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Capire la politica - Capitoli 4-5-6, Dispense di Scienza Politica

Riassunto dei capitolo 4-5-6 del manuale "Capire la politica". Utili per superare la prima prova parziale del corso di "scienza politica".

Tipologia: Dispense

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Scarica Capire la politica - Capitoli 4-5-6 e più Dispense in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! CAPITOLO 4 GLI AUTORITARISMI DEMOCRAZIA  Nel mondo, nonostante la diffusione della democrazia, i regimi non democratici sono ancora maggioritari. Nello specifico la tipologia principale è quella dei regimi non democratici, nella quale confluiscono regimi civili e militari. LA DEFINIZIONE DI LINZ  Sono autoritari tutti quei regimi politici con pluralismo politico limitato non responsabile, senza la guida di un’ideologia elaborata, ma con mentalità caratteristiche, senza un’estesa e intensa mobilitazione politica salvo che in alcuni momenti del loro sviluppo, e nei quali un leader o talvolta un ristretto gruppo dirigente esercita il potere entro limiti formalmente mal definiti ma in realtà abbastanza prevedibili. 5 DIMENSIONI  Linz individua 4 dimensioni a cui si aggiunge una quinta. IL PLURALISMO  All’interno del pluralismo troviamo 2 variazioni: - IL PLURALISMO SOCIALE A INFLUENZA POLITICA INDIRETTA  Quando alcuni gruppi sono in grado di veicolare valori e interessi nel sistema politico, senza incorrere nelle sanzioni previste contro coloro che esprimono dissenso politico. Alcuni gruppi sono dunque soggetti ad una tolleranza rispetto ad altri. - IL PLURALISMO POLITICO LIMITATO  Risulta più probabile in situazioni di crisi o di transizione (es. partiti o sindacati che operano in un clima di semi legalità tollerato dal regime) L’IDEOLOGIA  Non è intensa quanto quella dei totalitarismi, picchi di intensità si possono verificare nelle prime fasi di vita del regime per poi progressivamente attenuarsi. Linz richiama il rapporto e la distinzione tra mentalità ed ideologia, i regimi autoritari mostrano differenti livelli e combinazioni di ideologia e mentalità: uno scenario autoritario può avere una forte presenza dell’ideologia (es. Italia fascista), come può esserci la sua totale assenza (es. regime militare cileno). Nel secondo caso il regime si fonda su una mentalità, su valori generici e privi di elaborazione intellettuale. LA MOBILITAZIONE POLITICA  Richiama quell’insieme di azioni ad opera di un’élite politica, di un partito unico e delle sue organizzazioni fiancheggiatrici. È un termine che nasce in ambito militare, il che spiega la difficoltà del cittadino a sottrarsi ad esempio all’iscriversi ad un determinato partito. L’intensità ideologica influisce sull’intensità della mobilitazione. Esistono diverse forme di mobilitazioni politiche che vanno dalla mobilitazione moderata alla smobilitazione, ovvero quando si smantellano le strutture precedenti di mobilitazione come avvenuto nella Spagna franchista. LA LEADERSHIP  Anche l’esercizio del potere è influenzato dall’intensità ideologica presente: se forte, l’interventismo del regime sarà presente anche nei settori non politicizzati (es. istruzione, economia…), viceversa quando è debole caso in cui il regime è limitato alla smobilitazione e alla promozione nella popolazione di forme di accettazione passiva del sistema LE DIMENSIONI STRUTTURALI  In questo ambito occorre analizzare: l’organizzazione ai vertici del regime, il ruolo delle forze armate, l’utilizzo delle assemblee parlamentari, l’esistenza di gruppi politici e sindacati. 1 DIMENSIONE  Per quanto riguarda i partiti nei regimi autoritari distinguiamo 3 sottotipi: monopartitici, a partito egemone e senza partito. MONOPARTITISMO  Huntington distinse 2 tipologie di monopartitismo: i monopartitismi forti (URSS) e monopartitismi deboli (Spagna Francisco Franco). Questa distinzione fa riferimento alle differenze tra partito unico totalitario e partito unico autoritario. La genesi del partito autoritario varia dalle circostanze, può essersi formato in un contesto democratico (PNF) oppure può essere stato costruito dall’élite autoritaria (il Partito falangista spagnolo). PARTITO EGEMONE  Sartori distinse tra la variante pragmatica ed ideologica. SENZA PARTITO  Ogni distinzione dipende da chi sostituisce il partito, può essere: leadership personale, giunta militare, élite religiosa, élite civile. 2 DIMENSIONE STRUTTURALE  La seconda dimensione riguardi i regimi militari, molto forti in America Latina e in Turchia. I REGIMI MILITARI  Si caratterizzano per la forte influenza delle forze armate, si formano solitamente attraverso colpi di stato legittimandosi attraverso il ristabilimento dell’ordine, la lotta alla corruzione e la difesa dei valori. I MILITARI  Solitamente viene percepito come un impegno temporaneo, i militari hanno come scopo rientrare nelle caserme e lasciare il potere ai civili, ma conservando dei privilegi. Per questo motivo i regimi militari sono fragili e tendenzialmente hanno vita breve. COLPO DI STATO  Si tratta di una presa del potere con la forza, vengono occupati i luoghi del potere politico e allontanati i principali leader politici. COME DISTINGUERE GLI AUTORITARISMI  Linz aveva individuato alcuni sottotipi di regimi autoritari. I REGIMI AUTORITARI BUROCRATICO – MILITARI  Sono dominati da una coalizione di militari e burocrati, fortemente ideologizzate e mirano a impedire ogni forma di partecipazione autonoma delle masse e a smobilitare le strutture politiche dei regimi precedenti. Possono nascere regimi di statalismo organico in cui si è cercato di superare l’assetto burocratico- militare-tecnocratico, coinvolgendo gli individui attraverso la partecipazione in organizzazioni sociali primarie. I REGIMI AUTORITARI DI MOBILITAZIONE IN SOCIETÀ POST-DEMOCRATICHE  Sono regimi autoritari che si sono formati dalla rottura con la precedente autorità tradizionale. I REGIMI AUTORITARI DI MOBILITAZIONE POST-INDIPENDENZA  Sono regimi autoritari che si sono sviluppati nelle aree liberate dal colonialismo. Molto nazionalisti, monopartitici e basati su una forte leadership, ma fortemente instabili. LE DEMOCRAZIE RAZZIALI ED ETNICHE  Definite anche come democrazie oligarchiche, sono regimi autoritari dove il potere è esercitato da una minoranza della popolazione, escludendo sulla base di un pregiudizio razziale l’altra parte della popolazione (es. Sudafrica dell’apartheid). I CONTESTI E REGIMI POLITICI IMPERFETTI E PRETOTALITARI  Sono situazioni nelle quali sono presenti elementi favorevoli ad un esito totalitario, c’è una forte tendenza verso il totalitarismo (es. Primi anni del fascismo in Italia). I REGIMI AUTORITARI POST-TOTALITARI  Linz elabora questo sottotipo sulla base delle vicende dell’est-Europa dopo la morte di Stalin e la successiva destalinizzazione. I REGIMI SULTANISTICI SULTANISMO  Il termine sultanistico fu introdotto da Max Weber, il quale lo mise in relazione con patrimonialismo, poiché inteso come un potere patrimoniale. DIFFERENZE  I regimi sultanistici si differenziano dai regimi autoritari personalistici per una istituzionalizzazione del regime, una rule of law e una prevedibilità dell’esercizio del potere maggiori. Mentre si differenziano dai regimi totalitari per via di un’ideologia e di una penetrazione nella società meno rilevante. Hanno invece qualche analogia nella tendenza ad alimentare la cultura del capo, nello scarso grado di istituzionalizzazione del regime, nella presenza di forme di mobilitazione e nella imprevedibilità nell’esercizio del potere da parte del leader. IL LEADER  L’autorità del leader è alimentata da forme personali di patronage, occupano cariche ed uffici principalmente per incrementare le proprie ricchezze e il proprio status. È definibile come una estremizzazione del potere personale, con caratteri patrimonialistici e dinastici. Questa combinazione di caratteri caratterizza a sua volta i regimi sultanistici, poiché la leadership è esercitata su base personale, basandosi su un reclutamento limitato ai componenti del clan famigliare e agli stretti collaboratori. Laddove è possibile, la successione si basa su criteri dinastici (ciò non si verifica solo nelle monarchie ma anche in Stati come la DPRK). L’ideologia, quando presente, è finalizzata all’esaltazione del leader; così come la struttura del regime e la mobilitazione finalizzate per raggiungere gli obiettivi del leader e dello staff. FUSIONE STATO E REGIME  Il leader esercita il potere senza alcun vincolo e detiene il controllo dello Stato, della società politica e di quella civile. Per questa ragione si realizza una fusione tra Stato e regime, poiché il leader e i suoi collaboratori possono intervenire direttamente sulle strutture di governo senza rispettare le loro norme interne. REGIMI  I regimi che possono rientrare in questa categoria hanno origini diverse tra loro, ad esempio la DPRK e la Romania di Ceausescu nascono come regimi comunisti; altri invece come Duvalier a Haiti e Fernando Marcos nelle Filippine arrivarono al potere attraverso elezioni per poi trasformarsi in regimi autoritari ed assumere sempre di più elementi sultanistici. I REGIMI IBRIDI I REGIMI IBRIDI  Tra i regimi democratici e i regimi non democratici si colloca una ziona grigia, i regimi ibridi, i quali presentano caratteri democratici e caratteri autoritari. Sono frutto specialmente di falliti tentativi di democratizzazione, come avvenuto nell’area post-sovietica: Degli 86 stati che, tra il 1974 e il 2004, avviano una democratizzazione, solo 41 riescono a dare vita a democrazie consolidate o in via di consolidamento. Per gli stati restanti individuiamo due esiti: - Nel primo esito si verifica un ritorno ad un regime non democratico, come per la Bielorussia, l’Egitto, la Russia, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. - Nel secondo esito si formano i regimi ibridi, laddove il percorso di democratizzazione si è interrotto e non c’è stato un vero consolidamento della democrazia. Gli esiti che conducono ad un regime ibrido alimentano il numero degli “Stati parzialmente liberi”, che tutt’oggi rappresentano il 25%. DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE  La definizione non può che essere molto generale per via della convivenza di elementi democratici e autoritari. Ma bisogna inoltre chiedersi se sono regimi di transizione, e dunque in fase di trasformazione, oppure se sono regimi ormai stabili e quindi classificabili a parte. Da questa domanda se ne scaturisce una seconda, riguardante le ragioni che eventualmente ostacolano il processo di democratizzazione, tema che ha attirato l’attenzione di vari studiosi i quali hanno attribuito differenti denominazioni tra cui il termine democrazia elettorale. Utilizzato anche da Freedom House il termine democrazia elettorale serve per identificare quegli stati con elezioni sostanzialmente libere, ma che si differenziano dalle democrazie liberali per la carenza di diritti civili e per scene di violazione dei diritti umani. Per valutare l’utilità della presenza di processi elettorali in regimi non democratici, occorre valutare se e quanto le elezioni sono una opportunità di libera scelta oppure se sono finalizzate al rafforzamento del regime. In merito alla presenza e ai caratteri delle elezioni si possono rilevare i seguenti scenari: - DEMOCRAZIE ELETTORALI  Democrazie in cui sono soddisfatti i requisiti democratici, ovvero in cui le opposizioni possono svolgere un’attività relativamente libera, ma con ancora forti carenze sul piano delle libertà civili. - AUTORITARISMI ELETTORALI  Dove le elezioni costituiscono il risultato di un processo di liberalizzazione del regime, il pluralismo politico è molto limitato e le elezioni mancano dei requisiti di correttezza e trasparenza poiché ancora manipolate. - REGIMI NON DEMOCRATICI  Dove le elezioni sono prive di qualsiasi forma di competitività, servono principalmente per aumentare il controllo sociale, la mobilitazione e l’auto- legittimazione. Il primo gruppo di paesi è collocabile sicuramente all’interno dei regimi ibridi, il secondo può rientrarvi se le elezioni vanno progressivamente a sfuggire al controllo dell’élite autoritaria e se acquisiscono sempre di più il carattere della competitività. 2 ASPETTI  I regimi si caratterizzano per la condizione di ibrida tra autoritarismo e democrazia, ma anche per l’aspetto dinamico di allontanamento o di avvicinamento a uno dei due modelli. 1- Sotto il primo aspetto, queste esperienze non sono considerabili democrazie e dunque tendiamo a definirle come regimi ibridi. 2- Sotto il secondo aspetto ci troviamo in una fase di transizione; dunque, ogni collocazione tipologica rimane in sospeso. Possiamo comunque individuare la direzione della transizione, se in allontanamento o in avvicinamento. CAPITOLO 5 DEMOCRAZIE E DEMOCRAZIE LA DEMOCRAZIA NELL’ANTICA GRECIA  Il termine democrazia nasce nell’antichità greca, ma con il tempo ha modificato progressivamente il suo significato. La libertà per gli antichi greci consisteva nell’esercizio diretto e collettivo delle funzioni della sovranità, attraverso la partecipazione alla vita della polis, non si tratta dunque di una libertà individuale. La democrazia era una democrazia diretta basata sulla dimensione orizzontale del potere, resa possibile grazie alle ridotte dimensioni geografiche e dal fatto che le attività economiche erano gestite da “non cittadini”. LIBERTÀ INDIVIDUALE  La libertà individuale viene conosciuta più tardi grazie a fattori come il Cristianesimo, il contrattualismo e il liberalismo. La libertà e la democrazia dei moderni si differenzia da quella degli antichi essendo fondata su principi di libertà individuale, su una concezione della cittadinanza come fonte di legittimità politica e infine sulla rappresentanza. Si passa dunque progressivamente ad una dimensione verticale del potere. PLATONE  Molte delle critiche rivolte alla democrazia nascono da Platone, il quale, ne La Repubblica, definisce la democrazia come una forma di governo deplorevole, poiché la dipendenza dei leader dipende dal consenso del popolo il che comporta un progressivo indebolimento della leadership. Inoltre sostiene che la democrazia emargina i saggi e che la richiesta di uguaglianza e di libertà politica tende a sfociare verso una forma anarchica. Nel corso del tempo diversi studiosi hanno cercato di distinguere le diverse esperienze democratiche, con termini come democrazia classica, democrazia liberale oppure democrazia totalitaria. L’uso di questi numerosi aggettivi è stato anche una conseguenza dell’espansione della democrazia negli ultimi trenta anni. RAPPORTO DEMOCRAZIA ED ECONOMIA DI MERCATO  Nelle democrazie moderne il rapporto tra democrazia e economia capitalistica e di mercato è inscindibile. Ergo non sono mai esistite democrazie stabili senza un economia di mercato e proprietà privata. Il capitalismo è stato uno dei fattori che ha impedito che lo Stato divenga l’unico controllore dei mezzi di produzione, il che ha favorito la formazione di un assetto democratico. D’altra parte si può notare come però il capitalismo sia coesistito anche in numerosi autoritarismi del Novecento (es. fascismo, nazismo, Pinochet), ciò suggerisce come sia una condizione necessaria per la democrazia, ma non abbastanza sufficiente per garantirla a tutti gli effetti. DEFINIRE LA DEMOCRAZIA  Quando si parla di democrazia tendiamo abitualmente ad immaginare un modello di ideale di democrazia, distogliendo la nostra attenzione su come realmente sia la democrazia. Inoltre, tanto più si affermano le democrazie nel mondo tanto più alziamo la nostra definizione. Questo insieme di elementi provocano dei malintesi sul concetto di democrazia. Gli attori politici assumono sempre di più impegni relativi al welfare state, il che accresce le aspettative e la delusione nel caso di inadempienza di questi impegni. Dobbiamo pertanto sfuggire alla tentazione di considerare ogni fallimento delle democrazie in questi ambiti come fallimento della democrazia come regime. Definire la democrazia basandosi sul contenuto delle politiche sovraccarica la definizione e ci induce ad escludere dalla categoria dei regimi democratici, regimi con livelli significativi di corruzione, di inefficienza e di incapacità politica, i quali non necessariamente sono effettivamente non democratici. FASI E SEQUENZE DELLA DEMOCRATIZZIONE MORLINO  Morlino individua 4 fasi che compongono il percorso da un regime non democratico alla democrazia. 1- Crisi ed eventuale crollo del regime non democratico. 2- Fase di transizione. 3- Fase di instaurazione. 4- Fase di consolidamento. Le modalità attraverso queste fasi si sviluppano e si concludono influenzano la fase successiva e l’esito della democratizzazione. LA CRISI DEL REGIME NON DEMOCRATICO  La crisi si può manifestare in molti modi: con la crescita della violenza, con le divisioni interne all’élite, con l’abbassamento del rendimento politico e con la nascita di sindacati e partiti che trovano sempre più coraggio per fare opposizione. Lo sviluppo all’interno dell’elite di dissensi e di fratture costituisce un sintomo molto frequente nelle crisi. Il vecchio regime può tentare di uscire dalla crisi attraverso una varietà di comportamenti. In particolare con la repressione, con tentativi di riformare e rilegittimare il regime oppure con l’avventura militare esterna come diversivo. Quest’ultima serve per trasferire l’attenzione sul versante internazionale, sperando che l’opinione pubblica si dimentichi le proteste contro il regime e che si stringa attorno alla bandiera (comportamento assunto dall’Argentina nel 1974 con l’occupazione delle Malvinas, che fallì per via della reazione della Gran Bretagna). Se i tentativi di fronteggiare la crisi hanno successo, il regime si riconsolida o rinvia più avanti la resa dei conti. Nel caso contrario si accentueranno sempre di più le divisioni e le opposizioni. LA TRANSIZIONE DEMOCRATICA  Fase che si apre quando è chiara la crisi e l’elite politica proclama una fase nuova di liberalizzazione. La direzione democratica si manifesta chiaramente quando i vecchi e i nuovi attori aprono un dialogo sulle procedure necessarie per dare vita ad un parlamento eletto, la transizione diventa così una transizione democratica. I diritti civili e politici vengono dunque riconosciuti, i principali attori forniscono garanzie in questo senso ed iniziano a negoziare le modalità di trasformazione, infine si diffonde una pluralità politica e di tolleranza con la nascita di nuovi partiti. Ad avviare questa fase può essere la stessa élite autoritaria, in Ungheria le aperture nascono all’interno del partito unico mentre in America Latina spesso sono stati i militari. La decisione può essere frutto di politiche che hanno peggiorato la crisi, oppure sollecitazioni della piazza con proteste popolari, oppure ancora per divisioni interne all’élite in cui si deve essere verificata la vittoria dei riformisti sui conservatori. 2 Varietà di transizione: LA TRANSIZIONE CONTINUA  Quando il cambiamento è graduale, quando è l’elite precedente ad avviare e guidare il cambiamento e quando questo è condotto senza una rottura con le vecchie regole ed istituzioni. In alcuni casi il cambiamento può essere anticipato da riforme messe in atto già nel precedente regime, come avvenuto in Ungheria. In altri casi il passaggio viene pianificato dalla vecchia élite che stabilisce tempi e modalità, è il caso della Spagna franchista. La continuità della transizione è in genere suggellata da patti e compromessi, attraverso i quali si cerca di coinvolgere nel processo decisionale anche i rappresentati dei nuovi attori collettivi. LA TRANSIZIONE DISCONTINUA  Si riconosce dalla presenza di eventi come colpi di stato, rivoluzioni, esecuzioni sommarie, occupazioni militari e guerre civili. Gli attori protagonisti del vecchio regime vengono sostituiti da una nuova élite emergente, cambiano le regole e si modificano o sostituiscono le istituzioni. Talvolta la discontinuità include una modifica nella fisionomia dello Stato. Quando la discontinuità è provocata dalla mobilitazione dal basso, tendenzialmente un esito democratico stabile diventa sempre più difficile. Poiché, la vecchia elite, anziché adattarsi ed assecondare, tra dalla paura di soluzioni rivoluzionarie le risorse per imprimere una svolta reazionaria. Tra i casi di transizione discontinua troviamo l’Italia durante il periodo del fascismo e il Portogallo durante gli anni Settanta. L’INSTAURAZIONE  Include i passi attraverso i quali nasce un regime politico e prendono forma il potere, l’influenza e l’autorità che lo caratterizzano e legittimano. Più specificatamente intendiamo quella fase che vede la nascita delle nuove istituzioni del nuovo regime democratico. È probabile che la transizione si sovrapponga con i primi passi dell’instaurazione. In questa fase è centrale il constitution-building, ovvero la nuova Costituzione, che rappresenta le basi e i principi sui quali si fonda il nuovo Stato. Le differenze in ordine al processo di constitution- building riguardano la sua durata, la scelta dei tempi, la modalità di approvazione e il tipo di disegno costituzionale. L’instaurazione si chiude quando, dopo le prime elezioni liberi, il disegno costituzionale trova una sua attuazione con la formazione del parlamento, di un governo, di una corte costituzionale e con l’eventuale elezione di un capo di Stato. Nel caso siano presenti gruppi antidemocratici e antisistema, presentano un problema quando le elezioni possono trasformarsi in uno strumento per essere eletti. Se tale rischio viene scongiurato, le nuove istituzioni, oltre a iniziare il loro funzionamento, si troveranno ad affrontare questo problema. Specialmente le decisioni riguarderanno gli attori del vecchio regime, si deciderà se integrarli o escluderli dal nuovo regime. Un ulteriore dilemma riguarda in che misura la democratizzazione debba contemplare l’epurazione del personale della pubblica amministrazione e delle forze armate. In linea di massima sono due i gruppi di circostanze che spingono verso cambiamenti più radicali del personale amministrativo: - Il primo è la concomitanza di una transizione statale, in questo, tanto più la transizione politica investe lo Stato, tanto più sono probabili trasformazioni negli apparati burocratici. - Il secondo è la carenza di professionalizzazione del personale amministrativo, la quale può dipendere da bassi livelli di sviluppo, ma anche da una forte ideologizzazione del regime precedente. IL CONSOLIDAMENTO DEMOCRATICO  Costituisce il momento centrale dell’affermazione della democrazia, poiché riduce la possibilità di una regressione. Se le istituzioni dimostrano adeguatezza e stabilità, se la nuova classe politica si costruisce attorno a principi democratici e se la società civile è propensa ad instaurare una relazione con essa, allora il sistema sembrerebbe avviato a consolidarsi. Una condizione necessaria per il consolidamento è che i cittadini percepiscano che sia l’unica alternativa plausibile, il consolidamento diventa dunque parte integrante della società. Più nello specifico, ciò vuol dire che nessun partito politico cerca di rovesciare il regime, anche in presenza di fasi critiche la maggioranza ritiene che ogni mutamento deve rimanere all’interno dei parametri democratici e che, dunque, la democrazia è l’unica alternativa politica anche dal punto di vista costituzionale. Morlino definisce questa fase come fase di definizione e fissazione dei caratteri essenziali e di adattamento di quelli secondari. Si fissano dunque istituti e procedure consuetudinarie, segue poi un’ampliamento dell’accettazione delle strutture e norme per la risoluzione dei conflitti ed infine un incremento della legittimazione del regime, che deve essere riconosciuto dall’opinione pubblica e dagli attori collettivi e dalle istituzioni chiave. La formazione di una solida maggioranza a favore della democrazia è quasi sempre frutto della pratica democratica, ovvero di una routinizzazione delle procedure che successivamente si espandono nei vari campi della società. Non è possibile conseguire un consolidamento se restano “poteri tutelari” e “domini riservati”. - I “poteri tutelari” sono rappresentati da quelle istituzioni che vengono ereditate dal regime precedente, sono prive di ogni legittimità e mantengono il potere di controllare gli organi politici elettivi. - I “domini riservati” costituiscono aree decisionali sottratte agli organi elettivi, sono il prodotto di minacce ed imposizioni con la forza da parte di coloro che detengono le risorse coercitive (in America Latina nei regimi militari, si è verificata spesso la situazione dove i militari hanno cercato di sottrarre ai governi successivi le decisioni riguardanti il loro bilancio). LA TEORIA DELL’ANCORAGGIO  La constatazione che il consolidamento è stato raggiunto anche in contesti nei quali la legittimazione democratica era debole, ha poi portato alla stesura della teoria dell’ancoraggio. Sotto questo profilo un esempio è la nascita della Repubblica post-fascista. Con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 e le successive elezioni avevano visto formarsi una solida maggioranza democratica, anche se i partiti anti-democratici non erano del tutto irrilevanti. A destra il MSI, che raccoglieva l’eredità del fascismo, si attestò intorno al 5%, a sinistra invece il PCI, che nonostante la partecipazione alla stesura della Costituzione si era comunque proclamato anti-sistema, raccolse oltre l’1/5 dei voti ed era inoltre in grado di mobilitare le masse operaie e di essere influente con gli industriali attraverso la CGIL. Infine, era presente anche la posizione ambigua del PSI, favorevoli alle procedure democratiche ma allo stesso tempo non rinunciava a collaborare politicamente con il PCI. Ma il consolidamento democratico riuscì comunque ad affermarsi. Secondo Morlino le dimensioni del consolidamento sono sia la legittimazione che l’ancoraggio. In assenza di una legittimazione forte ed inclusiva entrano in gioco le ancore, ovvero le organizzazioni partitiche, il clientelismo, il neocorporativismo e il ruolo di gatekeepers svolto sempre dai partiti. Ed è proprio grazie ai partiti che in Italia ebbe successo il consolidamento, poiché furono costretti ad adattarsi al gioco democratico al fine di guadagnare consenso, ciò portò dunque ad una integrazione dei partiti considerati anti-sistema e anti-democratici. SPIEGARE LA DEMOCRAZIA: CONDIZIONI STORICHE E FORMAZIONE DELLO STATO PERCHÉ LA DEMOCRAZIA SI SVILUPPA IN EUROPA OCCIDENTALE E NEL MONDO ANGLOSSASSONE E NON ALTROVE  Per dare una risposta a questa domanda bisogna analizzare tre gruppi di condizioni: quelle storiche, quelle socio-economiche e i fattori internazionali. FEUDALESIMO In alcuni suoi aspetti l’esperienza del feudalismo occidentale è correlabile positivamente alla nascita della democrazia. in una società civile in cui si sviluppano molteplici interessi e gruppi che li difendono, matureranno poi pressioni dal basso tese ad ampliare diritti e libertà. UN’UNITÀ TERRITORIALE E NAZIONALE  Le forme di governo moderne hanno nello Stato il loro territorio e la loro comunità. Le democrazie non fanno eccezione ed implicano sempre l’esistenza di una comunità politica i cui membri ne accettino la legittimità e di un sistema legale che realizzi i diritti e le libertà. Spesso si mira a risanare una situazione interna che rischia di avere effetti negativi sulla stabilità internazionale. Gli obiettivi principali possono essere il reinsediamento di un governo democratico abbattuto a seguito di un colpo di stato, l’eliminazione di un regime pericoloso, la neutralizzazione di uno Stato nemico che minaccia l’evoluzione democratica di un altro, oppure la fine di una guerra civile. IN CONCLUSIONE  I fattori internazionali, per imporre con successo la democrazia, non devono solamente rimuovere gli ostacoli ma anche porre le basi per lo sviluppo del consenso interno, fondamentale per il consolidamento democratico. LE DEMOCRAZIE, COME SONO OGGI 1.0 MICRO E MACRO TRE LIVELLI  Le procedure democratiche prevedono almeno tre livelli di attuazione: substatale, statale e sovrastatale. Si distinguono dunque le microdemocrazie (consiglio di istituto scolastico) e le macrodemocrazie (Stati e Ue). MICRODEMOCRAZIE  La ridotta dimensione permette un rapporto “face to face”, ovvero un rapporto più diretto e un grado di partecipazione che consente a ciascun individuo l’esercizio diretto. MACRODEMOCRAZIE  I numeri e gli spazi obbligano alla rappresentanza, l’individuo ha un potere di controllo sempre più ridotto ed irrilevante man mano che le dimensioni del potere si fanno sempre più grandi. 2.0 DEMOCRAZIE CONSENSUALI E MAGGIORITARIE LA DEMOCRAZIA MAGGIORITARIA  Si basa sul principio maggioritario, ovvero decide chi ha la maggioranza (UK). Il modello maggioritario prevede: LA DEMOCRAZIA CONSENSUALE  Si basa sul principio consensuale, ovvero si ricerca il consenso più ampio possibile (Svizzera e Belgio). Il modello consensuale prevede: 1- L’accentramento del potere in governi monopartitici a maggioranza risicata. 1- La condivisione del potere esecutivo fra più partiti. 2- La fusione dei due poteri, con esecutivo presieduto dal leader del partito di maggioranza, che gode della fiducia della Camera e che predomina sul parlamento. 2- La separazione formale e informale dei poteri esecutivo e legislativo, con un sostanziale equilibrio. 3- Un legislativo monocamerale. 3- Un bicameralismo equilibrato, con una camera alta che soddisfa il requisito di una rappresentanza su basi diverse da quella della camera bassa. 4- Un sistema bipartitico. 4- Un sistema multipartitico. 5- Un sistema partitico nel quale prevale una sola linea di frattura. 5- Un sistema partitico che scaturisce da diverse dimensioni conflittuali. 6- Un sistema elettorale maggioritario. 6- Un sistema elettorale proporzionale. 7- Un sistema di governo unitario e centralizzato. 7- Un sistema di governo decentrato. 8- Una Costituzione “non scritta”. 8- Una Costituzione scritta. 9- Una democrazia solo rappresentativa, che esclude la democrazia diretta. 9- Forme di democrazia diretta. 10- Una banca centrale dipendente dall’esecutivo. 10- Una banca centrale indipendente dall’esecutivo. CAPITOLO 6 COS’È UN PARTITO POLITICO EDMUND BURKE  Elaborò una delle prime definizioni di partito politico in un contesto ancora caratterizzato da strutture proto-partitiche. Burke sosteneva la necessità di creare organizzazioni politiche stabili e finalizzate a garantire l’interesse nazionale mediante il confronto ideologico, intuì dunque il ruolo fondamentale che queste associazioni avrebbero potuto ricoprire nella battaglia politica MAX WEBER  Un secolo dopo, Weber ribadì i pregi e i difetti dell’associazionismo e definì i partiti come: “associazioni fondate su un'adesione formalmente di libera, costituite al fine di attribuire ai propri capi una posizione di potenza all'interno di un gruppo sociale e ai propri militanti attivi possibilità per il perseguimento di fini oggettivi o per il perseguimento di vantaggi personali, o per tutti e due gli scopi”. DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE  Si delimitano i confini concettuali del termine “partito”, le cui dimensioni principali vengono individuate: nel carattere associativo, nella presenza di un'organizzazione stabile, nella partecipazione volontaria, nella condivisione di determinati principi e valori, nella finalità di conquistare cariche elettive. LA DEFINIZIONE  La definizione di partito in grado da separarlo da altri soggetti politici e di collocarlo nel proprio contesto, rimane difficile da individuare per 2 motivi - Il primo motivo è che spesso organizzazioni partitiche, per sfuggire alle critiche scelgono di chiamarsi alleanze, movimenti o leghe. - Il secondo invece fa riferimento alla natura del contesto: competitivo o non competitivo. Sartori individuò però una definizione in grado di delimitare il concetto, definendo il partito come: “qualsiasi gruppo politico identificato da un’etichetta ufficiale che si presenta alle elezioni ed è capace di collocare attraverso elezioni candidati alle cariche pubbliche”. Questa definizione si rivela funzionale sia in merito all’individuazione dei soggetti sia in merito alla presenza o assenza di competizione. COME NASCONO I PARTITI: APPROCCIO STRUTTURALE MAURICE DUVERGER  Sotto il profilo strutturale ha diviso i partiti in due categorie: - I PARTITI A ORIGINE INTERNA  Nascono all’interno dei parlamenti in una condizione di suffragio ancora ristretta. I parlamentari eletti incominciano a dividersi in gruppi ideologicamente omogenei al loro interno, una volta consolidati iniziano a creare comitati elettorali sparsi sul territorio con il fine di sostenere le candidature e raccogliere voti. - I PARTITI AD ORIGINE ESTERNA  Nascono fuori dal parlamento e quindi nella società, spesso su basi antiparlamentari. La maggior parte sono il prodotto di una preesistente istituzione non partitica come: i sindacati e le confessioni religiose. LO SVILUPPO DEI PARTITI  Lo sviluppo dei partiti attraversa 4 stadi: - Il primo stadio si colloca all’inizio dell’Ottocento e vede la nascita delle formazioni di origine parlamentare (liberali e conservatori), in una situazione di suffragio censitario. - Il secondo stadio è caratterizzato dal rafforzamento delle strutture che collegano i partiti con il proprio elettorato. Si espande il suffragio e i partiti si espandono e riescono a presentare candidati ricoprendo tutto il territorio nazionale. - Nel terzo stadio si assiste ad una espansione ulteriore del suffragio, che consente l’affermazione dei primi partiti di massa. Prendono campo le formazioni operaie e socialiste e in alcuni paesi quelle cristiano-democratiche. - Il quarto stadio infine vede la nascita dei partiti più estremisti come i nazionalsocialisti, i fascisti e i comunisti. MAX WEBER  Sempre nell’ambito strutturale Weber individua 2 tipologie di partiti sulla base delle loro caratteristiche istituzionali: - I partiti notabili, che hanno origine in una fase di suffragio ancora ristretto, sono caratterizzati da personale non professionale e si affidano a strutture di raccordo intermittenti. - I partiti di massa si sviluppano invece con l’allargamento del suffragio, sono caratterizzati da un politici di professione, godono di una struttura organizzativa stabile, forte ed estesa su tutto il territorio nazionale e si basano su delle ideologie. DUVERGER  Elabora un’altra bipartizione, distinguendo tra partiti di massa e partiti quadri. COME NASCONO I PARTITI: APPROCCIO GENETICO ROKKAN (politologo norvegese)  Elaborò la prima definizione di cleavage (frattura) nell’analisi politologica. Secondo Rokkan non si possono spiegare le differenze nella struttura della politica di massa senza far riferimento agli eventi storici che ne hanno condizionato lo sviluppo. La mancata sistematizzazione del concetto ha prodotto diverse interpretazioni. Ad esempio, Rae e Taylor affermano che le cleavages rappresentano dei criteri con i quali è possibile suddividere una comunità in gruppi: attributivi, attitudinali e comportamentali. Tuttavia, la loro analisi non considera né il conflitto né l’organizzazione. BARTOLINI E MAIR  È soprattutto nei lavori di Bartolini e Mair che il concetto di cleavage assume la connotazione di “conflitto organizzato”. La definizione che propongono focalizza l’attenzione sulla dimensione sociale delle cleavages e mette in relazione 3 aspetti: 1- La presenza di linee di divisione che separano gli individui in base a determinate categorie sociali. 2- La presa di coscienza della propria identità collettiva da parte dei singoli gruppi sociali e la volontà di mobilitare le proprie forze sulla base di un sentimento di appartenenza. 3- Il cleavage inteso in termini organizzativi. In quest’ottica i cleavage sono contrapposizioni che assurgono al livello di fratture se e quando diventano organizzati. Rokkan collega l’evoluzione dei partiti allo sviluppo delle linee di frattura, ammettendo che le fratture non si traducono da sole in opposizioni partitiche ma attraverso anche una serie di condizioni. Un movimento che nasce da un conflitto può favorire la nascita di una opposizione tra partiti, se e quando è in grado di rimuovere le barriere che lo separano dall’esecutivo. Sempre secondo Rokkan le differenze nella strutturazione delle linee di frattura tra i vari paesi europei sono dovute all’impatto di due grandi rivoluzioni: la Rivoluzione nazionale e la Rivoluzione industriale. - LA RIVOLUZIONE NAZIONALE  Si riferisce al processo di costruzione degli Stati nazionali e ai conflitti che nascono all’interno. Da questa rivoluzione emergono 2 fratture: la frattura centro-periferia e la frattura Stato- Chiesa. La prima è il risultato di un conflitto tra un centro politico, culturale ed economico con le aree periferiche, le quali vengono incorporate nelle strutture amministrative (si esprime soprattutto contro l’accentramento territoriale dello Stato, simbolizzato spesso nell’affermazione di una lingua nazionale). Lo scontro tra Stato e Chiesa si verifica quando il processo di costruzione dello Stato passa attraverso un aspro conflitto con la Chiesa cattolica, che continua con la pretesa di voler avere una forte influenza sul territorio. Si sviluppano quindi partiti laici e partiti cristiano-democratici. I CARTEL PARTY  Per quanto riguarda il processo di trasformazione dei partiti da organizzazioni intermedie a organizzazioni interne allo Stato, può essere ricondotto al modello dei cartel party. Con questo termine si evidenzia la crescente collusione tra partiti per ottenere risorse pubbliche. L’allontanamento del partito dalla base sociale, la diminuzione dell’ideologia e il crescente astensionismo ha provocato una riduzione degli iscritti, che ha avuto come conseguenza la necessità di ricorrere a forme alternative di finanziamento. HANS DAALDER  Ha invece individuato 4 visioni diverse riguardo il presunto declino dei partiti: 1- Una visione che giudica negativamente il ruolo dei partiti. 2- Una visione che seleziona i partiti attribuendo un ruolo negativo solo ad alcuni di essi. 3- Una visione che seleziona i sistemi partitici. 4- Una visione che considera i partiti un fenomeno transitorio. PIERO IGNAZI  Più nel dettaglio Piero Ignazi ha preso in considerazione 5 indicatori per valutare il grado di cambiamento dei partiti in merito ad una loro crisi: gli iscritti, le oscillazioni elettorali, la strutturazione del voto, la selezione del personale politico e governativo, la scrittura dell’agenda politica. In merito ai primi due l’analisi empirica rileva variazioni contenute, non attribuibili al declino. La strutturazione del voto invece sembrerebbe rimasta piuttosto stabile. Per quanto riguarda la selezione del personale, i dati confermano che ¾ dei detentori di cariche governative hanno alle spalle una carriera partitica. Infine sulla capacità dei partiti di controllare l’agenda politica, le opinioni divergono. Emerge però una difficoltà dei partiti di influire in modo significativo sull’agenda, per causa di altri attori. PERCHÉ I PARTITI SOPRAVVIVONO  A questa domanda Pasquino risponde che essi svolgono funzioni essenziali, non assolvibili da altre organizzazioni. A COSA SERVONO I PARTITI 6 FUNZIONI  Seguendo lo schema di Almond e Powell i partiti hanno svolto almeno 6 funzioni: - LA STRUTTURAZIONE DELLE DOMANDE  I partiti semplificano la complessità degli orientamenti individuali con una selezione delle domande che i cittadini pongono alla classe politica. - LA STRUTTURAZIONE DEL VOTO  Il rapporto partito-elettore presuppone un processo di identificazione del secondo nei confronti del primo, che tende a stabilizzare nel lungo periodo i comportamenti elettorali. Attraverso le elezioni il partito agisce in qualità di attore in grado di competere per esprimere precise istanze politiche. - LA SOCIALIZZAZIONE POLITICA  Il partito contribuisce a diffondere i propri valori e ad integrare i cittadini all’interno della comunità politica. 3 FUNZIONI NELL’AMBITO ISTITUZIONALE: - IL RECLUTAMENTO DELLA CLASSE DIRIGENTE  - IL CONTROLLO POLITICO  Funzione che i partiti di opposizione, in particolare, possono esercitare all’interno dei parlamenti democratici. - LA FUNZIONE DI FORMAZIONE DELLE POLITICHE PUBBLICHE  Sottolinea il loro apporto non solo nell’elaborazione dei programmi, ma anche nella loro attuazione. LE FUNZIONI  La qualità e la frequenza con le quali i partiti svolgono le proprie funzioni dipendono dalle risorse e dai contesti istituzionali. MODELLISTICA COSTITUZIONALE  L’impatto dei partiti sulla modellistica costituzionale è un aspetto che denota l’importanza che questi assumono nel funzionamento dei sistemi parlamentari o presidenziali. POLICY MAKING  Un altro ruolo che possono svolgere i partiti è quello riguardante il policy making. In una prima ipotesi i partiti possono assumere un ruolo predominante rispetto ai governi, in questo caso l’espressione “party government” evidenzia la dipendenza degli esecutivi in termini di partitizzazione del personale ed in termini di policy making. In una seconda ipotesi, invece, evidenzia i limiti del party government, sul quale incidono 2 variabili sull’azione dei partiti. Ne consegue che i governi, non potendo scegliere il campo d’intervento ed essendo obbligati a fronteggiare una molteplicità di questioni, riescono a svincolarsi sempre più spesso dalle posizioni partitiche. I SISTEMI PARTITICI: ASPETTI GENERALI SISTEMA PARTITICO  Secondo Easton è un complesso di interazioni tra le unità che lo compongono. Presuppone una linea verticale, competitiva, composta da almeno 2 partiti e una line orizzontale che comprende i partiti, gli elettori, i parlamenti e i governi. Il problema fondamentale posto dall’elaborazione di una teoria organica dei sistemi partitici è l’individuazione di criteri in grado di: contare i partiti e capire come interagiscono. A partire dagli anni Cinquanta l’analisi politologica ha elaborato vari criteri classificatori, con l’obiettivo di mettere in evidenza le caratteristiche di un determinato sistema e le differenze tra i vari casi analizzati. DOUGLAS RAE  Lo studio con maggiore successo è stato quello di Douglas Rae, basato sulle relazioni competitive tra i partiti. Introducendo il concetto di frazionalizzazione ha utilizzato 2 variabili: la percentuale di voti ottenuta da ciascun partito e l’uguaglianza delle quote. Un limite della teoria consiste nell’assenza di un criterio in grado di differenziare i sistemi partitici in relazione alle caratteristiche culturali delle singole unità. Il primo tentativo per colmare questa lacuna si deve a Joseph LaPalombara e Weiner, che hanno proposto una classificazione a 4 voci: 1- Il grado di intensità ideologica della competizione. 2- Le modalità di detenzione del potere. Combinando questi criteri si ottengono 4 tipologie di sistema partitico: 1- Egemonico ideologico. 2- Egemonico pragmatico. 3- Di rotazione ideologico. 4- Di rotazione pragmatico. FORMATO E MECCANICA: IL CONTRIBUTO DI GIOVANNI SARTORI SARTORI  L’elemento di novità che introduce Sartori è la distinzione tra formato e meccanica. Per ovviare dal problema del conteggio propone, invece, di contare i partiti che hanno rilevanza sistemica, dunque, non tutti i partiti presenti in un parlamento vengono conteggiati. IL FORMATO  Permette di conteggiare i partiti. QUANDO UN PARTITO ASSUME RILEVANZA?  Un partito può essere rilevante e dunque contato quando possiede un potenziale di coalizione o un potenziale di ricatto. POTENZIALE DI COALIZONE  Indica l’utilità che alcuni partiti ricoprono nella composizione della maggioranza di governo. POTENZIALE DI RICATTO  Si riferisce alla capacità posseduta da alcuni partiti che permette di condizionare le strategie degli altri, ad esempio allontanando i moderati dal centro. LA MECCANICA  Permette di determinare il funzionamento. LA MECCANICA FUNZIONALE  Può essere determinata dal grado di polarizzazione, che Sartori definisce come la distanza ideologica che intercorre tra i vari partiti di uno stesso sistema. CLASSIFICAZIONE  Sartori, sulla base di queste premesse, costruisce una classificazione distinguendo formato e meccanica. FORMATO  Per quanto riguarda il formato, il numero di partiti rilevanti possono essere: MECCANICA  Per quanto riguarda la meccanica, sulla base della polarizzazione e sulla detenzione del potere troviamo: SISTEMA A PARTITO DOMINANTE  Un partito. SISTEMA A PARTITO DOMINANTE  Un partito conquista per diverse legislature consecutive la maggioranza assoluta dei seggi in parlamento riuscendo a governare da solo. SISTEMA BIPARTITICO  Due partiti. SISTEMA BIPARTITICO  Due partiti sono in grado di competere per la maggioranza assoluta dei seggi e chi la ottiene riesce a governare da solo. PLURIPARTITISMO LIMITATO  Da tre a cinque. SISTEMA DI PLURIPARTITISMO MODERATO  2 coalizioni che si alternano al potere, generalmente una di centro-destra e una di centro-sinistra. PLURIPARTITISMO ESTREMO  Superiore a cinque. SISTEMA DI PLURIPARTITISMO POLARIZZATO  Prevede una meccanica tripolare: sinistra/centro/destra. In questo caso, il partito di maggioranza relativa per formare il governo deve poter contare su partiti collocati alle mezze ali del sistema. Agli estremi si collocano, invece, i partiti anti-sistema, la cui distanza ideologica dagli altri tende a relegarli in una situazione di opposizione eterna. NON È UNA CONDIZIONE NECESSARIA  La corrispondenza tra formato e meccanica non rappresenta una condizione necessaria, un sistema può funzionare secondo una logica diversa da quella bipartitica e dunque dare luogo a governi di coalizione, anche quando il formato prevede solo due partiti rilevanti. I SISTEMI PARTITICI NON COMPETITIVI  Nei sistemi partitici non competitivi, sotto il profilo numerico, i sistemi possono essere di due tipi: a partito unico o a partito egemone. Sotto il profilo funzionale, i sistemi non competitivi possono assumere una connotazione diverso a seconda del grado di intensità ideologica, dunque possono essere ideologici o pragmatici, e di penetrazione coercitiva, autoritari o totalitari. UNA RICOSTRUZIONE DEL DIBATTITO SUCCESSIVO Negli anni successivi non sono mancati interventi volti a integrare o a superare la sua analisi, interventi che non hanno prodotto niente di nuovo e che si sono limitati a ritoccare le categorie sartoriane.