Scarica Aretusa e altre ninfe d'acqua, rifrazioni mitiche della giusta maniera d'amare - Sonia Macrì e più Appunti in PDF di Antropologia solo su Docsity! ARETUSA E ALTRE NINFE D’ACQUA: RIFRAZIONI MITICHE DELLA GIUSTA MANIERA D’AMARE – SONIA MACRI’ Comunque agisca, che sia difesa o offesa, Artemide sa far fronte a tutte le situazioni che mettono a repentaglio la sua purezza, come nessuna fanciulla riuscirebbe a fare. Le regioni del mito, specialmente quelle selvatiche o di frontiera, sono spesso battute da figure maschili in cerca di avventure amorose e da creature femminili che mai vorrebbero piegarsi al loro desiderio. Quello dell’aggressione erotica costituisce il tema di molte occasioni narrative, tutte volte a veicolare la medesima idea: nello scontrarsi delle due prospettive, quella di colui che costringe al legame sessuale e quella di colei che lo rifugge perché imposto, si riflette un atteggiamento realmente condiviso nell’antichità sul piano sociale, relativo al sentimento di reciprocità che deve presiedere l’unione legittima tra uomo e donna. 1. UNA NOTTE, A LETRINI La volta in cui fu Alfeo, personificazione fluviale, a voler strappare la verginità ad Artemide, ella mise in atto uno stratagemma. Vicino al corso dell’Alfeo c’era la città di Letrini con case, templi e un ricordo legato al simulacro di Artemide Alfeia. Alfeo vuole costringere l’amore della dea con la forza; andò a Letrini, a una festa notturna tenuta da Artemide e le sue ninfe; intuendo il piano di Alfe, lei e le sue ninfe si cosparsero il volto di fango cosicché Alfeo non potesse riconoscerla. Così accadde e lui se ne andò fallendo l’impresa. In virtù dell’amore di Alfeo per lei, i Letrinei chiamarono la dea Alfeia. Le due divinità oltrepassano dei limiti in modo simmetrico e contrario: Alfeo travalica il comportamento da tenere in ambito sessuale, Artemide si spinge oltre la definizione di identità ma per legittima difesa, disorientando. Il fango quindi ha una duplice valenza, di protezione preservando l’integrità e di danneggiamento rendendo “cieco” (incapace di distinguere) il dio. Questa diversa condizione evoca una contraddizione. Il fango, nel sentire comune, è latore di una connotazione negativa che si determina nell’atto di “imbrattare”. Il verbo usato è infatti molyno, associato a tutti gli aggettivi atti a restituire una sensazione di qualcosa che diventa scuro. Viene usato per veicolare l’idea di una sezione critica per indicare chi trovi scampo a un pericolo o per indicare chi soggiace a una cattiva sorte ultramondana. Il lessico etimologico bizantino, precisa che gli antichi dicono che quando si vuole oltraggiare qualcuno gli si spalma la faccia con il fango. Colpisce come Artemide non si “macchi” cioè che il fango non ricopre il significato che frequentemente gli viene associato. Qui si vede l’associazione tra fango e sfera dell’oscurità che nasconde. Inoltre il fango rimanda alla condizione in cui l’acqua si ferma e si mescola con la terra, confondendo le due opposte dimensioni di liquidità e solidità. Allo stesso modo Artemide, ricoprendosi con il fango lo personifica e argina Alfeo: egli è incarnazione fluviale e il fango ostacola l’acqua che scorre. 2. QUANDO LE NINFE INSEGNAVANO IL BUON USO DELLA SESSUALITA’ Mito di Alfeo e Aretusa. Era opinione diffusa che il grande fiume del Peloponneso, sfociato in mare giungesse fino in Sicilia per mescolarsi alla fonte siracusana. Convergevano verso questa credenza, innanzitutto il dato della dolcezza dell’acqua di Aretusa a dispetto della sua contiguità con il mare. In età ellenistica Alfeo e Aretusa cessarono di essere solo due corsi d’acqua, riversati l’uno nell’altra e diventarono amanti. In tutti i passi riferiti ai due amanti abbiamo sempre la presenza di doni, condivisione del letto, lo scorrere all’unisono delle due acque. Nondimeno la rappresentazione che ha predominato nel tempo è la variante ovidiana, la quale ha dato al mito l’andamento di una fuga disperata, conseguente a uno spietato inseguimento. Qui l’Aretusa è una vergine cacciatrice che mentre si sta ritemprando nel fiume Alfeo, viene travolta dalla sua furia erotica. Lei sembra una preda al punto che chiama in suo soccorso Diana. Ella agisce nei confronti della sua protetta replicando la tattica dell’”accecamento”. Aretusa viene nascosta dentro alla nebbia e Alfeo le gira intorno senza trovarla. Tutto a un tratto però si mette in moto il meccanismo della metamorfosi. Si inizia a trasformare in acqua e Alfeo ritorna fiume per mescolare la sua acqua a quella di Aretusa. Il suo sentimento di estrema paura la induce a immobilizzarsi. Questa paralisi è qualcosa di passeggero perché il terrore di subire l’aggressione la induce a una soluzione nell’elemento liquido. Infatti ricerche sull’origine mitica dei corsi d’acqua rivela la persistenza del nesso tematico che mette in relazione l’infrazione del codice sessuale e la nascita di una sorgente. Più spesso però, perno di questi racconti sono creature femminili che come Aretusa vogliono mantenersi caste e subiscono le attenzioni maschili. Ovidio parla di questo mentre si riferisce alla ninfa di un corso d’acqua vicino a Ortigia. Si chiama Ciane, ed è spettatrice di un rapimento erotico (Plutone ai danni di Proserpina) e anche vittima dello stesso. La fonte di cui è nume tutelare infatti viene profanata dal rapitore che in essa si apre un varco per portare a termine il suo crimine. Aretusa interviene nell’intreccio per riferire del rapimento cui ha assistito durante il suo viaggio da Grecia a Sicilia, e compare in coppia con Ciane. Quest’ultima rimprovera a Plutone il fatto di aver rapito la fanciulla senza averla prima chiesta in sposa alla madre. Il fatto che Ciane offra la propria esperienza come modello buono da imitare, può essere interpretato sulla base del suo statuto esistenziale. E’ proprio il fatto di appartenere alla categoria delle Ninfe delle sorgenti che ne fa un personaggio in grado di dettare la disciplina dell’amore coniugale e garante del percorso che le giovani donne devono percorrere per adempire al loro ruolo sociale: dalla pratica di una sessualità che si dischiude nella dimensione del matrimonio, fino al momento della procreazione, la “ninfa” umana si avvale della protezione delle Ninfe divine. 3. SORGENTI CHE ETERNANO L’AMORE Accanto a vittime e testimoni abbiamo anche figure femminili animate da una smisurata affezione coniugale. Il mondo greco tramanda la storia di Clite, vedova del re dei Dolioni, che fu eponimo dell’isola di Cizico, dove lo uccise Giasone per errore. Alla morte del marito, la moglie si impiccò e tutte le ninfe la piansero facendo sorgere una sorgente con il suo nome in virtù della sua devozione coniugale. Alla morte del marito lei rimane donna sposata ma non madre quindi teoricamente avrebbe assolto a tutti i suoi doveri in quanto giovane sposa e si toglie la vita. Nel togliersi la vita trasferisce quello stato di coabitazione che è il matrimonio greco sul piano della morte, ristabilendo l’equilibrio che la precoce scomparsa del marito aveva incrinato. Anche Roma riporta il mito di una vedova tramutata in acqua. Si racconta che Numa, di cui si celebrava l’indole saggia e devota, fosse legato d’amore a una ninfa chiamata Egeria. Ella era la sua musa e grazie a lei erigeva templi e istituzioni giuridiche. Alla morte del re si sciolse il lacrime finché la sorella di Febo provandone compassione, le trasformò il corpo in fonte e le membra in onde eterne. Di quale valore simbolico si fa carico la ninfa in relazione allo sviluppo sotto Numa? Agostino leggeva nella coniuge divina una proiezione della prassi dell’idromantica, che il re metteva in atto per conoscere i riti e le regole sa istituire in ambito religioso. Sotto molti punti di vista la ninfa si presenta come l’incarnazione di una sfera esteriore al contesto civilizzato di cui è rappresentante invece il personaggio del re. I testi fanno capire che sull’Aventino avveniva il contatto tra i due e inoltre tra Roma e i popoli stranieri. L’unione tra Numa ed Egeria si configura come proiezione simbolica di una determinata realtà politica e territoriale. Questo lo troviamo anche in altri racconti, dove i personaggi femminili, solitamente ninfe, figurano come espressione di luoghi marginali che attraverso il legame coniugale finiscono per essere assoggettati al centro. La femminilità ha le sue radici nell’esteriore, nel differente ma proprio grazie a questo radicamento e all’alleanza matrimoniale, attraverso essa si opera il passaggio dall’esteriore all’interiore, il passaggio dall’altro al medesimo.