Scarica Biologia cellulare e più Sbobinature in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! Biologia Cellulare Lezione del 7 Marzo 2016 I tre sistemi eucariotici dove il ciclo cellulare e i suoi meccanismi di regolazione sono stati maggiormente studiati sono rappresentati dalle cellule di mammifero in coltura, da alcuni embrioni animali e da lieviti. Nei primi anni 70 furono effettuati degli esperimenti di fusioni cellulare i cui risultati misero in evidenza il fatto che nel citoplasma delle cellule in una precisa fase del ciclo cellulare esistevano dei segnali chimici in grado di spostarsi dal citoplasma al nucleo dove esercitavano i loro effetti nella regolazione della transizione delle varie fasi del ciclo. La fusione che portava alla creazione di cellule che vivevano stati diversi del ciclo cellulare era indotta da uno specifico virus inattivato, il virus Sendai, che promuova la fusione delle membrane cellulari. Durante questo esperimento si assisteva alla formazione di una cellula, l’eterocarion (o eterocarionte) in cui le membrane cellulari erano fuse ma i nuclei rimanevano distinti. Essenzialmente in questi esperimenti effettuati nei primi anni 70 nel secolo scorso si seguiva il comportamento del nucleo dell’eterocarionte tramite autoradiografia successivamente ad una marcatura del DNA tramite incubazione delle cellule in fase S dell’interfase, momento in cui le cellule duplicano il loro DNA. Estremamente utilizzato è la timidina, un nucleoside costituito dalla base azotata timina e lo zucchero molto più permeabile alla membrana cellulare rispetto al nucleotide singolo. Questi esperimenti furono condotti da P. Rao che pubblicò nel 1970 sulla rivista Nature i suoi risultati che dimostrarono la presenza e il ruolo chiave di segnali chimici presenti nel citoplasma nel processo di regolazione del ciclo cellulare. Per consolidare le loro ipotesi, Rao e i suoi collaboratori efffettuarono molteplici combinazioni tramite la fusione di cellule in fasi diverse: 1. Cellula in fase S + cellula in fase G1 -> Successivamente alla fusione, il nucleo della cellula che inizialmente era in G1 andava subito incontro a duplicazione del DNA. Gli scienziati ipotizzarono che vi era un “attivatore della fase S” presente nel citoplasma della cellula della fase S e che, in seguito alla formazione dell’eterocarion, fosse in grado di stimolare prematuramente l’entrata in fase S della cellula in fase G1. 2. Cellula in fase S + cellula in fase G2 -> Il nucleo della cellula in fase G2 non subiva lo stesso destino della fusione precedente ma rimaneva invariato e non iniziava la sintesi del DNA. Evidentemente, per questo eterocarion, la duplicazione del DNA non sarebbe avvenuta prima dell’inizio della fase M. 3. Cellula in fase G1 + cellula in fase G2 -> nell’eterocarionte G1-G2 i nuclei rimanevano immutati, nessuno dei due entrava in fase S: era necessaria la mitosi per poter ripristinare l’abilità di duplicazione di DNA. 4. Cellula in fase M + cellula in interfase (sia in S che G1 che G2) -> Durante questa fusione in tutti i casi il nucleo della cellula in interfase andava incontro ad una condensazione prematura della cromatina; l’ipotesi dell’esistenza di un fattore in grado di stimolare l’entrata in mitosi si fece sempre più solida. Le cellule HeLa, sono le prime cellule umane immortalizzate ad essere state utilizzate. Erano state messe in coltura nei primi anni ‘50 dopo essere state isolate da una biopsia tumorale effettuata su una paziente chiamata Henrietta Lacks (dalle cui iniziali deriva il nome delle cellule). Sono importanti perché essendo immortalizzate non vanno incontro ad apoptosi e sono una fonte pressoché illimitata di cellule geneticamente omogenee per gli studi in vitro del ciclo cellulare. Vennero impiegate in un esperimento che prevedeva la fusione di cellule HeLa in fase M con cellule di ratto PtK2 in interfase; si notò che il fattore che promuoveva l’entrata in mitosi presente nelle cellule HeLa provocava, indipendentemente dalla sottofase dell’interfase (G1, S, G2), una condensazione prematura della cromatina: uno dei primissimi eventi verificatosi nella profase della mitosi. Quando, invece, la fusione avveniva tra cellule HeLa in fase M e cellule di ratto in fase S (durante la duplicazione del DNA) la condensazione prematura provoca una frammentazione del materiale ereditario che assume l’aspetto di “cromosomi polverizzati” ma è anch’essa una misura dell’induzione della condensazione prematura della cromatina. Con questi esperimenti di fusione si era quindi capito che nel citoplasma delle cellule erano presenti dei segnali chimici in grado di regolare la transizione tra le varie fasi del ciclo. Gli embrioni di alcuni animali, soprattutto quelli di anfibi ma anche quelli di alcuni molluschi, hanno giocato un ruolo importante nella delucidazione di questi processi. In particolare, gli oociti fecondati di molti animali presentano grandi dimensioni (circa 1mm), acquisite nella fase di sviluppo tramite l’accumulo a livello citoplasmatico di grandi quantità di materiale proteico di riserva, usato poi dall’embrione nelle divisioni post-fecondazione. Le dimensioni elevate permettono quindi all’operatore di agire facilmente sull’embrione e inoltre, conseguentemente ad una rottura avvenuta mediante una blanda centrifugazione, è possibile ottenere anche una grande quantità di citoplasma da utilizzare in esperimenti in vitro (studi che non richiedono l’integrità cellulare). Si parla di oocita immaturo riferendosi ad un oocita che ha raggiunto delle grandi dimensioni ma che risulta bloccato in fase G2 in attesa di una maturazione indotta da una stimolazione ormonale tramite progesterone. Successivamente alla stimolazione ormonale, l’oocita completerà la prima divisione meiotica, andrà incontro alla seconda ma si fermerà in metafase, prendendo il nome di oocita maturo, fino alla fecondazione da parte di uno spermatozoo che indurrà la fine della seconda divisione meiotica e l’ingresso dello zigote in interfase. Lo zigote poi andrà incontro ad una rapidissima serie di mitosi col nome di divisioni di clivaggio, dei cicli cellulari semplificati formati solo da una fase S e una M con una durata di circa 30 minuti, generando in poche ore un embrione costituito da migliaia di cellule con le dimensioni finali pari a quelle iniziali dell’oocita stesso. Nel 1971 Yoshio Masui e i suoi collaboratori utilizzando oociti immaturi, maturi e fecondati di anfibi riuscirono a dimostrare l’esistenza sperimentale del fattore che gli esperimenti di fusione avevano ipotizzato definendolo MPF (Maturation Promoting Factor: fattore che promuove la maturazione). Per dimostrare l’esistenza sperimentale di tale fattore, Masui prelevò il citoplasma di oociti maturi (stimolati quindi con progesterone) mediante centrifugazione e lo microiniettò in oociti immaturi notando che induceva la loro maturazione e quindi l’entrata in meiosi senza l’intervento del progesterone. In particolare, successivamente al trattamento con progesterone, il citoplasma estratto dagli oociti maturi qualora ri- proiettato in oociti immaturi era in grado di promuovere la loro maturazione in un arco temporale compreso tra le 20-40 ore successive al contatto con l’ormone. Inizialmente si pensava che l’MPF fosse un fattore attinente solo alla maturazione degli oociti ma qualche anno più tardi, nel 1978, Wassermann e Smith dimostrarono in altri oociti d’anfibio fecondati che non solo l’MPF promuoveva la maturazione e l’entrata in meiosi ma era importante anche per le divisioni di clivaggio (mitosi) a cui va incontro l’oocita fecondato dopo la fusione con lo spermatozoo. L’MPF era responsabile di tutti gli eventi richiesti per la progressione della mitosi come la formazione del fuso, la condensazione della cromatina o la rottura della carioteca.