Scarica ARTE DAL 1900. MODERNISMO, ANTIMODERNISMO, POSTMODERNISMO - riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! ARTE DAL 1900. MODERNISMO, ANTIMODERNISMO, POSTMODERNISMO. Nel 1906 Paul Cèzanne muore nel sud della Francia; con la morte di Cèzanne il Postimpressionismo viene proiettato nel passato storico, con il Fauvismo come suo erede. Dopo la morte di Van Gogh (1890), Seurat e Gaugin, per Matisse e i suoi compagni era urgente fare i conti con tutti loro. In questo contesto, le pennellate atomistiche di Cèzanne (un colore per pennellata, ognuno mantenuto separato) erano ritenute un contributo importante che ribadiva il divieto di mescolare i colori, che era stata la pratica comune durante l’impressionismo. L’assioma cardine del Postimpressionismo, che si deve organizzare la sensazione secondo la celebre di Cèzanne, arrivò dritta a Matisse. Matisse comprese che i quattro postimpressionisti principali avevano tutti sottolineato che per celebrare colore e linea, per valorizzare la loro funzione espressiva, dovevano diventare indipendenti dagli oggetti che rappresentano. Questi artisti mostrarono dunque a Matisse che l’unico modo per affermare questa autonomia degli elementi di base della pittura era prima di tutto quello di isolarli e poi ricombinarli in una nuova sintesi. È il momento per Matisse di mettersi alla guida dei Fauves Fu il soggetto idilliaco a sedurre in particolare Signac: cinque ninfe nude fanno il picnic sulla spiaggia sotto gli occhi della signora Matisse seduta vestita e di una bambina avvolta in un asciugamano. Il Favismo fu tra le rivoluzioni del XX secolo quella meglio preparata ma fu anche una delle più brevi: durò una sola stagione. La maggior parte dei fauvisti si era frequentata per anni e aveva a lungo considerato il più anziano Matisse come suo leader. Matisse fu molto orgoglioso della sua opera “Lusso, calma e voluttà” 1905 ma fu subito sconvolto dalla violenza coloristica dell’opera di Vlaminck. I risultati di questa campagna furono le opere chiave di quello che presto si sarebbe chiamato Fauvismo. Le tele fauve di Matisse, in particolare “Donna col cappello”, dipinto poco dopo il ritorno da Collioure, provocò l’ilarità della folla come nessun’altra opera dall’esposizione dell’ ”Olympia” di Manet, avvenuta nel 1863. Non solo i compagni di Matisse beneficiarono dell’improvvisa fama, ma l’idea che egli fosse alla testa diventò un modello. Il 1905 segnò il momento in cui finalmente portò a termine la sintesi delle quattro vie del Postimpressionismo che lo avevano incantato e preparò il terreno per il suo sistema, la cui prima manifestazione pittorica pienamente matura sarebbe stata “La gioia di vivere”. Roger Fry (1866-1934) e il gruppo di Bloomsbury Il sostenitore più appassionato della pittura francese d’avanguardia nel mondo anglofono del XX secolo fu l’artista e critico inglese Roger Fry. Fu lui che con la sua mostra su Manet introdusse per primo i Postimpressionisti. Fry fu uno dei più importanti membri del Gruppo di Bloomsbury, una comunità di artisti e scrittori nella Londra del primo decennio del XX secolo che includeva la scrittrice Virginia Woolf. Il sistema di Matisse Ciò che colpisce innanzitutto nella produzione fauve di Matisse è il progressivo abbandono della pennellata divisionista. Matisse mantenne l’uso del colore puro e l’organizzazione della superficie pittorica attraverso i contrasti di coppie di complementari ma abbandona il tocco puntinista e la pennellata costruttiva. Altri importanti caratteri del Postimpressionismo vennero invece convocati: da Gaugin a Van Gogh le stesure piatte e non modulate di colore non mimetico e i contorni spessi dotati di ritmo proprio. Lavora molto su tutte le zone del quadro insieme e distribuisce i contrasti di colore in modo che echeggino in tutta la superficie. Nella “finestra aperta” forse la tela fauve ora più celebrata, è facile cogliere le coppie di colori complementari che la strutturano e costringono il nostro sguardo a non Lusso, calma e voluttà La finestra aperta fermarsi mai su nessun punto. Ciò che conta di più con i colori sono i rapporti. Grazie ad essi e solo grazie ad essi un disegno può essere intensamente colorato senza bisogno di colore reale. Un parricidio in pittura La gioia di vivere, il quadro più grande e ambizioso che aveva dipinto da tempo, costruì l’unica sua opera presentata al Salon des Indèpendants del 1906. Matisse progettò con cura la sua composizione nel modo più accademico, stabilendo dapprima la scena a partire dagli abbozzi realizzati e poi disponendovi, ad una ad una, le figure o i gruppi di figure che aveva studiato separatamente. Non erano mai state usate superfici di colore puro su così vasta scala, con tanti violenti urti di toni primari; mai contorni così spessi, mai anatomie erano state così deformate, corpi fusi l’uno nell’altro come fossero di mercurio. Al di là della fantasia delle ninfe che si divertono il quadro ha un risvolto oscuro. Perché se il genere pastorale a cui la tela si riferisce stabiliva un legame diretto tra la bellezza fisica, il piacere visivo era anche basato su in solito ancoraggio della differenza sessuale, qualcosa che sconvolge. Il pastore col flauto, l’unica figura maschile del quadro, era stato precedentemente concepito come nudo femminile; gli attributi sessuali maschili sono stati soppressi. Il culmine di questo attacco sadico al corpo è fornito dalla coppia che si bacia in primo piano, due corpi di cui uno di sesso indeterminato - virtualmente fusi come un’unica testa. L’immagine fa apparire una serie di pulsioni sessuali contraddittorie corrispondenti alla sessualità polimorfa infantile scoperta da Freud (narcisismo, autoerotismo, sadismo, esibizionismo). I danzatori di “la gioia di vivere” celebrano la caduta definitiva dell’autorità temuta, quella del canone accademico introdotto dalla Scuola di Belle Arti. 1907 Con le incoerenze stilistiche e gli influssi primitivisti di “Les Demoiselles d’Avignon”, Pablo Picasso lancia l’attacco più formidabile contro la rappresentazione mimetica. “Les Demoiselles d’Avignon” è diventato un mito, un manifesto dell’arte moderna. È soprattutto un’opera sullo sguardo, sul trauma generato da un appello visivo. Il quadro non ebbe quasi pubblico per trent’anni. Nel 1937 venne portato immediatamente a New York, venne acquistato dal Museo d’Arte Moderna, dove diventò il pezzo più prezioso del museo: fine della vita privata di Les Demoiselles. Alfred H.Barr iniziò il processo di canonizzazione di Les Demoiselles. La visione di Barr non venne mai contrastata fino al 1972 non apparve il testo di Leo-Steinberg (nato nel 1920) il bordello filosofico. Nessun testo precedente ha fatto tanto per cambiare lo statuto di Les Demoiselles e tutti gli studi seguenti non sono che sviluppi di esso. La discrepanza stilistica tra la parte sinistra e quella destra del quadro era vista come dovuta al rapido spostamento di interesse di Picasso dalla scultura iberica arcaica che lo aveva affascinato fino al 1906, all’arte africana, con cui aveva infine avuto un nuovo impatto durante una visita al Museo etnografico del Trocadèro in piena elaborazione. Nel suo primo stato la composizione consisteva di sette figure disposte in una sistemazione teatrale derivata dalla tradizione barocca, con gli usuali tendaggi aperti sulla scena. Al centro un personaggio vestito da marinaio è seduto tra cinque prostitute, che voltano tutte la testa verso un intruso, uno studente di medicina che entra sulla sinistra con un teschio in mano (in alcuni studi sostituito da un libro). Nella versione finale, ha scritto Barr, tutte le implicazioni di un contrasto morale tra virtù (uomo con il teschio) e vizio (uomo circondato da cibo e donne) sono state eliminate a favore di una composizione puramente formale di figure, che diventa sempre più disumanizzata e astratta. Picasso aveva sì abbandonato il memento mori allegorico ma non le tematiche sessuali del dipinto. Inoltre la mancanza di unità stilistica di Les Demoiselles non era un risultato della fretta, ma una strategia deliberata: fu una decisione presa in seguito ma in accordo con l’eliminazione delle due La gioia di vivere Les Demoiselles D’Avignon 1910 La danza II e la musica di Henri Matisse vengono censurate al Salon d’Automne di Parigi: in questi quadri Matisse porta all’estremo il suo concetto di decorazione, creando un vasto e coloratissimo campo visivo difficile da guardare. Ricevette un responso negativo ad entrambe le opere.piuttosto che adattare il suo stile alla nuova commissione , Matisse fece una grande scommessa, portando all’estremo le sue caratteristiche, cioè la profusione decorativa. Un’”estetica dell’accecamento” Sia “Natura morta sivigliana” che “natura morta spagnola” sono opere difficili da guardare: chi le guarda non può fissarle a lungo a causa dei pullulanti arabeschi e dei lampi di colore intenso. Questi dipinti sembrano cambiare davanti agli occhi. Fiori, frutta e vasi scoppiano come bolle che si dissolvono nell’intricato e vorticoso sfondo non appena si cerca di isolarli. Ora paragoniamo questa turbolenza con “La musica”. Quando si è di fronte agli oltre dieci metri quadrati saturi di colore e al fregio dei suoi cinque musicisti distribuiti sulla superficie, ancora una volta ci si imbatte in un’aporia percettiva: o si prova a guardare le figure ad una ad una e non si riesce a farlo a causa del richiamo del colore puro del resto della tela; oppure , al contrario, si cerca di gettare uno sguardo sul vasto sfondo e allora non ci si può sottrarre alle vibrazioni ottiche causate dalle forme rosse delle figure contrastanti con lo sfondo blu e verde che deviano lo sguardo dal campo visivo. Figure e sfondo si annullano l’un l’altro e la nostra vista finisce offuscata, accecata per eccesso. Questa è l’estetica dell’accecamento. Matisse risponde al più giovane Picasso Intorno al 1908 si ebbe la competizione con Picasso. Nell’autunno del 1907 aveva visto Les Demoiselles d’Avignon, la risposta diretta di Picasso ai suoi “la gioia di vivere” e Nudo blu. Il quadro aveva messo a disagio Matisse, tra l’altro perché aveva portato il primitivismo più avanti di qualsiasi suo tentativo precedente e doveva dunque rispondere. La sua prima risposta fu la grande tela “Bagnanti con la tartaruga”, una delle sue opere più oscure e misteriose (il primitivismo del nudo in piedi nel centro è stato notato da tutti i commentatori.) . Il quadro non è la rappresentazione di una scena bucolica, né un’allegoria. Non si capisce il motivo delle loro azioni, si lascia che lo spettatore rifletta sull’espressione enigmatica del nudo in piedi o della sua vicina seduta. Ma nessun indizio è fornito dal contesto. Un paesaggio insignificante ci sta davanti, un mondo inabitabile in cui non siamo stati invitati. Il passo successivo fu “Armonia in rosso”, la prima realizzazione completamente riuscita di quello che sarebbe diventato il programma pittorico di tutta la sua vita. Una superficie così tesa che il nostro sguardo vi rimbalza sopra. Dopo ciò non ci sarà più richiesto di guardare ad una azione da una certa distanza, ma saremo confrontati a una parete dipinta che impone su di noi la saturazione dei suoi colori. Oggi il tipo di aggressività incarnata dalla sua arte è velata. Ciò che diventò evidente fu che la concezione di decorazione di Matisse apparve all’epoca come uno schiaffo in faccia alla tradizione, sia a quella della pittura che a quella del guardare. Decorazioni ipnotiche Il colore particolarmente forte era ovviamente una delle cause principali delle critiche, ma non avrebbe forse avuto quell’impatto se le opere non avessero avuto quelle dimensioni. Il principio dell’arte di Matisse è ”un centimetro quadrato di blu è meno blu di un metro quadrato dello stesso blu”. Come Les Demoiselles di Picasso, questo quadrato è cominciato come scena generica: cinque musicisti (tra cui una donna) si guardano interagendo. Nella tela finale le figure, ora tutti uomini, sono sottoposte alla stessa rotazione di novanta gradi che Leo Steimberg ha notato nel quadro di Picasso. Matisse stesso si disse spaventato da quello che chiamò “il silenzio” di questa tela: in contrasto con il movimento irrequieto di La Danza II, in La Musica tutto sembra paralizzato. I buchi neri delle bocche dei tre cantori sono senza dubbio inquietanti (indicano quasi più la morte che il suono). Descrisse invece le figure di “la musica” come uomini-lupo ipnotizzati dalla melodia primordiale dei primi strumenti. Meno frenetiche delle tele di La danza Armonia in rosso Siviglia, e molto più grandi, esplorano lo stesso universo isotropico in espansione. In “la natura morta con melanzane” la ripetizione pulsante del motivo floreale che invade pavimento e pareti e sfuma la loro stessa demarcazione, il riflesso nello specchio che mescola coloristicamente il paesaggio fuori dalla finestra e confonde i livelli di realtà; e le pose delle due sculture che rimano con gli arabeschi del pavimento. Le tre melanzane che danno il titolo all’opera sono nell’esatto centro della tela. 1911 Pablo Picasso restituisce le teste iberiche prese in prestito al Louvre, trasforma il suo stile primitivi sta e insieme a Georges Braque inizia il Cubismo analitico. Il giovane furfante Gèry Pieret chiedeva regolarmente agli artisti e scrittori amici di Apollinaire se volevano qualcosa dal Louvre. Lui intendeva proprio il museo, dal quale aveva già rubato alcuni oggetti nelle sezioni meno frequentate. Pieret offrì due teste iberiche arcaiche a Pablo Picasso e “ le teste di Pieret” divennero le basi per i tratti dei tre nudi sulla sinistra di Les Demoiselles d’Avignon. Lo sviluppo dell’analisi Alla fine del 1911 la distanza artistica che separava Picasso dal primitivismo a cui le teste erano state di ispirazione era ormai grande. Analisi fu la parola applicata anche alla frantumazione della superficie degli oggetti e alla loro fusione con lo spazio quando Daniel-Henry Kahnweiler scrisse il primo resoconto attendibile del movimento, “l’ascesa del Cubismo” 1920. Così il termine analitico venne legato al Cubismo e “Cubismo analitico” divenne la rubrica sotto cui mettere la trasformazione che Picasso e Braque avevano realizzato nel 1911. Guardando a qualsiasi opera della fase analitica del Cubismo per esempio Daniel-Henry Kahnweiler di Picasso del 1910 o il “Portoghese” (l’Emigrante”) di Braque del 1912 si notano molte caratteristiche importanti. Il quadro di Braque è tutto ocra e terre come una fotografia virata in seppia; quello di Picasso è argento con riflessi di rame; vi è un estremo appiattimento dello spazio visivo. Data la sua propensione per la geometria ad avere determinato l’appellativo di cubista. Esso consiste in piani poco profondi posti più o meno paralleli alla superficie del dipinto, la leggera inclinazione resa con chiazze di luce e ombra tremolanti sull’intero campo. Sia i critici che gli scrittori tentarono di giustificare questo allontanamento dal realismo sostenendo che ciò che l’osservatore ricavava era un maggiore e non una minore conoscenza dell’oggetto rappresentato. Facendo notare che la visione naturale è limitata in quanto non possiamo mai vedere per intero l’oggetto tridimensionale da ogni punto di vista(il massimo che vediamo di un cubo per esempio sono tre facce) , sostenevano che il Cubismo superava questo handicap rompendo con la prospettiva unica per mostrare simultaneamente fronte e retro. Le leggi della pittura in quanto tale Kahnweiler, che aveva esposto nel 1908 i paesaggi di Braque che avevano dato nome al Cubismo (il critico giornalista Louis Vaux-celles scrisse ce Braque aveva ridotto “tutto a figure geometriche, a cubi”), usò un argomento molto diverso riguardo al Cubismo. Egli comprese la logica di bandire il colore dall’analisi cubista e di risolvere in parte il problema utilizzando l’ombreggiatura contro la sua stessa natura, creando cioè il minor rilievo possibile affinché il volume rappresentato sia molto più conciliabile con la bidimensionalità della superficie. Spiegò inoltre la logica di rompere l’involucro dei volumi chiusi per annullare i vuoti tra i bordi degli oggetti e proclamare così la continuità inviolata della superficie della tela. A partire da Les Demoiselles fino all’invenzione del collage nel 1912, il critico americano Greenberg vide il Cubismo analitico come la fusione crescente di due tipi di bidimensionalità: quella rappresentata, per cui i piani inclinati spingono gli oggetti frammentati sempre più a ridosso della superficie,e quella letterale della superficie stessa. Una montagna da scalare Ora che i nostri si sono via via abituati ai vari gruppi di dipinti, siamo in grado di notare le differenze tra le opere dei due artisti, la grande attenzione per la trasparenza in Braque e la qualità più densa e tattile di Picasso, sottolineata dal suo interesse per le possibilità scultoree del Cubismo. Picasso si interessò molto sull’effetto di separazione delle ultime opere di Cezanne, come quando in molte nature morte gli oggetti sul tavolo sono sospesi nello spaio visivo mentre il pavimento su cui sta il tavolo, avvicinandosi alla posizione del pittore e dell’osservatore , sembra proseguire sotto i nostri piedi. In nessun’altra opera questa disgiunzione tra visivo e tattile è così assoluta e così sinteticamente espressa come in “Natura morta con sedia impagliata” 1912. Incollando una corda intorno a una tela ovale, Picasso creò una piccola natura morta che sembra allo stesso tempo inserita nella cornice scolpita di un normale quadro e composta sulla superficie di un tavolo ovale. 1914 Vladimir Tatlin realizza le sue costruzioni e Marcel Duchamp propone i suoi readymade. Gli anni 1912/14 furono molto importanti per l’avanguardia. Nuove forme di oggetti come la costruzione e il readymade sfidarono la scultura figurativa e la stessa centralità del corpo umano, sostituita ora da nuove esplorazioni dei materiali industriali e dei prodotti commerciali. Questi sviluppi furono interni all’arte moderinista, come la crescita dell’industrializzazione e della mercificazione della vita quotidiana. Le prime costruzioni di Tatlin precedettero la Rivoluzione russa del 1917. “Ciò che accadde dal punto di vista sociale nel 1917 era stato realizzato nel nostro lavoro di pittori nel 1914, quando materiali, volume e costruzione furono assunti come fondamenti”. Il readymade e la costruzione vanno piuttosto visti come risposte complementari a due sviluppi complessi: primo, Duchamp e Tatlin stavano rispondendo in diversi modi a una crisi della rappresentazione segnata dal Cubismo; secondo, quella crisi aveva rivelato una verità sull’arte borghese, sia accademica che d’avanguardia, a cui i due artisti pure volevano rispondere, e cioè di essere considerata autonoma, separata dalla vita sociale, istituzione a sé. Il materiale detta la forma Tatlin era nato nella città ucraina di Khar’kov da madre poetessa e padre ingegnere esperto in ferrovie americane. Il suo lavoro era orientato dai poli parentali di poesia e ingegneria e diretti dal suo acuto senso per i materiali artigianali. Già le sue prime figure monumentali si aprono però una strada verso la superficie bidimensionale in un modo che allude più agli antichi quadri russi che a quelli dei cubisti contemporanei, non solo alle stampe popolari famose nell’ambiente cubo-futurista, ma anche alle icone religiose, la cui tavolozza scura, l’applicazione della pittura e la materialità pura piacevano a Tatlin. Ricordiamoci delle icone; sono decorate con aureole di metallo,cornici , frange e rivestimenti; il quadro stesso è decorato con pietre preziose e metalli. Nelle sue costruzioni Tatlin voleva dirigere l’osservatore a una realtà immanente dei materiali. Infatti usò l’icona russa come Picasso aveva usato la maschera africana: come una testimonianza del suo sviluppo analitico dei precedenti modernisti. In “selezione dei materiali: ferro, stucco,vetro,asfalto” Tatlin è ormai alla soglia del Costruttivismo. La cornice rimane, ma i materiali non sono più assemblati pittoricamente. Un triangolo di ferro di proietta nello spazio, in contrasto con una bacchetta di legno disposta ad angolo sulla superficie di stucco; sopra e sotto vi sono due ulteriori giustapposizioni di metallo curvato e vetro ritagliato. Per lui, il legno lavorato era quadrato e piano, e così suggeriva forme rettilinee; il metallo poteva essere ritagliato e curvato, e così suggeriva forme curve; il vetro era un po’ tra i due, con una trasparenza che può mediare tra superfici interne ed esterne. Dopo il 1914 Tatlin adottò il termine “controrilievo”. Se i primi rilievi pittorici andavano oltre la pittura, così i nuovi contro rilievi , che aggettavano dalla parete, andavano oltre i rilievi pittorici. Questi controrilievi ad angolo erano complesse costruzioni di superfici di metallo, squadrate e curve, perpendicolari e angolari. Non pittura, né scultura o architettura, essi erano contro le tre arti e attivavano materiali, spazi e spettatori in modi nuovi. I controrilievi anticipavano la nozione costruttivista di costruzione che, in opposizione all’occidentale “composizione”, sottolineava l’intervento attivo più che la contemplazione passiva. A venire sviluppata era anche la terza nozione del Costruttivismo, la stratificazione, ovvero il legame dialettico della sperimentazione formale costruttivista con i principi comunisti di organizzazione socio-economica. Opere d’arte senza artista Il circolo aveva cominciato a volgere il cubismo in dottrina nel 1912 quando Duchamp vi si ritirò dopo il rifiuto del suo “Nudo che scende le scale n.2” . scosso dalla controversia diventò un maestro dell’arte della provocazione. Nel 1911 aveva stretto amicizia con il ricco Francis Picabia che lo aveva introdotto all’idea dell’artista come dandy “negratore”, un atteggiamento che Duchamp poi adotterà e svilupperà. Gli oggetti readymade gettano un dubbio radicale su nozioni convenzionali come arte e artista; erano opere d’arte senza artista. Ma la domanda punta alle questioni che presto porrà la sua opera: qual è il rapporto degli oggetti utilitari con quelli estetici, della merce con l’arte? Si può Natura morta con sedia impagliata espressivi. Arp guardò ai propri collage come una negazione dell’egoismo umano. Qui infatti sono in atto non solo il collage e il caso, ma anche il readymade(nella carta commerciale). Per Arp questi dispositivi servirono a spostare la volontà dell’artista a una condizione di anonimato. Un sublime in miniatura È la tensione verso l’astrazione che fa da motore a un’opera come “Una volta emerso dal grigio della notte..” . Nei suoi quadri tunisini Klee aveva usato macchie rosa e ocra giustapposte per evocare le forme della Casba o le geometrie dei muri colpiti dal sole. Qui rifiutò di usare qualsiasi somiglianza visiva per evocare un’esperienza del mondo reale. Usa l’astrazione per rappresentare ciò che non è rappresentabile cioè il sublime, quella combinazione di ansia e stupore e liberazione. Nell’”Angelus Novus” 1920 l’angelo della storia guarda al passato e ci vede il disastro(che è il progresso) mentre una tempesta lo trascina verso il futuro. La spinta dell’arte modernista all’astrazione non testimonia il suo ritiro dal reale quanto il ritiro del reale da essa, cioè dalla capacità dell’arte di rappresentare una realtà trasformata dalla tecnologia e dalla guerra. Il termine “sublime” venne usato per descrivere una combinazione di ansia opprimente e di esaltato senso di liberazione, uniti nel rimando a un’immensità che va al di là della comprensione umana. I quadri con testo di Klee espressero la prima di queste condizioni in una sorta di sublime in miniatura. L’arte non rappresenta il visibile, rende visibile. 1917 Dopo due anni di intensa ricerca, Piet Mondrian apre una propria via all’astrattismo, evento immediatamente seguito dal lancio di De Stiji, prima rivista d’avanguardia dedicata alla causa dell’astrattismo in arte e in architettura. Mondrian diventò presto cosciente che proprio ciò che Picasso e Braque temevano di più (l’astrazione e la bidimensionalità) era precisamente ciò che egli cercava, perché si accordava alla categoria di universale. Adottò un punto di vista frontale e una rigorosa versione ortogonale della griglia cubista. Tutto può essere ridotto a un denominatore comune; ogni figura può essere digitalizzata in uno schema d unità orizzontali e verticali e così disseminata sulla superficie; ogni gerarchia può essere abolita. La funzione dell’immagine ora diventa quella di rivelare la struttura del mondo, intesa come riserva di opposizioni binarie. In “la composizione con linee” 1917 l’opposizione tra figure e sfondo deve essere abolita se si vuole completare un programma estetico di astrazione puro. La figura stessa, totalmente dispera dalla griglia e assorbita in essa, è ora così del tutto atomizzata che è costretta a rimanere virtuale; lo sfondo bianco sotto queste linee nere o grigio scuro non è ancora completamente teso. Il passo finale in questa rapida marcia verso l’abolizione dello sfondo in quanto tale fu la griglia modulare che Mondrian indagò in nove tele tra il 1918 e il 1919. Non c’è differenza tra sfondo e non sfondo. L’intera superficie della tela è diventata una griglia, ma questa griglia non è più come un’impalcatura cubista costruita in uno spazio vuoto, poiché ogni zona della tela è ora trasformata in un’unità rettangolare commensurabile. L’invenzione del Neoplasticismo Dalla fine del 1920 lo stile maturo di Mondrian che chiamò Neoplasticismo era pronto. Il compito difficile che ora si poneva era di reintrodurre la composizione senza restaurare l’opposizione gerarchica di figura e sfondo. Non c’è più opposizione tra figura e sfondo che nelle griglie modulari, ma ora ogni unità, chiaramente differenziata (è a questo punto che appaiono i colori primari) punta a mirare la centralità delle altre. “Composizione in giallo,rosso,nero,blu e grigio” è il primo quadro neoplastico. In questo linguaggio pittorico niente, neppure una forma facilmente riconoscibile (rettangolo, quadrato) posto sull’asse di simmetria, deve prevalere nell’attenzione. Per Mondrian l’architettura è condannata all’anatomia(la struttura pilastro-chiave) e dunque paradossalmente perché non è simmetrica, non potrà mai diventare astratta. 1918 La composizione con linee Marcel Duchamp dipinge “Tu m’” : il suo ultimo dipinto riassume le direzioni intraprese nel suo lavoro, come l’uso del caso, l’invenzione del readymade e lo statuto della fotografia come indice. Iniziò a lavorare alla sua opera ambiziosa nel 1915, “La sposa messa a nudo dai suoi celibi” anche noto come Grande Vetro). Era un grande vetro composto di due pannelli ai cui disegni di una grande enigmaticità si dedicava con molti materiali curiosi: la polvere che si era depositata sull’opera nei mesi di inattività era stata fissata in alcuni punti; oppure pezzi o fili di piombo erano incollati sulla superficie. Duchamp vi lavorava solo sporadicamente , l’opera fu completata nel 1923. Tu schiacci il tasto… Andiamo incontro al carattere fotografico che collega i due aspetti del vetro: il suo verismo e la sua muta resistenza all’interpretazione. Sulla superficie del Grande Vetro l’indice è ripetuto in diversi modi. Non solo le sette forme coniche dei Setacci(parte dell’apparato dei Celibi in cui il desiderio maschile viene condensato) sono stati realizzati fissando la polvere depositata sul vetro per mesi(indice del tempo che passa) ma i nove Spari( raggi del desiderio che penetrano nel regno della Sposa), i tre pistoni di corrente d’aria sono forme ottenute appendendo un quadrato di tessuto da una finestra aperta e fotografandone tre volte le deformazioni causate dal vento e poi usando i profili risultati come matrici. Panorama dell’indice il caso naturalmente, esclude il desiderio dell’artista tradizionale di comporre la propria opera, di prepararla passo dopo passo, l’uso del caso annulla anche l’idea di abilità che è sempre stata associata alla definizione stessa di artista. L’uso del caso di Duchamp meccanizza l’operare artistico (l’artista è spersonalizzato come una macchina fotografica) e lo svuota di abilità ( non c’è bisogno di niente, neanche di una macchina fotografica). Uno di questi fu Hans Arp, il dadaista, che intorno al 1915 cominciò a realizzare dei collage strappando dei pezzi di carta e lasciandoli cadere su una superficie. Perché “Tu m’ “, una sorta di riassunto della produzione post-cubista di Duchamp, è infatti un panorama dell’indice nelle sue molteplici forme. Molti dei suoi readymade (la ruota di bicicletta e lo scolabottiglie) , essi stessi indici o tracce degli appuntamenti a cui Duchamp li ha incontrati, sono proiettati sulla tela sotto forma delle loro ombre. 1920 La fiera Dada tenutasi nel giugno 1920 alla galleria del Dr.Burchard di Berlino fu la prima apparizione pubblica del gruppo di artisti che costituì il gruppo di artisti che costituì il movimento ufficiale dadaista berlinese. Il fatto che l’evento venisse annunciato come una fiera invece che come una mostra, dimostra che fin dall’inizio la parodia dell’esposizione di merci, a livello di allestimento e di grande presentazione commerciale, voleva evidenziare l’intenzione dadaista di trasformare radicalmente sia la struttura dell’esposizione sia gli oggetti d’arte in essa. Il Dadaismo berlinese si situava all’intersezione di una revisione critica del modernismo tradizionale, da una parte,e di un’adesione manifesta alla nuova sintesi di arte d’avanguardia e tecnologia, dall’altra, il Dadaismo berlinese era anche in opposizione radicale con l’avanguardia locale, cioè con il modello egemonico dell’Espressionismo tedesco. Dada:distrazione e distruzione Contro l’impegno espressionista di fondere estetica e spiritualità, Dada costruì un modello di antiestetica; contro il richiamo all’universalità dell’esperienza umana che assimila l’estetica alla mistica. Heartfield, Hoch e Grosz svilupparono i loro primi progetti di fotomontaggio. Una delle opere chiave del 1919 è “Taglio con coltello da cucina” di Hoch. In quest’opera la narrazione iconica consiste in un inventario dettagliato delle figure chiave del mondo pubblico della Repubblica di Weimar tutte disseminate sulla superficie dell’opera secondo il principio di distribuzione non gerarchica, non compositiva e aleatoria. L’intento critico di questo attacco alogico alla struttura stessa della leggibilità era l’intenzione di smantellare le rappresentazioni mitiche promosse dalla produzione di massa di pubblicità e immaginario della merce. Infine il fotomontaggio rappresenta il desiderio condiviso di costruire un nuovo tipo di oggetto d’arte, effimero. Tu m’ Dal fotomontaggio alle nuove narrazioni Il fotomontaggio si sviluppò nella Germania di Weimar. Nel caso di Hausmann l’enfasi fu sempre più testuale, con il segno verbale smontato in frammenti grafici e fonetici. Heartfield era a favore di un nuovo tipo di fotomontaggio voleva raggiungere la parte dell’emergente classe operaia che la Sinistra sperava che sarebbe diventata la sfera pubblica proletaria. Il tentativo di Heartfield di creare un’opera nell’e emergente sfera pubblica proletaria intendeva invece cambiare propriamente la forma di diffusione del fotomontaggio, facendone il veicolo di un medium stampato e dunque uno strumento di cultura di massa. Heartfiled rappresenta Adolf Hitler come una marionetta, una figura falsa e artificiale che segue gli interessi del capitale. Nella prima, “Adolf, il Superuomo. Inghiotte oro e sputa stupidaggini” il corpo di Hitler è visto ai raggi X con una svastica al posto del cuore, una Croce di ferro invece del fegato e la colonna vertebrale composta di monete d’oro, illustrando chiaramente l’idea politica che era la classe imperatrice tedesca a finanziare il Partito nazista per scongiurare ed eventualmente liquidare la rivoluzione proletaria iniziata nel 1919 con la formazione del primo Partito comunista in territorio tedesco. La seconda immagine, “il significato del saluto di Hitler: il piccolo uomo chiede grandi regali. Motto: Milioni venite a me!” rende questo punto ancora più evidente per cui Hitler è rappresentato come una figura in miniatura che sta davanti a un enorme e anonima figura di “grassone” che passa un mazzo di banconote nella piccola mano alzato dell’ometto. Dalla semiosi alla comunicazione Una serie di fotomontaggi e manifesti che Klutsis realizzò tra il 1928 e il 1930 in cui la metonimia di una mano alzata è usata come emblema di partecipazione politica. Sostituendo il corpo intero con una sua parte, la mano chiaramente “ sta per” il soggetto che la alza, così come la singola mano nei cui contorni si vede una moltitudine di altre mani simili, “sta per” l’unità di intenti prodotta da un singolo rappresentante che parla per un intero elettorato. Heartfield e Klutsis con il fotomontaggio diventarono i primi membri dell’avanguardia a invocare la propaganda come modello artistico. 1921 I membri dell’Istituto d’Arte e Cultura di Mosca definirono il Costruttivismo come logica risposta alle esigenze della nuova società collettivista. L’artista sovietico come intende giustificare la propria esistenza una volta che ha abbandonato volontariamente ogni attività artistica ma non ha una conoscenza artistica adatta alla produzione industriale? L’artista non sarà di nessuna utilità all’industria finché non acquisirà una qualche istruzione. “Il primo monumento senza barba” La nascita del Costruttivismo venne come risposta diretta al modello del “Monumento alla terza internazionale” di Vladimir Tatlin, spesso detto “La Torre”. Il monumento finito doveva essere un’enorme costruzione di metallo e vetro alta più di 33 metri, un terzo della Torre Eiffeil. L’elemento più singolare del famoso progetto di Tatlin era la sua struttura inclinata consistente in due spirali coniche inserite l’una nell’altra e una complessa trama di assi oblique e verticali che incorniciavano quattro volumi geometrici di vetro sospesi l’uno sull’altro nel suo interno inclinato. Ognuno di questi volumi doveva essere una costruzione indipendente ospitante una parte del Comintern (l’organizzazione sovietica incaricata di diffondere la rivoluzione negli altri paesi ) e ognuno doveva ruotare a una velocità diversa. Tatlin e i suoi amici svilupparono tre argomenti a favore della costruzione reale del monumento nella grande scala progettata. Primo, rispetto ai pugni nell’occhio eretti in varie piazze a commemorare la Rivoluzione, esso era assolutamente moderno. Secondo, era un oggetto produttivi sta interamente funzionale. Terzo, come ogni monumento pubblico, era concepito come un faro simbolico: illustrava il dinamismo come ethos della Rivoluzione. La costruzione era basata su un metodo o un’organizzazione scientifica che Adolf, il Superuomo inghiotte oro e sputa stupidaggini Modello del monumento alla III Internazionale Non meno allegorici, i “Gruppi monumentali” di Thorak posti accanto al padiglione tedesco trasmettevano il messaggio opposto: questi trii composti da un uomo e due donne nudi sottolineavano la differenza sessuale. Un’insistenza che rispecchiava la rigida divisione della società nazista in cui è anche possibile riconoscere una valenza psichica, come se il fallico ego corporeo dell’ideale maschile nazista richiedesse un altro “femminile” da aggredire, un altro rappresentato da ebrei, bolscevichi, omosessuali e zingari. Queste rappresentazioni togate dalle varie corporazioni avevano la funzione di connettere lo Stato fascista all’antica Roma. Avevano l’effetto di pietrificare il presente e trasformavano la mitica storia d’Italia in una festa in costume. Ancora diverse erano le fotografie di due donne all’esterno delle mostre di fotomontaggi nel padiglione spagnolo che era sotto il controllo del governo repubblicano del Fronte Popolare. La donna sulla sinistra, infagottata nel tradizionale, era muta e severa come se fosse oppressa da esso, mentre la donna a destra, riprodotta più grande che dal vivo, avanza a grandi passi verso di noi con la bocca aperta in un grido o una canzone. L’edifico era modernista e conteneva opere a sostegno della causa repubblicana: il contadino catalano in rivolta di Mirò e Guernica di Picasso, il pezzo forte della mostra. Il dipinto mostra quattro donne nel panico a causa del bombardamento franchista della città di Guernica: una cade da una casa in fiamme, altre due scappano stravolte dalla paura, l’ultima tiene in braccio il suo bimbo morto e urla(rimandi classici, è una pietà). Un soldato a pezzi giace a terra, mentre un cavallo nitrisce disperato e un toro ci guarda negli occhi(simbolo di forza della corrida). Gli animali alludono alla bestialità del bombardamento, ma in questo mondo alla rovescia possiedono anche un’umanità di cui gli esseri umani sembrano sprovvisti. Le figure sembrano spinte verso sinistra dalle onde d’urto delle bombe. Picasso mette insieme tutti questi frammenti con una composizione piramidale delle figure e un calibrato accostamento di bianchi, neri e grigi. Ma il colpo di genio è di trasformare le stesse invenzioni della frammentazione cubista e della distorsione surrealista in un’espressione di sdegno: è l’arte modernista al servizio della realtà politica. Guernica è anche una sfida alle storie mitiche dei regimi totalitari e respinge la convinzione reazionaria secondo cui l’arte politica può essere solo il Realismo socialista e l’arte modernista non può essere pubblica. 1947b I gruppi monumentali all’entrata del padiglione tedesco Guernica Espressionismo astratto: innanzitutto il termine non è molto adatto perché etichetta in modo omologo un gruppo di artisti estremamente diversi tra loro e orgogliosi della propria singolarità. Ciò che avevano in comune era proprio il loro individualismo, il gesto autobiografico che traduce sensibilità ed emozioni personali nel campo materiale della tela, senza alcuna mediazione di contenuto figurativo. Nel 1950 essi boicottano una mostra organizzata dal Metropolitan Museum di NY per protesta, e firmano una lettera come “Gli Irascibili”. L’espressionismo astratto presto sarebbe stato considerato la quintessenza della pittura di tipo americano. Punti in comune tra i vari artisti erano: 1. Il rapporto tra arte e politica: alcuni guardavano a Guernica di Picasso come modello, altri al muralismo messicano. -Un grande senso di inferiorità nei confronti dell’Avanguardia europea: questo all’inizio fu per loro paralizzante; poi, dopo l’arrivo di molti esuli a NY durante la seconda guerra mondiale, gli artisti americani poterono conoscere Breton, Ernst, Leger, Mondrian, che consideravano dei titani; in essi scoprirono esseri umani, e piano piano questo li sbloccò creativamente. 2. L’assenza di supporto da parte del Museo di Arte moderna di NY, che aveva abbracciato il modernismo europeo, li rese più uniti e vicini. 3. Un primo entusiasmo per il surrealismo e poi un graduale rifiuto. Del surrealismo conservarono però un interesse per l’impulso primitivista, la psicanalisi e l’inconscio. In particolare il concetto di inconscio fornì loro una potente retorica con cui poterono trasformare il puro automatismo dei surrealisti nel culto del gesto autografo e rivelatore dell’interiorità. Anni chiave 1947-48 Pollock sviluppa il dripping De Kooning ebbe una prima entusiasmante esposizione personale Gorky, unico apprezzato dai surrealisti, si suicidò, segnando la fine di ogni legame con il movimento. Rothko realizzò le prime pitture “multiformi”, cui non dava titoli ma che identificava solo con numero o colore. Aprì la scuola The Subjects of the Artists, esperienza breve ma significativa nel tentativo di creare un’accademia per il nuovo tipo di arte. Prima e unica uscita di Possibilities da Motherwell e Rosenberg, famosa per aver pubblicato le dichiarazioni di Pollock e Rothko riguardo la propria arte. In particolare, Pollock collegava il suo nuovo metodo e i suoi risultati astratti alla completa spontaneità, dichiarando di lavorare nell’incoscienza di ciò che faceva. Egli rimaneva saldamente legato all’automatismo, ma gli altri no, in quanto l’automatismo implicava anche la rinuncia ad una parte di autorialità. Rosenberg scrive “Introduzione a sei artisti americani” in cui annuncia una teoria che sarebbe diventata il pilastro dell’espressionismo astratto: gli artisti portavano avanti come una rivolta privata contro la tradizione materialista che li circondava, rincorrendo un’ideale di arte che comunicasse emozioni reali che potessero però essere concepite come universali. Rosenberg concepiva l’espressionismo astratto come un’arte il cui principale compito è comunicare il sé dell’artista; allo stesso tempo però sostiene che gli stati d’animo registrati sono umani e dunque universalmente accessibili. Il testo di Schapiro conferma la spontaneità come categoria che converte l’inconscio e ignoto ad un concetto di libero arbitrio soggettivo: vi è dunque uno spostamento dall’automatismo all’autografo. Ciò al contempo determina due conseguenze: -Da un lato la pretesa di spontaneità lasciò il posto ai principi di bella composizione; - Dall’altro il gesto autografo divenne come un marchio di fabbrica immediatamente riconoscibile; subisce cioè una canonizzazione. Questa canonizzazione si legge in alcuni artisti, come nel caso delle tele in bianco e nero di de Kooning e degli sviluppi recenti di Pollock, che dal dripping si spostano ad un più stretto controllo del pennello, in cui le sgocciolature erano rese con nervosi movimenti di polso ma del tutto intenzionali. Esempio di autografo come logo è dato da Motherwell, nella serie Elegia alla Repubblica spagnola, basata su un disegno a inchiostro concepito nel 1948. Pollock e il dripping •Alle cinque di sera, 1949, Motherwell qui adatta quello stesso disegno su una grande tela. -Altri esempi furono Kline che elabora pennellate energiche e grandi su enormi tele e quello diventa il suo marchio personale. •Cardinale, 1950, Kline -Rothko e le sue suddivisioni orizzontali di quadri verticali •Numero 3/N.13 (Magenta, nero, verde e arancio), 1949. In breve alla fine la seriali dell’Espressionismo astratto quasi rievoca quella del movimento che ne ha accelerata la fine, la Pop Art. Rauschenberg e Johns mantengono infatti l’enfasi su processo della creazione insito nell’Espressionismo astratto. 1953 Rauschenberg realizza tre opere. •Disegno di de Kooning cancellato, 1953 •Impronta di pneumatico d’automobile, 1953 •Quadro bianco, 1953 Il filo conduttore che lega queste opere è chiaramente l’ostilità nei confronti dell’espressionismo astratto e del significato che questo movimento conferisce al gesto autografo dell’artista e al quadro come espressione della sua identità. A differenza di ciò che si può pensare, quei tre oggetti non derivavano da puro nichilismo: i quadri bianchi, ad esempio, erano in linea con le posizioni sviluppate in quel periodo dal compositore sperimentale americano John Cage: come quest’ultimo aveva composto un pezzo, 4’ 33’’ che consisteva in puro silenzio, così che gli unici suoni udibili erano quelli dell’ambiente circostante e del pubblico, così i quadri bianchi riflettevano le cangianti impressioni ambientali e captavano le ombre circostanti. I due approcci sono similmente indirizzati alla non-composizione e la non-autorialità, e in questo hanno in comune Duchamp e la poetica del segno indicale, l’opera come traccia di un processo e consistente in quello stesso processo. Ellswoth Kelly ebbe un percorso simile a Rauschenberg, ma il suo nemico non era l’Espressionismo astratto, bensì l’astrattismo geometrico e l’idea della composizione equilibrata di parti geometriche come metafora poi di una futura utopia di armonia sociale. Kelly iniziò allora a dipingere forme di vecchi edifici e ponti: invece di rappresentare il contenuto di ciò che vedeva, o l’interpretazione, decise di presentare gli oggetti così come apparivano in realtà. Finestra, Museo d’Arte Moderna, Parigi, 1951, ne è un esempio; non è come il ready made; Kelly vi si riferiva come ad “already made”, nel senso che non c’era nemmeno l’atto della scelta, che comunque cela l’identità autorizzate; l’oggetto era lì, trovato, e trasferito sulla superficie come indice. Nell’estate del 1949 Kelly incontrò Cage, che lo introdusse alle possibilità del caso. Colori per grande parete, 1951, è una griglia modulare in cui il caso risiede nel principio di ready made della griglia, ossia essa è stata trovata già fatta, di conseguenza anche i colori sono accostati dal caso. Cy Twombly si ispira invece ai dripping di Pollock, ma per attaccare lo stesso espressionismo astratto. Egli riproponeva con incisioni a matita o con altri strumenti sul pigmento della tela i suoi grovigli di segni, trovando nell’idea di graffito la negazione del principio del segno autografo, perché il segno graffito è un resto, residuo di un’azione compiuta in precedenza. Di conseguenza più che la presenza di un autore, ne sancisce l’assenza, un po’ come accade nel disegno cancellato di de Kooning. E’ un’altra strategia del non comporre. 1960a Il critico francese Pierre Restany riunisce a Parigi un gruppo di artisti eterogenei nel 1960, dando vita al Nouveau realisme. Il manifesto consisteva in una singola frase: Nouveau realisme= nuove percezioni del reale. Questo movimento riconosce programmaticamente la condizione ambigua della neoavanguardia, a cavallo tra una critica nei confronti dell’industria culturale e allo stesso tempo la sua collocazione all’interno dell’industria culturale stessa e l’appropriazione degli stessi suoi strumenti. I membri del gruppo riciclarono e rivoluzionarono i paradigmi modernisti di readymade (Arman), monocromo (Klein), scultura cinetica (Tinguely) e collage (Dufrene, Hains, Rotella, Villegle). Caratteri del Nouveau réalisme: Estensione dell’oggetto artistico dallo spazio intimo e privato a quello pubblico, ossia ad un contesto istituzionale e commerciale, o allo spazio della strada. 12 cavalli , 1968, Kounellis, contrappone la natura al concetto di oggetto scultore come prodotto tecnologico. Allo stesso tempo pone enfasi su una specificità locale, il legame italiano con l’economia rurale. È antirazionalista: rifiuta i registri discorsivi di scienza e razionalismo e recupera la teatralità, la narrazione, il medium ibrido. Teatrino, 1964, Pino Pascali, opera composita costituita da un quadro smontato che assume lo statuto ibrido di un teatrino, contra la presunta purezza del medium ricercata dai modernisti. Inoltre è anti-razionalista perché contro l’estetica dell’autonomia: cerca di riposizionare l’opera d’arte all’interno di spazi socialmente condivisi, come l’attivismo politico di sinistra e la relazione con il pubblico, contro il razionalismo della scultura minimalista. Spunti in Burri (uso di materiali industriali deteriorati, rovinati e dunque recupero dell’obsolescenza); Fontana (nel suo temporaneo recupero della dimensione teatrale nella fase dei tagli e buchi); Piero Manzoni, il più importante precursore, che aveva spinto all’assurdo il dilemma tra modernità scientifico-tecnologica e un ritorno primitivo all’esperienza estetica come corporea (Merda d’artista, Fiato d’artista). Antimodernista: mette in gioco il potere rivoluzionario di oggetti, strutture, materiali, processi di produzione datati e quindi antimodernisti. La Venere degli stracci , Pistoletto, 1967 Albero di 8 metri, Penone , 1969: scava una trave da costruzione, dunque un oggetto industriale, recuperandone il nucleo di albero. Recupera così con un processo artigianale l’origine naturale del prodotto industriale. -Capacità di fondere improvvisi richiama alla memoria storica con critica al presente. Serie di opere sulla serie numerica di Fibonacci , Mario Merz: attacco esplicito a Donald Judd e alla sua composizione basata su principi razionali e quantitativi. Serie di Igloo : segue la serie di Fibonacci nell’architettura a spirale, ma è anche una critica all’ossessione sociale della produzione e possesso degli oggetti. Mappa , 1971-73, Alighieri Boetti: illustra l’idea di Boetti che gli elementi tradizionali del linguaggio artistico, segni e colori, sono credibili nel presente solo se ancorati ad un preesistente sistema funzionale di comunicazione (la mappa). D’altro canto, facendo realizzare le sue mappe a tessitrici anonime, ostenta al contempo un ritorno alla produzione artigianale, pre-industriale. -Notiamo un dialogo aperto con gli artisti Concettuali americani come Kosuth e Wiener, ma a differenza loro, gli italiani non hanno patito in modo 12 cavalli La Venere degli stracci unilaterale l’avvento del processo tecnologico e si sono impegnati nella definizione di pratiche artistiche in grado di recuperare un senso di identità nel soggetto. 1968a Bernd e Hilla Becher espongono i loro lavori legati ad un progetto fotografico che li impegnerà tutta la vita: la registrazione sistematica dell’architettura industriale. Il loro stile emerge dalla Nuova oggettività, in particolare dal tedesco August Sander, con il suo progetto Volti del nostro tempo, 1929, nel tentativo di costruire una rappresentazione della società della Repubblica di Weimar. I loro metodi furono la tipologia, una serie di immagini dello stesso tipo di struttura architettonica, come nove fornaci o dodici torri; e lo sviluppo, ossia una serie di immagini in cui una particolare struttura era descritta da una serie di punti di vista diversi. Miravano a costruire una duplice continuità: con la cultura di Weimar (tentando di resuscitare la tradizione della Nuova oggettività), e con un sistema di pratiche della rappresentazione alternativo all’espressionismo astratto e alla pittura americana e francese che si stava diffondendo in Germania. L’insistenza sulla continuità con la cultura di Weimar tuttavia risulta problematica: la cesura storica e politica creata dalla Seconda Guerra Mondiale infatti rendeva difficile ricostruire un’identità artistica che si ponesse in continuità con la tradizione nazionale. La malinconia che aleggia nelle immagini dei Becher infatti, deriva da un’esclusione quasi fobica del soggetto dal campo visivo, forse indizio di questa difficoltà. La loro fotografia deriva da un desiderio di conservazione, quasi per salvare gli edifici industriali dalla loro imminente scomparsa; è una sorta di archeologia industriale che non ha nulla a che vedere con i tentativi di estetizzazione delle rovine dell’industria. L’enfasi sulla ripetizione, la serialità, la descrizione minuziosa determinò la ricezione della sua opera come minimalista, e di conseguenza attirò l’attenzione di Andre, che interpretò il loro lavoro come ripetizione seriale compulsiva interna all’estetica minimalista. Un’altra ricezione fu come opera concettuale, per il fatto di sostituire delle strutture materiali con la loro documentazione fotografica. Tuttavia l’opera dei Becher si distingue dall’arte concettuale per l’importanza attribuita all’abilità tecnica, alla realizzazione artigianale dell’oggetto fotografico (linee, inquadratura, luce). Dalla scuola dei Becher derivano Ruff, Struth, Gursky e Hofer. Le opere di Struth e Ruff sono caratterizzate dalla stessa assenza della figura umana che caratterizzava le opere dei Becher; Struth si sposta però dall’oggetto industriale al tessuto urbano, mentre Ruff si concentra sul ritratto secondo i modelli tradizionali. Le loro opere restano dunque connotate da un impulso antimodernista, distante dal modello di avanguardia e dal suo legame con la tecnologia da un lato, ma anche con le riflessioni sulla ricostruzione della memoria nella Germania postbellica dall’altro. Le opere di questi artisti mantengono quindi dei limiti storici. 1968b L’arte concettuale nasce dalla convergenza di due grandi tradizioni del modernismo: 1. Il ready-made elaborato dal Fluxus e Pop Art: In Ruscha questo si riflette nell’importanza del medium fotografico; in Morris nell’insistenza sull’impossibilità dell’autonomia estetica. 2. L’astrattismo minimalista di Frank Stella, Ad Reinhardt e Donald Judd. Critica alcuni aspetti del modernismo, come l’otticità, la concretezza fisica e l’autonomia estetica. •Quadrato rosso, lettere bianche, Sol Lewitt, 1963, offre un modello performativo che contrasta con quello puramente visivo, ottico: lo spettatore è chiamato a leggere ad alta voce, e a quel punto cade l’oggetto d’arte come visivo ed autonomo, ma diventa performativo e dunque contingente, legato al contesto di ricezione. •Dichiarazione di ritrattazione estetica di Morris, 1963, analogamente, legando lo statuto dell’opera d’arte al pagamento del collezionista, distrugge il concetto di autonomia estetica, poiché lo fa dipendere da una serie di convenzioni legali o amministrative di tipo contingente, legate cioè al contesto. Queste convenzioni fanno parte di quella che l’artista chiama estetica del supplemento. •Scatola con il suono della sua fabbricazione, Morris, 1961, l’estetica del supplemento risiede nel far fuoriuscire i suoni del processo di fabbricazione del cubo dal cubo stesso: questi suoni sono il supplemento, che vengono in tal modo dichiarati non esterni ma necessariamente parte dell’opera d’art. Questo fa crollare ancora una volta il principio di autonomia estetica, di oggetto come puramente visivo, ottico, separato dalla quotidianità. Contingenza e contestualità sostituiscono otticità e autonomia estetica. Prima mostra nel 1968 organizzata da Seth Siegelaub: egli gioca in particolare sul valore scioccante del supplemento, manifestando in modo spettacolare la rottura tra l’arte concettuale e i metodi tradizionali di produzione artistica e visualità. •Dichiarazioni, Weiner, libro che conteneva opere divise in quelle di dominio pubblico, “generali” e quelle private, “specifiche”. In tal modo dichiara ancora una volta che è il contesto della ricezione a determinare lo statuto dell’opera: il destinatario ha sul futuro dell’opera lo stesso potere di chi la produce, perché quelle opere potrebbero idealmente essere realizzate da chiunque. Altro importante filone dell’arte concettuale è quello fotografico, che fonde strategie minimaliste, tardo-moderniste e pop influenzate dalle implicazioni del ready-made duchampiano. Questa fotografia soppianta sia la tradizione documentarista americana, sia la fotografia artistica europea e americana. •Case per l’America, 1966, Graham, è un’opera che riconosce le geometrie alla base delle ripetizioni seriali tipiche della scultura minimalista nelle semplici architetture del New Jersey, che funzionano da oggetti trovati, ready-made. •Questo non è da guardare, 1968, Baldessari, riflette con grande humour antiartistico le provocazioni di Duchamp con opere provocatorie. Kosuth elabora opere secondo un progetto che definisce “di indagine sulle basi del concetto di arte così come è intesa oggi”. •Una e tre sedie, 1965, usa ancora una volta il ready-made per frammentare un concetto e risolverlo in tre relazioni, oggetto, segno linguistico e riproduzione fotografica. 1969 La mostra Antiillusione L’arte processuale dunque si può assimilare ad un gran numero di pratiche eterogenee che condividono tra loro la sperimentazione con nuovi medium e materiali, dovuta alla crisi definitiva dell’idea di medium data dal minimalismo. Tali pratiche sono anche chiamate post-minimaliste. L’Arte concettuale cerca un nuovo modo di fondare l’arte, diverso dai tradizionali; quindi continua ad esercitare un impegno critico nei confronti dei media tradizionali. Era centrale superare le opposizioni tra figura e sfondo, forma e contenuto, mezzi e fini. Per questo fonda l’arte sul processo: il processo dell’opera è esso stesso opera, esso tesso il prodotto. Robert Morris: indaga l’effetto di campo, ossia ricrea con le sue accumulazioni di materiali un’immagine che chiede allo spettatore non di focalizzarsi su un oggetto specifico ma disperdersi nel campo visivo. Attua una de- differenziazione della visione, che si disperde nello spazio, decentrata, ma al contempo origina dalla massa di materia. •Progetto continuo cambiato giornalmente, 1969, Morris: passa tre settimane a manipolare vari materiali senza dargli mai una forma finale. Questo mette in evidenza il suo rifiuto dell’ordine arbitrario degli oggetti minimalisti, poiché esso rivelava al soggettività, l’intenzione dell’artista, mentre egli voleva dimostrare la materialità dell’opera resistere all’ordine, unita al suo processo di produzione e legata al caso. •Feltro marrone, 1968, Morris: altra opera legata al concetto di negazione dell’intenzionalità, in questo caso l’opera si crea totalmente attraverso la gravità. Richard Serra: fonda la sua arte sulla logica dei materiali nel tentativo di attaccare la convenzionale distinzione tra figura e sfondo nei media di pittura e scultura. •Gettare, 1969, è parte di una serie in cui egli aveva compilato una lista di verbi dai quali generò diverse opere; è questo un esempio paradigmatico di arte concettuale perché qui il processo viene interamente identificato nel prodotto. Eva Hesse indaga invece la corporeità in modo nuovo, come materia disturbata da fantasie e ossessioni,