Scarica Appunti sul testo ASYLUM. Le istituzione totali e più Sintesi del corso in PDF di Scienze Sociali solo su Docsity! ERVING GOFFMAN ASYLUMS. LE ISTITUZIONI TOTALI: I MECCANISMI DELL’ESCLUSIONE E DELLA VIOLENZA LE ISTITUZIONI TOTALI ( INTRODUZIONE) Un’istituzione totale può essere definita come il luogo di residenza e di lavoro di gruppi di persone che-tagliate fuori dalla società per un periodo di tempo-si trovano a dividere una situazione comune, passando parte della loro vita in un regime chiuso e amministrato. Le istituzioni totali nella nostra società possono essere raggruppate in 5 categorie. 1)Le istituzioni nate a tutela di incapaci non pericolosi(ciechi,vecchi,orfani,ecc); 2)luoghi istituiti a tutela di coloro che, incapaci di badare a se stessi, rappresentano un pericolo x la comunità; 3)il terzo tipo serve a proteggere la società da quelli che sono pericoli intenzionali nei suoi confronti(prigioni, penitenziari,campi di concentramento);4) le istituzioni create solo allo scopo di svolgervi una certa attività (navi,collegi,ecc.);5)organizzazioni definite come<staccate> dal mondo che hanno anche la funzione di servire come luoghi di preparazione per religiosi (abbazie,monasteri,ecc.). Nelle istituzioni totali, tutti gli aspetti della vita si svolgono nello stesso luogo e sotto la stessa autorità; ogni fase delle attività si svolge a contatto di un grande gruppo di persone, trattate tutte allo stesso modo e obbligate a fare le stesse cose. In queste istituzioni c’è una distinzione fra un gruppo di persone controllate<internati>, e lo staff che controlla. Gli internati hanno rapporti limitati con il mondo esterno al contrario dello staff. Lo staff giudica male gli internati e si sente superiore ad essi. Gli internati si sentono deboli e inferiori nei confronti dello staff e ritengono che quest’ultimi sia spregevole. Fra le 2 classi vi è una distanza sociale notevole ed il ricoverato non può conoscere le decisioni prese nei riguardi del suo destino; il colloquio tra staff e internati assume un tono di voce particolare. Il lavoro nelle istituzioni totali assume una forma diversa da quella che assume nel mondo esterno. Agli internati può essere richiesta un’attività cosi limitata che essi, non abituati a lavori leggeri, si annoiano. A volte l’orario di lavoro può superare quello di una normale giornata lavorativa, ma viene svolto ugualmente per evitare la punizione. Il pagamento può non corrispondere al valore dell’attività prestata ed è spesso di natura rituale, come la razione settimanale di tabacco e i regali di Natale. In alcune istituzioni il pagamento viene effettuato a lavoro finito, quando l’internato va via. Certe volte si genera una sorta di schiavismo, visto che tutto il tempo dell’internato è a disposizione dello staff. Comunque in ogni caso, colui che nel mondo esterno era un buon lavoratore, nell’istituzione totale viene corrotto a causa del sistema lavorativo vigente. A parte il lavoro, le istituzioni totali, sono incompatibili anche con la famiglia. La vita familiare è in contrasto con quella del singolo; i conflitti si evidenziano nella vita di gruppo, dato che quelli che vivono, mangiano e dormono nel luogo di lavoro con un gruppo di compagni, difficilmente possono avere una vita familiare significativa. Al contrario, il fatto di avere la famiglia separata dal luogo di lavoro, consente allo staff, di mantenersi integrato nella comunità esterna. L’esistenza di nuclei familiari offre la garanzia che, le istituzioni totali troveranno qualche resistenza; anche se, a volte capita che, la forza delle istituzioni può avere il controllo su certi gruppi familiari. Bisogna affermare che nella nostra società, le istituzioni totali, vengono viste come luoghi in cui si forzano alcune persone a diventare diverse: un esperimento su ciò che può essere fatto del sé. IL MONDO DELL’INTERNATO Quando l’internato entra nell’istituzione presenta la cultura del proprio ambiente familiare, un tipo di vita ed un insieme di attività presi per garantiti fino al momento della sua ammissione nell’istituto. Le istituzioni totali non sostituiscono la loro cultura a qualcosa di già formato; se avviene un cambiamento culturale, è legato alla rimozione di certi comportamenti e al mancato tenersi al passo con i mutamenti sociali che avvengono nel mondo esterno. Allora se la permanenza dell’internato si protrae, si assiste ad un processo di disculturazione, cioè ad una mancanza di allenamento che lo rende incapace di controllare alcune situazioni della vita quotidiana del mondo esterno, quando egli farà ritorno. Quando la recluta entra nell’istituzione totale è sottoposta ad una serie di umiliazioni e degradazioni del sé che viene naturalmente mortificato. Vi sono quindi dei cambiamenti nella carriera morale dell’internato. La prima riduzione del sé viene segnata dalla barriera che la istituzioni totali pongono fra l’internato ed il mondo esterno. Nella vita civile lo schema del susseguirsi dei ruoli di un individuo gli assicura che nessun ruolo da lui giocato ostacolerà il suo agire e i suoi rapporti con un altro ruolo. Nelle istituzioni totali, questo schema viene rotto e avviene la spoliazione dei ruoli. In tante istituzioni totali, all’inizio il permesso di ricevere visite, o uscire per andare a trovare qualcuno, è negato, quindi la recluta deve rompere con u ruoli passati. Quando l’ingrasso è volontario, l’internato è già lontano dalla famiglia, quindi, ciò che l’istituzione nega aveva incominciato a perdere significato. Un aspetto legale di questa spoliazione è evidente nel concetto di morte civile: i detenuti possono trovarsi non solo a perdere i diritti sul denaro lasciato loro in testamento, o possibilità di firmare assegni, o di votare; ma parte di questi diritti possono venir loro abrogati. Il processo di ammissione porta altri tipi di mortificazioni. Vi è il personale degli istituti occupato delle procedure di ammissione: fare la storia, pesare, prendere le impronte lavare, spogliare, ecc, istruendo il nuovo entrato sulle regole della comunità e segnandogli l’alloggio. Vi è un’ azione di smussamento, visto che il nuovo arrivato si lascia plasmare e codificare come un oggetto dato in pasto al meccanismo amministrativo dell’istituzione, per essere smussato dalle azioni di routine. L’internato deve collaborare con lo staff; è obbligato al rispetto e alla deferenza, se vuole vivere in pace. Se l’internato non obbedisce e si rivela provocatorio, viene punito fin quando non si arrende e si umilia. All’inizio, il nuovo entrato può essere chiamato con nomignoli come<pesce> o <novellino>, facendogli capire che la sua condizione è spregevole. La procedura di ammissione si può definire come una sorta di perdita e di acquisto. L’internato perde tutto ciò che possiede e questo può significare una riduzione del sé. Una volta spogliato l’internato di tutto, l’istituzione deve provvedere un rimpiazzamento, che consiste in oggetti standardizzati. Con questi oggetti è indicato come appartenente all’istituzione, e a volte essi vengono ritirati per essere disinfettati della possibilità di venire identificati come beni personali. Il sentimento di spoliazione viene rinforzato dal fatto, che agli internati non vengono forniti armadietti personali e dal fatto che sono sempre soggetti a perquisizioni e confische delle proprietà personali 1) Le imposizioni sono legate all’obbligo di portare a termine un’attività, regolata all’unisono con gruppi di compagni. Ciò è definito come irreggimentazione. 2) Questa dominazione si manifesta in sistemi autoritari di tipo militare: tutti i membri dello staff hanno il diritto di disciplinare gli internati. L’internato deve accettare l’autorità e le regole imposte se non vuole essere punito. Vi sono alcuni problemi da puntualizzare. Le istituzioni totali spezzano quei fatti che testimoniano che l’individuo nel suo mondo gode di autodeterminazione, autonomia e libertà d’azione adulte. Inoltre ci sono alcuni agi che vengono perduti al momento dell’ingresso nella istituzione, come un letto morbido, o la tranquillità durante la notte. Tutto ciò porta ad una riduzione dell’autodeterminazione e fa soffrire l’internato. Drammatico è anche l’impedimento alla propria autonomia, quando l’internato per esempio, viene chiuso in un reparto legato di forza e impedito in ogni movimento. Altra espressione evidente dell’impotenza personale nelle istituzioni totali, è riscontrabile nell’uso del linguaggio da parte dell’internato. Le affermazione fatte dall’internato non vengono prese in considerazione e vengono giudicate come sintomi di malattia. L’internato non è ritenuto degno né di un saluto né di attenzione. Inoltre si rende conto che esiste un duplice linguaggio poiché per le sanzioni disciplinari che lo riguardano viene usato un gergo ideale tradotto dallo staff che ne altera l’uso normale. La seconda considerazione è la logica che viene usata per le aggressioni del sé. Nelle istituzioni religiose si riconoscono le implicazioni per il sé insito nelle strutture ambientali. Gli stessi internati e lo staff, perseguono attivamente questo restringimento del sé: la fortificazione è completata dalla automortificazione, le limitazioni dalla rinuncia, le punizioni dalla autoflagellazione, l’inquisizione dalla confessione. Nei campi di concentramento e nelle prigioni, tipi di mortificazioni sono fatti solo per il loro potere mortificante, come quando si urina addosso al detenuto. In molte delle rimanenti istituzioni totali le mortificazioni sono razionalizzate in settori diversi, come l’igiene, la capacità di combattere, la sicurezza ,ecc. alcune persone scelgono volontariamente di entrare nell’istituzione, ma poi non riescono più a prendere decisioni così importanti. Altre invece possono avere all’inizio, e la mantengono sempre , il desiderio di essere spogliati e liberati dalla loro volontà personale. È importante infine dire che la mortificazione o il restringimento del sé implica, un senso di tensione, ma ad un uomo stanco di vivere o privo di colpa può dare sollievo psicologico. Inoltre genera tensione anche il fatto di non poter ricorrere a mezzi di natura fantastica, cinema, libri, perché tutto ciò aumenta l’effetto psicologico della violazione delle proprie barriere personali. Quindi si può affermare che l’invasione del sé, genera uno stato di stress. Agli internati però vengono offerti dei privilegi. L’internato per ricevere questi privilegi deve rispettare le <regole di casa>; deve obbedire allo staff e vi è un terzo elemento nel sistema dei privilegi che è costituito dalle punizioni, designate come la conseguenza di un infrazione alle regole. Una serie di queste punizioni consiste nel ritirare i privilegi, o nell’ abrogare il diritto ad ottenerli. Nelle istituzioni totali i privilegi sono considerati come l’assenza di privazioni cui nessuno presume di dover sottostare, cosa che non corrisponde a ciò che si considera privilegio nel mondo esterno. Anche la questione della dimissione dà un’istituzione totale è elaborata al’interno del sistema di privilegio. Alcune azioni possono provocare un aumento o una diminuzione nel periodo di degenza, mentre altre possono ridurre la pena. In fine, punizioni e privilegi vengono inglobati in un sistema di lavoro di tipo residenziale. I luoghi dove gli internati lavorano o i reparti dove dormono vengono definiti come luoghi nei quali si possono ottenere alcuni tipi e gradi diversi di privilegi. Gli internati vengono spostati da un reparto all’altro, solo per ricevere la punizione o il compenso conseguenti al loro grado di collaborazione. Così si nota una sorta di specializzazione dello spazio,nel senso che un reparto acquista la reputazione di un luogo di punizione per internati violenti, mentre altri trasferimenti vengono intesi come punizioni per il personale. Associati al sistema dei privilegi, ci sono alcuni processi. Viene a costituirsi un <gergo istituzionale> che gli internati usano per descrivere gli eventi cruciali del loro mondo. Anche il personale conosce questo linguaggio e lo usa per parlare con gli internati. Inoltre staff e internati sanno bene cosa significa < fare azioni di disturbo>. Significa: impegnarsi in attività proibite, essere colti sul fatto, e ricevere una grave punizione. Nelle istituzioni totali esiste anche un sistema di <adattamenti secondari>, un insieme di pratiche che, consentono agli internati di ottenere qualche soddisfazione proibita, o di ottenerne altre permesse con mezzi proibiti. Talvolta un adattamento secondario diventa un margine di difesa del sé. Molto importante è il processo di fraternizzazione che avviene nelle istituzioni totali. Molte persone diverse tra loro socialmente, si trovano a sviluppare un mutuo appoggio. L’internato scopre che gran parte dei compagni sono esseri umani normali, brave persone degne pure di aiuto. A volte gli internati formano gruppetti per prendere in giro il personale e quindi rifiutare lo staff. Gli internati si assistono tra loro e si sostengono emotivamente. In alcune istituzioni totali, l’internato può essere tradito o aggredito dai compagni, così si genera una condizione definita <anomia>. L’internato nelle diverse fasi della sua carriera morale, potrà usare forme diverse di adattamento. 1) il ritiro dalla situazione. L’internato ritira l’attenzione da tutto, il proprio coinvolgimento negli eventi si riduce; tutto ciò viene definito regressione. 2) la linea intransigente. L’internato sfida intensionalmente l’istituzione rifiutando di cooperare con il personale. 3) la colonizzazione, la parte di realtà di cui l’organizzazione provvede l’internato, è da questi vissuta come se si trattasse di tutta la realtà: viene a costituirsi un’esistenza stabile e felice, basata sul massimo delle soddisfazioni che l’istituzione può offrire. L’internato che accetta questo comportamento viene accusato dai compagni di < aver trovato casa>. 4) la conversione. Il paziente sembra assumere su di sé il giudizio che lo staff ha di lui, e tenta di recitare il ruolo del perfetto ricoverato. In tante istituzioni totali, la maggioranza degli internati segue la linea <il prendersela calma>, una combinazione di adattamenti secondari, conversione, colonizzazione, e senso di lealtà al gruppo, così che l’internato si trova a disporre di tante opportunità per poter uscirne fisicamente e psicologicamente indenne. Quando si troverà con i compagni ne appoggerà le ribellioni, nascondendo loro come sia docile quando è solo con lo staff. Bisogna dire che in molte istituzioni viene a formarsi un tipo ed un livello particolari di giudizio di sé. L’internato si rende conto di essere debole e di essere caduto in disgrazia, così tende a costruirsi una storia, un precedente, una triste biografia, che racconta sempre ai compagni, per giustificare lo stato di degradazione in cui si trova. Il se del ricoverato diventa il punto focale della sua conversazione e dei suoi interessi, così da spingerlo ad un notevole grado di pietà per se stesso. Inoltre, in molte istituzioni è diffusa fra gli internati la sensazione che il tempo passato nell’istituto sia sprecato, derubato dalla propria vita e questo<tempo morto> porta a ricercare compensi in attività di rimozione, cioè attività volontarie, che siano divertenti e interessanti tanto da far dimenticare la situazione in cui si vive. Alcune attività di rimozione sono collettive: giochi nei prati, i balli, la banda, e la lettura, i giochi a carte, ecc. alcune di queste attività sono permesse dallo staff, altre no e costituiscono un tipo di adattamento secondario, giochi a carte, l’omosessualità, le sbornie, ecc. Solitamente quando sta per arrivare il momento delle dimissioni si organizzano feste d’addio, ma ci sono internati che entrano in ansia perché hanno paura di non farcela fuori e magari commettono qualche guaio per prolungare il tempo delle dimissioni. Le istituzioni totali presentano, una finalità riabilitante; tendono cioè a ricomporre i meccanismi regolatori del sé del paziente, cosi che egli, quando lascerà l’istituto, si troverà a conservare i valori in modo spontaneo. Dopo le dimissioni l’internato troverà meravigliosi la libertà e i piaceri della vita che coloro che vivono nel mondo civile non ritengono affatto eccezionali. Quando l’internato andrà via dall’istituto dimenticherà in gran parte com’era la sua vita dentro, ma si renderà conto che ora la sua vita sociale non sarà più uguale a quella che era prima del ricovero. Nelle istituzioni totali i cui la condizione predeterminante sia favorevole le riunioni ufficiali hanno il significato di annunciare, la propria appartenenza alla scuola di origine. Ma se la condizione predeterminante sia sfavorevole, si può usare il termine di <stigmatizzazione> , presumendo che l’ex internato si sforzi di nascondere il suo passato e tenti di <passare oltre>. Naturalmente quando l’individuo ha assunto una condizione predeterminante vergognosa, trova nel mondo esterno un’accoglienza gelida. Quando l’individuo farà ritorno alla vita civile, può trovarsi a dover vivere limitato nella propria libertà. IL MONDO DELLO STAFF Il lavoro dello staff ha a che fare con persone. Questo genere di lavoro, non è come un’attività che implica rapporti con il personale o quella di chi si occupa di relazioni di servizio; qui gli oggetti e i prodotti del lavoro sono uomini. Nella loro qualità di materia di lavoro, che persone possono assumere le medesime caratteristiche degli oggetti i nominati. Lo staff deve annotare tutto quello che riguarda l’internato, da quando quest’ultimo entra nell’istituto, fino al momento che va via o muore. Inoltre visto le caratteristiche fisiologiche dell’organismo umano, e ovvio che occorre soddisfare alcuni bisogni, se si vuol fare un certo uso costante delle persone. Ciò che determina la particolarità dell’attività dello staff è il fatto di dover agire sugli uomini, come se si trottasse di un materiale volontà che dimostrerà, sarà presa come evidenza diagnostica del suo miglioramento. Infine bisogna dire che il manipola mento degli internati è razionalizzato secondo i fini o le funzioni ideali dell’organizzazione, che comporta un servizio tecnico ad uso di persone. Sono pagati dai professionisti per assolvere questi servizi, anche solo per evitare di mandare gli internati a lavorare fuori dall’istituto. È probabile che i professionisti che collaborano ad una organizzazione istituzionale ne siano poco soddisfatti, non potendo esercitare bene la loro professione ed essendo usati come dei prigionieri, costretti ad aggiungere sanzioni professionali ad un sistema di privilegi. Così possono entrare in conflitto con gli scopi ufficiali dell’istituto, e l’istituto per questo può introdurre un servizio psichiatrico speciale < psicoterapia di gruppo >, affinchè il professionista eserciti la sua professione al migliore dei modi, senza limiti e si sente così gratificato. Anche i membri dello staff possono entrare in conflitto con gli scopi ufficiali dell’istituto. Lo staff in continuo contatto con gli internati, può evitare quanto la sua azione sia contraddittoria, dato che deve costringere gli internati all’obbedienza dando, insieme, l’impressione che sia mantenuto un livello di vita umana e che le finalità razionali dell’istituzione vengono realizzate. CERIMONIE ISTITUZIONALI Ogni istituzione totale sviluppa una serie di pratiche istituzionalizzate attraverso le quali lo staff e gli internati si avvicinano fra di loro. Queste pratiche esprimono unità,solidarietà ed un impegno univoco nei confronti dell’istituzione. Queste attività portano ad un <rilassamento> dei ruoli. Una delle forme più comuni delle cerimonie istituzionali è il giornale interno, di solito un settimanale e una rivista mensile. Vi sono due tipi di materiale che appaiano nel giornale interno. Primo, le <notizie locali>, che comprendono, rapporti sulle recenti cerimonie istituzionali, riferimenti ed eventi <personali>, come compleanni, gite, morti,ecc, che accadono ai componenti dell’istituzione, in particolare agli esponenti più autorevoli e più in vista dello staff. I testi esprimono congratulazioni e condoglianze, dimostrando quanto l’istituzione partecipi alla vita individuale di ogni suo componente. Secondo, c’è un materiale che può riflettere un intento editoriale. Esso comprende: notizie del mondo esterno che hanno a che fare con la condizione legale e sociale dell’internato e dell’ex internato, accompagnati da un commento appropriato; articoli originali, brevi storie e poesie; editoriali. Gli articoli sono scritti dagli internati, ma esprimono l’opinione ufficiale sulle funzioni dell’istituto, la teoria sulla natura umana sostenuta dallo staff, una versione idealizzata dei rapporti internati-staff e la posizione che il paziente ideale dovrebbe assumere: in breve, presentano la linea istituzionale. Il giornale interno si mantiene su un equilibrio molto delicato. Lo staff si lascia intervistare, lascia che si scriva di lui, consente che ciò che viene scritto sia letto dagli internati. Nello stesso tempo agli internati viene data l’opportunità di dimostrare di essere abbastanza in alto nella scala umana, da adoperare con competenza il linguaggio e la linea ufficiale. Altre forma di rilassamento dei ruoli, appaiono solo recentemente nelle istituzioni totali e sono le forme di <autogoverno> e la <terapia di gruppo>. Gli internati espongono le proprie idee e un membro scelto dallo staff ne fa la supervisione. Gli internati si trovano a godere del privilegio di trascorrere un po’ di tempo in un ambiente <non strutturato> ed egualitario, godendo insieme del diritto di presentare lamentele. In cambio gli si richiede di rinunciare alle ribellioni e di essere più docili all’ideale- del- sé che lo staff definisce per loro. In tutte queste circostanze è evidente come si forma un tipo di alleanza fra staff e internati. L’uso che gli internati fanno del linguaggio ufficiale e della filosofia dello staff nelle discussioni e negli articoli, è un gioco ambiguo per lo staff. Gli internati possono manipolare la stessa razionalizzazione che lo staff fa dell’istituzione e mettere in pericolo, con questo mezzo, la distanza sociale fra i due gruppi. Un genere di cerimonia istituzionale è la festa annuale alla quale staff e internati intervengono < mescolandosi> in forme di socialità standardizzate come mangiare insieme, partecipare a giochi e balli. In queste circostanze lo staff e gli internati hanno la licenza di prendersi alcune libertà attraverso la linea di frontiera che li separa, e questi contatti sociali possono esprimersi anche in rapporti sessuali. A volte questa libertà può arrivare fino al punto di provocare un’inversione rituale dei ruoli, durante la quale lo staff serve a tavola gli internati e fa loro altri servizi. Nelle istituzioni totali la festa annuale è spesso collegata alla celebrazione di Natale. Una volta all’anno gli internati addobbano l’istituto con decorazioni. Vengono distribuiti fra gli internati doni e favori; le visite possono durare di più e le restrizioni sulle licenze vengono ridotte. Un’altra interessante cerimonia istituzionale è il teatro istituzionale. Di solito gli internati recitano e lo staff organizza. Il testo è scritto da membri dell’istituzione, staff o internati. La rappresentazione quindi può essere piena di riferimenti locali dando così, un senso della realtà degli eventi interni all’istituzione. Spesso lo spettacolo consiste in sketches satirici che prendono in giro gli esponenti più noti dell’istituto, in particolare lo staff. Vi possono essere anche rappresentazioni drammatiche che raccontano gli errori passati di simili istituzioni totali in contrasto con il presente che si presume migliore. Il pubblico di questo genere di spettacoli sarà costituito sia da internati che dallo staff, ma possono partecipare anche <esterni>. Il fatto che lo spettacolo può essere presentato a volte ad un pubblico esterno fa si, che i parenti degli internati, possono ispezionare l’ospedale aperto una volta all’anno, e rendersi conto dell’alto livello di vita umano che vi si mantiene. In questa circostanza gli internati e lo staff possono dimostrare di essere in buon rapporto fra di loro. L’apertura dell’ospedale è una possibilità di successo e si verifica entro i limiti in cui l’istituzione accetta di esporsi. Questa esposizione della facciate è diretta alcune volte ad un pubblico interno< alti esponenti del personale curante>, oltre ai visitatori. Durante questa messa in scena istituzionale, i visitatori vengono accompagnati dagli internati più collaborativi e cordiali e nelle zone più accoglienti dell’istituto,preparate bene per questo motivo, facendo credere ai visitatori di avere ispezionato tutto l’istituto. La messa in scena istituzionale, può riuscire a convincere gli internati stessi di trovarsi nella migliore istituzione di quel tipo. Le modalità della messa in scema istituzionale ci dicono qualcosa del processo di simbolizzazione. Primo, la facciata che l’istituzione abitualmente mostra è probabilmente la parte nuova, moderna,che cambierà ogni qual volta saranno apportati ammodernamenti e aggiunte. Secondo, la messa in scena non ha bisogno di essere strettamente legata ad aspetti apertamente cerimoniali dell’istituzione, come aiuole e tende inanimate, ma punta su attrezzature come l’ultimo tipo di cucina, o un complesso apparato chirurgico. Infine, ogni oggetto di scena avrà necessariamente implicazioni autonome; sebbene queste possono non corrispondere all’impressione che l’oggetto crea, possono risultare lo stesso significative. Per ex: l’esposizione di fotografie all’entrata dell’istituzioni totali, che raffigurano il cielo di attività che il malato ideale svolge insieme allo staff ideale, spesso a poco a che fare con i fatti reali della vita istituzionale, ma almeno alcuni internati hanno passato una mattinata piacevole, passando x il fotografo. Le cerimonie istituzionali che si verificano per mezzo di canali di comunicazione come il giornale interno, le riunioni di gruppo spettacoli di beneficienza, è probabile assolvano ad alcune funzioni sociali latenti; alcune di queste sembrano evidenti in un altro tipo di cerimonie istituzionali, gli sports che si svolgono nell’ospedale. La squadra è formata da un gruppo di internati, scelti fra quelli che si sono dimostrati i migliori in competizioni interne. Attraverso la competizione con gli esterni i <campioni> assumono un ruolo che esce dallo stereotipo di ciò che è un internato. La squadra esterna e tutti i fans che porta con se, sono spinti a vedere l’ospedale come un luogo naturale dove accadono cose naturali. Nelle esercitare questa attività, la squadra degli internati dimostra ai visitatori e ai compagni spettatori che almeno in questo contesto lo staff non è tirannico, che una squadra di internati è in grado di rappresentare l’intera istituzione e che le è permesso farlo. Tal volta lo staff, non si limita di istruire le squadre di in ternati, ma vi partecipa occasionalmente, dimenticandosi delle differenze sociali. Alcune volte si organizzano anche competizioni dove le squadre sono entrambe interne e gli esterni fanno gli spettatori. Anche durante un servizio religioso si può intravedete l’unione dello staff e degli internati. In tutte le cerimonie istituzionali lo staff si trova a giocare più di un ruolo di controllo. Spesso un esponente ufficiale di alto grado le presenzia, in rappresentanza della direzione e dell’intera istituzione. In quei casi, si veste bene, si commuove, consegna premi. Mentre recita questo ruolo, il suo modo di rivolgersi agli in ternati sarà fraterno. Ai membri dello staff vengono forniti alcune persone cui siano abbastanza legati da poter giocare anche il ruolo di vecchi zii. In queste cerimonie vi partecipano tutti gli strati dell’istituzione, non tenendo conto delle differenze che ci sono, ma nello stesso tempo viene fissato loro un posto che ne esprime la condizione. Queste pratiche cerimoniali si adattano bene all’analisi di Durkheim: una comunità separata in internati e staff, poi attraverso queste cerimonie, mantenersi unita. Può capitare però che lo staff si senta obbligato a partecipare a queste cerimonie, e si lamenta; gli internati partecipano, invece, per anticipare il tempo delle dimissioni o per ottenere qualche privilegio o favore, e magari si annoiano pure. Nelle istituzioni totali può capitare che ci siano aneddoti di identità. Gli internati vengono confusi per membri dello staff e viceversa. Un altro errore di identità si verifica quando un membro di un gruppo imita un membro dell’altro. Inoltre si riscontrano drammi di identità nel caso di persone che, essendo membri dello staff, cadono in disgrazia e si trovano a diventare membri del gruppo degli internati. Bisogna però evitare di far succedere tutto questo, infatti uno dei compiti dell’istituzione è dimostrare le differenze che ci sono fra i due gruppi ( staff-internati). PRECISAZIONI E CONCLUSIONI conto che non è così. Quando capirà che il suo accompagnatore è d’accordo con lo psichiatra o medico che lo visita, il paziente si sentirà aggetto di una sorta coalizione alienante organizzata contro di lui. Dopo qualche tempo che la persona di fiducia andrà a far visita al paziente quest’ultimo capirà che tutto è stato fatto per il suo interesse, rispetto alle prime visite, quando credeva di essere stato abbandonato. Il paziente durante le visite, può chiedere alla persona di fiducia di farlo uscire di là, di fargli avere qualche privilegio. A queste richieste la persona di fiducia andrà via senza lasciare speranza al paziente e lasciando il sospetto a quest’ultimo che si tratti di un caso palese di abbandono e di tradimento. Questo amaro sentimento può essere aggravato dalla presenza di un estraneo che agisce come testimone; infatti un’offesa fatta da una persona ad un'altra in presenza di un terzo individuo, diventerà un fatto sociale, un avvenimento pubblico. Ci sono altri due elementi impliciti nel sentimento di tradimento. Primo, il fatto che coloro che hanno incitato il malato a ricoverarsi non gli abbiano detto la verità su come sarà la sua vita una volta entrando in ospedale. L’altro elemento riguarda il fatto che, il paziente inizia la sua carriera, con una parte di diritti, libertà, soddisfazioni propri di un civile, e finisce in un reparto psichiatrico, spogliato quasi di tutto. La cosa importante è ore il modo in cui questo accade. Il cerchio di figure determinanti nella carriera del prede gente, assume, il significato di una sorta di < vortici degli inganni>. Il passaggio da ruolo di persona a quello di degente può avvenire attraverso una serie di fasi collegate, ciascuno controllata da un agente diverso. Mentre ogni fase tende a portare una netta diminuzione nello status di persona libera del prede gente, ogni agente può tentare di fingere che non ci saranno ulteriori diminuzioni e può riuscire ad indirizzare il prede gente all’agente successivo, mantenendo una tale finzione. Inoltre ogni agente richiede al prede gente il trattenersi con lui in una conversazione superficiale ed educata evitando, di toccare gli aspetti amministrativi della situazione; conversazione che si fa sempre per il reale, in contrasto con la situazione concreta. I mediatori che partecipano al passaggio, della persona, dallo status civile a quello di degente, hanno interesse a stabilire che la persona di fiducia, assuma il ruolo di tutore o guardiano -con un guardiano sulla scena, l’intero processo di transizione può mantenersi pulito. Il guardiano deve occuparsi delle implicazioni civili e degli interessi del prede gente, collegando i fili smarriti che, potrebbero imbrogliare le cose nella vita dell’ospedale. Alcuni dei diritti civili abrogati al paziente possono venire trasferiti a lui. Un altro punto che bisogna considerare nella carriera del prede gente e il suo particolare carattere retroattivo. Finchè una persona non entra effettivamente in ospedale, in genere non pare vi sia modo di prevedere con certezza il suo destino il tal senso, tenendo conto del ruolo determinante che qui giocano le contingenze di carriera. Se non varca la soglia la soglia dell’istituto il prede gente non è considerato un malato mentale. Poiché egli sarà trattenuto in ospedale contro la sua volontà, la persona di fiducia e lo staff ospedaliero avranno bisogno di razionalizzare le difficoltà di rapporto che devono affrontare e , fra il personale, i medici necessiteranno di prove capaci di testimoniare che si tratta di un paziente della loro specialità. Questi problemi sono ridotti dall’anamnesi del caso: essi si basa sulla ricostruzione del passato del paziente e ciò con l’effetto di dimostrare che già da molto tempo si stava ammalando, e che si è infine ammalato seriamente, e che sarebbe accaduto di peggio se non fosse stato ricoverato in ospedale. Il pazienta vuole ricavare un senso del suo soggiorno in ospedale e se vuole mantenere viva la possibilità di riabilitare ai suoi occhi la fiducia come degna di rispetto le cui intenzioni non possono essere messe in dubbio, anch’egli si troverà a dover credere a qualche rielaborazione psichiatrica del suo passato. L’aver avuto una carriera di prede gente, diventa un elemento determinante per quello che sarà il malato mentale; ma il fatto che un tale elemento entri in gioco solo dopo il ricovero, prova che ciò che il paziente aveva – e non ha più- è una carriera di prede gente. LA FASE DEL DEGENTE Quando il paziente si ritrova chiuso in ospedale deve imparare ad adattarsi alle regole che gli vengono imposte e quindi assume un comportamento di resa nelle situazioni che gli capitano, per evitare di ricevere punizioni. Inoltre gli viene spiegato subito che le restrizioni e le privazioni cui andrà incontro, fanno parte della cura, corrispondono a ciò di cui in quel momento egli ha bisogno: sono espressioni del livello di degradazione cui è arrivato. L’assegnazione ad un dato reparto viene presentata come espressione del grado di socialità e delle condizioni del paziente. Il degente, deve imparare a muoversi secondo il < sistema di reparto>. È importante dire che anche l’ambiente influenza la formazione del sé. Il sistema del reparto diventa un caso limite di come le strutture fisiche di un’istituzione possano venire usate per definire il concetto di se di una persona. Inoltre lo stesso mandato psichiatrico dell’ospedale contribuisce ad incidere con aggressione, più dirette e violente, sul modo in cui il malato concepisce se stesso. Quanto più medico e moderno è un ospedale psichiatrico, tanto più il malato si troverà di fronte ad uno staff altamente qualificato che gli dimostrerà come il suo passato sia stato un fallimento; che la causa è dentro di lui, che il suo atteggiamento verso la vita è sbagliato e che se vuole essere un uomo, dovrà mutare il tipo di rapporti che istaura è l’immagine che ha di se stesso. Spesso il valore morale di queste aggressioni verbali gli verrà imposto attraverso la richiesta di esercitarsi ad accettare l’interpretazione psichiatrica data su di lui, durante le confessioni organizzate. Vi è un fenomeno che si verifica nella carriera morale dei ricoverati, come il altre carriere morali. Dato il grado raggiunto in qualsiasi carriera, si nota che ci si costruisce un’immagine della propria vita- passato, presente, futuro- selezionando, scegliendo e distorcendo i fatti per fornire un quadro di noi stessi, tale da poter essere vantaggiosamente presentato nella vita quotidiana. Generalmente il criterio difensivo che si segue per ciò che riguarda il sé porta ad allinearsi con i valori fondamentali della società in cui si vive, nel quel caso si parlerà di un’apologia. Qualora si sia in grado di fornire un quadro della situazione quotidiana nel quale possano evidenziarsi novità personali espressi nel passato, ed un destino favorevole che ci attende, questa potrà essere una storia di successo. Nel caso invece il passato ed il presente siano cupi, sarà meglio che la persona dimostri di non essere responsabile di ciò che è successo e il termine una storia triste sarà adatto al caso. Nell’ospedale psichiatrico le strutture e le regole dell’istituto contribuiscono a convincere il malato che è un caso mentale, che ha sofferto di una sorta di collasso sociale avendo completamente fallito: la sua presenza in quel luogo a quindi uno scarso peso sociale, poiché egli sarebbe difficilmente in grado di comportarsi da una persona normale. Spesso il paziente cerca di raccontare che i piccoli guai in cui è in corso sono stati causati da altri, che la sua vita in passato era onorata e che l’ospedale è ingiusto ad imporgli la condizione di malato mentale. Cerca in pratica di mantenere la propria dignità a gli occhi degli altri. A volte il degente sottolinea storie fornendo una rappresentazione ottimistica del tipo di occupazione cui si dedicava. Naturalmente tutte finzioni. I pazienti tra loro non si smascherano anche se sono consapevoli di ascoltare storie inventate. Però le rappresentazioni ottimistiche di se proposte dai pazienti possono essere smascherate dalle condizioni degradanti dell’ambiente ospedaliero e anche dal personale che a tutto da guadagnare. Se la finalità dell’ospedale è riuscire a controllare la situazione giornaliera senza lamentele o richieste da parte del degente, risulterà utile fargli notare che i diritti che reclama e i suoi quali razionalizza le sue pretese, sono falsi; che egli non è ciò che dice di essere, e che non è altro che un fallito. Il degente deve arrivare a convincersi <interiormente> di accettare e di far accettare il giudizio che l’ospedale ha su di lui. Il personale dispone di mezzi ideologici per rifiutare le ragioni del degente. L’attuale dottrina psichiatrica definisce il disordine mentale come qualcosa che può avere le sue radici nei primi anni del paziente; che mostra i segni della sua presenza nell’intero corso della vita e invade ogni settore della sua attività. Nessun punto del passato e del presente si trova fuori dalla giurisdizione psichiatrica. Gli ospedali psichiatrici istituzionalizzano burocraticamente questo mandato, basando la cura del malato sulla formulazione della diagnosi e sull’interpretazione psichiatrica del suo passato, che da una tale diagnosi proviene. Lo evidenzia chiaramente la cartella clinica. Si tratta di un dossier che dimostra, diversi modi in cui il paziente è < malato> e la ragione per la quale era giusto richiuderlo in ospedale ed è tutt’ora giusto tenerlo rinchiuso. Bisogna ricavare dal corso di tutta la sua vita un elenco di quei fatti che hanno avuto un valore < sintomatico>. Inoltre sarà descritto lo stato del paziente al momento del suo ingresso in ospedale. Potranno esservi riferite risposte devianti dati dal paziente a domande imbarazzanti, facendo apparire come persona che presenta e fa affermazioni in contrasto con i fatti. Appaiono spesso note di scredito nelle descrizioni del comportamento generale del paziente in ospedale. In alcuni ospedali psichiatrici l’accesso alle documentazioni cliniche è tecnicamente limitato ai medici e agli infermieri più qualificati; tuttavia è personale di grado inferiore può avervi accesso ad ottenere nuove informazioni. Inoltre il personale dei reparti deve essere informato sugli aspetti della vita passata del paziente, che rendono possibile il trattarlo opportunamente, a suo vantaggio e a minore rischio degli altri. I diversi livelli dello staff hanno poi accesso alle note giornaliere tenute dagli infermieri del reparto sul corso della malattia e del comportamento del paziente; note che forniscono, per il presente, il tipo di informazioni che le cartelle cliniche danno per il passato. Il paziente si può sentire minacciato nel sapere che le informazioni sulla sua vita sono a disposizione di altri e che egli non è in grado di avere alcun controllo su chi ne viene a conoscenza. Il tipo di comunicazioni che mantiene collegati i membri dello staff tende poi ad ampliare le notizie già divulgate dalle cartelle cliniche. Un atto che screditi il degente, accaduto durante la giornata e in un settore della comunità ospedaliera, sarà riferito a chi controlla altri settori della sua vita ed il paziente si troverà costretto a negare di avere potuto agire in quel modo. Significativa è l’abitudine frequente di organizzare riunioni a tutti i livelli dello staff, dove si espongono i diversi punti di vista dei pazienti e si concorda la linea di condotta da far loro seguire e quella dello staff nei loro confronti. Il trasferimento formale volta si dice che qualsiasi cosa si chieda viene accordata, un ‘implicazione al fatto di essere un buon amico o un fratello leale, è che ci sia il tipo di persona che può essere un buon amico o un fratello legale. Nel mancare al mantenimento della propria moglie e di quattro figli, si diventa il tipo di persona che può mancare in questo tipo di condotta. Se ogni legame implica un ampio giudizio sulla persona in esso coinvolta, dovremmo domandarci come l’individuo manipoli questa definizione di se. Egli può, mancare apertamente ai suoi obblighi, separandosi da ciò cui era legato, ed affrontare il disprezzo della gente che lo giudica. Può rifiutare l’implicazione relativa al concetto di se presente nel legame, evitando però che questo rifiuto appaia in ogni sua azione. Può accettare personalmente le implicazioni del sé presenti nel suo coinvolgimento, essendo per se stesso ciò che gli altri, si aspettano che egli sia. In pratica l’individuo spesso rifiuta queste soluzioni estreme: è più facile si astenga dall’accettare completamente tutte le implicazioni del sé presenti nel legame che lo delimita, lasciando intravedere alcune circostanze in cui ne rivede il distacco, mentre ne porta a termine gli obblighi principali. Un’< organizzazione strutturale formale> può essere definitiva come un sistema di attività, coordinate allo scopo di raggiungere alcune finalità globali esplicite. Il prodotto progettato può essere distribuito fra i partecipanti in modi diversi. Le organizzazioni formali possono avere una molteplicità di mete ufficiali contrastanti fra loro, ciascuna con i suoi particolari seguaci e con la difficoltà che ne deriva circa la scelta della fazione cui aderire. Mentre una meta come la riduzione dei costi o un’asepsi, può essere obbiettivamente applicata come modello dettaglio per molte attività minori che si verificano all’interno di alcune organizzazioni, altri istituzioni, come clubs o centri comunitari ricreativi, non hanno una finalità che provveda un modello altrettanto o nettamente stagliato, su quale poter esaminare i dettagli della vita istituzionale. In altre organizzazioni formali la meta ufficiale può essere di scarsa importanza, dato che l’interesse principale risulta la conversazione e la sopravvivenza della istituzione stessa. Infine, barriere fisiche come quelle rappresentate dalle mura possono essere, in ultima analisi, una caratteristica secondaria delle organizzazioni, piuttosto che una primaria. Le organizzazioni chiuse da mura, hanno una peculiarità che dividono con poche altre entità sociali: parte dell’attività dell’individuo può essere visibilmente impiegata nei momenti opportuni, ad assolvere alle necessità dell’organizzazioni; il che comporta, mobilizzazione dell’attenzione, sforzo muscolare, e sottomissione all’attività imposta. Questo obbligo forzato a partecipare all’organizzazione, tende ad essere vissuto come un simbolo della propria prigionia e, del legame affettivo che unisce ad esse, e del fatto di accettarne le implicazioni relative alla definizione della propria natura. Quindi qualsiasi studio su come gli individui si adattino ad essere identificati e definitivi, potrà forse mettere a fuoco il modo in cui mercanteggiano la loro partecipazione alle attività tipiche dell’organizzazione. Un’organizzazione strumentale formale si sostiene in base alla sua capacità di strumentalizzare coloro che ne fanno parte; si devono usare mezzi stabiliti e si deve tendere a fini stabiliti. Come ha suggerito Chester Barnard, un’organizzazione che si mantiene da sé, deve individuare fino a qual punto possa contare sul fatto che coloro che vi partecipano vi contribuiscono con attività adatte. L’uomo è definito come debole; si devono fare compromessi, si devono avere riguardi, e prendere misure protettive. Il modo particolare in cui sono formulate, le limitazioni di un’istituzione alla strumentalizzazione dei membri, potrebbe sembrare una caratteristica importante. Secondo il nostro modo anglo-americano di definire questi limiti e secondo il punto di vista qui sostenuto, un0organizzazione sembra venire identificata con i suoi capi. A chi fa parte di un’organizzazione è garantito, mentre si dedica alle attività richieste, un certo livello di assistenza al di sopra del minimo necessario per tenere in vita l’organismo umano. Questo livello comprende: agi, salute e sicurezza; limiti sul tipo e la quantità di fatica richiesta; considerazione del fatto che i membri potrebbero far parte di altre organizzazioni con pretese legali su di loro; diritto alla pensione e alle ferie; possibilità di lamentarsi e di ricorrere a vie legali; inoltre, almeno a livello di ciò che si professa pubblicamente, il diritto alla propria dignità, la possibilità di esprimere se stessi, e qualche opportunità di realizzarsi. Questo livello di assistenza spiega chiaramente come un essere umano sia qualcosa di più di un membro di una particolare organizzazione specifica. L’ideologia della nostra società ci suggerisce che colui che fa parte di un0organizzazione possa collaborarvi per mezzo di < valori comuni>, attraverso i quali gli interessi dell’organizzazione e del singolo si fondono sul piano concreto così come sul piano strategico. In alcuni casi è presumibile che l’individuo si identifichi con le finalità e il destino dell’organizzazione, come quando ci si sente orgogliosi della propria scuola o del proprio posto di lavoro. In altri, l’organizzazione sembra coinvolta nel destino individuale di un singolo membro, come quando il personale curante di un ospedale è autenticamente commosso dalla guarigione di un paziente. Nella maggior parte dell’organizzazione, alcuni valori comuni di entrambi i tipi servono a motivare il fatto di farne parte. È qualche volta riconosciuto che si debba ricorrere a degli < incentivi>, dato che i primi, o compensi, fanno appello esplicitamente alla capacità dell’individuo considerato come colui i cui precisi interessi non sono quelli dell’organizzazione. Alcuni di questi incentivi sono attinenti al mondo interno, dato che si tratta di compensi occasionali che hanno bisogno, per la loro realizzazione, dell’allestimento scenico dell’organizzazione; ciò che importa qui sono i progressi nella propria posizione sociale e i miglioramenti dell’insieme dei piccoli vantaggi istituzionali. I partecipanti possono essere indotti a collaborare, qualora vi si rifiutino, sotto la minaccia di punizione e di penalità. Le < sanzioni> possono, allora, consistere in una notevole riduzione delle ricompense abituali, o dell’usuale livello di assistenza. La paura della punizione può servire a prevenire l’individuo dal compiere certi atti o dal fallire nel farli; ma le ricompense sono necessarie se si vuole ottenere uno sforzo personale prolungato. Nella nostra società, un’organizzazione formale strumentale non strumentalizza soltanto l’attività dei suoi membri, ma delinea anche quelli che sono considerati i livelli di assistenza adatti, i valori comuni, gli incentivi e le penalità. Il che significa che arriva ad estendere un semplice contratto di partecipazione, alla definizione della natura del partecipante e della sua condizione sociale. Ben strutturato negli ordinamenti sociali di un’organizzazione, c’è un giudizio totalizzante su colui che vi partecipa e non si tratta soltanto di un giudizio su di lui in quanto membro dell’organizzazione, ma in quanto essere umano. Possiamo vedere il atto queste tendenze ad organizzare l’uomo, nei movimenti politici di carattere radicale e nei gruppi religiosi evangelici, che perseguono modelli di vita spartani e valori comuni intense e penetranti. In questi casi l’organizzazione esige che ciascun membro si metta a disposizione dei bisogni della comunità. Nel riproporgli ciò che deve fare e perché deve farlo, l’organizzazione propone a ciascun membro ciò che dovrebbe essere. Ci saranno molti modi di ribellarsi e anche quando non accade di frequente la preoccupazione che la cosa si verifichi esiste, evidenziando, il problema dell’identità della definizione del sé. Quando un’istituzione offre incentivi esterni e ammette apertamente di avere un limitato diritto alla lealtà, al tempo e alla presenza attiva di coloro che ne fanno parte, chi accetta queste promesse-accetta tacitamente un giudizio sulle sue motivazioni e quindi sulla sua identità. Il fatto poi che questi presupposti gli risultano perfettamente naturali e accettabili, ci spiega come noi, in qualità di studiosi, generalmente non ce ne rendiamo conto, e non che non esistono. Le situazioni estreme ci dicono qualcosa non tanto sulle forme più alte di lealtà e di tradimento, quando sui piccoli atti del vivere quotidiano. Solo quando incominciamo a studiare e memorie di idealisti meticolosi, come per es. alcuni obbiettori di coscienza o qualche prigioniero di guerra impegnato politicamente, con i problemi di coscienza circa i limiti cui può giungere la loro < collaborazione> con l’autorità, si incominciano a vedere le implicazioni della definizione del sé, presenti anche nel più insignificante compromesso richiesto dalle organizzazioni per es. accettare qualche privilegio, come andare nel cortile per fare esercizi o usare materiale artistico fornito dall’istituto, mentre si è in carcere, significa accettare in parte il giudizio di colui che ci tiene prigioniero, su quelli che sono i nostri desideri e i nostri bisogni, mettendoci nella condizione di dover dimostrare una certa gratitudine e collaborazione e riconoscendo quindi al nostro carceriere il diritto di formulare dei giudizi su di noi. La collaborazione coi nemici nasce in questo modo. Le differenze fra il giudizio ufficiale di una organizzazione sui membri che ne fanno parte, e il loro giudizio personale, sono visibili nell’industria, in particolare per ciò che riguarda i compensi e il concetto del <buon lavoratore>. La direzione di organizzazione pensa spesso che i lavoratori lavorino ininterrottamente, per accumulare soldi e per raggiungere l’anzianità di grado. Tuttavia ciò che risulta reale nel mondo sociale di alcuni operai di una classe urbana inferiore, e di molti lavoratori delle zone periferiche della società industriale, il concetto del < buon lavoratore> non sembra si adatti al caso. Le organizzazioni industriali non sono le sole a trovare, in coloro che ne fanno parte, definizioni impreviste della situazione. Quando un detenuto comune viene chiuso in cella, può soffrire delle privazioni che l’organizzazione prevede; ma per un inglese dell’alta borghesia, gettato in mezzo ai rifiuti più volgari della società britannica, il fatto di essere confidato solo, in una cella, può avere un significato imprevisto. Oltre all’ideologia verbale esplicita nella gestione organizzativa della natura umana dei partecipanti ad un’istituzione è importante in questo contesto fare riferimento all’azione intrapresa da chi la conduce, per quel tanto che essa può esprimere un’idea della persone su cui agisce. I dirigenti delle prigioni possono partire dal preconcetto che il detenuto dovrebbe accettare, il fatto di essere in prigione, dato che le carceri si presume provvedano al detenuto il mezzo per espiare la sua colpa verso la società, educarsi al rispetto della legge, meditare sui i suoi peccati, imparare un mestiere decoroso, e, in alcuni casi, ottenere un ciclo di psicoterapia, di cui può aver bisogno. Ma, la direzione della prigione tende a mettere a fuoco soprattutto il problema della <sicurezza>, cioè quello di prevenire il disordine e la fuga. Un aspetto importante della definizione, da parte della direzione di un carcere, del carattere dei suoi detenuti, è che se offri loro la più piccola possibilità, tenteranno di evadere prima di aver scontato la l’obbedienza a ragazzi disobbedienti, si è mantenuto costante nella società occidentale. Solo negli ultimi decenni le scuole americane hanno incominciato a considerare i ragazzi come oggetti che potevano essere picchiati a scopo correttivo solo dai genitori. Le credenze religiose ci consentono di analizzare un’altra condizione di colui che fa parte di un’organizzazione. Nella nostra società non esiste un’istituzione chiusa che non segua l’osservanza del giorno di riposo, il che implica il riconoscimento del bisogno naturale dell’uomo di disporre di tempo da dedicare alla preghiera. Questo assunto di partenza è ciò che sta alla base nel commercio e nell’industria della concessione della domenica libera e di alcune feste annuali religiose. Anche nello stesso tipo di organizzazioni, nella medesima società e nello stesso tempo, vi possono essere differenze nella linea di confine fra gli adattamenti primari e quelli secondari. Il termine<privilegi locali> sembra riferirsi a mezzi e finalità che le persone di un quartiere riterranno come garantiti e a loro dovuti, mentre ad altre al di là della strada saranno negati; così come all’interno della stessa organizzazione vi possono essere evidenti sfasature di tempo. All’interno di una data organizzazione ciò che è un adattamento primario per una categoria di partecipanti, può risultare un adattamento secondario per un'altra. Dobbiamo notare, nelle organizzazioni, una tendenza a modificare gli adattamenti secondari, non solo aumentando la disciplina, ma anche legittimando selettivamente queste pratiche, sperando di riottenere il controllo e la sovranità, anche a costo di rinunciare ad alcuni obblighi da parte dei partecipanti. Le istituzioni familiari non sono le sole in cui ci sia una regolarizzazione, attraverso il matrimonio, di una precedente situazione regolare. Quando si apprende qualcosa su un ruolo di un adattamento secondario, si verrà a conoscere anche qualcosa sulle conseguenze prodotte dal tentativo di legalizzarlo. Gli adattamenti secondari sono in stretta connessione con i legami che l’individuo conserva con altri tipi di entità sociali, sotto questa luce possiamo considerare il bere in rapporto ai valori sostenuti da una città < a regime secco>, i movimenti clandestini in rapporto allo stato,ecc. analogamente, altre entità, diverse dalle organizzazioni chiuse a mura, tentano di mantenere un controllo su chi ne fa parte, riconoscendo alcuni adattamenti secondari, come primari. Qualunque sia l’entità sociale, in relazione alla quale si vogliano considerare gli adattamenti secondari, dovremo riferirci ad unità più vasti, poiché dobbiamo considerare sia il luogo nel quale l’adattamento secondario si verifica, che la < regione di origine> dalla quale provengono coloro che lo mettono in atto. Nel caso dei bambini che rubano i biscotti dalla scatola della mamma e li vanno a mangiare in cantina, queste distinzioni non sono né evidenti ne importanti, dato che la famiglia è l’organizzazione direttamente coinvolta, la regione dalla quale provengono coloro che agiscono e, il luogo dove accade il misfatto. Ma in altri casi, l’organizzazione in sé non è l’unica presa in casa. I ragazzi di un intero quartiere possono raccogliersi in una casa vuota per dedicarsi ad attività proibite nelle loro case. L’interesse per il luogo nel quale si attuano gli adattamenti secondari e per la regione dalla quale provengono coloro che li praticano, sposta il punto focale dell’attenzione dall’individuo e dalle sue azioni particolari, al piano collettivo. Nel caso di un’organizzazione formale, come un’istituzione sociale lo spostamento corrispondente si effettuerebbe da un adattamento secondario dell’individuo, all’intero sistema di adattamenti che coloro che fanno parte dell’organizzazione sostengono individualmente e collettivamente. Queste pratiche messe insieme comprendono ciò che può essere chiamato la vita sotterranea di un’ istituzione. Gli adattamenti primari contribuiscono alla stabilità dell’istituzione: il partecipante farà parte finchè l’organizzazione vorrà che lo faccia e se andrà via è prima, se ne andrà in modo da facilitare la sua sostituzione. Questo aspetto degli adattamenti primari ci porta a distinguere due tipi di adattamenti secondari: primo, quelli disorganizzativi,dove l’intenzione concreta dei partecipanti è di abbandonare l’organizzazione, o di alterarne la struttura, portando, in entrambi i casi, ad una rottura nell’equilibrio dell’organizzazione stessa; secondo quelli repressi che dividono, con gli adattamenti primari, la caratteristica di adeguarsi alle strutture istituzionali già esistenti, senza apportare alcuna pressione verso un mutamento radicale e che possono, di fatto, avere la funzione ovvia di far deviare le azioni, che altrimenti potrebbero risultare disorganizzative. Le parti sistematizzate e codificate della vita sotterranea di un organizzazione, tendono ad essere composte, di adattamenti repressi. Ci atterremo all’analisi degli adattamenti secondari, riferendoli come<pratiche>. Gli adattamenti secondari repressi sono abitualmente definiti in modo diverso, a seconda dell’entità sociale in rapporto alla quale essi vengono attuati. L’uso individuale di un adattamento secondario è una questione socio-psicologica, dati che consente gratificazione che non potrebbero essere ottenute altrimenti. Da un punto di vista sociologico, il primo requisito di un adattamento secondario non è ciò che tale adattamento riesce a procurare a colui che lo mette in atto, ma il carattere delle relazioni sociali richieste dalla sua acquisizione e dal suo mantenimento. Possiamo incominciare ad esaminare gli adattamenti secondari notando che essi si verificano con frequenza diversa, in forme diverse, a seconda del posto occupato nella gerarchia dell’organizzazione da coloro che li praticano. Le persone al livello più basso di una grande organizzazione operano,in un ambiente squallido, in contrasto al quale coloro che occupano un posto più elevato realizzano i loro incentivi interni, con la soddisfazione di ricevere favori evidenti, che altri non ricevono. Il personale meno qualificato tende ad essere meno impegnato e legato all’organizzazione di quanto non siano i suoi esponenti più importanti: fa un lavoro e non una carriera. È probabile faccia largo uso di adattamenti secondari. Sebbene le persone che sono a capo dell’organizzazione siano motivate da valori comuni, i loro doveri li porteranno con molta probabilità a viaggiare, a divertirsi,a partecipare a cerimonie, ecc. Il carattere degli adattamenti primari differirà in modo analogo a seconda del grado di chi li mette in atto. A coloro che sono a livello più basso della gerarchia non si richiede de gettarsi nell’organizzazione o di <portarsela a casa>; ma le figure responsabili avranno invece l’obbligo di identificarvisi. L’aumento sotterraneo degli adattamenti secondari differisce, per estensione, anche in relazione al tipo di istituzione. Quanto più è breve il periodo di tempo che una data categoria di partecipanti ad un’organizzazione passa ininterrottamente sul luogo di lavoro, tanto più si presume sia possibile alla direzione mantenere un programma di attività e di motivazioni accettati dai partecipanti. Cosi, in quelle organizzazioni il cui scopo sia la vendita di un oggetto usuale come le sigarette, i clienti completano il ciclo di acquisto, senza deviare molto dal ruolo per loro programmato. Le organizzazione che obbligano i partecipanti a <vivere all’interno dell’istituzione> saranno, ricche di vita sotterranea, poiché quanto più tempo viene programmato dall’organizzazione, tanto meno sarà probabile che venga programmato con successo. Le condizioni capaci di promuovere una vita sotterranea attiva, sono tutte presenti in un’istituzione che, attualmente, è oggetto di considerevoli attenzioni: l’ospedale psichiatrico. Le istituzioni del genere degli ospedali psichiatrici, sono di tipo <totale>. Queste istituzioni, comprendono due ampie categorie di partecipanti: il personale curante e gli internati. Si potrebbe dire qualcosa sugli adattamenti secondari dello staff nell’Ospedale Centrale. Per es., il personale curante faceva uso di pazienti come bambinai, giardinieri, e uomini di fatica. Gli inservienti pretendevano di mangiare il cibo dell’ospedale anche se non era permesso. Il garage dell’ospedale era talvolta usato per riparare e sostituire pezzi delle automobili del personale curante. Dal punto di vista dell’ideologia psichiatrica, non esistono evidenti adattamenti secondari possibili per gli internati:qualunque cosa sia costretto a fare un paziente, può essere considerato come parte del suo trattamento o dell’intendimento custodialistico dell’istituzione; qualunque cosa faccia il paziente, può essere considerato come sintomo del disturbo di cui soffre e del suo stato di convalescenza. Gli ospedali psichiatrici non funzionano in base ad un’ideologia psichiatrica, ma secondo il <sistema di reparto>. Le condizioni di vita drasticamente ristrette, sono imposte per mezzo di punizioni e premi, espressi più o meno nel linguaggio delle istituzioni panali. LA VITA SOTTERRANEA DELL’OSPEDALE LE FONTI In ogni istituzione sociale coloro che vi fanno parte usano gli oggetti accessibili in un modo e per un fine non previsto, modificando così le condizioni di vita programmata per loro. I casi più ovvi ci provengono dalle carceri dove, si ricava un coltello da un cucchiaio, inchiostro per disegno dalle pagini di un giornale illustrato, i quaderni sono usati per scrivere le scommesse e le sigarette vengono accese in tutti i modi. Nell’ospedale Centrale erano tacitamente tollerati molti semplici usi personali di oggetti accessibili. Ad es. gli internati facevano largo uso dei radiatori liberi per asciugare le cose personali. Nei reparti arredati con panche dure, i pazienti tal volta si portavano a presso i giornali arrotolati da mettere sotto il collo, quando si stendevano. Pazienti di tutte le età da reparto regrediti, a volte portavano in giro bicchieri di carta da usare come sputacchiere o portaceneri portatili, ecc. nelle situazioni totali, l’uso personale di oggetti disponibili tende a concentrarsi in aree particolari. Una di queste consiste nel riordinamento della propria persona- la fabbricazione cioè dei mezzi che consentono di presentare agli altri un’immagine di sé decorosa. Si diceva, ad es., che le suore avessero messo un grembiule nero dietro ad una finestra per ricavarne uno specchio. Il semplice uso personale di oggetti accessibili è caratterizzato dal fatto che, per usarli, occorre essere coinvolti e interessati nel mondo ufficiale istituzionale. Il significato dell’attività legittima può essere conservato, ma può arrivare ad oltrepassare la meta prefissa; si assiste ad una sorta di ampliamento o elaborazione delle fonti di soddisfazioni illegittime, o alla utilizzazione, ai fini personali, di interi cicli di attività ufficiali. In questo caso parlerò di < lavorarsi> il sistema. Il modo più elementare di lavorarsi il sistema dell’ Ospedale Centrale era quello dei pazienti più regrediti che richiedevano una visita medica, o rifiutavano di sottostare a gli ordini disciplinari del reparto, per attirare l’attenzione dell’infermiere o del medico, costringendoli in un rapporto mansioni dessero agli internati la possibilità di avere rapporti con i membri dell’altro sesso. Certi incarichi rendevano possibile a due persone, separate dalla disposizione residenziale interna dell’ospedale, di consumare<un incontro>. Nell’ospedale, una delle motivazioni più comuni al cercarsi un incarico di lavoro, era che la cosa consentiva di uscire dal reparto, sfuggendo alla stretta sorveglianza e a disaggio fisico che vin erano abituali. Qualora qualche membro dello staff proponesse un lavoro, una terapia, uno svago, o anche discussioni educative, si poteva garantire la partecipazione di un’intera folla di pazienti, semplicemente perché, qualunque fosse l’attività proposta, poteva portare un mutamento notevole nelle loro condizioni di vita. Nell’Ospedale Centrale, uno degli interessi principali nella scelta degli incarichi di lavoro, era il grado di contratto che essi avrebbero consentito con i livelli più alti dello staff. Date le condizioni di base di un reparto, un paziente che lavorava nelle vicinanze degli esponenti più importanti dello staff si trovava a migliorare il suo destino, poiché gli venivano garantite le condizioni più confortevoli di vita di cui godeva il personale curante. I LUOGHI Nell’Ospedale Centrale, ogni internato trova abitualmente il proprio mondo diviso in tre parti. Primo, c’era uno spazio che era considerato fuori del limite o oltre confine. La sola presenza di un internato in questa zona, era proibita. Per es. secondo le regole di uno dei dipartimenti maschili, la zona circostante i dipartimenti femminili era fuori limite, probabilmente per misure di castità. Secondo, c’era uno spazio di sorveglianza, dove il paziente non aveva bisogno di giustificare la sua presenza, ma dove anche sarebbe stato soggetto all’autorità e alle restrizioni istituzionali. Quest’area corrispondeva a quasi tutto il terreno ospedaliero. Infine c’era un’area regolata da una minore autorità dello staff. Gli aspetti evidenti di un particolare adattamento secondario possono essere severamente proibiti in un ospedale psichiatrico. Se ci sono devono essere nascoste a gli occhi e alle orecchie dello staff. L’internato può sorridere ironicamente voltandosi a metà, masticare cibo senza dar segni di movimento della mascella. Queste erano tattiche di dissimulazione in uso nell’Ospedale Centrale. Oltre a queste tecniche temporanee, elaborate per evitare la sorveglianza istituzionale , internati e staff collaboravano per consentire il formarsi di spazi fisicamente delimitati, nei quali fosse ridotto il livello di sorveglianza e le restrizioni usuali; spazi nei quali l’internato poteva dedicarsi apertamente a qualche attività proibita, con un certo limite di sicurezza. Queste zone vennero chiamate luoghi liberi. Questi luoghi, nell’Ospedale Centrale, erano usati come la ribalta per attività proibite: il boschetto dietro l’Ospedale veniva, usato come nascondiglio dove andare a bere; la zona dietro il centro sociale ricreativo e l’ombra di un grande albero al centro dell’area ospedaliera, servivano come luoghi dove fare qualche partita a poker. Talvolta, i luoghi liberi sembravano usati al solo scopo di passare un po’ di tempo, lontani dalla lunga mano dello staff e dai reparti affollati e rumorosi. Questi luoghi sembravano pervasi da un’atmosfera rilassante che consentiva la propria autonomia personale. I luoghi liberi variano in base al numero di persone che li frequentano, e secondo la zona da cui vengono ricavati, cioè la residenza di coloro che ne fanno uso. Alcuni luoghi liberi nell’Ospedale Centrale servivano soltanto ad un reparto. Ne era un esempio il gabinetto e il vano antistante dei reparti cronici maschili. Era qui che i pazienti venivano mandati se volevano fumare; alcuni pazienti sceglievano di restare lì buona parte del giorno, leggendo, guardando fuori della finestra, o solo sedendo sui sedili comodi del gabinetto. Altri luoghi liberi servivano invece un intero dipartimento psichiatrico, composto da uno o più fabbricati. Il sotterraneo in disuso di un dipartimento maschile per cronici, era stato preso dai pazienti che vi avevano trasportato qualche sedia e un tavolo da ping- pong. Oltre ai luoghi liberi per i reparti e per i dipartimenti, c’erano luoghi liberi che servivano i pazienti di tutta la comunità ospedaliera. Il prato era uno di questi luoghi, poiché offriva una bellissima veduta dall’alto della vicina città. Un altro luogo libero, della comunità era, il posto di guardia all’ingresso principale dell’ospedale. Era riscaldato durante l’inverno, dava la possibilità di vedere chi entrava ed usciva dall’ospedale, era vicino alle comuni strade esterne, serviva come punto di riferimento per le passeggiate. Forse il luogo libero più importante nella comunità era l’area intorno al piccolo negozio, a sé, che serviva come bar per i pazienti e che, comprendeva alcuni ricoverati fra il personale. Qui i pazienti e alcuni sorveglianti passavano il tempo sulle panche sistemate all’esterno, riposando, chiacchierando, bevendo caffè o bibite e mangiando panini. Quest’area aveva la funzione aggiunta di fonte di notizie della città. Un altro luogo libero per alcuni pazienti, era il bar dello staff, un fabbricato dove i ricoverati potevano ufficialmente entrare se godevano della libertà di girare all’interno dell’ospedale e avevano i soldi per pagare. Molti tipi di incarichi di lavoro offrivano ai pazienti l’opportunità di usufruire dei luoghi liberi, soprattutto se il lavoro era fatto sotto la guida di un assistente, anziché di un sorvegliante- perché in questi casi si tendeva a mantenere il clima del posto di lavoro; il che significava un grado diverso di libertà dall’autorità e dalle restrizioni rispetto alla normale vita di reparto. Alcuni luoghi liberi il cui carattere non fosse ancora definitivo, potevano essere trovati, paradossalmente, nella parte più centrale degli edifici. In una delle costruzioni più vecchie, il corridoio principale che portava agli uffici amministrativi era grande, con un soffitto alto e fresco d’estate; tagliando ad angolo retto c’era un vano, che portava attraverso una porta chiusa a chiave, ai reparti. Allineate su entrambi i lati di questo vano scuro c’erano delle panche, una ,macchina automatica per la coca cola e una cabina del telefono. Da un capo all’altro il corridoio e in questo vano c’era sempre un area da servizio civile amministrativo. Ai pazienti non era consentito< ciondolare> in questa zona e qualche volta venivano anche diffidati dal passare per il corridoio. Tuttavia alcuni, che fossero ben conosciuti dallo staff o che avessero qualche lavoro di fiducia da fare, potevano starsene seduti; nei caldi pomeriggi d’estate potevano anche essere trovati lì e talvolta riuscivano ad ottenere di giocare a carte, astraendosi cos’ dall’ospedale. Tanto più è insopportabile l’ambiente in cui un individuo è costretto a vivere, tanto più facilmente i luoghi saranno definiti come luoghi liberi. In alcuni casi , un gruppo di pazienti aggiungevano al loro accesso in un luogo libero, il diritto di tenere fuori tutti i pazienti che non fossero realmente in vitati. In questo caso si può parlare di territori di gruppo. Per es. uno dei dipartimenti per malati lungo- degenti aveva un cortile chiuso a vetri, dove c’erano un tavolo da bigliardo, un tavolo per giocare a carte, TV, e giornali. Qui alcuni sorveglianti e alcuni lungo- degenti stavano assieme, in un clima di uguaglianza, parlando delle novità dell’ospedale. Poteva succedere che un sorvegliante portasse a far vedere il suo cane a gli altri; che si organizzassero gite per andare a pesca con i pazienti che godevano di una certa libertà. Le partite a poker che i sorveglianti e i pazienti giocavano a fine settimana, ponevano i sorveglianti in balia dei pazienti. I sorveglianti potevano richiamare i pazienti rumorosi ma solo nel caso che anche gli altri degenti presenti approvassero tacitamente la cosa. Qui i pazienti e i sorveglianti, insieme, facevano di tutto per escludere dalla stanza, e in particolare dal poker, i degenti di altri dipartimenti. Il centro sociale ricreativo fungeva, come un territorio di gruppo. Circa sei pazienti erano assegnati al centro per aiutare nei lavori domestici portineria. In cambio del lavoro, venivano loro accordati alcuni diritti particolari. Alla domenica dopo aver lavato i pavimenti e riordinare i locali dalla sera precedente, e prima di riaprire nella tarda mattinata il luogo era loro. Potevano farsi il caffè e prendere dal frigorifero i dolci e i biscotti. Potevano prendere, dal tavolo del dirigente, entrambi i giornali della domenica, che venivano regolarmente consegnati al centro. Per un paio d’ore dopo la pulizia, mentre gli altri pazienti che godevano di una certa libertà, erano affollati intorno alla porta aspettando di poter entrare, questi lavoratori potevano godersi il lusso di un po’ di calma, di agio e di padronanza della situazione. Se uno di loro arrivava in ritardo, poteva aprirsi il varco fra il gruppo che premeva alla porta, e solo lui era lasciato entrare da uno dei compagni di lavoro che erano già dentro. C’erano altre aree che, pur servendo l’intero ospedale, non erano accessibile a tutti i pazienti. Una di queste era il piccolo ufficio dell’incaricato alla direzione del teatro. Durante le prove generali di commedie, spettacoli all’aperto, quando il palcoscenico e tutta <la casa> diventa un posto libero per i pazienti che vi partecipavano- l’ufficio veniva usato da un piccolo gruppo di leaders come luogo ben protetto dover poter mangiare e chiacchierare. Alcune delle giurisdizioni territoriali sviluppate dai pazienti avevano un carattere periodico. Per es. la mansione di 5 pazienti in un dipartimento maschile per malati cronici, era di aiutare a portare da mangiare ad alcuni degenti, che non erano in grado di andarselo a prendere dal reparto alla stanza da pranzo. Dopo averli serviti, i pazienti- aiutanti si ritiravano con i piatti vuoti in una stanza attigua al reparto, addetta alla lavatura dei piatti. Poco prima o dopo aver fatto questo lavoro, veniva loro dato un piatto di cibo e un bicchiere di latte, che poteva essere consumato da soli e con tutta calma, nella cucina del reparto. Alcuni diritti sui territori erano ancora più temporanei. Per es. nel reparto di primo accoglimento maschile, dove venivano ricoverati depressi, eccitati, e malati con lesioni organiche, alcuni pazienti che avevano ancora la possibilità di stabilire un contatto abbastanza buono si appartavano oltre una barriera di sedie, tentando di ricavare un angolo della stanza di soggiorno, libero dalla presenza dei compagni gravemente deteriorati. Resta ancora una sorta di diritto privato sullo spazio, dove l’individuo si costruisce qualche agio, una certa padronanza e un tacito che divide solo con quelli che egli stesso vorrà invitare. In questo caso parlerò di un territorio personale. Negli ospedali psichiatrici e in altri istituzioni analoghe, il tipo di territorio personale più classico è forse la stanza da letto singola. Ora nell’Ospedale Centrale la stanza singola era talvolta concessa a chi faceva lavori nel reparto. Una volta ottenutala, si poteva rifornirla di oggetti che potevano offrire qualche agio, qualche piacere e un certo controllo personale della situazione. I degenti che erano in un dato reparto da molti mesi, tendevano a costruirsi un territorio personale nella stanza di soggiorno. La formazione di territori nei reparti a una relazione da galoppini, e lo facevano di frequenti per amicizia, per obbligo, per paura di guai, o con la promessa di una ricompensa. Il bar dei degenti e i negozi delle vicinanze erano, quindi, indirettamente accessibili a molti pazienti. Importante come la circolazione dei corpi e degli oggetti materiali,è la circolazione di messaggi. Un tipo di comunicazione nascosta è quello faccia a faccia. Nelle carceri, gli internati hanno sviluppato la tecnica di parlare senza muovere le labbra e senza guardare la persona con cui si sta parlando. Nelle istituzioni religiose che hanno la regola del silenzio, si sviluppa in modo evidente un linguaggio a gesti. Nei reparti per regrediti dell’Ospedale Centrale, molti pazienti mantenevano il proposito di non ricevere e di non offrire comunicazioni, chiaramente espresse. Una risposta poteva essere lenta e condotta in modo tale da far supporre che la domanda non fosse stata realmente ricevuta. Per questi pazienti, essere muti era una forma di difesa, forse contro sorveglianti ed altri pazienti che li importunavano. I pazienti mutacisti dovevano sottostare all’attenzione dei medici, senza esprimere paura con parole; ricevere abusi senza far rimostranze. Allo scopo di mantenere la scelta fatta di essere cieco e sordo e insieme evitare le conseguenti restrizioni di comunicazione, alcuni pazienti dei reparti più regrediti sembravano usare fra di loro, uno speciale linguaggio convenzionale volendo dare o ricevere qualcosa da un compagno prima lo guardavano negli occhi, poi guardavano l’oggetto in questione, poi di nuovo negli occhi del compagno. Questi poteva allora troncare il discorso facendo segno di no, o lasciando andare l’oggetto, manifestando la sua volontà di rinunciarvi, o, quando non era suo, poteva buttarsi verso l’oggetto, dimostrando il suo desiderio e la sua volontà di averlo. Oltre ai mezzi nascosti di comunicazione diretta, gli internati, nelle istituzioni totali, sviluppano sistemi mediati e talvolta venivano usati sistemi ufficiali già in uso. Nell’Ospedale Centrale i pazienti tentavano di usare i sistemi di comunicazione istituzionale. Chi lavorava nel ristorante dello staff, poteva qualche volta usare il telefono interno della cucina per avvisare il proprio reparto, distante da dove si trovava, che non sarebbe andato a cena, dato che colui che godeva di una certa libertà, poteva saltare il pasto se solo avvertiva in anticipo. Anche le persone che ricevevano la telefonata, dovevano escogitare un sistema per poter ottenere il permesso di usare il telefono, così che una telefonata interna fra due pazienti,o fra un paziente e un sorvegliante o qualche altra figura ufficiale. Costituiva la conquista di un certo potere, dato che era segno di < farcela>. Talvolta erano anche usati o <lavorati> i telefoni pubblici a pagamento all’interno dell’ospedale. Se un paziente che girava liberamente, faceva in modo di trovarsi ogni giorno alla stessa ora, alla stessa cabina telefonica, riusciva a ricevere una telefonata al giorno dalla sua ragazza. I sistemi di trasmissione illecita, usati hanno caratteristiche generali degli di nota. Una volta che il sistema di trasmissione sia stato individuato, c’è la possibilità, per coloro che lo usano, di trasmettere più di un oggetto. Dal punto di vista dei dirigenti dell’istituzione, ciò significa che quello che inizia come una piccola infrazione alle regole, può diventare la base operante per trasportare del contrabbando severamente proibito. Un altro aspetto generale dei sistemi di trasmissione è che ogni internato il quale sia obbligato dalla sua mansione a girare all’interno dell’istituzione, sarà scelto come un trasportatore e arriverà a < lavorarsi> in questo senso il suo incarico di lavoro, sia per il proprio desiderio che sotto la pressione dei compagni. LA STRUTTURA SOCIALE SI è visto che chi consuma ciò che è illegalmente trasportato, può anche essere la persona che lo trasporta. Merale ha a che fare con il controllo ocial e con la formazione di legami. Gli adattamenti sociali che rendono possibile lo scambio economico e sociale funzionano, allo scopo di garantire che l’individuo sia capace di incorporare nel proprio piano d’azione l’azione altrui, aumentando l’efficacia di adattamenti secondari escogitati da sé e nel proprio interesse. Ora se si devono sostenere questi adattamenti sociali, si dovranno esercitare alcune forme di controllo sociale per tenere le persone <allineate>, per costringerle cioè a rispettare i patti e gli obblighi assunti di concedere favori e cerimonie ad altri. Queste forme di controllo sociale costituiranno adattamenti secondari di un tipo molto particolare – un tipo di adattamento che sottende e dà stabilità ad un vasto complesso di altre pratiche non ufficiali; nelle istituzioni totali, questi controlli dovranno essere esercitati sia sugli internati che sullo staff. Il controllo dello staff da parte degli internati assume forme tradizionali, per es., provocare<incidenti>alle persone dello staff o il rifiuto in massa di un particolare cibo, o un rallentamento nella produzione di lavoro. Altre sanzioni degli internati sullo staff possono prendere la forma di una presa in giro <collettiva> ed individuale. C’è un’opinione popolare secondo cui il controllo sociale del gruppo degli internati sui suoi stessi membri, è ben organizzato e forte. Ma la realtà dimostra che questo controllo sociale è invece, molto debole. La mancanza di un’azione sotterranea che tenda a mantenere un certo ordine, sembrava tipica della vita nascosta dell’Ospedale Centrale. Quando un paziente di un reparto si comportava male, tutti i pazienti di quel reparto potevano essere sottoposti ad ulteriori privazioni e, quando un paziente che godeva di una certa libertà fuggiva e commetteva un delitto orrendo<fuori>, le condizioni di libertà venivano ridotte alla maggior parte dei pazienti; nei casi in cui l’azione di una singola persona rendeva più difficile agli altri la possibilità di <accordi> con lo staff, non sembrava esservi, nei suoi confronti, un’evidente rappresaglia. Inoltre, la <sicurezza> della vita sotterranea sembrava debole. Un internato che decideva di fuggire, poteva parlarne senza correre alcun rischio, ad uno o due amici; ma un gruppo di 5 o 6 sembrava già essere meno fidato come confidente di un’informazione segreta. Questo era in parte dovuto al fatto che gli psichiatri dello staff ritenevano che i pazienti dovessero dire tutto nell’interesse della terapia e, per una strana estensione di questo principio, molti pazienti sentivano di poter migliorare la loro condizione psichiatrica, tradendo gli amici. La mancanza di un controllo sociale informale e la mancanza di una collaborazione fra i pazienti, potrebbero essere ritenute come l’evidenza della debolezza dell’organizzazione sociale informale dei pazienti. PARTE TERZA: CONCLUSIONI Ogni qualvolta prendiamo in esame un’organizzazione sociale, vediamo che, coloro che ne fanno parte rifiutano di accettare il giudizio ufficiale di ciò che dovrebbero dare e prendere dall’organizzazione e, il tipo di sé e di mondo che dovrebbero accettare come proprio. Dove si esigerà entusiasmo ci sarà apatia, dove lealtà. Slealtà,dove presenza,assenza,ecc.. L’ospedale psichiatrico rappresenta uno strano esempio di quelle organizzazioni nelle quali è probabile che la vita sotterranea proliferi. I pazienti mentali sono persone che hanno causato nel mondo esterno, un tipo di guai che portano qualcuno ad intraprendere un’azione psichiatrica contro di loro. Spesso il guaio risulta legato al fatto che il<prede gente> si era già lasciato andare a qualche scorrettezza in particolari circostanze: un comportamento anomalo rispetto al sistema. È questo tipo di <cattiva condotta> che comporta un disprezzo morale delle comunità, delle istituzioni e dei rapporti che avrebbero diritto ad un legame affettivo. Bisogna intanto dire che dati i modelli della società esterna all’istituzione, vi deve essere all’interno almeno il minimo necessario per quanto riguarda il cibo, la pulizia, il vestiario, la condizione dei pazienti, e la loro protezione da danni fisici. Dare queste possibilità quotidiane, ci devono essere incentivi ed esortazioni perché i degenti la seguono. Devono essere fatte richieste, e si deve mostrare delusione quando il paziente non fa ciò che ci si aspetta da lui. L’interesse nel seguire un <movimento> o un <miglioramento> psichiatrico dopo una stasi iniziale nel reparto, porta lo staff ad incoraggiare una condotta <corretta> e ad esprimere un certo disappunto quando un paziente slitta nella <psicosi>. Una cosa importante è che, dei molti tipi di adattamenti secondari,alcuni sono di particolare interesse, poiché mettono in chiaro il tema generale del coinvolgimento e delle alienazioni caratteristiche di queste pratiche. Uno di questi particolari tipi di adattamento secondario è l’attività di rimozione, attività che forniscono all’individuo qualcosa in cui perdersi, cancellando temporaneamente ogni percezione di ciò che gli sta attorno e dove deve vivere. L’Ospedale Centrale provvedeva alcuni <mezzi di fuga> per gli internati; uno era lo sport;un altro era il gioco d’azzardo. Altri mezzi tascabili per astrarsi erano molto diffusi nell’Ospedale Centrale: libri polizieschi di assassini, carte, giochetti di incastro. Le attività di rimozione non sono necessariamente illegittime. È la funzione che esse incominciano ad offrire all’internato che ci porta a considerarle insieme a tutti gli altri adattamenti secondari. Un esempio eccezionale è, la psicoterapia individuale negli ospedali mentali di stato; questo privilegio è così raro in queste istituzioni, e il contatto che ne risulta con lo psichiatra così unico, secondo la struttura ospedaliera dello status sociale, che un internato può, fino a un certo grado, dimenticare dove si trova mentre segue la psicoterapia. Ricevendo veramente ciò che l’istituzione dichiara di dare, il paziente può riuscire ad astrarsi da ciò che l’istituzione realmente gli offre. In questo contesto si parla anche di <sovra determinazione>. Alcune attività illecite sono perseguite con una dose di disprezzo, malizia, gioia, trionfo e anche un po’ di rischio; il che non può essere giustificato dal piacere implicito nel solo consumo del prodotto. Un aspetto della sovra determinazione di alcuni adattamenti secondari è il significato che l’azione viene ad assumere quando viene usata solamente perché è proibita. Nell’Ospedale Centrale, gli internati che erano riusciti ad escogitare qualche elaborata evasione alle regole, spesso sembrava cercassero un compagno, anche se non pienamente fidato, davanti al quale poter dare prova dell’evasione fatta. Un paziente di ritorno da una scorreria fino alle ore piccole nella vita notturna cittadina, il giorno dopo avrà un mucchio di storie da raccontare, un altro chiamerà da parte gli amici, per mostrare loro dove ha nascosto la bottiglia vuota di alcool bevuta la sera prima, o mostrerà gli anticoncezionali che tiene in portafoglio. Un altro aspetto della sovra determinazione di alcuni adattamenti secondari è che il loro vero scopo sembra essere una fonte di soddisfazione. Come è già stato detto per quanto riguarda i rapporti di corteggiamento, l’istituzione può essere definita come il proprio antagonista in un gioco serio, il cui oggetto sia segnare qualche punto contro l’ospedale. Gruppi di pazienti discutevano con piacere la Chi presta un servizio ha contatto con due entità fondamentali: • Un cliente: una persona autonoma, entità nel mondo sociale, che deve essere trattato con riguardo e secondo le regole; • Ciò che non funziona nel cliente. L'oggetto posseduto fa parte di un altro mondo, che deve essere costruito secondo una prospettiva tecnica e non rituale. Il successo di questa prestazione di servizio sta nel fatto che il tecnico tenga separati questi due tipi di entità diverse, dando a ciascuna ciò che le è dovuto. II. L’oggetto da riparare è definito come un sistema fisico che ha bisogno dell'attenzione di un tecnico. La fase di riparazione di un oggetto avviene così: • C'è un momento iniziale in cui lo stesso proprietario dell'oggetto si rende conto che l'oggetto da lui posseduto ha sofferto un danno o una lesione. Se non può fare da sé le riparazioni necessarie, e se ritiene si tratti di un problema che un tecnico può risolvere, egli diventa un cliente alla ricerca di un tecnico, o alla ricerca di un insieme di riferimenti che lo portino da un tecnico, attraverso un sistema di intermediari; • Una volta trovato il tecnico, il cliente gli affida l'oggetto o ciò che ne è rimasto e in più, se possibile, le parti rotte. Il punto centrale qui è che l'intero complesso dell'oggetto è messo volontariamente a disposizione da parte del cliente; • Ora ha inizio il famoso processo: osservazione, diagnosi, prescrizione, trattamento. Attraverso ciò che il cliente gli riferisce, il tecnico rivive l'esperienza del fatto; si occupa brevemente di ciò che ancora funziona dell'oggetto da riparare, il cui cattivo funzionamento, ora, si manifesta ad occhi, orecchi e naso esperti; • Dopo che il tecnico ha fatto il suo lavoro, vi può essere la necessità di un periodo di convalescenza, durante la quale vengono richieste all'oggetto prestazioni ridotte, e l'attenzione si concentra sui segni di ricaduta o di riparazione insufficiente. Attenzione e vigilanza vengono, gradualmente, limitate a periodiche revisioni, durante le quali il cliente stesso o qualche volta il tecnico, controlla il funzionamento per essere doppiamente sicuro che le cose funzionino bene; • La fase finale del ciclo di riparazione consiste nel momento in cui l'oggetto ritorna «COME NUOVO» o, se risulta un po' debole nel punto riparato, lo è tuttavia ad un grado, per cui l'intero sistema che si era occupato della sua riparazione può, con un margine di sicurezza, disinteressarsene. III. Ecco alcuni presupposti concettuali tra RAPPORTO DI SERVIZIO e CICLO DI RIPARAZIONE: 1. Se una proprietà o un oggetto deve essere utile a chi lo possiede, le varie parti che lo costituiscono devono essere in un esatto ordine funzionale, l'una rispetto all'altra; 2. L'oggetto è di proprietà del cliente e che egli può, per legge, farne ciò che vuole; 3. E’ previsto che l'oggetto posseduto consista, non solo in un organismo relativamente chiuso, ma anche abbastanza piccolo da poter essere trasportato da chi lo possiede o, se non proprio questo, che possa almeno essere visto come un unico intero, sia da chi lo possiede che dal tecnico; 4. Gli oggetti su cui si devono fare certi servizi, formano non solo sistemi relativamente chiusi e maneggevoli, ma anche classi di sistemi distinte e chiare. Sia che si maneggino prodotti di natura o manufatti, si tratta di prodotti estratti da un unico modello, con limitata possibilità di riproduzione e con l'uso di soluzioni studiate per la loro costruzione e riparazione, anche quando l'apparenza esterna dei prodotti differisce dalla classe cui appartengono. Quindi, se colui che presta un servizio conosce le tecniche di lavoro di uno dei membri di una data classe, è automaticamente competente a trattare con altri membri di questa classe; 5. L'ambiente del laboratorio sia relativamente favorevole nei confronti del danno subito dall'oggetto: il laboratorio fermerà il corso progressivo del danno, anche se non ne effettuerà alcuna cura; 6. L'oggetto deve essere sufficientemente indipendente dall'ambiente in cui di solito è inserito, da consentire di essere temporaneamente trasferito al negozio, senza provocare nuovi danni; 7. il cliente non sia legato all'oggetto di sua proprietà e che possa sopportarne l'attesa, implicita nel fatto di portarlo in laboratorio. V. Applicare il MODELLO DI SERVIZIO alla VERSIONE MEDICA (cioè affidare il proprio corpo a colui che presta un servizio medico) comporta alcuni problemi: • Il corpo è altamente valorizzato nella nostra società. Gli individui non affidano facilmente il proprio corpo all'assistenza altrui, quindi hanno bisogno che la loro «fiducia» in colui che li serve, sia continuamente sostenuta da rassicurazioni; • Il fatto di simpatizzare con il paziente, può sottoporre i medici ad una tensione emotiva quando non sanno ciò che non va e ciò che potrebbe essere fatto per lui, o quando sanno che si può fare ben poco e devono comunicarlo alla persona; • Il corpo è una proprietà che non può essere affidata alle cure del tecnico, mentre il cliente va in giro per altri affari: i medici sono molto più propensi nell’attività meccanica piuttosto che in quella verbale; il cliente invece vorrebbe sempre essere informato su ciò che si sta facendo del suo corpo ed è in una buona posizione per controllarlo; • Alcune parti del corpo non possono essere sostituite, e non tutti i disturbi fisici possono essere corretti; • I pazienti spesso sentono di poter domandare consigli al loro medico su argomenti non tecnici, e il medico talvolta presume di disporre di una particolare competenza, che giustifichi l'accettazione da parte sua della dilatazione del suo ruolo. Nonostante queste e altre difficoltà per inglobare i servizi medici all'interno di un'istituzione ospedaliera, vi sono fattori che servono a permettere al paziente di assimilare la sua esperienza del ricovero al modello di servizio. Un esempio: l'ospedale offre al paziente il beneficio di un'attrezzatura di gran valore e di strumenti specialistici di cui nessun ambulatorio medico potrebbe disporre. VI. Ora vediamo L’APPLICAZIONE DEL MODELLO DI SERVIZIO TECNICO, NELLA VERSIONE MEDICA, ALLA PSICHIATRIA ISTITUZIONALE. In Inghilterra i malati mentali cominciano ad essere catturati perché accusati di aver fatto un patto col diavolo. Gli internati sono chiamati pazienti e gli infermieri sono istruiti. I manicomi che sono stati ribattezzati “ASILI PER ALIENATI”, diventano poi OSPEDALI PSICHIATRICI. Quando un paziente si presenta alla prima visita di ammissione, i medici applicano immediatamente il modello di servizio medico. Attraverso una serie di riferimenti il presunto malato è portato, volontariamente o involontariamente, all'attenzione degli psichiatri. Essi raccolgono informazioni, fanno osservazioni, formulano una diagnosi, una prescrizione e suggeriscono un trattamento. Il paziente quindi migliora o si controlla il corso della sua patologia o (così come succede nelle «reazioni organiche») la malattia segue il suo corso lento e inevitabile, concludendosi con la morte del malato o la sua riduzione ad uno stato incurabile di semplice funzionamento vegetativo. Durante il ricovero è probabile che il paziente passi dalla giurisdizione di un medico ad un altro a causa dei turni giornalieri e settimanali, e per la frequenza con la quale i pazienti sono spostati da un reparto all'altro, e lo staff medico da un dipartimento all'altro. Inoltre, dobbiamo vedere l'ospedale psichiatrico come un'istituzione in una rete di altre istituzioni, creare per fornire una residenza a diverse categorie di persone socialmente indesiderate. Queste istituzioni comprendono CASE DI CURA, OSPEDALI GENERALI, CASE PER ANZIANI, PRIGIONI, CLINICHE GERIATRICHE, CASE PER MENTALMENTE RITARDATI, FATTORIE DI LAVORO, CASE FAMIGLIA E CASE DI RICOVERO. Quindi i pazienti potrebbero benissimo essere ospitati in una di queste altre istituzioni. Il paziente non è il solo, sembra, a rifiutare di vedere il suo problema semplicemente come un tipo di malattia che deve essere curata e quindi dimenticata. Una volta risulti che egli è stato in ospedale psichiatrico, la maggior parte del pubblico lo considera una persona da respingere. E' lo stesso ospedale a riconoscere, implicitamente, che il disturbo mentale è una vergogna. Paragonato ad un ospedale generale o ad un garage, un ospedale psichiatrico si rivela male attrezzato per essere un posto dove si attui il ciclo classico di riparazione. Negli ospedali psichiatrici di Stato e in gran parte delle cliniche private o dei ricoveri per anziani, l'opportunità per osservare il paziente ci sarebbe, ma lo staff è spesso troppo occupato per registrare qualcosa oltre gli atti di disobbedienza. Ciò che è reale circa le difficoltà di formulare una diagnosi negli ospedali psichiatrici, è ancor più reale per ciò che riguarda la cura: è probabile che la cura prestata negli ospedali psichiatrici non sia specifica per il particolare tipo di disturbo di cui soffre il paziente, così come, di solito, accade in un ospedale generale, in un garage o in un negozio di riparazioni radio; se viene fatta una cura, si tratta di un ciclo di terapie che tende ad essere distribuito uniformemente ad un'intera classe di pazienti, dove la tecnica medica viene usata più per individuare se vi siano controindicazioni al trattamento generale, che per trovare le indicazioni esatte. La cura psichiatrica ufficiale per i disturbi funzionali non offre, in sé, una probabilità di successo, tale da giustificare la pratica della psichiatria istituzionale come servizio professionale specialistico; soprattutto finché la probabilità che il ricovero danneggi le possibilità di vita dell'individuo sia reale e frequente.