Scarica appunti sociologia della comunicazione e dei media digitali anno accademico 2022/2023 e più Appunti in PDF di Sociologia Della Comunicazione solo su Docsity! SOCIOLOGIA DELLA COMUNICAZIONE E DEI MEDIA DIGITALI LEZIONE 4-10-2022 Nella società in cui viviamo i social media sono importanti. La pervasività e la presenza di alcune piattaforme fondamentali attraverso le quali gestiamo la nostra quotidianità. Platform society è stato coniato da Jose Van Dyke, olandese che nelle sue ultime riflessioni ha sviluppato il concetto di società delle piattaforme. Nella nostra società ci basiamo molto spesso nello svolgere le attività su questi supporti digitali che sono architetture programmate che funzionano secondo una programmazione informatica che mediano le nostre interazioni e quasi tutte le nostre attività che si appoggiano a queste architetture digitali programmabili e mediano le attività delle imprese commerciali, le istituzioni e le influenzano. A partire da questo bisogno di piattaforme per svolgere le attività digitali esistono soggetti che non vediamo che mediano la nostra cultura, bisogna imparare a riconoscerli. Queste piattaforme sono tutte collegate tra di loro, sono un’infrastruttura che sta tra le cose che esistono all’interno di una società e le fa interagire tra di loro. Quando parla di platform society dice che l’infrastruttura è affidata a 5 grandi colossi che stanno guidando l’evoluzione. Queste grandi imprese viaggiano su dei meccanismi che finiscono per influenzare anche noi. Ci sono 5 piattaforme fondamentali, sono chiamate le big 5 o FAMGA e sono Facebook (Meta), Apple, Microsoft, Google e Amazon. Queste piattaforme gestiscono la stragrande maggioranza dei dati che circolano in rete, fanno da Gatekeeper ovvero mediano il flusso di informazioni. Facebook decide cosa mettere al top del mio feed, indipendentemente dalle notizie delle televisioni e dei giornali. Poi ci sono le piatttaforme di settore, ovvero più piccole che spesso si manifestano nella forma delle app che sono incorporate nel sistema delle big five però agiscono su settori specifici. Es. AIRBNB nel suo mediare le nostre attività quotidiane le ha cambiate, dipende da google maps, dipende da qualche cloud per depositare i propri contenuti, dipende dai social media per capire da dove vengono i suoi utenti. Queste piattaforme ci offrono supporto più immediato. Il mix delle piattaforme di settore e delle big five è l’infrastruttura della nostra società. Alcune logiche si sovrappongono ad altre logiche possibili. Oggi al cuore del sistema delle grandi piattaforme c’è Google perché è il fornitore del maggior numero di risorse e infrastrutture alle attività di tutte le altre. Attraverso il suo sistema di Google Maps, geolocalizzazione del mondo. L’altra risorsa fondamentale è il motore di ricerca, che è la forma di gatekeeping più importante nel nostro concetto sociale. Le risorse che Google offre sono: Il motore di ricerca Il Browser (google chrome) App Store (google play) Sistema operativo (Android) Servizi di pagamento (Android Pay, Google Wallet) Programmazione pubblicitaria (AdSense) Sito di video sharing (YouTube) Sistema di informazione geospaziale (Google Earth) Sistema di videoconferenze (Google Meet) Sistema di cloud (Google Drive) Al suo fianco c’è Facebook (Meta), che è il secondo grande detentore di dati, ovvero tutti quelli dei social. Detiene l’80% di servizi di social network del mondo. Meta è il proprietario di quasi tutti i social del mondo (whatsapp, instagram, messenger e Facebook). Più della metà della pubblicità fatta online passa attraverso google e facebook, che sono i mediatori del 60% della pubblicità online. Detiene anche servizi di identificazione online e quindi monitora quanto i suoi utenti accedono ad altre app, ad altri social. La piattaforma che sta crescendo è Amazon, perché cerca di differenziare i suoi contenuti e la sua offerta. Sta anche sviluppando nuove imprese come start-up. Amazon fa anche un lavoro giornalistico. Amazon è il leader mondiale di mercato nel campo di server per il cloud. Anche apple ha il suo peso, è l’unica che ha un peso importante nella produzione di hardware, è il gestore del secondo app store per grandezza, anche apple ha i suoi servizi di cloud Icloud, ha i suoi servizi di streaming, e ha tutto il mondo delle tecnologie indossabili, come ad esempio gli apple watch, che gestisce tutta una serie di dati che fanno parte della quotidianità come ad esempio l’attività sportiva. La raccolta dati relativa alla salute è molto importante perché vengono poi erogati una serie di servizi relativi alla salute. I dati che raccoglie sono già suoi, non deve mettersi d’accordo con nessuno. Microsoft è quella storica, che ha i suoi spazi. Ha un cloud aziendale, detiene tanti servizi e a livello di imprese l’infrastruttura che viene usata maggiormente è quella di microsoft. Queste forniscono le infrastrutture alle piattaforme di settore come ad esempio spotify che si appoggia al cloud di Google. Netflix si appoggia al cloud di Amazon, tutto il mondo dei gaming negozia con gli app store. Piattaforme di settore Sono i connettori tra tutti i fornitori di servizi e gli utenti. Queste piattaforme sono Uber, AirBnb, Etsy… Google possiede il 20% di Uber. Ci sono anche imprese che già esistono che usano le piattaforme per arrivare a più persone. La piattaforma attraverso la micro-imprenditoria si relazione a imprese che già esistono. I media si trovano dentro il meccanismo di platform society, che mettono in gioco i contenuti mediali. Alcune questioni fondamentali di queste piattaforme vanno a influire sui grandi modelli di effetti sociali dei media che passano dai media e arrivano a noi. LEZIONE 5-10-2022 I mezzi di comunicazione di massa di una volta sono degli importantissimi collanti della società, tengono insieme le persone che appartengono allo stesso contesto sociale, offrendo contenuti, servizi… Quando si parla di mezzi di formazione come comunicazione perché mette in comune, da un lato ci informano e ci offrono modelli a cui ispirarci. Su questi aspetti si concentra la sociologia della comunicazione. Walter Lippman è uno dei primi studiosi del 1922 e studia come in una società si forma un’opinione pubblica. Lippman osserva nel momento in cui si sviluppano delle società complesse, noi individui prendiamo delle decisioni basandoci su conoscenze che percepiamo in modo mediato dai mezzi di comunicazione. Prendiamo spesso decisioni su idee, rappresentazioni delle questioni sociali che ci vengono date e dalle quali ci formiamo un’opinione. Noi abbiamo una percezione di sapere tutto ma in realtà di molte cose non abbiamo un’esperienza diretta, ma mediata. A partire da questa idea, secondo come i media ci raccontano determinate situazioni noi siamo portati a farci un’opinione. Si cominciano a mettere dei punti di riferimento: si chiama opinione pubblica il giudizio collettivo della maggioranza dei cittadini rispetto a un determinato argomento. È un insieme di valutazioni che una determinata comunità si forma. Non riguarda tutto il mondo ma una data comunità, un agglomerato di persone. L’opinione pubblica cambia nel tempo, quindi appartiene a un determinato momento. Può essere diversa in contesti culturali diversi. Riguarda questioni pubbliche. Anche all’interno di un agglomerato umano esiste un’opinione pubblica dominante e opinioni pubbliche minori. È collettiva, non è individuale, non è fatta di verità ma di giudizi, è determinata, cambia nel tempo e nello spazio e non è sempre necessariamente unitaria. imporre la propria opinione, aldilà dell’utilità di ciò che dicono. Il loro obiettivo è arrivare a una leadership senza pensare ai messaggi che mandano. Questo avviene anche nel contesto sociale ma nei media è più sottoposto al controllo degli altri. È molto più facile che questo comportamento si moltiplichi. (opinion leader distruttivo) L’ultima suddivisione è a lungo termine o a breve termine. Ovvero possono consolidarsi nel tempo oppure ci sono leader di opinioni che si creano in precisi momenti e poi tornano a non esserlo più. Questa distinzione esiste anche da prima dei social, però i social enfatizzano gli opinion leader a breve termine. Gli opinion leader distruttivi portano a comportamenti distruttivi, negativi per il gruppo sociale. Una sociologa dice che sono opinion leader che non sicuri del danno che fanno incoraggiano persone a perseguire obiettivi che violano gli interessi legittimi dell’organizzazione, utilizzando uno stile di leadership che comporta l’uso di metodi di influenza dannosi verso i propri follower, indipendentemente dall’esistenza di giustificazioni per questi comportamenti. L’idea di dire qualcosa che rompe gli schemi per diventare noto viene spesso perseguita come strategia. Il passo successivo è stato quello di cercare di capire quali sono le caratteristiche che deve avere un soggetto per diventare leader di opinione. Andando ad analizzare i profili instagram in grado di influenzare i propri followers. Concludono che diventa l’opinion leader quando viene considerato esperto di un prodotto e di un servizio. La seconda e la terza dimensione è legata all’essere membri attivi di una comunità online e partecipare con alta frequenza dando un contributo sostanziale. L’ultimo aspetto riguarda la leadership, rispetto ai consigli d’acquisto che da deve avere buon gusto, gli viene riconosciuta la capacità di scegliere. Diventa un percorso di racconto della leadership. I contenuti prodotti da questi soggetti per essere significativi hanno queste 4 caratteristiche, se ci sono l’influencer diventa influente. Originalità: produrre contenuti che siano contemporaneamente nuovi e autentici, deve consentire un’identificazione da parte dei followers, che si deve riconoscere nell’influencer. Unicità: profili percepiti come diversi dagli altri, la capacità di proporsi con una capacità diversa dagli altri. Qualità: ci vuole una cura dei contenuti e della forma. I contenuti che funzionano quando hanno una qualità alta, che non è soltanto la bellezza dell’immagine ma deve essere anche comprensibile, assertiva e funzionale alla creazione della reputazione. Quantità: devono essere frequenti. Ci sono anche caratteristiche dei followers, che fanno in modo che questi profili siano influenti. Propensione all’interazione online anche con chi non si conosce Congruenza di interessi, gusti e personalità dei followers Quando incontra questa intenzione di raccomandare quello che l’opinion leader ha pubblicato, la leadership diventa ancora più forte, motivo per cui gli influencer cercano la complicità da chi ha già manifestato la volontà di raccomandare un prodotto. Una volta che si è creato il meccanismo di opinion leader diventa di particolare successo quando si trova questa congruenza di valori. La prima piattaforma su cui sono stati studiati i fenomeni di opinion leader è proprio twitter perché vi circolano tante news e poi è una piattaforma con tanti flussi di comunicazione e da spazio a una dinamica di relazione alle persone che la usano di una certa importanza. Per queste ragioni. Con il meccanismo dello sharing supportano le leadership di opinioni. Nel 2011 viene scritto un saggio, che ha l’interesse su come circolano le notizie su questa piattaforma. Andando a studiare chi determina che una notizia sia più diffusa di un’altra è venuto fuori che la maggior parte degli intermediari di notizie di twitter nella maggior parte dei casi sono utenti comuni. Questi soggetti comuni che determinano il successo delle notizie su twitter e facebook hanno caratteristiche: Sono esposti a più fonti mediali degli altri utenti, seguono molti più profili degli altri. Hanno più follower degli altri utenti Sono più attivi e coinvolti degli altri utenti Anche su twitter si creano dei soggetti che sono in grado di influire sulla circolazione delle notizie, sono quindi gatekeepers e fanno fa opinion leader, contribuiscono alla formazione dell’opinione. Nel 2010 parte un altro filone di studi che dice che non basta avere i followers per essere opinion leader perché non tutti quelli che hanno tanti followers sono opinion leader. Gli elementi per essere opinion leader sono: Popolarità, l’indegree influence è legata al numero di followers di un utente. Retweet influence: legata al numero di retweet che un sogetto è in grado di generare, indica l’abilità di generare contenuto con un valore aggiunto. Mention influence: legata al numero di tweet in cui un utente viene citato, indica l’abilità di un certo utente di ingaggiare altri nella conversazione. C’è poi un terzo tipo di studi che cerca di classificare le diverse tipologie di influenza che possono avere i tipi di social. The tipping point vuole identificare come un contenuto diventa virale, studia il punto di svolta. Identifica 3 tipologie di influencer che esistono all’interno delle piattaforme: Connettori: persone che hanno un’ampia rete di connessioni e fanno stare insieme le persone. Esperti: procacciatori di informazioni, risolvono i problemi e forniscono risposte Persuasori: leader carismatici in grado di catalizzare il consenso. Negli anni 70 nasce la teoria della spirale del silenzio e viene sviluppata in Germania da Elizabeth Noelle-Neuman. Lei dice che c’è un altro aspetto importante nella formazione dell’opinione pubblica ovvero la percezione dei climi di opinione. Fa un ragionamento molto articolato, che individua questo meccanismo. Il discorso è basato sull’individuazione dell’importanza su quanto noi immaginiamo sia l’opinione dominante. A inizio anni 70 tutti i sondaggi danno per vinto un partito ma poi vince il partito opposto. Dobbiamo dire che l’opinione pubblica c’è perché serve a qualcosa. Noi ci formiamo un’opinione pubblica sulle cose perché ci tiene insieme come società. La formazione dell’opinione pubblica è frutto di qualcosa che si fa insieme. Ci sono tanti elementi che contribuiscono a questo lavoro, ci sono i media che raccontano i giudizi di valori corretti su un determinato fenomeno L’opinione pubblica si forma nell’interazione tra il monitoraggio compiuto sull’ambiente sociale circostante e i comportamenti dell’individuo stesso. LEZIONE 12-10-2022 La teoria della spirale del silenzio avviene negli anni 70, una ventina di anni dopo gli studi precedenti. La Neuman ci dice che l’opinione pubblica serve a tenere insieme la società, fa funzionare il leader comune. Sviluppare opinioni condivise serve. Questa idea che sia importante questa azione che noi facciamo di cercar di capire cosa pensa la maggioranza di persone che vive con noi, bisogna fare un passo indietro. Recupera gli studi di Riesman che affronta un tema generale, ovvero fa un trattato sull’evoluzione del modo di vivere nella società degli americani nei diversi periodi storici. Alla fine di questo percorso viene fuori quanto è importante monitorare l’opinione pubblica per l’individuo. Riesman parte da epoche precedenti e si chiede dove l’individuo va a cercare le regole per poter vivere insieme. Lui dice che ogni società evoluta nel tempo è stata caratterizzata da un modo in cui le persone mettono in comune i modi di comportarsi condivisi. Riesman dice che ogni fase storica ha dei suoi tipi di individui caratteristici. Ogni società ha un modo in cui si garantisce la condivisione di regole, che ci consentono di integrarci in un gruppo quindi tendiamo a sviluppare dei meccanismi e la socializzazione è spiegarli alle persone che vengono dopo di noi per fare in modo che la società funzioni. Per arrivare alla società post-moderna Riesman divide la storia della società americana in tre fasi diverse: pre-moderna moderna post-moderna. Le società pre-moderne sono le società tribali, i nomadi, piccole tribù che vivono insieme che si organizzano da sé, sono spesso basate su legami familiari allargati, vivono insieme, i legami sono di amicizia o familiari. Basta avere la tradizione orale, sono legate da ruoli che sono molto stabili e quello che si tramanda è la tradizione che guida la comprensione delle regole. Nella cultura americana questo concetto della tradizione è ancora molto forte. Le società poi si complicano perché si mettono a vivere insieme fuori controllo ovvero in città, quindi non c’è più una rete piccola e condivisa. Al passaggio alle società moderne io posso cambiare la posizione sociale, e ci vogliono altri strumenti per condividere le regole comuni. I media diventano importanti perché diventano un punto di riferimento comune a tutti da cui si possono imparare e condividere molte regole di comportamento. Ciascuno individualmente deve imparare queste regole attraverso le fonti da cui le può acquisire, perché la propria tribù non basta più. Nelle società post-moderne le persone si spostano anche, non vivono sempre nello stesso posto, le città sono grandi metropoli, ci sono persone che vivono in culture diverse, si alternano piccoli centri a grandi centri. I media e le istituzioni non sono più sufficienti perché le traiettorie delle persone attraversano mondi diversi e tornano a essere importanti le comunità più piccole a cui appartengo, quando la società globale diventa troppo grande, torna ad essere importante appartenere a delle comunità locali. Torna a essere importante capire come funzionano le regole delle piccole comunità a cui apparteniamo, non sono più tribù però le reti sociali sono molto importanti. Nelle società post-moderne ci formiamo una idea delle regole del vivere comune a partire dalle regole dei gruppi a cui apparteniamo e sulla base delle pressioni sociali esterne. Questo continuare a monitorare le opinioni delle persone che ci circondano ci serve a non rimanere isolati. Da qui parte per spiegare un modello che spieghi quello che accade intorno a noi. Abbiamo paura di stare isolati perché se ci vengono meno le reti sociali di appartenenza restiamo in difficoltà, quindi monitoriamo costantemente quello che pensano gli altri per farci un’idea di quale sia l’opinione dominante, soprattutto sui temi che possono dividerci e quindi isolarci. Attraverso l’esperienza personale e attingendo ai media monitoriamo l’opinione altrui. Non sempre queste due cose sono sintoniche quindi possiamo trovarci in una situazione di opinione pubblica duale. Siamo in grado di capire se quello che pensiamo è allineato all’opinione pubblica oppure no e capiamo se l’opinione dominante è in sintonia o meno con quello che pensiamo noi. Monitorare l’opinione dominante agisce in modo molto chiaro sulla scelta di dire o meno una cosa, noi non cambiamo idea, semplicemente ce la teniamo per noi. La persona B non è d’accordo per sue personali convinzioni però intuisce che la maggior parte delle persone è d’accordo e quindi se lo terrà per sé, cercherà delle piccole comunità dove può esprimere la sua opinione. Sempre di più si vedrà che l’opinione dominante è a favore e quindi la rimanente opinione pubblica sparisce. Le opinioni minoritarie spariscono dai social, è un meccanismo che influisce molto sull’opinione pubblica. In questo processo i media hanno ancora un ruolo importante perché descrivono come la pensano le persone. Un esempio sono le fiction. Anche le opinioni minoritarie spariscono dai media. Quando si crea l’effetto che ci fa pensare che l’opinione dominante va in una direzione ma non è così, si crea un’illusione ottica, perché i media ci fanno pensare che l’opinione dominante sia una che in realtà non è. I media sono fondamentali in quest’epoca perché forniscono tante argomentazioni a sostegno delle opinioni pubbliche dominanti e molte meno per le opinioni pubbliche minoritarie. si manifesta nella forma dell’hate speech e degli attacchi personali, soprattutto nei temi divisivi. Queste forme di aggressività incrementano l’effetto di spirale del silenzio. Questo può anche ricadere sulla mia vita online a partire da qualcosa che ho scritto online. Questo succede tanto più spesso quanto più i temi trattati sono divisivi, quanto più le reti offline e online si mescolano. Quanto più percepisco all’interno della mia rete interpersonale o all’interno dei social un’opinione dominante tanto più ne tengo conto. Per monitorare qual è l’opinione dominante sui social vediamo tanto quanto successo ha ciò che scrivono le persone sui social. I commenti a tutto ciò che viene pubblicato all’interno delle piattaforme ha un ruolo rilevante sull’idea che ci facciamo dell’opinione pubblica. Tanti più commenti vanno in una direzione tanto più l’opinione dominante va in quella direzione. L’opinione espressa all’interno dei tanti commenti ci porta a dare fiducia a quell’articolo come di parte. I commenti ci sembrano anche oggettivi, non conosciamo chi scrive. Questi indizi relativi alla persona li abbiamo quasi assenti, quindi gli diamo più credito. Secondo gli autori di questo saggio, chi commenta che fa parte di una minoranza della realtà che però di quello che scrive noi percepiamo come opinione dominante. L’effetto di distorsione tipico della spirale del silenzio nei media tradizionali si crea anche online. I commenti sulle piattaforme digitali possono avere delle conseguenze importanti sulle opinioni inter-personali. Queste ricerche hanno messo a fuoco come noi usiamo l’espressione dei like come bussola di quello che è il racconto dell’opinione dominante. I BOT sono strumenti che vengono utilizzati per influenzare la percezione dell’opinione dominante. Ci si è accorti che all’interno delle piattaforme social vengono messe in atto delle azioni di manipolazione dell’opinione. Uno degli strumenti è quello di incrementare l’effetto di spirale del silenzio, usando i BOT dietro al quale c’è un agente automatizzato che agisce in modo simile agli esseri umani ma sulla base di un programma che dice loro cosa fare. Servono a diffondere un’opinione particolare attraverso i loro messaggi, devono influenzare le opinioni facendo credere che un’opinione sia dominante. Vengono utilizzati a livello politico… Una delle tipologie di BOT viene chiamata astronauti e serve proprio a far pensare che tutti la pensano allo stesso modo, non ci sono limiti al numero di social bot che si possono implementare. Si può creare un flusso estremamente ampio di messaggi generati automaticamente per generare un’opinione. Non sono i contenuti che pubblicano che vanno a influenzare l’opinione pubblica ma il loro lavoro non è nei contenuti ma in tutta questa attività di like e commenti ripetuti e condivisioni. Hanno la funzione di silenziare i commenti opposti. L’opinione dei BOT diventa l’opinione pubblica. Quindi possiamo dire che l’effetto di spirale del silenzio si genera anche nei social media. Teoria della coltivazione Sviluppata pensando ai mezzi di comunicazione tradizionali ma ha un impatto anche sui media digitali. Ci dice che i mezzi di comunicazione non ci raccontano soltanto qual è l’opinione dominante, ma coltivano anche delle rappresentazioni della realtà. Le producono pian piano nel tempo. Questa teoria è stata sviluppata da Gerbner negli anni 70, anni di conflitti di opinione. Sono anni in cui è emerso il potere dei media e si è iniziato a studiarlo in modo più complesso. Conta osservare nei media anche il loro lavoro di storytelling. Immagina il racconto di storie, es. The Crown, contribuisce a formare la rappresentazione di cosa è stata la monarchia inglese durante il regno di Elisabetta II. Ha una funzione di formazione della rappresentazione dell’immagine che abbiamo della monarchia inglese. I media propongono delle narrazioni che posizionano nel nostro immaginario diversi tipi di contenuti. Altro esempio sono proprio i reality show. Queste storie a tutti questi livelli, da grande produzione televisiva all’ultimo dei reality show si riflettono sul nostro modo di vedere e interpretare il mondo. Il nome che Gerbner da a questa funzione è funzione bardica, si rifà a delle tradizioni medioevali. Si rifà a quei cantori che andavano a raccontare per le città in forma di canzone. I media ci raccontano in modo semplice e divertente cosa accade nel mondo. I media hanno svolto un lavoro di posizionamento dell’immaginario, di alcuni contenuti rispetto ad altri. Fiske e Hartley che lavorano in Inghilterra nella fine degli anni 70, studiano sempre questa teoria. Dicono che i media servono a: Articolare l’interpretazione della realtà Coinvolgere in un sistema di valori Spiegare le azioni dei singoli Rassicurare la cultura della sua adeguatezza o svelarne le inadeguatezze pratiche per farla evolvere Rassicurare che lo status e l’identità degli individui è garantito dalla cultura Trasmettere un senso di appartenenza culturale LEZIONE 19-10-2022 Gerbner aveva messo a fuoco gli aspetti di base della teoria e aveva detto che la funzione bardica svolta dai media ha degli aspetti positivi ma sviluppa anche degli stereotipi, come ad esempio: Genere-età Salute Scienza Famiglia Educazione Politica Religione Violenza Può alle volte costruire un immaginario caratterizzato dalle semplificazioni della rappresentazione del mondo. In particolare, su un aspetto si concentra l’attenzione rispetto alla teoria della coltivazione ovvero la violenza (1967-1985). I media cominciano a far circolare molti contenuti che hanno caratteristiche che possiamo ricondurre alla rappresentazione della violenza come thriller, criminalità… Ci sono studi di psicologia che affrontano questo argomento per capire se sulla psiche del singolo individuo tutta questa fruizione di contenuti violenti abbia un impatto. Hanno dimostrato che c’è un effetto legato a come le persone si rappresentano nel mondo che le circonda. Se è vero che lo storytelling dei media contribuisce a farci vedere il mondo in un modo invece che in un altro allora l’effetto di coltivazione ci fa immaginare un mondo più violento e criminale di quello che non è in realtà. Uno storytelling che insiste sulla violenza coltiva nell’immaginario sociale un’immagine più rischiosa e violenta di quanto non sia in realtà. Questo effetto ha delle ricadute sulla vita sociale perché si dimostra che in una società che ha un immaginario violento e aggressivo cresce anche la sfiducia nel prossimo e nella società. Es. Gomorra Esiste un differenziale di coltivazione ovvero quanto più le persone sono consumatrici di media tanto più questo effetto di coltivazione si genera. Tra forti, medi e deboli consumatori di media gli. Effetti di coltivazioni sono diversificati. La percezione di rischio è più alta tanto più le persone sono esposte a racconti mediali che mettono a tema la rischiosità della società. Più c’è sfiducia nelle relazioni interpersonali. La conclusione a cui arriva Gerbner è che la coltivazione si costruisce attraverso la ripetizione di forme narrative simili ovvero i pattern stabili di significato. Ogni volta abbiamo la ripetizione all’interno dei media di questi pattern. Le istituzioni che si occupano di produrre i contenuti mediali favoriscono la produzione di modelli di narrazione che portano a coltivare alcuni tipi di coscienza collettiva. A un certo punto diventano ricorrenti le rappresentazioni distopiche, che rappresentano aspetti negativi della società contemporanea. L’effetto di coltivazione contribuisce ad aumentare la nostra percezione di questo aspetto. In positivo c’è un costante effetto di coltivazione di integrazione di persone disabili all’interno della nostra società. Si arriva a dire che quando i media distribuiscono i pattern con elevata ricorrenza coltiviamo rappresentazioni del mondo simili. Ci sono degli aspetti che favoriscono l’effetto di coltivazione. Esiste un differenziale di coltivazione tra forti e deboli consumatori di media. L’effetto è maggiore tanto meno sono le relazioni sociali delle persone. Più sono ricche più l’effetto è minore. Si riduce la quantità di diversi punti di vista. Da un lato c’è l’essere consumatori intensivi di media e dall’altro l’avere intorno a sé una rete di relazioni meno ricca. Emerge poi l’effetto di risonanza, cioè se vivo in un contesto in cui accadono situazioni simili a quelle rappresentate dai media l’effetto di coltivazione diventa più alto. Quindi chi vive in una zona con un tasso di criminalità più alto, l’effetto di coltivazione è più efficace. Anche rispetto alla teoria della coltivazione ci sono anche altri studi che vanno avanti in quegli anni, che vanno a vedere come si possono spiegare meglio questi effetti. Identificano degli effetti di primo ordine che sono quelli che abbiamo detto fino ad ora, ovvero che sottostimiamo e sovrastimiamo alcuni fenomeni. L’effetto di secondo ordine che ci dice che noi mutuiamo dai media attitudini, sentimenti e valori. Coltivazione e nuovo sistema dei media Quando il sistema dei media è diventato meno coeso e meno coerente al suo interno alcuni cambiamenti strutturali hanno posto dei problemi a questa teoria. Il numero dei canali e di piattaforme, si sono differenziati i tempi di consumo. All’inizio questi cambiamenti hanno fatto immaginare il mettere in discussione il concetto di coltivazione. La dimassificazione della comunicazione di massa rende difficile immaginare la coltivazione di una visione del mondo mainstream, uno storytelling di massa. Certamente questi effetti di coltivazione sono più diversificati all’interno della società perché riguardano singoli gruppi piuttosto che l’intero contesto sociale. L’opinione pubblica si è frammentata e diversificata, investe anche il processo di coltivazione. Si arriva a dire che lo storytelling nella società contemporanea diventa più targettizzato. Molti studiosi hanno cercato di descrivere questo fenomeno, una descrizione è che visto che ci sono numerose visioni del mondo disseminate all’interno, la teoria della coltivazione slitta verso una visione in cui le persone sono coltivate da specifiche visioni del mondo selezionate dalle loro scelte. Più riguarda i singoli gruppi più l’effetto di coltivazione funziona. Adotto forme di consumo ripetitive se posso sceglierle. Se scelgo contenuti che mi raccontano una realtà simile a quella che vivo, l’effetto di risonanza aumenta e quindi la mia possibilità di scelta mi porta a chiudermi perché finisco a guardare sempre lo stesso tipo di contenuti. La questione della selettività diventa cruciale per capire cosa succede quando arrivano i media digitali: la selettività ci chude in delle nicchie in cui siamo esposti solo a quello che scegliamo. Davanti ai media digitali noi possiamo scegliere, siamo costretti perché viviamo in un modo con una sovrabbondanza di offerta dei contenuti. Siamo anche obbligati a metterci dei confini sia rispetto alla tipologia dei contenuti sia sulle piattaforme che abbiamo a disposizione. Dobbiamo privilegiare delle piattaforme e decidere dei macro-criteri con cui ci orientiamo nei contenuti per semplificarci il mondo. Siamo nella situazione definita Information Stratamentation. Più informazioni abbiamo più dobbiamo metterci dei limiti. L’evitare forme di dissonanza cognitiva è un criterio che utilizziamo per scegliere, ovvero privilegiamo dei contenuti che non ci mettano troppo in discussione, contenuti coerenti con le nostre attitudini e poi contenuti che siano coerenti con le attitudini del proprio network. Tutto ciò aumenta l’effetto di coltivazione, facciamo questo lavoro perché esporci a contenuti che assomigliano alle nostre idee è confortante e ci aiutano ad articolare le nostre idee, ci rende più facile la fruizione e ci aiuta a distinguere contenuti di qualità con contenuti di minore cambiamento, rinnovamento all’interno del contesto sociale. Lui chiama cultura della virtualità reale che comprende la vita reale insieme a quella virtuale. Andando nel dettaglio Castells identifica 5 punti della trasformazione: L’informazione è centrale nella società Techno-socialità: le tecnologie agiscono in profondità sulle dinamiche individuali e collettive Network logic: ogni sistema o insieme di relazioni che poggia sulle tecnologie è dominato alla logica della rete Cambiamento: la società evolve in modo costante Convergenza: le tecnologie convergono in un unico sistema integrato. Tutti questi fenomeni generano degli effetti: Effetti sui pubblici e sulle società Differenziazione sociale e culturale diffusa La personalizzazione dell’offerta e del consumo (sia nelle forme del marketing, sia in quella della scelta di contenuti molto personalizzati) creano una frammentazione culturale La differenza di competenze nell’accesso ai media digitali crea una stratificazione sociale degli utenti (have/have not, competenti/non competenti) Inoltre, ha tratto anche altri mancroeffetti: Effetti sui contenuti e sulla cultura L’esistenza di un unico ambiente mediale convergente (la rete) favorisce l’integrazione dei messaggi in un unico schema comune in cui i codici si mescolano Gamification, misinformation… Castells si ferma qua. Quando la condizione di essere sempre online diventa pervasiva, si fa un passaggio ulteriore, si conia la connective society. Nasce col web 2.0 che nasce nel 2004, ed è tutto lo sviluppo della rete che si basa sulle piattaforme social, che in questo periodo esplodono. Ci sono molti blog, forum e cominciano ad essere importanti i social. Tutto ciò che appartiene ai social diventa dominante e quindi si parla di Connective Society, dove l’elemento connotante è l’essere connessi SEMPRE, la connessione online diventa PERVASIVA. Si accentua quindi l’assenza di soluzione di continuità tra vita online e offline. La CS è la società contemporanea in cui l’essere connessi alla rete è una condizione pervasiva della nostra quotidianità. Della connective society ci parlano Rainie e Wellman, due autori americano e canadese, che cominciano a studiare gli effetti della CS. Il primo che individuano va a toccare l’uso individuale che le persone fanno delle piattaforme e dei social per rimanere connessi alle piattaforme sociali. L’uso prevalente e fondamentale è ancora quello di esprimere le opinioni, vedere cosa fanno gli altri… Gli autori vedono che usare i social come strumento di connessione con le altre persone ha un effetto sul modo in cui si strutturano le reti sociali che si chiama Networked individualism. Quello che osservano è che tutta questa possibilità di connessione si traduce in individualismo, il perno fondamentale è il singolo individuo, l’elemento è l’io che è di riferimento di tutti. Gli individui appartengono a tante reti diverse, anche in modo parziale e fanno molto più affidamento alla molticiplità di reti a cui appartengono che a gruppi coesi che danno un senso di appartenenza più stabile. Al centro dell’universo del web 2.0 sono entrate le possibilità di connessione interpersonale. Tutto questo ha un effetto su gerarchie e relazioni sociali. LEZIONE 26-10-2022 Networked individualism = individualismo delle persone una volta che si trovano sempre online. Cambiano le tipologie e le forme delle reti sociali a cui apparteniamo. Prima dell’avvento di perenne connessione le reti sociali importanti per le persone sono quelle che vengono definite gruppi stabili collegati o da relazioni parentali o da relazioni legate a un luogo o da relazioni dovute a lunghi periodi di frequentazione. Queste forme di appartenenza possono essere parziali o a molte reti, grazie alla possibilità di parlare online con persone possiamo ampliare le nostre reti sociali. Possiamo anche appartenere non in modo stabile a queste reti sociali. La seconda osservazione che fatto Rainie e Wellman è che queste reti di persone collegate tra loro nel tempo continuano a esistere ma diventano un elemento meno caratterizzante nella società. Le reti di legami deboli sostenute dalle tecnologie digitali sono quelle che durano di meno. Tutte queste reti sociali diventano sempre più importanti. Cambia anche il peso che diamo alle diverse tipologie di reti sociali, queste reti di legami deboli diventano sempre più importanti. La connessione digitale diventa sempre più importante e ci consente di mantenere queste reti. A questa osservazione viene dato il nome di networked individualism. Al centro di tutte queste reti c’è l’individuo, il singolo che è il punto di riferimento di tutte queste reti, in grado di allacciare tutte queste relazioni. Mentre prima abbiamo una società che è fondata su questi gruppi stabili, ora abbiamo una società che ha individui in grado di allacciare reti sociali. All’interno della società connessa coltiviamo molto di più a coltivare le reti di legami deboli piuttosto che le reti di legami forti. Questo ha un ulteriore aspetto interessante perché l’espansione dell’opportunità di cogliere nuove risorse per i propri problemi viene più dalle reti di legami deboli. Quindi coltivare le reti di legami deboli non è inutile, ma crea una società in cui c’è maggiore dinamismo. Questa è chiamata la social network revolution: gli individui gestiscono i legami in modi più complessi e si accresce l’importanza delle reti di legami deboli che vengono attivate da interessi e passioni comuni. La società è costituita da un groviglio di individui networked che operano in network specializzati, frammentati, permeabili e debolmente interconnessi. Castells dice che questa società è di tipo orizzontale, le reti orizzontali sono costituite da individui che formano le reti di pari grado, senza gerarchie. Nelle reti stabili ci sono spesso gerarchie mentre nelle reti connesse create all’interno dei social è molto più facile che non ci siano gerarchie, quindi dominano reti di pari che diventano i punti di riferimento più importanti. Il fatto che non avvenga il passaggio verticale cambia l’organizzazione sociale, in cui si privilegiano le reti di pari, ovvero persone connesse attraverso i social sullo stesso piano, con la stessa posizione all’interno della rete. Il primo tema a cui si dedica tanta attenzione è la social network revolution. Abbiamo visto che tutta questa riflessione sull’evoluzione del contesto sociale parte anche da quei primi dispositivi mobili e portatili, esiste anche un secondo piano di evoluzione che è la mobile revolution, cioè le tecnologie portatili che arrivano intorno agli anni 80 e che alla fine degli 90 e negli anni 2000 la tecnologia con cui si interagisce nella rete diventa principalmente quella portatile. La disponibilità di prodotti culturali ovunque io sia attraverso dispositivi che porto con me diventa LA modalità di comunicazione. Oggi siamo a tecnologie indossabili, che è un passaggio ulteriore e è parte di me nel senso che ho qualcosa addosso. Il terzo passaggio importante viene chiamato internet revolution o cambiamento della posizione degli utenti nella comunicazione. Si genera un cambiamento nella posizione degli utenti nella comunicazione. La combinazione tra mobile e social network revolution genera la necessità di produrre contenuti che alimentano le reti sociali e sfruttano le disponibilità offerte dai dispositivi mobili. Spinge quindi gli utenti a produrre una grande quantità di contenuti. Ho una tecnologia che mi offre le opportunità e mi offre tutte le potenzialità tecnologiche per produrre contenuti ovunque. Siamo chiamati a produrre contenuti, è una necessità. Se abbiamo opportunità e pressione a produrre contenuti e rispondiamo a questa pressione diventiamo soggetti che alimentano le piattaforme social con i propri micro-prodotti culturali. Viviamo all’interno di flussi di comunicazione ancora di massa però il contesto comunicativo è caratterizzato da nuove forme di contenuto. Il post è un prodotto culturale. All’interno di questi prodotti culturali alcuni hanno avuto particolare successo, ad esempio i meme così come alcune tipologie di video. C’è tutta una parte di comunicazione generata dagli utenti in cui decidono a chi è rivolta e in cui sono attori del processo di selezione. C’è partecipazione attiva delle persone che generano contenuti. Questo tipo di comunicazione è chiamata Mass Self Communication. Gli utenti sono coinvolti in un processo di comunicazione che ha ancora delle caratteristiche di comunicazione di massa, però dentro questa comunicazione gli ex ricettori sono anche loro comunicatori. Sono consapevoli di non essere più solo destinatori ma anche soggetti in grado di produrre contenuti. Questi flussi di comunicazione che passano attraverso i social sono misti, in cui fruiamo i contenuti per una comunicazione di massa e sappiamo anche noi parte del flusso di comunicazione di massa perché possiamo produrre contenuti. I contenuti destinati ad una comunicazione di massa che noi fruiamo attraverso piattaforme social sono ad esempio le news. Si mescolano con i professional generated content. Il nuovo senso degli utenti della rete contemporanea è la consapevolezza di essere parte di questo mondo. C’è una consapevolezza di avere un nuovo ruolo comunicativo nella società. C’è un nuovo senso della posizione nella comunicazione, non esiste ambito sociale che non sia comunicabile in modo istantaneo all’interno delle reti di comunicazione, al punto che i vissuti quotidiani tendono a essere tematizzabili come fatti pubblici. La cultura della connessione che si genera nella connective society è una cultura in cui le strutture dei social media sono entrate gradualmente al centro delle nostre routine e pratiche quotidiane. Senza i contenuti prodotti dagli utenti queste piattaforme non funzionano. Queste piattaforme funzionano meglio tanto più gli utenti le usano. Il web 2.0 è così. Il motore che fa funzionare le di dover continuamente crescere. Ciascuna piattaforma è anche costituita da un modello di business, devono guadagnare. Sono imprese e quindi hanno bisogno di avere degli introiti economici. Nella maggior parte dei casi le piattaforme si reggono sul meccanismo di vendita di spazi pubblicitari. Propongono alle aziende di acquistare degli spazi per raggiungere un pubblico molto profilato, di grande qualità. Grazie ai dati che Instagram raccoglie su di noi, può permettere alle imprese che vogliono fare una campagna a pagamento di raggiungere delle persone di una certa età, con determinati interessi etc. In altri casi le piattaforme si basano o sulla richiesta di commissioni, modalità di abbonamento chiamato freemium (inizialmente usi la piattaforma gratis e poi devi pagare l’abbonamento) e anche sulla cessione a pagamento ad altre aziende o governi dei dati di profilazione. Ultimo elemento costitutivo sono le condizioni di utilizzo (terminal services), che definisce le relazioni che abbiamo con la piattaforma e le possibilità d’uso dei nostri dati. LEZIONE 8-11-2022 “Effetti sociali” delle piattaforme Dal 2015 si è cominciato a parlare di “piattaformizzazione del web”. La prima osservazione che è stata fatta per mettere a fuoco cosa significasse questa piattaformizzazione della società è che le Big Five sono i nuovi intermediatori del flusso informativo; le logiche di funzionamento di queste piattaforme sono i nuovi filtri dell’accesso all’informazione. I criteri di gerarchizzazione delle news non sono più solo quelli delle testate giornalistiche, ma a questi si affiancano dei criteri di selezione e gerarchizzazione definiti dalle piattaforme. Anche i flussi commerciali sono ampliamente filtrati dalle piattaforme. Questo è un primo effetto sociale: viviamo in una società in cui le logiche che determinano cosa vediamo in termini di informazione o a cosa accediamo in termini di compravendita sono logiche algoritmiche definite dalle piattaforme. La Platform society si basa su una serie di piattaforme che mediano l’accesso alle informazioni e alla cultura secondo la logica algoritmica. Il secondo aspetto rilevante della piattaformizzazione è che le piattaforme sono strumento di mediazione delle relazioni interpersonali, anche se non in modo autonomo dalle relazioni nella vita reale: le nostre relazioni sociali vengono portate avanti in uno “spazio ibrido”, con uno spazio reale e uno virtuale che si mixano. Questo mixarsi fa sì che si mescolino anche forme e tipologie di regole diverse: l’usare le piattaforme social impone delle sue regole alla vita sociale, che finiscono per influenzare anche la vita sociale offline. I social network sono luoghi dove si negoziano delle regole di convivenza, “mixandole in modo crescente con norme sociali e socio-tecniche create negli ambienti online”. Questo vuol dire che le regole che usiamo online influenzano anche la vita offline. I confini della privacy sono stati messi in discussione da questo utilizzo delle piattaforme: da un lato c’è una grande attenzione al controllo della propria immagine e della propria privacy, e dall’altro c’è contemporaneamente un allargamento dei confini della privacy grazie a ciò che condividiamo sui social, perché in parte rendiamo pubblico il nostro privato. Danah Boyd è stata una studiosa molto importante delle piattaforme social negli anni 2000, e ha messo a fuoco l’effetto di collasso dei contesti, che si crea quando comunicando attraverso le piattaforme social perdiamo il controllo dei confini della nostra audience, quindi non siamo più perfettamente consapevoli di chi siano gli interlocutori con cui parliamo e quindi delle sfere sociali diverse di queste persone (ci possono essere amici, datori di lavoro, docenti, amici di genitori…). A questo punto, l’ideale sarebbe riuscire a mantenere un tono comunicativo adatto a tutte le sfere sociali che ci stanno seguendo, ma questo è molto difficile perché non permette di avere un tono libero; succede quindi che questi contesti alle volte collassano, si comunicano involontariamente cose ad una sfera sociale a cui non si vorrebbe comunicarle. La comunicazione offline è fortemente orientata dai contesti; all’interno delle piattaforme social, invece, tutto questo tende a collassare (e questo ha chiaramente degli effetti sulle relazioni, perché queste tendono ad appiattirsi, a non essere più differenziate per sfere sociali e contesti diversi). La negoziazione delle regole della vita sociale mette in gioco anche il nostro rapporto con le piattaforme, perché le piattaforme sono dei soggetti attivi nel dirci come gestire la nostra privacy e la comunicazione, ci offrono delle opportunità che guidano le possibilità di scelta. Le regole della convivenza avvengono nell’ambito di una negoziazione che avviene tra affordances (possibilità) offerte dalle piattaforme e comportamenti degli utenti. Ci sono delle affordances che mi suggeriscono che posso gestire in modo più articolato la privacy: queste vengono potenziate o depotenziate a seconda di quante persone le utilizzano. Da un lato c’è quindi un condizionamento delle piattaforme e dall’altro c’è una negoziazione. Anche le regole della nostra vita sociale online sono in qualche modo influenzate da quello che le piattaforme mettono a disposizione. Verso il 2010 c’è stato un proliferare di strumenti di gestione della privacy, perché era un tema molto sentito in quegli anni. Questo interesse alla privacy è pian piano andato riducendosi perché gli utenti non se ne interessavano più; gli utenti hanno privilegiato una negoziazione più fluida. In questo legarsi delle piattaforme e della nostra vita sociale, le piattaforme pongono delle altre questioni: ci spingono verso alcune modalità codificate di espressione delle emozioni, di oggettivazione delle relazioni in alcuni gesti. Ci sono dei gesti delle relazioni sociali che sono determinati e guidati dalle piattaforme, come il seguire qualcuno, un gesto che attiva, potenzia, rivela un interesse e quindi è un tipo di gestualità che magari fa nascere una relazione di amicizia che prima non esisteva. Sono dinamiche relazionali introdotte dalle piattaforme. La forma che le piattaforme hanno deciso di dare a questi gesti è una forma che abbiamo inserito all’interno delle nostre vite quotidiane ma è stata definita dalle piattaforme. Oggi viviamo in un contesto di relazioni sociali in cui è naturale poterci interessare di quello che fa qualcun altro anche se quella persona non lo sa; siamo abituati a pensare di poter essere osservati da persone in quello che raccontiamo della nostra vita quotidiana anche senza reciprocità, e questo cambia il nostro modo di rivolgerci all’audience, ci mette in una posizione di “performer”. Nelle piattaforme recenti (Instagram e TikTok) il following è la logica dominante, e questo costruisce una società che ha molti tratti performativi. L’espressione delle nostre emozioni è stata codificata: c’è una gamma di emozioni possibili. Le piattaforme non sono indifferenti, ma contribuiscono a offrirci dei codici per relazionarci con gli altri e per esprimere le nostre emozioni. Siamo dentro dei modelli di relazioni influenzati dai codici e le grammatiche che le piattaforme ci mettono a disposizione. Tutta questa codificazione serve al processo di datafication, cioè servono perché più i nostri comportamenti online sono codificati più facilmente vengono trasformati in dati che possono essere elaborati. Il codificare i nostri comportamenti e le nostre reazioni ai contenuti che vengono pubblicati nasce dal bisogno di avere delle reazioni espresse in modo standard e quindi codificabili. Questi dati sono funzionali anche a un altro processo, un effetto descritto riguardo alla Platform society che è la mercificazione. Questo processo vuol dire che tutto quello che noi comunichiamo attraverso le piattaforme spesso diventa oggetto di uno scambio economico tra piattaforme, piattaforme e clienti, piattaforme e inserzionisti ecc. Le emozioni che esprimiamo all’interno delle piattaforme social sono oggetto di uno scambio economico, quindi di un processo di mercificazione. Il terzo meccanismo è quello di selezione, cioè il farsi (da parte delle piattaforme) strumento e principale soggetto di selezione dei contenuti ai quali noi possiamo accedere. Questi tre meccanismi sostengono gli effetti delle piattaforme. I meccanismi delle piattaforme: datificazione La datificazione è uno dei meccanismi che sostengono e determinano gli effetti sociali delle piattaforme. La datificazione consiste nel fatto che le piattaforme funzionano e si reggono economicamente anche sulla raccolta di dati. La datificazione significa che ci sono aspetti del mondo che non erano mai stati quantificati in modo sistematico e oggi invece vengono trasformati in dati (dove siamo, come paghiamo, che cosa ci piace…): siamo davanti a un processo per cui quasi tutti gli aspetti del mondo in cui viviamo possono essere quantificati e trasformati in dati. Grazie anche al fatto che mediamo molte attività attraverso l’uso delle piattaforme, quasi tutto ciò che facciamo può essere quantificato e trasformato in dati. Tutti questi dati servono in primo luogo per l’analisi predittiva in tempo reale, funzionale a distribuirci pubblicità e servizi personalizzati. Il termine “tecniche di analisi predittiva” viene dal linguaggio del marketing, dove viene applicato per cercare di spiegare e di prevedere i comportamenti d’acquisto delle persone. Si parla di analisi predittiva nel marketing quando vengono utilizzati dati, algoritmi statistici e tecniche di apprendimento automatico che permettono di identificare con maggiore precisione la probabilità di eventi futuri (e dunque di risultati) sulla base dell’analisi di dati storici. Servono a capire quanto probabilmente certi clienti compreranno di nuovo una cosa e quindi a mandargli una pubblicità più pertinente. Possono anche essere utilizzati per prevedere i comportamenti di voto, i comportamenti di fronte a un’eventuale emergenza sanitaria o altre situazioni: la nostra società cerca di prevedere i comportamenti futuri delle persone. Tutte le piattaforme tendono a funzionare sulla base di queste forme di analisi predittiva. Le tecniche di analisi predittiva si basano sul fatto che tutte le attività che svolgiamo vengono trasformate in dati: la raccolta dei dati in tempo reale consiste nella raccolta di dati rispetto a richieste di amicizia, like, condivisioni, valutazioni, suggerimenti o i tipi di app che usiamo. Il nostro like si vede nel news feed dell’utente a cui abbiamo messo like; questo like viene incluso nelle metriche (ovvero i dati relativi a un post) dell’oggetto a cui si è messo like. Instagram incorpora quell’informazione come metrica, quindi vede se quell’oggetto ha preso tanti o pochi like e se mostrarlo di più o di meno nel feed degli utenti. Il nostro like diventa parte di un insieme di dati non visibili agli utenti finali, ma per esempio ai social media manager di un’azienda (diventa parte dei cosiddetti “Facebook insights”); diventa quindi uno degli strumenti che il social media manager utilizza per decidere che cosa fare in futuro. Il like diventa anche parte di un altro set di dati, dati aggregati alla piattaforma visibili solo a chi gestisce la piattaforma: sono dati non sul singolo post e sulla singola pagina, ma sono dati aggregati sulle pagine di un certo tipo. Nel momento in cui mettiamo like generiamo un dato che diventa parte di tutti questi set di dati che servono a tante cose diverse. Tutto questo processo di datafication serve anche a consentire l’invio di contenuti pubblicitari a un pubblico molto preciso e segmentato. Perché tutto questo meccanismo di datificazione sia possibile, i dati segnale che vengono raccolti devono essere standardizzati, devono essere facilmente riconoscibili, e per questo molto spesso siamo chiamati ad esprimere delle operazioni codificate: tutte queste attività hanno una precisa codificazione che permette loro di essere utilizzate all’interno di tutti questi insiemi di dati. I dati che vengono raccolti circolano, anche tra piattaforme diverse, consentendo ad altre piattaforme di accedere ai dati e di rielaborarli per fornire altri tipi di servizi. Tipicamente i dati che vengono messi a disposizione di altre piattaforme sono quelli di geolocalizzazione. I meccanismi delle piattaforme: selezione Tutti i media di cui stiamo parlando sono definiti “media algoritmici”, perché tutti i contenuti che vediamo sono il frutto di un processo di selezione algoritmica. Questo avviene non senza la partecipazione dell’utente, perché l’utente influenza il meccanismo degli algoritmi, però sicuramente il sistema dei media può essere definito algoritmico. utenti accedono direttamente ai singoli articoli, aggirando completamente il concetto di “pagina” o di “sommario”. Gli utenti erano abituati ad avere delle notizie all’interno di un contesto che le spiegava, mentre ora, cercando una notizia all’interno di un motore di ricerca, si ha una serie di risultati che hanno due caratteristiche: in primo luogo, ogni frammento di informazione viene presentato in modo autonomo, e in secondo luogo si legge la notizia fornita dal fornitore di informazione che meglio risponde ai criteri di popolarità, reputazione, trend che il motore di ricerca mette in gioco. Si ha quindi una rigerarchizzazione delle notizie decisa dai motori di ricerca e una lettura che privilegia un mix di fonti diverse che forniscono lo stesso racconto; si ha un contesto di ripetizioni della stessa notizia vista da punti di vista diversi. Questa disaggregazione è importante nel modo in cui vengono recepite le notizie, perché ogni notizia viaggia da sola e il lettore può interpretarla da solo. Ogni singola storia diventa “un prodotto separato, che sta nudo sul mercato” e che “vive o muore sulla base dei propri meriti in termini di remunerazione”. Le testate perdono il controllo sulla “curatela” delle notizie, ovvero sull’offerta di una copertura delle notizie accurata ed estesa basata su più articoli. Se io ricevo le informazioni sulla base di un percorso di ricerca impostato da me, il motore di ricerca non si preoccupa di propormi un punto di vista “oggettivo”: si genera una lettura delle informazioni preorientata dal motore di ricerca e non orientata a principi di completezza. Riaggregazione negli anni ’90: un motore di ricerca come Google non consente solo di andare a cercare le informazioni sulla base di parole chiave, ma riaggrega le notizie all’interno di “aggregatori” come Google News. Negli anni ’90, le piattaforme come i motori di ricerca cominciano a proporre delle selezioni e organizzazioni di notizie che mirerebbero a dare un quadro completo di ciò che sta succedendo nella giornata, quindi a diventare forme nuove di testate giornalistiche; ci sono quindi nuovi soggetti che riaggregano le notizie. In queste forme di riaggregazione, i criteri di gerarchizzazione sono di tipo algoritmico; questo tipo di aggregatori mescolano fonti a diverso statuto (ad esempio testate giornalistiche e siti di meteo). Il percorso di accesso all’informazione diventa l’aggregatore di Google. Disaggregazione negli anni 2000: c’è una disaggregazione delle notizie rispetto alle testate giornalistiche perché si può fruire delle news all’interno delle piattaforme social, dove non sono presenti solo testate giornalistiche ma anche altri tipi di soggetti. Le notizie si sganciano dalle testate giornalistiche e quindi si compie la disaggregazione con la circolazione di singole notizie in modo trasversale all’interno di diverse piattaforme in modo autonomo. Questo “consumo nativo” delle news significa che le news vengono lette esclusivamente nella loro riformulazione pensata per le piattaforme social. Riaggregazione negli anni 2000: le piattaforme social cominciano a proporre dei loro aggregatori, dei loro spazi in cui andare a leggere le notizie, quindi si propongono loro come aggregatori. Questi aggregatori mescolano in modo meno distinto rispetto a Google News le diverse fonti possibili. Negli anni 2000 i social network hanno anche tentato di diventare loro stessi luoghi di pubblicazione delle news, proponendo degli “instant articles”, ovvero articoli di testate giornalistiche pubblicate direttamente dalla piattaforma. Il problema che si è posto è che le testate giornalistiche guadagnano sulla quantità di click sulle loro pagine, quindi in questo modo ci perdono; Meta ha riproposto un tentativo di accordo che prevede una ricompensa per la testata giornalistica che pubblica sulla piattaforma (in modo da ridurre la perdita per le testate). Gli instant articles sono caratterizzati da formati multimediali nativi veloci e di qualità, e “nascondono” la presenza dell’editore dietro la notizia uniformandola agli altri contenuti digitali. Oggi gli instant articles hanno preso la forma di brevi video informativi, che forniscono un’informazione intera all’interno della piattaforma. Meta ha pensato all’avvio di una parte news, ovvero Facebook News, una sezione dei social che funziona come Google news: seleziona delle notizie sul criterio della popolarità e propongono delle aggregazioni di contenuti legate agli eventi importanti della giornata. LEZIONE 22-11-2022 Hanno iniziato a studiare il cosiddetto consumo delle news. L’idea di sviluppare una forma di consumo nativo delle news è quello di cercare di fornire delle news quanto più complete possibili all’interno della piattaforma. La proposta che Facebook fa inizialmente alle testate giornalistiche si scontra con un problema, gli articoli sono veloci da scaricare e leggere ma nascondono la presenza dell’editore di fronte alla notizia. Non mettono più in primo piano la testata giornalistica, la nascondono dietro Facebook che diventa la testata che eroga questi contenuti e li rende uguali agli altri contenuti digitali. Il problema che si crea è che diventano dei soggetti meno visibili. Anche se questi instant articles consentono agli editori di incrementare le campagne pubblicitarie, riduce il controllo degli editori sul rapporto con l’audience. Quindi Facebook proponeva di mettere all’interno di questi articoli pubblicati sulla piattaforma delle inserzioni pubblicitarie specifiche di Facebook e della testata giornalistica. L’idea è quella di poter implementare delle campagne pubblicitarie su Facebook. Questo tipo di proposta inizialmente non è accolta con grande entusiasmo. L’attenzione di Facebook nei confronti delle news viene inizialmente abbandonata e fa una nuova proposta. Sviluppa un altro modello di relazione con gli editori e di capitalizzazione di quanto le persone sono interessate ad avere news attraverso le piattaforme social. Vuole sviluppare Facebook News, che diffonde articoli di altre testate. Pensa di fornire delle notizie scelte in base a ciò che gli utenti scelgono e condividono, basato un processo di selezione algoritmica, di identificazione di preferenze di lettura degli utenti. Questo flusso può essere ulteriormente personalizzabile. Il progetto è abbastanza articolato, da un lato sfrutta le conoscenze che Facebook ha sui suoi utenti e lo integra con un intervento diretto delle persone che possono a loro volta personalizzare questa selezione algoritmica, però mette anche un team di giornalisti che selezionano le notizie del giorno. È un’offerta che Facebook fa alle testate giornalistiche che possono aderire e gli editori guadagnano in base alle visite ai loro siti e sulla pubblicità presente su Facebook News. Facebook diventa un fornitore di news se diventa un meccanismo economico. La piattaforma social ospita degli articoli delle testate giornalistiche e quindi Facebook si mette all’interno di una rete di testate. Questa strategia vince rispetto a quella degli instant articles. Tra le due forme è diventata più importante la strategia di rete che vede le piattaforme social come degli aggregatori. È da almeno 20 anni che le piattaforme social cercano di avere un ruolo editoriale, non più di essere soltanto un luogo di scambio, ma di avere una loro posizione nella proposta di distribuzione dei contenuti di rilievo per gli utenti. Il bisogno informativo è estremamente forte, nei momenti di crisi in particolare. Le piattaforme social certamente vogliono essere un soggetto importante anche in questo momento. L’emergenza sanitaria ha segnato un cambiamento nel modo con cui le piattaforme social hanno gestito il loro rapporto con la natura editoriale dei contenuti che pubblicano e l’informazione. Ha riguardato tutte le maggiori piattaforme social a livello mondiale. Queste piattaforme oltre alla relazione internazionale permettono la circolazione dei contenuti. Tra il 2016 e il 2018 c’è stato il caso Cambridge Analytica. Il 17 marzo del 2018 Christopher Wylie comincia a rilasciare delle dichiarazioni a delle testate giornalistiche importanti e lascia trapelare delle indiscrezioni circa un uso improprio fatto dalle piattaforme social nell’ambito della campagna elettorale di Trump del 2016, in particolare Facebook. Dice che c’è un’azienda che si chiama Cambrisge Analytica che è una società di consulenza politica, che ha sfruttato i dati personali di oltre 50 milioni di utenti di Facebook per targettizzare e ottimizzare al massimo la portata politica di alcune campagne elettorali tra cui quella di Trump. Quindi questi dati sono stati utilizzati in modo improprio per favorire un candidato a discapito di altri. L’esito di queste dichiarazioni risulta con le azioni di borsa di Facebook che crollano, dopo che si comincia a indagare su questo scandalo. La premessa è che la società Cambridge Analytica che studia sistemi avanzati di previsione delle intenzioni di voto delle persone etc. cerca di sviluppare un progetto basato sulla psicometria e quindi sul monitoraggio di come in base alle caratteristiche psicologiche delle persone si possono ottimizzare i messaggi di propaganda politica. Questa società ha bisogno di dati per sviluppare questi profili psicometrici, e quindi affida a un suo collaboratore l’ideazione di un sistema per rilevare più dati possibili usando le piattaforme digitali. Aleksandr Cogan crea la Global Science Research e crea un’app che sembra un gioco: l’utente risponde a delle domande e ottiene un suo identikit digitale. In questo modo accumula tantissimi dati ufficialmente per fini scientifici e li passa a Cambridge Analytica che li usa per elaborare profilo psicografici per passare messaggi di propaganda politica ai diversi utenti. Tutti questi dati sono stati raccolti prima della campagna elettorale di Trump e quando sono stati raccolti i TOS (terms of service) di Facebook non contenevano nessun vincolo che indicasse che i dati raccolti fossero illegali o che richiedessero un’autorizzazione per essere condivisi. Nel momento in cui avviene tutto ciò non è illegale, ma senza l’autorizzazione degli utenti i dati vengono sistematizzati e ceduti ad altri. Si possono anche raccogliere dati sulla rete di contatti delle persone che rispondono alle domande. Tra i dati personali raccolti da questo test e i dati degli amici Cambridge Analytica può usufruire dei dati personali di 87 milioni di utenti. Cambridge Analytica va a cercare se gli utenti hanno messo nelle loro preferenze delle affiliazioni a un determinato partito, possono vedere quali sono i soggetti più sensibili a certi tipi di campagne. Così si crea un meccanismo per cui la comunicazione politica non racconta più la posizione politica con i toni dei diversi candidati, ma diventa uno strumento attraverso cui io ricevo messaggi di comunicazione politica più adatti a convincerci di una posizione rispetto a un’altra. Diventa più un meccanismo di propaganda e manipolazione. Tutto questo lavoro viene utilizzato durante la campagna elettorale di Trump, vengono inviati ai cittadini statunitensi messaggi di propaganda elettorale in base ai loro profili psicografici. Il problema che si crea con questo lavoro di CA è la raccolta dati, perché purché i dati siano raccolti legalmente col consenso delle persone Facebook anche è una piattaforma di comunicazione politica e quindi i dati che raccolgono vengono usati per le campagne elettorali. In questo caso i dati sono stati raccolti senza la consapevolezza di utenti e amici degli utenti, senza che si rendessero conto di quante informazioni stessero cedendo e come lo stessero facendo. C’erano molti bug in questo progetto. Questo caso è andato a toccare Facebook perché secondo le indagini fatte a partire dalle dichiarazioni iniziali, Facebook è stato a conoscenza di questo utilizzo illegittimo dei dati dei suoi utenti. Nel 2016 sembra che avesse chiesto di cancellare questi dati, senza informare gli utenti e quindi aveva lasciato che persone utilizzassero i suoi dati in modo illegittimo. Viene accusata di non aver vigilato questo traffico di dati. Zuckerberg si assume la responsabilità dell’accaduto e dice di aver già risolto il problema. Tutto questo non si ferma qui, Zuckerberg ribalta un po’ anche sugli utenti la responsabilità, dicendo che una volta rese le cose pubbliche si possono riferire i tuoi dati. Mette a disposizione una pagina per controllare se le proprie informazioni sono state controllate da Cambridge Analytica. Mette a disposizione anche un pulsante per vedere quali app accedono al profilo. Da un lato l’azienda si assume le responsabilità sul controllo dei dati ma rilancia sugli utenti parte della responsabilità. Nel momento in cui si chiede di implementare una regolamentazione stringente per il controllo della privacy degli utenti dei social, ora si chiede anche di autorizzare il controllo dei dati. In questo momento molti stati chiedono di mettere in atto delle contromisure, di stabilire delle regole per quanto riguarda l’utilizzo dei dati personali per scopi diversi da quelli per cui sono stati rilasciati. Zuckerberg dice di non essere una media company, ma una tech company perché il contenuto non lo producono loro, ne sono solo responsabili. Non vogliono quindi essere soggetti a controlli. Necessariamente da l’autorizzazione a che gli stati europei diano delle normative come GDPR riguardo l’autorizzazione del controllo dei dati, cookies etc. Questi sono un elemento fondamentale su cui si basano le testate giornalistiche per impostare le loro pagine e i loro criteri di news. L’informazione è sempre più data driven, nel senso che le scelte editoriali delle testate giornalistiche si basano molto su questi pacchetti di dati per privilegiare alcuni contenuti piuttosto che altri. Questi dati influiscono sul lavoro dei giornalisti: una redazione, nello scegliere cosa proporre, non si basa soltanto su propri criteri ma usa anche questi dati come criterio di orientamento. I sistemi specifici sono: -pre-test di titoli e formati: test fatti dalle testate giornalistiche per capire quali contenuti piacciono, e la pagina viene composta sulla base dei risultati di impatto sull’utenza; -test di viralità; -tracciamento della diffusione delle news nelle diverse piattaforme. Il processo decisionale si basa quindi su quello che gli utenti che fanno parte dei pacchetti di dati hanno espresso come loro preferenze. Quando parliamo di un’informazione che diventa sempre più data driven, parliamo di questi processi decisionali all’interno delle redazioni che integrano le proprie decisioni con l’analisi di questi dati. Questo meccanismo genera un privilegio accordato alle soft news, alle news originali e contro tendenza; quando osserviamo l’evoluzione del giornalismo e dell’informazione dobbiamo tenere in conto che per forza di cose si è arrivati a questa integrazione con i dati per arrivare a certe performance. Questo funziona anche con le testate native (le testate create per funzionare bene all’interno di internet e dei social media). Le testate giornalistiche che stanno affermandosi nell’ambito dei social media assomigliano molto alle cosiddette testate comunitarie, testate che fanno riferimento ad una community e si pongono degli obiettivi. Le testate native, anche perché sono molto spesso data driven, quindi devono arrivare a ingaggiare il pubblico e a coinvolgerlo, sono testate comunitarie, come erano alcune radio in passato, e fanno riferimento ad una posizione culturale alternativa o finalizzata a generare cambiamento attraverso l’acquisizione di consapevolezza, non sono quindi oggettive e imparziali, hanno una precisa impostazione ideologica. Il caso di Austin – Texas (misinformation) Questa storia comincia un giorno di inizio novembre 2016, a Austin, in Texas, con una foto di una lunga fila di autobus tutti uguali fatta da un operatore di marketing di Austin che sta andando al lavoro e intanto vede questa lunga fila di bus. Il clima che si vive nel mese di novembre 2016 è molto teso per via della campagna elettorale che contrapponeva Trump e Clinton; Trump aveva cominciato a mettere in giro la voce che tutte le manifestazioni anti Trump fossero organizzate dai democratici, che volevano far credere che ci fossero tante persone ostili alla sua candidatura. Erik Tucker (l’operatore di marketing) aveva un account Twitter con solo 40 follower; egli posta questo tweet in cui ipotizza che i manifestanti anti Trump che si erano raccolti ad Austin non fossero lì spontaneamente ma fossero stati portati con un pullman dai sostenitori del candidato democratico. Questo tweet diventa in breve tempo una notizia, un tweet condiviso 16.000 volte su Twitter e 350.000 volte su Facebook; il problema è che il tweet si basava su una interpretazione errata dei fatti, perché i bus non erano lì per quel motivo. Egli usa degli hashtag all’interno del suo Tweet, e questi fanno sì che il suo tweet abbia più visibilità: ha usato l’hashtag #fakeprotests, un hashtag molto orientato che ha fatto sì che il suo tweet venisse molto visto. Tucker fa questa affermazione sulla base di una rapida ricerca su Google e quindi su una ricerca poco approfondita. Il suo tweet viene reso visibile a tutti i gruppi sostenitori di Trump e interessati a trovare le informazioni e le notizie possibili che dimostrino queste false proteste; il suo tweet viene quindi ripreso non sono su Twitter, ma anche su Reddit, social network in cui circolano news che ospita anche gruppi che si scambiano news su temi specifici, in questo caso sulle elezioni. Questa notizia viene quindi ripresa e qualificata come una breaking news; il post di Reddit viene ripreso in un forum di conservatori, passando quindi su un’altra piattaforma ancora (Free Republic) in cui viene riproposto con il testo di Tucker ma il titolo di Reddit, quindi diventa una micro-notizia riconfezionata, e il tweet inizia a viaggiare quindi in modo indipendente dal suo autore. A questo forum partecipano anche diversi personaggi politici americani della right wing, a cui non sembra vero avere questa news, e decidono di condividerla sulle loro pagine Facebook o su pagine Facebook a sostegno di Trump. Questa notizia entra dentro Facebook con un endorsement, e diventa una Breaking News proposta da personaggi politici: inizia a circolare, viene ri-condivisa da più di 300.000 utenti. Su Facebook, quindi, circola il link a questo forum e i post di politici che fanno circolare questa news. Il giorno dopo il tweet di Tucker cominciano a succedere cose anche al di fuori dei social, si sviluppano tre flussi comunicativi: il flusso social, in cui la notizia continua a circolare, ha una sua espansione e circolazione costante, il flusso dei media tradizionali, in cui la Fox TV decide di aprire un’inchiesta per capire chi abbia portato lì quelle persone, a chi siano stati affittati questi bus e chiede un’intervista alla manager della compagnia di bus, e infine il flusso della manager della compagnia di bus, che inizia a ricevere mail e telefonate in cui le vengono chieste spiegazioni. La manager risponde che non ha noleggiato i bus ai non sostenitori di Trump, ma li ha noleggiati per una convention interna ad Austin di un’azienda chiamata Tableau Software, di cui non si aveva conoscenza e non compariva su Google non essendo un evento pubblico. Compare quindi la smentita della notizia, ma solo sul sito web locale della Fox, mentre il tweet è uscito dal Texas. Il tweet originale continua a diffondersi attraverso i social media; la comunicazione dei media continua con interviste ai protagonisti (il manager di Tableau Software) diffuse attraverso emittenti locali o siti web di quotidiani locali. Tucker e alcuni siti di confutazione di bufale online pubblicano rettifiche; Tucker condivide attraverso Twitter un link al suo blog in cui descrive come si sono svolti realmente i fatti, e condivide anche il suo tweet originale con sovrapposta la parola: FALSO. Tutto questo però non serve a niente, perché i flussi in cui si è inserito il tweet non sono gli stessi a cui arrivano questi siti di rettifiche o le smentite sui media locali. Le persone che stanno vedendo questa notizia non sanno chi sia Tucker, quindi anche se lui scrive sul suo profilo che la notizia è falsa, questo non arriva a queste persone. I sostenitori di Trump non vanno a leggere le smentite, perché usano altre fonti; si crea questa situazione per cui la news circola e tutte le smentite non raggiungono le persone a cui arriva questa news. Questa storia ci insegna tre cose: in primo luogo che quando ci muoviamo sulle piattaforme social e si attivano questi flussi di circolazione delle notizie è estremamente difficile arginarli, perché le smentite non riescono mai ad avere la stessa circolazione della notizia che viaggia su dei flussi non replicabili, in secondo luogo questo circola all’interno di reti omofile, quindi reti di persone che la pensano allo stesso modo e che sostengono la circolazione di questa notizia e in terzo luogo questa notizia circola perché mette in gioco delle logiche di credibilità tipiche all’interno dei social. Uno dei tre fenomeni che genera la misinformation è l’esistenza dei cosiddetti flussi di comunicazione a cascata. Il tweet di Tucker si è diffuso attraverso 350.000 condivisioni, che creano proprio l’effetto a cascata. Questi flussi vengono a volte da fonti interdipendenti, come in questo caso i membri del gruppo su Reddit, che sono anche membri del forum Free Republic e hanno una pagina personale su Facebook, ma anche dalle attività di social sharing da parte di utenti le cui bacheche sono state raggiunte da post (o tweet) condivisi da profili e pagine differenti oppure da amici. Si sovrappongono stratificazioni di credibilità, date da fonti istituzionali, amici, community… I fenomeni di cascata all’interno delle reti sociali si attivano quando la condivisione avviene a partire dall’osservazione delle attività degli amici connessi di cui vengono ulteriormente distribuiti i contenuti. Il secondo meccanismo che potenzia la misinformation è l’omofilia delle reti, ovvero il fatto che anche all’interno delle piattaforme social tendiamo ad aggregarci, a seguire o a metterci in relazione con persone che in qualche modo ci assomigliano. Questa costruzione di reti basata sull’omofilia influisce sui comportamenti comunicativi e su come noi attribuiamo o meno fiducia a ciò che circola all’interno della rete. La prima cosa che si è osservata è che all’interno delle piattaforme social quello che funziona di più non è tanto l’omofilia di status (basata su caratteri come l’età, la religione, l’etnia) ma è l’omofilia di valori (basata su valori, attitudini, credenze). Gli effetti dell’omofilia delle reti all’interno delle piattaforme social sono diversi: - la percezione di somiglianza incrementale: più si percepiscono soggetti come simili, più si interagisce con loro, e più si interagisce con loro, più si percepiscono come simili. La percezione di omofilia incrementa la quantità di relazioni comunicative che si instaurano tra due o più soggetti e questa densità di relazioni incrementa anche la percezione di essere simili. - lo sviluppo di sistemi di significati condivisi: il circuito chiuso di relazioni tra soggetti che si percepiscono come simili genera sistemi simili di interpretazione dei fatti e degli eventi. In un mondo connesso, quello che fluisce attraverso le reti fluisce attraverso confini tra similarità. La capacità di connetterci con altri simili a noi consente di far circolare i contenuti attraverso spazi e tempi in un modo radicalmente nuovo, ma c’è anche l’altro lato della medaglia. In un mondo di media connessi, è facile non avere acceso a punti di vista di persone che la pensano in modo diverso da noi. - incremento di credibilità: i contenuti condivisi da un “contenuto social” che condivide le proprie posizioni culturali o narrazioni degli eventi acquisiscono un surplus di credibilità. I contenuti diffusi all’interno di reti omofile acquistano particolare valore proprio in relazione al fatto che vengono ricevuti in modo selettivo in quanto corrispondono a interessi, temi e valori propri di una specifica rete sociale. Nel caso di Austin, l’effetto di omofilia delle reti funziona molto bene, perché i soggetti che attivano le cascate di ri-condivisioni appartengono spesso a reti omogenee, ovvero il gruppo di supporter di Trump su Reddit, il forum repubblicano Free Republic, i fan delle pagine dei politici su Facebook, il gruppo RightWingNews sempre su Facebook e il blog repubblicano. La maggior parte delle condivisioni avviene all’interno di reti omofile ed è molto veloce. Il tweet di partenza viene rapidamente incluso in flussi di comunicazione che coinvolgono individui impegnati politicamente che più facilmente filtrano i messaggi privilegiando fonti a loro vicine, evitando le informazioni che possono mettere in discussione le loro posizioni (questo è il confirmation bias, ovvero il pregiudizio di conferma). LEZIONE 30-11-2022 Logiche di credibilità Sono meccanismi che si replicano e sono oggetto di manipolazione per mettere in dubbio di mettere delle informazioni che circolano piuttosto che far girare informazioni contrarie a quella dominante. C’è anche un’evoluzione, cioè a cosa attribuiamo affidabilità e credibilità. Per credibilità si intende da un lato ci convinciamo che un soggetto particolare condividerà un contenuto degno di fiducia e che un soggetto o più soggetti si comporteranno nel modo previsto. Mi fido che chi mi sta parlando si comporterà nel modo che io prevedo e quindi mi dirà qualcosa di vero, degno di fiducia. Questa credibilità è una precondizione della comunicazione, se non mi fido di chi sta interagendo con me la comunicazione con gli altri esiste se esistono delle condizioni di fiducia. Ci sono alcuni autori come concordano sul fatto che la fiducia tra le persone che interagiscono tra di loro è una precondizione fondamentale. Quine e Davidson la chiamano “Principio di carità” ovvero che io sono disponibile ad accogliere ciò che mi dice l’altro. Non cominciamo neanche a comunicare con qualcuno se non facciamo questo atto di fiducia. Ci siamo fidati che l’altro avesse qualcosa di significativo da comunicarci e che possa ascoltare e capirci. La genomici pubblici più completi al mondo. Le istituzioni pubbliche diventano delle imprese economiche complementari rispetto a cui le piattaforme fanno da connettori con i clienti e i pazienti finali. Un altro progetto è stato quello di coinvolgere la popolazione americana nel monitoraggio del proprio dna per vedere da dove si viene, le proprie origini etc. Questo progetto si chiama 23andme. Nella promozione dell’acquisto da parte delle persone per fare l’analisi del DNA, promozione dei risultati si racconta come ci sia un vantaggio immediato nel fornire questi dati. LEZIONE 6-12-2022 Le piattaforme diventano anche un importante strumento di networking tra i pazienti, tra persone che condividono una patologia che li accompagna per tutta o per una parte della loro vita. Le Big Five sono coloro che offrono l’infrastruttura per connettersi ai pazienti. Nel connettere le persone, mettono a disposizione tutte le loro risorse, quindi questo corrisponde a una specie di Le piattaforme nel momento in cui connettono i pazienti producono dati da fornire ai medici e dall’altro producono una rappresentazione datificata della malattia. Uno degli effetti è che tutto il processo di datificazione propone una medicina basate sulle evidenze portate dai pazienti (patient-driven). L’approccio è data-driven dove i dati sono forniti dai pazienti. C’è anche una datificazione del progresso della conoscenza scientifica. Si parla di citizen science ovvero l’avanzamento della ricerca guidato dai pazienti, cooperano all’avanzamento delle conoscenze. I limiti di questo modo di procedere sono: - Auto selezione del campione - Auto somministrazione del farmaco - Auto registrazione delle evidenze I dati sono auto raccolti, quindi senza l’attenzione che userebbe un medico. I processi di auto medicazione sono quindi un limite. Una volta che i dati diventano pubblici, tutti possono accedervi. C’è anche un problema legato alla promozione di una filantropia dei dati, fatta in modo non corretto o comunque in eccesso. C’è una produzione continua sui dati della salute perché si pensa di farlo per scopi filantropici. Siamo davanti anche a una pressione alla raccolta automatizzata di dati individuali, una pressione che viene dalle piattaforme sia di settore che Big Five, perché la raccolta di questi dati non solo economicamente hanno un vantaggio immediato ma le sistema anche in una posizione privilegiata all’interno dell’ecosistema delle istituzioni. Rispetto ai temi della privacy ci sono posizioni molto diverse tra stati uniti e Europa, negli USA il controllo rispetto alla privacy è molto meno stringente mentre in Europa è stato fatto l’European Open Science Cloud aperto a tutti gli operatori del settore per creare un sistema di infrastrutture ispirato agli stessi principi per cui tutti i dati sono raccolti dentro il cloud e li rende findable, accessible, ineroperable, reusable (FAIR). Ci sono prese di posizione a livello istituzionale. Metaverso Questa parola l’ha messa in circolazione Zuckerberg, perché ha cambiato il nome dell’azienda da Facebook a Meta. Ha abbinato la parola metaverso al concetto di realtà virtuale. Nella sua narrazione che propone del metaverso, è uno spazio tridimensionale costruito all’interno del computer in cui posso agire come se fossi nello spazio reale. Da un lato rimanda all’immaginario del gaming, dove si gestiscono spazi tridimensionali dove ci si muove in soggettiva o si ha un avatar con cui si agisce. Per come la racconta Zuckerberg la racconta le ragioni dell’immaginario sono legati al sogno di sviluppo dei sistemi di realtà virtuale. Perché Facebook fa questa operazione di rebranding cambiando nome e logo? Facebook dal 2018 comincia ad avere una cattiva reputazione, negli ultimi anni si è associato a questioni problematiche. Inoltre, ormai Facebook è un’azienda che ha raggiunto quasi il suo massimo sviluppo, una percentuale di utenti molto alta. Sempre per il fatto che è quotata in borsa crescere lentamente dava poco valore alle azioni. Zuckerberg ha preso quindi questa decisione, staccando l’azienda dal nome Facebook, vuole sviluppare la dimensione di virtualità, c’è attenzione alla realtà aumentata etc. Nasce quindi Meta che comprende Facebook, Messenger, WhatsApp, Instagram e Oculus (produce visori per l’immersione nel mondo tridimensionale). Zuckerberg comincia a raccontarlo, dice che è “un insieme di spazi virtuali da creare e esplorare con altre persone che non si trovano nel tuo stesso spazio fisico”. L’immaginario è ancora in fase di costruzione. Oculus è stata acquisita per poter muoversi in uno spazio visivo. Ha fatto una partnership con Horizon Workrooms che produce i joystick per potersi muovere negli ambienti 3D. La parola metaverso l’ha ripresa da un romanzo di fantascienza del 1992, anni in cui si inizia ad esplorare la possibilità di sviluppare degli spazi virtuali tridimensionali. Il romanzo è “Snow Crash”, negli anni 90 l’immaginario fantascientifico esiste perché nella fine degli anni 80 questi visori esistono, i guanti si chiamano dataglove e hanno cavi che si connettono al computer. Questi visori vengono utilizzati soprattutto all’interno dei centri di ricerca, dove servono a simulare il movimento in assenza di gravità senza dover mandare persone nello spazio. La radice del metaverso di Zuckerberg è molto lunga e ha avuto alti e bassi. Comincia negli anni 80 con queste applicazioni in aree molto specifiche. Se ne impadronisce il mondo del gaming, con dei dispositivi in cui si poteva giocare in ambienti tridimensionali. Si trovavano nelle sale giochi, trattavano i movimenti della persona nello spazio. La realtà virtuale immersiva è molto faticosa da gestire. Con la fine degli anni 90 l’industria del gaming ha realizzato che forse potevano esserci delle realtà non immersive più comode, si parla quindi di Enhanced Reality che non è immersiva. Quindi il gaming si è sviluppato principalmente nell’enhanced reality, senza avere un’immersione totale all’interno di questo spazio. Nella storia dell’immaginazione tridimensionale negli anni 2000 nasce Second Life che è il primo ambiente virtuale multiutente. È tridimensionale, ci si muove grazie a degli avatar. Ha un grandissimo successo, nel 2007 raggiunge 11 milioni di utenti. Il mix tra la realtà virtuale e l’immaginario del cyberspazio è Second Life (nato nel 2003). Oggi esiste ancora, ma non è frequentato come prima. Le persone ci andavano anche per seguire concerti, eventi, conferenze, incontrare altre persone, fare riunioni etc. ospitava anche tutto il mondo degli eventi e della formazione. È stato il primo ambiente virtuale in cui si poteva pagare con una moneta, si comprava con dei soldi veri che valevano solo dentro Second Life e si potevano comprare questi Linden Dollar e ci si potevano comprare cose all’interno della realtà virtuale. Si potevano pagare concerti, corsi di formazione. Molte istituzioni formative hanno aperto degli spazi in Second Life (es. Università di Torino che ha aperto un campus dove faceva conferenze, eventi, attività di formazione etc.). Zuckerberg ci propone quindi una ripresa aggiornata di qualcosa di già tentato che si è spento per la lentezza dell’ambiente e per l’arrivo dei social. Intorno alla fine del primo decennio degli anni 2000 Second Life inizia a spegnersi perché c’è grande competizione con i social e perché è molto pesante. La realtà virtuale la ritroviamo con una proposta di realtà immersiva, tornano i visori che nel frattempo sono migliorati, sono mobili, usano tecnologie wireless e tornano a proporsi come un mix tra realtà virtuale e enhanced reality. Non ci portano all’interno di spazi tridimensionali totalmente virtuali e vengono usati nei musei, entrano negli edifici storici etc. La realtà immersiva torna mixando spazio reale e virtuale. Questa è la forma con cui è riemerso il progetto della realtà virtuale. L’enhanced everydaylife è quella tentata da google glass che permette di vedere informazioni proiettate. Oggi i google glass sono stati sostituiti dai Ray-Ban Stories, occhiali che permettono di girare video direttamente dagli occhiali. Adesso ci sono molte piattaforme che propongono questa esperienza che va sotto il metaverso, come ad esempio Roblox. Le aziende cominciano a costruire dei loro spazi in cui non solo presentano i loro prodotti ma forniscono esperienze che si fanno nello store. Gli utenti di Roblox sono circa 300.000, quindi non molti. NFT e Metaverso C’è un’altra attività che fanno le aziende che è creare questi oggetti che si chiamano NFT. Gli NFT sono degli oggetti su cui stanno lavorando le imprese e che, come prima possibile forma, hanno quella di un’immagine digitale di cui noi possiamo acquistare la proprietà. Hanno un codice per cui sono di proprietà esclusiva di una persona. Alcuni hanno pensato di produrre degli NFT delle opere d’arte. Alcune aziende del mondo della moda stanno investendo nella tecnologia degli NFT, che permette di creare degli oggetti digitali che sono di proprietà di qualcuno. Dolce & Gabbana ha creato proprio dei gioielli che esistono solo in forma digitale che io posso usare o solo possederli. In realtà è l’idea di creare un mercato su cui questi oggetti un giorno possono essere rivenduti. Le persone comprano, li tengono, li rivendono o li collezionano. D&G ha creato degli NFT che creano target privilegiati di utenti, ha creato degli oggetti digitali che le persone comprano e che gli consentono non solo di possedere questi oggetti ma anche di partecipare a degli eventi esclusivi. Sono stati fatti per i fan. Questo tipo di oggetti è utilizzato molto anche nel mondo dello sport, i Fan Token, venduti dalle squadre di calcio ai tifosi e consente loro di partecipare a eventi esclusivi. Recentemente sono stati introdotti anche nel mondo della musica, i cosiddetti Talent Token di personaggi della musica, mi permette anche di assistere alle prove dello spettacolo, vedere contenuti esclusivi. Tutto questo si basa sul fatto che il meccanismo di vendere oggetti digitali che possono essere di proprietà. Questi oggetti nascono per essere oggetti di proprietà nel metaverso ma aprono strade anche all’esterno. Tutto questo meccanismo si basa sul meccanismo della Blockchain, che permette di associare a un oggetto digitale un codice su cui vengono registrati tutti i passaggi che un oggetto digitale fa. È considerato un meccanismo di sicurezza per tutte le transazioni che passano all’interno del mondo digitale e c’è una catena di soggetti chre registra in automatico ogni transazione. Resta una traccia presso tante persone difficilmente falsificabile, ogni passaggio viene registrato da tutti i soggetti che fanno parte della rete. La Blockchain viene usata per gli NFT, per le criptovalute, per la sicurezza alimentare (tantissimi prodotti che hanno un qr code che mi fa vedere tutta la filiera di realizzazione del prodotto). Da un lato il metaverso 3D e dall’altra la blockchain sono una delle due frontiere verso cui stiamo andando. LEZIONE 13-12-2022 Media e culture algoritmiche Uno dei temi cruciali del dibattito contemporaneo sulle piattaforme digitali è il ruolo degli algoritmi. È un dibattito che ha caratterizzato gli ultimi anni, inizia intorno al 2015 e ci si comincia a chiedere se non ci fosse un impatto degli algoritmi sulla cultura contemporanea. Il primo a parlarne è Striphas che per primo usa il termine cultura algoritmica immaginando che l’impatto culturale che tutti i media utilizzano gli algoritmi hanno sia concentrato su 3 aspetti: - La logica su cui si basano gli algoritmi influisce sul modo in cui noi riceviamo le informazioni. Uno dei filtri che vengono utilizzati per farci arrivare dei contenuti informativi è quello esercitato dagli algoritmi. Intervengono a ridurre l’entropia in un contesto di overload cognitivo. - Questi algoritmi contribuiscono a un processo essenziale della cultura: quello di definire la visibilità e il valore di prodotti culturali. Qui si parla di circolazione dei prodotti culturali. GIORNATA DELLA DONNA 2022 Per esempio, la giornata della donna 2022 è stata variamente associata dai post celebrativi circolati sui social media ai valori di empowerment, inclusività, solidarietà, body positivity. Valori che sono stati rappresentati in forma metaforica, simbolica, scegliendo di volta in volta tipi diversi di donne per rappresentare questi valori. Brand, istituzioni, persone comuni hanno ripreso questi valori e i modi in cui venivano raccontati nei post pubblicati in questa data. In alcuni casi riprendendo i trending topics della giornata, in altri casi accogliendo le linee narrative dominanti nella propria “bolla algoritmica” frutto dell’intersezione tra tracce digitali lasciate nel proprio passaggio sulle piattaforme e la loro “interpretazione” algoritmica. I contenuti più popolari sono stati: • Instagram tra l’1 e il 15 marzo 2022 • in Italia con #8marzo, o contenenti le espressioni "8 marzo", "festa donna" e "festa donne". • Il corpus è stato reperito tramite Crowdtangle ed è composto da 6,624 post e si può definire un big data set. I temi ricorrenti all'interno di questi post sono stati identificati attraverso un'analisi del contenuto della parte visiva e del testo e poi attraverso un'analisi delle parole chiave ricorrenti. 75 post con più engagement: L'immagine della donna che emerge in relazione alla festività dell'8marzo è quella di • donna come una "principessa guerriera" caratterizzata da determinazione, coraggio e capacità di lottare. • donna come "vittima di ingiustizie" soprattutto nell'ambito del lavoro. • minori appaiono i legami con un'immagine altrimenti stereotipata legata ad aspetti quali la fragilità o alla maternità. • Emerge anche l'identificazione della donna con alcune figure emblematiche come Rita Levi Montalcini, Marie Curie, Rosa Parks, Kathrine Switzer, Franca Viola. • Figure riconducibili ai due modelli delle donne scienziate e delle donne attiviste per i propri diritti in vari campi dalla famiglia, alla vita pubblica allo sport. • Sono presenti diverse pagine satiriche che propongono meme e in particolare edèsubitoex; boomfriendzoone; disagiate; bastardidentro; cosebrutteimpaginatebelle; 30 politico. • La narrazione dei meme satirici riprende lo stereotipo di un rapporto fallimentare tra uomini e donne caratterizzato dal frame della dimenticanza, della strategia del recupero goffo delle inadempienze maschili, della competizione con la figura materna, della relazione di coppia come sopportazione. Viene ripreso in occasione della festività dell’8 marzo anche lo stereotipo dello studio come vessazione e fatica senza scopo. Tutti i post L'analisi sull'intero data set è stata effettata utilizzando le parole chiave che sono state rilevate come tipiche delle diverse forme di narrazione nello small data set per verificarne la ricorrenza in tutto il campione. Le parole chiave sono state distinte in due aree semantiche: • La rappresentazione della donna come vittima e oggetto di discriminazione • La rappresentazione della donna come "soggetto di valore" per le sue capacità Rispetto alla narrazione della donna come soggetto portatore di valore i post caratterizzati da un numero più alto di like e commenti sono più spesso caratterizzati dalla presenza di riferimenti alla maternità rispetto agli altri, mentre c'è una sostanziale omogeneità in relazione alle altre parole chiave. Rispetto all'intero data-set i post che sono stati premiati con il numero maggiore di like e di commenti mettono maggiormente a tema alcuni aspetti della narrazione della donna come vittima e in particolare il tema del rispetto che ricorre quasi come parola chiave, mentre sono presenti in misura decisamente minore post che mettono a tema la violenza di cui le donne sono vittima. Emerge poi una significativa convergenza tra small e big data-set nell'indicazione delle figure femminili emblematiche che provengono principalmente da due ambiti: quello delle donne scienziate e quello delle donne attiviste. Nel complessivo data set prevalgono le prime con il 59% delle citazioni rispetto alle donne attiviste con il 40,5% delle citazioni.