Scarica Biologia molecolare di base e più Dispense in PDF di Biologia Molecolare solo su Docsity! 85 CAPITOLO 7 I meccanismi molecolari della traduzione 7.1. La biosintesi delle proteine: uno sguardo d’insieme. Il meccanismo fondamentale e ubiquitario col quale i viventi sintetizzano le proteine è basato sulla traduzione di un “programma” codificato in sequenze di nucleotidi su un mRNA, per produrre un polipeptide con una sequenza amminoacidica precisa. Le sequenze degli mRNA sono trascritte dai geni che codificano le proteine e contengono in genere: 1) uno o più quadri di lettura aperti (Open Reading Frame, ORF) compresi tra il codon d’inizio della traduzione (al 5’) e uno/due codon di STOP (al 3’); 2) una sequenza non tradotta al 5’ del codon d’inizio (sequenza guida o leader dell’mRNA, o 5’UTR = UnTranslatedRegion); una sequenza non tradotta al 3’ dei codon di STOP (3’-UTR). La sequenza 5’-UTR è importante per individuare il sito d’inizio della traduzione. Il termine è assai adeguato, perché la sintesi proteica richiede di passare dal linguaggio degli acidi nucleici, che consiste in sequenze nucleotidiche dialoganti al proprio interno secondo gli appaiamenti di basi puriniche e pirimidiniche, al linguaggio degli amminoacidi, caratterizzato da un’identità chimica molto diversa (la struttura e la molteplicità di gruppi funzionali delle loro catene laterali). Le sequenze nucleotidiche devono quindi essere tradotte adottando un opportuno dizionario (il codice genetico) e sfruttando opportuni interpreti (tRNA e amminoacil-tRNA sintetasi) che permettano di passare da un linguaggio all’altro. Una volta istruita l’interpretazione (“una sequenza di tre nucleotidi o basi corrisponde a un preciso amminoacido”), l’atto di polimerizzare gli amminoacidi in polipeptide segue lo stesso meccanismo qualunque sia la sequenza amminoacidica richiesta. Questo è affidato ai ribosomi, macchinari macromolecolari complessi formati da RNA e proteine, assistiti nel compito da alcuni fattori di natura proteica, deputati a controllare le fasi del processo. Il ciclo di funzionamento del ribosoma si articola infatti in tre fasi, tipiche di tutti i processi di sintesi di un biopolimero, che però in questo caso vedono l’interazione di molti partecipanti, proprio per la sua natura “traduttiva”, che richiede controlli di accuratezza e precisione ad ogni stadio. Le tre fasi sono qui elencate e descritte sommariamente, per essere riprese più avanti: 1) fase d’inizio, in cui un ribosoma si associa a un mRNA e riconosce il codon d’inizio, al quale deve legarsi un particolare “interprete” (il tRNA iniziatore) per inserire il primo amminoacido; 2) fase di allungamento, in cui un nuovo amminoacido legato al suo tRNA è inserito in base al codon selezionato dal ribosoma, seguita da una fase di traslocazione per selezionare un altro codon e un altro amminoacido; le due fasi si ripetono a vicenda n volte (n = legami peptidici da formare); 3) fase di terminazione, in cui la selezione di un codon di STOP porta il ribosoma a dissociare il polipeptide completato che diventerà una proteina. Per ognuna delle tre fasi intervengono diversi fattori proteici che controllano la loro esecuzione. Prima di arrivare al dettaglio di come esse avvengono, è necessario però descrivere i partecipanti all’intero processo della traduzione, per poterne capire meglio i ruoli. Alcune fasi del processo che porta a tradurre un mRNA sui ribosomi sono diverse tra Procarioti ed Eucarioti, come lo sono alcuni componenti del meccanismo ribosomale nelle varie fasi. D’altronde, il processo complessivo è nelle linee generali assai simile in tutti gli organismi: per ragioni di semplicità sarà perciò qui trattato il meccanismo come avviene negli Eubatteri, salvo fornire in seguito alcune indicazioni sulle differenze più importanti che si registrano negli Eucarioti. 86 7.2. Struttura dei ribosomi. I ribosomi sono complessi ribonucleoproteici distribuiti nel citoplasma, oppure ancorati al reticolo endoplasmico (in cellule eucariotiche) o alla membrana interna (in cellule procariotiche), la cui funzione è sintetizzare le proteine secondo informazioni codificate in molecole di mRNA. I ribosomi visti al TEM sono corpuscoli in forma di granuli. All’inizio degli anni ’950, mentre il biochimico Paul C. Zamecnik compiva esperimenti per dimostrare che la sintesi delle proteine avveniva in prossimità del reticolo endoplasmico, tali granuli furono evidenziati col TEM dal biologo rumeno George E. Palade (Premio Nobel 1974 per la Fisiologia e la Medicina); essi furono quindi detti per alcuni anni granuli di Palade, e ribattezzati ribosomi nel 1958 da Richard B. Roberts, che li studiò isolandoli per ultracentrifugazione, analizzandone il contenuto e mostrando la loro natura di complessi formati da RNA ribosomale (rRNA) e da proteine ribosomali (rP). I ribosomi presenti nelle cellule dei procarioti e degli eucarioti non sono esattamente uguali: quelli batterici e archeali sono più piccoli di quelli presenti nel citoplasma delle cellule eucariotiche. In anni successivi, i ribosomi furono individuati anche nei mitocondri e cloroplasti delle cellule eucariotiche, che sono anch’essi in qualche modo diversi dai precedenti (vedi Tabella 7.I). Il ribosoma è formato generalmente da 3 o 4 molecole di rRNA e un minimo di 50 molecole di rP, interconnesse e distribuite in due subunità a formare il sito della sintesi proteica. Si può pensare al ribosoma come a un grande enzima che costruisce proteine in base a un insieme di istruzioni genetiche. L’attività catalitica del ribosoma dipende primariamente dall’rRNA, che agendo da enzima è un tipico esempio di ribozima. Sul ribosoma l’RNA messaggero viene decodificato per legare insieme gli amminoacidi in una catena polipeptidica a formare una particolare proteina. I vari ribosomi hanno in comune una struttura di base simile, nonostante le notevoli differenze nelle dimensioni. Essi sono granuli ellissoidali con diametro da 15 a 25 nanometri (da 150 a 250 Å); le dimensioni sono però spesso indicate (per le subunità, i ribosomi completi e i vari rRNA) come coefficiente di sedimentazione (s) misurato in svedberg (S; uno svedberg = 10–13 secondi). Ciascun ribosoma è poroso, idratato e consiste di due subunità. Una di esse ha dimensioni più grandi con la forma di una mano, mentre l’altra è più piccola e a forma di cuore. I ribosomi, essendo composti da rRNA e rP, sono ribonucleoproteine, RNP; le proporzioni tra i due costituenti variano in funzione dell’origine biologica precisa. I ribosomi non contengono invece lipidi. Le due subunità ribosomali restano associate ad alta concentrazione di ioni Mg2+ (10-15 mM). Se questa diminuisce, le due subunità si dissociano. In effetti, nelle cellule batteriche, le due subunità si trovano libere nel citoplasma e si uniscono solo nel processo di sintesi proteica. Inoltre, durante tale processo, quasi sempre diversi ribosomi avanzano lungo lo stesso mRNA, in modo simile a perline su un filo; la struttura risultante è detta poliribosoma o polisoma. I procarioti hanno ribosomi con coefficiente di sedimentazione 70 S e massa molecolare di 2,7x106 Da. Ogni ribosoma 70S si dissocia in una subunità minore (30S) e una maggiore (50S). I ribosomi procariotici contengono in proporzione più RNA che proteine. Per esempio, i ribosomi di E. coli hanno il 63% di rRNA e il 37% di proteine. Questi rRNA sono tre molecole diverse: rRNA 23 S, 16 S e 5 S, ripartiti tra subunità maggiore (rRNA 5S, 120 nt, e rRNA 23S, 2904 nt, insieme a 33 rP) e subunità minore (rRNA 16S, 1542 nt, insieme a 21 rP). Gli eucarioti hanno ribosomi più grandi, con coefficiente di sedimentazione 80 S e massa molecolare 40x106 Da. Ogni ribosoma 80S ha una subunità minore da 40S e una maggiore da 60S. Nonostante la generale somiglianza con quelli procariotici, i ribosomi 80S contengono in proporzione meno RNA e più proteina. Per esempio, nelle leguminose i ribosomi constano per il 40% di rRNA e per il 60% di proteine. Anche gli rRNA hanno maggiori dimensioni e sono quattro molecole diverse: rRNA 28 S (negli Animali; 25–26 S nelle piante, nei funghi e nei protisti), rRNA 18 S, 5 S e 5,8 S. La subunità maggiore (60S) ha 1 rRNA 5S (120 nt), 1 rRNA 28S (4700 nt), e 1 rRNA 5,8S (160 nt) con ~49 rP. Quella minore (40S) consta di 1 rRNA 18S (1900 nt) e ~33 rP. 89 7.3. Gli RNA di trasferimento o transfer (tRNA). Il funzionamento del meccanismo ribosomale di biosintesi delle proteine richiede, oltre ai ribosomi e agli mRNA, tre altre categorie di componenti: i tRNA (o RNA transfer o di trasferimento), gli enzimi che attivano gli amminoacidi (amminoacil-tRNA sintetasi) e alcuni fattori proteici diffusibili che intervengono nelle varie fasi del ciclo di attività ribosomale. I tRNA sono RNA stabili cellulari che rappresentano circa il 10% di tutti gli RNA cellulari e sono dotati di strutture specifiche riconducibili a un modello comune. La loro funzione è quella di agire da “interpreti” nella traduzione, potendo essere legati a un amminoacido specifico ed essendo dotati di una sequenza di tre basi, detta anticodon, che si appaia in senso antiparallelo al codon rispettivo a quell’amminoacido negli mRNA. Questa funzione fu predetta da Crick nel 1955, quando affermò che dovevano esistere composti (da lui detti “adattatori”) che facessero da tramite tra il linguaggio degli amminoacidi e quello dei nucleotidi. Due anni dopo, i tRNA furono scoperti e isolati da Zamecnik e Hoagland; nel 1964 fu ottenuta la prima sequenza di un tRNA (quello per l’alanina, da Saccharomyces cerevisiae) a opera del gruppo capeggiato da Robert W. Holley, mentre la struttura cristallografica del tRNA per la fenilalanina (sempre da S. cerevisiae) fu ottenuta dieci anni dopo. I tRNA attivi hanno sequenze lunghe da 73 a 95 nt. Codificati in geni di lunghezza superiore, dopo la loro trascrizione subiscono processi di maturazione (escissione di sequenze non richieste dalla funzione) ed elaborazione (modifiche post-trascrizionali su posizioni nucleotidiche specifiche). Nei batteri, tali sequenze si trovano per lo più entro unità trascrizionali policistroniche che codificano rRNA o componenti dell’apparato di trascrizione, oltre a uno o più tRNA. Le molecole attive di tRNA hanno tre livelli di struttura: primaria, o sequenza nucleotidica; secondaria, data dall’appaiamento tra basi in senso antiparallelo con ripiegamenti ad ansa e forcina della struttura primaria; terziaria, data dal ripiegamento della struttura secondaria e stabilizzata da altri legami tra le basi. Struttura primaria dei tRNA attivi. Tutti i tRNA hanno caratteristiche di sequenza conservate, alcune in modo assoluto. Affinché i nucleotidi assolutamente conservati siano riconoscibili nelle sequenze, la loro numerazione è particolare (vedi Fig. 7.3). Caratteristiche di sequenza conservate: 1) tutti i tRNA iniziano con un fosforile all’estremità 5’, e nella stragrande maggioranza il primo nucleotide è pG (notevole la presenza di pA nel tRNA iniziatore); 2) i tRNA maturi contengono nucleobasi o nucleosidi modificati, alcuni presenti solo nei tRNA, prodotti da reazioni specifiche di elaborazione dei nucleosidi canonici inseriti dalla trascrizione; di particolare rilievo la 5,6-diidrouridina (DHU), la pseudouridina (5-ribofuranosil-uracile, simbolo ) e la ribotimidina (1-ribofuranosil-timina, simbolo T); alcune basi mostrano inoltre metilazioni su gruppi specifici o elaborazioni più vistose con aggiunta di gruppi più ingombranti; 3) tutti i tRNA attivi terminano invariabilmente all’estremità 3’-OH con la sequenza pCpCpA3’OH; tale sequenza può essere presente nel gene o nel cistrone che codifica il tRNA, oppure essere aggiunta dopo la maturazione/elaborazione del tRNA, a opera di un enzima specifico, il quale è in grado di “riparare” i tRNA che avessero perduto la sequenza terminale ‘CCA’ per varie cause; 4) in determinati tratti della sequenza, anche non conservati, le nucleobasi sono complementari in senso antiparallelo ad altre basi presenti in tratti di sequenza più spostati verso il terminale 3’; ciò significa che, se quelle basi cambiano da un tRNA a un altro, cambiano anche le basi appaiate sull’altro tratto. Struttura secondaria dei tRNA. Come appena detto, essendoci nei tRNA tratti di sequenza tra loro complementari in senso antiparallelo, la struttura secondaria presenta quattro brevi tratti a doppia elica (struttura in forma A dell’RNA); tre di esse terminano con anse, ma la quarta finisce nei terminali 5’ e 3’. Quest’ultimo sporge rispetto al primo per quattro nucleotidi (Pu-C-C-A3’OH). La Fig. 7.3 mostra la struttura secondaria di un tRNA generico: la rappresentazione planare mette in evidenza la forma a “trifoglio”, con le tre anse simili alle singole foglioline e il picciolo formato 90 dalla regione a doppia elica coi terminali appaiati. Le quattro regioni con struttura a doppia elica sono note come steli o braccia, variamente denominati in base alla struttura o funzione: 1) braccio accettore, che contiene il terminale 3’ al quale si lega l’amminoacido nella reazione di attivazione; 2) braccio D, così detto in quanto l’ansa ha un residuo DHU alle posizioni 17 o 17:1; 3) braccio dell’anticodon, la cui l’ansa esposta contiene la sequenza specifica di tre basi che formano l’anticodon; 4) braccio TC, la cui ansa presenta la sequenza assolutamente conservata TC che contiene due nucleosidi derivanti da elaborazione (T dalla deamminazione di un residuo di citidina, dalla isomerizzazione di un residuo di uridina). Infine, nei tRNA di maggiore lunghezza, i nucleotidi in più si trovano in sequenza (numerati 47:1 … 47:16) tra il braccio dell’anticodon e quello TC, formando una struttura secondaria detta braccio extra. Figura 7.3 – Schema della struttura secondaria generale di un tRNA, in cui le posizioni conservate sono indicate con la lettera del nucleoside; T = ribotimidina; = pseudouridina; “Pu” indica la presenza conservata di un nucleoside purinico, “Py” quella di un nucleoside pirimidinico; l’asterisco (*) indica la presenza di gruppi metile sulla base. La numerazione tiene conto di possibili inserzioni nelle sequenze più lunghe rispetto alla minima (con le posizioni aggiunte indicate con numerali aggiuntivi separati da “:” rispetto al numerale di sequenza minima). Struttura terziaria dei tRNA. Oltre ai contatti per appaiamento di basi nei quattro “steli” o “braccia” a struttura secondaria, la formazione di legami non canonici tra le basi di due delle anse 91 (D e TC) e del braccio extra portano a un ripiegamento del tRNA in una struttura terziaria a forma di “L” (Fig. 7.4). Questa è la forma tridimensionale effettiva dei tRNA, in cui una estremità della “L” porta la sequenza ‘CCA’ e quindi lega l’amminoacile, mentre l’altra estremità porta la tripletta dell’anticodon sull’ansa omonima. Figura 7.4 – Struttura terziaria del tRNAPhe da S. cerevisiae. Codice colori: oro = sequenza CCA3’-OH, viola = braccio accettore, verde = braccio-ansa TC, rosso = braccio-ansa D, arancio = braccio-ansa extra, azzurro = braccio-ansa dell’anticodon, con tripletta dell’anticodon in grigio. A destra, diagramma di struttura secondaria per chiarire i rapporti di struttura terziaria tra le anse. Poiché i codon per gli amminoacidi sono 61, si potrebbe ritenere che esistano altrettanti tRNA dotati ciascuno del corrispondente anticodon. Tuttavia, le particolarità del codice genetico (cioè la sua ridondanza), il meccanismo di selezione per il caricamento enzimatico degli amminoacidi giusti su ciascun tRNA (che ora esamineremo) e le modalità di appaiamento tra la tripletta di basi del codon e quella dell’anticodon portano a ridurre la numerosità dei tRNA (nei sistemi più “economici” sono poco più di trenta). Questo ci porta direttamente a considerare il processo di attivazione degli amminoacidi che è contestuale alla loro coniugazione coi rispettivi tRNA. Questa fase preliminare, essenziale e di 94 7.5. I siti ribosomali che realizzano le interazioni durante la traduzione. Il ribosoma è un complesso macromolecolare di architettura assai articolata: i suoi componenti ribonucleici e proteici formano diversi siti, di legame o catalitici, per le varie attività. Senza pretesa di nominarli tutti, ecco una panoramica dei principali, in ordine di “entrata” nel ciclo di traduzione. 1) Nella subunità minore (30S) l’estremità 3’ dell’rRNA 16 S ha una sequenza ricca di pirimidine, 5’-N1533ACCUCCUUA3’-OH, alla quale può appaiarsi in senso antiparallelo una sequenza ricca di purine presente all’inizio degli mRNA procariotici, detta sequenza di Shine-Dalgarno (Shine- Dalgarno box), il cui modello di consenso è 5’-AGGAGG-3’ (in E. coli AGGAGGU) e che si trova di solito 8 nucleotidi a monte del codon d’inizio (vedi anche §6.6, p. 76). Nei batteri Gram– la sequenza di Shine-Dalgarno non è obbligatoria affinché il ribosoma individui il codon d’inizio; ciò spiega come numerosi mRNA batterici che ne sono privi possano essere tradotti correttamente. Il sito di attracco ribosomale per l’estremità 5’ di un mRNA batterico è infatti la proteina ribosomale S1, che lega sequenze ricche in A-U nel tratto leader degli mRNA, dando il giusto posizionamento del codon d’inizio nella porzione del sito P che si trova sulla subunità minore del ribosoma2, alla quale, come si capisce, si lega un mRNA. 2) All’interfaccia tra la subunità maggiore e quella minore si trovano tre siti importanti per legare i tRNA; andando nella direzione in cui si legge un mRNA da 5’ a 3’, i siti sono: E (espulsione), P (peptidile) e A (amminoacile); nell’insieme, sono indicati come E/P/A. Figura 7.5 – Modelli molecolari ricostruiti del complesso tra ribosomi, mRNA e tRNA che mostra i tre siti E/P/A; i modellini dei tRNA sono in giallo per il sito E, in verde per quello P, in viola per quello A. Da sinistra a destra: modello completo, modello con solo la subunità 50S, modello con solo mRNA e subunità 30S. PTC = centro peptidil trasferasi, DC = centro discriminativo per l’appaiamento codon/anticodon. 3) Sulla subunità 50S, vicino al sito A in direzione del terminale 3’ dell’mRNA, c’è il sito di legame per le proteine G, che attiva l’idrolisi del GTP (GAC = GTPase Activating Centre), formato da una “piattaforma” e dal “peduncolo” delle proteine ribosomali L7/L12 e L1. 4) Nella subunità 30S, alla base del sito A, si trova il centro di discriminazione (DC) che controlla il corretto appaiamento tra codon e anticodon; questo “dialoga” col GAC tramite cambiamenti di conformazione negli rRNA 16S e 23S. 5) Nella subunità 50S, vicino al punto in cui sta il terminale 3’ delll’amminoacil-tRNA legato al sito P, si trova il centro peptidiltrasferasi (PTC), una porzione assai conservata dell’rRNA 23S, che catalizza la formazione del legame peptidico. In prossimità del PTC, inizia una cavità stretta e allungata che termina all’apice della subunità, detta tunnel d’uscita del polipeptide. 2 Negli Eucarioti, la selezione del codon d’inizio ha un meccanismo assai diverso; non c’è sequenza di Shine-Dalgarno, e l’estremità 5’ degli mRNA maturi è quasi sempre modificato da una struttura nucleotidica particolare detta “cap”, legata da uno dei fattori d’inizio eucariotici, di cui si accennerà altrove. 95 7.6. Il ciclo di funzionamento ribosomale. Fase d’inizio. Per poter iniziare un ciclo di traduzione, il ribosoma deve essere dissociato nelle due subunità: vedremo come ciò avvenga alla fine del ciclo. Il fattore d’inizio IF3 (IF = initiation factor) legato al ribosoma 30S nella porzione del sito E impedisce la riassociazione con la subunità maggiore; dopo che un mRNA si è legato al 30S, un altro fattore, detto IF1, si lega nella porzione del sito A. Questo complesso di pre-inizio è pronto ad associare il fattore IF2 legato al GTP che colloca il tRNA iniziatore, N-formilmetionil-tRNAf-Met, nel sito P dove si trova il codon d’inizio dell’mRNA. In seguito, la subunità 50S si associa alla 30S, per rilasciare IF3, indurre col GAC l’idrolisi del GTP da parte di IF2 e far dissociare infine IF2 e IF1, formando il complesso d’inizio (vedi schema a sinistra in Fig. 7.6). I fattori e il meccanismo d’inizio eucariotici sono diversi. (Prima) Fase di allungamento. Il complesso d’inizio col ribosoma 70S, completo di mRNA col codon d’inizio e il tRNA iniziatore nel sito P, può intraprendere la fase di allungamento, inserendo il secondo amminoacido per formare il primo legame peptidico. A somiglianza di IF2, il fattore di allungamento EF-Tu (EF = elongation factor) è una proteina G, ossia lega un nucleotide guanilico: interviene massicciamente3 in questa fase, essendo deputato a portare i vari amminoacil-tRNA nel sito A per il cimento col codon dell’mRNA che vi si trova. Ogni molecola di EF-Tu legata a GTP trasporta un amminoacil-tRNA nel sito A; se l’appaiamento ha successo, e comunque dopo un certo tempo di sosta nel sito A, idrolizza il fosfato terminale del GTP, che diventa GDP; se l’appaiamento è labile, il complesso ternario EF-Tu/GTP/amminoacil-tRNA lascia il ribosoma per essere sostituito da un altro complesso simile con un diverso amminoacil-tRNA (vedi Fig. 7.7). Risulta evidente che questa fase può essere effettuata anche quando nel sito P si trova l’ennesimo tRNA con legato un polipeptide di n residui e nel sito A c’è l’amminoacil-tRNA n+1. Tuttavia, la fase di allungamento si può ripetere solo dopo una fase di traslocazione, come dettagliato in seguito. Dopo l’idrolisi del GTP, EF-Tu-GDP si dissocia dal sito e viene riciclato nel citoplasma: il fattore di scambio del nucleotide EF-Ts si associa ad esso, facendo rilasciare il GDP, ed è poi sostituito da una nuova molecola di GTP, per ripristinare il complesso binario EF-Tu/GTP che può trasportare un altro amminoacil-tRNA (vedi schema al centro in Fig. 7.6). EF-Tu ed EF-Ts (inizialmente isolati in complesso) sono stati chiamati così per una proprietà chimico-fisica differenziale: il primo è labile alla temperatura (Tu = thermally unstable), mentre il secondo è stabile a un moderato riscaldamento (Ts = thermally stable). EF-Tu/GTP può legare qualunque amminoacil-tRNA all’infuori del tRNA iniziatore; infatti, oltre a riconoscere nello stelo accettore la presenza di un residuo pG al terminale 5’ e il legame estere sull’adenosina 3’–terminale, EF-Tu richiede che in tale posizione ci sia un amminoacile col gruppo –NH2 libero. Questa può essere una seconda spiegazione per la presenza della formilmetionina nei batteri, anche se tale caratteristica è assente nel tRNA iniziatore degli Eucarioti, che quindi è discriminato per sé e non per la presenza di un amminoacido col gruppo amminico bloccato. La fase del ciclo ribosomale in cui il complesso ternario EF-Tu/GTP/amminoacil-tRNA si associa al sito A è critica: il sito DC è infatti implicato nel riconoscimento dell’appaiamento corretto tra anticodon e codon, mediante una sorta di “calibro molecolare” che misura le distanze di legame tra le basi appaiate nelle tre coppie anticodon/codon (vedi Fig. 7.8). Se le distanze sono “giuste”, un cambiamento di conformazione nell’rRNA 16S si ripercuote su quella dell’rRNA 23S nella regione del sito GAC della subunità maggiore, facendo in modo che una porzione di EF-Tu (switch 1) si sposti e consenta al sito GTPasico del fattore di idrolizzare il GTP. Come già detto, questo può avvenire anche nel caso di “incertezza” nella discriminazione e l’idrolisi del GTP può essere seguita 3 EF-Tu è proteina assai abbondante nei batteri, potendo rappresentare il 3% di tutte le proteine cellulari di E. coli. 96 da una dissociazione dell’amminoacil-tRNA dal sito A (quando EF-Tu/GDP lascia il sito GAC) prima che si formi il legame peptidico. Figura 7.6 – Fase d’inizio della traduzione (schema a sinistra), fase di allungamento con selezione di un nuovo amminoacil-tRNA portato da EF-Tu/GTP con ciclo di EF-Tu/EF-Ts (schema al centro) e formazione del legame peptidico (schema a destra). Figura 7.7 – Schema generale della fase di allungamento con l’intervento di EF-Tu. 99 Traslocazione del ribosoma. Poiché la formazione del legame peptidico è praticamente istantanea dopo la collocazione dell’amminoacile nel PTC che segue di poco la dissociazione del fattore di allungamento EF-Tu/GDP, il sito GAC è disponibile per l’attracco di un nuovo fattore, ma lo stato di occupazione del sito A non consente di accettare un EF-Tu/GTP/amminoacil-tRNA. Nel sito GAC si lega invece il fattore di traslocazione EF-G/GTP4 (anch’esso un fattore di allungamento, essendo questa fase assai articolata e complessa). Prima che EF-G intervenga, però, i due tRNA legati nel ribosoma compiono un movimento spontaneo che porta il complesso in uno stato detto “ibrido”: i bracci accettori che si trovano nella porzione 50S dei siti P e A si spostano nei siti E e P, rispettivamente. Questo sembra dovuto alla minore affinità di legame del tRNA scarico per il sito P e al fatto che il peptide legato al tRNA carico si impegna nell’ingresso del tunnel ribosomale, che si trova nel sito P. Nello “stato ibrido” le due subunità del ribosoma subiscono una rotazione relativa di circa 6°. In seguito, EF-G/GTP trasloca il ribosoma rispetto all’mRNA, in modo che le coppie codon/anticodon si spostino di tre nucleotidi verso il sito E; in tal modo, anche il braccio dell’anticodon di ciascun tRNA è traslocato, quello del tRNA scarico nel sito E, quello del peptidil- tRNA nel sito P, mentre nella porzione 30S del sito A viene a collocarsi un nuovo codon dell’mRNA. Dopo l’idrolisi del GTP, sempre innescata dal GAC, il fattore EF-G/GDP lascia il ribosoma, e questo assume lo stato post-traslazionale che coincide con quello iniziale del ciclo di allungamento che può così riprendere. Quando un nuovo complesso EF-Tu/GTP/amminoacil-tRNA entra nel sito A, il tRNA scarico si dissocia dal sito E (Fig. 7.11). Figura 7.11 – Fase di traslocazione del complesso di allungamento ribosomale. È mostrata la situazione alla fine del primo ciclo di allungamento, col tRNA iniziatore scarico e il secondo tRNA col dipeptide che inizia con formil- metionina, ma il meccanismo è identico per qualunque ripetizione del ciclo di allungamento. Nel riquadro in alto a sinistra è mostrato schematicamente lo “stato ibrido” in cui il braccio accettore dei due tRNA va a collocarsi nei siti E e P (vedi testo). Fase di terminazione. Quando nel sito A della subunità 30S si presenta un codon di STOP, nessun amminoacil-tRNA vi si adatta bene e la fase di allungamento non può iniziare. I codon nonsense sono però riconosciuti da due fattori di rilascio, detti RF1 e RF2, ciascuno dei quali può “leggere” il codon UAA, mentre RF1 può leggere anche UAG e RF2 può leggere UGA (negli Eucarioti, la situazione è più semplice e c’è un solo fattore di rilascio per tutti i codon di STOP). L’attività degli RF consiste nel commutare il centro peptidil trasferasi in un’idrolasi che scinde il legame estere tra peptidile e tRNA nel sito P (Fig. 7.12). Il polipeptide completo può percorrere il tunnel ribosomale e liberarsi nel citosol (negli Eucarioti, se il ribosoma è sul RER, esce nel lume del reticolo endoplasmico). 4 La lettera G significa “guanilico”, perché fu questo il primo fattore per il quale si riconobbe la capacità di legare GTP e scinderlo in GDP+Pi. EF-G non ha una controparte citosolica per lo scambio del nucleotide, poiché questo sembra avvenire quando EF-E/GDP si lega nuovamente al centro GAC del ribosoma. 100 Affinché il ribosoma dissoci sia RF1/2 sia il penultimo tRNA scarico rimasto nel sito E, occorre l’intervento di un nuovo fattore di rilascio, RF3/GTP che idrolizza il nucleotide in GDP+Pi. Infine, sono richiesti due altri fattori per riciclare il ribosoma, poiché questo si trova ora col sito P occupato da un tRNA scarico e le due subunità associate. Intervengono RRF (fattore di riciclo del ribosoma) ed EF-G/GTP: la traslocazione in questo caso produce, oltre il rilascio del tRNA tramite il sito E e dei due fattori RRF e EF-G/GDP, la dissociazione del ribosoma 70S in due subunità. La subunità 30S è subito legata al fattore d’inizio IF3 e può così iniziare un nuovo ciclo di attività ribosomale. Figura 7.12 – Ciclo di terminazione della traduzione. È mostrato il caso con RF1 che legge il codon UAG. La Fig. 7.13 riassume il ciclo di attività ribosomale in un unico schema. Figura 7.13 – Schema riassuntivo del ciclo di attività del ribosoma.