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Aristotele e la Politica: dalla Famiglia allo Stato, Appunti di Filosofia

Teoria politicaPolitica greca anticaStoria della Filosofia Politica

Dell'opera 'La politica' di Aristotele, che consiste in otto lezioni tenute al suo Liceo. L'autore esplora la natura dell'uomo come essere sociale e politico, con una particolare attenzione alla famiglia come unità naturale di base della società. Il testo illustra come l'uomo tende a formare comunità politiche, come famiglie e villaggi, e come queste comunità si organizzano socialmente e politicamente. Viene inoltre discusso il concetto di stato come realizzazione delle potenzialità delle famiglie.

Cosa imparerai

  • Come descrive Aristotele l'uomo in relazione alla società e alla politica?
  • Che argomento affronta Aristotele nella sua opera 'La politica'?
  • Come si organizza una comunità politica secondo Aristotele?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 29/12/2021

giulia-cornella
giulia-cornella 🇮🇹

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Scarica Aristotele e la Politica: dalla Famiglia allo Stato e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! ARISTOTELE E LA POLITICA: dalla famiglia allo Stato L’opera “La politica” di Aristotele è l'insieme di otto lezioni che il celebre filosofo ateniese tenne presso il suo Liceo. Sapete che il Liceo è la scuola filosofica fondata da Aristotele che si contrappone all’altrettanto famosa scuola fondata da Platone, l'Accademia. Dunque ad Atene e poi in tutta la Grecia nascono scuole contrapposte: le Accademie d'ispirazione platonica e i Licei d'ispirazione aristotelica. Per Platone la politica era l'argomento diciamo centrale di tutta la speculazione filosofica; l'obiettivo di Platone è fondare una società di uomini giusti che possono vivere felici. Dunque l’anelito, la via di fuga del platonismo è sicuramente politico. La politica invece per Aristotele è uno dei tanti argomenti affrontati dal filosofo, il filosofo della metafisica, il filosofo delle scienze, ma non per questo è un argomento secondario perché anche per Aristotele la politica è centrale in quanto ha a che fare con il governo, con il buon governo della città, della polis e dunque con la possibilità di essere felici, perché solo dove vi è giustizia vi è la possibilità di felicità — questo un paradigma tipico del mondo greco, di molti filosofi dell'antica Grecia. Otto lezioni dedicate alla politica e tali lezione hanno un punto di partenza in comune, quello che è l'elemento centrale, il fondamento teorico dell'aristotelismo politico, cioè la socievolezza, socialità, la politicità del l’uomo. Secondo Aristotele l'uomo infatti è un “animale politico”, un “animale sociale”. L'uomo per natura tende ad unirsi con altri uomini, per natura produce comunità politica: è distante dunque da quello che sarà in futuro il paradigma hobbesiano dell'uomo lupo, dell'uomo solitario, che solo se costretto si unisce ad altri uomini, solo se è conveniente si unisce ad altri uomini. Per Aristotele invece la politicità è una delle caratteristiche fondamentali dell’uomo, proprio è l'essenza dell'uomo la socievolezza e questo uomo è socievole proprio perché non è fatto per vivere da solo, l'uomo non basta a se stesso, l'uomo non è sufficiente a se stesso; non essendo sufficiente a se stesso si unisce e si unisce in vista del bene, si unisce perché è meglio vivere insieme, perché più vantaggioso vivere insieme, perché è migliore la comunità politica, la vita associata, rispetto alla vita singola dell’individuo. E qual è la prima forma politica, la prima comunità politica per Aristotele? È la famiglia. Aristotele è il capofila di tutte quelle teorie che vedono nella famiglia il nucleo principale, prioritario, originario, primario della politica. La famiglia è il luogo naturale della comunità politica, è la prima naturale comunità politica. La famiglia è un uomo e una donna che si uniscono e si uniscono per procreare, per mettere insieme dei beni, per proteggersi; una famiglia patriarcale in cui l'uomo guida tale famiglia e se ne deve prendere cura, la donna è portatrice ovviamente della vita, ma anche in questo caso emerge diciamo un aspetto interessante dell’Aristotelismo che è il finalismo. Il finalismo è un po’ la via di fuga di tutto l’aristotelismo, cioè: le cose avvengono in vista di un fine, e un uomo e una donna si uniscono in vista di un fine, in vista di una protezione, in vista di una vita migliore rispetto a quella che farebbero da soli. Ma l'unione degli uomini e delle donne che producono nelle famiglie ha un ulteriore fine, ha ulteriore finalità, che è quella di unirsi e dare vita dei villaggi. La prima comunità politica è la famiglia la seconda comunità politica è il villaggio, che è l'unione di più famiglie: più famiglie si uniscono e queste più famiglie che si uniscono avranno già delle regole, un'organizzazione minima del lavoro, della produzione, della sopravvivenza, c'è chi si occuperà della caccia, si occuperà della pesca, ci sono i raccoglitori, le donne che dovranno mettere al mondo figli, accudirli, allevarli, ci sono gli anziani che avranno un ruolo di guida, ci saranno gli esperti poi che si occuperanno magari della medicina, e dunque c'è un'organizzazione sociale e politica: questa è la vita associata, è darsi un'organizzazione ovviamente sociale e politica, ci sono le prime norme, le prime regole, nonché la prima struttura ovviamente di vita associata. Ma il fine del villaggio non è rimanere in sé stesso — un villaggio — ma è quello di andare verso lo stato, che è l'unione di più villaggi. Ecco dunque il finalismo: il telos, il fine ultimo della politica è dare vita allo stato, che l'unione di più villaggi, i quali erano l’unione di più famiglie, e possiamo recuperare i concetti di potenza e di atto aristotelici: l'uomo e la donna in potenza sono la famiglia, la famiglia è l'unione appunto di un uomo e una donna, ma la famiglia in potenza è un villaggio, e il villaggio è la famiglia in atto, cioè la famiglia ha la possibilità di diventare un villaggio e il villaggio è nient'altro che la realizzazione delle potenzialità che erano le famiglie. La famiglia in potenza è un villaggio, il villaggio è la realizzazione della potenzialità che aveva la famiglia; e il villaggio in potenza è uno stato, e lo stato cos'è? Lo stato sono le famiglie in atto cioè la realizzazione delle potenzialità che avevano le famiglie. Dunque il telos, il fine ultimo della politica è la realizzazione di uno stato; ma di quale stato? Aristotele non è un utopista, anzi, è un anti- utopista in questa scelta di una netta divaricazione, una netta differenziazione rispetto a Platone, Platone è il teorico dell'utopismo politico, Platone pensa e teorizza lo stato migliore che possa esistere, il luogo perfetto, il luogo della giustizia, quel governo dei sapienti, dei cittadini e dei guerrieri, che uniti armoniosamente stanno insieme, animati appunto dal bene. Lo stato utopico di Platone invece non teorizzato, rinnegato, destrutturato da Aristotele. La politica non si occupa del migliore degli stati possibili, non deve occuparsi della città perfetta, la politica per Aristotele deve occuparsi della società migliore, ma realizzabile. Ecco il realismo politico di Aristotele: lo stato giusto, ma realizzabile, non lo stato giusto in assoluto. “Utopismo”: società perfetta, la migliore possibile; “realismo politico”: in questo caso la società realizzabile, ma tra quelle realizzabili quella giusta, quella appunto che è edificata, costruita intorno alla giustizia, intorno alla legge, intorno al diritto, intorno alla convivenza, intorno alla possibilità di essere felici dentro questa comunità politica. Ed ecco dunque il finalismo che governa la prospettiva politica di Aristotele. Certo, in Aristotele ci sono degli elementi nelle lezioni di politica oggi, francamente, lontane dalla nostra visione democratica diritti umani e di libertà, almeno dei più, non di molti, perché fondamentalisti, razzisti, autoritari, sostenitori di govemi forti, di discriminazioni sociali, politiche e religiose ce ne sono ancora oggi. Aristotele lo possiamo considerare un padre di coloro che sostengono le differenze razziali, differenze di genere, però dobbiamo collocarlo nel tempo, in 2300 anni fa, in una Grecia sicuramente più aperta rispetto a sultanati e governi autoritari divinizzati dell’epoca, ma pur sempre una scelta di uomini liberi e schiavi, in cui il maschio ha un ruolo politico, economico e culturale egemone, in cui le differenze sociali, economiche, culturali, religiose sono ben marcate. E queste differenze per Aristotele sono naturali, esistono differenze naturali, e le differenze naturali cosa stabiliscono? Le differenze naturali stabiliscono che un uomo sia libero, un uomo sia schiavo, vuol dire che uomini sono per natura propensi a comandare, ad essere liberi, e uomini sono per natura propensi ad essere schiavi, propensi ad essere assoggettati, ad essere guidati, comandati, e così viene legittimata la differenza tra liberi e schiavi: la schiavitù è per natura, è naturale per Aristotele. Gli stoici gli risponderanno che quello che è poi la verità è che non si nasce schiavo, si diventa schiavo. Tutti gli uomini nascono liberi, alcuni uomini sono assoggettati, sconfitti, perché mentalmente più deboli, culturalmente più arretrati [N.d.A. per “più arretrati culturalmente” intendevo ovviamente di conoscenze, magari tecniche scientifiche, ma tutte le culture chiaramente hanno una pari dignità], tecnologicamente più arretrati, ma Aristotele ci direbbe che se è stato sconfitto mentalmente, se è stato conquistato vuol dire che aveva un grado di capacità di conoscenze inferiori, vuol dire che la tua natura l’aveva portato ad essere soltanto lì, ad essere arrivato soltanto lì. Dunque per natura l'uno è destinato a diventare schiavo per natura invece l’altro al comando; e così per natura l'uomo