli tassativamente elencanti nell’Allegato I. Dunque il diritto comunitario dà una nozione di agricoltura avente come fondamentale punto di riferimento i prodotti e non la produzione, come è invece per il nostro ord. Vi sono poi altre disposizioni unionali che propongono l’aspetto dell’attività di colui che è agricoltore: art 4 lett c) reg 1307/2013 stabilisce che : “si intende per attività agricola l’allevamento o la coltivazione di prodotti agricoli, comprese la raccolta, la mungitura, l’allevamento e la custodia degli animali per fini agricoli; il mantenimento della superficie agricola in uno stato che la rende idonea al pascolo o alla coltivazione senza particolari interventi... o lo svolgimento di un’attivita minima che gli stati membri definiscono, sulle superfici agricole mantenute naturalmente in uno stato idoneo al pascolo o alla coltivazione”. Si fa riferimento ad un’attività ulteriore rispetto a quella del mantenimento del terreno in buone condizioni agronomiche e ambientali, perché si pretende che l’attività per essere qualificata come agricolo, deve essere capace di mantenere la terra in idonee condizioni di capacità produttiva per il pascolo o per la coltivazione. LA terra è la superficie idonea ad ottenere i prodotti con il lavoro di un sogg attivo, e ciò al fine di ottenere finanziamenti dall’ue. Dunque oggi nella definizione dell’ue è compresa anche l’attività, che si divarica in attività di produzione vs attività sul territorio da renderlo idoneo alla coltivazione. Anche nel dir ue si incontrano 2 definizioni: la 1° è rilevante ai fini del diritto della concorrenza, per il quale l’agricoltura è la produzione dei soli prodotti dell’Allegato I; VS la 2° è rilevante ai fini del sistema dei finanziamenti per il quale l’agricoltura è l’attività di produzione di frutti naturali sulla terra e della loro successiva allocazione sul mercato. 5.LA NOZIONE DI AGRICOLTURA NELLA LEGISLAZIONE DELL’ITALIA E DELLE SUE REGIONI Per la definizione di agricoltura nel nostro ord, ci aiutano sia l’art 2135 cc sulla nozione di “impresa agricola” come esercizio di attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicoltura, all’allevamento e attività connesse, sia le varie leggi nazionali che hanno allargato la figura dell’impt agricolo, sia il complesso delle normative statali sulla ripartizione delle competenze agricole tra Stato e regioni, sia la defizione dell’art 38 TFUE.Dunque per agricoltura si intende tutta l’attività di cura di essere vegetali e animali che è pretesa dall’ord perché produttiva di ricchezza, ed è diretta alla produzione di beni e servizi, svolta in modo razionale e in un rapporto ambientalmente corretto con il territorio, ad opera di sogg che producono per il mercato e perciò in un sistema governato dal princ della libertà di concorrenza. 6.SEGUE: LA MATERIA AGRICOLTURA DI COMPETENZA REGIONALE E LE VARIE MATERIE “TRASVERSALI” INCIDENTI SULL’AGRICOLTURA DI COMPETENZA LEGISLATIVA DELLO STATO Nell’elenco del co 2 dell’art 117 sulle competenze esclusive dello stato sono ricordate la tutela della concorrenza e la tutela dell’ambiente; nel co 3 sulle competenze concorrenti sono riportate le materie della tutela della salute, dell’alimentazione, del governo del territorio e della valorizzazione dei beni ambientali. Vi sono dunque delle materie statali di carattere trasversale, che possono incidere sull’attività agricola, cioè materie che interferiscono con l’agricoltura ma che appartengono alla competenza concorrente o escslusiva dello stato. 7.LA “RESPONSABILITA’” DELLO STATO VERSO L’UNIONE EUROPEA E IL RISPETTO DELLO STATO VERSO L’AUTONOMIA LEGISLATIVA DELLE REGIONI Lo stato è il sogg a cui è imputabile l’inadempimento degli impegni presi nei confronti dell’ue, è l’unico responsabile dinanzi all’unione. Dunque nell’attuazione delle norme comunitarie l’Italia, in prima istanza deve rispettare il suo fondamentale impianto regionale, cosicchè normalmente spetta alle regioni agire in attuazione o esecuzione del dir comunitario; in seconda istanza deve evitare di trovarsi impotente di fronte alle violazioni del dir comunitario con interventi repressivi/sostitutivi/suppletivi; infine solo qualora le norme comunitarie pervedano forme attuative di se medesime, può emanare norme statali derogatrici. L’immediata attuazione delle direttive comunitarie spetta alle Regioni nelle materie di propria competenza, ma è compito dello stato, quale unico responsabile, dare attuazione ad esse onde supplire all’eventuale inerzia regionale. 8.IL POSSIBILE “CONFLITTO” TRA NORMA COMUNITARIA E NORMA INTERNA Nel diritto agrario abbiamo più fonti: vi sono fonti comunitarie e fonti di diritto interno. Questi due sistemi di fonti sono autonomi, ma devono essere compatibili fra loro. Se la norma com è posteriore alla norma interna, quest’ultima è caducata per la sopravvenienza della norma com. VS Se la norma interna sopravvenuta è incompatibile con quella Per l’art 41 il potere riconosciuto al singolo di concorrere all’organizzazione economica del paese, per produrre nuove utilità, non solo non può essere esercitato in contrasto con l’utilità sociale o in modo da ledere la sicurezza-la libertà-la dignità dell’uomo, + ma anche deve proporsi in positivo il perseguimento dei fini sociali che il legislatore è deputato a segnalare nella programmazione economica. 2. LA COMPRESSIONE DEI DIRITTI DI PROPRIETA’ TERRIERA E DI ESERCIZIO DELL’IMPRESA AGRICOLA NEL DIRITTO AGRARIO ITALIANO CON RIFERIMENTO ALLA NORMATIVA COMUNITARIA E AL PRINCIPIO GIURIDICO ITALIANO DELLA RISERVA DI LEGGE Alla realizzazione dei fini sociali possono essere preordinati interventi pubblici compressivi dei diritti di proprietà terriera e di impresa agricola, che la nostra cost tutela attraverso le regole di subordinare l’eventuale compressione all’utilizzo dello strumento della legge (=riserva di legge) e di condizionarne la compressione al fatto che siano perseguiti proprio quei fini sociali indicati dalla cost (=riserva di legge rinforzata). La riserva di l è una tecnica che impedisce l’ingresso di atti dell’esecutivo nella disciplina di determinati diritti mirando ad assicurare che in ordine ad essa il bilanciamento degli interessi contrapposti avvenga nel rispetto del princ democratico impersonato dal Parlamento. Nella formula riserva di legge, “legge” va interpretato come qualsiasi atto che, nel riparto delle competenze, abbia forza di legge, comprendendo anche le normative europee. CAP. IV L’IMPRES AGRICOLA 1. IL TITOLO II “DEL LAVORO NELL’ IMPRESA” DEL LIBRO V DEL C.C. Cosa è l’impresa agricola??Il Titolo II del Codice Civile sotto il titolo “del lavoro nell’ impresa”, è organizzato in tre distinti capi: “dell’impresa in generale” (artt.2082-2134); “dell’impresa agricola” (artt.2135-2187); “delle imprese commerciali e delle altre imprese soggette a registrazione” (artt.2188-2221). Triangolo: il vertice è l’art.2082 c.c., che contiene la definizione di imprenditore, mentre nei 2 angoli di base sono definiti l’imprenditore agricolo art 2135 e l’imprenditore soggetto all’obbligo dell’iscrizione nel registro delle imprese o l’impt commerciale art 2195. Mentre l’art 2082 contiene una vera definizione (è impt colui che esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi); l’art 2135 e 2195 elencano le attività che danno corpo all’imp agricola e a quella commerciale, senza indicare come debbano essere esercitate queste specifiche attività. L’ art. 2135 c.c. elenca 4 attività: 1) coltivazione del fondo; 2) silvicoltura; 3) allevamento degli animali; 4) attività connesse. L’articolo chiarisce in cosa consistano queste attività ma non come queste debbano svolgersi. L’ art.2195 c.c. ne elenca invece 6 (sotto una numerazione da 1 a 5): 1) attività industriale; 2) attività del negoziante; 3) attività di trasporto; 4) attività bancaria; 5) attività assicurativa; 6) attività ausiliaria delle precedenti. L’articolo non chiarisce ne in cosa consistano queste attività ne come debbano svolgersi. L'individuazione della figura dell'imprenditore agricolo è particolarmente importante perché il codice, a differenza di quanto accade per l'imprenditore commerciale, ne definisce esattamente le attività svolte. Quindi se si sottraggono dalla definizione generale dell’impresa (art. 2082) le specifiche attività dell’art. 2135 cioè quelle esercitate dall’imprenditore agricolo, le rimanenti attività economiche vengono a far parte delle formule generiche dell’art. 2195 rientrano nelle attività dell’imprenditore commerciale. Possiamo concludere dicendo che tutti quelli che non sono imprenditori agricoli sono imprenditori commerciali, con l'ovvia conseguenza della inapplicabilità agli imprenditori agricoli delle regole previste per l'imprenditori commerciali. Quindi l’impresa commerciale ha un carattere di residualità. Per il codice civile l’agricoltore dell’art. 2135 e il commerciante dell’art. 2195 è imprenditore solo quando è calato nella forma del soggetto individuato dall’art. 2082, quando cioè la sua attività può essere assunta sotto tale norma che dà la nozione di imprenditore.Il collegamento dell’art. 2082 e 2135, 2195 trova conferma anche nel fatto che l’art. 2083 definendo il piccolo imprenditore si richiama a un agricoltore (coltivatore diretto), a un industriale (artigiano) e a un negoziante (il piccolo commerciante), cioè soggetti svolgenti le attività degli artt. 2135 e 2195. 2. LA CATEGORIA UNITARIA DELL’IMPRESA E’ necessario chiarire il concetto giuridico di impresa. IMPRESA: è l’attività economica professionalmente esercitata dall’imprenditore (produzione di beni, produzione di servizi, scambio di beni, scambio di servizi).AZIENDA (art. 2555 cod. civ.): complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’attività d’impresa. IMPRENDITORE (art.. 2082): chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata, al fine della produzione o dello scambio di beni o servizi. La definizione di imprenditore ci porta a spiegare cosa si intende per: - Organizzazione. Con il termine organizzazione si intende la combinazione dei fattori produttivi del capitale e del lavoro. Quindi solo le attività produttive organizzate sono imprenditoriali, e un unico atto economico, per il fatto che non è espressione di una organizzazione, non può essere visto come attività imprenditoriale. Non importa che l’organizzazione abbia proporzioni rilevanti (è organizzazione del proprio lavoro tanto quella posta in essere da un ciabattino, tanto quella posta in essere da un broker) o che il capitale sia rappresentato da beni importanti (sono sufficienti i beni indispensabili per l’esercizio dell’attività economica considerata). - Professionalità. Per professionalità si intende l’esercizio continuato dell’attività (l’attività è svolta in modo professionale quando non è occasionale, ne saltuaria). La professionalità non pretende l’esclusività. - “Produzione o scambio” di beni o servizi. Sia lo scambio che la produzione riguardano il mercato. Non vi è attività di impresa che non si concluda con l’immissione nel mercato dei beni o dei servizi prodotti. Non vi è dunque attività imprenditoriale che non sbocchi in una serie indefinita di negozi giuridici con i consumatori ed utenti per uno scopo di lucro e di profitto, per questo motivo non è impresa l’attività, che pur economica, sia un’ attività di autoconsumo. L’attività economica deve essere rivolta al mercato. Mentre lo scopo dell’impresa è la produzione, lo scopo dell’imprenditore è il profitto. Dall’immissione della produzione nel mercato ci si attende un ricavo, in modo da evitare il fallimento. 3. IL DECRETO LEGISLATIVO DEL 18 MAGGIO 2011 N. 228 E LE RAGIONI DELLA NUOVA FORMULAZIONE DELL’ART 2135 DEL CC Il legislatore è intervenuto nel 2001 con la riscrittura dell’art 2135 per dare una sorta di interpretazione autentica della norma, per chiarire tutti quei contrasti ermeneutici sorti. 4. L’ IMPRESA AGRICOLA, COME DEFINITA DAL VECCHIO E DAL NUOVO ART. 2135 C.C, ERA ED E’ UN’IMPRESA IN SENSO TECNICO. Il legislatore del 2001 a causa di alcune divergenze interpretative che portavano a liti e processi, ha riscritto l’art. 2135 c.c. per cercare di ridurre il contenzioso agricolo (c’è stata un’interpretazione autentica). L'art. 2135 c.c. è stato modificato dal D.lgs. 228/2001 con la sostituzione del 2 comma e l’aggiunta del 3 comma.Con la riforma dell’articolo si è voluto specificare meglio i concetti di coltivazione del fondo, allevamento di animali e di attività connessa. La nuova formulazione dell’art.2135 del codice civile ha profondamente modificato il concetto di attività agricole, adeguandosi alla normativa comunitaria ed introducendo concetto di ciclo biologico. La norma stabilisce, che è imprenditore agricolo chi esercita l’attività di coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse. Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono: le attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine. Non esiste più, come invece era precedentemente, il collegamento indispensabile con il fondo agricolo perché vi sia attività di impresa agricola e al fattore terra non viene più riconosciuto un ruolo centrale. L’allevamento non è soltanto, come nella formulazione precedente dell’art. 2135 del codice civile, esclusivamente quello del bestiame, ma viene introdotto il concetto di animali. Con l’introduzione di tale dizione gli allevamenti avicoli, di api e di equini rientrano direttamente nell’ambito dell’impresa agricola e ciò indipendentemente da un rapporto di collegamento funzionale con la coltivazione del fondo rustico. Il 3 comma dell’art 2135 si riferisce alle attività agricole connesse: quelle attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale o forestale, o di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge. La nuova formula dell’imprenditore agricolo di cui all’art. 2135 c.c. si ricollega alla definizione dell’art. 2082 c.c. che ci da atto di un soggetto che “esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi”.Abbiamo la conferma che l’operatore agricolo di cui ci parla l’ art. 2135 c.c. è un imprenditore, o un soggetto che produce utilità per il mercato. 5. LA VENDITA DEI PRODOTTI COME ULTIMA FASE DELL’ESERCIZIO DELL’ATTIVITA’ AGRICOLA, OCCORRENTE PER AVERSI UN’IMPRENDITORE E UN’IMPRESA A dare un’ulteriore conferma di ciò è l’art. 4 del D.Lgs. 228/2001. Tale articolo consente agli imprenditori agricoli, singoli od associati, di vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti “su aree pubbliche o in locali aperti al pubblico” dopo averne dato comunicazione al sindaco, senza per questo cadere nella disciplina del commercio, comunicazione tra l’altro non necessaria qualora l’agricoltore venda al dettaglio su superfici all’aperto nell’ambito della propria azienda o di altre aree private di cui abbia la disponibilità. Non si tratta di vendita all’ ingrosso ma di vendita al minuto, si tratta di portare il prodotto direttamente al consumatore e già una legge del 1959 consentiva al produttore agricolo di vendere i propri prodotti senza licenza di commercio. L’impt agricolo non cessa di essere tale quando conclude la sua attività organizzatrice della produzione con l’alienazione dei prodotti ottenuti, senza trasmigrare sotto la disciplina degli impt commerciali. Anche il D.Lgs. 114/98, ha escluso l’estensione ai produttori agricoli che vendono i propri prodotti, confermando così la “separatezza” dai commercianti. L’agricoltore non perde la sua natura di imprenditore agricolo e i suoi vantaggi non solo se vende i suoi prodotti, ma anche se vende quelli altrui (purchè non prevalenti e sempre che il ricavo derivante dalla vendita di prodotti altrui non superi un certo ammontare). 6. LE ATTIVITÀ AGRICOLE PRINCIPALI Leggendo congiuntamente l’art. 2082 e l’art. 2135 del codice civile si rileva che è imprenditore agricolo colui che esercita professionalmente e mediante un’organizzazione una delle seguenti attività al fine della produzione per il mercato: a) coltivazione del fondo, b) silvicoltura, considerati dalla legislazione italiana, come attività agricole.Quando però il Trattato di Roma ha compreso tra i prodotti agricoli (attuale art 38 TFUE), oltre a quelli del suolo e dell’ allevamento, quelli della pesca, il sistema giuridico italiano si è trovato dinnanzi a due normative differenti, una nazionale e una comunitaria. In quanto il sistema nazionale considerava la pesca, se svolta in forma imprenditoriale, un’attività commerciale (non agricola). Tale situazione aveva creato confusione, perciò l’attività di pesca è stata equiparata all’attività agricola, evitando così la duplice normativa esistente.L’ art. 2 del D.Lgs. 226/2001, tratta dell’imprenditore ittico e lo equipara all’imprenditore agricolo; dunque anche chi non cura il ciclo biologico dei pesci ma esercita attività di pesca professionale diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri o dolci è per il diritto, nella stessa situazione dell’agricoltore (la cui caratteristica invece è proprio la cura e lo sviluppo di essere animali e vegetali). Si tratta in questo caso di un’equiparazione ai fini della disciplina giuridica, e non di un’identità. Il D.Lgs. 153/2004 invece, disciplina l’attività diretta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in mare, disponendo che l’attività di pesca marittima deve ispirarsi al principio di “sviluppo sostenibile” e di “pesca responsabile”, che impone di coniugare le attività economiche di settore con la tutela degli eco-sistemi, pertanto è previsto: - l’obbligo di registrazione per i pescatori marittimi e per le imprese di pesca, - il controllo delle navi tramite licenza di pesca, - la vigilanza sulla pesca (es. per evitare la pesca di pesci al di sotto della taglia minima). - Sono stati elaborati dei programmi nazionali della pesca e dell’acquacoltura con l’obiettivo di perseguire la tutela della biodiversità e della durabilità delle risorse ittiche (bene comune rinnovabile per le generazioni presenti e future), nonché la promozione della cooperazione e dell’associazionismo tra pescatori. 11. LA FILIERA BIOMASSE-AGROENERGIA 97In questi ultimi tempi la produzione eccedentaria di vegetali destinati all’alimentazione dell’uomini e degli animali, e la deficienza di energia da fonti rinnovabili, hanno indotto l’Ue a sostenere la produzione delle biomasse, ovvero l’utilizzazione della “frazione biodegradabile dei prodotti, rifiuti e residui di origine biologica proveniente dall’agricoltura, dalla selvicoltura e dalle industrie connesse, al fine di produrre biogas, carburante ed elettricità”. Dunque colui che si dedica professionalmente alla specifica produzione di vegetali per ottenere biomasse deve essere qualificato impt agricolo, in quanto produttore del fondo e\o del bosco. E’ nata una specifica filiera imprenditoriale così ordinata: coltivazione di organismi vegetali e forestali dedicati all’ottenimento delle biomasse (colture agro-energetica); trasformazioni di tali biomasse in biogas, carburante, calore ed elettricità: cessione di tali energie sul mercato. Per il fatto che i prodotti vegetali e forestali non sono allocati direttamente sul mercato, mentre è immessa sul mercato l’energia che si ricava dalla loro trasformazione, l’operazione di trasformazione e successiva vendita dell’energia ottenuta viene ad assumere la qualifica di attività connessa. 12. LE ATTIVITÀ CONNESSE + 13.IL CRITERIO DELLA PREVALENZA Anche il nuovo art. 2135 c.c. elenca accanto alle 3 attività che abbiamo menzionato (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento degli animali) altre attività denominate “connesse”, ciò ci porta a compiere una distinzione tra queste tre attività considerate “essenzialmente agricole”, e tutte le altre ad esse connesse considerate appunto “attività agricole per connessione”, attività che comunque sono assoggettate alla stessa disciplina giuridica dell’impresa agricola. È compito dell'interprete cogliere le attività agricole per connessione. Tali attività, in difetto della connessione, sarebbero oggetto della disciplina commerciale.. E dunque tali attività devono possedere già tutti i requisiti propri dell’attività imprenditoriale: le attività agricole per connessione devono essere svolte professionalmente e con modalità organizzate al fine della produzione di beni e servizi. Non possono mai essere attività agricole per connessione quegli atti che costituiscono una fase propria dell'attività principale, senza di fatto essere proiettate verso il mercato (es. il trasporto al mercato esclusivamente dei propri prodotti). Tra le attività connesse il legislatore comprende ad es.: - la produzione e la cessione di energia elettrica da fonti rinnovabili agroforestali; - o la trasformazione delle colture vegetali e forestali dedicate all’ottenimento delle biomasse da cui estrarre poi biogas, calore ed elettricità. Per connessione si intende un legame di relazione e di interdipendenza, uno stretto collegamento.Lo stretto collegamento non è fra due attività poste sullo stesso piano ma fra attività che si distinguono per essere una la principale e l’altra secondaria; ciò avviene quando la secondaria è funzionalmente collegata alla principale, è ad essa complementare e servente, non ha un proprio fine ma tende a perseguire lo stesso fine perseguito dall’imprenditore che compie l’attività principale.Quindi, affinchè l’attività sia connessa deve “servire” allo sviluppo dell’attività agricola principale (coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento) consentendo il raggiungimento del profitto che ricerca l’agricoltore. Dalla nozione di connessione possiamo individuare 2 elementi:  elemento soggettivo → lo stesso soggetto deve svolgere sia l'attività principale che quella connessa (unisoggettività).  elemento oggettivo → l'attività connessa deve essere inserita all'interno dell'organizzazione creata per lo svolgimento dell'attività principale (c.d. uniaziendalità = un'unica impresa svolge sia l'attività connessa che quella principale). Della connessione tratta il 3 comma dell’art. 2135 c.c. ed impone all’interprete di mettere in evidenza i seguenti punti:  connesse si intendono comunque le attività svolte dal medesimo imprenditore dirette a determinati fini;  le attività connesse devono essere dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti;  i prodotti manipolati, conservati, trasformati, commercializzati devono essere ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali;  connesse sono anche le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata;  fra le attività di fornitura di servizi sono comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale o di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge; Rilevante è l’avverbio “comunque”, il quale segnala che l’elenco che segue è solo esemplificativo, possono esserci delle attività, diverse da quelle elencate, che sono comunque connesse e costituire le attività connesse atipiche. Quelle tipiche, invece, sono menzionate nel 3 comma dell'art. 2135.Quindi, oltre alle attività espressamente indicate dal terzo comma dell’art. 2135 c.c. si reputano connesse, salva prova contraria (gravemente su chi intende contestare la connessione), le attività accessorie, collaterali, dipendenti, “serventi” delle attività principali di coltivazione dl fondo, della selvicoltura e dell’allevamento di animali. (Possiamo considerare connesse le offerte di insaccati, porchetta e polli cotti, quali beni ottenuti dalla produzione di carni e della loro macellazione. Invece non può essere considerato tale il gelato ottenuto dallo yogurt perché frutto di una successiva trasformazione dello yogurt, questo si prodotto derivato dal latte e come tale prodotto agricolo). Occorre precisare per la loro importanza concreta il significato delle nozioni di: - Manipolazione e conservazione: sono delle attività che devono avere ad oggetto prodotti agricoli altrui che sono stati acquistati per essere manipolati e conservati con i prodotti propri per poi venire immessi insieme sul mercato. - Trasformazione si ha quando a seguito della modifica della forma o della consistenza del frutto naturale, si ottiene un altro bene che assume la qualifica di bene finale, rispetto al quale il frutto allo stato naturale può essere definito bene strumentale. Es. l'olio rispetto alle olive, vino rispetto all'uva. Quando queste attività vengono svolte da un imprenditore agricolo queste sono riconosciute agricole. - Valorizzazione, il termine si collega a quello di trasformazione per il fatto, infatti che con il processo di trasformazione un bene acquista caratteristiche migliori e viene quindi valorizzato (es. aggiunta di vitamine in un prodotto alimentare oppure operazioni di lavaggio e conservazione del prodotto). Es valorizzare un’attività che consente di dare una migliore presentazione o un + alto prezzo di vendita, come la presentazione dell’olio o del vino in bottiglie etichettate. - Commercializzazione non si può intendere l’alienazione dei prodotti agricoli, perché lo sbocco della produzione sul mercato è assolutamente necessario alla stessa sussistenza dell’imp. Il vecchio art 2135 utilizzava il termine “alienazione”. La commercializzazione non riguarda dunque l’ultimo atto dell’attività imprenditoriale di produzione, ma deve essere riferita all’acquisto e rivendita di qualcosa che serve all’agricoltore per valorizzare meglio i propri prodotti, ma soprattutto all’acquisto di prodotti agricoli altrui che l’impt può utilizzare assieme ai propri senza perdere la propria qualificazione agricola, allorquando i propri prodotti siano prevalenti sugli altri. Attualmente un soggetto non perde la sua qualità di imprenditore agricolo quando manipola, conserva, trasforma, commercializza e valorizza, assieme ai propri prodotti, prodotti altrui, che ha acquistato appunto, per manipolarli, conservarli, trasformarli e valorizzarli per poi commercializzarli con i (prevalenti) propri, e ciò “al fine di ottenere anche un mero aumento quantitativo della produzione e un più efficiente sfruttamento della struttura produttiva”. Ai fini di queste attività, è sufficiente che i prodotti provenienti dall’attività agricola principale dell'imprenditore agricolo siano prevalenti sui prodotti da lui manipolati, conservati, trasformati, commercializzati, valorizzati assieme ai propri, ma derivanti dalla coltivazione o allevamento altrui (criterio della prevalenza). Successivi decreti legislativi annoverano tra le attività agricole connesse anche quelle “dirette alla manipolazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, nonostante non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali”.Tra le attività connesse peraltro, non sono elencate solo quelle che hanno per oggetto prodotti agricoli, tanto allo stato naturale, quanto quelli trasformati, perché il nuovo art. 2135 c.c. elenca anche “attività dirette alla fornitura di beni o servizi”, “le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale” e “le attività di ricezione ed ospitalità”. Da ricordare che l’imprenditore per essere considerato tale deve svolgere un’attività proiettata sul mercato. lOMoARcPSD|24055997 Il D.Lgs 226/2001, riconosceva all'imprenditore ittico come attività connesse, quelle di prima lavorazione di prodotti del mare, la conservazione, la trasformazione, la distribuzione e la commercializzazione al dettaglio e all'ingrosso, nonché le attività di promozione e valorizzazione che avessero ad oggetto prevalentemente i prodotti della propria attività. Questa norma creò dei problemi perchè in base al criterio della prevalenza riguardo la pesca marittima, la pesca di alcuni pesci poteva essere considerata attività consueta e la pesca di altri pesci no.Il D.Lgs 154/2004 ha sostituito la precedente definizione quanto le attività connesse, stabilendo che sono attività connesse le attività di pesca purchè non prevalenti rispetto a queste e purchè effettuate dall'imprenditore ittico mediante l'utilizzo di prodotti provenienti in prevalenza dalla propria attività di pesca, o di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'impresa ittica, non solo le attività di pescaturismo e ittiturismo bensì anche la prima lavorazione dei prodotti del mare, la conservazione, la trasformazione, la distribuzione e la commercializzazione, nonché le azioni di promozione e valorizzazione del pescato. In sostanza, i non prevalenti pesci altrui, per essere attività connesse è sufficiente che siano stati pescati con le attrezzature normalmente utilizzate nella propria attività. Inoltre, sono equiparati all'imprenditore ittico, i commercianti di pesci e rappresenta attività connessa la commercializzazione del pescato proprio e quello non-prevalente altrui. 14.LE ATTIVITA’ CONNESSE DI FORNITURA DI BENI E DI SERVIZI: LE ATTIVITA’ TURISTICHE O DI OSPITALITA’ Tra le attività connesse sono enumerate anche: - le attività dirette alla fornitura di beni e servizi, - le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, - le attività di ricezione ed ospitalità. Il rilievo che queste attività assumono ci porta ad affrontare le diverse problematiche.L’art. 2135 c.c. elenca tra le attività connesse la “fornitura di beni o servizi”. A questo proposito possiamo parlare dell’agriturismo (legge 96/2006 è relativa all’agriturismo). Per “attività agrituristiche” vanno intese: a. le attività di ricezione ed ospitalità, di somministrazione di pasti e bevande e di svolgimento di attività ricreative e culturali da svolgersi “nell’ambito dell’azienda”; b. altre attività ricreative, culturali, didattiche, escursionistiche, di pratica sportiva e ippoturismo “ancorché svolte all’esterno dei beni fondiari nella disponibilità dell’impresa” o fuori dai confini dell’azienda che molto mercato mondiale, quindi esso ha indotto gli agricoltori europei a produrre essenzialmente i prodotti assistiti, data la sicurezza dell’allocazione presso l’organismo di intervento di tutta la realizzata produzione. Attualmente dei prezzi c.d. istituzionali interni sopravvive sostanzialmente e marginalmente il prezzo di intervento. L’Unione europea ha posto una profonda riforma della politica dei prezzi.La caratteristica fondamentale dell’attuale politica agricola comune è il disaccoppiamento aiuti/produzione: c.d. decoupling. Occorre tendere a disaccoppiare i sostegni finanziari dalla produzione, pur non privando gli agricoltori di un reddito equo che li induca a rimanere sui fondi rustici come una sorta di presidio del territorio e a continuare a produrre prodotti alimentari per il mercato. Ancora una volta non si può fare a meno di rilevare che l’insieme delle misure sui prezzi è disposto solo per il settore agricolo. Esso comprova, ancora una volta, la differenza di disciplina dell’impresa agricola rispetto a quella commerciale e conferma le ragioni della loro differenza nella maggiore fragilità propria dell’esercizio dell’agricoltura. CAP. V GLI IMPRENDITORI AGRICOLI 1. PREMESSA L’imprenditore può essere sia una persona fisica che una persona giuridica, sia un individuo che una collettività, sia un soggetto privato che un ente pubblico, sia un modesto operatore economico che un’imponente organizzazione. Saremo in presenza di un imprenditore agricolo quando detto soggetto esercita l’attività di coltivazione del fondo o quella di selvicoltura o quella di allevamento di animali, con lo scopo di immettere la produzione sul mercato. 2. L’ IMPRENDITORE AGRICOLO PROFESSIONALE La figura dell'imprenditore agricolo a titolo principale (I.A.T.P), è sorta nel 1972 da una direttiva comunitaria. Questo soggetto beneficiava di sovvenzioni comunitarie e doveva avere dei requisiti: - possedere una sufficiente capacità professionale (titolo di studio/esperienza); - elaborare un piano di sviluppo (nel massimo di 6 anni, doveva essere in grado di portare a lavorare da una a due unità di lavoro umano); - tenere la contabilità; - esercitare l'attività agricola per almeno il 50% del suo tempo di lavoro realizzando da essa almeno il 50% del suo reddito. Da subito la figura dell’ i.a.t.p. ha iniziato a subire degli aggiustamenti fino a sparire dal diritto comunitario. Ciò che il diritto comunitario richiede all’ agricoltore non è più una particolare quantità di lavoro o una particolare quantità di reddito agricolo, ma è una dedizione all’azienda agricola tale da renderla capace di produrre utili, nonostante i costi occorrenti per rispettare i requisiti minimi di ambiente, igiene e benessere degli animali. Devono essere titolari di un’azienda che dimostri redditività, capace di produrre reddito. Bisogna poi ricordare che gli imprenditori agricoli destinatari di sovvenzioni comunitarie non sono solo persone fisiche, ma anche società, sia di persone che di capitali. Per il diritto comunitario l’ efficienza è misurata sulla capacità di stare sul mercato (la redditività appunto). In Italia → Al momento del recepimento della direttiva sull'IATP, l'Italia, aveva fissato dei parametri sul tempo di lavoro da dedicare all'azienda e sul reddito e aveva escluso che una società di capitali potesse diventare IATP. In seguito il D.Lgs 228/2001 ha individuato gli elementi che occorrevano per far si che le società di capitali (oltre che quelle di persone e cooperative) potessero assumere la qualifica di imprenditore agricolo. Nonostante la figura dell’imprenditore agricolo destinatario degli aiuti fosse in continua mutazione nel diritto comunitario, in Italia si continuava a incentrare tutta la politica agricola sullo i.a.t.p. Nel 2004 con il D.lgs 99/2004, si è cercato di avvicinare il diritto italiano a quello comunitario: è sorto lo IAP o Imprenditore Agricolo Professionale, puntando su un soggetto che: - abbia conoscenze e competenze professionali specifiche; - vi dedichi almeno il 50% del suo lavoro complessivo dal quale ricavi almeno il 50% del suo reddito globale di lavoro (25% per le zone svantaggiate) - possono essere IAP , in presenza dei due sopraccitati requisiti, anche i soci delle società di persone, i soci delle cooperative e gli amministratori delle società di capitali. L’attribuzione della qualità di IAP ai soci e agli amministratori delle società agricole è rilevante, perché se vi sono soci o amministratori IAP si verifica la traslazione di tale qualifica alle stesse società, che diventano anche esse IAP e in quanto tali, destinatarie di sovvenzioni creditizie e agevolazioni tributarie. IAP E COLTIVATORE DIRETTO Per la qualifica di IAP occorre tenere presente che il rilievo che la quota di lavoro (50%) che l’agricoltore deve dedicare all’agricoltura rispetto alla sua intera capacità lavorativa (100%) non ha alcun riferimento alle esigenze lavorative dell’azienda in cui svolge la sua attività.Un diverso criterio caratterizza la figura del coltivatore diretto, il cui lavoro deve soddisfare 1/3 delle esigenze lavorative del fondo. Nonostante questa differenza il d.lgs. 99/2004 estende all’IAP , sia persona fisica che società le agevolazioni tributarie e creditizie previste a favore delle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto: sicchè d’ora in poi le qualifiche soggettive di IAP e coltivatore diretto non hanno più rilievo, per quanto riguarda le norme fiscali in materia di imposizione indiretta e le norme attinenti al credito.L’assimilazione dell’IAP al coltivatore diretto risponde all’esigenza di avere, nel nostro ordinamento, una sola figura professionale corrispondente a quella unica del diritto dell’UNIONE EUROPEA, punto di imputazione di sovvenzionie vantaggi.Tuttavia tra le due figure rimane una particolarità: a differenza del IAP, il coltivatore diretto è sempre per il nostro diritto un “piccolo imprenditore” destinatario di quelle disposizioni di favore che il nostro Ordinamento riconosce a tutti i piccoli imprenditori (tra queste risalta il diritto di prelazione). 3. IL PICCOLO IMPRENDITORE AGRICOLO : IL COLTIVATORE DIRETTO La figura del coltivatore diretto è tipica figura del diritto italiano e risale alla legge 15 luglio 1906 n.383 sull’ agricoltura meridionale.Il codice civile, dopo la definizione generale di imprenditore (art. 2082), nel dettare quella di piccolo imprenditore art 2083 vi include “i coltivatori diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia” al fine di esonerarli: - dalla tenuta di scritture contabili; - dagli obblighi di iscrizione nel registro delle imprese; - dal fallimento; - dall’irrevocabilità della proposta e accettazione del contratto in caso di morte o incapacità sopravvenute dell’imprenditore. Quando è stato redatto il codice civile, coltivatore diretto poteva essere tanto il proprietario del fondo, quanto l’affittuario di esso, e si caratterizzava per il modo personale con cui svolgeva l’attività, (l’imprenditore era il lavoratore, partecipava alla fatica dei suoi eventuali dipendenti, svolgeva quindi mansioni esecutive non limitandosi alla sola attività di direzione ed organizzazione). Oggi sono coltivatori diretti tutti “coloro che coltivano il fondo con il lavoro proprio e della propria famiglia, sempre che tale forza lavorativa costituisca almeno 1/3 di quella occorrente per le normali necessità di coltivazione dl fondo” tenuto conto anche delle macchine e dell’uguaglianza del lavoro della donna rispetto a quello dell’uomo (legge 203/1982). L’appartenenza del piccolo imprenditore alla stessa categoria dei suoi dipendenti fa si che il suo lavoro sia direttivo ed esecutivo insieme: - direttivo perché così deve essere e non può non essere il lavoro dell’ imprenditore, - esecutivo perché solo così il piccolo imprenditore si differenzia da colui che non è coltivatore diretto o commerciante ambulante o artigiano. Con la conseguenza che la diversità qualitativa della piccola impresa rispetto a quella normale o grande si traduce necessariamente in una differenza quantitativa, essendo chiaro che il ciclo produttivo dominato dalla personale attività esecutiva del soggetto non può arrivare oltre una certa dimensione economica, con perfetta corrispondenza della figura giuridica del coltivatore diretto con l’archetipo che di questi si ha nell’immaginario collettivo. Coltivatore diretto dovrebbe intendersi anche il piccolo allevatore. Il lavoro personale del coltivatore diretto da prendere in considerazione ai fini della comparazione con il lavoro esecutivo svolto dai suoi dipendenti è solo un lavoro esecutivo che si aggiunge al normale lavoro direttivo che è proprio di ogni imprenditore e che perciò non può rientrare nel computo del terzo. Il lavoro del coltivatore diretto è un lavoro esecutivo e direttivo insieme. Ai fini dell’iscrizione presso l’ INPS è coltivatore diretto chi si dedica “con abitualità alla diretta e manuale coltivazione del fondo o all’allevamento e al governo del bestiame”: sicché si può dire che sotto questo profilo si può sostenere che esista ancora una differenza tra coltivatore diretto e IAP, perché mentre il primo dovrebbe svolgere attività manuale (oltre che di direzione dell’ impresa), l’ attività manuale non è richiesta al secondo che può limitarsi a svolgere la direzione dell’impresa agricola. 4. L’ EQUIPARATO AL COLTIVATORE DIRETTO In base alla legge 203/1982, sono equiparati al coltivatore diretto:  il laureato e il diplomato in materie agraristiche → requisiti: - fino 55 anni; - laurea/diploma in materie agraristiche o veterinaria → deve portare in azienda le conoscenze acquisite mediante il titolo di studio quindi il lavoro tecnico-professionale (non quello direttivo-organizzativo proprio di ogni imprenditore); - si impegni a esercitare in proprio la coltivazione di fondi per almeno 9 anni; - è richiesto almeno 1/3 del lavoro esecutivo (manuale/tecnico/professionale) occorrente l'esercizio dell'attività d'impresa  la cooperativa e i gruppi di coltivatori diretti → tutti i componenti devono essere coltivatori diretti inesistente.GLI EQUIPARATI ALL’ IMPRENDITORE AGRICOLO Sono considerati imprenditori agricoli le società di persone e le società a responsabilità limitata costituite da imprenditori agricoli che esercitano esclusivamente le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agricoli ceduti dai soci.Egualmente sono considerati imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi quando utilizzano, per la coltivazione del fondo, la selvicoltura e l’allevamento di animali prevalentemente prodotti dei soci, o prevalentemente ai soci forniscono beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico. Per estendere i vantaggi riservati agli imprenditori agricoli a determinati soggetti, il legislatore ne ha dichiarato l’equiparazione.Equiparati all’imprenditore agricolo sono: A) imprenditori ittici, cioè coloro che svolgono un’attività professionale ed organizzata, volta alla cattura o alla raccolta di organismi acquatici in ambienti marini, salmastri e dolci (mentre i veri imprenditori agricoli sono coloro che “allevano” i pesci, che cioè attraverso l’attività di acquacoltura ne curano il ciclo biologico). B) cooperative che forniscono servizi nel settore selvicolturale, ivi comprese le sistemazioni idraulico forestali, cioè quando esercitano attività di sistemazione e manutenzione agraria, forestale e in genere, del territorio e degli ambienti rurali. La qualifica “agricola” consente alla società di acquisire la qualifica di IAP o di coltivatore diretto e con esse le agevolazioni tributarie e creditizie spettanti alle persone fisiche in possesso della qualifica di coltivatore diretto. Ci sono dei requisiti che la società agricola deve possedere per ottenere la qualifica di IAP o di coltivatore diretto: - le società agricole di persone sono IAP, se un socio è IAP; - le società di capitali sono IAP, se almeno un amministratore è IAP; - le cooperative agricole sono IAP, se almeno un amministratore che sia anche socio è IAP; - la società di persone è, ai fini della prelazione, qualificata come coltivatore diretto, se almeno la metà dei soci è in possesso di tale qualifica In tutte queste ipotesi si verifica una traslazione della qualifica del socio o dell’amministratore dalla persona fisica di costui alla società. La società cooperativa (art. 2511) → prevede una divisione degli utili che apporta dei vantaggi ai soci. I soci cooperatori ricavano vantaggi proporzionalmente alla loro partecipazione all'attività sociale e non in proporzione al capitale versato (come nelle società lucrative). La personalità giuridica della cooperativa non è capace di nascondere le persone dei soci che si sono uniti per esercitare assieme la stessa attività.Lo scopo mutualistico della cooperativa deve essere prevalente affinché essa possa ottenere i benefici fiscali previsti dalla legge. Le cooperative si distinguono in: - cooperativa di lavoro - cooperativa di consumo - cooperativa di servizi L’eliminazione dell’intermediario fa sì che gli acquisti di beni, l’utilizzazione di macchine e di impianti, o la realizzazione dell’opera e il compimento dei lavori producano un costo inferiore o una retribuzione + alta, che si estrinsecano o nell’immediato pagamento di un P minore o di una retribuzione maggiore.Perché vi siano società cooperative agricole, è necessario che la forma societaria risponda tanto alle disposizioni sulla cooperativa, quanto a quella sull’impresa agricola.Le cooperative di lavoro sono sia quelle di conduzione di terreni, che quelle di allevamento e che esse sono di per se stesse imprenditori agricoli dato che i soci esercitano in comune la coltivazione del fondo e allevano in comune gli animali. Sono sorti dei problemi relativamente alle cooperative di trasformazione e vendita di prodotti agricoli che sono ampiamente presenti nel mondo rurale (cantine sociali, caseifici sociali, ecc.), quelle di cooperative di servizi in favore dei soci, perché non si sapeva se ci si trovasse davanti a attività agricola per connessione o attività commerciale. La connessione implica l’identità del sogg che svolge l’attività principale e l’attività connessa. Per la personalità giuridica attribuita alla soc cooperativa, questa è un sogg nuovo e distinto dai soci, sicchè se i soci sono viticoltori e conferiscono le loro uve alla cooperativa per la trasformazione e per la successiva vendita dei prodotti trasformati, sembrerebbe venuto meno il princ dell’unisoggettività. Ma la caratteristica della cooperativa è la sua trasparenza, cioè che la personalità giuridica non è capace di nascondere le persone dei soci che si sono uniti. Il d.lgs. 228/2001 stabilisce che si considerano imprenditori agricoli le cooperative di imprenditori agricoli e i loro consorzi quando utilizzano per lo svolgimento delle attività di cui all’art. 2135 prevalentemente prodotti dei soci. La manipolazione, la conservazione, la trasformazione, la commercializzazione e la valorizzazione dei prodotti dei soci da parte delle cooperative costituite da agricoltori non intaccano il rapporto di connessione e quindi attribuiscono alla stessa cooperativa organo comune dei soci imprenditori agricoli, la qualificazione di imprenditore agricolo, per quella traslazione della qualità agricola dai soci alla società di cui si è detto e che consente di considerare tali cooperative imprenditori agricoli. La qualifica di imprenditore agricolo è riconosciuta anche alle cooperative che forniscono prevalentemente ai soci beni e servizi diretti alla cura e allo sviluppo del ciclo biologico (cooperative di consumo e di altri servizi). 8. SOGGETTI COLLETTIVI, ENTI PRIVATI E PUBBLICI COME IMPRENDITORI AGRICOLI Alcuni soggetti collettivi (Associazioni, Università etc) essendo proprietarie di alcuni fondi rustici, hanno l'obbligo di sfruttarli anche nell'interesse generale (es sfruttamento collettivo dei boschi, dei pascoli, dei campi con immissione dei frutti sul mercato e ripartizione delle utilità con i comproprietari). Oltre a svolgere un’attività economica produttiva di reddito, questi enti hanno anche una funzione di tutela ambientale (quindi sono esenti dall’IRPEG). Tali enti godono dell’ esenzione dall’ imposta sul reddito delle società (IRES) a causa del fatto che svolgono nell’ esercizio della loro attività economica produttiva di reddito, anche una funzione di tutela ambientale.Imprenditori agricoli possono essere anche gli enti pubblici (c.d. Enti pubblici economici) ma sono esonerati dal fallimento mentre se svolgono un'attività commerciale devono registrarsi presso il Registro delle imprese. È possibile che l’attività economica rappresenti una delle funzioni dell’ente pubblico, come avviene per gli enti pubblici territoriali, nel caso ad esempio delle aziende comunali erogatrici di pubblici servizi.È possibile che l'ente pubblico che svolge un'attività economica non-principale eserciti allo stesso tempo un'attività imprenditoriale agricola diventando anche un imprenditore agricolo. Infatti gli enti territoriali proprietari di boschi sono ex artt. 41 e 44 Cost. imprenditori agricoli perché gestiscono l'attività forestale in forma imprenditoriale. 9. IL SISTEMA INFORMATIVO AGRICOLO NAZIONALE E LA CARTA DELL’AGRICOLTORE Il legislatore ha predisposto un sistema informativo nazionale a cui ricorrere per conoscere i vari dati attinenti alla struttura, superficie, colture delle aziende agricole italiane, nonché quelli relativi alle sovvenzioni ed agli aiuti goduti dagli agricoltori.Con la L.4 giugno 1984, n.194 è stato istituito il Servizio informativo agricolo nazionale (SIAN), a cui con il d.lgs. 173/1998 è stata attribuita la funzione di semplificazione amministrativa dei rapporti tra P.A. e singoli imprenditori agricoli, al fine di fornire agli utenti servizi efficaci e di assicurare l’interscambio di dati rilevanti fra operatori pubblici e privati del settore. L’accesso al SIAN avviene attraverso la c.d. Carta dell’ agricoltore, ossia una carta d’identità elettronica in cui sono concentrate le informazioni minime idonee a garantire il riconoscimento del titolare e il collegamento con il sistema SIAN.Il titolare della Carta ha poi un fascicolo aziendale che riporta le informazioni anagrafiche dell’impresa agricola. L’ accesso al SIAN non è concesso al singolo agricoltore ma ai Centri autorizzati di assistenza agricola (CAA). Il sistema consente l’accertamento delle sovvenzioni e degli aiuti assegnati agli agricoltori. 10. LE ORGANIZZAZIONI DEI PRODUTTORI AGRICOLI E LE ORGANIZZAZIONI INTERPROFESSIONALI L’ue svolge una politica diretta a favorire i produttori nell’organizzarsi sul mercato, inducendoli ad operare congiuntamente. E’ diventato necessario sostenere il settore agricolo con l’incentivazione della formazione di organizzazioni tramite le quali i produttori riescano a porsi sul mercato in modo forte ed efficiente nei confronti sia delle industrie di trasformazione, sia degli operatori della distribuzione commerciale. Per questo nel dir comunitario si ha un intervento diretto a regolamentare in maniera complementare la filiera agro-industriale: cioè quegli atti negoziali diretti alla costituzione delle organizzazioni di produttori agricoli (OP), pensate come anello di congiunzione tra la produzione e il mercato, come strutture intermedie tra produzione e commercializzazione. L’obiettivo è quello di aiutare le piccole e medie imprese agricole, rafforzandone il potere contrattuale nei confronti delle grandi imprese di trasformazione e distribuzione mediante un’organizzazione associativa che consenta loro di realizzare la concentrazione dell’offerta. All’origine le organizzazioni dei produttori hanno avuto, nel dir com, una distinta disciplina a seconda che si trattasse del settore ortofrutticolo o no. L’ue presentava una sola disciplina generale sulle organizzazioni dei produttori (quella limitata al settore ortofrutticolo) e una disciplina specifica per alcuni limitati settori, mentre toccava agli Stati membri disciplinare l’istituzione di organizzazioni di produttori per gli altri settori per i quali il dir com prevedeva un’organizzazione comune di mercato. La creazione delle org dei produttori agricoli si colloca nella politica della concorrenza. Alle org dei produttori non-ortofrutticoli erano state assegnate soprattutto funzioni normative; alle org dei prod ortofrutticoli invece erano state assegnate funzioni operative e funzioni normative. Le funzioni operative consistono nell’offerta dei prodotti degli aderenti tramite l’organizzazione. Le funzioni normative sono dirette a orientare la produzione mediante regole di quantità e qualità. Le organizzazioni interprofessionali invece raggruppano nello stesso seno produttori agricoli, industriali- trasformatori e commercianti di prodotti agroalimentari, con l’obiettivo di realizzare intense forme di collaborazione tra i vari settori economici della stessa filiera.Nell’elaborazione degli accordi agroindustriali la collaborazione tra gli agricoltori e industriali alimentari è esterna VS nell’organizzazioni interprofessionali, la collaborazione è interna alla stessa organizzazione che è costituita dalle distinte categorie professionali.Sia le intese che avvengono all’interno delle organizzazioni di produttori (cioè gli esercenti della stessa professione), sia quelle che avvengono tra esercenti di professioni diverse, le regole limitative della concorrenza sono adottate sempre all’interno del gruppo costituito. Ma le ipotesi vanno tenute separate: nelle organizzazioni di produttori si ha l’associazionismo dei produttori che tende a porre rimedio all’isolamento del singolo produttore e a razionalizzare le relazioni tra il mondo agricolo e gli operatori economici VS nelle ipotesi delle organizzazioni interprofessionali, l’elaborazione delle fasi di gestione non avviene su base di contrattazione collettiva, ma a livello di relazioni intrassociative. 11.LA POLITICA COMUNITARIA DELLE STRUTTURE AGRICOLE L’espressione “struttura agricola” è preferita dal diritto comunitario rispetto a quella di impresa.La parola struttura dà l’idea di un sistema, di un qualcosa di più ristretto dell’impresa, ci da l’ immagine: a) di un insieme; b) delle parti di tale insieme; c) dei rapporti di queste parti fra loro. Per il diritto comunitario dunque va preso in considerazione il complesso degli elementi economici e giuridici in presenza dei quali, il soggetto che noi chiamiamo imprenditore, svolge la sua attività.La politica comunitaria in particolare si occupa dei fattori di produzione, ossia dei beni agricoli, dei modi di circolazione di essi, del rapporto fra produzione e commercializzazione, e in fine del rapporto fra produzione e organizzazione e attività pubblica, che la tutela, la sorregge, la sovvenziona. Negli anni 90 il diritto comunitario ha previsto degli interventi volti ad aumentare la competitività dell’agricoltura, garantire la sicurezza dei prodotti agricoli a tutela dei consumatori, assicurare una stabilità dei redditi agricoli. L’agricoltura ha l’aspetto della multifunzionalità dell’agricoltura, infatti l’agricoltore coltivando la terra nel rispetto delle leggi della natura, “conserva” l’ambiente, “produce” ambiente. La Comunità mira al rispetto e alla garanzia di questa multifunzionalità, per cui il mancato adempimento di determinati obblighi ambientali porta alla riduzione o alla revoca dei sostegni finanziari europei. La Comunità ha poi istituito dei sistemi volti alla gestione e al controllo delle aziende.Vediamo i punti fondamentali della normativa dell’Ue del dicembre 2013 sulla PAC 2014-2020. Sono divenute elemento essenziale di tutti gli interventi di politica agricola le componenti ambientali e di sostenibilità. I nuovi regolamenti del 2013 partono dalla convinzione che la spesa pubblica destinata all’agricoltura europea deve essere giustificata da specifiche contropartite, per cui gli agricoltori beneficiati devono garantire di produrre alimenti sicuri, sani e di qualità, di tutelare l’ambiente, di proteggere gli animali e il paesaggio. Così:1)gli aiuti sono condizionati all’effettivo raggiungimento di detti scopi ambientali (cd condizionalità o cross- compilance), con conseguente riduzione o revoca del beneficio in caso di inadempimento2)L’ue non offre + sostegni alla produzione, ma un aiuto al reddito di ciascun agricoltore attraverso il disaccoppiamento dell’aiuto del prodotto3)la limitazione agli aiuti di base ai soli “agricoltori attivi” ha lo scopo di evitare che il sostegno vada a soggetti che poco hanno a che fare con l’attività agricola. essere indicati il nome dell'acquirente, il prezzo di vendita e le altre norme pattuite compresa la clausola per l'eventualità della prelazione. Il coltivatore deve esercitare il suo diritto entro il termine di 30 giorni. Qualora il proprietario non provveda a tale notificazione o il prezzo indicato sia superiore a quello risultante dal contratto di compravendita, l'avente titolo al diritto di prelazione può, entro 1 anno dalla trascrizione del contratto di compravendita, riscattare il fondo dell'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Con riferimento alla prelazione agraria, si è posta in giurisprudenza la questione se l'obbligo di trasmissione a mezzo lettera raccomandata il preliminare previsto dalla norma sia inderogabile o se le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, possano accettare forme diverse della denuntiatio. Un orientamento della Suprema Corte più risalente aveva sostenuto infatti che, con riferimento alla prelazione agraria, la norma che impone la notifica a mezzo lettera raccomandata del preliminare di compravendita non avesse natura cogente sicchè la comunicazione della volontà di stipulare e le condizioni della stipula avrebbe potuto essere data al prelazionario in qualsiasi modo ed anche in forma orale. La conclusione veniva raggiunta dalla Suprema Corte sul presupposto implicito che la denuntiatio non avesse natura di proposta contrattuale ma solo di invito ad offrire. Diversamente la Suprema Corte, con pronuncia più recente, ha accolto la tesi secondo cui la denuntiatio in materia di prelazione agraria ha natura di proposta contrattuale per effetto della espressa qualificazione operata dall'art. 8 della L. n. 590 del 1965. Ne consegue la necessità di rispettare gli oneri formali di cui all'art. 8 della L. n. 590 del 1965 nonchè più in particolare l'onere della forma scritta. 6. L’ ENFITEUSI, L’ USUFRUTTO, LE COLONIE MIGLIORATARIE ED IL COMPASCOLO Se la prelazione attribuisce al coltivatore un diritto di acquistare il fondo ma non ancora il diritto reale su di esso, l’enfiteusi (art. 957 c.c.) e l’usufrutto (art. 978 c.c.), concedono al loro titolare un diritto reale (più o meno ampio) sul bene in proprietà di altri.È quindi possibile costituire l’azienda agricola anche acquisendo la terra in usufrutto od in enfiteusi, senza quindi ricorrere al contratto di compravendita. L’enfiteusi si è sviluppata, nei secoli passati soprattutto con riguardo ai terreni agricoli, perché avendo l’enfiteuta l’obbligo fondamentale di migliorare il fondo (oltre quello di pagare un canone) veniva utilizzata come strumento di progresso dell’agricoltura.Obblighi fondamentali dell’usufruttuario sono quelli di rispettare la destinazione economica del bene (art. 981). Tanto l’enfiteuta quanto l’usufruttuario, trattandosi di fondo rustico, sono tenuti ad esercitare l’attività agricola. L’enfiteusi può essere perpetua o temporanea (in questo caso non inferiore a 20 anni), mentre l’usufrutto può essere solo temporaneo, deve avere un termine o altrimenti cessa con la morte dell’usufruttuario (o dopo 30 anni in caso di usufruttuario persona giuridica). Particolarmente importante riguardo ai modi di apprensione della terra è il diritto di affrancazione dell’enfiteuta: cioè un diritto potestativo in forza del quale l'enfiteuta ha il potere di acquistare la proprietà del fondo mediante il pagamento di una somma pari a 15 volte l'ammontare del canone cui egli è tenuto, ricorrendo al giudice onde ottenere l’ordinanza di affrancazione. Colonie miglioratarie erano un tempo un istituto consuetudinario ricorrenti in alcune zone d’Italia (soprattutto basso Lazio).Si caratterizzavano per la lunga durata (perpetua o oltre un trentennio) e per la circostanza della concessione in cambio di un modesto canone parziario, di un terreno nudo che a cura del colono doveva essere sistemato con colture arboree od arbustive (ad es. noccioleti o vigneti). Le leggi 327/63 e 607/66 hanno secondo alcuni convertito le colonie miglioratarie in enfiteusi o secondo altri le hanno assimilate all’enfiteusi per l’attribuzione al colono del diritto di affrancazione, esercitabile dopo 30 anni dalla concessione e ad avvenuta esecuzione del programma di miglioramento necessariamente con colture arboree o arbustive. Compascolo è un diritto reale regolato dalla consuetudine ed è un istituto tipico di alcune regioni alpine. Nasce in funzione dell’esercizio dell’attività di allevamento di bestiame.Qui i proprietari di piccoli fondi hanno il diritto di far pascolare ciascuno i propri animali sul terreno dei vicini, venendosi cosi a formare nell’interesse della pastorizia una più ampia superficie a pascolo rappresentata dall’insieme delle distinte particelle di terreno dopo che su ciascuna di esse sia stato effettuato il raccolto e non si sia ancora proceduto alla semina. Il compascolo o pascolo reciproco nasce dal tacito consenso dei proprietari dei fondi e cade sulla seconda erba per l’utile scambievole di tutti.
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