Scarica Appunti sbobinati delle lezioni di diritto della previdenza sociale 2018 e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Previdenza sociale 19/09/18 L’intervento dello stato è fondato sulla tecnica assicurativa, strumento civilistico che permette agli interessati di accollarsi il rischio al fronte di un pagamento. Il fine dell’ordinamento è divenuto quello della tutela della persona. Il Diritto a ricevere delle prestazioni di assistenza in una situazione di bisogno è un fine dello stato sociale, è un fine pubblico. Lo stato sociale si fa carico dei problemi della collettività e ridistribuisce le risorse. Oggi il concetto di ridistribuzione delle risorse non viene avversato, ma lo stato sociale nasce con questo presupposto. I questa visione universalistica assistenziale, l’assicurazione si pone in un mal posto, mi aspetto che quei contributi vengano spesi per tutelare un mio interesse privato o della categoria a cui appartengo. Lo strumento assicurativo viene utilizzato in modo particolare perché il contributo viene accollato al datore di lavoro sulla base della teoria del rischio professionale. Se si fa male in azienda si ritiene che sia il datore di lavoro a farsene carico. Prima evoluzione: passaggio alla pensione della vecchiaia o invalidità. Questo infatti in teoria non poggia più sulla teoria del rischio professionale, l’idea del sistema assicurativo classico avrebbe un senso se uno lavorasse tutta la vita con lo stesso datore di lavoro. Ma se cambi, tutti i contributi versati vengono comunque contati per la pensione. Così parliamo di estensione a altre situazioni di bisogno, maternità malattia etc. (Malattia: temporanea)A maggior ragione c’è uno spostamento dai rischi che puoi correre in azienda a quelli presi dalla collettività in senso lato. Nel periodo corporativo, abbiamo adottato il codice civile nel 42, che è fascista, tanto che la disciplina del lavoro in gran parte è fuori dal codice civile, poiché molte norme originarie del codice non sono più in vigore, poiché esso si fondava sulla posizione di pari forza tra dipendente e datore. 2115- 2116 articoli del codice civile: sono due norme dedicate alla materia previdenziale. 2115 datore di lavoro(versa tre quarti dell’obbligazione contributiva verso gli enti provvidenziali di competenza) contribuisce obbligatoriamente alla tutela previdenziale dei suoi dipendenti. Consacra la regola. È responsabile della parte Il datore di lavoro versa con i soldi del lavoratore i suoi contributi (con la ritenuta). Il lavoratore non può eludere niente in questo modo. Il datore sostanzialmente anticipa i contributi del lavoratore, poi detratti dalla sua busta paga. Quando il datore li dichiara ma non paga è omissione contributiva. Se la busta paga non esiste è evasione contributiva, non comunichi che è stato attivato un rapporto di lavoro (lavoro in nero). Le due cose vengono trattate diversamente dall’ordinamento. 2116 si fonda un principio fondamentale della materia previdenziale: regola della automaticità delle prestazioni. Le prestazioni previdenziali sono dovute ed erogate al prestatore di lavoro anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti. Il sistema si sta evolvendo verso la tutela della persona. ESEMPIO: arrivo all’età per andare in pensione , all’inps non risultano 20 anni di contributi : non hai il diritto, se hai gli anni versati meno di quanti in realtà dovresti avere versato: il datore di lavoro non ha versato i contributi a suo carico, nella logica della corrispettività delle assicurazioni normali non mi aspetterebbe, ma nell’assicurazione sociale in base a questo articolo, l’ente previdenziale deve renderti comunque la prestazione perché la previdenza ha lo scopo di tutela della persona. Questa regola non è senza limiti, il maggiore è la prescrizione dei termini. Se l’inps può recuperare i contributi dal datore di lavoro allora garantisce al lavoratore, ma se non se li può andare a recuperare dal datore non posso gravare l’inps di una spesa che non può recuperare. In questo caso non opererà il principio di automaticità. La Prescrizione è di 5 anni, cioè l’inps può recuperare dal datore di lavoro i contributi versati (dall’inps) al lavoratore solo per gli ultimi 5 anni. in altre parole, Il principio dell’automaticità delle prestazioni opera finche non si è prescritto il termine di rivalsa dell’inps. Due fattori possono intervenire: l’ente ha interrotto la prescrizione perché il lavoratore si è accorto anni prima è andato a controllare la sua posizione lavorativa in modo da poter denunciare che l’ente previdenziale si attivi a interrompere la prescrizione. (Nel caso in cui l’inps non si attivi c’è l’azione risarcitoria del lavoratore nei confronti dell’inps) Nel caso in cui il lavoratore abbia comunque anni che non possono essere coperti dall’inps e quindi la pensione percepita è inferiore a quella che sarebbe dovuta essere nel caso in cui il datore avesse versato tutti i contributi, ha un azione risarcitoria verso il datore di lavoro( rendita vitalizia o risarcimento del danno). Il rapporto obbligatorio e previdenziale si stanno separando. Lo schema assicurativo inizia a cedere, il primo passaggio è che l’assicurazione sociale è gia diversa dall’assicurazione privata, poi vi è la scissione tra rapporto contributivo(che interessa datore e ente) e il rapporto previdenziale( che interessa in Lavoratore e e ente). In questo contesto si inserisce la carta costituzionale, che si iscrive ad un processo di democratizzazione in cui emergono spinte progressiste e di riconoscimento della sicurezza sociale. Sistema beveriggiano, lord beverig cì dice che la tutela deve essere per tutti rispetto a determinate forme di bisogno, non solo i lavoratori. Ma in Italia veniamo da una logica diversa, che è quella del sistema assicurativo LOGICA BISMARKIANA , inventata da Bismark nell’impero austriaco, in funzione della conservazione dell’ordina pubblico dando un minimo a tutti. Finiscono per essere però acquisite le idee anglosassoni. La tutela contro un infortunio sul lavoro non era un diritto fondamentale . (ASSISTENZA DIVERSO DA PREVIDENZA. RISPETTO ALL’IDEA DI SICUREZZA SOCIALE, però SEGUONO LO STESSO FINE DI TUTELA DELLA PERSONA BISOGNOSA. DETTO Ciò LA NOSTRA CARTA cost distingua tra assistenza e previdenza. . La nostra costituzione si fonda da un lato come idea di previdenza legata solo al rapporto di lavoro, da un lato l’assistenza la garantiamo a tutti i cittadini . Anche la previdenza però ora è funzionale ad un idea di solidarietà universale anche se RIGUARDA SOLO I PRODUTTORI DI REDITO.) Insieme assistenza e previdenza costituiscono quella che è la previdenza sociale. CI INTERESSANO: Art 38 costituzione: IMPORTANTE PER ESAME da imparare a memoria. ART 2 E 3 COST: I cittadini hanno doveri di solidarietà, questo ci permette di dire che tutta la nuova disciplina della previdenza si impernea su questo principio. Dopodiché c’è l’uguaglianza sostanziale rimozione stato di bisogno, perseguito tramite assistenza e previdenza per garantire la persona. Tutti noi per i doveri di solidarietà dobbiamo contribuire. 1,2,3,4, e 35 art da leggere in combinazione con il 38. L’art 38 ha 5 commi: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera”(HAI LA POSSIBILITA’ DI FARE ASSICURAZIONI PRIVATE) 38.1 : a prescindere dal fatto che sei o sei stato un lavoratore, per lo stato sociale se sei sprovvisto dei mezzi per vivere (o si interviene o muore), hai diritto (soggettivo) a delle prestazioni minime che ti permettono di sopravvivere, ti garantisce cioè una prestazione di carattere assistenziale (es assegno sociale, stiamo parlando di livello assistenziale minimi di assistenza che bastano per sopravvivere non per vivere. è QUANDO? NON SEMPRE MA in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Chi? I lavoratori, non qualunque cittadino, ma soltanto chi ha o ha avuto un rapporto di lavoro passaggio importante rispetto al passato, non si dice infatti lavoratori subordinati. La costituzione tutela i lavoratori subordinati con norme ma tutti gli altri con altre. Non a caso, LA REPUBBLICA è FONDATA SUL LAVORO, nel 46 ci furono conflitti su cosa scrivere (esempio i comunisti volevano mettere lavoro subordinato). art 4 è dedicato al diritto e dovere a lavoro, non dice lavoro subordinato Art 35 dice che l’Italia tutela il lavoro in tutte le sue forme (autonomo , subordinato e associato) Da un lato c’è la tutela del lavoro in tutte le sue forme , dall’altro c’è la tutela sull’impresa: Art 41: l’iniziativa economica è libera Quindi da una parte vieni tutelato perché lavori in una di queste tre forme, dall’altra c’è la tutela dell’attività di impresa economica privata. Dopo l’art 35, arrivano le norme sul lavoro subordinato. Infatti quando nell’art 36, ci dice che il lavoratore ha diritto ad una retribuzione che è proporzionata alla quantità e qualità del lavoro e sufficiente a garantire a se e alla sua famiglia un esistenza libera e dignitosa. Il termine retribuzione, è il compenso dei soli lavoratori subordinati, e sta scritta pari pari nell’ art 2099 cc e art 2094 cc. Il lavoratore(subordinato) ha diritto a una retribuzione che è proporzionata a quantità e qualità del lavoro, cioè in base alla tua professionalità e a quanti lavori. Vige infatti un sistema di inquadramento dei lavoratori per livelli, ed ad ogni livello di inquadramento corrisponde un livello di retribuzione. Quindi le professionalità più basse percepiscono una retribuzione inferiore e quelle più elevate una retribuzione maggiore (proporzionata anche alla qualità del tuo lavoro) (poiché c’è anche la tutela costituzionale dei capaci e meritevoli), è normale che nel lavoro subordinato ad una maggiore qualità del lavoro corrisponda una retribuzione proporzionata. questo criterio della proporzione da solo non basterebbe a giustificare perché ai lavoratori deve essere riconosciuto comunque un minimo. Perché? L’articolo 41 dice che l’iniziativa economica è libera, nel nostro ordinamento c’è anche la libertà sindacale,che consiste principalmente nella facoltà di stipulare questi contratti collettivi, in cui vengono normalmente previste queste retribuzioni di cui stiamo parlando in base all’inquadramento dei lavoratori. Tuttavia se un datore di lavoro non vuole aderire a nessuna rappresentanza dei lavoratori non gli si può applicare d’imperio nessun contratto collettivo. A quel punto sceglie il datore di lavoro la retribuzione che deve corrispondere, ma deve rispettare i parametri di qualità e quantità proporzionale al principio di inquadramento per livelli, oltre al rispetto del criterio della sufficienza, cioè deve essere anche sufficiente per garantire al lavoratore e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa. (non a caso in America che c’è solo il proporzionale c’è il fenomeno dei lavoratori poveri). Quindi questo criterio della sufficienza corregge in senso migliorativo il criterio della proporzione. Naturalmente è chiaro che quando si applica un contratto collettivo questo problema non si pone perché si ritiene che questi contratti già rispettino i parametri costituzionali, ma, tutte le volte che un datore di lavoro non applica nessun contratto collettivo, il lavoratore che ha pattuito il pagamento di una retribuzione che ritiene insufficiente può andare davanti al giudice e chiedere che fissi lui in modo equitativo una retribuzione che ritiene sufficiente. Il giudice non può applicare il contratto collettivo, poiché le parti non lo hanno voluto. Tuttavia, in questo caso, i contratti collettivi art 36 cost, possono essere usati dal giudice come parametri equitativi per individuare una retribuzione ritenuta sufficiente. I casi in cui non vengono applicati i contratti collettivi dai datori di lavoro sono molti, poiché questo sistema di rivolgersi al giudice opera per tutti i rapporti di lavoro in nero, che in Italia sono circa 2 milioni. clausola di rinvio: per ogni aspetto qui non regolato si rimanda al contratto collettivo(contratto molto usato indirettamente dunque) Cosa si risparmia il datore con il lavoro in nero? La parte di contributi che deve pagare direttamente il datore di lavoro per il lavoratore, fuori dalla busta paga e la ritenuta dei contributi del lavoratore nella sua busta paga. Quindi non è neanche così infrequente che il lavoratore consapevole del risparmio del datore si faccia dare in nero, più di quello che dovrebbe in realtà pagare per il lavoratore con un rapporto regolare (esempio al netto avresti preso 1000 euro + 400euro di ritenute in busta paga= 1400 lordo, ci accordiamo per un lavoro in nero in cui tu mi dai 1200 quindi risparmi. Dopo ti faccio causa e tu mi dovrai dare quei 200 al mese che in realtà non ho percepito come contributi) , poi gli fa causa e il datore di lavoro verrà costretto a dare al lavoratore la differenza fra quanto gli ha dato in nero e quanto (il lordo) gli avrebbe dovuto dare, compreso di quelle che sarebbero state le ritenute sullo stipendio del lavoratore -->il lavoratore può fare la denuncia all’inps dicendo che ha lavorato in nero, ma sarà l’inps a doversi rivalere sul datore riguardo ai contributi(quelli fuori dalla busta) che a causa dell’evasione contributiva non ha pagato. Per il resto, nella causa fra lavoratore e datore, il datore viene condannato per dare la differenza tra lordo dovuto e netto effettivamente percepito per la durata del rapporto di lavoro. La prova di quanto il lavoratore ha percepito in nero è a carico del datore di lavoro. Questi soldi però dovevano andare non al lavoratore ma agli enti previdenziali, invece così vanno al lavoratore. Non vi è infatti nessuna rivalsa prevista da parte dell’ente sul lavoratore. (RIPETO, Per quanto riguarda i contributi che il datore di lavoro versa fuori dalla busta paga al lavoratore, una volta che io denuncio all’inps il lavoro in nero, sarà solo l’ente ad essere legittimato ad attivarsi per prendere quello che non gli è stato versato, non il lavoratore) MORALE DELLA STORIA? Questo sistema fa si che si alzino le tasse di tutti perché dovranno provvedere a questo buco tutti i contribuenti fiscali, cioè grava sulla collettività. Pure sull’ente previdenziale abbiamo questo peso, perché vige il principio della ripartizione, per cui le pensioni attuali le pagano chi sta lavorando. Quindi se l’inps non incamera questi contributi sufficienti per pagare le pensioni a chi attualmente sta in pensione? L’inps non è un soggetto autonomo, è un ente pubblico. Quindi, nel bilancio dello stato rientra il finanziamento dell’inps. Con che soldi? Quelli delle tasse e contributi di tutti i cittadini. Un provvedimento che hanno adottato quasi tutti i governi negli ultimi 10 anni è quello dell’esonero contributivo, pur di far in modo che le imprese assumano i lavoratori a tempo indeterminato. Questo esonero contributivo consiste: il datore di lavoro che assumeva lavoratori a tempo indeterminato (che in realtà non era perché dopo tre anni potevano tranquillamente essere licenziati con una sciocchezza di 4 mensilità invece che 30 per esempio), per ogni lavoratore assunto nel prossimo triennio hai uno sgravo dei contributi su quel lavoratore fino a 8000 euro all’anno. Così le aziende hanno assunto 1 milione e 400 000circa di persone (anche perché in realtà contemporaneamente potevano licenziare con poche taree), ma questi rapporti sono durati in media un anno. L’INPS con questo ha perso 12 miliardi di euro di contributi pensando di far ripartire l’economia, ma in Italia la gente risparmia non compra beni e servizi, così l’economia non è ripartita e gli assunti sono state licenziati. Così l’inps si è ritrovato con 12 miliardi di buco poiché le entrate contributive previste non sono evidentemente arrivate. conseguenza, l’età pensionabile aumenta, visto che l’inps non ha soldi in modo che pensioni deve pagare meni pensioni. In passato si andava in pensione prima anche perché l’età di vita media era 50 anni e oggi 85. Prima non c’era popolazione anziana poiché morta in guerra e c’era inoltre il sistema a capitalizzazione. Sistema a capitalizzazione sistema con cui l’inps pagava le prestazioni accumulando i contributi dei rispettivi lavoratori. In base a questo sistema, io verso i contributi a livello contabile, i contributi vengono imputati a me. Accumulando contributi di tutti i lavoratori e non pagando pensioni poiché non c’erano vecchi, l’inps negli anni 50 l’inps era ricca, tanto che si è passati alla pensioni d’oro. La capitalizzazione ognuno pagava i contributi tramite il datore di lavoro e poi si ritrovava i suoi contributi accumulati, il cosiddetto montante contributivo, con cui veniva pagata la sua pensione questo sistema favoriva il risparmio. Questo sistema non è stato completamento abbandonato. Per questo e perché negli anni 60 gradualmente si passa al criterio di calcolo retributivo, anche a causa della svalutazione della lira. La cosa importante non tanto al fatto che il calcolo era sviluppato sulla retribuzione del lavoratore invece che su i contributi, ma il fatto che in quel periodo non si faceva riferimento a tutta la vita lavorativa, ma solo agli ultimi dieci anni di retribuzione del lavoratore, che normalmente erano i più alti. Ripartizione significa che Con i contributi di chi oggi lavora si pagano le pensioni di chi oggi è in pensione. Su questo sistema si fonda la così detta solidarietà intergenerazionale significa che oggi chi lavora è solidale con chi oggi è in pensione. I giovani che lavorano sono solidale con gli anziani in pensione. È un esempio tipico di sicurezza sociale, perché secondo il modello assicurativo classico io dai miei contributi mi aspetto che venga pagata la mia pensione, invece io si dal punto di vista contabile nella mia posizione previdenziale risultano quanti contenuti ho versato, ma nella pratica sto pagando la pensione degli altri. E’ il tipico meccanismo assicurativo di prevenzione sociale . È un meccanismo difficile da accettare perché poi io mi aspetto di ricevere lo stesso trattamento per essere stato solidale in primis con il sistema della retribuzione. X ESAME: PARLIAMO DI SISTEMI DI FINANZIAMENTO? CAPITALIZZAZIONE(ognuno pagava i contributi e poi si ritrovava il suo montante contributivo, c’erano ingenti capitali) E RIPARTIZIONE (con i contributi di chi oggi lavora si pagano le pensioni di oggi) dell’inps Altra cosa è il sistema di calcolo. SISTEMA DI CALCOLO A prescindere dal finanziamento dell’inps, il sistema di calcolo è il modo con cui si quantificano le pensioni, cioè un metodo che si può basare o in riferimento al dato contabile della retribuzione del lavoratore o in base dato contabile del versamento dei contributi (per il calcolo della pensione del lavoratore). Sono due diversi criteri, ma la differenza non sta tanto nell’utilizzare l’uno o l’altro, perché i contributi che si quantificano sulla retribuzione quindi moltiplicando per un aliquota tale, si determina lo stesso importo con ambi due. La vera differenza che c’è stata nel passaggio da un sistema all’altro è che facciamo riferimento a tutta la tua vita lavorativa mentre nel passato si faceva rifermento ai soli dieci anni, in cui tendenzialmente si guadagna di più. Contando tutta la vita abbasso molto l’importo poiché mi contano nella media anche gli anni in cui ho preso meno. Prima con il sistema della capitalizzazione e l’alta occupazione l’inps aveva i soldi e per questo poteva calcolare sugli ultimi 10 anni. Negli anni 80 l’occupazione era piena e tutti contribuivano, oggi con la disoccupazione e la precarietà, la crisi economica, l’inps è nel dramma. Oggi chi lavora è oltre tutto precario, quindi chi lavora 3 mesi e poi sta fermo, questi buchi sono mancati pagamenti dei contributi (ulteriore aggravio alle casse dell’inps). Più aumenta la disoccupazione più aumentano i problemi previdenziali. Oggi nella generalità dei casi c’è il contributivo per tutti, ma alcuni particolari situazioni in esaurimento erano fino al 2011 ancora sulla retribuzione degli ultimi 10 anni, perché bisognava rispettare delle aspettative. Il sistema di calcolo retributivo applicato a tutta la vita non c’è mai stato, è stato sempre solo limitato agli ultimi dieci anni, ma solo nel caso fosse stato applicato a tutta la vita non ci sarebbe stata differenza con il contributivo. Tornando all’art 38.2, parla di lavoratori, ma il problema torna sempre al subordinato. Tutti i lavoratori beneficiano della previdenza, ma i lavoratori subordinati sono quelli che hanno il peso dominante poiché: sono 18milioni di persone, è la forma tipica del lavoro di questo paese e perché tutto il problema delle pensioni è qui. La previdenza oggi si è estesa a tutte le categorie di lavoro. I lavoratori autonomi comprendendo tutte le categorie al massimo arrivano a 2 milioni, ripartiti in una trentina di enti di previdenza di categoria, mentre 18miln di persone stanno in unica gestione presso l’INPS. ES: non è la stessa cosa dell’ente di previdenza di categoria, è incomparabile la solidarietà di 18miln di persone e di 400 dei liberi professionisti esempio. Quando io pago alla cassa avvocati i miei contributi da libero professionista, sono solidale con tutti gli avvocati e allo stesso tempo se faccio anche il professore universitario pago i contributi all’inps. Nessuno dei due regimi previdenziali (che sono regimi previdenziali di base obbligatori) rinuncia alla tua solidarietà. N.B.: L’assicurazione privata per la vecchiaia è libera, non è connessa a questo, la stipulo da privato cittadino se voglio. Lezione 26/09/18 Chi sono i lavoratori a progetto? ERANO MAI STATI ATTIVATI A CAUSA DELLE PENSIONI D’ORO di quegli anni. era più conveniente la polizza privata visto che la pensione mi permetteva anche di risparmiare e dunque di investire nell’assicurazione privata. La previdenza complementare si è iniziata ad applicare nel 2005 in modo forzato quasi, proprio perchè ANCORA UNA VOLTA NON CI SONO I SOLDI PER PAGARE le prestazioni di previdenza OBBLIGATORIA. COSì IL LEGISLATORE HA CREATO QUESTO STRUMENTO: METTIAMO IN MANO AI SINDACATI O AD ACCORDI A LIVELLO AZIENDALE, LO COSTRUIAMO COME SISTEMA FACOLATATIVO PER NON VIOLARE LA VOLONTà DEI SINGOLI, LA POSSIBILITà DI ISTITUIRE DEI FONDI, chiamati FONDI DI PREVIDENZA COMPLEMENTARE O INTEGRATIVA, I LAVORATORI POSSONO METTERE I LORO RISPARMI IN QUESTI FONDI. LA DIFFERENZA rispetto ad una previdenza privata o individuale è CHE QUESTI FONDI VENGONO CONTROLLATI DALL’ORDINAMENTO STATALE (sottoposti a vigilanza) E CHE QUESTI FONDI REALIZZAZNO COMUNQUE UNA FORMA DI SOLIDARIETà COLLETTIVA più o meno estesa, poiché riguardano o la categoria o dei bacini più ampi di lavoratori. L’idea è: NEL MOMENTO IN CUI IL LAVORATORE HA LA POSSIBILITà DI ACCEDERE A QUESTA PREVIDENZA COMPLEMENTARE IO TI RIDUCO LA PREVIDENZA OBBLIGATORIA. Questi fondi operano a capitalizzazione,cioè investono questi risparmi facendoli fruttare in investimenti che fruttino più di tenere i soldi in banca con il tasso di interesse legale. Sono investimento a rischio più o meno contenuti. Il sistema così si autoalimenta perché I fondi di previdenza investono, così maturano interessi ed ottengono più soldi, sono così in grado di rendere prestazioni previdenziali complementari addirittura superiori alle prestazioni obbligatorie. Così possiamo ridurti la prestazione obbligatoria perché ti compenserai tramite il percorso della previdenza complementare. Ma il sistema fallisce se non ci sono i soldi. Infatti, NON è MAI DECOLLATO perché IL FINANZIAMENTO ERA VOLONTARIO DEI LAVORATORI (i contributi che destini alla previdenza complementare sono in aggiunta agli altri contributi della previdenza obbligatoria ed essendo le retribuzioni basse nessuno se lo permetteva), così NEL 2005 HANNO FATTO SI CHE NELLA BUSTA PAGA, nella voce della retribuzione netta in cui va a maturare il tuo tfr, tu puoi destinare i contributi per il tuo tfr ad un apposito fondo complementare. TFR TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO, si somma in ogni busta paga fino alla fine del rapporto in cui hai il tuo montante di tfr. Quando ti arriva il cud ti dice quanto hai maturato. Ha sempre avuto un funzione previdenziale per i lavoratori e di incentivare l’economia poiché i lavoratori alla fine del rapporto ricevendo una cospicua cifra di denaro oltre alla pensione, faceva si che negli anni 70 , dopo aver lavorato 40 nella stessa azienda i genitori davano il loro tfr ai figli, per farli uscire da casa (previdenza familiare). Il datore di lavoro i soldi del lavoratore maturati li spendeva per investire e produrre, di fronte a rapporti di durata di 40 anni ogni tanto doveva si pagare un tfr al lavoratore che andava in pensione, ma intanto tutti gli altri lo pagavano (continuavano a maturare il proprio tfr). Tutto ciò ha come presupposto la piena occupazione. crisi economica e disoccupazione il problema comincia a presentare numerose falle perché soprattutto il datore se deve licenziare 20 persone nello stesso momento deve pagare 20 tfr, soldi che non ha perché li ha investiti per cercare di uscire dalla crisi. se il datore di lavoro non ha questi soldi per i tfr, i lavoratori fanno causa e lui viene dichiarato fallito. Il fallimento non ha un euro. Per questo è stato stabilito un fondo di garanzia inps per i tfr, finanziato da noi con la leva fiscale. L’inps non trovando capitali su cui rifarsi di questi risarcimenti ai lavoratori è perennemente in debito, poiché ha saldato i tfr al posto del datore senza riatta pare questi buchi. Con la previdenza complementare, alla fine del rapporto il lavoratore non ha più il tfr poiché destinato alla previdenza complementare(si blocca così tutto il meccanismo all’origine del tfr). i tfr nei fondi di previdenza complementare mutano funzione, da retribuzione differita a contributi della previdenza complementare. L’idea era non aspettare il tfr ma investire i soldi ad esso destinati. Nel 2007 si sarebbe dovuto dire che questa destinazione di questo tfr deve essere esplicitamente destinata a contribuire al fondo di previdenza complementare, invece si è detto che si utilizzava la regola tacita, cioè chi esplicitamente esprimeva il proprio dissenso, aveva il tfr automaticamente convertito in previdenza complementare. Questo meccanismo è tutt’ora in vigore. Per le aziende con più di 50 dipendenti è stato previsto che se esprimi il tuo dissenso, comunque il datore di lavoro deve versare il tfr ad un altro fondo inps che prende il nome di tesoreria. C’è il rischio anche che il datore di lavoro non versi i contributi per la previdenza complementare per pagare le retribuzioni ad esempio. Il lavoratore non si accorge se questo succede perché l’inps non comunica. A quel punto a fine rapporto non ha ne tfr ne previdenza complementare, non puoi andare al fondo di garanzia perché quello non ti compre per i contributi alla previdenza. La destinazione del consenso tacito è irrevocabile. I sindacati sono allettati perché possono così investire. Oggi con le regole di informazione i lavoratori all’assunzione ricevono un modulo per esprimere il loro dissenso. All’epoca quando la gente già lavorava nessuno gli ha messo in mano il modulo per poter esprimere dissenso, questo fu il grande inganno. LEZIONE N.5 - 2 OTTOBRE 2018 Tra la previdenza privata e quella obbligatoria si colloca la previdenza COMPLEMENTARE, la cui natura è ibrida in quanto è, apparentemente, rimessa alla libera scelta dei lavoratori, ma d'altro canto regolata da disposizioni di legge e quindi formalmente non riconducibile ne al quinto comma perché esiste una regolamentazione di legge che non la rende completamente privata, dall'altro non riconducibile neanche al secondo comma perché se il lavoratore non vuole aderire a questo tipo di previdenza integrativa non può essere costretto, quindi non si può chiamare previdenza obbligatoria, ne lo Stato è costretto a predisporre enti e strumenti per realizzarla. Invece il legislatore l'ha voluta favorire, soprattutto per la difficoltà di reperire risorse economiche idonee a garantire delle prestazioni previdenziali adeguate nell'abito della previdenza obbligatoria. Si cerca di abbattere nel quantum le prestazioni previdenziali di base integrandole attraverso appunto questo particolare meccanismo. La libera adesione è una scelta, non è imposta dalla carta costituzionale. Si discute se rendere obbligatoria anche lo schema della previdenza complementare come già succede in Francia; diventerebbe evidente che sempre di previdenza obbligatoria si tratterebbe con la differenza derivante dalle fonti del finanziamento, perché da una parte ci sarebbero i contributi posti a carico del datore di lavoro e dall'altro ci sarebbe questa forma di finanziamento accollata al lavoratore che andrebbe a finanziare (qualora venisse adottato questo sistema) una previdenza obbligatoria ma complementare, cambierebbe soltanto il meccanismo di finanziamento (quella di base è a carico principalmente al datore di lavoro, l'altra se la paga il lavoratore rinunciando al TFR). La previdenza complementare è gestita da questi fondi, che sono enti giuridici di diritto privato, costituiti tramite accordi collettivi (tramite accordi che fanno i sindacati ). Il contratto collettivo che nasce come un contratto di tariffa, perché nell'800 i lavoratori pur di fronteggiare l'abbattimento del salario a causa della enorme quantità di offerta di lavoro (l'offerta è dei lavoratori), nasce per arginare il ribasso della retribuzione. è il senso stesso del diritto sindacale, perché significa che 90 persone sono disposte a non lavorare pur di far guadagnare ai 10 che si occuperanno un salario dignitoso, ecco perché si dice che l'interesse collettivo è la sintesi e non la somma degli interessi individuali (se fosse la somma sarebbero tutti soddisfatti questi interessi individuali. I lavoratori che non accettano si chiamano CRUMIRI. Questo contratto collettivo può essere stipulato con un singolo datore di lavoro o con una organizzazione di rappresentanza dei datori di lavoro, perché dicono "non è che con questo meccanismo ci alzano sempre di più il livello di retribuzione" e quindi creano quello che si chiama INTERESSE COLLETTIVO DI SECONDO GRADO in risposta a quello dei lavoratori. CCNL = Contratto Collettivo Nazionale del lavoro, tutti quelli che appartengono ad una determinata categoria produttiva, fanno tutti riferimento a questa categoria a livello nazionale. Le rispettive organizzazioni, sindacato dei lavoratori e sindacati dei datori, stipulano il c.d CCNL, però nel nostro ordinamento non sta scritto da nessuna parte che si debba stipulare; quindi si può stipulare il CCNL oppure si può stipulare un contratto collettivo con il singolo datore di lavoro, a questo punto sul versante del datore di lavoro il soggetto è unico, non c'è un sindacato che lo rappresenta è lui stesso che disciplina i rapporti di lavoro nella sua azienda: c.d. CONTRATTO COLLETTIVO AZIENDALE, può coesistere con il CCNL ma può anche esistere uno da solo. Caso Fiat: Fiat è uscita dal sindacato confindustria (che è il principale sindacato dei metalmeccanici) e ha fatto un contratto collettivo aziendale. I sindacati oltre ai contratti collettivi possono fare anche ACCORDI COLLETTIVI, la differenza è che quando si parla di contratto collettivo (sia nazionale che aziendale) si parla di un accordo regola i singoli rapporti di lavoro e quindi troveremo oltre alla retribuzioni anche tutte le altre condizioni (tutte le altre regole non presenti sono fissate nel contratto collettivo nazionale applicato all'azienda), mentre gli accordi collettivi hanno la funzione di regolare come gestire determinate situazioni all'interno dell'azienda, per esempio quando il datore di lavoro deve fare un licenziamento collettivo può fare un accordo con i sindacati con cui di decidono i criteri di licenziamento, pertanto l'accordo non disciplina le condizioni di svolgimento dei singoli rapporti di lavoro. Per istituire dei fondi di previdenza integrativa, lo strumento privilegiato dal legislatore è quello dell'accordo sindacale! Il legislatore consente che all'interno delle categorie interessate, o anche trasversalmente, i sindacati, dei lavoratori e dei fattori di lavoro, possono istituire dei fondi. Quindi, ai sindacati il legislatore delega una funzione che è in questo caso una funzione di disciplina di interessi privatistici e che ha anche i suoi riflessi di diritto pubblico, in quanto con questo strumento si governa l'economia del Paese. ESSENDO UNO SCHEMA DI COMPROMESSO TUTTA la legislazione ordinaria successiva, così come l'intervenzione dalla Corta Costituzionale , SI SONO MOSSE IN BASE A QUESTO SCHEMA DI COMPROMESSO, cioè in base ad elementi storici significa economici e sociali del Paese, il legislatore ha adottato determinate soluzioni attuative e la Corte Cost. le ha interpretate sempre a seconda del momento. Gli estremi seguiti dal legislatore sono 2 : - equità = garantire prestazioni previdenziali ma anche assistenziali, rispettando il criterio della solidarietà generale e comunque concretizzando il parametro della concretatezza della prestazione previdenziale al di sopra di quello che è il semplice mantenimento, quindi ricollegandolo al principio di propporzionalità rispetto ai contributi versati; - rigore = in relazione agli interventi che hanno ridotto il concetto di adeguatezza verso quello di mantenimento minimo di beni essenziali di sussistenza, e hanno anche ritenuto ragionevoli gli interventi che hanno cambiato i requisiti di accesso ai trattamenti previdenziali. Il problema è sempre quello: da un lato lo Stato vorrebbe rispettare la proporzione con chi ha effettivamente versato i contributi in maniera sostanziale, dall'altro riconosce a tutti i cittadini un trattamento assistenziale, dall'altro c'è il problema che non ci sono i soldi per fare ne l'una ne l'altra cosa e quindi riduce nel quantum sia le prestazioni assistenziali che quelle previdenziali e al tempo stesso peggiore i requisiti di accesso per beneficiarne. Esempi: quando il legislatore stabilisce i criteri di periquazione (?) delle azioni, cioè stabilisce il quantum degli importi pensionistici, dice che se ti ho dato 100 euro nel 1980 oggi con 1000 euro non riesce a comprarci la metà della cose e quindi introduce il sistema di adeguamento automatico al costo della vita e questo è ovviamente una soluzione di equità. Quando il legislatore consente, di andare in pensione di anzianità (che non è vecchiaia, ma di servizio ) dice che a chi ha iniziato a lavorare molto presto lui riconosce un trattamento pensionistico nonostante non abbia raggiunto l'età anagrafica che determina l'incapacità di produrre reddito, anche questo è una soluzione di equità. Negli anni 70 quando si pone il problema delle crisi aziendali, il legislatore interviene con gli ammortizzatori sociali (che sono interventi di equità), introducono la cassaintegrazione guadagni, è del legislatore, lo ha potuto stabilire sempre sulla base dell’ottica compromissoria che sta nell’art. 38 Cost, ha rilevato che la tutela riguarda uno stato di bisogno e quindi qualunque cambiamento del quantum, finché non entra nello stato di bisogno, il principio è ragionevole. In alcuni casi si è stabilito che il trattamento previdenziale o anche quello assistenziale, debba essere collegato all’effettivo stato di bisogno, questo significa che non si presume più l’esistenza dello stato di bisogno a fronte del verificarsi dell’evento lesivo, ma si va a verificare se in concreto ci si trovi in quella particolare condizione. Per godere, ad esempio, dell’assegno sociale, che è una prestazione assistenziale che viene erogata a coloro che non hanno raggiunto il diritto alla pensione perché non hanno maturato il requisito minimo necessario. Nel profilo del rigore si introduce anche la previdenza complementare, non tanto in quella che era la logica originaria del 1993 (quando si diceva ai lavoratori che potevano versare dei contributi per alimentare i fondi pensionistici), quando piuttosto a seguito della riforma del 2005 nel momento in cui si è detto che le prestazioni previdenziali di base venivano abbattute e che aveva come alternativa quella di utilizzare il TFR per ricostituire il quantum del trattamento pensionistico sotto il profilo dell’adeguatezza. Con questa operazione si è detto che la pensione di base sarebbe stata ridotta, potevano prendere il TFR e farci due cose, o non destinarlo al fondo di previdenza e quindi lo percepirai alla fine del rapporto (questo significa che alla fine del rapporto, ma la pensione di base sarà ridotta rispetto a quello che ci si aspettava), oppure destinare il TFR alla previdenza complementare (significa che quando si andrà in pensione si avrà un trattamento complessivo, cioè costituito dalla somma della previdenza di base e quella complementare, che era corrispondente a quello che ci si aspettava però non si ha più il TFR); in un modo o nell’altro qualcosa al lavoratore è stato tolto in ogni caso, pertanto questo non è un provvedimento che si inserisce nella logica rigoristica del legislatore. La Corte Costituzionale, soprattutto a partire dagli anni 90 (quando è stato chiaro che la crisi economica del paese non era più congiunturale, ma era strutturale), ha iniziato ad avallare le impostazione sopra dette. Mentre in precedenza era stata più garantista, soprattutto fin quando affermava che sostanzialmente tra il versamento contributivo e il trattamento previdenziale vi fosse una sorte di corrispettività QUASI equivalente a quello che è il concetto di retribuzione proporzionata e sufficiente (se hai versato x è giusto che percepisca y). Nella logica solidaristica, il fatto che si versino i contributi, non significa che ti aspetti qualcosa, perché c’è un bene superiore che è quello della collettività che vuole che nessuno si trovi in uno stato di bisogno. Nel momento in cui si è detto che la previdenza, nell’idea della sicurezza sociale che vuole che tutti siano liberati dallo stato di bisogno, quindi per far passare l’idea della solidarietà che vi è nella Costituzione ,si è detto il rapporto non è unico e circolare, ma sono due: • RAPPORTO CONTRIBUTIVO [Simbolo] datore di lavoro e ente (è l’ente che ha diritto a prendere i soldi dal datore di lavoro, lo schema debito-credito) • RAPPORTO PREVIDENZIALE [Simbolo] dall’ente al lavoratore (è l’entra che ha un debito nei confronti del lavoratore che si trova in una situazione di bisogno) Sono due rapporti ben distinti, il datore di lavoro paga all’ente i contributi, sia quelli a suo carico e sia quelli detratti dalla busta paga del lavoratore; dopodiché se questo lavoratore si trova in un effettivo stato di bisogno interviene l’ente corrispondendogli la prestazione. Nello schema solidaristico puro, l’ente non corrisponde la prestazione al lavoratore dipendente del datore di lavoro che (gli) ha versato i contributi, ma li da per il solo fatto che si trovi in uno stato di bisogno (esempio: se sei miliardario quei soldi non li dovresti prendere a prescindere dal fatto che il tuo datore di lavoro abbia versato i contributi, con i quali sei stato solidale con la collettività). Questo schema vale anche se al posto del datore di lavoro ci si mette il lavoratore autonomo. Modello assicurativo del lavoratore autonomo: pago i contributi e ricevo la prestazione (manca il soggetto terzo che è il datore di lavoro) . Secondo il modello della solidarietà pura, i due rapporti (contributivi e previdenziali) non comunicano tra loro. Il nostro modello oscilla in continuazione tra queste due cose, perché nella carta costituzionale non è esplicitamente accolto né uno né l’altro dei due modelli. Raffronto con l’assistenza: l’assistenza è pagata con il fisco, il cittadino paga le tasse e l’agenzia delle entrate da al cittadino che si trova in uno stato bisogno l’assegno sociale. La Corte Costituzionale ha bilanciato i due modelli (solidale e assicurativo), quando stabilisce che deve esserci una qualche corrispettività tra quello che si è versato e quello che ti viene restituito sta seguendo un modello assicurativo; lascia entrambi percorribili i due modelli. Su questo sistema di legislazione ordinaria è intervenuta la Riforma del 2001, del Titolo V della Costituzione, ha toccato anche la materie previdenziale. Con essa si è stabilito che allo Stato resta la potestà legislativa in materia di previdenza obbligatoria (quindi è escluso che i trattamenti previdenziali possano dipendere da poteri delle regioni), alle regioni è stata conferita una potestà concorrente con quella dello Stato in materia di previdenza complementare. Quest’ultimo aspetto rappresenta un problema, perché la previdenza complementare nasce in funzione di riequilibrio di quella che è la riduzione di adeguatezza delle prestazioni di base, questo potrebbe comportare che ci siano delle regioni in grado di riportare i trattamenti pensionistici a livello di adeguatezza e altre invece non ci riescono. Lo Stato, oltre a fissare i valori della previdenza di base, ma indica anche alle regioni un minum per la previdenza complementare al di sotto del quale non si può andare, proprio a garanzia del presidio della prestazione adeguata sancita dall’art. 38 della Cost. Questi livelli essenziali sono riferiti alla previdenza complementare! Le regioni non possono abbattere fino al punto che non è in grado di garantire il recupero neanche parziale di quello che è l’originario livello della prestazione adeguata. Il TFR è soggetto al calcolo di interesse di valutazione mensile, ovviamente è un calcolo che si fa a fine rapporto. Obiettivo del fondo di previdenza: devo fare in modo che l’investimento produca più di quello che mi darebbe il TFR lasciato in azienda. L’importo del trattamento di previdenza complementare che si va aggiungere a quello obbligatorio, però il problema è che quest’ultimo si è abbassato. Ad oggi l’ordinamento è pervaso dalle fonti sovranazionali : • Convenzione dell’organizzazione internazionale del lavoro (OIL), proclama la basilare essenzialità della sicurezza sociale; • Carta Europea dei diritti dell’uomo (CEDU), atto del Consiglio d’Europa che proclama, oltre ad altri principi, anche quello della sicurezza sociale: • Diritto comunitario; l’ordinamento comunitario non ha introdotto moltissime regole in materia, innanzitutto perché la materia generale delle politiche sociali è entrata tardivamente nell’ambito della comunità europea (proprio perché inizialmente si chiamava Comunità economica europea, era esclusa la materia sociale). La libera circolazione dei lavoratori è sempre stata concepita come finalizzata alla realizzazione di un mercato comune e sotto questo aspetto si pone il problema della sicurezza sociale, nel 1971 è stato adottato un Regolamento 1408 che afferma che i lavoratori migranti di un stato membro all’altro dell’UE era necessario realizzare il cumulo delle posizioni previdenziali aperte presso i diversi Stati in cui si è lavorato. Si tratta di un’applicazione sovranazionale del principio di totalizzazione. Si deve consentire ai lavoratori di poter portare la propria posizione previdenziale unificandola presso l’ultimo Stato presso cui si è lavorato e lì percepire tutto il trattamento salvo il diritto di quello Stato di rivalersi nei confronti degli Stati che hanno percepito il versamento contributivo (si tratta di flussi tra i vari enti previdenziali). A livello internazionale tutto questo non c’è (il cumulo non c’è), almeno che non esistano delle particolari convenzioni internazionali firmate dall’UE o dall’Italia con altri Paesi del mondo. N.B. Coloro che lavorano all’estero (stabilmente) devono versare i contributi all’Italia. L’ art. 35 comma 4 della Cost. stabilisce che il lavoratore italiano viene tutelato in Italia e all’estero, quindi si è affermato il principio per cui le norme in materia di previdenza sociale italiane sono norme di applicazione necessaria, cioè il giudice deve direttamente applicare la legislazione previdenziale del nostro Paese. Questo genera altri problemi, perché è vero che bisognerebbe versare i contributi all’ente previdenziale italiano (e da esso riceve anche il trattamento previdenziale), ma questo in realtà dipende dal datore di lavoro: la legge previdenziale italiana si applica al di fuori del territorio, ai lavoratori italiani che all’estero lavorano alle dipendente di imprese italiane. In questo caso il versamento viene sicuramente effettuato a favore dei nostri enti previdenziali. La materia per lo più regolata da Convenzioni internazionali. 9-10- 2018 previdenza sociale E’ possibile fare due lavori che non si sovrappongono e pagare i contributi a due enti differenti. Il lavoratore subordinato part time: la legge dice che l’orario settimanale è di 40 ore e i contratti collettivi possono ridurre questo orario, chi lavora meno di questo orario lavora a tempo parziale. Secondo le regole della retribuzione proporzionata alla quantità del lavoro, percepisci per le stesse mansioni la metà di chi fa giornata normale. L’inps è il principale ente previdenziale che si occupa dei lavoratori subordinati e non, è anche un ente residuale poiché tutti i lavoratori che non trovano riferimento in un altro ente previdenziale devono essere iscritti all’inps. L’inps è costituito da gestioni. La prima è l’ago, che si occupa di vecchiaia ed invalidità. Quindi tutti i lavoratori subordinati a meno che non rientrino in accezioni particolari sotto altri enti, versano a fini previdenziali i contributi ai fini della tutela contro lo stato di vecchiaia o invalidità e morte, presso questa prima gestione inps. I lavoratori subordinati che non versano qui sono i dirigenti e gli impiegati dell’agricoltura ,che versano nell’ EMPAIA, e i lavoratori subordinati che operano in determinati settori che hanno come ente di riferimento quelli che prendono il nome di fondi sostituivi o esoneratrici (Esempio i giornalisti versano all’IMPGI). Questi fondi sostituiscono l’inps, ma aldilà di queste categorie particolari, tutti gli altri lavoratori sub versano all’inps. Poi c’è la seconda gestione, che si occupa delle prestazioni previdenziali temporanee, esse sono la malattia, maternità, prestazioni in caso di cessazione o sospensione del rapporto(cioè la cassa integrazione ad esempio), il trattamento di disoccupazione e fondo di garanzia (per il pagamento dei tfr + ultime 3 retribuzioni, quando il datore è assoggettato a procedure concorsuali o fallito e non sia in grado di pagarlo. Nel caso di fallimento i lavoratori devono aspettare che venga liquidata la massa attiva del fallimento per ricevere i loro pagamenti. I lavoratori hanno preferenza su beni mobili e denaro, mentre sui beni immobili sono privilegiate le banche. Dunque i lavoratori probabilmente non prenderanno niente dal fallimento, per questo è stato istituito questo fondo di garanzia con il loro credito e ricevono ciò che gli spetta, poi prova ad andare a rifarsi sul fallimento surrogandosi al lavoratori. Di fatto non riesce quasi mai e paghiamo noi con i tributi). Questa seconda gestione eroga queste prestazioni e riceve dunque i contributi. Se poi il lavoratore va in pensione ciò che serve è stato versato alla AGO se si ammala viene preso dalla seconda gestione. Poi c’è una terza gestione che è ripartita in 3 sottogestioni, tra di loro non c’è però autonomia perfetta. Si occupano dei piccoli lavori autonomi cioè artigiani , coltivATORI DIRETTI E COMMERCIANTI che versano i loro contributi in questa terza gestione. Dal 95 è stata creata la quarta gestione che ha interessato i lavoratori autonomi, liberi professionisti che non hanno una loro cassa e quella particolare figura di lavoratori autonomi coordinati e continuativi (cococo, cocopro ecc). sono lavoratori autonomi particolari per i quali è prevista la contribuzione verso questa gestione. Nel 2012 è stato soppresso l’IMPDAP, che era l’ente previdenziale dei dipendenti pubblici. Tutte le posizioni previdenziali gestite da questo ente per questioni di bilancio sono confluite sotto l’inps, ma non accorpandole tra la prima e la seconda gestione come sarebbe stato plausibile in quanto sono anch’essi lavatori subordinati con la privatizzazione di gran parte del pubblico impiego iniziata nell’83. Ciò vuol dire che nei loro confronti la PA opera come un privato datore di lavoro, muovendosi sul piano del diritto privato e non pubblico (pubblico:tutela interesse generale e particolari dei singoli). Il fatto che siano stati privatizzati questi rapporti, fa si che l’impiegato amministrativo dell’università es si relaziona con il suo datore alla pari, ciò significa che i poteri del datore sono limitati a ciò che può fare il datore privato. Il diritto del lavoro ed il lavoro si basavano sulla CONCEZIONE FORDISTA DEL LAVORO: piramide a gerarchia totale. Tutta la gran parte della forza lavoro, cioè quelli che sono in basso, facevano lavori manuali anche a causa della poca tecnologizzazione dell’impresa. Oggi ovviamente non è più così, ci sono imprese fatte solo di conoscenze intellettive. L’inail nasce per tutelare la fascia più bassa di questa piramide che sono coloro più a rischio che utilizzano le mani, ma poi si estende a tutte le categorie produttive. Tranne per l’empaia, che tutela i lavoratori del settori agricolo, che siano dirigenti o impiegati. Gli operai del settore agricolo sono sotto l’INAIL. Anche sotto l’INAIL c’è il famoso casellaio centrale, in cui si raccolgono tutte le informazioni sull’infortunio sul lavoro, per evitare che un soggetto possa ricevere due prestazioni previdenziali a fronte di un unico evento generatore del bisogno. Tipicamente questo evento può essere costituito da un incapacità di produrre reddito dovuta ad uno stato di invalidità psicofisica è evidente che c’è il rischio di una sovrapposizione tra la prestazione previdenziale dell’INAIL e quella dell’INPS che prende il nome di pensione di invalidità. A seconda di dove il soggetto si è fatto male riceve una sola prestazione. L’INAIL sviluppa anche tutta una serie di servizi ispettivi con finalità prevenzionistica. Probabilmente la materia degli infortuni(quindi dell’ente che gestisce gli infortuni sul lavoro) è quella ancora più legata al diritto di lavoro (inteso come diritto del lavoro subordinato). Oggi in materia di sicurezza sul lavoro il nostro legislatore ha adottato un testo di 400 articoli. In cui c’è scritto tutto, misure del posto di lavoro o materiali e mezzi utilizzati ecc. L’INAIL ha il compito di andare a controllare in via prevenzionistica che tutti questi parametri siano rispettati, lo fa sovrapponendo le sue funzioni a quelle delle aziende sanitarie locali. L’ispettore del lavoro entra in azienda e controlla il rispetto delle regole antinfortunistiche. A differenza dell’ispettore inps, che controlla che il lavoratore sia in regola (poiché se sono in regola pagano i contributi all’AGO altrimenti evadono), l’ispettore dell’INAIL controlla anche lui che il datore sia in regola con il pagamento dei contributi all’INAIL per i lavoratori, per tutto ciò che riguarda la specifica tutela del infortunio sul lavoro, oltre al controllo del rispetto di tutte le regole antinfortunistiche. L’inail funziona come una vera assicurazione, se non si verifica l’evento l’inail non deve intervenire ma si tiene comunque i contributi. L’INAIL calcola il rischio lavorativo che si verifichi l’evento in base al azienda e incrocia questi dati con i dati statistici di verifica dell’evento del settore produttivo. Per ciò che riguarda gli infortuni è tutto a carico del datore di lavoro, che si accolla il rischio aziendale. I contributi versati all’INAIL sono fuori busta paga. Logica economicistica e logica preventivista dell’inail l’INAIL punta prima che a pagare gli indennizzi, a far si che l’evento lesivo non si verifichi. L’inail si occupa anche delle patologie più gravi che si sono verificate nel mondo del lavoro, ad esempio ha un fondo per le vittime dell’amianto. Riguardo agli altri controlli oltre a quelli dell’inps e inail: Gli ispettori della asl hanno funzioni prevenzionistiche e accertative se si è verificato l’evento lesivo. Gli ispettori del lavoro dell’ispettorato controlla che ci sia la regolarità dell’adempimento amministrativo, cioè che il centro dell’impiego sia stato avvertito e dunque il soggetto non percepisca più la disoccupazione ecc.., hanno poteri invasivi istruttori per capire da quando il soggetto lavora veramente li. Per tutelare le posizioni giuridiche ai fini previdenziali dei lavoratori esistono quelli che si chiamano i PATRONATI: organo che rende prestazioni gratuite(in quanto finanziato dal ministero del lavoro) a cui ci si rivolge per acquisire tutte le informazioni necessarie sul trattamento previdenziale di cui si ritiene di dover godere. (invece di fare la fil all’inps per sapere se la tua posizione contributiva ti consente di prendere la pensione si va al patronato e fa tutto lui). Quella del patronato è una prestazione connessa a logiche previdenziali e assistenziali (non è quindi solo per i lavoratori), per questo è il ministero che si accolla il sovvenzionamento di questi istituti. Questi sono i Soggetti preposti all’erogazione della prestazione previdenziale. Ma Chi sono i soggetti protetti? La previdenza nasce per i lavoratori subordinati, estesa negli anni 50 a una serie di lavoratori autonomi, poi ai para subordinati e a tutti i lavoratori autonomi e in seguito i liberi professionisti. Ciò che conta a fini previdenziali è dunque che tu abbia prodotto un attività lavorativa che abbia prodotto reddito. ciò nel rispetto della costituzione che obbliga alla tutela statale previdenziale nell’ ann e nel quid. La prestazione previdenziale viene anche garantita all’ipotesi in cui è nullo un contratto di lavoratore subordinato. Non è il caso del lavoro in nero. Quando è nullo? La regola è fissata nell’2126 codice civile: La nullità o l’annullamento del contratto di lavoro non produce effetto per il periodo in cui il rapporto ha avuto esecuzione salvo che la nullità derivi dall’ illiceità dell’oggetto che la causa. Anche un contratto nullo è considerato eccezionalmente valido per il periodo di esecuzione, ai fini del rapporto fra i due soggetti privati cioè hai diritto alle retribuzioni. Questa è la cosi detta Prestazione di fatto, se il contratto fosse nullo, ciò che è nullo non produce effetti quindi la retribuzione non sarebbe più dovuta. Invece con il riconoscimento per il periodo in cui ha avuto esecuzione la prestazione la retribuzione è dovuta. Nel caso in cui illiceità, come la prostituzione, la prestazione non è tutelata, neanche la prestazione di fatto. Per ciò che riguarda invece ad esempio gli infraquindicenni, il loro lavoro è in contrato con l’ordine pubblico ed il contratto è nullo, ma hai diritto secondo questa regola alla retribuzione. La previdenza opera rispetto a questo caso, a prescindere dall’esistenza del contratto. Altri casi in cui il legislatore ha esteso determinate tutele previdenziali a quelli che vengono considerati i casi di non lavoro, o lavoro gratuito o senza contrattotali sono i lavoratori socialmente utili, che sono coloro che beneficiando di una determinata prestazione in quanto vengono chiamati a rendere prestazioni di pubblica utilità(questi soggetti percepiscono un minimo di reddito). Non sono lavoratori subordinati, non hanno neanche il contratto di lavoro. Ma ciò nonostante esempio ai fini dell’infortunio sul lavoro sono tutelati e quindi le amministrazioni che godono delle prestazioni di questi soggetti devono pagare i contributi. Stessa cosa per gli stagisti tirocinanti. Altro esempio i ministri dei culti(preti e suore), sono assicurati presso un apposito fondo inps. Nel caso del prete insegnate di religione, per la sua attività esempio nel convento a titolo di lavoro gratuito la tutela per malattia ed infortunio gli è riconosciuta da questo fondo inps, ma per ciò che riguarda la sua professione di insegnante percepisce una retribuzione e va nell’AGO se scuola privata o eximpdap se pubblica. In questo caso corrispondo iscrizioni verso due gestioni diverse dell’inps per due posizioni previdenziali diverse. ciò ci riporta alla logica universalistica Ricapitolando: dal punto di vista dei requisiti di questi soggetti sono l’età (irrilevante rispetto alla capacità di rendere la prestazione lavorativa- salvo le prestazione di fatto degli infraquindicenni -, rilevante per quanto riguarda l’accesso al trattamento pensionistico di vecchiaia), sesso (è irrilevante però per la pensione di vecchiaia ancora residuano piccole differenze di età, la donna ha quasi gli stessi requisiti anagrafici di vecchiaia, alle donne è sempre stata garantita la possibilità di rimanere in servizio fino alla stessa età degli uomini. Oggi anche questo requisito anagrafico si sta allineando). Nazionalità (rileva soltanto per i cittadini non comunitari, se devono beneficiare della previdenza nel nostro paese in base al principio di territorialità devono soggiornare legalmente nel nostro paese. Mentre per l’estero vale il principio di personalità di cui abbiamo già parlato ), residenza è del tutto irrilevante (salvo alcune prestazioni per cui è stato fissato il requisito di residenza in italia per almeno 10 anni). Requisiti oggettivi è il tipo di attività che fa l’azienda (differente esempio attività agricola che versa all’empaia) inquadramento delle imprese è importante, per l’inail soprattutto che decide quanto si deve pagare in base a ciò che fa l’impresa. In alcuni casi rileva la qualifica del lavoratore (es dirigente impiegato dell’agricoltura che determina il versamento all’EMPAIA invece che all’INPS). Il caso dei giornalisti: Il giornalista professionista versa i contributi al ingpti, ma se un soggetto scrive un articolo ogni 25 giorni può essere considerato giornalista professionista? No, si può considerare collaboratore della testata giornalistica. C’è una diatriba da anni tra INPS e INGPTI su chi sia il soggetto che ha diritto a versare i contributi all’INGPTI. Non esiste un inquadramento ontologico. Questa questione è tecnicamente ancora in ballo, come quella dei praticanti avvocati non iscritti alla cassa degli avvocati. Il soggetto passivo nell’ambito del rapporto di lavoro subordinato è il datore di lavoro, che non corrisponde a quella che è la figura di datore di lavoro che da il diritto del lavoro. c’è una legge degli anni 20 che non da esattamente la stessa definizione di datore di lavoro che ci da il 2094 cc. Anche ai fini previdenziali questa figura è estesa a tutta una serie di posizioni solidali. Esempio l’appaltante, detto anche committente. Quando l’appaltante da un appalto i dipendenti sono dell’appaltatore. Quando il dipendente dell’appaltatore non è pagato, per legge ha la tutela che consiste nella responsabilità solidale dell’appaltante, che pagherà i dipendenti al posto dell’appaltatore. Questo serve a garantire che l’appalto venga affidato verificando le effettive capacità economiche dell’appaltatore, per prevenire il reato di interposizione in mano d’opera. L’appaltante dovrà in questo caso pagare non solo le retribuzioni ma anche i contributi. Quindi la qualifica di datore di lavoro si estende alla figura dell’appaltante che interviene, anche a fini previdenziali. Altro caso che si sviluppa sulla stessa logica della responsabilità solidale è quello della Somministrazione di lavoro: caso in cui è consentito assumere dipendenti e mandarli a lavorare presso un’altra impresa. L’appalto è quando io ti affido un servizio e tu lo realizzi con i tuoi dipendenti, mentre la somministrazione di lavoro è l’opposto, cioè le agenzie di somministrazione possono assumere e mandare in missione il lavoratore presso le aziende. L’obbiettivo della somministrazione di lavoro è quello per cui l’utilizzatore che riceve il lavoratore lo sperimenta e lo assume lui direttamente. Il datore di lavoro utilizzatore ha responsabilità solidale per la contribuzione se non paga l’agenzia somministratrice. Il lavoratore se la vedrà per le retribuzioni. Il datore di lavoro ha quest’obbligo ai sensi dell’articolo 2105-1025 di pagare i contributi suoi e anticipare i contributi del lavoratore. Se non lo fa diventa obbligato in proprio, cioè il soggetto debitore diventa il datore di lavoro anche per i contributi del lavoratore che dovrebbe aver versato con la busta paga. Il datore di lavoro ha anche qualche posizione attiva nell’ambito del lavoro subordinato, cioè anticipa alcune prestazioni previdenziali, cioè da una prestazione che deve essere data dall’ente, esempio maternità e malattia, salvo guaio. Nel caso in cui il lavoratore va in malattia e il datore sulla busta paga scrive quanto è l’indennità di malattia, alla fine la somma di tutte le malattie che ha pagato vengono detratte dai contributi dovuti dall’inps. LEZIONE 16 OTTOBRE 2018 Distinzione tra: - RAPPORTO PREVIDENZIALE = tutela dei diritti del lavoratore come beneficiario della prestazione previdenziale - RAPPORTO CONTRIBUTIVO = tutela dei diritti dell'ente previdenziale come beneficiario del versamento contributivo; interessa gli enti (intesi come creditori della prestazione contributiva) e il soggetto obbligato a pagare i contributi, che nell'ambito del rapporti di lavoro subordinato è il datore di lavoro e del lavoratore in minima parte, mentre nel lavoro non subordinato è sempre il lavoratore che deve versare i contributi al suo ente previdenziale di riferimento. Da questa distinzione derivano gli STATUTI PROTETTIVI dei diritti rispettivamente dei lavoratori per quanto riguarda il rapporto previdenziale e degli enti per quanto riguarda il rapporto contributivo. Vuol dire che il legislatore ha stabilito una serie di norme a tutela, da una parte, di quelle che sono le posizioni dei lavoratori come beneficiari della prestazione, cioè ha stabilito in che modo, oltre ai requisiti per accedere alla prestazione, devono essere tutelate tutta una serie di posizioni, dall'altro si occupa anche di tutelare la posizione degli enti rispetto al versamento contributivo (c'è una posizione di credito degli enti che va tutelata per permettere di operare). Avere chiara distinzione sia quando si parla di prescrizione, in quanto si applica ad entrami i rapporti ma in maniera differente; e inoltre, per il problema di cosa succede se l'ente ha pagato delle somme che non era dovute, quindi ha pagato somme previdenziali che non dovevano essere pagate 1. PREVIDENZA COMPLEMENTARE, strumento che dovrebbe servire a compensare la riduzione dei livelli della previdenza di base obbligatoria; 2. RIFORMA IN SENSO FEDERALE, perchè nell'ambito della previdenza complementare, ma anche per altri aspetti che il legislatore ordinario può demandare al legislatore regionale, è comunque compito del legislatore ordinario statale quello di garantire i minimi livelli essenziali (la competenza regionale in materia non può mai ledere questi livelli) , ma livello essenziale non significa livello adeguato, è un minus. Con la riforma del 2001 si sono poste le premesse per portare l'adeguatezza verso un livello che tende sempre più ad assomigliare, se non a quello del mantenimento assistenziale, plausibilmente a quello che è il concetto della sufficienza della retribuzione, ove per tale si intende un parametro collegato non alle esigenze di vita, a cui fa rifermento l'art 38, ma soltanto ad un'esistenza dignitosa, art. 36. Riferimento a chi ha guadagnato parecchio e dalla prestazione previdenziale si aspetta il mantenimento di un determinato tenore di vita, se invece si dice che anche la prestazione previdenziale deve garantire una esistenza libera e dignitosa, evidentemente non le si garantisce a fatto quello che era il suo precedente tenore di vita. Questa tendenza a ridurre verso il basso, l'abbiamo vista a proposito del passaggio dal sistema di calcolo retributivo al calcolo contributivo, questo passaggio comporta sicuramente una quantificazione a ribasso della prestazione pensionistica di vecchiaia (una cosa è prendere in riferimento gli ultimi 10 anni e una cosa è prendere a riferimento tutta la vita lavorativa, è segnato da questo) . Questo rapporto previdenziale nasce per l'esistenza del rapporto di lavoro, ma il rapporto di lavoro si dice che è solo l'occasione non è la causa della origine del rapporto previdenziale. Tant'è vero che ci sono tutta una serie di argomenti che si permettono di dire che questo rapporto previdenziale si sviluppa in modo autonomo rispetto al rapporto di lavoro, espressione per cui IL RAPPORTO PREVIDENZIALE è AUTONOMO RISPETTO AL RAPPORTO DI LAVORO: 1 argomento: esistenza del rapporto previdenziale anche in caso di contratto di lavoro nullo (ai sensi dell'art. 2126 c.c. contrario all'ordine pubblico e al buon costume); 2 argomento: POSSIBILITA' PER IL LAVORATORE DI DISPORRE DEI DIRITTI CHE ACQUISISCE DURANTE IL RAPPORTO DI LAVORO subordinato (N.B. il diritto del lavoro è governato da norme di diritto inderogabili (proprio perchè il lavoratore è la parte debole sul piano contrattuale), inderogabilità in peius il datore di lavoro non può accordarsi con il datore di lavoro per condizioni peggiorative rispetto quelle previste dalla legge o dal contratto collettivo si può fare quello che si vuole. Il fatto che esistano queste norme inderogabili non significa che il lavoratore non possa disporre del diritto soggettivo che acquisisce in forza di queste norme, lo può fare soltanto in determinate condizioni (io posso rinunciare ad impugnare il mio licenziamento, anche qui però c'è una tutela del lavoratore + 6 mesi ),.. Da tutto questo i contributi stanno fuori, il lavoratore non ha la possibilità di disporre ei contributi perchè non sono suoi, sono dell'ente. Altro argomento che può dimostrare come il rapporto previdenziale è completamente staccato dal rapporto di lavoro. RETRIBUZIONE IMPONIBILE, i contributi si calcolano su di essa. Il calcolo dei contributi si fa in base alla retribuzione prevista dai contratti collettivi, quindi il fatto che sia pagato la parte del datore del lavoro è del tutto irrilevante. L'INPS per legge fa riferimento alla retribuzione imponibile prevista dai contratti collettivi firmati dai sindacati maggiormente rappresentativi, quindi è possibile che, ad esempio, un consulente del lavoro dica che paga una retribuzione in base ad un contratto collettivo che dice 1000, poi pago i contributi sulla base di un altro contratto collettivo che prevede 1200 per lo stesso inquadramento. I contributi devono essere calcolati sul contratto collettivo che mi dice il legislatore. 17 OTTOBRE DISCIPLINA DEL LICENZIAMENTO: quando è illegittimo, in quanto gravemente viziato, il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato in azienda, ha diritto a riprendere il servizio nelle mansioni che aveva svolto fino al giorno che era stato licenziato, tuttavia per il tempo che potrebbe decorrere dal giorno del licenziamento a quello della sua reintegrazione, non ha diritto a tutte le retribuzioni perdute, bensì ad un risarcimento commisurato a quello delle sue mansioni o addirittura ad una indennità fino a una soglia massima, questo significa che un lavoratore licenziato potrebbe essere reintegrato tra 10 anni. Il lavoratore ha diritto o al risarcimento per tutto questo periodo di tempo o, in altri casi, un po’meno gravi, ad un'indennità fino a massimo 12 mensilità, ma anche in caso in cui avesse diritto ad un risarcimento corrispondente alle retribuzioni che ha perduto dal giorno del licenziamento a quello della reintegra, resta il fatto che è possibile detrarre ciò che quel lavoratore ha percepito lavorando altrove, si chiama aquilitum percentum. All'INPS NON INTERESSA NULLA di tutto ciò, in quanto l'ente ha diritto a percepire i contributi spettanti sulla base delle retribuzioni non corrisposte (o meglio: sulla base della retribuzione imponibile) per tutto il periodo fino al giorno della reintegrazione. Se il licenziamento era nullo ha diritto anche alle sanzioni per omesso versamento contributivo. In altri casi il legislatore dice che il licenziamento non è nullo, è ANNULLABILE, in questo caso stabilisce che il lavoratore ha diritto ad essere reintegrato ma ha diritto ha una indennità che arriva fino a 12 mensilità. Anche sotto questo aspetto, si ha la prova che il rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro. Così come il rapporto previdenziale sorge automaticamente , sorge automaticamente anche il diritto alla prestazione previdenziale dal momento in cui sussistono i requisiti previsti dalla legge. Ci sono dei casi in cui le due cose coincidono: ad esempio l’ipotesi in cui si inizia a lavorare e lo stesso giorno ci si fa male, non essendo previsti per la tutela dell’infortunio sul lavoro dei requisiti contributivi minimi, si ha diritto alla tutela previdenziale il giorno stesso che si è costituito il rapporto previdenziale (per il solo fatto che hai iniziato a lavorare si è costituito il rapporto con l’INAIL). “Sorge automaticamente anche il diritto” vuol dire che non occorre il provvedimento discrezionale della pubblica amministrazione. L'ente previdenziale deve solo dichiarare che sorge il diritto, la natura del provvedimento che attribuisce il diritto alla prestazione previdenziale è meramente dichiarativa, salvo alcuni casi un po' più al limite come quello del trattamento di integrazione salariale per il quale sussiste la discrezionalità dell’ente pubblico a riconoscere il diritto. L'ente verifica che ci siano i requisiti, ma dichiara l'esistenza del diritto; questo serve perché il privato (lavoratore) deve fare la domanda all’INPS, c.d. domanda amministrativa, atto indispensabile affinché l'ente previdenziali dichiari l’esistenza del diritto dopo aver verificato che ricorrano i requisiti prefissati dalla legge. L’ente di ufficio non si attiva. Questi diritti previdenziali sono diritti soggettivi perfetti, pertanto sono indisponibili e inalienabili [non lo si può vendere e non è neanche pignorabile, se non nei limiti di 1/5 (tipo la pensione)]. L'unico caso in cui si può eccedere il quinto è il caso in cui il credito altrui sia caratterizzato da natura alimentare. Infine i diritti previdenziali sono IMPRESCRITTIBILI, la imprescrittibilità vale solo per il diritto alla pensione di vecchiaia. ATTENZIONE: Si prescrivono invece i singoli ratei di pensione (ossia: lavoratore va in pensione a 65, si è arrivati a 75 anni e il lavoratore si attiva solo in questo momento e presenta la domanda all’INPS, in quei 10 anni in cui il lavoratore non si è attivato succede che si prescrivono i 5 anni, ma la prescrizione va all’indietro; cioè si sono prescritti gli anni dal 65 ai 70) , la prescrizione è di 5 anni. La prescrizione quinquennale opera sia nel caso in cui non siano stati liquidati (non presentato la domanda), sia nel caso in cui siano stati liquidati ma non sono stati riscossi! Il diritto alle prestazioni previdenziali dell'INAIL è prevista la prescrizione di 3 anni, che decorrono da quando è successo l'infortunio o da quando si è manifestata la malattia professionale. Bisogna tener conto che la malattia professionale non è detto che si manifesti il giorno stesso in cui la malattia viene contratta. contenzioso riguardo l'inizio della malattia professionale, ecco perché per la malattia professionale quella che rileva è il momento dell'accertamento clinico. Decadenza: dal momento in cui fai la domanda amministrativa, che succede se l'ente rigetta la domanda o se l'accoglie difforme? Il lavoratore ha un termine di decadenza per promuovere un'azione giudiziaria che è di 3 anni per le prestazioni pensionistiche e di 1 anno per la prestazioni temporanee. Questo comporta che in alcuni casi, la differenza con la prescrizione è soltanto un termine che fissa il legislatore per accelerare l’esercizio di un diritto in sede giudiziale ai fini della certezza delle posizioni economiche, comporta che si il lavoratore ha presentato la domanda per la pensione dopo 6 mesi e la procedura di rigetto è durata 120 giorni, dopo complessivi 10 mesi il lavoratore ha 3 anni per andare a chiedere la pensione di vecchiaia. La decadenza deve essere sollevata dalla controparte, parte dal giorno di diniego della domanda. La decadenza è sospesa per tutta la durata del procedimento amministrativo, da quando c’è il rigetto, esplicito o tacito o c’è un accoglimento parziale, il lavoratore sa che ha un termine di decadenza e sa che se lo ha superato resta il termine prescrizionale ma rischi l’eccezione di decadenza da parte dell’ente a cui hai versato. Altra tutela a favore delle prestazioni previdenziali è LA SOLUTI RETENTIO riguarda il caso in cui l'ente abbia erogato una prestazione eccessiva indebita rispetto a quella dovuta, normalmente questi soldi si dovrebbero restituire ai sensi dell' art. 2033 c.c. costituiscono indebito. Invece, proprio per la particolare natura della prestazione previdenziale, è prevista la ……….., cioè il lavoratore se li può tenere, fino alla RETTIFICA (ricalcolo) dell'ente. Ulteriore tutela rispetto all'INAIL è addirittura previsto che dopo 10 anni del dichiaramento dell'esistenza del diritto alla prestazione per gli infortuni sul lavoro, l’INAIL non ha proprio il potere di rettificarlo, quindi il vantaggio del lavoratore, benché indebito, si cristallizza per sempre. Tutela della rivalutazione automatica del valore economico della prestazione (cioè il denaro perde valore e gli enti sono tenuti a provvedere a rivalutare la prestazione in base al costo della vita). Problema delle sentenze che riconoscano con effetti retroattivi il diritto ad una prestazione previdenziale, in particolare in relazione alla rivalutazione monetaria (adeguamento al costo della vita) e gli interessi legali (costo del prestito); qualunque credito che deriva dal rapporto di lavoro è soggetto all’applicazione duplice sia della rivalutazione monetaria sia dell’interesse legale che si cumulano tra loro. Mentre per il credito previdenziale vale la regola che si applica la voce che determina il miglior vantaggio per il lavoratore creditore (su 1000 dici qual era il tasso di interesse legale 10 anni fa? 1.5, quale la valutazione monetaria applicabile? 1.2, allora si applica l’interesse legale perché è quello comporta il miglior vantaggio), questo in realtà è un trattamento di sfavore rispetto ai crediti da lavoro, però è un trattamento di favore rispetto ad ogni altro credito. Criterio intermedio tra Per i lavoratori autonomi si calcola sul reddito. Per i lavoratori subordinati si calcola sulla retribuzione. Succede che l’art 23 della cost dice che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non dalla legge. Ma il legislatore demanda agi enti la podestà regolamentare cioè il potere di regolare le aliquote contributive. I contributi per quel determinato settore produttivo sono il 33per cento della retribuzione lorda, dei quali il lavoratore paga il 9 per cento e il resto sono a carico del datore di lavoro secondo lo schema della busta paga. Le industrie 100 anni fa erano tante imprese grandi con tanti lavoratori dipendenti. Erano basati sulla catena di montaggio. Però oggi ci sono delle imprese che producono con pochi lavoratori grazie alla tecnologia. Queste imprese possono fare un fatturato maggiore di imprese che invece hanno migliaia di dipendenti. Esempio: Azienda 1 fatturato di 100.000.000 euro e 3 dipendenti Azienda 2 fatturato di 100.000.000 euro e 100 dipendenti I contributi calcolandoli sulle retribuzioni, nella prima impresa saranno calcolati su tre retribuzioni mentre nella seconda su 100 retribuzioni anche se il fatturato è lo stesso. Cioè significa che l’azienda 2 pagherà molti più contributi e dunque il ricavo al netto dell’utile sarà molto meno. Scegliere di prendere la retribuzione come base imponibile dei contributi non è una scelta dovuta, oggi è così ma non è detto che fra 10 anni sia uguale. Questa scelta è anche importante dal lato della competenza. Per L’inail è lo stesso. Solo 2 eccezioni: che i contributi dell’inail sono tutti a carico del datore di lavoro e che l’inail non fissa l’aliquota contributiva discrezionalmente come l’inps, ma provvede in base ai criteri attuariali. In base al rischio corrisponde un premio, essendo una vera assicurazione a tutti gli effetti (un’azienda che produce caramelle ha meno rischio di una che produce pneumatici) PROBLEMA BASE IMPONIBILE il datore di lavoro ogni trimestre fa il calcolo di tutte le retribuzioni dovute, cioè prende il contratto collettivo nazionale nel settore firmato dai sindacati maggiormente rappresentativi. Sulla base di quella ogni trimestre il lavoratore va a pagare i contributi(anche se non è il contratto scelto per le retribuzioni Posso scegliere il contratto collettivo che per un certo inquadramento in un settore produttivo da 1000euro al mese di retribuzione, ma se quello firmato dai sindacati maggiormente rappresentativi dice 1200 euro, dovrò pagare i contributi su 1200) Base imponibile = retribuzione. Tutta la retribuzione? La retribuzione è composta a sua volta da vari elementi. Per calcolare i contributi, cioè la base imponibile, ha finito per corrispondere al concetto di retribuzione imponibile per fini fiscali è cioè lo stesso riferimento oltre che per i contributi, anche per sapere quante tasse deve pagare il datore per il lavoratore all’agenzia delle entrate. Con la differenza che per i contributi una parte sono a carico suo una parte li anticipa a carico del lavoratore, per le imposte sono a carico del lavoratore. Il datore anticipa le imposte al lavoratore e poi le detrae dalla busta paga (nelle ritenute ci sono sia le imposte che contributi a carico del lavoratore). Il concetto di retribuzione imponibile è dunque lo stesso a fini fiscali e a fini contributivi, ciò significa che comprende tutto quello che il lavoratore percepisce in relazione al rapporto di lavoro, cioè non solo quello che è direttamente collegato alla prestazione lavorativa ma anche ogni altro atto e momento salvo delle esplicite eccezioni previste dal legislatore. Il legislatore dice esempio: il rimborso spese non sta dentro la retribuzione imponibile, perché non è prodotto del tuo lavoro ma spese che il datore ti rimborsa, non compongono la retribuzione imponibile. Nel caso dell’indennità di trasferta, non ha a che fare con il reddito che produci lavorando. Proprio perché non compone la retribuzione imponibile viene sempre messa nelle buste paga per importi smisurati per coprire titoli di pagamento differenti, come gli straordinari su cui invece dovrebbero essere pagate le tasse. Altro esempio, i contratti collettivi possono decidere che i salari di produttività non sono compresi sulla base imponibile. Questo salario è un premio di produttività, ovviamente poi se ne abusa. Emolumento che non è soggetto a contribuzione è il tfr. (perché in quanto già te la tolgono mese per mese logicamente alla fine non dovrai pagarci i contributi. È inoltre assoggettato ad un’aliquota fiscale più bassa di quella delle retribuzioni). Si suole dire che il concetto di retribuzione imponibile a fini contributivi e fiscali è onnicomprensiva di tutto ciò che percepisce in relazione al rapporto di lavoro, salvo i casi tassativi previsti dal legislatore o derogati. Disciplina del credito degli enti nei confronti del datore di lavoro Cosi come abbiamo esaminato la disciplina di tutela dei diritti del lavoratore che ha un credito verso gli enti , ora parliamo del credito che ha l’ente previdenziale nei confronti del datore di lavoro (recupero dei contributi). I datori di lavoro sono gravati di una serie di obblighi: 1- devono fare la denuncia del versamento contributivo 2- tenere il libro unico del lavoro LUL, che contiene tutte le buste paga relative di mese in mese ai lavoratori alle sue dipendenze. Viene trasmesso agli enti previdenziale e sulla base di questo libro gli enti verificano se è tutto regolare. Essendoci tutte le buste paga è possibile verificare quali erano i dipendenti, se quanto pagato è giusto ecc.. evidentemente al LUL sfuggono i lavoratori in nero. Per invogliare i datori di lavoro ad essere in regola a fini previdenziali, è stato istituito il documento unico di regolamentazione di conformità contributiva cioè l’ente ti rilascia questo documento unico di regolamentazione contributiva se sei in regola con i pagamenti, utile a fini degli appalti (chi ti appalta un’ opera o un servizio vuole essere sicuro che rispetti le regole perché c’è la responsabilità solidale dell’appaltante ) Questo è un documento obbligatorio negli appalti pubblici. Se la PA affida un’opera ha l’obbligo di richiedere a chi partecipa questo documento DURC. L’inps non manda il bollettino con l’importo da pagare, il datore se lo deve calcolare da solo e l’inps controllerà se esatto o meno. Quanto tempo c’ha l’inps per recuperare i contributi omessi (cioè i contributi non pagati per lavoratori dichiarati) o evasi? Sono 5 anni, se il lavoratore fa la denuncia di omissione contributiva si interrompe la prescrizione. I 5 anni ricominciano a decorrere. La cosa interessante è che questo atto interruttivo non interessa il datore di lavoro, il lavoratore la fa all’ente non al datore di lavoro, che nulla riceve. Il lavoratore non è ne credito ne debitore per questo è interessante rispetto al normale. La prescrizione parte dal momento in cui sono dovuti i contributi, alla scadenza del termine per pagarli. Non è da confondere con le prescrizione crediti lavoratore verso l’ente. È proibito per l’inps recuperare o ricevere contributi prescritti, anche se il datore vuole volontariamente versarli. I contributi non recuperati perché prescritti non saranno conteggiati nel montante contributivo e il lavoratore dovrà vedersela lui con il datore. Questo infatti renderebbe vulnerabile il sistema, dovrebbe rifare il calcolo dei soldi a disposizione e dunque aliquote e erogazioni continuamente. Come fa l’inps a recuperare i soldi? Il legislatore favorisce in tutti i modi il recupero di questi contributi da parte degli enti previdenziali. Il credito contributivo è un credito privilegiato nell’ambito delle procedure concorsuali. L’inps ha cioè un credito preferenziale sui Beni mobili in caso di fallimento. I beni mobili comprendono anche i soldi. Inoltre, Il curatore fallimentare va poi da tutti coloro che nei mesi precedenti hanno preso denari dal soggetto fallito e li obbliga a restituire quanto ricevuto perché si presume che siano pagamenti per distruggere il patrimonio. Questo passaggio di denaro è soggetto a revocatoria fallimentare. Gli enti previdenziali che hanno preso dei contributi da questo ente che è fallito sono esonerati dalla revocatoria fallimentare. Pure i lavoratori hanno i privilegi sui beni mobili. Se non esistessero le due regole ci siamo detti adesso, l’ente dovrebbe restituire i contributi e poi andare a comporre insieme agli altri privilegiati i creditori. Gli enti hanno inoltre una capacità di recuperare i propri crediti tramite i titoli esecutivi precostituiti. Se ho un diritto nei tuoi confronti devo fare una causa, giudizio di cognizione, che accerti che ho un diritto nei tuoi confronti per poi essere eseguito, in caso di ulteriore inadempienza, nel secondo processo. Gli enti non hanno bisogno di andare dal giudice tramite, possono fare loro stessi provvedimenti con cui ti ingiungono di pagare, questi strumenti che si chiamano ordinanza di ingiunzione. Questo documento è un titolo esecutivo, se non paghi andranno per vie giudiziarie. Il datore di lavoro può fare l’opposizione all’ordinanza di ingiunzione. E’ il datore di lavoro che fa l’opposizione al giudice del lavoro dicendo che non è vero che io sono debitore di questi contributi. (ribaltamento posizione) Se il datore di lavoro ha vinto devi aspettare 120 giorni dalla notifica del titolo esecutivo, per vedersi restituire i soldi. Inoltre l’INPS restituirà i soldi se il datore nel frattempo non ha accumulato contributi da compensare. 24-10.-18 Un’ altra particolare disciplina di tutela riguarda il caso in cui il pagamento del soggetto obbligato al versamento contributivo sia sbagliato. Questo errore può dipendere da due situazioni: - pagamento viene effettuato verso un ente diverso da quello che invece è legittimato a riceverlo. È il caso di un pagamento dei contributi verso un ente che è solo il creditore apparente del diritto a ricevere i contributi. Si verificano queste cose perché esistono delle zone grigie in cui è lo stesso inquadramento dell’impresa ad essere suscettibile di dubbi. Oppure è il tipo di rapporto che intercorre tra il lavoratore e l’impresa. La vicende può riguardare anche le diverse gestioni dell’INPS, ma soprattutto riguarda l’inps e gli enti autonomi. Caso del pagamento all’istituto nazionale della previdenza dei giornalisti, riguardo alla discussione del pagamento dei contributi dei collaboratori giornalistici. Tutela per chi ha pagato il contributo ad un creditore apparente. Una norma del codice civile art 2189, tutela coloro che si sono sbagliati ente per il pagamento dei contributi. Il pagamento a favore di un ente sbagliato viene comunque tutelato, purché sia stato fatto in buona fede, cioè una serie di circostanze oggettive facevano pensare a quel datore che il pagamento dei contributi dovevano essere pagati ad un certo ente rispetto ad un altro (esempio giurisprudenza consolidata che indirizza verso un ente per il pagamento del contributo e introduzione di una nuova giurisprudenza). In questa situazione ci sarà un trasferimento dei contributi da parte dell’ente finanziario errato, ma se in buona fede il datore di lavoro non è esposto a pagare le sanzioni. Se il pagamento non fosse stato fatto in buona fede il datore avrebbe diritto di recuperare i contributi dall’ente a cui ha pagato erroneamente, al tempo stesso dovrebbe oltre che pagare i contributi all’ente corretto (non è detto che le aliquote siano le stesse)+ le sanzioni dovute al ritardo nel pagamento dei contributi (sanzioni che sono arrivate anche al 300% dei contributi) Viene tutelato il datore se è in buona fede esonerandolo essenzialmente dal versare le sanzioni. Se il datore di lavoro ha versato all’ente giusto ma ha versato in eccesso , per l’art 2033 cc il datore di lavoro dovrebbe riottenere queste somme fino a 10 anni. per una disciplina speciale invece, l’azione esperibile del datore non è più esperibile trascorsi i 5 anni da quando viene accertato l’indebito. L’ente dopo 5 anni si deve tenere i soldi per non subire un incidenza sul bilancio finanziario, in questo caso questi contributi versati in eccesso che non possono più essere recuperati vanno comunque a costituire il montante contributivo del lavoratore. Inoltre agli enti previdenziali sono riconosciute delle azioni che prendono il nome di azione di surroga, di regresso o di rivalsa. Abbiamo già parlato dell’azione di surroga dell’inps nei confronti dei fallimenti qualora il suo fondo di garanzia sia intervenuto nel pagare il TFR ai lavoratori del datore fallito, per il recupero di quanto erogato. Un'altra importante azione è quella che spetta all’INAIL, ed è l’azione di regresso. L’inail nell’ambito degli infortuni sul lavoro interviene mediante un indennizzo, secondo un modello strettamente assicurativo il datore paga il premio per esonerarsi da qualsiasi forma di responsabilità (in linea di principio a prescindere dell’accertamento della responsabilità). Se non che, una norma sugli infortuni sul lavoro dice che se il datore è penalmente responsabile(se la lesione patita dal lavoratore dipende da una responsabilità PENALE del datore) allora l’INAIL ha diritto ad esercitare un azione di regresso verso il datore di lavoro. Quindi in questo caso la logica assicurativa viene meno. Se c’è la responsabilità penale l’assicurazione privata non paga, l’inail paga il lavoratore ma può agire in regresso e farsi ridare i soldi che ha pagato come indennizzo al lavoratore. (di fatto la responsabilità penale c’è praticamente quasi sempre). Gli infortuni di cui risponde il datore di lavoro sono quelli che può prevedere nell’ambiente controllabile. Il problema è che in quasi tuti i casi il datore in azienda deve prevedere molte cose. La CIGO, riguarda tutti gli ambiti produttivi. Da diritto ad una integrazione salariale concessa dall’ INPS per un massimo di tredici settimane (4 mesi), rinnovabili per un massimo di 52 settimane (1 anno meno un giorno). Questo tempo perché è un evento che è transitorio, rioccupando il personale in cassa occupazione. -CIGS (CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI STRAORDINARIA), per tre situazioni. Nell’Ipotesi di riconversione o ristrutturazione o riorganizzazione della produzione (esempi da produzione di biscotti a bulloni, la cassa durerà il tempo di formazione del personale alla nuova produzione ). Il datore va al MINISTERO, che deciderà se ci sono i presupposti per darti l’integrazione salariale, sulla base del piano di riorganizzazione proposto dal datore. - caso della crisi strutturale finanziaria e economica. Al ministero valutano i bilanci dell’azienda. Esempio il datore non può pagare ma ha ricevuto un finanziamento e sulla base di quello è in grado di riprendersi. - caso solidarietà difensiva. Quando il datore trova un accordo per l’orario e retribuzione ridotti con i sindacati invece di licenziare. Le tre ipotesi di cassa integrazione straordinaria riguardano solo le AZIENDE DEL SETTORE NDUSTRIALE CHE ABBIANO PIU’ DI 15 DIPENDENTI, ALLE AZIENDE DEL COMMERCIO CON PIU’ DI 50 DIPENDENTI E ALLE AZIENDE DI TRASPORTO AEREO. NEI CASI CIGS NON è POSSIBILE RIDURRE A ZERO ORE, deve essere garantito almeno il 20%delle ore precedenti. Si va a zero ore solo nel caso della CIGO. La cigs dura fino a 30 mesi. Nel caso della crisi è 24 mesi Nei casi di contratti di solidarietà difensiva è 24 rinnovabili per altri 12 mesi. È possibile accumulare più casse d’integrazione. Nel complesso non si può cumulare più di 36 mesi in 5 anni. L’integrazione salariale che è un trattamento previdenziale non copre interamente la retribuzione perduta, è pari all80% della retribuzione dovuta e ha dei massimali che per retribuzione superiori ad un tot non porta a integrazione per più di un tot di euro, sufficiente a liberarti dallo stato di bisogno. Ci sono per i lavoratori una serie di vantaggi, esempio l’accredito figurativo dei contributi come se avessero svolto l’attività lavorativa normale (cioè non è che sono contati sulla cassa integrazione am sulla retribuzione che avresti dovuto prendere). 6/11 La disciplina della cassaintegrazione deroga alle regole del diritto civile e anche in materia del diritto del lavoro. Il vantaggio per i lavoratori in cassaintegrazione è che non vengono licenziati perchè il datore di lavoro potrebbe dire che a fronte di questa particolare situazione è legittimato a licenziarvi. Lo scambio transattivo realizzato dal legislatore che va a bilanciare gli interessi: da un lato salva il posto di lavoro dei dipendenti e dall'altro garantisce al datore di lavoro il mancato pagamento delle retribuzioni altrimenti dovute (questa è la ratio). Tipo di tutela previdenziale che viene garantito ai lavoratori a fronte di questo bilanciamento, cioè un intervento da parte degli istituti previdenziali che erogano un trattamento economico che prende il nome di integrazione salariale. Questi lavoratori a fronte della mancata prestazione di lavoro o della riduzione dell'orario di lavoro (che può arrivare in determinati casi fino alla integrale sospensione della prestazione), percepiscono un trattamento economico dall'ente previdenziale (per questo si parla di tutela previdenziale). Il datore di lavoro che si trova in una di queste situazioni in realtà potrebbe procedere direttamente al licenziamento collettivo, c.d. licenziamento per riduzione del personale, è chiaro che l'ordinamento favorisce invece la strada del ricorso alla cassaintegrazione. La scelta se ricorrere o meno alla cassaintegrazione tecnicamente è imposta dalla legge, nel senso che: i datori di lavoro se vogliono possono comunque procedere al licenziamento collettivo, ma qualora ci siano dei margini per riassorbire il personale in esubero al termine del periodo di crisi, allora gli si consente di ricorrere alla cassaintegrazione. Se dovesse venire meno questo stato di crisi, il datore di lavoro che invece avesse proceduto ad effettuare il licenziamento collettivo dopo dovrebbe adattarsi a riassumere tutti i lavoratori che hanno licenziato o, meglio, ad assumere un numero corrispondente di lavoratori che hanno licenziato. Può succedere che la crisi non rientra e quindi il datore di lavoro è legittimato a porre in essere sempre un licenziamento collettivo che in questo caso chiamiamo PROCEDURA DI MOBILITA, ma è esattamente un licenziamento collettivo al pari di quello che avrebbe potuto intimare sin dall'inizio. La differenza tra licenziamento collettivo e procedura di mobilità sta solo ed esclusivamente nel fatto che la procedura di mobilità segue il beneficio della cassaintegrazione. Tutto questo presuppone una procedura di confronto a livello sindacale: per quanto riguarda la cassaintegrazione ordinaria il datore di lavoro deve dire come intende tutelare questi lavoratori, ma la cassaintegrazione ordinaria è un evento abbastanza breve dal punto di vista temporale, perchè deve consistere in situazioni di vere e proprie impossibilità oggettiva (nubifragio e per un tot di tempo gli impianti sono inutilizzabili oppure in un evento di mercato che però deve avere il carattere della transitorietà); per la cassaintegrazione straordinaria dove gli eventi sono più complessi (crisi finanziaria o un progetto di ristrutturazione dell'attività produttiva), il competente a valutare le misure che il datore di lavoro intende adottare per il riassorbimento dei lavoratori in esubero è il Ministero del lavoro, sempre nell'ambito delle discrezionalità; esempio di chi intende ristrutturare un stabilimento balneare se il datore di lavoro dice che gli serve 2 anni a farla, il Ministero valuterà se si tratta di un tempo congruo per il tipo di interventi, non c'è nessuna imposizione di indicare quanto durerà l'intervento, però il limite lo si può ricavare da quanto può durare il trattamento di cassaintegrazione ( il quale varia a secondo della serie di criteri come il settore etc). L'integrazione salariale è pari all'80% dell'orario di lavoro che viene sospeso (non è detto che sia integrale, nel senso che le ore che andrai a lavorare verranno regolarmente retribuite), è un 80% con un massimale che dipende sostanzialmente da quello che è la retribuzione che si va a perdere, sostanzialmente non può arrivare mai a più 1200 euro al mese (anche se guadagni 3000 euro al mese). Il trattamento di cassaintegrazione è soggetto ad una disciplina ANTI-CUMULO abbastanza rigida, nel senso che non è cumulabile con altre retribuzioni ne con trattamenti pensionistici, il vantaggio però per i lavoratori è che, per il periodo in cui non prestano attività o prestano attività ridotta, beneficiano dell'accredito figurativo dei contributi. La cassaintegrazione ordinaria viene gestita dalla seconda gestione INPS (che è quella delle prestazioni temporanee). Il finanziamento è integralmente a carico del datore di lavoro, tutti i datori di lavoro quando versano i contribuiti, ne versano in parte per finanziare la seconda gestione INPS. La cassaintegrazione guadagni straordinaria è gestita dalla GIAS (è una gestione degli interventi assistenziali presso l'INPS, ma eccezionalmente è lei che si occupa di gestire il trattamento di integrazione salariale straordinaria), in questo caso il finanziamento è distribuito a carico per 2/3 datore di lavoro e 1/3 sul lavoratore (sempre tramite il sistema della ritenuta che opera il datore sulla busta paga). La GIAS essendo fiscalizzato, chi interviene è lo Stato. Questo vale in generale, sono i contributi che pagano tutti anche se l'azienda va benissimo, poi se si apre la procedura di integrazione salariale, quell'azienda è chiamata a versare un ulteriore contributo addizionale a carico del datore di lavoro. La cassaintegrazione la si chiede all'INPS se stiamo parlando della CIGO, se stiamo parlando della CIGS la chiedi al Ministero del lavoro. In entrambi i casi viene adottato un provvedimento anche se poi chi paga è sempre l'INPS. QUINDI: il provvedimento di ammissione al trattamento di cassintegrazione viene deliberato dall'INPS o dal Ministero del lavoro a seconda della tipologia salariale che viene richiesta, dopodiché dal punto di vista di integrazione economica è sempre l'INPS che provvede, con la seconda gestione con la CIGO e con la GIAS per la CIGS. Che succede se il datore di lavoro tarda a richiedere questa cassaintegrazione? Paga le retribuzioni ai suoi dipendenti. L'anticipazione del trattamento di integrazione è fatta dal datore di lavoro e anche qui opera il meccanismo del conguaglio, quindi tecnicamente i soldi non escono dalle casse della seconda gestione INPS o della gestione GIAS presso INPS, è il datore di lavoro che paga il trattamento di integrazione salariale e poi quando dovrà andare a pagare i contributi alle rispettiva gestione dell'INPS verrà fatto il conguaglio con quello che a già anticipato a titolo di integrazione salariale. Soprattutto nel percorso di cassaintegrazione straordinaria, dove il legislatore ammette il ricorso al trattamento previdenziale a casa specifici, il Ministero poi vuole vedere che tu stia facendo effettivamente l'operazione di ristrutturazione o risolvendo i problemi finanziari, perchè altrimenti se il datore di lavoro non lo sta facendo doveva immediatamente procedere con il licenziamento collettivo, pertanto il Mistero ha il potere di ispezione e di controllo, può verificare in ogni momento quale sia lo stato delle procedure poste in essere per far si che venga riassorbito il personale in esubero . Se si accorge che non sta facendo nulla, non rispetta il c.d. piano di rientro, il trattamento può essere o annullato, sospeso o revocato. Revocato vuol dire che il datore di lavoro si trova esposto alla mora credenti, deve restituire all'INPS i soldi che l'INPS non doveva pagare per il trattamento previdenziale (ciò vuol dire che non doveva conguagliarli) e si troverà esposto nei confronti dei vari lavoratori che si spettano la retribuzione per intero e non all'80%. Revocare significa che non è mai esistito, ex tunc. Il trattamento di integrazione salariale non vale sempre e comunque, mentre la CIGO si applica a tutti i settori produttivi, ma la CIGO riguarda casi rarissimi, invece la CIGS invece si applica solo per determinate aziende quelle per il settore industriali che hanno più 15 dipendenti, le aziende del settore del commercio con più di 50 dipendenti, aziende che occupano il settore del trasporto aereo. Quindi sono fuori tutto il settore agricolo e tutto il settore del commercio che include quello dei servizi per le aziende che abbiano meno di 51 dipendenti. Per tutte queste aziende che non godono della cassaintegrazione (tipica), fino al 2012 si ricorreva alla cassaintegrazione in deroga, che era concessa dalla Regione. La possibilità di ricorrere alla cassaintegrazione in deroga, a causa dei troppi abusi, è stata vietata nel 2012, o meglio è stata consentita soltanto in una particolare ipotesi che è quella in cui un'azienda che debba cessare l'attività e abbia la prospettiva di cederla ad un'altra azienda. Per tutti gli altri casi in cui non esiste la cassaintegrazione in deroga, è attivo un fondo bilaterale di solidarietà, il quale deve essere obbligatoriamente costituito dai contratti o accordi collettivi anche intersettoriali che funzionerà come una sorta di ente previdenziale ad hoc. Questo fondo riceve la contribuzione di queste aziende (industriali meno di 16 dipendenti, settore industriale meno di 51), una specie di micro ente costituito dalla contrattazione collettiva e che si occupa esclusivamente di erogare un’integrazione salariale che più o meno assomiglia a quella istituzionale. Nel momento in cui queste aziende si dovessero trovare in difficoltà, potranno intervenire questi fondi erogando un assegno ordinario che equivale al trattamento di integrazione salariale che per legge deve aver un importo almeno pari a quello che sarebbe l’importo salariale. Deve avere una durata minima di 13 settimane, minima per legge, ma l'accordo sindacale potrebbe elevarla. La legge prevede che si possono stabilire in questi accordi degli interventi aggiuntivi rispetto al trattamento di integrazione salariale previsto dalla cassaintegrazione tipica; cioè è anche possibile che questi accordi introducano dei trattamenti di favore per aziende che già beneficiano del trattamento di integrazione salariale. Può succedere che l'accordo collettivo di fondo di solidarietà non venga fatto; È costituito presso l'INPS un particolare fondo che prende il nome di FONDO RESIDUALE DI SOLIDARIETA', Nel caso in cui il lavoratore ottiene la reintegrazione a lavoro vincendo la causa, l’inps dovrebbe retrocedere verso il lavoratore per ciò che riguarda il trattamento di disoccupazione. Dal centro per l’impiego lì’inps dovrebbe recuperare questa informazione. L’IMPORTANTE è CHE A FRONTE DEL LICENZIAMENTO DISCIPLINARE L’INPS EROGA LO STESSO LA DISOCCUPAZIONE AL LAVORATORE , perché NON IMPUTA LA CESSAZIONE DEL RAPPORTO VOLONTARIA, cioè imputabile AL LAVORATORE,ma è comunque discrezionalità del datore di lavoro che sceglie di licenziare. Viene considerata discrezionale questa scelta non importa che condotta abbia avuto il lavoratore. (non è proprio come dice l’inps nella realtà perché a volte il datore è obbligato). La questione crea ulteriori problemi a livello etico. Esempio un lavoratore si vuole dimettere perché stanco di lavorare, se si dimette senza una ragione rischia che la NASPI non gli venga data. Che faccio? Non vado più a lavorare. Dopo dieci giorni il datore gli contesta questo comportamento. Il lavoratore non risponde, in tal modo che dopo altri 5 giorni venga licenziato per motivi disciplinari assicurandosi la NASPI. Dal momento in cui il rapporto è cessato il lavoratore ha 68 giorni per andare all’INPS e fare domanda. A chi si applica la NASPI? La disciplina della naspi si applica a tutti i lavoratori subordinati, dell’impiego privato, precari del pubblico impiego, per i part time del privato. (se hai due part time e vieni licenziato in uno dei due lavori, puoi chiedere la naspi per il lavoro perso anche se continui a lavorare con l’altro part time). Non si applica la disciplina della NASPI al lavoro agricolo (che normalmente funziona in base alle giornate di lavoro ed hanno un loro trattamento di disoccupazione conteggiato diversamente). Non gli si potrebbero chiedere i requisiti che andiamo a vedere. Sono esclusi i dipendenti pubblici non precari per i quali non è previsto un trattamento di disoccupazione ma c’è una tutela diversa in relazione alla cessazione del rapporto. I dipendenti pubblici non sono esposti alle stesse regole del licenziamento che valgono per il privato. La PA se ha una riduzione del lavoro non può licenziarti. In questo caso si apre la procedura di mobilità (interna o esterna). -MOBILITA’ DEL SETTORE PUBBLICO La PA ha l’incarico di vedere se puoi essere ricollocato in un'altra struttura amministrativa. Se proprio non riesce a ricollocare il lavoratore , esso godrà della cosidetta disponibilità per 24 mesi, cioè sei a disposizione della pa per 24 percependo uno stipendio decurtato. Se dopo 24 mesi non sei ancora ricollocato lo stato recede dal rapporto e non spetta più nulla al lavoratore, a meno che esso non abbia raggiunto un contributo contributivo di 40 anni. In questo caso lo stato può recedere dal rapporto di lavoro a prescindere dall’età anagrafica e permettere al lavoratore di percepire il trattamento pensionistico. Come per i lavoratori agricoli nel settore privato esiste una particolare tutela previdenziale per i lavoratori autonomi ma parasubordinati, i cosidetti lavoratori coordinati e contributivi per i quali è stata introdotta la Disc-all , cioè la disoccupazione collaboratori che è basata su requisiti più ridotti proprio perché queste collaborazioni presuppongono una durata breve del rapporto e un impegno ridotto non a tempo pieno come quella del lavoratore subordinato. Queste collaborazioni in realtà non esistono più perche si è deciso che quando il committente organizza i tempi e i luoghi del lavoratore si applica la disciplina della subordinazione. Quando non si raggiunge una prova piena di questa etero determinazione dell’attività i giudici si accontentano dei due principali indizi di lavoro subordinato, cioè il luogo di lavoro e il tempo. Nel momento in cui a questi lavoratori si applica la disciplina del lavoro subordinato, vengono meno le collaborazioni fittizie nate per abbassare le aliquote contributive a carico dei committenti. Oggi queste collaborazioni sono praticamente inesistenti. Come funziona la NASPI? nel 2012 era stata introdotta la ASPI, che era un trattamento di disoccupazione per coloro che avessero 2 anni di annienti contributiva e un anno di versamenti contributivi nel biennio precedente alla cessazione del rapporto. Per i lavoratori discontinui, era stata introdotta la MINI ASPI, che dava diritto a trattamenti minori. Con il decreto legislativo 22 del 2015, chiamato Jobs act, viene cambiata la disciplina attraverso la NASPI, cioè nuova assicurazione, che elimina la distinzione tra la naspi e la mini aspi, amplia il periodo di riferimento temporale, e, dice che ha diritto a questo trattamento di disoccupazione chiunque ha nei 4 anni precedenti alla cessazione del rapporto ha avuto un versamento contributivo di almeno 13 settimane, purché abbia svolto almeno trenta giorni di lavoro effettivo nell’ultimo anno questo per avere diritto alla NASPI. Poi bisogna vedere quanto spetta al lavoratore in questione. Come si calcola la Naspi? Si prende tutta la retribuzione percepita negli ultimi 4 anni, si divide per il numero di settimane di contribuzione, si moltiplica per 4, 33. Esempio: (tizio ha lavorato negli ultimi 4 anni solo 2 anni discontinui, ha guadagnato 35 mila euro. 2 anni sono 104 settimane. 35000 diviso 104= 336,53 x 4,33. Per importi che risultanti da questa operazione inferiori a un tot, ciò che ti spetta di naspi è il 75% di ciò che viene fuori. Se viene fuori una somma superiore a questo tot, si prende il 25 % della differenza tra i due valori. La NASPi comunque non può essere più di 1300 euro. Quanto dura la NASPI? La naspi dura la metà delle settimane di versamento contributivo negli ultimi 4 anni. Il massimo che si può versare in 4 anni è 208 settimane, diviso 2 risulta 2 anni. Il lavoratore in naspi gode della contribuzione figurativa (come se avessero lavorato a fini pensionisitici per il periodo della NASPI). Se la NASPI ha una durata superiore a 4 mesi, hai diritto ad un assegno di ricollocazione cioè hai diritto a farti ricollocare e puoi utilizzare questi soldi per riqualificarti. Se trovi un lavoro a durata temporanea, inferiore a 6 mesi, la NASPI può essere sospesa per la durata di questo lavoro temporanea,per poi ricominciare al termine di questo lavoro temporaneo ma ridotta dell’80%. Anche la naspi da diritto alla dote. Se dovevi godere di un anno di NASPI, ed hai goduto solo di 6 mesi di NASPI e vieni riassunto da un datore di lavoro, questo datore può detrarre il valore economico contributivo di questi sei mesi residui di NASPI di cui il lavoratore non godrà più è una forma di incentivare la riassunzione di questi lavoratori ormai espulsi dal ciclo produttivo. Se assumi questi lavoratori puoi scaricare dai contributi dovuti un importo pari al 50% dell’importo ancora dovuto al lavoratore per il periodo di naspi di cui non godrà più. Alla fine della NASPI, non hai diritto a nulla a meno che non ti trovi in una situazione di stato di bisogno. Cioè non solo non hai più lavoro ma dimostri che il reddito del tuo nucleo familiare è inferiore a 10.000 euro. diritto per 6 mesi all’ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE, che è una tutela assistenziale che si fonda su una base occupazionale. Questo assegno infatti interviene solo dopo la NASPI quindi in qualche modo viene ricollegata al rapporto di lavoro. Anche la NASPI è oggetto di contribuzione, nell’ambito della gestione inps delle prestazioni temporanee. Si accolla sul datore di lavoro in caso di licenziamento, un particolare contributo, che è il 41% di quello che sarebbe il trattamento di NASPI moltiplicato per gli anni di servizio del lavoratore fino ad un massimo di 3. Questo contributo è dovuto anche per LE DIMISSIONI per giusta causa. Questa disciplina distingueva solo in base al momento in cui eri stato assunto. È stata dichiarata incostituzionale. -Il trattamento di disoccupazione funziona con il sistema di condizionalità come i cassa integrati. Anche il lavoratore che beneficia della naspi deve essere a disposizione per seguire corsi di formazione ecc. Il legislatore con il decreto 22 del 2015 si è reso conto che i corsi di formazione vengono fatti male, sono teorici e non sono spendibili per i lavoratori nella realtà concreta. Così, ha introdotto l’obbligo per il lavoratore di stipulare con lo stato un obbligo di servizio, cioè entro 15 giorni il lavoratore deve andare al centro dell’impiego e stipulare questo patto di servizio con cui si rende disponibile allo stato ad impiegarsi a fronte di un lavoro, che offre il centro dell’impiego, nei 50 km massimo dalla sua residenza, purché la retribuzione prevista sia superore alla naspi percepita di almeno il 20%. Se il lavoratore non accetta la NASPI decade (anche se non è competente nelle mansioni che vengono richieste da suddetto lavoro). Il vero problema che ciò che viene offerto è un lavoro qualsiasi, che può essere completamente svincolato alla professionalità del lavoratore. Oggi, nessuno si rivolge al centro dell’impiego ma si assume a conoscenza, ciò non toglie che nel caso ci si rivolga al centro per l’impiego, viene inviato un lavoratore ( basta che le mansioni siano nello stesso livello di inquadramento). Oggi il centro colloca il 5 % dei disoccupati, includendo i collocati d’obbligo. -TUTELA DELLA SALUTE (MALATTIA, INVALIDITà PENSIONABILE E INVALIDITà CIVILE, INVALIDITà DA RISCHI PROFESSIONALI CIOè INFORTUNI SUL LAVORO E MALATTIE PROFESSIONALI ) La malattia è une vento che sospende il rapporto di lavoro come previsto dall’art. 2110 cc. Questo articolo dice che la malattia come l’infortunio sul lavoro sono casi in cui la prestazione è sospesa ma il datore è ancora costretto a pagare la retribuzione. Cioè a fronte di questi eventi oggettivi il lavoratore ha diritto ad essere retribuito. Al posto di questa retribuzione, c’è invece l’indennità di malattia a carico dell’INPS. Se non intervenisse la tutela previdenziale dell’INPS, c’è l’obbligo del datore di lavoro di intervenire. L’intervento dell’INPS non è stato previsto per tutti i lavoratori, non interviene per gli impiegati dell’industria, che dovranno essere pagati dai propri datori di lavoro. Questo genera molti problemi, la questione si intreccia con il periodo di comporto, cioè il periodo massimo di malattia che può essere tollerato dal datore di lavoro. Superato questo periodo il datore ha il diritto di recedere dal rapporto. ( Licenziamento per superamento del periodo di comporto ). Può ESSERE SECCO per una sola malattia o per sommatoria cioè sommando malattie diverse. ( questo per esempio in Alitalia ha creato molti problemi perché la gente si presentava a lavoro 1 giorno all’anno e manteneva il posto). In tutti i casi in cui invece è l’inps che paga l’indennità di malattia, questa indennità non è mai pari alla retribuzione, mediamente è l’80-50%. Quasi tutti i contratti collettivi prevedono che sia il datore ad integrare la differenza area indennità pagata dall’inps e la retribuzione spettante se non ci fosse stata la malattia. Quanto dura l’indennità dell’Inps per malattia? Dal quarto giorno di malattia, i primi tre giorni di carenza sono a carico del datore di lavoro. Le differenze tra retribuzione perduta e indennità e nel settore dell’industria la retribuzione completa come quanto spiegato sopra. (Il datore colma sostanzialmente i buchi dell’INPS) L’intervento di indennità dell’inps arriva a 180 giorni. Il datore può farsi carico , se lo prevede il contratto collettivo, dei gironi di malattia successivi al 180 fino alla fine del periodo di comporto. 8/11 mattina Distinzione malattia e invalidità. In entrambi i casi c’è un’ alterazione di salute. La malattia è provvisoria e l’invalidità permanente. Il concetto di malattia come alterazione temporanea della salute pone una serie di problematiche cosa impedisce di lavorare? Qualsiasi stato di alterazione di salute? Chi accerta la malattia? l’accertamento deve essere compiuto da un soggetto medico imparziale. Non è il datore di lavoro che controlla. L’accertamento viene fatto dai medici della ausl su indicazione dell’inps. L’ipns può richiedere l’accertamento della malattia o il datore può richiedere questo accertamento. Il soggetto si dovrà far visitare da un medico, che ha l’obbligo di inviare un certificato telematico all’inps, questo certificato si compone di due parti. Su una c’è la copia per l’inps, sull’altra c’è la copia per il datore. Nella copia per l’inps è indicata anche la diagnosi. Nella copia destinata al datore di lavoro è indicata solo la prognosi, cioè durata presunta della patologia. Esempio se sono un prof universitario o sono un giocatore di pallavolo , se perdo un braccio è differente. Le commissioni tendenzialmente danno l’invalidità parziale al 66 % o al 95% , per non prendersi troppe responsabilità. È raro che diano l’inabilità, perché il soggetto a quel punto perderebbe il lavoro se non è possibile una ricollocazione in azienda. Questo è chiaramente un problema per i datori perché si ritrovano soggetti in azienda con il 95% di inabilità che non sono in grado di svolgere attività ma non può allo stesso tempo licenziarlo poiché non è inabile. I datori per questo fanno ricorso alla decisione della commissione. Dovrebbe il datore dimostrare che le prestazioni residue che l’invalido potrebbe offrire sono diventate per il datore di lavoro inutili. (esempio posta – portiere inabile). Per l’invalidità Permanente, ogni 3 anni il soggetto si deve assoggettare ad un controllo di revisione. Il controllo non riguarda solo la persistenza del’invalidità in sé , l’obbiettivo è accertare che sia stata superata la percentuale del 66%. Dopo il secondo controllo si ritiene acquisita la percentuale di quella patologia. Le commissioni mediche possono richiedere la revisione dell’inabilità e dell’invalidità, anche su richiesta del datore di lavoro. Requisiti per godere dell’invalidità sono 2 – assicurativo legato al versamento dei contributi, per cui devono esserci almeno 5 anni di versamento contributivo complessivo. (ciò significa che devi aver lavorato almeno 5 anni) • vicinanza con un rapporto di lavoro, negli ultimi 5 anni devi avere 3 anni di retribuzione (requisito di attualità contributiva). Dunque non è necessario essere dipendente nel momento in cui si gode dell’invalidità, ma che ci siano stati 3 anni di contributi negli ultimi 5. Ovviamente l’alterazione potresti cagionartela anche durante il rapporto di lavoro. Si calcolano dal momento della domanda anche se è stato ammesso che il lavoratore non avesse maturato quei requisiti al momento della domanda ma li possa maturare al momento dell’istruttoria (vengono considerati i contributi che versi in questa fase se stai lavorando). Per beneficiare del trattamento: Si fa domanda all’ente. L’ente può riconoscere (provvedimento meramente dichiarativo) che hai maturato diritto a quel trattamento previdenziale. se l’ente ti rifiuta la domanda? È indispensabile presentare presso lo stesso ente un ricorso amministrativo, se non lo presenti la tua successiva domanda in sede giudiziaria è improcedibile. Che può essere accolto o rigettato. Solo quando è avvenuto il rigetto del ricorso amministrativo il lavoratore può agire in giudizio contro l’ente per stabilire chi ha torto o ragione. È necessaria questa fase amministrativa precedente alla processuale vera e propria. Per beneficiare dell’Indennità: presentare domanda all’ente previdenziale. Se denega non c’è ricorso amministrativo ma si va direttamente dal giudice. Il giudice del lavoro, in questa fase giudiziale nomina dei consulenti d’ufficio, medico legali, per l’accertamento tecnico-medico. All’esito, viene depositata questa perizia che può essere accettata dalle parti e il giudice omologa la perizia, o può essere contestata dall’ ente o da tutte e due le parti. La sentenza al termine di questa fase processuale contenziosa sarà inappellabile, poiché si tratta di un dato medico. All’esito di questa fase, se il lavoratore ha ragione l’INPS dovrebbe provvedere. Può essere che l’inps non provveda e in questo caso si può aprire una seconda fase di giudizio in cui le parti litigano se esistono o meno i requisiti per avere il trattamento e sul quantum. Il trattamento di invalidità dipende da quanti contributi hai versato. 8/11 pomeriggio Per Invalidità c’è dunque questa procedura particolare per farla accertare in sede giudiziale nel caso in cui l’ente esprima il suo diniego. Pensione di inabilità Per il soggetto divenuto inabile, il ragionamento sui contributi (3 negli ultimi 5 e almeno 5 complessivi) gli permette di andare a fare l’operazione con la totalizzazione e la ricongiunzione. Se ha versato 3 annualità di contribuzione all’AGO dell’inps, e altri 3 versati ad un altro ente, li può ricongiungere o totalizzare per poter maturare il requisito necessario e chiedere all’ago o all’altro ente, la pensione di inabilità. Questo vale solo per la pensione di inabilità, questa operazione non è consentita per l’invalidità per la quale è previsto un assegno mensile sulla base dei contributi che hai versato. Esattamente come funziona per le pensioni si fa riferimento al montante contributivo, in quanto tutela previdenziale. L’assegno di invalidità è previdenziale, dipende dal versamento contributivo e richiede dei requisiti contributivi. Quando arrivi all’età anagrafica che consente di percepire il trattamento di vecchiaia, occorre andare a verificare se sono presenti i requisiti contributivi per la pensione di vecchiaia. Solo nel caso ci siano questi requisiti è possibile convertire l’assegno di invalidità in pensione di vecchia, su apposita domanda del soggetto. Questa conversione si fa in base ad una serie di coefficienti (che cambiano). L’assegno si sostituisce non si cumula alla pensione di vecchiaia, in quanto i contributi versati sono nella stessa gestione INPS. La pensione di inabilità : ha gli strumenti della totalizzazione e ricongiunzione. Viene corrisposta con decorrenza mensile, è reversibile cioè può essere riconosciuta ai superstiti nel caso in cui il beneficiario deceda. I superstiti continueranno a fruire secondo alcune percentuali della pensione di inabilità del beneficiario ( no nella stessa misura che spettava al lavoratore beneficiario) La pensione reversibile non è iure ereditatis ma iure proprio, cioè non rientra nell’asse ereditario ma entra direttamente a FAR parte del tuo patrimonio L’importo è come base quello dell’assegno di invalidità ma maggiorato in base ad un coefficiente che dipende dalla precocità della patologia invalidante. Ciò significa che se diventi inabile a 20 è più elevato se ci diventi a 60 è meno elevato. Perché l’inabile a 20 anni hai versato solo il minimo (comunque devi aver versato i 5 anni minimi di contributi) di versamenti contributivi, diverso da un inabile a 60 anni che ha 40 anni di contributi su cui si può calcolare la pensione di inabilità. La pensione di inabilità si trasforma in pensione di vecchiaia? La giurisprudenza fornisce opinioni contrastanti. Oggi ancora si discute se sia possibile fare questa trasformazione, ovviamente quando hai i requisiti d’età e di contributi. L’orientamento maggioritario propende per un estensione della pensione di inabilità alla possibilità di conversione in pensione di vecchiaia in possesso dei requisiti (quindi si). Dopodiché, esiste quella che si chiama INVALIDITA’ PRIVILEGIATA. Siamo nell’ambito dell’invalidità pensionabile, però il lavoratore non ha i requisiti necessari per beneficiare dell’invalidità pensionabile. Si infortuna sul lavoro. La disciplina degli infortuni sul lavoro è selettiva, non ricomprende tutte le possibile ipotesi di infortunio sul lavoro. Perché alcune particolari attività non rientrano fra quelle protette dall’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro. L’ordinamento cerca dunque di provvedere a questa lacuna, poiché il lavoratore non ha diritto alla tutela dell’infortunio, non ha i requisiti per l’invalidità pensionabile, però è un lavoratore quindi ha diritto ad una tutela con l’invalidità privilegiata Cioè a questo lavoratore viene riconosciuto il diritto di fruire delle stesse prestazioni previdenziali previste per l’invalidità pensionabile, con un privilegio cioè che gli vengono riconosciute anche se non ha i requisiti contributivi necessari perché si è comunque fatto male sul lavoro. Abbiamo sostanzialmente quella che è una divisone basilare nella tutela previdenziale: -invalidità pensionabile soggetto che lavora o ha lavorato, ha versato determinati contributi e si è fatto male per rischio comune(inps) (invalidità privilegiata sarebbe come quella pensionabile però ti devi esser fatto male per causalità diretta e non è un’attività protetta dall’INAIL.) - Se sei un soggetto che lavora e ha versato, che si è infortunato sul lavoro e l’attività svolta è un attività protetta hai diritto alla disciplina sull’infortunio sul lavoro.(inail) • se non hai il requisito contributivo ma ti sei fatto male per causa di lavoro (con causalità diretta tra la tua mansione e l’infortunio), interviene l’invalidità privilegiata. SE NON HAI NULLA di TUTTO CIO’, cioè HAI UN INFORTNIO DA RISCHIO COMUNE e non sei un lavoratore o comunque non hai requisiti contributivi, c’è l’invalidità CIVILE. -è una prestazione di tipo assistenziale -il presupposto fondamentale è che non stai lavorando, ti viene riconosciuta tramite la GIAS a carico del fisco. Puoi anche non aver mai lavorato. Si applica a tutti i cittadini e a tutti gli stranieri legalmente soggiornanti. Occorre un accertamento sanitario da parte di apposite commissioni mediche presso la asl. Il requisito sanitario è molto più rigido in questo caso, pretendo che ci sia una riduzione dell’attività lavorativa generica pari ad almeno il 74%. Tabelle nelle quali ad ogni tipo di menomazione corrisponde una percentuali, cumulabili con riduzioni percentuali. Ipotesi: la sordità totale ad un orecchio qualificata al 50% , all’altro orecchio ci senti la metà, per quella riduzione c’è il 25%--> non si fa il 75% ma ci sono altri calcoli. Potrebbe venir fuori che cumulato hai il 60%. Calcoli fra tutte le patologie che hai e c’è da vedere se arrivi al 74% di perdita della capacità generica di lavorare (anche se non hai mai lavorato e se non hai versato contributi). Non basta questo requisito della riduzione dell’attività lavorativa generica ma anche il requisito economico, lo stato di bisogno( devi anche essere povero). Il tuo reddito deve essere inferiore alla soglia che da diritto a godere dell’assegno sociale. -Quando si arriva all’età anagrafica necessaria per percepire l’assegno sociale la conversione da invalidità si verifica automaticamente. Quando parliamo di stato di bisogno il legislatore richiede che vengo verificato in concreto, non basta che nella tua dichiarazione dei redditi risulta guadagni meno di x all’ano, ma come prova che non hai altre entrate reddituali a livello familiare. Lo stato di bisogno verrà valutato complessivamente nell’ambito di quello che è il reddito del nucleo familiare e non del singolo. 13/11/18 Invalidità da rischio professionale. Riguarda chi si fa male sul lavoro. L’inail ha un ambito di copertura che nel tempo si è esteso fino a diventare quasi onnicomprensivo. L’Inail è il tipo di assicurazione originale fondata sullo strumento assicurativo per eccellenza (il datore paga il premio). Altri enti comunque gestiscono questa materia. L’idea assicurativa marcata è quella per cui si prescinde dall’accertare di chi sia quell’infortunio. Anche in questo caso l’assicurazione sociale di infortuni sul lavoro sembrerebbe operare in base ad una operazione attiva. Quello che oggi è il cosiddetto corpus normativo è costituito dal decreto del presidente della repubblica 1124 71965, decreto legislativo 38/2000 (che ha introdotto l’infortunio in itinere e l’indennizzo del danno biologico). Il quadro normativo si completa poi nella logica prevenzionistica dell’art 2087 cc e dal testo legislativo del Decreto legislativo 81/2008. Ciò significa che IN UNA LOGICA Più AMPIA, non solo è importante che l’inail indennizzi l’evento lesivo una volta verificato e CHE QUESTI ENTI MIRINO ANCHE A FORNIRE LE CURE RIABILITATIVE, ma soprattutto che mirino a prevenire questi infortuni sul lavoro. La logica è prima di tutto PREVENTIVA. L’art 2087 cod civ ci dice che l’imprenditore è tenuto a garantire l’integrità psicofisica dei suoi dipendenti secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica. È una norma che costituisce la norma di chiusura del nostro sistema prevenzionistico. Il decreto legislativo 81 del 2008, di oltre 300 art, descrive minuziosamente tutti gli accorgimenti che deve adottare il datore in base alla particolarità delle sue lavorazioni. Questa disciplina serve al datore che fra le altre cose, deve: -(nel decreto 2008) Deve adottare il DVR, documento valutazione dei rischi, elaborati da tecnici della materia in modo da stabilire tutti gli eventuali rischi che possono verificarsi nella sua azienda in base alle attività svolta. Quindi un azienda del settore industriale con macchinari pericolosi deve munirsi di documenti che descrivono come devono essere eseguite tutte le operazioni lavorative, che tipo di strumenti si devono usare ad esempio ecc. dell’ambiente lavorativo sia che svolgano attività manuali o che sovraintendano attività altrui, purché in questo ambiente esistano dei macchinari idonei a produrre quello che è il rischio specifico. A differenza dell’occasionalità necessaria che contraddistingue l’infortunio sul lavoro, per la malattia professionale è richiesta dal legislatore un vincolo più stringente, cioè tra l’attività lavorativa e contrazione di una malattia professionale deve intercorrere un nesso di casualità diretta e determinante, accertato con valutazione medico legale ( o nell’ambito dell’istruttoria o nell’ambito del giudice ecc). Un altro vincolo : Non tutte le malattie sono considerate malattie professionali. Ci sono una serie di malattie specifiche su cui opera una presunzione assoluta della loro derivazione dall’attività lavorativa il lavoratore deve solo dimostrare di aver contratto una malattia che è espressamente prevista come malattia professionale Sono poi state elaborate delle tabelle dal legislatore in cui ci sono le malattie idonee ai fini dell’intervento dell’assicurazione (MALATTIE TABELLATE). I CRITERI UTILIZZATI SONO DI 3 TIPI. l’ individuazione di una SERIE DI AGENTI PATOGENI E LAVORAZIONI MORBIGENE (se nella tua azienda c’è uno di questi due fattori, la malattia che dovesse insorgere sul lavoratore è soggetta a presunzione che sia una malattia professionale. Questo sistema si è rivelato insufficiente così sono state elaborate le malattie non tabellate. - malattie NON TABELLATE (esempio lo stress lavorativo, stato di costrizione psicofisica per mobbing). In questi casi non opera nessuna presunzione, il lavoratore deve dimostrare che la lesione psicofisica derivi da malattia professionale ( dimostrazione di avere la lesione e il nesso di causalità con l’attività svolta). Prestazioni rese dall’INAIL sia in caso di infortunio sul lavoro che in caso di malattia professionale: Per l’infortunio il principio di automaticità delle prestazioni opera in modo imperfetto, cioè sono richiesti requisiti contributivi. Se il diritto a riavere i contributi dell’ente si è prescritto l’automaticità delle prestazioni non opera. Per la malattia professionale non è richiesto nessun contributo. L’inail non richiede che ci sia stato il pagamento di un premio. Il diritto alla tutela spetta a prescindere da qualsiasi versamento contributivo. L’automaticità delle prestazioni opera in modo perfetto. Diventa dunque anche irrilevante che si sia prescritto il diritto dell’INAIL a recuperare i contributi dal datore di lavoro, nel caso in cui ci siano. Le prestazioni dell’inail si differenziano in base al tipo di inabilità temporanea (diritto di un indennizzo 60% della retribuzione, possibilità di integrazione del datore) o permanente, come detto nella lezione precedente. Per la permanente, assoluta o parziale, è prevista una rendita, cioè una somma mensile per il resto della vita. Questa rendita deve includere la perdita della capacità di lavoro(danno reddituale, superiore al 16%), ma se a questa lesione della capacità di lavoro si accompagna anche un dato biologico, cioè una lesione permanente dell’integrità psicofisica che incide sul fare adderituale , allora una quota dell’importo viene attribuita a titolo di DANNO BIOLOGICO (in aggiunta alla rendita). Se il danno biologico è superiore al 6% ma non superiore al 16%, allora il lavoratore può chiedere che gli venga liquidata una somma in conto capitale. Se poi dovesse aggravarsi il danno biologico, fino a superare il 16%, la residua parte derivante dall’aggravamento verrà liquidata con una quota sulla rendita, sottraendo quanto già percepito in conto capitale alla quota mensile. Queste rendite non sono compatibili con le invalidità PENSIONABILI. Tuttavia che qualche problema si può porre perché l’invalidità pensionabile indennizza solo l’incapacità lavorativa, la malattia professionale anche il danno biologico. Quando a seguito dell’infortunio comune dovesse esserci un aggravamento della stessa lesione dovuto a un infortunio sul lavoro, fermo restando l’incumulabilità delle due tutele di invalidità, bisognerà tener conto che l’inail può indennizzare anche il danno biologico. La ago si fa carico di indennizzare l’aggravamento , mentre l’inail si farà carico del danno biologico. Ci sono delle azioni che può svolgere il lavoratore nei confronti del datore di lavoro, che deve tener conto che l’inail per danno biologico non copre qualsiasi evento (dipende es dal nesso di casualità, oppure il danno morale) e non risarcisce integralmente il danno,( l’indennizzo è inferiore al risarcimento del danno). Per le ipotesi in cui l’inail non interviene opera il DANNO COMPLEMENTARE. (fuori assicurazione) DANNO DIFFERENZIALE è invece quello che si può venire a creare nella differenza fra quello che ha coperto l’inail con l’indennizzo e quello che invece sarebbe il danno risarcibile. Il datore per il danno complementare potrebbe affermare la sua non responsabilità, mentre per i differenziale ha pagato il premio dunque non si vuole far carico della differenza. Il lavoratore può fare causa al datore, ci sono due tipi di risarcimento seguono che si devono a due regole apparentemente diverse, che possono anche essere esercitate insieme: - per il danno complementare deve provare che il datore ha violato una misura di sicurezza o che è stato violato lo stesso art 2087 cc (che impone al imprenditore tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità psicofisica, questa è una responsabilità contrattuale dunque ha implicazioni sul piano probatorio, al lavoratore spetta solo di dimostrare che si è verificato l’evento lesivo e di indicare quella che sarebbe stata la misura di sicurezza violata. È invece onere del datore dimostrare di essere stato esattamente adempiente, se non lo dimostra è risposabile e quindi deve risarcire integralmente il danno complementare). – per il danno differenziale,il datore non paga l’integrazione perché ha pagato il premio per il lavoratore, ma l’art 12 decreto presidente della repubblica 114/1965 dice che questo sistema assicurativo non vale se l’infortunio sul lavoro deriva da una responsabilità penale del datore di lavoro. Il problema è che praticamente qualsiasi infortunio sul lavoro è penalmente rilevante per il datore, esempio lesioni colpose. Concorso di colpa del lavoratore l’integrazione è divisa tra datore e lavoratore. (RIDUZIONE) L’inail esercita nei confronti del datore un azione di regresso di questo versato di indennizzo al lavoratore nel caso ci sia stata da parte di quest’ultimo una condotta penalmente responsabile che ha creato l’infortunio. IL GIUDICE CIVILE HA IL POTERE INCIDENTALE DI STABILIRE SE NEL CASO DI SPECIE la condotta del datore costituiva una condotta criminosa. Non condanna ma dice che c’è un ipotesi di reato. Dopodiché in caso si portasse avanti il giudice decide se c’è reato e la sanzione. Molte azienda fanno per questo anche l’assicurazione privata, che naturalmente non ha interesse a seguire per vie giudiziarie ma procede per la transazione, con cui non si riconosce la responsabilità di nessuno. Anche per il beneficiario delle prestazioni dell’inail occorre seguire determinate procedure. - Il lavoratore ha l’obbligo di comunicare tempestivamente(immediatamente, in relazione alla causa violenta, non occorre attendere che si manifestino patologie. Se il lavoratore ha subito un contraccolpo per causa di lavoro lo deve comunicare. Da quel momento decorrono i termini per procedere con l’ente; diversamente accade per la malattia professionale in cui il termine decorre dal momento dell’accertamento sanitario della manifestazione della malattia) al datore che ha subito un infortunio sul lavoro. –il datore una volta venuto a conoscenza dell’infortunio/denuncia di malattia professionale deve fare la comunicazione all’INAIL entro brevissimi termini.( può creare problemi se il datore vuole contestare che sia infortunio sul lavoro o malattia professionale, poiché se il datore non crede che sia infortunio sul lavoro con la notifica è come se accettassi che sia vero che questo evento lesivo dipenda dall’attività lavorativa .. es mobbing). Il datore se non comunica si prescrive in 3 anni se il lavoratore non fa lui la comunicazione. A quel punto l’INAIL si attiva e va dal datore di lavoro, sanzionandolo. Dopodiché il datore può impugnare la sanzione e si apre il contenzioso. Quando l’inail riceve la comunicazione ( dal datore o dal lavoratore, se non la riceve da nessuno entro tre anni, non si attiva. L’azione nei confronti dell’inail si prescrive in tre anni e il lavoratore che dimostri di aver comunicato al datore può esercitare l’azione risarcitoria per non aver attivato l’inail, con prescrizione di 10 anni in quanto contrattuale) Nel momento in cui l’inail è stato informato il lavoratore fa domanda e viene convocato e assoggettato da accertamenti dall’inail per vedere se la lesione denunciata sussiste e in che percentuale. Potrebbe a conclusione accogliere o rigettare perché non ritiene che non ci sia la lesione, perché la ritiene inferiore alla percentuale richiesta. Il lavoratore se si vede rigettata la domanda può fare ricorso o intenta il ricorso in sede amministrativa contro l’inail. Se pure quest’ultima conferma il diniego, il lavoratore o fa causa all’inail o al datore, o a tutti e due in sede del giudice di lavoro. 20 /11 PENSIONE DI VECCHIAIA Il concetto di vecchiaia, a cui corrisponde il diritto a partecipare questo particolare trattamento, viene presunto dal legislatore in base all’età anagrafica fissata in via assoluta. Si tratta di una presunzione assoluta che paradossalmente è vincibile, perché non è precluso ai lavoratori continuare a lavorare. Nell’ambito del trattamento pensionistico si pone il principale problema di contrasto tra quello che è la finalità di tutela dell’interesse pubblico di tutela perseguita dal legislatore, invece quello che è l’originaria logica assicurativa della previdenza. Da un lato vi è il fatto che l’art. 4 comma 2 Cost. impone al cittadino un dovere di lavorare “tutti devono contribuire”, dopo aver adempiuto il lavoratore si aspetta un qualcosa in cambio che corrisponda più o meno ai contributi versati. A questa logica che privilegia la tutela dell’interesse del singolo si contrappone la logica universalistica e solidaristica per cui in realtà la pensione di vecchiaia dovrebbe andare a tutelare soltanto gli stati di bisogno (art. 38 comma 2 Cost.). La nostra costituzione non scioglie il nodo della contrapposizione di questi due interessi, né lo fa il legislatore; nella prospettiva di contemperamento si cerca di tutelare entrambi questi interessi (privato dei singoli e quello pubblico). Per contemperare l’interesse dei privati si impongono dei limiti all’adeguatezza verso altro, si esclude che il trattamento pensionistico debba in qualche modo corrispondere in misura diretta e proporzionale a quello che è stato l’apporto contributivo, cioè sostanzialmente che debba essere una sorta di conseguenza della retribuzione, in questo senso si è intervenuti innanzitutto con il diritto alla perequazione, cioè il diritto alla rivalutazione economica di quello che si è versato a livello di contributi, attraverso i blocchi dell’adeguazione (ci sono stati momenti in cui si è detto che non avrebbe potuto operare), attraverso i c.d. tetti (che possono essere versatili sia alla contribuzione che al trattamento pensionistico) che è un intervento più invasivo rispetto al primo perché i contributi si pagano integralmente però poi si mette un tetto su quello che spetterà al lavoratore. Tutto questo si giustifica sul presupposto che oltre una determinato livello di adeguatezza non c’è motivo che operi l’intervento previdenziale perché non esiste uno stato di bisogno. Dall’altro canto, a tutela dell’interesse privato si prende in considerazione il fatto che ci potrebbero essere delle persone che hanno contribuito in modo rilevante anche senza aver raggiunto quell’età anagrafica che il legislatore fissa come livello per far presumere lo stato di senescenza, questo problema si risolve attraverso quel diverso trattamento pensionistico che prende il nome di TRATTAMENTO DI ANZIANITA’, dove il concetto di anzianità va riferito all’anzianità contributiva o di servizio, al solo fatto che hai versato contributi “sufficienti”, quindi in questo caso si prescinde dallo stato di bisogno (ossia dalla senescenza). Chiaramente stiamo parlando del regime pensionistico dell’INPS, ossia quello erogato dall’assicurazione generale obbligatoria, ogni fondo diverso ha un suo regime quindi non è detto che i requisiti anagrafici e contributivi che tratteremo siano quelli degli altri fondi. I lavoratori subordinati che versano i contributi all’AGO, raggiunta l’età anagrafica in cui si raggiunge il diritto ad andare in pensione, deve cessare, per legge, il rapporto lavorativo per poter presentare la domanda di pensionamento. Deve cessare con le dimissioni.