Scarica Appunto diritto ecclesiastico e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! DIRITTO ECCLESISTICO LEZIONI ANNO ACCADEMICO 2019 / 2020 8/10/2019 Il diritto ecclesiastico è da un lato quella parte del diritto dello Stato che dal punto di vista istituzionale regola i rapporti con la Chiesa Cattolica e le altre confessioni religiose dall’altra è il diritto dello Stato che garantisce la libertà religiosa. L’oggetto del diritto ecclesiastico è la libertà religiosa nei suoi profili istituzionali, individuali e collettivi. Profilo istituzionale si intendono le confessioni all’interno dell’ordinamento istituzionale italiano; Profilo collettivo (art. 20 Cost) che riguardano la libertà religiosa di un ente; Profilo personale a prescindere dalla incorporazione del singolo in una organizzazione religiosa (libertà del singolo di credere o di non credere). Il sistema delle fonti del diritto ecclesiastico è piuttosto articolato con fonti di diritto nazionale, diritto internazionale, diritto concordatario. Con fonti si intendono fonti primarie e secondarie. Fonte principale è la Costituzione. La Costituzione fa riferimento in quattro norme alla libertà religiosa, è la libertà che ha una maggior garanzia entro la carta costituzionale. Artt. 7,8,19,20. Art. 7 tutela i rapporti tra Stato italiano e chiesa cattolica Art. 8 rapporti tra stato italiano e altre religioni Art. 19 tutela la libertà religiosa del singolo Art. 20 tutela la libertà religiosa collettiva Accanto a queste il fattore religioso emerge in altre norme costituzionali come l’art. 3 (principio di uguaglianza), l’art. 119 afferma che i rapporti tra Stato e confessioni religiose sono di competenza del governo e non di altri organismi. IL PRINCIPIO DUALISTA - COSTITUZIONE E CENNI STORICI L’articolo 7 Cost. inizia con una dichiarazione quasi filosofica “Stato e Chiesa Cattolica sono ciascuno indipendente nei propri ordini e sovrani”. Afferma il principio dualista che vuol dire che lo Stato Italiano riconosce una realtà storica: l’ordinamento civile non è l’unico a sussistere, ma ne possono sussistere altri. Vige un principio dualista ci sono lo Stato Italiano e la Chiesa e quindi c’è una Sovranità (superiorem non recognoscens). Non significa che non ci siano interferenze tra i due ordinamenti! Questo è un antico problema che risale ad alcuni anni fa, non è nata per caso ma su solide basi dogmatiche. Nel cesaropapismo l’imperatore era a capo della religione! Attualmente il Regno Unito è cesaropapista in cui la Regina è a capo dell’autorità civile e religiosa. Il parlamento civile legifera in materia religiosa. La ierocrazia vede l’autorità religiosa a capo anche dell’autorità civile (speculare al cesaropapismo). Anche in questo caso non c’era una chiara distinzione di funzioni. (Stato della Città del Vaticano). (Negli ordinamenti monisti non sempre c’è distinzione tra reato e peccato) Fu il cristianesimo a introdurre una chiara distinzione tra potere temporale e spirituale. Nei tre vangeli sinottici c’è un dialogo tra Cristo e i Farisei sul potere e sul problema del pagamento delle tasse all’imperatore romano e chiedono se sia lecito pagare il tributo a Cesare. La risposta di Cristo è la linea di demarcazione tra ciò che è di Cesare e ciò che è di Dio. Alcuni vincoli derivano dagli Atti degli Apostoli. Pietro e gli altri apostoli sono arrestati dall’autorità ebraica perché predicavano il vangelo, una dottrina opposta a quella predicata da loro, pertanto obbligano gli apostoli a non predicare più in cambio della loro libertà. San Pietro risponde “è più importante obbedire a Dio che agli uomini” significa che queste autorità hanno dei limiti nell’esercizio di questi poteri, questi limiti sono dati dalle norme di diritto divino. Vi è un obbligo in coscienza di obbedire a una autorità (ogni autorità proviene da Dio secondo S.Paolo perché vi sia una vita in pace) però questa autorità trova un limite che è il diritto divino. Si pongono dei problemi di applicazione di questo principio. 1ˆ tappa: nell’impero romano c’era una chiara difficoltà di applicare questo principio. Non è chiaro il titolo giuridico per cui i cristiani vennero perseguitati. Il titolo più probabile è che i cristiani non facessero il culto dell’imperatore. Ciò comportava un reato per l’Impero Romano (scontro tra principio monista e dualista). I cristiani obbediscono alla autorità dell’imperatore finché non devono rendergli lode perché violerebbero la legge divina. 2ˆ tappa: il Cristianesimo diviene religione di Stato (Teodosio), si giunge al problema contrario per cui l’imperatore cristiano vuole legiferare anche in ambito spirituale. Si assume la carica di difensore della chiesa. 3ˆ tappa: Papa Gelasio scrive all’imperatore dicendo che ci sono due autorità supreme nel mondo che sono Papa e Imperatore, ognuna delle quali però ha un suo ambito specifico di competenza. L’autorità dell’imperatore trova un limite nel diritto divino. (V secolo d.C.). Principio gelasiano. Nel Medioevo ci fu il problema della lotta per le investiture: chi aveva diritto di nominare i vescovi? Il Papa o l’Imperatore? L’imperatore diceva che spettavano all’imperatore in quanto dotati di potere temporale sul suo territorio; il Papa dice che facendo loro parte del collegio episcopale successore del collegio apostolico spetta al Papa. Nel 1122 si giunse al Concordato di Worms per cui la nomina spettava al romano pontefice e il conferimento dell’ufficio civile spettava all’imperatore. C’era una commistione tra i due poteri, il papa esercitava pressione sull’imperatore attraverso la scomunica. L’imperatore prestava giuramento e i sudditi erano legati anch’essi mediante giuramento di fedeltà all’imperatore (giuramenti sacri). La scomunica scioglierebbe il vincolo di obbedienza dei sudditi con l’imperatore. Un primo caso. Attraverso le decretali, risposte che il pontefice forniva a quesiti concreti, ci si chiedeva chi dovesse legittimare i figli naturali del Delfino di Francia (al momento non c’era il Re). Il Papa risponde che ha un potere spirituale, ha un potere temporale solo quando sia richiesto esplicitamente dall’autorità temporale o certis causis inspectis (casi in cui c’è in ballo la salvezza delle anime). Gli risponde che l’autorità legittima c’era ed era l’imperatore e doveva rivolgersi a lui. Un secondo caso è avvenuto nel Lazio per un caso di revocazione della sentenza ingiusta (restitutio in integrum). Le sentenze passano in giudicato, diventano stabili e nessuno le può cambiare. Una persona era stata condannata per delitto di infamia che comportava come pena accessoria una capitis deminuito (diminuzione della capacità giuridica). Il condannato ricorre al pontefice e dice che l’autorità competente dovrebbe essere l’imperatore, ma siccome ciò è avvenuto nei territori in cui il Pontefice esercita anche la potestà temporale allora la restitutio in integrum la farà lui. Il giudice rileva che la ingiuria era stata leggera e la pena accessoria era sproporzionata, il pontefice revoca le pene accessorie alla sentenza revocando la parte relativa alla capitis deminutio. Riconosce il principio dualista, ma lui in quel caso aveva la autorità superiore. Un ultimo esempio. Il Concilio Lateranense IV, nel 1215, aveva stabilito una norma apparentemente molto civile ossia che erano nulle tutte le leggi civili e canoniche che prevedevano il principio “mala fides super veniens non nocet” —> Perché l’usucapione fosse valida valeva la buona fede iniziale, se successivamente all’inizio del decorrere del tempo mi rendo conto della illegittimità del tempo il passaggio dalla mala alla buona fede non ha alcuna rilevanza. I Cristiani non sono tenuti a seguire una norma che va contro la morale. Se mi accorgo che sto detenendo un bene che non è mio, allora scatta l’obbligo morale di restituzione. Devo restituire il bene, quindi se non lo restituisco è peccato. Tutti i sovrani temporali, a iniziare dall’imperatore Federico II, hanno accettato questa norma. Quindi perché si abbia usucapione è necessario che la buona fede si mantenga per tutto il tempo. Se vi è un intervento della mala fede, si interrompe la prescrizione e inizia l’obbligo di restituzione del bene. 9/10/2019 Il momento in cui iniziò a incrinarsi il principio dualistico fu con il rinascimento, con l’inizio dell’età moderna. All’inizio del 16° secolo si inizia a rompere l’unità religiosa europea con conseguenze su cultura, componente giuridica, educazione a causa della riforma protestante. La riforma protestante dal punto di vista del diritto canonico costituisce uno scisma: si rifiuta l’autorità di Roma. Inizia come un allontanamento dal capo della Chiesa per poi allontanarsi dalla dottrina della Chiesa divenendo una eresia. Separazione gerarchica e dottrinale dalla chiesa cattolica. Dapprima si rifiuta l’autorità suprema universale del pontefice per poi passare a un rifiuto dei fatti della dottrina della Chiesa. In Germania e in Europa centrale con Lutero prima e Calvino poi, si crea una sorta di autorità locale per cui non vi è una autorità unica come il Pontefice, ma ogni autorità è capo a se stessa (molto vicina a una sorta di autocefalia o meglio indipendenza dalla autorità religiosa). Sul campo dottrinale si rifiutano principio in materia sacramentale. In Inghilterra abbiamo qualcosa di diverso dove si rifiuta solo l’autorità del Papa inizialmente. Se Lutero mantiene il principio dualista, in Inghilterra Enrico VIII supera il principio dualista e si rende capo della Chiesa di Inghilterra oltre che del potere civile dell’Inghilterra. Re Enrico VIII era sposato con Caterina d’Aragona ma non riusciva ad avere figli maschi, chiede la nullità del matrimonio al Papa che però non poteva darla perché non c’erano gli estremi. Siccome il matrimonio era qualcosa di religioso allora con una serie di atti creò la Chiesa di Inghilterra in cui egli si poneva a capo della Chiesa di Inghilterra. Quindi dal motivo pratico della nullità del vincolo matrimoniale, di fatto si giunse a uno scisma. Ciò che succede in Europa è che aumenta l’influenza politica sull’autorità spirituale, quindi sono molto influenzati i vescovi luterani poiché viene meno la dipendenza da Roma che ci sosteneva il principio dualistico. La Chiesa Luterana si trova a dipendere in maniera stretta dal potere politico anche se non si giunge al cesaropapismo, ma i due ordini sono stretti. Con la riforma luterana e la riforma anglicana abbiamo uno spezzarsi dell’unità cattolica, dalla riforma l’Europa rimane Cristina ma divisa tra Cattolici, Protestanti, Anglicani. Il trattato in oltre riconosce il diritto di legazione (attiva e passiva) : diritto di inviare e ricevere ambasciatori. Un concordato: sostituiva il titolo II della legge delle Guarentigie. Il concordato del 29 prevedeva una serie di norme specifiche. Con il concordato ad esempio il matrimonio religioso poteva acquisire anche effetti civili. Si giunge ad una sorta di unificazione di status, per cui chi si sposa davanti al ministro di culto cattolico, può acquisire effetti civili una volta che l’atto sia trascritto nei registri di diritto civile. Quindi contiene una serie di norme che regolano la situazione nella chiesa cattolica in Italia. Una convenzione finanziaria : accordo mediante il quale lo stato si impegnava a risarcire la santa sede per i danni patrimoniali con la presa di Roma e la ribellatio dello stato pontificio. Quindi questi patti determinarono un avvicinamento tra santa sede e governo, tanto che di li a poco non mancarono rivoluzioni tra santa sede e governo fascista, possiamo cosi dire che non fu tutto rose e fiori. Questo contratto sfociò addirittura in una enciclica promulgata dalla santa sede, cioè una lettera di contenuto pastorale rivolta solo all’Italia. Questa enciclica il papa la intitola “non abbiamo bisogno” , ovvero non abbiamo bisogno di uno stato che sia visto come unico soggetto educatore, uno stato cioè che voglia affermare il suo ruolo preminente di educazione. Leggi razziali: non furono accettate dalla santa sede e provocarono forte contrato tra governo fascista e santa sede. La situazione si modifico’ una volta che il governo fascista cadde. Si voleva inizialmente inserire i patti lateranensi nella costituzione, per salvaguardare le relazioni tra stato e chiesa ed evitare ribellioni. Era necessario salvare lo status quo nei rapporti con la chiesa. La proposta era stata cristiana. I comunisti si opposero chiedendo che la norma fosse redatta in termini più generici, si chiedeva fosse basata su un principio pattizio. Alla fine si giunse all’attuale art. 7 c.c. che prevede che i rapporti tra stato e chiesa sono controllati dai patti lateranensi. I patti fan volta stipulati entrarono in vigore con la legge 810 del 27 maggio 1999. Ma quale è il valore dei patti lateranensi una volta chiamati a riempire la carica costituzionale? Che valore giuridico hanno all’interno della gerarchia delle fonti? Furono fatte molte supposizioni, in definitiva è intervenuta la corte costituzionale con la sentenza n. 30-31 del 1971: la corte afferma che elencare i patti lateranensi non è un semplice rinvio, ma ha prodotto diritto , significa che la legge di esecuzione dei patti lateranensi (810), pur essendo legge ordinaria, tuttavia ha una resistenza passiva, quindi all’abrogazione o alla deroga pari alle norme costituzionali. Quindi essa formalmente è norma ordinaria, però in realtà questa norma non può essere modificata con procedimento ordinario ma solo con procedimento di revisione costituzionali. Una legge ordinaria è una norma pari alle norme costituzionali. La corte afferma che se questo è vero, tuttavia questo non preclude un giudizio di legittimità costituzionale da parte della corte stessa, ovvero al corte può comunque valutare la legittimità costituzionale di queste norme. Però quale è il punto fondamentale messo in gioco dalla corte ? Una norma ordinaria è legittima se conforme a norma superiore. Si afferma che alcune norme della nostra costituzione dichiarano che il nostro stato è uno stato laico, laicità cooperativa in quanto non si oppone ai principi cattolici. Quindi il richiamo dei patti lateranensi ha prodotto diritto, significa che ha fatto assumere ai patti un valore pari alle norme costituzionali, quindi per essere modificati i patti è necessario o un nuovo accordo o una legge di revisione. L’art. 7 contiene però un’altra sfumatura molto importate, indica anche una procedura di modifica dei patti: si afferma che le modificazioni non richiedono provvedimento di revisione costituzionale . Art. 117 cost: “ la potestà legislativa esercitata dallo stato nel rispetto delle costituzioni…” lo stato è quindi libero di legiferare ma ci sono alcuni limiti che derivano dagli obblighi comunitari e altri assunti internazionalmente. Lo stato non può legiferare in maniera contraria rispetto a quanto stabilito all’interno dei patti, ovvero all’interno del rapporto tra stato e chiesa. Art. 117= Accordo di tipo internazionale da cui derivano specifici obblighi. Art. 10 cost: “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute” . Il nostro ordinamento si adegua alle norme di diritto internazionale consuetudinario. Questo articolo tutela anche in qualche modo i trattati internazionali. La tutela dei patti si ha in maniera diretta nell’art 7 cost e in maniera indiretta negli articoli 117 e 10 della cost. In che maniera possiamo modificare i patti lateranensi? Quali sono le modalità di modifica? Le modifiche dei patti accettate dalle due parti non richiedono procedimenti di revisione costituzionale, la via maestra è quella dell’accordo. Se una norma risulta inadeguata, è conveniente cercare un accordo bilaterale. Nel nostro ordinamento i patti sono stati modificati, questa modifica è avvenuta in maniera bilaterale, cioè le parti hanno concordato una modica dei patti lateranensi. Concretamente nel 1984 lo stato italiano e la chiesa cattolica sono giunti a un accordo per modificare questi patti, ma veniva modificato nel 1984 solo il trattato e non il concordato. È un accordo che sostituisce del tutto il concordato . La sostituzione è considerata modifica? Nel dubbio viene presentata formalmente la norma come modificativa del concordato del 29, però in realtà è un accordo che modifica in tutto il concordato del 29. Non rimane nulla, l’interno è completamente diverso. Legge 121 del 25 marzo 1984: che apporta modificazione al concordato lateranensi dell’11 febbraio del 29. L’ultima norma dell’accordo afferma all’art 13 “ le disposizioni del concordato non ricondotte nel seguente testo sono abrogate”. Quindi con legge 121 viene data esecuzione del nuovo accordo che modifica il concordato lateranense. Confessione religiosa: ha declinazioni diverse a seconda della dottrina. È un concetto difficile da definire. Lo stato per attribuire la qualifica di confessione religiosa ad un determinato gruppo, non può utilizzare criteri sostanziali, non può entrare nel merito delle credenze di quel gruppo perché l’Italia ha scelto di essere uno stato liberale e mantenere uguale distanza da tutte le confessioni. Se entrasse nel merito tornerebbe ad uno stato giurisdizionalista. Lo stato non può che utilizzare un criterio formale. È intervenuta la corte costituzionale con la sentenza n.195 del 93, nella quale spiega perché si possa definire confessione religiosa un gruppo, ci sono dei criteri che vanno seguiti: -la stipulazione di un’intesa -eventuali presenti riconoscimenti pubblici -esistenza di uno statuto -la comune considerazione Cassazione penale sentenza n. 9476 del 97: Le confessioni religiose sono “strutture sociali organizzate su modi similari e per finalità in qualche modo coincidenti, di individui professanti proprie credenze religiose.” Una volta individuata la definizione , dal punto giuridico dobbiamo considerarla ordinamento giuridico? L’art. 8 comma 2 non dice che tutte le confessioni diverse dalla cattolica debbano avere propri statuti. Noi dobbiamo avere uno statuto e presentarci come ordinamento giuridico allo stato italiano, dunque l’8 comma 2 non ci dice che tutte le confessioni sono ordinamenti, ma ci dice che le confessioni quando danno vita ad uno statuto sono un ordinamento giuridico anche per lo stato italiano con cui entrano in contatto. Se le confessioni si danno uno statuto, lo stato le riconosce come ordinamenti giuridici, ma a condizione che questi statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico dello stato. Che tipo di ordinamento giuridico è la confessione che si sia data uno statuto? Le confessioni diverse dalla cattolica sono ordinamenti giuridici subordinati a quelli dello stato e derivanti da quelli dello stato. Mentre l’art. 7 riconosce la chiesa cattolica come ordinamento sovrano e primario, l’art. 8 concepisce invece gli ordinamenti delle altre confessioni come dipendenti da esso, non devono essere contrari al proprio ordinamento. Lo stato italiano riconosce la chiesa cattolica come ordinamento primario , l’art. 8 dice che le confessioni diverse dalla cattolica possono organizzarsi in propri statuti purché questi non siano contrari all’ordinamento giuridico italiano. L’8 concede la facoltà di organizzarsi a condizione che non contrastino con il proprio ordinamento, questo significa che gli ordinamenti delle confessioni diverse dalla cattolica non sono ordinamenti giuridici primari come quello cattolico, ma derivano dallo stato italiano e quindi subordinati all’ordinamento giuridico italiano. Un’altra parte della dottrina richiama la legge 1159 del 1929, la legge sui culti ammessi. Nel 29 assieme alla stipula dei patti lateranensi con cui lo stato italiano mette a posto i rapporti con la chiesa cattolica, Mussolini pensa anche ai rapporti con le atre chiese religiose emanando una legge unilaterale dello stato (1159) per disciplinare i cosiddetti culti ammessi. Un regime che prevedeva legge di stato cattolica e l’ammissione verso altri culti che avessero seguito le indicazioni previste dalla legge. Questa parte della dottrina ottiene invece che il comma 2 art. 8 ha lo stesso contenuto del comma 1 dell’art. 1 della legge 1159. Art 8 comma 2=2 art. 1 comma 1 l. 1159/29 Art 1 comma 1: “sono ammessi nello stato italiano i culti diversi da quello cattolico purché non professino principi e non segnano riti contrari all’ordine pubblico e al buon costume”. È come dire che la costituzione contiene i divieto di ammissibilità di culti contrari all’ordine pubblico e al buon costume. Questa dottrina però si è spinta un po’ troppo in la perché non è accettabile dal punto di vista formale e perché applica la norma costituzionale che dice che gli statuti organizzativi non devono contrastare con l’ordinamento giuridico al piano della conformità di tutte le regole statutarie anche di carattere ideologico e che riguardano i principi religiosi professati delle religioni diverse dalla cattolica. Tutte le confessioni religiose organizzate che rispettino il comma 2 e che non contrastino con i principi dell’ordinamento giuridico italiano, sono ordinamenti giuridici ed indipendenti da quelli dello stato. Questo articolo 8 comma 2, non sta a significare che gli ordinamenti delle confessioni diverse dalla cattolica sono subordinati allo stato, ma significa solo che lo stato non riconosce quelle confessioni religiose come ordinamenti giuridici primari quando si siano date delle degli statuti abnormi rispetto ai principi dell’ordinamento giuridico dello stato. In definitiva, le confessioni diverse da quelle della cattolica non in contrasto con il mio ordinamento, sono ordinamenti originari ed indipendenti della loro sfera propria, mentre le confessioni he si danno degli statuti organizzativi abnormi in contrasto con il mio ordinamento non li riconosco come ordinamenti, se vogliono operare nel mio stato devono seguire le norme di diritto comune. Le norme di diritto comune sono citate alla legge 1159 del 29, quella legge sui culti ammessi di stampo giuristionalista . Che tipo di ordinamento giuridico è una confessione religiosa per lo stato italiano? Che personalità giuridica hanno le confessioni religiose in Italia? Hanno personalità giuridica di diritto privato? Tendenzialmente no. Esaminiamo: -La chiesa cattolica per motivi storici e giuridici è per l’Italia una istituzione di diritto pubblico con caratteri peculiari, è più vicina a quello che è uno stato straniero che non ad un organo della pubblica amministrazione. Non ha nel nostro ordinamento personalità di diritto privato. La chiesa cattolica è una sostituzione di diritto pubblico. Ci sono enti della chiesa cattolica che hanno personalità di diritto privato però, per esempio gli enti ecclesiastici. -Comunità israelitiche: l’ intesa riconosce la personalità giuridica alla comunità israelitica e alla unione delle comunità israelitica. Significa che le singole comunità ebraiche è l’unione di queste, nel diritto italiano hanno personalità di diritto privato, ma on la confessione ebraica, solamente singoli enti esponenziali di questa confessione. Questo vale anche per la tavola valdese, è riconosciuta la sua autonomia e indipendenza, ma la personalità giuridica è attribuita alla tavola e agli enti esponenziali. Questo anche per le chiese avventiste e le assemblee di dio in Italia. -Chiesa luterana: la personalità giuridica sembra alla stessa confessione religiosa con l’approvazione dello statuto che disciplina il funzionamento dei suoi organi sociali. Questo era prima della stipula della intesa con accordo del 61, poi con l’intesa del 93 anche la chiesa luterana ha ottenuto riconoscimento di personalità giuridica di diritto privati di alcuni suoi enti esponenziali. Perché a me fedele interessa avere uno statuto ed essere considerato dall’ordinamento italiano un ordinamento giuridico? Perché possono esserci dei casi in cui io fedele voglio che il mio status o la mia situazione sia riconosciuta anche dall’ordinamento italiano. Questo in generale perché tra ordinamenti giuridici stranieri ci sono 3 criteri di collegamento: Subito dopo viene introdotta l’eccezione “purché non si tratti di esercizi di culto che vadano contro il buon costume” Art. 24: tutela giurisdizionale :“ tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”. Limite di esercizio di altri diritti e limite penale. Lezione V mercoledì 23 ottobre 2019 Art.8 costituzione Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. È un articolo che rappresenta il nucleo essenziale di diritto costituzionale e che fonda anche il diritto ecclesiastico così come: Art.7 (rapporto tra stato e chiesa cattolica); Art. 19 Art.20 L’art.8 è di una logica impeccabile ed essa garantisce la libertà religiosa a tutte le confessioni religiose. Il secondo comma invece tratta delle confessioni diverse dalla cattolica, poiché di questa già aveva parlato nell’art.7. Queste confessioni possono darsi degli statuti, posso darsi una organizzazione che non deve contrastare con quanto affermato dall’ordinamento giuridico italiano, ma possono darsi questa organizzazione. Non si dice che DEVONO organizzarsi ma che POSSONO e si organizzano, al terzo comma, si dice che c’è la possibilità di raggiungere degli accordi con lo stato per mezzo delle relative rappresentanze. Se non sono organizzate le confessioni religiose, queste non avrebbero nemmeno un legale rappresentante per venire a stipulare delle intese con lo stato italiano. C’è quindi alla base un logica intrinseca dell’articolo 8, ancora prima di una logica giuridica. PRIMO COMMA Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Un errore è dire che l’art.8 tratta dei rapporti tra stato e confessioni diverse da quella cattolica, questo è sbagliato. Il primo comma dell’art.8 ci dice che tutte le confessioni religiose sono eugualmente libere davanti alla legge, tutte le confessioni religiose e non quelle diverse da quella cattolica. Saranno poi il secondo e il terzo comma ad occuparsi delle confessioni diverse da quella cattolica, ma il primo comma è il cardine della libertà religiosa istituzionale e che quindi riguarda TUTTE le confessioni religiose compresa quella cattolica. Il primo comma non ci dice che tutte confessioni religiose sono uguali difronte alla legge, Ruffini, professore di diritto ecclesiastico, diceva che trattare in maniera uguale situazioni diverse è altrettanto discriminatorio che trattare in modo diverso situazioni uguali. Il costituente non poteva dire che tutte le confessioni sono uguali davanti alla legge, questo avrebbe significato appiattirle tutte, tutti gli individui sono uguali davanti alla legge ma non le diverse realtà, e così con il primo comma si è garantito un euguale spazio di libertà a tutte le confessioni religiose. Queste ultime possono fare quello che vogliono, salvo il rispetto dei limiti previste dalla costituzione e dalla nostra legge, e tutte allo stesso modo hanno euguale libertà, ognuna si gestisce la propria libertà come meglio ritiene. Garantisce uguale libertà a tutte le confessioni religiose. Si tratta di una euguale libertà che garantisce quello che noi oggi chiamiamo il pluralismo confessionale aperto. L’Italia è uno stato laico pluralista e non è uno stato confessionale, come era con Statuto Albertino, ma garantisce euguale libertà a tutte le confessioni religiose. Possiamo parlare di diritto alla parità di chance di tutte le confessioni religiose e di tutti gli individui senza distinzione alcuna di religione. Questo significa anche che i pubblici poteri devono astenersi dal favorire, propagandare o biasimare i valori di una o più determinate confessioni religiose. Lo stato e la pubblica amministrazione devono rimanere neutrali senza poter entrare nel patrimonio dottrinale delle stesse confessioni. 1. Cosa è una confessione religiosa? Come faccio a dire che quella è una confessione religosa? A noi interessa a livello giuridico la definizione di confessione religiosa, quindi quali sono gli elementi giuridici che ci permettono di dire che quella è una confessione religiosa? Non abbiamo una riposta univoca poiché sono poche le risposte univoche nel campo del diritto. Non abbiamo una definizione legislativa di confessione religiosa. Né l’art.7 riferendosi alla chiesa cattolica, ci definisce che cosa sia la chiesa cattolica, presupponendo la nozione che di chiesa cattolica danno l’ordinamento canonico è l’esperienza sociale, così come allo stesso modo neppure l’art.8 ci dice cosa sia una confessione religiosa. Anche in questo caso dobbiamo rifarci al dato esperienziale. Non è che la costituzione non ci abbia voluto dare una definizione di confessione religiosa, anche i testi legislativi precedenti non ci davano una definizione, anche in questi non troviamo una definizione di confessione religiosa, non facile da individuare. Noi con questo concetto facciamo riferimento a quei gruppi sociali che si qualificano dal punto di vista intuitivo o alla nostra esperienza e che spesso sono molto molto diversi l’uno dall’altro (es. chiesa cattolica e hare krishna, non si sono delle somiglianze). Si tratta di una realtà molto variegata e dai molteplici aspetti. Sicuramente l’art.8 ci da una indicazione, ci dice che per confessione religiosa si intende un gruppo sociale con un fine religioso. Noi dagli art.7 e 8 capiamo che quando la costituzione fa riferimento alla confessione religiosa fa riferimento a un gruppo sociale con finalità religiosa e non fa riferimento ad individui o ad una professione individuale di fede religiosa. La tutela della libertà religiosa è all’art.19, ma la tutela delle confessioni religiose, intesi come gruppi sociali con fine religioso, è all’art.8. Questo comunque non ci aiuta a pieno nella comprensione della norma, sia perché è generico parlare di ‘gruppo sociale’, si fa riferimento alle realtà più disparata, ma anche il termine ‘religioso’ e ‘religione’ non è che abbiano proprio una univocità di significato. Pensiamo alla chiesa cattolica e agli hare krishna o alle confessioni che hanno una concezione trascendete e quelle che hanno una concezione immanentista, c’è molta varietà incalcolabile in materia. Ci sono anche i ‘nuovi movimenti religiosi’ le così dette pseudo religioni, allora ci domandiamo come fare ad individuare dei criteri comuni per individuare un gruppo sociale con fini religiosi. Ci sono dei movimenti religiosi che vengono dall’estremo oriente, altri che vengono dall’America, da una parte abbiamo scientology dall’altra gli h.k o gli altri nuovi gruppi avente delle concezioni trascendentali. 2. Abbiamo anche delle religioni e delle pseudo religioni e quindi come possiamo individuare dei criteri quanto meno comuni? l’Italia essendo uno stato liberale pluralista e laico che non prende quindi posizioni in materia di dottrina confessionale, non ha e non può avere competenza in materia e non può e non deve averla, deve rimanere equidistante da tutte, non può entrare nel merito di una confessione religiosa. A livello giuridico anche alla luce del proliferare negli ultimi secondi dei nuovi movimenti religiosi, possiamo ricostruire dei criteri giuridici affinché possiamo ritenere che se ci sono questi criteri non si tratta di una confessione religiosa. Il Parlamento Europeo il 22 maggio del 1984 ha approvato una risoluzione per individuare i criteri in base ai quali i nuovi movimenti religiosi possono ritenersi leciti. 3. Quali sono questi criteri? Quando posso dire che un nuovo gruppo religioso è illecito? Questi criteri sono molteplici, così come molteplici sono i criteri per individuare quei gruppi leciti. Movimenti che limitano e ledono la libertà personale; Movimenti che prendono dei minori e non li fanno comunicare con la famiglia; Movimenti in cui il capo del gruppo invita ad infrangere la legge i suoi seguaci; Movimenti in cui ci sono delle regole che vietano di abbandonare l’associazione stesso; Movimenti che privano i loro seguaci di tutti i loro beni. Sono alcuni dei criteri individuati dalla soluzione del P.E del 1984 che si basano sul dato esperienziale e che sono stati classificati come illeciti dallo stesso. Ci sono molti movimenti che pretendono di essere considerati dei nuovi movimenti religiosi e che plagiano le persone, soprattutto minorenni, andando ad esempio a privarli di tutti i loro beni, questo è un comportamento illecito. Quando tutti questi criteri previsti dalla risoluzione del 1984 non sono presenti allora il fenomeno sociale non può considerarsi religioso e quindi non possiamo parlare di confessioni religiose. 4. Le confessioni religiose sono ordinamenti giuridici? Nel diritto italiano la chiesa cattolica come è considerata? Per il diritto italiano la chiesa cattolica è un ordinamento giuridico indipendente dallo stato italiano, lo stato italiano riconosce come esterno a se e come originario l’ordinamento giuridico della chiesa cattolica e questo risulta espressamente da art.7 comma 1. Il problema si pone a riguardo per le altre confessioni religiose. 5. E le altre confessioni diverse da quella cattolica? Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano. Si pone un problema per quello che prevede le altre confessioni religiose in relazione all’art.8 comma 2. L’articolo 8 enuncia delle norme che riguardano la struttura della confessione come gruppo sociale e il suo rapporto con lo stato. Le confessioni religiose possono organizzarsi con propri statuti sempre che questi non contrastino con l’ordinamento giuridico. In realtà questa non è una ingerenza perché la norma dice innanzitutto ‘possono’ e non ‘devono’, dunque il fine di questa norma dell’art.8 è di far si che le confessioni, diverse dalla cattolica, quando si organizzano in ordinamento giuridico e quando assumono le sembianze e si trasformano da semplice gruppo sociale a ordinamento giuridico, ossia quando oltre alla plurisoggettività, hanno più persone, hanno anche un minimo di organizzazione e di regole, norme e diritto per dire che si sono costituite in ordinamento giuridico, a questo punto le confessioni diverse dalla cattolica sono riconosciute dal diritto dello stato come ordinamenti. Non garantisco solo il riconoscimento della liceità della loro organizzazione e attività, ma lo stato li riconosce come ordinamenti. Quando si diano degli studi e gli statuti non contrastano con il nostro ordinamento giuridico, queste confessioni sono ordinamenti giuridici. Alcuni in dottrina hanno visto un collegamento con l’art.18 della costituzione, il quale garantisce la libertà di associazione, anche quando abbia fini di religione o di culto, ma associazione e confessione religiosa sono due fenomeni diverse, una cosa è la associazione e un’altra è la confessione religiosa, hanno una struttura diversa. La confessione è ordinamento giuridico, è un fenomeno originato da un impulso organizzatorio del gruppo sociale e non ha bisogno che ci sia un ente o una associazione che lo rappresenti; La associazione invece nasce in seguito a un contratto ed è poi regolata delle norme del codice civile, dagli art.36 e seguenti del codice civile, invece le confessioni religiose trovano la propria tutela e disciplina nel art.8 comma 2 della costituzione. Dunque le due sono diverse sia come disciplina giuridica, sia come struttura interna, in quanto la confessione nasce dall’impulso aggregativo e organizzatorio del gruppo sociale, poi c’è anche una differenza a livello di disciplina. 6. Cosa è la confessione religiosa? Ci sono tante teorie che si basano anche sui dati dell’esperienza e che vengono tratti dalla sociologia. A noi però serve un concetto giuridico. C’è chi dice che si potrebbe parlare di confessione religiosa solo in presenza dell’adesione e del concorso stabile di un detrimento numero di aderenti. Quale numero? Non vale il principio di 3 faciunt collegium. Per qualcuno il criterio da prendere in riferimento è un criterio numerico, criterio di per se molto aleatorio; Per altri si rietine necessario che la confessione religiosa abbia un carattere istituzionale e organizzativo e normativo del gruppo sociale, l’art.8 dicono che possono e non che devono darsi uno statuto, per cui ci potrebbero essere anche delle confessioni religiose non organizzate in maniera strutturata; Altri dicono che il gruppo sociale per essere considerato confessione religiosa deve essere stabilizzato dalla realtà italiana; Per altri si può parlare di confessione religiosa quando un gruppo si sia auto identificato come confessione religiosa. Come se noi ci mettessimo insieme dicendo di essere una confessione religiosa e solo per questo essere così confessioni religiosi secondo questa teoria, basa l’auto identificazione. In realtà ognuna di queste hanno dei loro perché ma hanno anche dei loro limiti e molto probabilmente la nozione che potrebbe essere la più adeguata di confessione giuridica nasce proprio dalla sintesi di tutte queste opinioni. Possiamo infatti parlare di confessione religiosa quando: Abbiamo un gruppo sociale che abbia un fine di religione o di culto; Che ci sia una molteplicità di persone organizzate in un gruppo sociale; Che questo abbia un obbiettivo comune e uno stesso unico interesse che è dei singoli che partecipano al gruppo ma anche del gruppo in se considerato, interesse che quindi è dei singoli ma che trascende l’interesse die singoli. 4 ELEMENTI DELLA CONFESSIONE RELIGIOSA 1.CONCEZIONE PROPRIA ORIGINALE DEL MONDO: Ma queste caratteristiche elencate sopra sono proprie anche dell’associazione, quindi il quid pluris della confessione, per distinguerla dalla associazione, è che la confessione abbia una sua concezione originale del mondo che investe e che riguarda non solo i rapporti tra uomo e dio (2.REGOLAZIONE DEI RAPPORTI TRA DIO E UOMO, dio non solo come essere trascendete ma a volte dobbiamo sostituirlo se ci troviamo a parlare delle concezioni immanentiste) ma anche i rapporti tra gli stessi uomini (3.REGOLAZIONE DEI RAPPORTI TRA L’UOMO E L’UOMO) tra uomo e uomo e che preveda delle regole e una qualche disciplina che regoli il comportamento del singolo che appartiene all’interno del gruppo (4.DISCIPLINA E REGOLAMENTI DEL COMPORTAMENTO DELL’UOMO NEL GRUPPO) Questi 4 elementi descrivono e spiegano la differenza tra una associazione di religione o di culto da una confessione religiosa. La concezione originale del mondo Dobbiamo fare attenzione che abbia un qualcosa di spirituale questa concezione originale del mondo, anche i partiti politici hanno una propria originale concezione del mondo. Il fine religioso deve avere una propria visione del sacro. Si deve fare riferimento per quanto riguarda all’esperienza storia dell’ebraismo, cristianesimo e Islam all’esistenza di un essere trascendente o per le confessioni che si basano sulle concezioni prevalentemente immanentista, si deve fare riferimento comunque ad essa. In base a questo tentativo di definizione di confessione non possiamo allora considerare confessioni religiose né l’ateismo né tanto meno i così detti gruppi dissidenti. mercoledì 20 novembre 2019 IL RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA La norma a cui dobbiamo fare riferimento è l’Art.7 dell’accordo di revisione del 1984 L.222/1985: Come fanno questi enti della chiesa cattolica ad ottenere il riconoscimento in Italia? Art.7 accordo di revisione del 1984 Questo stabilisce che con l’atto della firma del presente accordo, le parti istituiscono una commissione paritetica per formulare le norme da sottoporre alla loro approvazione che devono disciplinare tutta la materia degli enti e dei beni ecclesiastici e poi la revisione degli impegni finanziari e quant’altro. Dunque l’accordo di modificazione stabilisce che ci sarà una commissione paritetica e equini formata da tanti membri nominati da parte italiana e da tanti membri nominati da parte vaticana. Questa commissione c’è stata, ha svolto il suo lavoro e il risultato è quello che noi oggi abbiamo: la legge 222 del 1985. La commissione paritetica è stata nominata nel 1984. L’art.4 del protocollo addizionale prevede che le parti, quindi sia l’Italia sia la S.S, daranno piena ed intera esecuzione al protocollo che all’epoca doveva essere emanato o che doveva contenere le norme che disciplinavano tutta la materia degli enti ecclesiastici e dei beni ecclesiastici. Le parti hanno dato esecuzione, l’Italia con la legge 222 ma anche la SS, anche nello stato Città di Vaticano abbiamo il decreto del segretario di stato del 3 giugno 1985 che è il parallelo di un decreto emanato entro 60 giorni da quando il ministero dell’interno ha ricevuto i provvedimenti canonici di erezione, è cioè i decreti dei vescovi e il decreto della conferenza episcopale, il tutto entro il 30 settembre del 1986; Diocesi e parrocchie presenti sul territorio italiano: anche per queste si è prevista una procedura abbreviata. RICONOSCIMENTO PER ANTICO POSSESSO DI STATO: questa modalità si pone in continuità con quanto visto in relazione al concordato del 1929. Le leggi eversive infatti non avevano toccato questi enti. Questi enti sono a tutt’oggi riconosciuti per antico possesso di stato. Gli enti riconosciuti per antico possesso di stato sono: La Santa sede; Gli altri enti la cui personalità non è stata soppressa dalle leggi eversive; I capitoli; I seminari; Le parrocchie di antica istituzione. RICONOSCIMENTO PER LEGGE: riconoscimento attraverso la legge 222, anche questa è stata una ipotesi di riconoscimento limitata alla legge 222, che all’art.13 ha stabilito che la conferenza episcopale Italiana acquistava la personalità giuridica civile, come ente ecclesiastico, con l’entrata in vigore della stessa legge. Dunque per legge è stata riconosciuta la conferenza episcopale italiana, con la l.222/85. Dunque se in diritto ecclesiastico vi si chiede cosa sia la conferenza episcopale italiana, noi risponderemo che si tratta di un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. ENTI ECCLESIASTICI STRANIERI CHE OPERANO IN ITALIA Ci possono essere enti ecclesiastici congolesi che hanno una sede in Italia e in questo caso non si applica la legge 222 ma si applicheranno le norme del diritto internazionale privato. Per gli enti stranieri valgono le norme che valgono per tutti gli altri enti stranieri, dunque le norme del diritto privato internazionale, salvo che non ci siano dei trattati internazionali che prevedano espressamente e specificatamente una disciplina per quegli enti. Quindi gli enti della chiesa cattolica: se nascono in Italia possono essere riconosciuti o come enti ecclesiastici o come enti di diritto comune; se invece nascono all’estero e vogliono operare in Italia, si applicano le norme di diritto internazionale privato come per tutti gli altri enti e persone giuridiche straniere. MODALITÀ DI ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE È stato ribadito anche nel 2000 da una sentenza del Consiglio di Stato: che oltre al riconoscimento, la legge 222, ha anche previsto le modalità di iscrizione nel registro delle p.g. prevedendo che gli enti ecclesiastici già riconosciuti, cioè devono iscriversi nel registro delle p.g entro 2 anni dall’entrata in vigore della legge 222/85. Alla legge 222 si accompagna un d.p.r del 1987 che ha previsto che al posto del decreto di riconoscimento, alla domanda può essere allegato un attestato del ministero degli interni, perché gli enti che hanno il riconoscimento per antico possesso di stato non avranno un decreto di riconoscimento e quindi il d.p.r. del 1987 ha previsto le modalità esecutive di iscrizione nel registro delle p.g anche per questi enti. mercoledì 11 dicembre 2019 PRELAZIONE PUBBLICA DELL’ACQUISTO DI BENI IMMOBILI A partire dal 1997 sono stati eliminati tutti i controlli sull’attività negoziale degli enti ecclesiastici, e in generale di tutti gli enti in Italia. Tuttavia in realtà un sorta di forma di controllo esiste ancora limitatamente all’attività negoziale per gli istituti per il sostentamento del clero, concretamente lo stato gode di un diritto di prelazione qualora l’istituto per il sostentamento del clero voglia alienare un bene immobile. Il diritto di prelazione è il diritto di essere preferito rispetto ad altri acquirenti, diritto di preferenza stabilito dalla legge o contrattualmente. In questo caso abbiamo a che fare con un diritto di prelazione stabilito dalla legge, un diritto a favore dello stato, del comune, delle università, delle regioni e delle provincie (secondo questo ordine di precedenza). Vi è una scaletta di preferenze. Qual è l’OGGETTO della prelazione? Beni immobili di valore superiore al corrispondete in euro di 600 milioni di lire appartenenti all’istituto del sostentamento del clero. COME si ESERCITA il DIRITTO DI PRELAZIONE? Chi intende vedere il bene sopra descritto deve darne comunicazione al prefetto, determinato le condizioni di alienazione del bene sia la tempistica del bene stesso. Il prefetto lo comunica ai soggetti interessati: stato, comune etc. Qualora lo stato vuole avvalersi del diritto lo comunica al prefetto che lo comunica all’istituto per il sostentamento del clero ed entro 6 mesi dalla comunicazione, va stipulato il contratto definitivo di compravendita. Se lo stato non è interessato, il prefetto lo comunica al comune dove il bene immobile si trova ed esse deve esprimere il suo interesse e così via. Se nessun ente pubblico è interessato, l’istituto alle stesse condizioni proposte agli enti pubblici può vendere il bene liberamente. Qual è la RATIO di questo diritto di prelazione? La ratio non è chiarissima, il motivo potrebbe essere il seguente in quanto sia il più logico: il patrimonio dell’istituto per il sostentamento del clero, deve sostenere i sacerdoti, ma qualora il patrimonio sia insufficiente subentra l’istituto centrale integra il patrimonio del clero diocesano. Il patrimonio dell’istituto centrale è costituito dal gettito dell’IRPEF (8x1000). Questo gettito è utilizzato per il volontariato, opere di carità e altre finalità, in parte per il sostentamento del clero. Per evitare che si depauperi il patrimonio degli istituti diocesani, lo stato effettua un controllo su questi istituti mediante in diritto di prelazione. È un ratio un po’ debole. Quando il DIRITTO DI PRELAZIONE NON SUSSISTE? Qualora il bene dell’immobile sia di valore inferiore a quanto stabilito dalla legge 222/85. Qualora l’istituto per il sostentamento del clero intenda alienare ad un altro ente ecclesiastico (se il bene rimane all’interno dell’ordinamento giuridico ecclesiale). Qualora (prior in tempore potior in iure) ci fossero dei diritti di prelazioni precedenti legale o contrattuale, prevale il diritto antecedentemente stabilito. Due sono i diritti di prelazione legale più importanti: contratto di locazione (conduttore ha diritto di prelazione sul bene immobile che il locatore intenda alienare), solo se il conduttore non lo esercita subentra il diritto dello stato e degli altri enti pubblici; e i terreni agrari a uso agricolo, qualora sia alienato il terreno, il confinante ha diritto di prelazione (se l’istituto per il sostentamento del clero intende alienare un terreno ad uso agricolo, deve prima preferire il confinante). ENTRO QUANTO TEMPO DEVE ESSERE STIPULATO IL CONTRATTO DEFINITO? L’ente pubblico che intende esercitare il diritto di prelazione, deve stipulare il contratto entro 6 mesi dalla comunicazione. COSA ACCADE SE NON VIENE COMUNICATO AL PREFETTO LA VENDITA E VIENE ALIENATO UN BENE A UN TERZO? O SE IL BENE VIENE VENDUTO A UN TERZO A CONDIZIONI DIVERSE DA QUELLA PROPOSTA AGLI ENTI PUBBLICI? La vendita è valida o non è valida? Per esempio il conduttore può esercitare il suo diritto nei confronti dei terzi e chiedere il rilascio dell’immobile: vi è un diritto di riscatto. La legge stabilisce la nullità della vendita e non il diritto di riscatto se non viene rispettato il diritto di prelazione da parte dell’istituto per il sostentamento del clero. La nullità è più efficace del riscatto? Potrebbe sembrare che la nullità sia più efficace, ma in realtà è meno efficace perché non può entrare immediatamente nella proprietà del bene (come nel diritto di riscatto) e poi di fatto la situazione non potrebbe modificarsi, addirittura il terzo l’acquirente può venire in proprietà del bene attraverso l’usucapione (istituto omette comunicazione al prefetto e poi lo stato agisca per la nullità di quella vendita. Il tribunale l’accerta, ma il terzo acquirente può rimanere in possesso del bene perché non vi è diritto di riscatto per i soggetti pretermessi e se l’istituto per il sostentamento del clero non vi ha interesse non rientra in possesso del bene. In fin dei conti c’è la buona fede iniziale, perché c’è il contratto. Il soggetto diventa proprietario a titolo originario con il compimento dell’usucapione). 8x1000 dell’IRPEF Parlando di patrimonio ecclesiastico, gli accordi dell’84 hanno stabilito un nuova modalità di finanziamento delle confessioni religiose. Esso è basato sulle libere scelte dei contribuenti. Lo stato assume che su un parte del getti totale dell’IRPEF equivalente all’8x1000 sia destinata non direttamente allo stato, ma i contribuenti decidono se destinare questa quota alla chiesa cattolica, a un’altra confessione religiosa o allo stato per finalità umanitarie e culturali. Il contribuente può firmare una apposita casella, e contribuisce a formare il gettito totale dell’IRPEF che viene destinato allo stato, alla chiesa cattolica o alle altre confessioni religiose. Se i contribuenti decidono di destinarlo: 70% alla chiesa cattolica, 10% allo stato e il resto alle altre confessioni religiose e quindi dette percentuali dell’8x1000 rispettivamente andranno alla chiesa cattolica, stato e altre confessioni religiose. Cosa succede della quota di 8x1000 non destinata/non decisa (il soggetto contribuente non decide a chi devolvere l’8x1000)? Questa parte viene ripartita in base alle scelte precedentemente effettuata dagli altri contribuenti. Per esempio se rimane il 30% dei contribuenti senza destinazione. Questo 30% viene suddiviso in base alle scelte effettuate dai contribuenti sul 70%: quindi il 30 viene suddiviso con la percentuale che risulta dai contribuenti che hanno espresso la preferenza. Chi decide, di fatto decide anche per chi non decide. Alcune confessioni religiose hanno deciso di non partecipare a questa ulteriore suddivisione nel loro accordo con lo stato. Le confessioni che partecipano a questa ripartizione dell’8x1000 liberamente scelta dai cittadini liberamente, devono indicare e giustificare come destinano i fondi percepiti perché si tratta di fondi statali. Devono giustificare quantitativamente e qualitativamente (utilizzate per alcune finalità specifiche stabilite dai singoli accordi con le connessioni - per la chiesa cattolica con accordo dell’84 e non per tutte le finalità proprie delle confessioni religiose). Anche lo stato deve utilizzare i fondi per alcune finalità specifiche: culturali, caritative e artistiche. Lo stato vede questo contributo come un aiuto all’esercizio della libertà religiosa. Lezione 5/11/2019 Libertà religiosa. Art. 19 cost tutela la libertà religiosa individuale, una sorta di prassi normativa tale per cui viene affermato il diritto e vengono riportate anche le limitazioni all’esercizio di tale diritto. Limiti espliciti: -esercizi non contrari al buon costume. Il nostro ordinamento prevede anche limiti impliciti: -norme penali rilevanti in materia -l’esercizio anche con gli altri diritti, un bilanciamento tra i diritti. C’è anche un limite non riportato esplicitamente che è quello della non contrarietà alla tutela del comportamento nell’ordine pubblico. In nome dell’ordine pubblico la legislazione falsità aveva creato norme restrittive della libertà e tutela della persona, allora il legislatore costituzionale del 46 non volle riportare in maniera esplicita un termine che era a quel tempo gravato di un significato negativo , quindi il termine ordine pubblico rimaneva nelle norme ordinarie ma non era riportato nella legge costituzionale. Va ricordato come il codice penale preveda alcune norme che tutelino in maniera esplicita i diritti che riguardano la religione , il codice penale nel libro secondo possiede un titolo che si intitola “dei delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti”, art. 402 e seguenti cp. Esso tutela in maniera esplicita la libertà religiosa. Queste norme del cp hanno subito profonda trasformazione prima ad opera della giurisprudenza cost, poi ad opera del legislatore stesso, il loro problema nella formulazione era riguardo l’ uguaglianza, nel senso che la loro formazione originale aveva una diversa tutela della confessione religiosa cattolica da quella delle confessioni diverse da quella cattolica. Vi era una disuguaglianza di trattamento . Due atti normativi importanti : NB: Il trattato dell’art. 29 prevedeva che la religione cattolica fosse la religione di stato, le altre religioni erano tollerate. Quindi il trattato riconosce che la religione cattolica è la religione di stato facendo riferimento al principio contenuto nell’art. 1 dello statuto Alberto. Questa norma del trattato no è stata formalmente abrogata, ma sostanzialmente non la si considera più in vigore. Art. 1 protocollo addizionale, prevede che non si considera più in vigore il principio della religione cattolica come sola religione dello stato, ossia l’art. 1 del protocollo pur non abrogando formalmente l’art. 1 del trattato, lo svuota di contenuto affermando che il principio della religione cattolica come unica religione statale, in realtà non si considera più in vigore. La norma esiste ma è svuotata di contenuto. L’Italia quindi non ha una religione ufficiale di stato. Quindi il nostro stato è neutrale rispetto ai rapporti con la religione. Viviamo all’interno di un principio di laicità cooperativa, non oppositiva. Lo stato italiano non ha una una sua religione ufficiale, ha rapporti sia con la religione cattolica, che con tutte le altre confessioni religiose. Questo comporta anche alcune modifiche della legislazione stessa, l’ art. 402 cp che prevedeva che chiunque pubblicamente vilipende la religione dello stato è punito con reclusione fino ad 1 anno. Oggi è stata dichiara Illegittimità costituzionale del 402 per contrarietà al principio supremo di laicità dello stato , con sentenza 508 del 2000 che prevedeva il reato di vilipendio della regione di stato. Il 402 cp non esiste più come norma nel nostro ordinamento. Le altre norme del cp sono state poi riformulate, la corte ha affermato la legittimità di quelle norme e dichiarando che la sanzione deve essere uguale per tutte le confessioni religiose. È intervenuto il legislatore con la legge 85 del 2006 che ha modificato le norme del cp a tutela della libertà religiosa. Ha modificato gli articoli 403 e seguenti del cp (dopo dichiarazione illegittimità del 402): Altri ambiti in cui questo diritto alla libertà si è fatto valere è quello della obiezione di coscienza. Cosa è? È il rifiuto ad obbedire ad una norma posta dall’ordinamento considerata contraria ai propri principi morali. Il cristiano in coscienza deve obbedire alle leggi della cometa civile, tuttavia vi è un limite all’obbedienza, nelle misure in cui queste norme non contrastino con la legge di dio. Qualora lo facciano, il cristiano è tenuto a non obbedire a quelle leggi, deve disobbedire alle leggi civili che sono contrarie alla legge divina. Nel nostro ordinamento , non è riconosciuta la possibilità di non obbedire ad una norma per motivi di coscienza, tuttavia la corte ha affermato che nel nostro ordinamento questo diritto di libertà di coscienza in realtà esiste. Esiste quindi un diritto di obiezione di coscienza nel nostro ordinamento, con alcuni limiti e modalità attuative. Lezione 12/11/2019 Libertà religiosa: Libertà di coscienza : la carta costituzionale, non menziona espressamente, ne contiene riferimenti formali alla libertà di coscienza. Ma nonostante questa essa non rientra tra le libertà costituzionalmente garantite. Parte della dottrina dice che essa è tutelata dall’art. 2 cost, e vede questo articolo come una clausola aperta capace di dare tutela e di elevare a rango costituzionale una serie di diritti che emergono dal nuovo contesto sociale e che si desumono dai rapporti civili, economici ed etico sociali. Anche la corte costituzionale è intervenuta a proposito e ha detto che la lettura sistematica degli articoli della cost 2-3- 19-21 (art. 21: libertà di manifestazione di pensiero), consente di ricavare un insieme di elementi normativi che convergono in un principio unitario che proietta i diritti della coscienza. Non abbiamo mai una sola opinione e quindi a fronte di quanti sostengono questa lettura dell’art. 2 come clausola aperta, abbiamo altri i quali sostengono che la libertà di coscienza è il fondamento di tutte le facoltà che discendono dal diritto di libertà religiosa, e quindi annette la libertà di coscienza alla libertà religiosa. Cosa comporta al tutela della libertà di coscienza? Noi sappiamo già che l’art. 19 ci tutela nei confronti delle nostre opinioni religiose e sappiamo che noi posiamo credere in ciò che più ci piace senza alcun limite, come facciamo però a capire e sapere se si tratta di principi religiosi quelli in cui noi crediamo oppure no? Perché se sono principi religiosi allora abbiamo al tutela del 19, ma se non lo sono dobbiamo vedere se la nostra credenza rientra in qualche altra tutela. Al fine di capire se un principio sia di carattere religioso oppure no, lo stato italiano no può intervenire, in quanto è uno stato laico che ha posizione equidistante da tutte le confessioni, quindi deve mantenere neutralità rispetto ai principi religiosi. Sentire comune: l’insieme della cultura, delle tradizioni e dello sviluppo e comico sociale della tradizione. Quindi rifacendoci al sentire comune , il nostro testo dice che siamo in presenza di principi religiosi e gruppi che professano una fede religiosa, quando questa creda in un essere perfetto e soprannaturale che desideri il bene degli uomini. Per quale motivo il sentire comune italiano dovrebbe portare a questo criterio? Perché da noi c’è la tradizione del cristianesimo, il quale è la religione storica italiana , il cristianesimo crede in un essere soprannaturale che vuole bene agli uomini e vuole il loro bene. Quindi una volta che si è individuato che ci sono principi religiosi, noi gruppo possiamo professarsi senza limiti perché la nostra costituzione non prevede dei limiti formali ed espliciti. Non c’è quindi nemmeno il limite del buon costume , nell’art. 19 se ne parla ma relativamente ai riti, quindi all’esercizio del culto. Il che significa che i principi sono il patrimonio dottrinale di una confessione, quindi in materia di principi io possono anche professare principi contrari all’ordine pubblico e al buon costume, ma nel momento in cui vado ad esercitare il culto non posso porre in essere riti contrari al buon costume. Cosa significa allora? Che la libertà religiosa è garantita senza limiti? Per tutti i diritti e le libertà fondamentali c’è sempre la necessità di un bilanciamento con gli altri diritti e libertà fondamentali. Una confessione religiosa prende sempre dei precetti morali e pratici per i propri aderenti e questi precetti possono formare oggetto di adesione, però poi dal punto di vista pratico possono porre alcuni problemi. Per esempio gli ebrei hanno problemi a giurare, considerano il giuramento una preghiera, quindi giurano con il capo coperto (come quando pregano), questo è un precetto di carattere religioso al quale devono attenersi. Un altro problema è quello della macellazione rituale per ebrei e mussulmani osservanti, essi possono mangiare carne di animali, solo se gli animali sono stati uccisi con un coltello affilatissimo e senza previo stordimento. Per questi precetti hanno pensato le intese ad una norma che preveda accezioni ad hoc. Ma possono esserci anche doveri imposti dall’ordinamento che magari siano contrari a ciò in cui noi crediamo. La corte costituzionale nel 79 aveva dichiarato illegittimità costituzionale della formula del giuramento previsto dal codice del 1930, perché la corte diceva che essa era lesiva della libertà di coscienza del testimone. La formula prevedeva di giurare consapevole della responsabilità che con il giuramento assumerete davanti a dio. Il teste doveva rispondere “lo giuro”. La corte ha dichiarato illegittimo l’articolo dichiarando di aggiungere la formula “se credente”. Ma in realtà non era comunque una soluzione che poteva andare bene a tutti, quindi con l’entrata bin vigore del nuovo codice penale, esso ha previsto al posto del giuramento una dichiarazione di consapevolezza da parte del testimone della responsabilità morale e giuridica assunta. Ma anche in questo caso ad alcuni non è andata bene quindi la questione è stata portata di nuovo davanti alla corte la quale ha modificato il testo del giuramento , il quale oggi recita cosi: “Consapevole della responsabilità morale e civile che assumo con la mia deposizione mi impegno a dire tutta la verità e nient’altro che la verità “ . Il caso del crocifisso risale al 1908, sulla istruzione elementare, provvedimento confermato ancora nel 24 e nel 28. Quando è entrata in vigore la costituzione, il permanere dell’obbligo del crocifisso nelle aule scolastiche viene confermato da una circolare dell’88 e poi ribadito da alcune note del ministero dell’Università e dell’istruzione (MIUR). Sia la dottrina che la giurisprudenza si sono interrogati sulla legittimità di tali norme regolamentari, ci si è chiesti se l’obbligo di esplosione del crocifisso è compatibile con il principio di uguaglianza di tutte le confessioni religiose e cioè con l’articolo 8 , combinato con l’art. 19. Il consiglio di stato nel 2006 ha affermato ,dopo aver ammesso che il principio di laicità è rilevante come principio supremo, che è compatibile l’estensione del crocifisso con il principio di laicità dello stato. Non c’è nessuna contraddizione perché si tratta di un simbolo idoneo a descrivere i valori civili della società. Quindi è da considerarsi prima di tutto un simbolo dei valori della nostra società. La CEDU nel 2009 ha invece detto che l’obbligo di esporre il crocifisso nelle aule scolastiche viola il diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni e viola anche il diritto di libertà religiosa degli alunni, dunque nella scuola quanto meno pubblica è necessario secondo al corte di Strasburgo evitare che un segno esteriore forte di una determinata religione può perturbare dal punto di vista emozionale gli studenti di altre religioni, o quegli studenti che non professano alcuna religione. Salvo poi nel 2011 cambiare idea e sostenere che tale esposizione attribuisce alla maggioranza del paese con tali convinzioni religiose una visibilità preponderante , ma non indica un atto di indottrinamento, perché il crocifisso appeso nelle aule è un simbolo passivo, per cui la corte dichiara che tale simbolo non viola ne il diritto degli alunni ne il diritto dei genitori di educare i figli secondo le loro convinzioni. Consiglio di stato invece , sezione VI, 13 febbraio 2006, numero 556 Sbattezzo: abbandono formale della chiesa cattolica o di altra confessione religiosa che prevede il battesimo come atto di ingresso. L’abbandono formale prevede la richiesta da parte di un fedele di cancellare il proprio nominativo dal registro die battesimi della parrocchia o di apporvi una annotazione che dice che non è più cattolico. A proposito è intervenuto anche il garante per la protezione dei dati personali: nel 99 ha emanato un provvedimento nel quale ha dichiarato che i dati relativi all’avvenuto battesimo non risultano trattati in violazione della legge sulla privacy, dunque i registri tenuti dalla chiesa cattolica non violano la privacy dei fedeli. Il trattamento di questi dati infatti, rientra nelle attività istituzionali della chiesa cattolica che non può essere costretta a tal punto a cancellare dai registri il nominativo del soggetto che lo richieda. Però il soggetto che non si riconosce più appartenente alla chiesa cattolica ha comunque diritto di ottenere l’annotazione della sua volontà a margine del dato relativo all’avvenuto battesimo. Il rappresentante legale della parrocchia (il parroco)quando riceve tale richiesta ha l’obbligo di fare tale annotazione a margine. Quale è il problema fondamentale della obiezione di coscienza? Che c’è una norma precettiva della nostra confessione che ci impone un dato comportamento in contrasto con una norma della società dello stato in cui viviamo che ci impone un altro precetto in contrapposizione con quello religioso . Dobbiamo innanzi tutto sottolineare che affinché il rifiuto di ottenere la prestazione possa essere considerato un caso di obiezione di coscienza , esso deve essere pubblico , personale, individuale e deve avere per oggetto un obbligo di fare. -Pubblico perché la pubblicità del mio rifiuto è condizione essenziale per enunciare l’iniquità dell’obbligo che non voglio adempiere e quindi chiedere una norma o un’eccezione per me. -Individuale perché la scelta di obiettare non può essere di gruppo, ma devo essere io ad assumermi la responsabilità della mia scelta a denunziare l’iniquità dell’obbligo che rifiuto. La dottrina ha distinto libertà di coscienza e libertà di vivere secondo coscienza . La prima è la libertà di assumere qualunque atteggiamento interiore di fronte al problema dell’essere e dell’esistere. La seconda invece è la libertà di conformare la mia esistenza a precetti religiosi etici e politici che discendono dalla mia fede religiosa. Mentre alla prima deve essere riconosciuta la garanzia costituzionale, la seconda non è configurabile come una posizione politica soggettiva perché non è prevista da nessuna norma, quindi essa si potrebbe interpretare solo come criterio di interpretazione o come linea di indirizzo del legislatore per le norme da promulgare. Il legislatore non ha previsto una norma generale per le obiezioni di coscienza, ma ha previsto solo alcune ipotesi di obiezione di coscienza , al di fuori delle quali il rifiuto di adempiere un obbligo è illegittimo, quindi sono passibile delle sanzioni del caso. Ipotesi di obiezione di coscienza previste dal nostro ordinamento : -quella relativa al servizio militare -alla interruzione volontaria di gravidanza : ovviamente tranne in caso di pericolo di vita. -la procreazione medicamento assistita : diritti dei medici di opporsi a tale procreazione. -la sperimentazione animale I cittadini che si oppongono in questi casi alle norme non esprimono un rifiuto illegittimo ma una posizione garantita legislativamente. Vi sono poi alcune forme di obiezione temporanea e assoluta garantite da norme pattizie, in particolare si pensa alla intesa con gli ebrei, che riconosce loro il diritto di osservare il riposo sabbatico secondo le loro usanze, sia che siano dipendenti pubblici o privati, siano essi militari. È questa una ipotesi di diritto soggettivo o di situazione tollerata? Il nostro testo parla in questi casi di diritto soggettivo Influenza e tutela della libertà religiosa nei rapporti tra privati : Per esempio il caso dei rapporti nell’ambito del diritto di famiglia: l’elemento religioso qui è rilevante sia nel rapporto tra i coniugi sia nel rapporto tra genitori e figli, come mai? Ciascuno è libero di credere o non credere. La cassazione si è trovata a dover decidere di un caso in cui una parte fosse passata da una religione ad un’altra e in sede di separazione il marito aveva chiesto l’addebito per questo passaggio. Il giudice della cassazione ha detto che il semplice passaggio non è motivo di addebito della separazione, pero se questo passaggio comporti la violazione dei doveri coniugali o quelli di genitore, allora si che è causa di addebito, perché quei comportamenti non possono essere considerati esercizio della libertà religiosa, ma costituiscono violazioni di doveri coniugali. Al contrario è stata ritenuta causa di addebito l’intolleranza manifestata da un coniuge nei confronti del mutamento di religione da parte dell’altro coniuge . Per quanto riguarda invece i minori, anche nei loro confronti si cerca di tutelare la loro libertà religiosa . Professare una confessione religiosa piuttosto che un’altra o piuttosto che nessuna, non è motivo ne causa di affidamento o non affidamento. Per quanto riguarda affidamento, la cassazione ritiene che il credo religioso dei genitori non può essere considerato come criterio per la scelta dell’affidatario, anche se i genitori cambiano confessione nel corso della loro vita, bisogna sempre guardare esclusivamente all‘interesse morale e materiale del minore stesso. Per quanto riguarda la scelta del minore di aderire ad una fede religiosa in caso di genitori divorziati , se il minore ha più di 14 anni non ci sono problemi, ma se è minore dei 14 banni se non c’è un accordo la giurisprudenza non impone il battesimo e non impone una determinata confessione religiosa. In materia di affidamento della prole, in passato ci si è posti il problema della salute del minore per le trasfusioni di sangue. C’è stato un caso alla corte d’appello di Roma in cui i genitori sono stati condannati penalmente a titolo di colpa, impedendo al figlio di fare le trasfusioni. In altri casi è stato considerato come presupposto per allontanare il figlio dalla casa di residenza. Lezione 13/11/2019 Art. 20 cost.: afferma un principio di uguaglianza, ossia gli enti religiosamente caratterizzati devono avere un trattamento pari a quello degli enti di diritto comune. È un’affermazione del principio di uguaglianza contenuto nell’art.3 della carta fondamentale. Ci si chiede se fosse davvero necessario tale articolo 20. Gli enti religiosi sono già tutelati nella nostra costituzione a prescindere dall’articolo 20, in quanto li tutela anche l’art. 18 e l’art. 3. Allora per quale motivazione è stato redatto dell’art. 20? Sicuramente per una maggiore completezza di tale tutela alla libertà religiosa, tuttavia non è questa l’unica motivazione. Senz’altro c’e’ anche una motivazione di tipo storico, nel secolo 19 furono emanate numerose leggi cosiddette “eversive dell’asse ecclesiastico”, le quali comportavano lo scioglimento degli enti religiosi e l’incameramento del matrimonio di questi enti da parte dello stato. Per potere concludere un contratto o un negozio giuridico era necessaria l’autorizzazione del ministero. Ossia l’ente ecclesiastico per concludere un contratto doveva essere autorizzato a fare ciò dal ministero. Vi erano quindi limitazioni riguardanti la capacità di agire degli enti ecclesiastici, e vi erano norme che riguardavano la stessa capacità giuridica in quanto le leggi eversive sciolsero numerosi enti ecclesiastici. Quindi numerosi beni ecclesiastici furono incamerati dallo stato. Il regno d’Italia aveva quindi esercitato una politica in buona parte anche ecclesiastica , esportando la maggior parte dei beni ecclesiastici e sciogliendogli enti religiosi. Si giustifica cosi l’art. 20 della cost, è una norma che vuole anche evitare che si possano ripetere situazioni come queste. Quindi è una norma nata soprattutto si per motivi storici, ma anche per motivi garantisti. Libertà religiosa degli enti religiosamente qualificati : Secondo requisito : la necessità o evidente utilità dell’ente , la quale deve essere provata dal legittimo rappresentante dell’ente. La necessità e l’utilità vanno valutate secondo i criteri dell’ordinamento canonico. Terzo requisito : sufficienza dei mezzi finanziari dell’ente, cioè è l’autorità amministrativa che valuta ai fini del riconoscimento della personalità giuridica, se l’ente ha i mezzi finanziari sufficienti per svolgere la sua attività. Rende l’attribuzione della personalità giuridica discrezionale. Come avviene il riconoscimento? Le norme sul riconoscimento dell’ente ecclesiastico, (cioè articolo 29 de concordato del 29, legge 848 e Reggio decreto 262) sono una delle prime ipotesi di formalizzazione da parte del legislatore del procedimento di attribuzione di personalità giuridica ad un ente morale. Come avviene questo riconoscimento? Può avvenire in diversi modi: Prima forma: riconoscimento attribuito per legge. Viene cioè riconosciuta per legge la personalità giuridica a intere categorie di enti che hanno adempiuto le condizioni determinate dal legislatore. Seconda forma: per concessione . Attribuzione caso per caso con provvedimento di concessione previo esame dei requisiti di chi richiedeva tale personalità. Terza forma : iter amministrativo “ordinario”. Prevede che è il legale rappresentante che prende l’iniziativa e presenta una istanza per ottenere il riconoscimento della personalità al ministero competente. Abbiamo un rinvio a quegli usi osservati come diritto pubblico. Viene presentata al ministro competete, il quale deve raccogliere il parere del procuratore generale della corte d’appello, dell’economo generale dei servizi vacanti e del consiglio di stato. Alla domanda devono essere allegati il decreto di approvazione e gli altri documenti necessari, cosa dovrà dimostrare l’ente? La fase istruttoria prevede l’acquisizione di questi pareri, obbligatori ma non vincolanti. Ci sarà poi il regio decreto che attribuirà personalità giuridica , attraverso tale decreto di riconoscimento. Ottenere personalità giuridica non è quindi un diritto. Ottenere personalità significa essere un centro di imputazione anche nell’ordinamento italiano. A questo punto l’ente canonico si troverà a poter optare per una duplice scelta: potrà chiedere il riconoscimento come ente ecclesiastico quando vi siano i requisiti visti e secondo il procedimento appena detto. Mettiamo che a tale ente non gli convenga o non glielo diano tale riconoscimento , che cosa fanno in tale situazione? Possono essere riconosciuti secondo le norme del codice civile come un altro tipo di enti. Codice del 1942, il quale non introduce particolari novità, però a differenza di quello del 1865 introduce un’ampia parte dedicata alle persone giuridiche e questo per noi è interessante perché anche noi rientriamo nell’ambito delle persone giuridiche. Dobbiamo notare che gli enti ecclesiastici non sono annoverati nell’articolo 11 c.c., mentre il codice del 65 li elencava . Dal 1930 al 1942 è venuta meno senza alcuna spiegazione. Forse perché si voleva evitare un accostamento, però è comunque una omissione ingiustificata. : mercoledì 20 novembre 2019 IL RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI DELLA CHIESA CATTOLICA La norma a cui dobbiamo fare riferimento è l’Art.7 dell’accordo di revisione del 1984 L.222/1985: Come fanno questi enti della chiesa cattolica ad ottenere il riconoscimento in Italia? Art.7 accordo di revisione del 1984 Questo stabilisce che con l’atto della firma del presente accordo, le parti istituiscono una commissione paritetica per formulare le norme da sottoporre alla loro approvazione che devono disciplinare tutta la materia degli enti e dei beni ecclesiastici e poi la revisione degli impegni finanziari e quant’altro. Dunque l’accordo di modificazione stabilisce che ci sarà una commissione paritetica e equini formata da tanti membri nominati da parte italiana e da tanti membri nominati da parte vaticana. Questa commissione c’è stata, ha svolto il suo lavoro e il risultato è quello che noi oggi abbiamo: la legge 222 del 1985. La commissione paritetica è stata nominata nel 1984. L’art.4 del protocollo addizionale prevede che le parti, quindi sia l’Italia sia la S.S, daranno piena ed intera esecuzione al protocollo che all’epoca doveva essere emanato o che doveva contenere le norme che disciplinavano tutta la materia degli enti ecclesiastici e dei beni ecclesiastici. Le parti hanno dato esecuzione, l’Italia con la legge 222 ma anche la SS, anche nello stato Città di Vaticano abbiamo il decreto del segretario di stato del 3 giugno 1985 che è il parallelo vaticano della legge 222. Quindi sia Italia sia SS hanno dato esecuzione a quanto previsto dal protocollo addizionale all’accordo di revisione del 1984 per disciplinare in modo concorde e univoco tutta la materia degli enti e dei beni ecclesiastici. Poi ci sono state anche altre norme comportamentali. Quali sono oggi in base alle fonti normative viste, le modalità di riconoscimento degli enti ecclesiastici? Oggi dopo l’accordo di revisione concordataria e dopo l’accordo del 1985 abbiamo 4 modalità di riconoscimento di enti della chiesa cattolica in enti ecclesiastici o come dovremmo dire dopo la riforma del III settore: enti religiosi civilmente riconosciuti. Queste 4 sono le uniche forme di riconoscimento per un ente della chiesa cattolica? Queste 4 vengono a sostituire quanto stabilito dall’art.29 del concordato del 1929, ma sono le uniche modalità di riconoscimento degli enti della chiesa cattolica? No. Ci sono anche tutte le altre modalità previste dal codice civile secondo le modalità del diritto comune. Se vengono riconosciuti come enti ecclesiastici sono assoggettati alla disciplina prevista per gli enti ecclesiastici: art.20 della costituzione; legge 22 del 1985 e altre leggi speciali, ma possono chiedere e ottenere, avendo i requisiti, il riconoscimento in base ad altre modalità previste nel codice civile, in questo caso non avremo enti ecclesiastici enti religiosi civilmente riconosciuti, ma enti di diritto civile ai quali sottostanno degli enti della chiesa cattolica e per loro la disciplina è quella del diritto comune, ossia dal cc. 1. MODALITÀ ORDINARIA si tratta di un procedimento ordinario che si conclude con un decreto. È la procedura con cui qualunque ente della chiesa cattolica che voglia ottenere il riconoscimento in Italia deve affrontare e deve seguire. Ci sono anche altre tre modalità previste dalla legge 222 del 1985. La 222 conferiva la competenza ad emettere il decreto di riconoscimento come p.g. agli effetti civili al Presidente della Repubblica, che poi la legge 13 del 1991 non è più un d.p.r, ma un decreto del ministro dell’interno. I requisiti necessari per ottenere il riconoscimento della p.g. agli effetti civili con decreto del Presidente della Repubblica, oggi Ministro dell’Interno, unito con il parere del Consiglio di Stato, sono: Enti costituiti o approvati dalla autorità ecclesiastica; Enti che hanno la sede in Italia; Enti che hanno fine di religione e di culto; Assenso dell’autorità ecclesiastica competente. Il concordato del 1929 prevedeva il parere del Consiglio di Stato obbligatorio ma non vincolante e lo stesso la legge 222, ma ora dopo la legge del 1997, il parere del Consiglio di Stato è facoltativo. Il Ministro dell’interno non ha più un vincolo, egli può emettere decreto di riconoscimento anche senza richiedere previamente il parere del Consiglio di Stato. Le norme parlano dei 4 requisiti che abbiamo visto sopra. Abbiamo 2 requisiti di carattere soggettivo e 2 di carattere oggettivo: REQUISITI DI CARATTERE OGGETTIVO AVERE LA SEDE IN ITALIA; AVERE IL FINE DI CULTO O DI RELIGIONE: l’art.1 parla di fine di religione e di culto. l’art.2 ci dice che sono considerati aventi fine di religione e di culto, per cui si presume che abbiano questo fine senza bisogno di dimostrarlo, queste tre categorie di enti: gli enti che fanno parte della costituzione gerarchica della chiesa; gli istituti religiosi; i seminari. La legge ci dice questo, ma siamo in grado di capirlo senza difficoltà. Per le altre persone giuridiche canoniche e per le fondazioni e in genere per gli enti ecclesiastici che non abbiano la p.g nell’ordinamento della chiesa, il fine di religione o di culto deve essere accertato di volta in volta. La legge 222 ci da anche lo strumento per accertarlo: ci dice quando dobbiamo considerare presente il fine di religione o di culto e di manda, l’art.2, all’art.16 della legge stessa, non senza averci detto che l’accertamento del fine di religione o di culto deve verificare che esso sia costitutivo ed essenziale dell’ente, anche se connesse a finalità di carattere caritativo previste dal fine caritativo. Noi capiamo due cose da questa norma. La norma ci dice che l’accertamento è diretto a verificare che il fine di religione e di culto sia costitutivo ed essenziale dell’ente anche se connesse a finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico. Quali sono le due cose che capiamo da questa norma? Se il fine di religione o di culto deve essere costitutivo e essenziale, significa che non deve essere l’unico fine dell’ente ecclesiastico. Non fine unico ed esclusivo dell’ente; Se dice che il fine di religione o di culto può essere connesso a finalità di carattere caritativo, significa che il fine di religione o di culto non è un fine caritativo, che una cosa è il fine di religione e di culto, e un’altra sono le finalità caritative previste dal diritto canonico. Non si configura con le finalità di carattere caritativo previste dal diritto canonico. Art.16 Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: A) attività di religione o di culto quelle dirette all’esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all’educazione cristiana; B) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro. A. sono le 5 attività che per art.16 lettera A si considerano di religione o di culto. l’art.2 parla di fine di religione e di culto e qua l’art.16 ci parla di attività di religione e di culto, ci da un criterio più oggettivo dato che ci dice quali sono le attività che si considerano di religione e di culto e dalle quale noi desumiamo il fine di religione di culto. B. Ai fini del riconoscimento della p.g. non si considerano di religione e di culto quelle indicate nel art.16 lettera B. Non significa che queste attività non possono essere svolte, pensiamo alle scuole o all’università Cattolica, queste possono essere svolte e vengono normalmente svolte dagli enti ecclesiastici, ma il fine costitutivo ed essenziale, deve essere di religione o di culto. DPR n. 361/2000 Qua si fa riferimento al codice di diritto canonico. Il riconoscimento è concesso su domanda del rappresentante legale dell’ente, su domanda di ci rappresenta l’ente secondo il diritto canonico oppure sempre l’assenso dell’autorità ecclesiastica oppure su diretta domanda dell’autorità ecclesiastica e viene presentata la domanda alla prefettura della provincia in cui l’ente ha sede. Quindi dobbiamo andare dal Prefetto per il riconoscimento degli enti ecclesiastici. Nella domanda si deve indicare: Nome dell’ente; Natura dell’ente; Fini dell’ente; Sede dell’ente; Persona che rappresenta l’ente; Allegare anche le informazioni specifiche della nostra categoria, ossia: Il provvedimento canonico che ha eretto l’ente, lo ha costituito e lo ha approvato, normalmente una copia autentica si presenta; I documenti da cui risulta il fine dell’ente; Lo statuto dell’ente; La struttura dell’ente, salvo che si tratti di enti di cui all’art.2, questo per il fatto che si tratta degli enti per i quali il fine di religione e di culto di presume; Documenti utili per dimostrare la sussistenza dei requisiti generali e speciali stabiliti dalla legge per il riconoscimento. L’atto di assenso dell’autorità ecclesiastica può essere allegato, quindi con un foglio a parte, o può essere scritto in calce alla domanda. REQUISITI DI CARATTERE SOGGETTIVO L’EREZIONE O COSTITUZIONE DA PARTE DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA: lo prevedeva anche art.29 del concordato del 1929. L’ente deve essere della chiesa cattolica e per essere della chiesa cattolica deve essere stato costituito dalla chiesa cattolica o deve essere da questa stato approvato; L’ADESIONE O LA DOMANDA DELL’AUTORITÀ ECCLESIASTICA PER IL RICONOSCIMENTO: cioè la domanda o deve essere presentata direttamente dall’autorità ecclesiastica competente oppure deve avere il consenso di questa. Quindi il rappresentante legale dell’ente, quando questo voglia ottenere il riconoscimento come ente ecclesiastico, deve recarsi dall’autorità ecclesiastica competente e o far redigere alla stessa la domanda o, normalmente il vescovo diocesano fa così, mettere sotto una sigla per approvazione o per consenso. 2. PROCEDURA ABBREVIATA che si conclude sempre con un decreto, oggi si parla di decreto del ministro dell’interno. Questa procedura è stata prevista per ipotesi specifiche della legge 222 del 1985, per cui noi oggi non la possiamo usare a nostro piacimento, questa procedura era prevista per determinate ipotesi e per quelle è stata utilizzata. Oggi non possiamo utilizzare questa procedura perché non è una procedura di carattere generale. Oggi se vogliamo far riconoscere la p.g e volgiamo farla ottenere ad un ente ecclesiastico, dobbiamo seguire il procedimento ordinario. Questa modalità ha riguardato: Iscrizione nel registro delle persone giuridiche: gli enti ecclesiastici devono iscriversi in un apposito registro, il quel fino al 2000 era conservato presso i tribunali, adesso è conservato presso le prefetture. L’iscrizione nel registro ha carattere costitutivo . Per gli enti ecclesiastici l’iscrizione non ha carattere costitutivo, ma ha carattere meramente dichiarativo ossia di rendere noti a terzi le caratteristiche, la natura e la regolamentazione interna dell’ente stesso. Ma cosa succede se i rappresentanti dell’ente stipulano un contratto prima che il decreto sia iscritto nel registro delle persone giuridiche? Il contratto è valido ed efficace tra le parti ma non nei confronti dei terzi, e del contratto rispondono solo gli amministratori (i quali hanno responsabilità patrimoniale i quali ne rispondo personalmente e solidalmente) e non la persona giuridica. L’iscrizione è dichiarativa, ma ha una dichiarazione che ha importanti effetti giuridici. L’ente ecclesiastico è libero di negoziare, però il diritto canonico prevede che questo sia sottoposto ad un controllo della propria attività di tipo economico e patrimoniale. Questo controllo canonico ha una sua rilevanza civile, solo però per quei controlli che risultino o dal codice del diritto canonico o dallo statuto dell’ente. Di conseguenza se l’ente non era iscritto nel registro delle persone giuridiche i controlli canonici non possono avere una specifica rilevanza civile. Soppressione e estinzione degli enti: l’ente ha una sua vita, per cui ha delle variazioni alcune accidentali (es. il cambio di sede da una città ad un’altra) e altre sostanziali (es. traferisce la propria sede dall’Italia agli usa) . -Variazioni Accidentali: l’unico onere che spetta all’ente è di chiedere il riconoscimento civile di quel cambiamento mediante comunicazione al prefetto e tale cambiamento viene iscritto nel registro delle persone giuridiche. -variazioni sostanziali: cambiamento che faccia perdere un profilo e una propria natura all’ente stesso, faccia a lui perdere uno dei requisiti prescritti per il suo riconoscimento. In tal caso si ha un procedimento amministrativo a ritroso, ossia su iniziativa dell’autorità amministrativa italiana e sentita l’autorità ecclesiastica, viene revocato il decreto di riconoscimento. La legge 222 prevede che questa revoca sia di competenza del presidente della repubblica udito il parere del consiglio di stato. In realtà tale competenza di emanare provvedimenti di revoca della personalità giuridica è di competenza del ministro dell’interno e la richiesta del parere del consiglio di stato è meramente facoltativa. L’iniziativa è quindi da parte del ministro dell’interno. Ma vi è ipotesi anche in cui l’iniziativa sia dell’autorità ecclesiastica competente: venendo meno la personalità canonica, deve venire meno anche quella civile. Se la persona canonica viene meno , viene meno anche la sua personalità. Le ipotesi in cui venga meno la personalità giuridica sono due, la soppressione o l’estinzione: Casi di estinzione dell’ente -per adempimento dello colpo -per venir meno del patrimonio -per venir meno del numero minimo legale dei soci Casi di soppressione dell’ente : -l’associazione professa principi contrari alla chiesa stessa. La personalità giuridica dell’ente civile può veni meno qualora la soppressione o l’estinzione, derivi da provvedimento iscritto nel registro delle persone giuridiche. In questo caso si ha efficacia civile di un provvedimento canonico. Mentre nel caso di revoca l’iniziativa del provvedimento è statale, nel caso di estinzione o soppressione l’iniziativa è dell’autorità ecclesiastica. 27/11/2019 Attività negoziale dell’ente: con il riconoscimento come persona giuridica, l’ente acquista una capacità giuridica di agire all’interno del nostro ordinamento. Questa capacità di agire era notevolmente limitata fino al 1997 , con la legge n. 127/1997, la quale era limitata in quanto l’attività negoziale dell’ente era sottoposta ad un controllo da parte dello stato. Di questo controllo abbiamo un chiaro segno nella legge 121/1985, ma anche la legge 122 ci dice che per il riconoscimento degli enti ecclesiastici si applicano le disposizioni delle leggi civili relative alle persone giuridica. Lo stesso per la legge n.121/1985 all’art 7 n. 5. Questo controllo dello stato prevedeva che l’acquisto di alcuni degli enti ecclesiastici era sottoposto ad autorizzazione dello stato, senza la quale tali acquisti erano illeciti. Tali acquisti in questione erano tutti quelli a titolo gratuito di beni mobili e immobili . La ratio dell’autorizzazione era quella di evitare la “mano morta” ovvero evitare che si creassero masse patrimoniali non fruttifere e quindi dannose per l’economia. Per quanto riguarda gli acquisti a titolo oneroso, dovevano essere autorizzati tutti gli acquisti che avevano ad oggetto beni immobili . L’unica attività negoziale che non doveva essere autorizzata era l’acquisto di beni mobili a titolo oneroso, con la conseguenza che si andavano a creare così tante finzioni. Con il passare del tempo ci si abitua al fatto che questa forma di controllo diventava pressoché obsoleta per due motivi: da un lato perché era contraria ai principi costituzionali, ovvero ad alcuni articoli tra cui l’art 41 (l’iniziativa privata è libera…) che dimostra che vi era un limite alla libertà economica; dall’altro vi era anche poi un evolversi dell’economia, assistiamo alla trasformazione del bene mobile in immobile (fenomeno della cartolarizzazione) la quale comporta per esempio che la proprietà venga suddivisa in azioni, quindi anche il commercio di beni immobili viene fatto attraverso compravendita di beni mobili, cioè le azioni. Si arriva poi alla legge 17 del 15 maggio 1997 modificata dalla legge 192 del 2000, tale legge modificata ha abrogato tutte le disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per l’accettazioni di eredità , di legati e di donazioni da parte di persone giuridiche. Lo stato rinuncia cosi al suo controllo sull’attività degli enti ecclesiastici e non. Quindi dal punto di vista del diritto civile non vi è più alcun controllo sull’attività negoziale degli enti, hanno rilevanza solo i controlli canonici. E allora ecco che vi sono due norme, una della legge 121 e una della 222 che ormai hanno perso di significato. Quindi sia l’art. 17 sia il 7 sono norme tutt’ora vigenti ma prive di un contenuto sostanziale in quanto è venuto meno l’oggetto della norma stessa, non esistono più autorizzazioni se non quelle canoniche. Quindi questo significa che determinati atti negoziali previsti dal diritto canonico sono sottoposti ad autorizzazione dell’autorità ecclesiastica competente e tale autorizzazione ha un suo rilievo civile, nel senso che senza di essa l’acquisto non è nullo ma è annullabile. Perché? Perché in questo caso non abbiamo norma imperativa (la quale comporta nullità dell’atto), ma la legge 222 ci dice che il contratto che manca di autorizzazione canonica è annullabile proprio perché non è contrario a norme imperative, ordine pubblico e buon costume (come per la nullità), ma perché l‘ente ha capacità giuridica per concludere il negozio, manca l’autorizzazione che è solo un’integrazione della capacità di agire, ma non è costituiva di tale capacità. L‘ente ha piena capacità giuridica per compiere tutti i negozi, infatti l’atto canonico si chiama licenza che è necessario per la liceità dell’atto, ma non per al sua validità. Se l’ente conclude il negozio senza autorizzazione, questo può essere annullato. Legittimato a richiedere annullamento dell’atto è l’autorità ecclesiastica competente. Se l’atto è concluso senza autorizzazione può essere impugnato, se non viene impugnato è possibile anche una ratifica successiva. L’azione una volta prescritta, comporta che il contratto sia valido ed efficace. I controlli canonici devono essere adeguatamente pubblicizzati, ovvero devono essere conosciuti dall’acquirente, le modalità di pubblicità sono 2: -una presunta : i controlli che risultano dal codice di diritto canonico si presumo conosciuti dall’acquirente. -una non presunta : quei controlli che risultino dal registro delle persone giuridiche . Se ho a che fare con un ente pubblico guardo il codice di diritto canonico, se ho a che fare con una persona privata devo guardare allo statuto dell’ente depositato presso il registro delle persone giuridiche. Nel momento in cui negozio con un ente ecclesiastico, devono verificare l’esistenza dei controlli canonici . L’attività negoziale dell’ente è sottoposta a questi controlli canonici, nel caso non siano osservati il contratto è annullabile. L‘ente ecclesiastico svolge attività di culto e religione enucleate all’art. 16 della legge 222 dell’85, l’art. 15 legge 222 e art. 7 legge 121 dicono che l’ente ecclesiastico può svolgere anche attività diverse da quelle di religione e di culto, attività che però sono sottoposte alle norme ordinarie previste per quel tipo di attività. 3/12/2019 L’ente non ha bisogno di nessuna autorizzazione da parte dell’autorità civil italiana per svolgere le sue attività. L’ente può svolgere anche attività di tipo commerciale? Può svolgere attività di impresa? Si, perché la legge non lo proibisce, la giurisprudenza ha posto alcune condizioni perché l’ente ecclesiastico possa svolgere validamente una attività di tipo commerciale. Quali sono questi limiti? -L’ente può svolgere tale tipo di attività purché non vi sia un libro soggettivo, ma un lucro oggettivo. Lucro vuol dire che vi è un guadagno. Quale è la differenza tra lucro soggettivo e oggettivo? Oggettivo è quando il guadagno non viene ripartito tra i soci, ma viene reinvestito nell’azienda stessa. È sufficiente che il soggetto produca con metodo economico, ovvero il metodo con cui i costi si equivalgono ai ricavi, si può considerare attività di impresa anche se non vi è un guadagno, cioè un lucro . Il lucro non è elemento costitutivo dell’attività di impresa, per l‘ente ecclesiastico il lucro può essere solo oggettivo. Quindi l’ente ecclesiastico può svolgere attività di impresa, a costo che questa sia accidentale e strumentale rispetto ad altra attività dell’ente; poi deve avere tutti gli altri elementi indicati nel codice civile; poi per questa attività di impresa non deve derivare un lucro (guadagno)per l’ente , e se vi è, tale guadagno deve essere reinserito nell’attività di impresa. A queste condizioni l’ente ecclesiastico può esercitare attività di impresa. Tutto questo dve essere quindi strumentale all’attività di culto dell’ente stesso. Le imprese commerciali hanno una loro vita e una loro morte, la loro morte corrisponde al fallimento, che si verifica quando l‘ente non riesce più a rispondere alle richieste dei suoi debitore, quindi i creditori dell’ente esigono dall’ente che non è più capiente, per tanto viene dichiarato fallito. A questo punto, un ente ecclesiastico che esercita attività di impresa può fallire? La legge non dice nulla al riguardo, ma la giurisprudenza di merito ha affermato che l’ente ecclesiastico può fallire, però vi sono dei limiti ai quali l’ente ecclesiastico è sottoposto. Quali sono questi limiti? I creditori possono intaccare il patrimonio dell’ente in quanto tale? Ricordiamo la norma dell’85 che ci dice all’art. 7 che l’ente può svolgere altre attività, ma sempre in maniera compatibile alla finalità di Questi enti. La giurisprudenza così dice che l’attività imprenditoriale dell’ente ecclesiastico può essere sottoposto a procedura concorsuale , tuttavia la tutela del creditore deve essere ponderata con un altro interesse, ovvero quello del mantenimento e della natura dell’ente stesso. Quindi io creditore posso intaccare il patrimonio dell’ente ma fatta salva quella parte di patrimonio ecclesiastico che serve all’ente per svolgere l’attività di culto e di religione. L’entrata che svolge attira di impresa è tenuto ad avere una doppia contabilità: una per l’attività di impresa e una per l’attività ecclesiastica, in modo tale che anche in caso di fallimento sia più facile stabilire quale parte del patrimonio possa essere assalita e usata a favore dei creditori per salvare i loro crediti. ISTITUTI PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO: Legge n.222. Sono degli enti ecclesiastici che non svolgono una attività di culto e di eccezione. L’ente ecclesiastico deve possedere un requisito fondamentale (appena citato sopra) Tuttavia vi è una categoria di enti ecclesiastici che non svolge attività essenziale per il culto: questa categoria di enti sono gli istituti per il sostentamento del clero. Vi è un sinallagma, un obbligo di lavoro da entrambe le parti. La remunerazione invece prescinde dal sinallagma, ovvero prescinde dal concetto di controprestazione e di lavoro subordinato (a cui è legata la retribuzione). Il sacerdote per vivere ha bisogno anche della sua remunerazione per l’attività da lui svolta. Anticamente questa remunerazione avveniva attraverso il sistema dell’ufficio ecclesiastico, ossia vuol dire che è la legittimazione ad alcuni poteri ecclesiastici. Fino a qualche decennio fa, al concetto di ufficio ecclesiastico erta legato quello di beneficio ecclesiastico , ovvero un patrimonio annesso all’ufficio che serviva al sostentamento del titolare dell’ufficio stesso. Quindi la nomina di parrocco alla parrocchia di Sant’Ambrogio, significava che tale parroco era titolare della parrocchia e godeva anche del reddito prodotto dal beneficio parrocchiale. Generale: il concetto di beneficio annesso all’ufficio rischiava di creare disuguaglianze, perché alcuni benefici producevano reddito particolarmente ricco, altri benefici producevano un reddito particolarmente povero. Alcuni vescovi ottenevano così remunerazioni ricche e altri povere. In Italia tutto ciò fu aggravato alle leggi eversive, questo comporto’ un depauperamento dei beni ecclesiastici. Quindi se il beneficio era un patrimonio che produceva un reddito, dopo l’incameramento di beni ecclesiastici da parte del regno d’Italia, il patrimonio prodotto per molti benefici era molto scarso perché il patrimonio era stato depauperato dalle leggi eversive. Per tanto il reddito prodotto era assai scarso. Espropriati i beni ecclesiastici, lo stato italiano si fece carico del mantenimento degli uffici ecclesiastici, in che maniera? Attraverso l’istituto del supplemento di congrua: qualora io stabilisco un limite minimo sotto del quale non si può dire che vi sia un congruo sostentamento da parte del sacerdote, se non si raggiunge il minimo interviene lo stato con un supplemento affinché il titolare di quell’ufficio possa godere del minimo per un dignitoso sostentamento. Questo sistema fu confermato nel concordato del 1929 e di fatto rimase in corso fino al 1984. Il codice di diritto canonico del 1983 fu emanato per sostituire quello del 1917 , il quale prevedeva un’ampia sezione sul patrimonio ecclesiastico e sui benefici ecclesiastici. Ebbene il codice del 1983, modifica radicalmente il sistema di sostentamento del clero, il cui punto principale è l’abolizione dei benefici . Con il codice del 1983 è stato abolito cosi il sistema beneficiale. Di questo prende atto anche il nuovo accordo tra stato e chiesa su enti e beni ecclesiastici. Vengono aboliti anche in Italia i benefici ecclesiastici. Al loro posto vengono eretti degli istituti per il sostentamento del clero, che sono istituti la cui finalità è quella di remunerare il clero che presta servizio a favore della diocesi. Da un lato l’organo di istituzione scolastica ha l’obbligo di porre questa materia e dall’altra lo studente deve scegliere liberamente se avvalersi o meno di questo insegnamento. Viene effettuata una scelta e questa è vincolante una volta effettuata la scelta ha obbligo di frequenza. La scelta vincola per tutto l’anno scolastico, e vincola per tutto l’anno. La scelta deve essere effettuata da chi esercita potestà genitoriale, ma a partire dalla scuola secondaria di 2 grado, la scelta deve essere effettuata dalla studente e deve essere controfirmata dal genitore finché lo studente è minorenne. Lo studente che non frequenta ora di religione è tenuto a frequentare un altro corso? O no? Sentenza n.3 del 1989 sentenza importante ma perché? Non solo perché dichiara legittimità formale dell’ora di religione, ma anche esecuzione del nuovo accordo concordatario. Anche in accordi concordatari si gode di particolare tutela, legge 121/1985 al pari della legge 848 di esecuzione del concordato del 1929 gode di una particolare tutela e pur essendo legge ordinaria hanno resistenza passiva alle abrogazioni o alla delega pari alle leggi di rango costituzionale. Legge del 1971 questo non impedisce lo stesso il loro vaglio alla luce dei principi supremi nell’ooedinamento costituzionale ossia nelle norme fondamentali poste alla base della costituzione materiale. Molte volte non trovano fondamenta e costituiscono humus. Principio supremo quello di tutela costituzionale, ed è principio supremo anche quello enucleato nella sentenza 203 del 1989 cioè quello di LAICITÀ DELLO STATO. ossia la corte costituzionale enuclea per la prima volta un principio supremo di laicità dello stato. Norme costituzionali che potevano essere valutate dai principi supremi dello stato. Principio supremo che non significa indifferenza dello stato di fronte alla religione, ma cooperazione dello stato alle confessioni religiose per poter permettere ai fedeli i diritti riconosciuti dalle carte fondamentali. Laicità cooperativa e attiva. La corte costituzionale ha affermato in maniera chiara le norme che non sono in contrasto con i principi fondamentali della nostra carta costituzionale, e sono illegittimi. La corte ha affermato Bella sentenza che il diritto di scelta è una degli aspetti di libertà religiosa. Lo studente non può essere messo di fronte allo schema dell’obbligazione alternativa. Lo studente non deve scegliere tra religione e un ora di insegnamento diverso, ma la scelta fondamentale è se scegliere o no l’ora di religione. Non ricalca lo schema di obbligazione alternativa. Una volta effettuata la scelta si innesta una seconda fattispecie giuridica, nel senso che se scelgo l’ora di religione diventa obbligatorio frequentarla, si trasforma in obbligatorietà una volta esercitato il diritto di scelta. Se scelgo di non avvalermi dell’ora di religione a quel punto mi trovo dinnanzi ad una triplice possibilità di scelta. Ossia scegliere di frequentare ora alternativa messa a disposizione dell’alternativita delle disposizioni di scuola, può scegliere di abbandonare edificio scolastico o frequentare altre materie alternative. Per abbandonare edificio scolastico è necessaria la volontà dei genitori. Per la corte costituzionale è legittima la disciplina sulla religione contenuta nel nuovo accordo, è legittimo scegliere se avvalersi e meno dell’ora di religione. La scelta non deve caricare però l’orientamento dello scema di scelta. Questo regime giuridico è valido per tutta Italia tranne che per alcune province italiane, ex impero asburgico Belluno, Bolzano e Trento che prevedono ancora antico regime. Il vecchio concordato. Il nuovo concordato fa salva la tradizione per alcuni territori per cui fa parte costitutiva di alcuni territori scolastici, salva la possibilità di dispense. In alcune regioni di confine è mantenuto se pur parzialmente il vecchio regime che prevede obbligatorietà dell’ora di religione, ferma restando la facoltà di dispense. Régime pienamente incoerente con la costituzione, ma perché? Nel caso del regime ordinario la libertà religiosa è realizzata in modo esecutivo. Atto di volontà esecutivo, sia che scelga o meno. Modalità di esercizio della libertà religiosa, comunque è sempre tutelata. Anche nelle regioni di confine e nelle province, la libertà religiosa pur rimanendo è tutelata dalla sussistenza della libertà religiosa. Modalità di organizzazione: L’ora di religione è prevista due ore nella scuola primaria e un’ora in quella superiore. La legge afferma in modo chiaro che l’insegnamento religioso non può essere posto alla fine o all’ultima ora. Regime giuridico dei professori delle scuole di religione: la nomina al consiglio di religione è atto complesso in cui interviene attività ecclesiastica e quella pubblica statale. 12/02/2020 Atto di scelta: il nuovo accordo prevede l’istruzione religiosa nella scuola pubblica come facoltatività, ovvero lo studente ha facoltà di scelta se iscriversi o meno al corso di religione cattolica. L’iscrizione lo vincola tutto l’anno scolastico. DOCENTI DI RELIGIONE CATTOLICA: In questo ambito specifico vi è una sorta di collaborazione fra stato e chiesa, la nomina degli insegnanti di religione non dipende solo dalla chiesa ne dallo stato, ma vi è un atto complesso di nomina a cui partecipano sia l’ordinamento ecclesiale sia l’ordinamento civile. L’insegnante di religione deve essere dichiarato idoneo dalla autorità ecclesiastica competente, cioè dal vescovo. Quindi è necessaria una dichiarazione di idoneità da parte del vescovo. Questa idoneità già presente nel concordato del 1929, è presente anche nel concordato del 1984. Nell’art. 5 del protocollo addizionale si afferma che l’insegnante di religione cattolica è impartito da insegnanti riconosciuti idonei. Quindi come presupposto della nomina vi è la idoneità da parte del vescovo. Accanto a questo la nomina è effettuata dal l’autorità’ civile di intesa con l’autorità ecclesiastica sulla base del presupposto dell’idoneità canonica. Quindi lo stato presuppone che solo al chiesa possa certificare se quella persona abbia una preparazione conforme alla dottrina della chiesa stessa. Distinguiamo due categorie di nomina: Nomina annuale: insegnati di nomina temporanea annuale Nomina nei ruoli dello stato :insegnanti nomina a tempo indefinito Si ricorda la legge 186/2003 che ha istituito il ruolo degli insegnanti di religione, perché fino al 2003 non vi era un ruolo degli insegnanti di religione , erano cioè di nomina annuale, ‘precari”, ogni anno veniva rinnovata la nomina. Con la legge 186 è stata introdotta una importante novità, ossia si è riconosciuta agli insegnanti di religione dignità pari agli altri docenti e che quindi possono essere inseriti nei ruoli dello stato, ossia essere assunti a tempo indeterminato. Il 70% deve essere ricoperto dal personale di ruolo, il rimanente 30% da personale di nomina annuale. La nomina deve essere sempre di intesa con l’autorità ecclesiastica competente. ACCESSO AI RUOLI DELLO STATO: avviene mediante un concorso pubblico in quanto avviene un concorso per titoli ed esami: i titoli rappresentano l’idoneità canonica, mentre la prova di esame consiste in un accertamento della preparazione culturale, generale e didattica de candidato. È quindi un concorso sui generis. Accanto a questo concorso chi lo supera ha diritto ad essere immesso nei ruoli dello stato (nella misura pari al 70%). Si pone però un’altra questione, cosa succede se al docente di religione venga revocata l’idoneità? Continua a rimanere nei ruoli dello stato? Si. Tuttavia non può più insegnare religione cattolica proprio per revoca di idoneità da parte dell’autorità ecclesiastica (idoneità presupposto necessario). Supponiamo un caso di contrazione di esubero: rimango entrambi nei ruoli dello stato a tempo indeterminato. Sul punto anche la CEDU è intervenuta dichiarando che la chiesa ha titolo per revocare l’idoneità e tale non può essere impugnata dinnanzi al giudice dello stato da parte del soggetto ritenutosi leso. Quindi abbiamo insegnanti di religione di ruolo e quelli di nomina annuale, per entrambi la nomina dipende dall’intesa tra le due autorità e la revoca è presupposto della revoca della nomina da parte della autorità scolastica Italia. Il loro concordato prevede una norma abbastanza particolare all’art. 6 protocollo addizionale. Art. 10 n.3. Una idoneità analoga è prevista anche per gli insegnanti di qualunque materia della università cattolica, ossia tutti i docenti dell’unicatt per essere assunto come insegnanti di ruolo devono ottenere gradimento sotto il profilo religioso da parte dell’autorità ecclesiastica competente. Ossia l’autorità deve attestare che il docente ha un profilo coerente con i principi del cattolicesimo a cui si ispira l’università cattolica. L’eventuale revoca del gradimento o non concessione, indica la revoca del l’insegnamento o la non attribuzione nell’universita cattolica. Sentenza 195 del 1972: afferma un principio molto importante inerente al caso in cui è stato revocato il gradimento ad un docente dell’unicatt in quanto professava principi contrari al cattolicesimo. Tale docente ha fatto vari ricorsi ma sono sempre stati respinti dichiarando la ragione dell’Università cattolica , in particolare nell’ultimo caso al corte cost ha affermato la legittimità del comportamento dell’Università cattolica perché in un bilanciamento di interessi tar libertà religiosa e diritto alla identità dell’istituzione, prevale il diritto alla identità confessionale dell’istruzione. L’università cattolica ha diritto ad esigere che al suo interno non vi siano orientamenti contrari al cattolicesimo e chi si iscrive a questa università ha diritto a ricercare anche una sintonia ideologia con questo ateneo, al quale non può essere trovata qualora vi siano insegnanti che vadano contro i principi cattolici dell’ateneo. Insegnanti di religione delle province di confine: sono tutti di ruolo e mai a tempo determinato. Quindi nelle province di Trento, Bolzano e Belluno la nomina avviene tramite inserimento nel ruolo, ruolo non statale ma regionale. Quindi per questi non vi è inserimento nei ruoli dello stato, ma nei ruoli della regione. Anche per loro vale la nomina dell’autorità ecclesiastica e stessi motivi di revoca. 18/02/2020 PREAPPELLO TRA IL 7 E L’8 APRILE, CONFERMATO POI SU BLACKBOARD DEL PROFESSORE. La direttiva n. 78/2000 dell’UE sulla parità di trattamento in ambito occupazionale, prevede da un lato che la religione non possa essere un fattore di discriminazione in ambito occupazionale, da altro lato la direttiva afferma che vi possono essere disposizioni che contemplino una differenza di trattamento basata sulla religione nel caso di attività professionali di organizzazioni religiose la cui etica è fondata sulla religione. Questa differenza non costituisce discriminazione se la religione costituisce un requisito essenziale, legittimo e giustificato per l’esercizio dell’attività lavorativa tenuto conto dell’etica di organizzazione. La normativa può richiedere il gradimento. In definitiva questa non pregiudica il diritto delle chiese di esigere alle persone alle dipendenze un atteggiamento di buona fede e lealtà nei confronti dell’etica di organizzazione. Questo comporta che bisogna distinguere i casi in cui la religione costituisca un fattore essenziale e i casi in cui non costituisce fattore essenziale. Esempi per capire meglio: -Non è legittimo il licenziamento di quelle persone che svolgono ruolo tecnico in cui la religione ha ruolo secondario. -È legittimo invece il licenziamento di un portavoce qualora professi principi contrari alla fede religiosa. Questa direttiva venne recepita dall’ordinamento italiano tramite il d Lgs 216/2003. DIRITTO MATRIMONIALE: Tre modalità che danno accesso alla condizione giuridica di “coniugato”: matrimonio civile . matrimonio concordatario. matrimonio delle confessioni religiose diverse da quella cattolica. 3b. dividendo a loro volta quelle che hanno stipulato intese e quelle che non hanno stipulato intese . iscrizione nei registri civili dei matrimoni civili celebrati all’estero ai sensi della legge del diritto internazionale privato. In Italia la normalità per molto tempo però è stata un’altra, ovvero si prevedeva una sola modalità di accesso e questa modalità fino al 1860 è stata quella religiosa, il diritto civile non considera la possibilità di celebrare matrimonio civile . In Italia quindi non erano riconosciuti i matrimoni delle altre condizioni religiose, l’unico riconosciuto era solo quello canonico/cattolico. Gli altri matrimoni non erano riconosciuti. Il matrimonio civile venne introdotto in Europa nel 1560 nei Paesi Bassi allo scopo di salvaguardare la libertà religiosa. Ogni nazione all’interno della quale vige una particolare religione, segue il diritto religioso proprio di quella nazione. Quindi se l’Italia riconosce il matrimonio cattolico perché cattolica, la svizzera riconosce la religione calvinista perché calvinista, ecc…. L’Olanda a sua volta era una nazione di maggioranza calvinista con forte minoranza cattolica e ebraica, tant’è lo stato riconosceva come unioni legittime solo quelle celebrate secondo la riforma operata da Calvino. Proprio a fronte di queste minoranze, in Olanda si creò per la prima volta un matrimonio civile per salvaguardare le libertà religiose, nel senso che coloro che non potevano sposarsi secondo il rito calvinista perché cattolici o ebrei, potevano sposarsi secondo il matrimonio civile dinnanzi ad un ufficiale di stato civile e lo stato riconosceva quel matrimonio come valido. La chiesa cattolica addirittura riconobbe che il matrimonio civile era valido anche per la chiesa. Questa però era pur sempre un’eccezione limitata ad una nazione (l’Olanda). Il matrimonio civile ebbe maggiore diffusione con i principi propri della rivoluzione francese, in Francia l’unico matrimonio riconosciuto valido da parte del stato era quello civile. Con la rivoluzione del 1792 la legge riconobbe come unico matrimonio valido il contratto civile. Principi che si ritrovano poi anche nel codice di Napoleone del 1804. Per Portalis, quello civile era considerato il più santo di tutti i contratti. Anche il matrimonio civile poteva essere sciolto attraverso il divorzio, cosa che non poteva essere permessa secondo il matrimonio della chiesa. In Italia il matrimonio civile venne introdotto nel 1860. Il legislatore dell’Italia pre unitaria accolse il codice di Napoleone, tranne nella parte in cui riconosceva la celebrazione soltanto civile del matrimonio. Con il 1860 la situazione si inverte, lo stato non riconosce più il matrimonio religioso canonico ne quello delle altre religioni, ma l’unico riconosciuto è quello civile. Con entrata in vigore della codice gli unici matrimoni riconosciuti sono quelli civili. Il codice prevedeva una regolamentazione specifica del matrimonio civile. Tale codice civile italiano però non prevedeva il divorzio , il matrimonio civile era quindi indissolubile, questo faceva si che qualora due persone volessero contrarre matrimonio dovevano sottostare alla duplice celebrazione: religiosa e civile. La situazione si modifica con il 1929 sia per la chiesa cattolica che per le altre confessioni. Per quanto riguarda al chiesa cattolica si conclude il concordato e buona parte di questo era destinato a regolare gli effetti civili del matrimonio religioso. Questa richiesta può essere fatta ma a certe condizioni: -fatta o da entrambi i coniugi o da uno solo con al conoscenza e senza l’opposizione dell’altro -le parti abbiano mantenuto ininterrottamente lo stato libero del diritto civile dal momento della celebrazione del matrimonio canonico a quello della richiesta di trascrizione. Perché? La trascrizione come sappiamo ha effetti retroattivi, per cui se vi fosse stato un matrimonio valido agli effetti civli anche per un periodo determinato della vita degli sposi, nel momento in cui vengono riconosciuti gli effetti civli, si avrebbe un momento in cui almeno uno dei due coniugi sarebbe stato bigamo (sposato due volte). Nel momento in cui il matrimonio canonico, è come se le parti fossero sposate civilmente dal momento della celebrazione del matrimonio canonico, si avrebbe così un momento in cui una o entrambe avessero vissuto in bigamia , perché si avrebbe un momento di accavallamento di status coniugale. La procedura di trascrizione tardiva è analoga a quella tempestiva, si ha un pubblico avviso esposto alla casa comunale, nel quale si attesta che le parti vogliono far acquisire gli effetti civli al matrimonio già contratto. Terminato l’avviso senza che vi sia stata opposizione, l’ufficiale civile provvede a trascrivere il matrimonio canonico nei registri di stato civile. Tale trascrizione tardiva produce effetti retroattivi. Differenza tra iscrizione e trascrizione . Si trascrive il matrimonio perché art. 63 del decreto 262 del 2000 parla di iscrizioni e trascrizioni. La trascrizione ha efficacia esecutiva, è un momento costitutivo, in quanto senza trascrizione non vi è produzione di effetti giuridici. Abbiamo una costitutivita‘ dell’atto di trascrizione stessa, il cui presupposto è la valida e lecita celebrazione del matrimonio canonico. Lezione online 10/03/2020 Matrimonio canonico Efficacia civile della sola celebrazione religiosa, può produrre anche effetti civili. Naturalmente siamo arrivati alla riconoscibilità di tutti i matrimoni canonici. Ci chiediamo se anche queste forme straordinarie di celebrazione possono essere riconosciute agli effetti civili. Celebrata innanzi a testimoni, e ci chiediamo se anche le forme straordinarie ad valitatem, possano essere riconosciute anche in effetti civili in italia. Vediamo i matrimoni canonici non previsti in modo specifico. Matrimonio canonico segreto è celebrato canone 1108 in forma segreta, e si chiamava matrimonio di coscienza. Per motivi ricnosciuti validi si possono sposare le parti senza darne pubblicità. Matrimonio senza pubblicazioni, e non può essere pubblicizzato e pubblicato dopo essere stato celebrato. È annotato in un registro particolare della curia che si chiama registro dei matrimoni segreti. Un matrimonio segreto non può essere trascritto nei registri civili, è incompatibile con la pubblicità richiesta dai matrimoni civili. Non può essere trascritto tempestivamente. Abbiamo solo iscrizione nei registri segreti della curia diocesana. Tala segretezza possa venir meno però e in questi casi ci si chiede, se una volta venuta meno la segretezza possa essere registrato nei registri normali civili il matrimonio. Il prof Bettetini ritiene di si, e che possa essere validamente trascritto con la trascrizione tardiva nel registro. Trascrizione tempestiva ordinaria e avviene entro 24 h da ricezione dell’atto di matrimonio. Trascrizione tardivache si ha ogni qual volta le parti tendano ad assumere effetti civili , successivamente alla celebrazione del matrimonio stesso. Questa trascrizione sia possibile purchè entrambe le parti siano d’accordo. La dottrina, ma anche il volume finocchiaro ritiene che non sia possibile la trascrizione del matrimonio segreto dopo che sia venuta meno la segretezza. Bettetini invece ritiene che sia possibile, quando le parti vogliono avere effetti civili al matrimonio non più segreto. Le parti abbiano fatto richiesta congiunta, o singola ma senza opposizione dell’altra, e che abbiano mantenuto lo stato libero dal punto di vista civilistico. In questo caso si ritiene che possa essere trascritto tardivamente il matrimonio canonico. Abbiamo poi il matrirmonio in periculum mortes: celebrato in pericolo di vita. È un matrimonio in cui la dottrina ha il dubbio se possa essere trascritto. Bettetini ritiene che possa essere trascritto nel caso in cui sia trascritto da adempimento civilistici, accordo atto madama. Duplice copia di doppio o di originale, naturalmente, ritiene che sia possibile qualora omissione di pubblicazione, nel caso il matrimonio in pericolus mortis può essere prescritto sia in caso tardivo che tempestivo qualora finisca pericolo di morte. Trascrizione sia tempestiva che tardiva del matrimonio in pericolo di morte. Il codice di diritto canonico prevede la possibilità che sia celebrato davanti ai suoi testimoni in assenza di prete in caso di periculum Adempimento di vincoli siano celebrati dal parroco, e presuppone che al matrimonio abbia assisto il ministro di culto, che adempie ad una vera e propria funzione di pubblico ufficiale. Il potere di certificazione attribuito dalla legge ai ministri di culto che li rende privati esercenti di pubblica funzione, riguarda matrimoni stipulati in loro presenza e non a quelli ai quali non abbiano assistito e ne siano venuti a conoscenza successivamente. Non sembra quindi rilevante agli effetti di trascrizione un atto di matrimonio a distanza di tempo dalla celebrazione a distanza di tempo dai suoi testimoni e diretto a documentare il vincolo in sede meramente ecclesiastica. Non si può procedere alla trascrizione del matrimonio. Un matrimonio può essere celebrato per procura rimesso per atto pubblico. Non è necessaria la presenza di uno dei due coniugi, che possono essere rappresentanti da un’altra persona. Sia trascrivibile il amtrimonio per procura secondo il prof bettetini, qualora sussistano tutte le ipotesi previste dall’art. 11 codice civile. Cje si tratti di militari o di forze armate, ovvero quando uno degli sposi si trovi all’estero e ricorrano gravi motivi. Al fine della trascrizione non basta la procura canonica, ma occorre che sia rilasciata la procura per atto pubblico. E che le parti abbiano ritenuto autorizzazione, chiamata a valutare la sussistenza dei vari detti motivi. È necessaria anche la procura civile o di autorità all’estero, o dal notaio una volta che l’atto sia tradotto con traduzione giurata da parte di un perito del tribunale. Oppure che vi sia la procura effettuata da attività consolare italiana all’estero. Mediante atto pubblico il matrimonio celebrato per procura può essere trascritto nel registro del matrimonio civile. Questa la forma straordinaria di celebrazione del matrimonio che può essere ritenuta valida agli effetti del matrimonio civile. Lezione 2 online giorno 10/03/2020 Le parti previa dispensa e licenza dell’ordinario del luogo celebrino il matrimonio non in forma ordinaria, ma straordinaria. Caso diverso è il matrimonio celebrato all’estero. Il diritto della chiesa è un diritto universale, che riguarda tutti i fedeli cattolici, in qualunque parte del mondo si trovino. Caratterizzato da principio di personalità. Il matrimonio valido perfettamente per la chiesa a Milano, cosi come a Madrid e in tutto il mondo. In qualunque posto le parti possono celebrare il matrimonio canonico, ed è valido per l’ordinamento canonico ovunque. Un matrimonio canonico celebrato all’estero possa essere trascritto nel registro del matrimonio civile? nelle filippine può essere trascritto il nostro registro civile? La risposta è negativa, ma nonostante la giurisprudenza ha ritenuto che possa essere ritenuto valido. Perché in linea di massima non può essere riconosciuto? Per un motivo molto semplice, le norme del concordato, legge 25 marzo /1985 N.1221, hanno efficacia solamente nell’ambito territoriale in cui si estende la potestà territoriale del nostro stato. Non valgono per i territori non nazionali, ricordiamo ancora una volta, come abbiamo letto nella parte iniziale del corso, che i concordati disciplinano la chiesa e un determinato stato. Un concordato tra santa sede e spagna, vale solo per la potestà spagnola. Un accordo tra Italia e santa sede vale solo per il territorio sopra il quale il governo italiano ha la sua potestà di giurisdizione. Di conseguenza i matrimoni canonici celebrati all’esterno non possono essere trascritti , quindi non è possibile la trascrizione del matrimonio canonico all’estero. Ma ci sono dei casi particolari 1) riguardo abbiamo il caso di quelle nazioni concordatarie come polonia, spagna e portogallo, in cui come nel nostro ordinamento il matrimonio canonico può essere trascritto nel nostro registro dello stato civile e quel matrimonio può ottenere effetti civili. Mentre in altri paesi ad es. Francia. La parte cattolica che vuole celebrare matrimonio e lo vuole vedere anche in senso civile deve svolgere doppia celebrazione come avveniva da noi prima del 1829. Prima del concordato della chiesa. Concordatari del matrimonio canonico, che può essere riconosciuto agli effetti civili. C chiediamo se la legge di quel paese ad es. spagna riconosce il matrimonio canonico come forma valida di costituzione del matrimonio civile, che sarà rilevante anche per il nostro ordinamento, ma questo matrimonio assumerà rilevanza grazie agli strumenti internazionali privatistici. Ossia ciò che viene riconosciuto in definitiva non è il matrimonio canonico produttivo di effetti civili. Il matrimonio canonico produttivo in Francia di effetti civili, NO. Ma sono riconosciuti solo effetti civili, il matrimonio assume rilievo non come matrimonio canonico, ma come matrimonio civile celebrato all’estero. Non è un matrimonio canonico trascritto, ma si riconosce come matrimonio civile all’estero. Non viene trascritto nei registri dei matrimoni civili all’estero, ma viene iscritto. Art. 63 nell’ordinamento civile non ha natura civica di trascrizione, ma ha il carattere meramente probatorio proprio dell’atto civile. Non ha forza civile, ma forza probatoria e certativa degli effetti civili. Quindi non un matrimonio canonico ha effetti civili, ma si riferiscono meramente effetti civili. Abbiamo appena ricordato che la giurisprudenza civile italiana a riguardo ha assunto un aspetto un po compositivo, cioè ha ritenuto che il matrimonio canonico celebrato in paese concordatario sia immediatamente valido agli effetti civili per il nostro ordinamento. Mentre e fin qua nessuna questio, ma ecco che qui si inserisce la giurisprudenza con una costruzione un pò forzata, afferma qualora il diritto straniero non riconosca efficacia civile, e bene il matrimonio canonico potrebbe essere riconosciuto secondo le norme del matrimonio concordatario. Iscrizione nel registro dello stato civile, che ha efficacia probatoria ai sensi delle norme concordatarie. E bene se il matrimonio viene celebrato da un paese non concordatario, la giurisprudenza ritiene che quel matrimonio non costitutivo di uno status civile non civilmente rilevante può essere però trascritto da norme concordaterie allorchè celebrato all’estero. Questa tesi accolta dalla giurisprudenza, atto di matrimonio si redatto da ministro di culto, ma ministro che esercita pubblica funzione e non a caso il nostro ordinamento prevede che i parroci italiani debbano essere di nazionalità italiana. Ossia manca chi può esercitare un potere pubblico, quindi il cittadino italiano non può, supponiamo che il sacerdote che ha celebrato matrimonio in francia sia italiano, ma non può celebrare mdalità identiche a quelle celebrate in italia. Il sacerdote cittadino italiano. Il matrimonio celebrato in francia non può avere effetti civili, a meno che non hanno effetti civili uguali a quelli italiani.