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Chimica e biomolecole - Appunti di Biochimica, Appunti di Biochimica

Visione di insieme molto semplice e dettagliata dei concetti principali di chimica inorganica e organica con l'aiuto di immagini molto chiare e dettagliate.

Tipologia: Appunti

2013/2014

In vendita dal 26/02/2014

giuseppe.barbusca11
giuseppe.barbusca11 🇮🇹

4.5

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118 documenti

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Scarica Chimica e biomolecole - Appunti di Biochimica e più Appunti in PDF di Biochimica solo su Docsity! 1 CHIMICA Modulo 1 – LA MATERIA • La chimica • Struttura atomica • La tavola periodica • Legami chimici • Molecole, Forma, Polarità e Interazioni tra le molecole • Reazioni chimiche e Stechiometria • Gas, Solidi e Liquidi • Le Soluzioni • Energia, Velocità delle reazioni ed equilibrio chimico • Acidi e Basi • Ph e Soluzioni Tampone LA CHIMICA • La chimica • Misure ed unità di misura • Il Sistema Internazionale delle unità di misura (SI) • Unità di misura derivate • Multipli e sottomultipli • Composizione della materia 2 1. LA CHIMICA La chimica è la scienza che studia la composizione, la struttura e le trasformazioni della materia, e la cui conoscenza si basa su osservazioni di tipo sperimentale. 2. MISURE ED UNITA’ DI MISURA Tutte le grandezze sperimentali devono essere quantificate per mezzo di unità di misura accettate da convenzioni internazionali. Possiamo ad esempio stabilire che un farmaco vada somministrato in quantità di milligrammi per chilogrammo di peso del paziente ogni 8 ore, riferendoci ad unità di misura di massa (grammi) e di tempo (ore). Le unità di misura sono molte; alcune di esse come metro, grammo o secondo sono dette fondamentali e hanno dei campioni di riferimento, altre come litro, Volt o Watt sono dette derivate e si basano su quelle fondamentali. 3. IL SISTEMA INTERNAZIONALE DELLE UNITA’ DI MISURA (SI) Il Sistema Internazionale delle unità di misura (SI) è l’insieme delle convenzioni accettate dalla comunità scientifica. Tale sistema ha la funzione di rendere universali le misurazioni dei sistemi oggetti di studio. Le principali unità di misura fondamentali sono: • il metro (m), unità di misura della lunghezza, 1650763,73 volte la lunghezza d’onda di una riga dello spettro di emissione del cripton 86, • il grammo (g), unità di misura della massa, • il secondo (sec o s), unita di misura del tempo, la durata di 9192631770 cicli di una riga dello spettro di emissione del cesio 133, • i gradi Kelvin (K) o Celsius (°C) (la loro grandezza è identica), unità di misura della temperatura – un grado è 1/273,16 della temperatura del punto triplo dell’acqua, • la mole (mol), unità di misura della quantità di materia – esprime il numero di Avogadro di atomi (N= 6,022 x 1023), cioè il numero di atomi di 12 g di Carbonio-12, 5 Una miscela è fatta da proporzioni variabili di diversi composti. Se è omogenea e fatta da un’unica fase viene detta soluzione. Se è eterogenea e fatta da fasi distinte, è detta miscuglio (es.: il latte, la sabbia, il granito). I componenti di una miscela possono essere separati mediante procedimenti fisici. STRUTTURA CHIMICA • Il numero atomico • L'elettrone • Il protone • L'Atomo nucleare • Struttura atomica • Massa atomica • Teoria atomica • L'atomo quanto-meccanico • Numeri quantici ed orbitali (I) • Orbitali atomici • Orbitali nei primi tre livelli • Forme degli orbitali • Orbitali s • Orbitali p • Orbitali d 6 1. IL NUMERO ATOMICO L'atomo è la più piccola particella di un elemento che ne mantiene le caratteristiche chimiche. Gli atomi di un elemento sono tutti uguali fra loro, ma differiscono da quelli degli altri elementi. Ogni elemento ha un numero atomico caratteristico (numero Z), che indica il numero di protoni del suo atomo, quindi gli atomi che hanno lo stesso numero di protoni appartengono allo stesso elemento. Per esempio l'idrogeno (H) ha numero atomico 1, ed ha un protone; l'elio (He), numero atomico 2, ha due protoni. L’elemento con Z=114 ha 114 protoni. Gli isotopi di un elemento hanno un diverso numero di neutroni. 2. L'ELETTRONE L'elettrone è la prima particella elementare stabile ad essere stata identificata (J.J. Thomson, 1897). Ha una carica elettrica negativa unitaria (1,602x10-19 C) che essendo la più piccola carica non divisibile conosciuta è considerata la carica elementare (R. Millikan, 1910). L'elettrone ha una piccola massa (9,109x10-28 g) ed movimento intorno al suo asse (spin). Gli elettroni ruotano intorno al nucleo dell’atomo in orbitali a cui corrisponde un livello energetico definito, e ne occupano quasi tutto il volume. Le interazioni elettromagnetiche fra elettroni e la loro relativa libertà di spostamento nei metalli spiegano la maggior parte dei fenomeni elettrici e chimico-fisici oggi conosciuti. L'antiparticella dell'elettrone è il positrone, che ha uguale massa ma carica positiva, ed è instabile. 3. IL PROTONE Il protone ha una carica uguale e opposta (positiva) a quella dell'elettrone, ma la sua massa è molto maggiore (1,672×10-24 g o 1836 volte quella dell' elettrone). E’ stato identificato da E. Rutherford nel 1920, ed insieme al neutrone è il costituente dei nuclei atomici. Essi hanno delle masse molto simili, si trovano confinati nello spazio ristretto del nucleo e costituiscono la famiglia dei nucleoni. Avendo una struttura interna non possono essere considerati particelle "elementari". 7 4. L'ATOMO NUCLEARE La maggior parte delle particelle alfa, emesse da fonte radioattiva, attraversa una sottile lamina d’oro senza modificare la traiettoria e solo alcune vengono deviate o riflesse. Rutherford interpretò questi dati asserendo che gli atomi sono costituiti da ampi spazi vuoti. Queste osservazioni portarono alla formulazione del modello dell'atomo nucleare, dove l'atomo è costituito da un piccola parte centrale compatta detta nucleo, carico positivamente, circondato da una nuvola di elettroni, carichi negativamente. Dallo studio delle traiettorie delle particelle, calcolò che le dimensioni di un atomo medio sono di circa 2x10-8 cm, mentre il diametro del nucleo è di circa di 1 x 10-13 cm. Per rendere l’idea delle dimensioni, se l'atomo avesse un diametro di 100 km, il nucleo avrebbe un diametro di 50 cm. La maggior parte della massa dell’atomo (> 99%) è sempre concentrata nel nuclep. 10 10. ORBITALI ATOMICI Le soluzioni delle funzioni d'onda dalle equazioni di Shrödiger determinano la probabilità che un elettrone possa trovarsi in una determinata regione dello spazio circondante il nucleo, definita come orbitale atomico, con una forma dipendente dalla propria energia definita dai numeri quantici. Il numero quantico principale n definisce la quasi totalità dell'energia dell'orbitale e la sua grandezza, il numero quantico azimutale l definisce parte dell'energia dell'orbitale e la sua forma, il numero quantico magnetico m definisce l'orientazione dello spazio dell'orbitale, il numero quantico di spin ms è una caratteristica intrinseca dell'elettrone e può essere rigidamente "spin in su" +1/2 o "spin in giù" –1/2. 11. ORBITALI NEI PRIMI TRE LIVELLI I chimici preferiscono usare dei termini spettroscopici per definire gli orbitali, usando lettere dell'alfabeto. Nel primo livello o shell, esiste un solo tipo di orbitale con l=0 chiamato s (sferico). Nel secondo livello possono esistere due tipi di orbitali con l=0 ed l=1, denominati s e p. Gli orbitali p hanno tre orientamenti spaziali (m= -1, 0, +1) che corrispondono alle tre assi cartesiane. Nel terzo livello esistono tre tipi di orbitali: s, p e d. Gli orbitali d hanno 5 diversi orientazioni spaziali. 12. FORME DEGLI ORBITALI Per visualizzare un orbitale si possono usare le superfici limite entro cui l'elettrone passa il 90% del tempo oppure si può utilizzare la rappresentazione della distribuzione a punti. Entrambe vogliono mostrare la nube elettronica. 11 13. ORBITALI “S” La diapositiva mostra la forma sferica degli orbitali s. Quelli nel primo livello sono più piccoli di quelli del secondo livello e così via. 14. ORBITALI “P” La diapositiva mostra la forma bilobata dei tre possibili orbitali p, che cavalcano i tre assi cartesiani x, y e z. 15. ORBITALI “D” La figura mostra la forma dei 5 orbitali d: tre di loro sono disposti sui piani xy, xz e yz, uno sull'asse z (z2), ed uno a cavallo degli assi x ed y (x2y2) 12 LA TAVOL PERIODICA • La tavola periodica degli elementi • Riempimento degli orbitali • Il principio di esclusione di Pauli • AUFBAU (costruzione) • La configurazione elettronica degli elementi • Modi di rappresentazione delle configurazioni elettroniche • Tavola periodica • Le parti della tavola periodica • Tavola periodica i gruppi ed i periodi • Le proprietà periodiche: la dimensione degli atomi • L'energia di ionizzazione • L'affinità elettronica • L'elettronegatività • Metalli e non metalli • I gruppi del blocco s • Reattività con l'acqua • Blocco p • Blocco d • Blocco f 1. LA TAVOLA PERIODICA Nella tavola periodica ogni elemento ha una localizzazione precisa in relazione alle sue caratteristiche chimico-fisiche. 15 La configurazione elettronica di un atomo può essere rappresentata graficamente indicando ogni orbitale con una casella ed ogni elettrone con una freccia o pallina. Più semplicemente si può indicare in apice il numero di elettroni contenuti in ogni tipo di orbitale. Per esempio, un orbitale 2p che contiene 6 elettroni è indicato come 2p 6. Il gas nobile Neon (Ne), ha numero atomico 10, ed ha quindi 10 elettroni nel suo stato fondamentale, la sua configurazione elettronica sarà: 1s2 2s2 2p6 nella quale tutti gli orbitali del primo (1s) e secondo livello (2s e 2p) sono completi di elettroni. Il fosforo (P), ha numero atomico 15, e la sua configurazione elettronica sarà: 1s2 2s2 2p6 3s2 3p3. Esso ha 5 elettroni più del Neon che sono negli orbitali di valenza. La struttura può essere quindi indicata più semplicemente con [Ne] 3s2 3p3, cioè la struttura elettronica del gas nobile Neon, con in più gli elettroni di valenza 3s2 3p3. 7. TAVOLA PERIODICA Nel corso del 1800 i chimici scoprirono rapidamente molti elementi dei quali calcolarono il peso atomico e distinsero le proprietà chimiche. Queste mostravano una certa ripetitività che permise di raggruppare gli elementi. Nel 1869 il chimico russo Dimitri Mendeleev contemporaneamente ma indipendentemente da altri ricercatori, propose una tavola in cui "gli elementi, se ordinati secondo i loro pesi atomici, mostrano chiaramente proprietà periodiche… e che è il valore del peso atomico che determina le caratteristiche peculiari dei vari elementi". Questo primo enunciato è stato successivamente corretto dalla legge periodica in cui "Le proprietà degli elementi sono una funzione dei loro numeri atomici". Mendeleev riuscì a predire l'esistenza di molti elementi non ancora scoperti e assegnò loro nomi fittizi poi sostituiti da quelli odierni Dimitrij Mendeleev (1834-1907) chimico russo il cui nome è legato al sistema periodico degli elementi da lui proposto tra il 1869 e il 1871. Formulò con 16 chiarezza la dipendenza delle proprietà chimiche dal peso atomico, ed avanzò l’ipotesi, rivelatasi poi corretta, che le irregolarità della periodicità fosse dovuta a elementi non ancora identificati di cui predisse, le proprietà. 8. LE PARTI DELLA TAVOLA PERIODICA Gli elementi hanno un'ubicazione specifica nella tavola periodica che dipende principalmente dagli elettroni esterni, o di valenza. Essi possono essere divisi in blocchi: • gli elementi con elettroni di valenza nel sottolivello s - cioè con configurazione elettronicans 1 o ns2 - vengono raggruppati nel blocco s; • gli elementi con elettroni di valenza nel sottolivello p e con configurazione elettronica compresa franp 1 ed np6 sono tutti raccolti nel blocco p; • gli elementi che riempiono con i propri elettroni il sottolivello d, si possono raggruppare nel blocco d e vengono chiamati metalli di transizione; • gli elementi appartenenti al blocco f vengono chiamati metalli a transizione interna o terre rare; all’interno del blocco f, gli elementi che riempiono il sottolivello 4f vengono chiamati lantanidi, mentre quelli che riempiono il sottolivello 5f prendono il nome di attinidi. 17 Per comodità, nella tabella gli elementi del blocco f sono spostati sotto quelli del blocco d. 9. TAVOLA PERIODICA: I GRUPPI ED I PERIODI Gli elementi che occupano una colonna della tavola periodica formano un gruppo e hanno in comune lo stesso numero di elettroni di valenza. Per esempio gli elementi del gruppo 1A hanno tutti un elettrone nell’orbitale s, hanno comportamento chimico molto simile, e sono detti metalli alcalini. Quelli del gruppo 2A, hanno due elettroni negli orbitali s, e sono detti metalli alcalino terrosi. Quelli del gruppo 7A hanno 5 elettroni negli orbitali p, e sono detti alogeni. Quelli del gruppo 8A hanno gli orbitali s e p completi di elettroni, hanno una bassissima reattività chimica e sono detti gas nobili. Gli elementi situati in una riga appartengono allo stesso periodo e hanno gli elettroni di valenza in orbitali dello stesso livello. La tabella separa anche diagonalmente gli elementi come i metalli (a sinistra), i non metalli (a destra) e i metalloidi (tra i due). Questa classificazione si basa principalmente sulla capacità degli atomi di assumere cariche positive (metalli) o negative 10. LE PROPRIETA’ PERIODICHE: LA DIMENSIONE DEGLI ATOMI Alcune proprietà degli atomi variano con periodicità all'interno dei gruppi e dei periodi, una di queste è la dimensione dell'atomo. All’interno di uno stesso gruppo, gli atomi più in basso hanno un nucleo più grande ed un maggior numero di elettroni, per questo sono più grandi. All’interno del periodo, spostandosi verso destra, il nucleo diventa più grosso con una maggiore densità di carica elettrica, attraendo più fortemente gli elettroni e causando una contrazione della dimensione dell’atomo. 20 14. METALLI e NON METALLI Nella tavola periodica una linea obliqua divide i metalli (a destra) dai non metalli (a sinistra). I metalli rappresentano i ¾ di tutti gli elementi, hanno basso potenziale di ionizzazione, trascurabile affinità elettronica e bassa elettronegatività. Questi elementi sono solitamente solidi (eccetto il mercurio), lucenti, duttili e malleabili, perché uniti dal legame metallico. In questo particolare tipo di legame, i cationi degli atomi sono immersi in un mare di elettroni i quali, avendo alta mobilità, permettono a questi elementi di essere dei buoni conduttori di corrente elettrica e di calore. Gli atomi dei metalli, quando uniti ad altri elementi, formano legami ionici. I non metalli hanno alti potenziali di ionizzazione, alta affinità elettronica ed elevata elettronegatività. Possono essere solidi, liquidi (il bromo Br) o gassosi. I solidi sono opachi e friabili e non sono buoni conduttori di elettricità. I semimetalli o metalloidi sono elementi che hanno alcune caratteristiche sia dei metalli che dei non- metalli. 15. I GRUPPI DEL BLOCCO “S” Gruppo IA (metalli alcalini) Metalli teneri e lucenti, sono estremamente reattivi, tendono a cedere un elettrone. In biologia e in medicina sono particolarmente importanti il sodio (Na) ed il potassio (K). Gruppo IIA (metalli alcalino-terrosi) Sono altamente reattivi, ma meno degli elementi appartenenti al gruppo I. In biologia e medicina sono importanti sopratutti il calcio (Ca) ed il magnesio (Mg). 16. REATTIVITA’ CON L’ACQUA 21 Nei filmati si vede la diversa reattività di tre elementi dello stesso gruppo. Il litio è il primo elemento del gruppo uno A. Esso reagisce con l’acqua per produrre lo ione litio uno più perdendo un elettrone dall’orbitale 2s. In paragone al sodio e al potassio, il litio reagisce piuttosto lentamente Il potassio è il terzo elemento del gruppo uno A. Sta sotto il sodio e litio nella tabella periodica ed è ancora più reattivo con l’acqua. L’elettrone di valenza perso dal potassio nella reazione con l’acqua viene da un orbitale 4s Il sodio è il secondo elemento del gruppo uno A ed occupa un posto subito sotto il litio nella tabella periodica. Quando reagisce con l’acqua perde un elettrone dall’orbitale 3s. La reazione del sodio con l’acqua è più vigorosa di quella del litio. 17. BLOCCO “P” Gruppo IIIA Gruppo formato da metalli e non metalli, i più comuni sono il boro (B) e l'alluminio (Al). Gruppo IVA Entrano in questo gruppo alcuni metalli ed alcuni non metalli. Il carbonio (C) importantissimo per i gli esseri viventi e il silicio (Si) inserito in molte rocce. Molto comuni sono anche lo stagno (Sn) e il piombo (Pb). Gruppo VA Gruppo che contiene metalli e non metalli. Molto importanti per le scienze bio- mediche sono l'azoto (N) ed il fosforo (P). Gruppo VIA Questo è il gruppo dell'ossigeno (O), importantissimo per la respirazione e per i suoi composti (per esempio l’acqua). L’altro non metallo, lo zolfo (S) è inserito in moltissime bio-molecole fra cui gli aminoacidi solforati. Gruppo VIIA Gruppo degli elementi chiamati alogeni che significa formatori di sali. Questi elementi reagiscono con i metalli per formare sali; il cloro (Cl) entra nella composizione del sale da cucina (NaCl). Molto importanti sono anche il fluoro (F), il bromo (Br) e lo iodio (I). Gruppo VIIIA E’ il gruppo dei gas nobili, composti pressoché inerti. Ad esso appartengono il Neon (Ne), il radon (Rn). 18. BLOCCO “D” Gli elementi del blocco d sono i metalli di transizione. Quelli che si trovano a destra, come il rame e l'oro, sono meno reattivi. Le proprietà degli elementi del blocco d sono intermedie, o di transizione, tra quelle degli elementi del blocco s e quelle degli elementi del blocco p; da qui l'origine del loro nome comune: «metalli di transizione». Molti di essi presentano la capacità di formare più cationi di carica differente. Ad esempio: il ferro, forma ioni ferro(II) e ferro (III), o il rame forma ioni rame(I) e rame(II). 22 Alcuni di essi fungono da trasportatori di elettroni nelle cellule, grazie alla facilità con cui si ossidano e si riducono. 19. BLOCCO “F” Gli elementi del blocco f sono rari, e sono infatti indicati come terre rare. Essi sono metalli con caratteristiche chimiche simili, e non hanno un ruolo importante in biologia. LEGAMI CHIMICI • Il legame chimico • Simbolo elettrone puntino • Come si formano gli ioni • Il legame ionico • Formazione del legame ionico • Fattori che favoriscono il legame ionico • Formazione del covalente H-H • Rottura ed energia del legame covalente • Parametri del legame covalente • Lunghezza del legame • Momenti dipolari nel legame covalente • Legame covalente o legame ionico • Regola dell'ottetto • Molecole biatomiche • La risonanza • Ottetti espansi • Molecole con numero dispari di elettroni 1. LEGAME CHIMICO La maggior parte degli elementi non è presente in natura sotto forma di atomi separati, ma di atomi uniti gli uni agli altri. Le interazioni che determinano quest'unione sono chiamate legami chimici. Il legame chimico è il risultato delle interazioni che coinvolgono gli elettroni del guscio più esterno degli atomi, gli elettroni di valenza. Il livello energetico occupato dagli elettroni di valenza è il guscio di valenza. Quando questo è saturo d'elettroni l'atomo mostra una particolare inerzia chimica, come succede nei gas nobili. Da queste osservazioni è nata la teoria di Lewis, la quale sostiene che gli atomi tendono a formare legami con lo scopo di riempire con 8 elettroni il guscio di valenza (regola dell'ottetto). Ogni atomo ha un limite nella valenza che è imposto dalle sue caratteristiche elettroniche. Per esempio l’idrogeno, che ha un solo elettrone nel guscio di valenza, si può combinare con un solo atomo. Ogni atomo ha dei valori caratteristici di valenza a seconda della capacità di formare uno, due, tre o più legami (fino ad un massimo di sette legami), e sarà quindi monovalente, bivalente, trivalente o eptavalente. 25 fluoro (valore uguale a 4), ed un minimo in basso a sinistra col cesio (valore uguale a 0,7). Quindi in genere un legame ionico si instaura tra i metalli del blocco s, ed i non metalli con alta elettronegatività, quali gli alogeni, l'ossigeno o l'azoto. 7. FORMAZIONE DEL COVALENTE H-H • I due atomi di H allo stato fondamentale sono separati, ognuno ha un elettrone nell’orbitale S. • I due atomi si avvicinano e gli elettroni si appaiono e si orientano con spin opposto rimanendo in orbitali distinti; • I due elettroni formano un orbitale molecolare unico e condiviso e questo determina la formazione del legame covalente. Un altro modo per raggiungere una configurazione elettronica stabile è di mettere in compartecipazione gli elettroni. L'idrogeno è l'esempio più semplice: ogni atomo contiene un elettrone ma per ottenere una configurazione stabile, nello strato di valenza devono esserne presenti due. Ciò è ottenuto attraverso l'appaiamento degli elettroni di due atomi, i quali si orientano con spin opposto e vanno ad occupare un nuovo orbitale completo che infine unisce i due atomi. In questa maniera si è formato un legame covalente in cui i due atomi sono fisicamente legati a formare una molecola. Infatti, l'idrogeno si trova in natura come molecola H2 composta di due atomi. Un esempio un po' più complesso è dato dal cloro: ogni atomo ha 7 elettroni di valenza e ne manca uno per raggiungere l'ottetto. Due atomi possono mettere in comune un elettrone raggiungendo entrambi l'ottetto, con un doppietto elettronico in comune. Si forma così la molecola Cl2. 26 In questi due esempi gli atomi uniti dal legame covalente sono uguali, vale a dire hanno la stessa tendenza ad attrarre gli elettroni di legame, e perciò hanno la stessa elettronegatività. Quindi in queste molecole gli elettroni di legame sono in completa compartecipazione tra i due atomi, senza spostarsi prevalentemente sull'uno o sull'altro. 8. ROTTURA ED ENERGIA DEL LEGAME COVALENTE Un aspetto importante per comprendere la stabilità delle molecole è la misura della forza con cui gli atomi sono legati. Quando due atomi interagiscono esistono almeno due componenti energetiche: tanto più gli atomi si avvicinano, tanto più sarà facile la messa in compartecipazione degli elettroni di valenza, e quindi l'energia del sistema diminuisce. Ma quando gli atomi si avvicinano oltre un certo limite, essi tenderanno a repellersi. Questo avviene perché essi hanno la stessa carica elettrostatica positiva, e la repulsione aumenterà all'avvicinarsi degli atomi. Dalla composizione di queste due forze, attrattiva da parte degli elettroni di legame e repulsiva da parte degli atomi, si può ottenere il grafico che mostra come per ogni tipo di legame esista una distanza dove l'energia del sistema è minima. Questa è la distanza di legame, la quale dipende da diversi fattori, tra cui la dimensione degli atomi stessi. A questa distanza è associata un' energia, definita energia di legame. La metodologia più semplice per misurare tale energia è quella di allontanare gli atomi ad una distanza tale per cui essi non si attraggono più. L'energia necessaria per compiere quest'operazione è l'energia di legame. Nella figura viene mostrato il grafico ottenuto diagrammando l'energia di legame di due atomi di H in funzione della distanza dei loro nuclei. Quando i due nuclei si trovano alla distanza di 0,074 nm, si ha un minimo di energia pari a –436kJ mol-1. A distanza minore i due nuclei tendono a respingersi, mentre a distanza superiore tendono ad attrarsi. Alla distanza di 0,074 nm si instaura l'equilibrio. L'orbitale 1s dell'atomo d'idrogeno ha un diametro di 0,053 nm e la distanza fra i due 27 nuclei nella molecola H2 è di 0,074 nm. Quindi i due orbitali 1s si compenetrano ed ha luogo una ricopertura con densità di carica negativa che fa da legante. L'energia di 436 kJ mol-1 è l'energia necessaria per rompere il legame fra i due atomi d'idrogeno. 9. PARAMETRI DEL LEGAME COVALENTE Per ogni tipo di legame covalente è possibile misurarne l'energia. La tabella mostra alcuni di questi valori, per esempio quella del legame H-H è di 436 kJ/mol, mentre quella del legame Cl-Cl è di 242 kJ/mol. Quindi il legame della molecola H2 è più forte di quello della molecola Cl2. La tabella mette anche in evidenza la presenza di molecole biatomiche, cioè composte da atomi diversi. Per esempio idrogeno e cloro possono creare un legame covalente e generare la molecola HCl (acido cloridrico). Anche per questo tipo di legame possiamo calcolare la forza, che risulta essere intermedia ai legami Cl-Cl e H-H. Va notato, inoltre, che il legame con maggiore energia, e quindi più forte, è quello della molecola CO (monossido di carbonio) che unisce un ossigeno ad un carbonio. I legami covalenti sono rappresentati da un trattino che unisce gli atomi. Il trattino ricorda inoltre che il legame è fatto da un doppietto di elettroni. La tabella mostra anche come alcuni atomi possono creare più di un legame. Per esempio un atomo di carbonio può legare un altro atomo di carbonio con un singolo legame (un trattino) due legami (due trattini) o tre legami. L'energia dei legami aumenta con il numero di legami, e passa da 348 a 612 a 837 kJ/mol. Questi esempi illustrano come la forza del legame covalente dipenda principalmente da due fattori: • i tipi di atomi che vengono coinvolti, • l'ordine di legame, cioè se esso è singolo, doppio o triplo. 30 Due atomi possono interagire formando legami ionici o covalenti. Quelli covalenti sono formati dalla compartecipazione di uno o più elettroni, i quali possono essere forniti da entrambi gli atomi o da uno solo di essi. Questo porta alla formazione di molecole, in cui gli atomi sono fisicamente legati ed in posizioni ben definite. Questo si forma quando la differenza di elettronegatività tra gli atomi è bassa, ed inferiore a 1,7-2,0. Se questa è maggiore si ha la formazione del legame ionico in cui gli atomi sono attratti reciprocamente e non formano molecole ma formule, e danno origine a composti ionici. Al legame ionico partecipano gli elementi del gruppo s, che hanno elettronegatività bassa, mentre il legame covalente si forma tra i non metalli. 13. REGOLA DELL’ OTTETTO La regola dell'ottetto è importante per prevedere in che maniera vengono formate le molecole. Essa si applica particolarmente bene agli elementi del secondo periodo, che sono i più importanti per la formazione delle molecole di interesse biologico. Il posizionamento di otto elettroni s2p6 è una configurazione di grande stabilità, cioè a basso contenuto di energia. Essa viene soddisfatta nei gas nobili, i quali sono elementi molto stabili e poco reattivi. Gli elementi appartenenti al terzo periodo ed oltre possono impiegare anche orbitali d o f per formare legami, e quindi possono ospitare nel guscio di valenza più di otto elettroni. 14. MOLECOLE BIATOMICHE La regola dell'ottetto permette di capire la formazione di alcune delle molecole biatomiche più comuni. Gli alogeni, ovvero gli elementi del gruppo VIIA che hanno una configurazione elettronica s2p5, mettono in compartecipazione un singolo elettrone, che è spaiato, per raggiungere l'ottetto ed il completamento del livello energetico. Quindi queste molecole sono unite da un singolo legame covalente. La stessa cosa avviene per gli atomi di ossigeno che appartengono al gruppo VIA ed hanno una configurazione elettronica s2p4. Gli elettroni mancanti per completare l'ottetto sono due, e quindi ogni atomo mette in compartecipazione due elettroni per 31 raggiungere l'ottetto. Si forma così un legame doppio. Le molecole di ossigeno nell'atmosfera sono biatomiche, ma essendo unite da due legami covalenti sono più stabili delle molecole biatomiche degli alogeni. L'azoto appartiene al gruppo VA con configurazione elettronica s2p3. Per raggiungere l'ottetto ogni atomo mette in compartecipazione tre elettroni, con la formazione di un legame triplo. Nella molecola biatomica dell'azoto gli atomi sono uniti da tre legami covalenti, che le conferiscono una stabilità particolarmente alta. 15. LA RISONANZA Seguendo le regole di Lewis si ottengono frequentemente delle formule di struttura diverse ma corrette. Ad esempio per lo ione nitrato NO3- si possono scrivere tre formule di struttura equivalenti in cui il doppio legame unisce l'azoto N ai tre diversi atomi di O ossigeno. Questo indica che i tre atomi di ossigeno sono diversi, in quanto solo uno di essi è unito da un doppio legame, che è caratterizzato da una distanza di legame minore del legame semplice. I dati sperimentali invece mostrano che i tre legami N-O sono identici, e che la loro lunghezza è intermedia fra quella del legame singolo e quella del legame doppio. Quindi la struttura della molecola è rappresentata correttamente dalle tre formule insieme, e non da una singola formula. Ognuna di queste formule rappresenta una struttura limite, mentre la struttura vera e propria è rappresentata da tutte le strutture limite possibili. Questo fenomeno è detto risonanza, ed è particolarmente importante per spiegare la molecola di benzene. Essa è descritta da due formule limite, descritte per la prima volta da Kekulè, da cui prendono il nome. Esse hanno la medesima probabilità, e differiscono per la posizione dei doppi legami. L'unione delle due formule di Kekulè indica che i legami C-C sono tutti uguali tra loro, ed intermedi tra un legame singolo e uno doppio. Nella diapositiva possiamo vedere esempi delle varie forme di risonanza. 32 16. OTTETTI ESPANSI Gli elementi dal terzo periodo in su hanno a disposizione orbitali d nel guscio di valenza, quindi possono ospitare più di otto elettroni e fare quello che viene definito ottetto espanso. Gli esempi più comuni riguardano gli atomi di zolfo e fosforo. In figura sono rappresentate due formule limite dello ione solfato. La prima segue la regola dell'ottetto, ed in essa gli atomi di ossigeno sono tutti circondati da 7 elettroni, ed hanno quindi una carica negativa, mentre lo zolfo è circondato da 4 elettroni, ed ha due cariche positive. Nella seconda lo zolfo ha un ottetto espanso con 12 elettroni, ed è circondato da 6 elettroni, quindi la sua carica netta è zero. In questa struttura le cariche negative sono localizzate su due atomi di 35 5. DOPPIETTI SOLITARI Per definire la forma di una molecola occorre tener conto anche dei doppietti solitari. Essi non seguono la regola di repulsione della VSEPR, e sono più ingombranti dei doppietti di legame. 6. ACQUA E AMMONIACA Esempi interessanti sono quelli delle molecole di acqua e ammoniaca. Nell'acqua (H2O) l'ossigeno ha due doppietti impegnati nel legame con i due atomi di idrogeno, e due doppietti liberi. Essi dovrebbero stare sui quattro angoli di un diedro e l'angolo di legame con gli idrogeni dovrebbe essere di 109.5°. Invece l'angolo osservato è di 104°. Ciò è dovuto all'effetto repulsivo dei due doppietti solitari. Nell'ammoniaca (NH3) c'è un solo doppietto solitario, ma la sua presenza fa sì che l'angolo di legame sia di 107° invece di 109.5°. Quindi, l'acqua ha una forma triangolare e l'ammoniaca una piramidale. 36 7. LEGAMI SEMPLICI E DOPPI La VSEPR considera i legami doppi come quelli semplici. Per esempio nella molecola di anidride carbonica (CO2) il carbonio lega i due atomi di ossigeno con dei doppi legami, e non ci sono doppietti liberi. Quindi le due coppie di doppietti si repellono e, per stare il più lontano possibile, formano una molecola lineare con struttura O=C=O. Nello ione nitrato (NO3 -) l’azoto lega due atomi di ossigeno con legame semplice ed uno con legame doppio. La VSEPR tratta i tre ossigeni nello stesso modo, ed essi quindi si posizioneranno sui vertici di un triangolo equilatero. La molecola è planare e con angoli di legame di 120°. 8. FORMA E POLARITA’ Una caratteristica importante che definisce le proprietà chimiche di una molecola è la sua polarità. Una molecola è polare quando vi è una separazione di cariche elettriche, anche parziale. Essa ha momento dipolare, cioè il momento della separazione delle cariche, dato dal prodotto della distanza tra i due centri di carica per la carica elettrica . In un molecola apolare non vi è separazione delle cariche elettriche. La polarità è connessa alla presenza di legami polari, che uniscono atomi con diversa elettronegatività. Per esempio il legame Carbonio - Ossigeno è un legame polare, e la molecola di monossido di carbonio (CO) è polare. La polarità dipende anche dalla forma della molecola: se i dipoli dei vari legami sono disposti in maniera simmetrica essi si annullano e la molecola non è polare. L'esempio più semplice è l'anidride carbonica (CO2) i cui i due dipoli dei legami carbonio-ossigeno si annullano poiché la molecola (O=C=O) è lineare e simmetrica. Un altro esempio è il tetracloruro di carbonio (CCl4) in cui i dipoli dei 4 legami C-Cl, che sono fortemente polari, si neutralizzano perché disposti simmetricamente, 37 generando una molecola apolare. E' da ricordare che la molecola di acqua (H2O) ha forma triangolare e quindi è polare, analogamente all'ammoniaca, che è piramidale. 9. FORZE INTERMOLECOLARI Gli atomi delle molecole sono tenuti insieme da legami covalenti che determinano la forma della molecola. Questi sono legami forti (circa 200 kJ/mol) e stabili, cioè possono essere rotti solo in condizioni molto drastiche, per esempio a temperature molto elevate. Le molecole allo stato gassoso non si attraggono tra di loro, invece quelle allo stato liquido e solido si attraggono con interazioni che sono più labili e transienti nei liquidi, e più stabili nei solidi. Esse hanno energie più basse di quelle dei legami covalenti (< 50 kJ/mol). Quindi le forze chimiche di legame o attrazione possono essere divise in due ampie categorie: • quelle intra-molecolari, dei legami covalenti, che si presentano forti e direzionali • quelle inter-molecolari che sono più deboli e meno direzionali, quali le interazioni dipolo-dipolo, le forze di van der Waals e i legami idrogeno. 10. INTERAZIONI DIPOLO-DIPOLO Una sostanza chimica in cui vi è una separazione di cariche elettrostatiche dello stesso valore ma di segno contrario forma un dipolo. Esso è definito dal momento dipolare (p): il vettore che unisce le due cariche di modulo uguale al prodotto della distanza dei centri di carica (a) per la carica elettrostatica (q) [p= a*q]. Per esempio la molecola d’acqua è polare e presenta un dipolo in cui la carica positiva è localizzata sugli idrogeni e quella negativa sull’ossigeno. Le parti con cariche opposte delle molecole si attraggono e formano un’interazione dipolo-dipolo. 40 svolge nell'acqua ed è dominata da questo tipo di legame, per cui tutte le molecole biologiche devono saper interagire con esso. REAZIONI CHIMICHE E STECHIOMETRIA • Reazioni chimiche • Gli idruri • Gli ossidi • Lo stato di ossidazione • Esempi di calcolo del numero di ossidazione • L'equazione chimica • Coefficienti stechiometrici e bilanciamento • Reazioni Chimiche • Reazione di sintesi (combinazione) • Reazioni di decomposizione • Reazioni di spostamento • Reazione di doppio scambio • Reazione di Ossidoriduzione • Agenti ossidanti ed agenti riducenti • Semi-reazioni • Bilanciamento di una redox (1) • Bilanciamento di una redox (2) • Bilanciamento di una redox (3) • Bilanciamento di una redox (4) • Moli e massa molare 1. REAZIONI CHIMICHE I composti o gli elementi si trasformano in altri composti attraverso le reazioni chimiche. Nelle reazioni chimiche si rompono e si formano nuovi legami e la materia si trasforma modificando le proprie caratteristiche chimico-fisiche. Gli elementi o i composti che si trasformano si chiamano reagenti, mentre le sostanze derivate dalle reazioni si chiamano prodotti. Nelle reazioni viene rispettato il principio di Lavoiser ovvero: "nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma"; infatti nelle reazioni chimiche la massa dei reagenti è sempre uguale alla massa dei prodotti. Le reazioni chimiche vengono scritte sottoforma di equazioni chimiche dove vengono evidenziati i rapporti massali attraverso i coefficienti stechiometrici. Le equazioni prevedono l’uso di una terminologia chimica: le formule. Iniziamo con le formule dei composti creati con gli atomi più diffusi in natura: l’idrogeno e l’ossigeno. 41 2. GLI IDRURI Gli idruri sono composti binari che derivano dalla reazione dell'idrogeno con un altro elemento: ad esempio l’acqua H2O o l’ammoniaca NH3. Il comportamento dell'idrogeno negli idruri varia in base all'elettronegatività dell'elemento cui sono legati. Se esso è un elemento del primo gruppo IA della tavola periodica, e quindi poco elettronegativo, l’idrogeno prende un elettrone trasformandosi nello ione idruro H -, ed i composti che ne derivano sono idruri ionici. Con gli elementi del gruppo IIA, forma idruri con caratteristiche intermedie fra lo ionico ed il covalente. Con gli elementi degli altri gruppi, caratterizzati da un'elettronegatività più bassa, forma idruri covalenti. La nomenclatura degli idruri è semplice: il composto prende il nome di idruro seguito dal nome dell'elemento legato; per esempio LiH è l'idruro di litio, CaH2è l'idruro di calcio. Con gli elementi del gruppo VIIA, detti alogeni, l’idrogeno assume una carica positiva, ed essi sono denominati acidi seguiti dal suffisso –idrico. Per esempio acido fluoridrico, acido cloridrico, acido bromidrico o acido iodidrico (HF, HCl, HBro HI). 3. GLI OSSIDI Gli ossidi sono composti binari che derivano dalla reazione di un elemento con l'ossigeno. L'ossigeno ha un’elettronegatività più alta rispetto all’idrogeno e quindi con gli elementi poco elettronegativi tende a formare un numero superiore di ossidi ionici. L'ossigeno forma ossidi ionici con gli elementi dei gruppi IA, IIA e IIIA, reagendo con essi acquista due elettroni riempiendo così il proprio livello energetico e raggiungendo una configurazione elettronica stabile. L'ossigeno che ha acquistato 42 due elettroni prende il nome di ione ossido O–2. Gli altri elementi della tavola periodica formano con l’ossigeno ossidi covalenti, e vari elementi formano più di un ossido combinandosi in rapporti diversi con l'ossigeno. Gli ossidi vengono denominati come ossido seguito dal nome dell'elemento che reagisce con l'ossigeno. Ad esempio CaO è l'ossido di calcio, mentre Li2O è l'ossido di di-litio. Se un elemento può formare più ossidi, l'ossido con minore contenuto di ossigeno prende la desinenza –oso, mentre quello con un contenuto di ossigeno maggiore prende la desinenza –ico; ad esempio il ferro forma con l’ossigeno due ossidi: il FeO ossido ferroso e il Fe2O3 ossido ferrico. Gli ossidi formati dalla reazione fra l'ossigeno e un non metallo prendono il nome di anidridi (sono considerate forme di acidi senza acqua), ad esempio SO2è l'anidride solforosa, mentre SO3è l'anidride solforica. 4. LO STATO DI OSSIDAZIONE Lo stato di ossidazione è un concetto che si basa sul fatto che alcuni elementi possono formare più di un composto reagendo con l'ossigeno, e su come nei diversi composti vengono messi in gioco un numero diverso di elettroni. Lo stato di ossidazione è meglio definito dal numero di ossidazione, ovvero dalla carica acquisita da ogni atomo in base al numero di elettroni acquistati o ceduti nella reazione con l'altro o gli altri atomi del composto e in base all'elettronegatività di ogni singolo atomo. 45 • Nella reazione fra idrogeno H ed ossigeno O per ottenere acqua H2O bisogna fare in modo che le masse dei reagenti e dei prodotti siano uguali, in base al principio di conservazione della materia: • H2 + O2 ↔ H2O • In modo del tutto logico bilanciamo la reazione in modo che nei prodotti e nei reagenti siano presenti lo stesso numero di atomi: • 2 H2 + O2 ↔ 2 H2O • I numeri che abbiamo aggiunto prendono il nome di coefficienti stechiometrici. Nella reazione fra potassio K e acqua H2O per formare idrossido di potassio KOH ed idrogeno gassoso, dobbiamo inserire una nuova simbologia: • 2K(s) + 2H2O (l) → 2K(OH) (aq) + H2 (g)↑ • la (s) significa solido, (l) significa liquido, (aq) significa acquoso cioè idratato, (circondato da molecole di acqua), (g) significa gassoso. La reazione è irreversibile perché l'idrogeno essendo gassoso se ne va (indicato dalla freccia in alto ↑) e viene sottratto dall'equilibrio che viene spostato a destra. Nella reazione: • MgO (s) + H2O (l) → Mg(OH)2 (s)↓ • fra l'ossido di magnesio MgO solido(s) con l'acqua (l) per generare idrossido di magnesio solido che precipita viene sottratto dall'equilibrio. In questo modo l'equilibrio si sposta a destra rendendo la reazione irreversibile. 7. COEFFICIENTI STECHIOMETRICI E BILANCIAMENTO Ogni reazione chimica ha un significato sia qualitativo che quantitativo. Il significato qualitativo dipende dal fatto che ponendo a reagire alcuni elementi o composti si ottengono solamente alcuni prodotti e non altri. Il significato quantitativo dipende dal fatto che il principio di conservazione della materia deve essere rispettato e il numero di atomi di ogni elemento deve essere lo stesso sia nei reagenti che nei prodotti. Quindi affinché sia rispettato il significato qualitativo, le formule chimiche dei composti devono essere scritte in modo corretto, ed affinché sia rispettato il significato quantitativo è necessario che l’equazione chimica sia bilanciata mediante dei numeri generalmente interi (il numero 1 viene generalmente sottinteso), che vengono anteposti alle formule delle sostanze. Questi numeri prendono il nome di coefficienti stechiometrici. 46 Nella reazione fra idrogeno molecolare H2 e cloro Cl2 per dare acido cloridrico HCl: • H2 + Cl2 ↔ HCl • Possiamo notare che nei reagenti sono presenti 2 atomi di idrogeno H e 2 atomi di cloro Cl, e nei prodotti è presente una molecola di HCl, per un totale di un atomo di idrogeno e uno di cloro. Per rispettare il principio della conservazione della massa bisogna che si formino 2 molecole di HCl, bisogna quindi aggiungere il coefficiente stechiometrico 2 davanti alla molecola dell’HCl. • H2 + Cl2 ↔ 2 HCl • Ora abbiamo due atomi di cloro Cl e due atomi di idrogeno H nei reagenti, che corrispondono ai due atomi di idrogeno e di cloro presenti nei prodotti, quindi l’equazione è bilanciata. Prendiamo ad esempio una reazione più complessa fra il cloruro di calcio CaCl2 ed il fosfato di sodio Na3PO4 che reagendo formano fosfato di calcio Ca3(PO4)2 e cloruro di sodio (NaCl): • CaCl2 + Na3PO4 ↔ Ca3(PO4)2 + NaCl • Bilanciamo in modo intuitivo: nei prodotti abbiamo 3 Ca, aggiungiamo il coefficiente stechiometrico 3 davanti al CaCl2 • 3 CaCl2 + Na3PO4 ↔ Ca3(PO4)2 + NaCl • ora gli atomi di calcio Ca sono bilanciati, abbiamo però nei reagenti 6 atomi di Cl (3 unità formula di CaCl2 che contengono ciascuno 2 Cl; 3 x 2 =6) mentre nei reagenti abbiamo solo 1 atomo di cloro contenuto nel cloruro di sodio NaCl, aggiungiamo perciò il coefficiente stechiometrico6 davanti a NaCl • 3 CaCl2 + Na3PO4 ↔ Ca3(PO4)2 + 6 NaCl • a questo punto gli atomi di cloro Cl e di calcio Ca sono bilanciati, ma abbiamo 6 atomi di sodio Na nei prodotti e solo 3 nei reagenti, aggiungiamo quindi il coefficiente stechiometrico 2 davanti al fosfato di sodio Na3PO4 • 3 CaCl2 + 2 Na3PO4 ↔ Ca3(PO4)2 + 6 NaClora • gli atomi di sodio Na sono bilanciati, abbiamo poi 2 atomi di fosforo nei reagenti e 2 nei prodotti e anch’essi sono bilanciati. Gli ossigeni O sono 8 nei reagenti e 8 nei prodotti, la razione è ora bilanciata. Per bilanciare la reazione fra ossido di alluminio Al2O3 e acido solforico H2SO4 che formano solfato di alluminio Al2(SO4)3 e acqua H2O • Al2O3 + H2SO4 ↔ Al2(SO4)3 + H2O 47 • basta aggiungere il coefficiente stechiometrico 3 davanti all’acido solforico e all’acqua e la reazione è bilanciata. • Al2O3 + 3 H2SO4 ↔ Al2(SO4)3 + 3 H2O • E’ bene ricordare che non tutte le reazioni si bilanciano in modo così intuitivo. 8. REAZIONI CHIMICHE Le reazioni possono essere raggruppate in alcuni gruppi principali in base ai cambiamenti che avvengono nei reagenti nella trasformazione in prodotto: • Sintesi • Decomposizione • Spostamento • Doppio scambio • Acido base • Analisi, precipitazione 9. REAZIONE DI SINTESI (combinazione) • Le reazioni di sintesi assemblano dei composti a partire da altri composti con caratteristiche chimico-fisiche diverse. La razione generale è • A + B → AB • Ad esempio, in questa reazione fra due elementi il ferro solido Fe(s) reagendo con lo zolfo solido S(s),sintetizza come prodotto un composto: il solfuro di ferro FeS(s) • Fe(s) + S(s) → FeS(s) • Un altro esempio può essere la reazione fra calcio solido Ca (s) e ossigeno molecolare gassoso O2 (g), che sintetizza l'ossido di calcio CaO (s) • 2Ca (s) + O2 (g) → 2CaO (s) • La reazione di sintesi può avvenire fra un composto e un elemento come ad esempio fra l'anidride solforosa SO2(g) e l'ossigeno O2(g) molecolare per originare anidride solforica SO3(g): • 2SO2(g) + O2(g) → 2SO3(g) • Oppure può avvenire fra due composti per sintetizzare un terzo composto, ad esempio l'ossido di calcio CaO(s) e l'anidride carbonica CO2(g) per formare carbonato di calcio CaCO3(s): • CaO(s) + CO2(g) → CaCO3(s) 50 14. AGENTI OSSIDANTI ED AGENTI RIDUCENTI Per identificare una reazione di ossidoriduzione, bisogna verificare se vi sono dei cambiamenti a livello dei numeri di ossidazione o delle cariche elettriche nelle sostanze che da reagenti si trasformano in prodotti. Perché si verifichi una reazione di ossidoriduzione dobbiamo identificare un composto o un elemento che cede elettroniaumentando il proprio numero di ossidazione, cioè una sostanza che si ossida ed un composto che acquista elettroni diminuendo in questo modo il proprio numero di ossidazione e cioè una sostanza che si riduce. Analizziamo ad esempio la reazione fra zinco Zn(s) ed acido cloridrico HCl(aq) per formare Cloruro di zinco ZnCl2(aq) ed idrogeno molecolare H2(g): • Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g) • Ora scriviamola in forma ionica, cioè separiamo quei composti che in acqua, ambiente dove avviene la reazione, si dissociano: • Zn(s) + 2H+(aq) → Zn2+(aq) + H2 (g) • Possiamo notare che lo zinco Zn cedendo due elettroni si trasforma nello ione zinco Zn2+, aumenta il proprio numero di ossidazione cioè si ossida, mentre due ioni idronio H+ acquistano un elettrone ciascuno trasformandosi in idrogeno molecolare H2, diminuendo il proprio numero di ossidazione e andando incontro ad una riduzione. Lo ione Cl-(aq) non cambia il proprio numero di ossidazione e si comporta quindi da ione spettatore, cioè non prende parte alla reazione. 15. SEMI-REAZIONI Possiamo separare l'equazione chimica dell'ossidoriduzione e mostrare le fasi di ossidazione e di riduzione separatamente, per effettuare il conteggio degli elettroni messi in gioco da ciascuna sostanza. L'equazione complessiva poi può essere espressa come somma di due semi-reazioni teoriche. L'equazione della semi-reazione in cui si ossida lo zinco è: • Zn(s) → Zn2+(aq) + 2 e- • Rappresentiamo esplicitamente anche gli elettroni messi in gioco, vediamo che lo zinco Zn(s) nei prodotti si trasforma nello ione Zn2+ cedendo due elettroni 2e-.L'equazione della semireazione in cui si riducono gli ioni idrogeno è: • 2 H+(aq) + 2 e- → H2(g) • Anche in questo caso rappresentiamo in modo esplicito gli elettroni messi in gioco, due ioni idronio acquistano i due elettroni 2e- ceduti dallo zinco per formare idrogeno molecolare H2. Sommiamo le due semireazioni per ottenere l'equazione complessiva: 51 • • Zn(s) + 2 H+(aq) + 2 e- → H2(g) + Zn 2+ (aq) + 2 e - • semplificando i termini uguali: • Zn(s) + 2 H+(aq) → H2(g) + Zn 2+ (aq) • e riscriviamo la reazione reinserendo anche gli ioni cloro Cl-. • Zn(s) + 2HCl(aq) → ZnCl2(aq) + H2(g) 16. BILANCIAMENTO DI UNA REDOX (1) La maggior parte delle reazioni di ossidoriduzione o redox non sono bilanciabili in modo intuitivo. Esistono vari procedimenti ben standardizzati e tutti equivalenti per effettuare quest'operazione. Utilizziamo uno di questi metodi e proviamo a bilanciare la reazione tra permanganato di potassio KMnO4 e acido ossalico H2C2O4, che formano ione manganese Mn2+ ed anidride carbonica CO2. Per semplicità rappresentiamo la reazione in forma ionica: MnO 4- (aq) + H2C2O4(aq) → Mn 2+ (aq) + CO2(aq) 1. Identificazione dell'agente ossidante e riducente. Per identificare quale dei reagenti in gioco si ossida e quale si riduce, è necessario calcolare il numero di ossidazionedegli atomi sia dei prodotti che dei reagenti: MnO 4- (aq) + H2C2O4(aq) → Mn 2+ (aq) + CO2(aq) Il manganese nello ione permanganato ha numero di ossidazione +7 (8 elettroni sono coordinati dagli ossigeni, poiché ogni ossigeno ha numero di ossidazione –2, uno viene dalla carica negativa, e sette dal manganese). Lo ione manganese Mn2+, ha numero di ossidazione +2. Il manganese è passato da +7 a +2, si è quindi ridotto. Nell'acido ossalico H2C2O4(aq) il carbonio ha numero di ossidazione +3 (gli ossigeni con numero di ossidazione -2 coordinano 8 elettroni, due vengono dagli idrogeni che hanno numero di ossidazione +1, gli altri 6 elettroni vengono dai carboni che essendo 2 prendono ognuno numero di ossidazione +3), mentre nell'anidride carbonica CO2 il carbonio ha numero di ossidazione +4. Il carbonio passa dal numero di ossidazione +3 a +4, quindi si ossida. 52 17. BILANCIAMENTO DI UNA REDOX (2) 1. Separare le due semi-reazioni 2. Scrivere l'equazione minima della reazione di ossidazione. Scriviamo l'acido ossalico H2C2O4(aq) nei reagenti e l'anidride carbonica CO2 nei prodotti: H2C2O4(aq) → CO2(aq) 3. Bilanciare la semi-equazione di ossidazione, ignorando le cariche. Bilanciamo la semi-reazione per massa cominciando ad aggiungere ioni idronio H+ in modo da equilibrare il numero degli idrogeni che mancano nei prodotti, ed in seguito aggiungiamo il coefficiente stechiometrico 2 davanti all'anidride carbonica CO2 in modo da bilanciare anche i carboni e gli ossigeni: H2C2O4(aq) → 2CO2(aq) + 2H + (aq) 4. Bilanciare la semi-equazione di ossidazione rispetto alle cariche aggiungendo elettroni. Ora la semi-reazione è bilanciata per massa e va bilanciata per carica, perciò aggiungiamo 2e- per neutralizzare le due cariche positive degli H+: H2C2O4(aq) → 2CO2(aq)+ 2H + (aq) + 2e - La semi-reazione è ora perfettamente bilanciata e la carica totale dei prodotti è uguale a quella dei reagenti. 18. BILANCIAMENTO DI UNA REDOX (3) 1. Ripetere i passaggi da 3. a 5. per la semi-reazione di riduzione. Scriviamo la semi-reazione di riduzione dove lo ione permanganato MnO4- si trasforma in Mn2+ MnO 4- (aq) → Mn 2+ (aq) Bilanciamo per massa aggiungendo 4 molecole di H2O nei prodotti che permettono il bilanciamento degli ossigeni ed in seguito 8H+ nei reagenti che permettono il bilanciamento degli idogeni MnO 4- (aq) +8H + (aq) → Mn 2+ (aq) + 4H2O Ora la semi-reazione è bilanciata per massa e va bilanciata per carica. La carica totale è +7 nei reagenti e +2 nei prodotti, per riportare le cose in equilibrio devo aggiungere 5 elettroni nei reagenti 5e-. MnO 4- (aq) + 8H + (aq) + 5e - → Mn 2+ (aq) + 4H2O Ora anche la semi-reazione di riduzione è perfettamente bilanciata. 55 GAS, SOLIDI E LIQUIDI • Gli stati della materia • Passaggi di stato • Lo stato solido • Lo stato liquido • Le leggi dei gas • La legge dei gas ideali • Miscele di gas 1. GLI STATI DELLA MATERIA Le sostanze possono presentarsi in tre diversi stati di aggregazione: • solido • liquido • gas. Alcune sostanze, come l’acqua, possono presentarsi in tutti e tre gli stati. Gli stati solido e liquido sono detti condensati in quanto le interazioni sono sufficientemente forti da tenere le particelle che li compongono in contatto fra loro. Nello stato liquido le particelle hanno possibilità di movimento, in quello solido gli unici movimenti possibili sono le vibrazioni. Nello stato gassoso le particelle hanno un’energia superiore alle forze di coesione e quindi non sono in contatto e si muovono liberamente, indipendentemente le une dalle altre. Le forze di coesione possono essere di diverso tipo: per esempio il legame metallico nei metalli, il legame ionico nei reticoli cristallini, legami covalenti, idrogeno o forze di Van der Walls nei solidi molecolari. 56 2. PASSAGGI DI STATO Un passaggio di stato è la trasformazione da uno stato di aggregazione ad un altro. Queste trasformazioni non riguardano le proprietà chimiche della sostanza, ma solo quelle fisiche. I cambiamenti sono normalmente indotti da variazioni di temperatura e di pressione. Il riscaldamento di un solido, ad esempio il ghiaccio o un metallo, ne può provocare la fusione, e questo può accadere a temperature molto diverse. Un ulteriore riscaldamento dell’acqua la trasforma in gas, o vapore. Questi cambiamenti sono facilitati da una diminuzione della pressione. Alcuni gas possono essere liquefatti aumentando la pressione o diminuendo la temperatura. Alcune sostanze non possono essere ottenute allo stato liquido o gassoso, in quanto le particelle che le compongono sono alterate a temperature inferiori a quelle necessarie al passaggio di stato. Per i gas esiste una temperatura, detta temperatura critica, oltre la quale non possono più essere liquefatti con l’aumento della pressione: i gas presenti a temperature inferiori alla temperatura critica vengono detti vapori. Il passaggio dallo stato solido a quello liquido viene detto fusione, ed avviene con somministrazione di energia. Il passaggio da liquido a gas viene detto evaporazione, ed avviene somministrando energia. Il passaggio da solido a gas viene detto sublimazione, mentre il passaggio inverso da gas a solido viene detto brinamento. Il passaggio da gas a liquido prende il nome di condensazione, mentre il passaggio da liquido a solido viene detto solidificazione; entrambi avvengono sottraendo energia. 57 3. LO STATO SOLIDO La maggior parte dei solidi hanno una struttura cristallina, la cui unità si chiama cella elementare. Essi possono essere classificati in base ai tipi di legame che li uniscono. Nei solidi ionici il reticolo cristallino è composto da cationi ed anioni uniti da forze elettrostatiche, che fondono ad alte temperature e tendono a sfaldarsi con facilità. Nei solidi molecolari, le molecole sono disposte in modo ordinato e le forze di coesione sono legami idrogeno e/o forze di van der Waals. Nei solidi metallici il cristallo è formato da cationi uniti dal legame metallico. Nei solidi covalenti, come il quarzo o il diamante, tutti gli atomi sono uniti da legami covalenti e sono molto duri. 4. LO STATO LIQUIDO Nei liquidi le forze di coesione consentono alle particelle di rimanere a contatto e di scorrere l’una sull’altra: questa proprietà prende il nome di fluidità. 60 Quindi sostituendo i valori numerici: 1,00 atm • 22,414 L R =________________________________= 0,08206 L • atm • mol-1 • K-1 1,00 mol • 273,15 K Il volume di 22.4 l occupato da una mole di gas alle condizioni citate sopra, viene detto volume molare standard ed è indipendente dal tipo di gas. 7. MISCELE DI GAS Osservando il comportamento delle miscele gassose, Dalton enunciò la legge delle pressioni parziali o legge di Dalton: “la pressione totale di una miscela di gas è data dalla somma delle pressioni parziali dei singoli componenti gassosi di questa” Ptot = PA + PB + … Pn La pressione parziale di un gas in una miscela è la pressione che tale gas eserciterebbe nelle stesse condizioni se occupasse da solo il medesimo contenitore. La pressione parziale Pa di un gas A, dipende dal numero di moli di tale gas, dagli nA presenti, e dalla temperatura e dal volume totale occupato dalla miscela. n A R T PA = _______________ V L’atmosfera è una miscela di gas composta per il 78% da azoto N2, per il 21% da ossigeno O2 e per l’1% da gas rari. Conoscere la pressione parziale dell’ossigeno PO2 nel sangue arterioso può essere importante per monitorare il funzionamento dell’apparato respiratorio. Il rapporto fra il numero di moli di un componente di una miscela e il numero di moli totali prende il nome di frazione molare. 61 LE SOLUZIONI  Le soluzioni  Misura della concentrazione  La molarità  Molalità e massa su volume  Altri modi di esprimere la concentrazione  Elettroliti e non elettroliti  Saturazione e solubilità  Dipendenza della solubilità dal soluto  Dipendenza della solubilità dalla natura del solvente  Effetto della pressione sulla solubilità dei gas  Equilibrio dinamico  Effetto della temperatura sulla solubilità  Proprietà colligative  Abbassamento della tensione di vapore  Innalzamento del punto di ebollizione  Abbassamento del punto di congelamento  Osmosi (1)  Osmosi (2)  Calcolo della pressione osmotica  Osmometria 1. LE SOLUZIONI Le soluzioni sono particolari tipi di miscele omogenee i cui componenti non possono essere facilmente separati. Molti prodotti alimentari e alcuni medicinali sono soluzioni, così come alcune sostanze di uso quotidiano quali i detersivi liquidi, il vino e la candeggina. Le soluzioni sono preparate sciogliendo una sostanza in un’altra. In una soluzione composta da due sostanze, in due fasi diverse (ad esempio un solido ed un liquido), viene detto solvente la sostanza che si trova nella fase della soluzione finale (es. liquida) e soluto la sostanza disciolta. Se due sostanze appartengono alla stessa fase, il solvente è la componente presente in quantità maggiore. Le soluzioni possono essere: • liquide come l’acqua, il vino o i profumi, • gassose come l’atmosfera, • solide come le leghe metalliche. Le soluzioni costituite prevalentemente da acqua vengono dette soluzioni acquose. Nella chimica molte delle reazioni avvengono in soluzione acquosa, cioè in un sistema dinamico che favorisce l’incontro fra i vari reagenti. 2. LA MOLIRITA’ La soluzione fisiologica è una soluzione salina, ma questa descrizione qualitativa non fornisce indicazioni sulla quantità di soluto (sale) presente nel solvente. Talvolta occorre quantificare esattamente la quantità di soluto presente in una soluzione, ad esempio quando dosiamo i vari componenti nei fluidi biologici ed in particolare nel sangue La composizione quantitativa è descritta dalla concentrazione, vale a dire dalla 62 quantità di soluto in una parte definita di solvente. Da essa si possono effettuare i calcoli stechiometrici per monitorare l’andamento delle reazioni che avvengono in soluzione. Inoltre, la conoscenza della concentrazione permette di prevedere l’effetto su alcune delle proprietà fisiche delle soluzioni, le proprietà colligative. 3. MOLALITA’ E MASSA SU VOLUME La molarità (M) di una soluzione esprime il numero di moli di soluto per litro di soluzione. Per esempio, se consideriamo una soluzione di ipoclorito di sodio (candeggina) NaClO: 1M, 2M o 0,1 M significa che nelle tre soluzioni avremo rispettivamente 1 mole, 2 moli ed 0,1 moli di NaClO per litro di soluzione. Per il calcolo della concentrazione molare o molarità possiamo scrivere: moli di soluto concentrazione molare = _____________________________________________________ litri di soluzione ovvero: n (mol) M = __________________ V (l) Proviamo a calcolare la concentrazione di 4.1 g di acetato di sodio (CH3COONa) in 500 ml di acqua H2O. Iniziamo calcolando il numero di moli contenuto in 4.1g di CH3COONa: g n = ________ = PM 4.1g = __________________________ = 0.05 mol 82 g •mol-1 Calcoliamo ora la concentrazione, ricordando che 500 ml equivalgono a 0.5l: n M = ________ = V 0.05 mol = _______________________ = 0.1 M 0.5 l La concentrazione della soluzione è 0.1M 65 • alla pressione (per quanto riguarda i gas). 8. Dipendenza della solubilità dalla natura del solvente La solubilità di un composto in un dato solvente dipende dalle sue caratteristiche chimico/fisiche. In tabella sono rappresentati sia composti molecolari (NH3 l’ammoniaca e HCl l’acido cloridrico) che composti ionici (tutti gli altri) con il valore numerico della loro solubilità in acqua a due diverse temperature (0°C e 100°C) e l’eventuale solubilità in altri solventi. I nitrati (sali formati dall’acido nitrico HNO3), per esempio, sono tipicamente molto solubili e quindi si trovano raramente nei minerali e nelle rocce. 66 I fosfati (sali formati dall’acido orto-fosforico H3PO4) sono poco solubili e quindi adatti per formare lo scheletro di gran parte dei vertebrati, compreso l’uomo. 9. Effetto della pressione sulla solubilità dei gas Un modo semplice per descrivere la dipendenza della solubilità dalle caratteristiche chimiche del solvente è la regola: “simile scioglie il proprio simile”. Nei cristalli ionici, i cationi con carica positiva e gli anioni con carica negativa, sono legati da forze di tipo elettrostatico. Se un solido ionico è immerso in solvente polare (ad esempio l’acqua), la molecola del solvente può rompere il legame ionico del cristallo formando nuovi legami con i cationi e gli anioni e portandoli in soluzione. L’energia necessaria per la rottura del reticolo cristallino è fornita dall’energia liberata dalla formazione delle nuove interazioni fra le molecole del solvente e gli ioni. Un composto molto solubile, come un nitrato, avrà un’energia reticolare più bassa rispetto ad un composto meno solubile. Per esempio l’AgCl ha un cristallo molto stabile e l’energia fornita dalla solvatazione dei suoi ioni non è sufficiente a determinare la rottura dei legami ionici fra gli ioni Ag+ e Cl-, ciò che ne deriva è una solubilità molto bassa. I solventi non polari, come ad esempio il benzene o il cloruro di etilene, sono in grado di portare in soluzione solidi non polari, misurandosi con le forze idrofobiche e deboli che tengono unite le loro molecole. 10. Equilibrio dinamico Per i gas con comportamento che si avvicina all’idealità, cioè che non reagiscono con il solvente e che si sciolgono poco, come ad esempio l’idrogeno H2 e l’ossigeno O2, la solubilità viene descritta dalla legge di Henry che afferma: “la solubilità di un gas 67 in liquido, ad una data temperatura, è proporzionale alla pressione parziale del gas”. Possiamo scrivere questa legge come formula: S = kH • p Dove S è la solubilità del gas, kH è una costante detta costante di Henry e p è la pressione parziale del gas; questi parametri dipendono dalla natura del gas, dal solvente e dalla temperatura. La legge di Henry sta ad indicare che la quantità di gas disciolto in una soluzione aumenta all’aumentare della pressione. Quindi, quando un sommozzatore si porta in profondità la quantità di azoto e di ossigeno che si disciolgono nel suo sangue aumentano: se il sommozzatore riemerge troppo velocemente, la solubilità dei gas decresce velocemente e forma delle bolle (emboli gassosi) nel sangue che diventa schiumoso (embolia gassosa). Se il sommozzatore riemerge lentamente la quantità di gas nel sangue diminuisce gradualmente e può essere espulsa con la respirazione. Per la stessa legge, per togliere i gas dalla soluzioni è sufficiente diminuire la pressione esponendole al vuoto. 11. Effetto della temperatura sulla solubilità La solubilità dei gas è regolata dalle leggi dell’equilibrio dinamico secondo il principio di Le Chatelier: “un equilibrio dinamico si oppone ad ogni cambiamento delle condizioni dell’equilibrio stesso”. Secondo la legge di Henry se raddoppio la pressione parziale di un gas su una soluzione, raddoppierà anche la solubilità del gas. Aumentando la pressione crescerà il numero di molecole che entreranno in contatto con la soluzione ed aumenterà la probabilità che le molecole si solubilizzino; se aumenta il numero di molecole disciolte anche il numero di molecole che tenderà ad evaporare crescerà. Quando la velocità di solubilizzazione e di evaporazione saranno uguali, si instaurerà un nuovo equilibrio dinamico. 70 Il punto di ebollizione di una soluzione è maggiore rispetto a quello di un solvente puro. L’innalzamento ebullioscopico è proporzionale alla molalità della soluzione secondo l’equazione: Te = Ke • m • i dove Ke è la costante ebullioscopica molale, m è la molalità ed i è il coefficiente di van’t Hoff. L’aggiunta di glicole etilenico all’acqua di raffreddamento dei motori ne innalza il punto di ebollizione e permette una refrigerazione più efficiente in quanto il liquido può raggiungere temperature superiori ai 100°C senza bollire. 16. Osmosi (1) Una specie chimica che passa in soluzione presenta molte analogie con il comportamento dei gas. Le particelle in soluzione si distribuiscono in tutto lo spazio disponibile, e se nella soluzione sono presenti più soluti, ognuno di essi si comporta ignorando l’esistenza degli altri. In analogia alla pressione dei gas esiste nelle soluzioni una pressione osmotica legata alla temperatura ed alla concentrazione della soluzione attraverso una relazione formalmente identica all’equazione di stato dei gas. Mentre la pressione dei gas è direttamente generata dalle molecole del gas, la pressione osmotica deriva dalla variazione dell’energia libera del solvente dovuta alla presenza del soluto. Se separiamo due soluzioni con una membrana semipermeabile, cioè una membrana che permette il passaggio delle molecole del solvente ma non di soluto, si nota un passaggio di solvente dalla soluzione meno concentrata alla soluzione più concentrata. La pressione osmotica può essere definita come la pressione che deve essere esercitata per evitare che una soluzione separata da una soluzione meno concentrata, per mezzo di una membrana semipermeabile, venga diluita. 17. Osmosi (2) 71 Tutte le soluzioni biologiche contengono concentrazioni relativamente alte di sali, e le membrane biologiche sono semipermeabili, per cui la pressione osmotica è molto importante in biologia. Intuitivamente essa può essere spiegata dagli urti delle particelle del soluto sulla membrana semipermeabile. Essi esercitano una pressione che è proporzionale alla concentrazione delle particelle. Il flusso del solvente verso la soluzione più concentrata tende a ridurre tale pressione. 18. Calcolo della pressione osmotica La pressione osmotica può essere calcolata elaborando la seguente relazione:  • V = i • n • R • T ovvero  = i • n/V • R • T che può essere scritta come:  = i • M • R • T dove n è il numero di moli di soluto, per i sali bisogna tenere conto del coefficiente van’t Hoff (i). 19. Osmometria L’equazione che regola la pressione osmotica può essere utilizzata per determinare con precisione i pesi molecolari ed in particolare:  = i • q/pf • R • T dove i è il coefficiente di van’t Hoff, q è la quantità in grammi di soluto per litro di soluzione, pf è il peso formula del soluto, R è la costante dei gas, e T è la temperatura. Questa formula è valida se il composto in soluzione conserva la struttura molecolare che aveva allo stato solido. Le membrane cellulari sono a tutti gli effetti delle membrane semipermeabili che 72 permettono il passaggio del solvente, ovvero dell’acqua e di piccole molecole non cariche, mentre bloccano il passaggio di ioni e delle proteine sintetizzate all’interno della cellula. Questa organizzazione ha permesso di isolare il comparto interno da quello esterno, infatti le cellule hanno un sistema estremamente complesso e finemente regolato fatto di recettori e messaggeri per rapportarsi con l’ambiente esterno. Le soluzioni contenute nelle cellule hanno una pressione osmotica di circa 7 Atm, e se immergiamo un globulo rosso (o eritrocita) in una soluzione con una pressione osmotica minore (ipotonica), il solvente entra velocemente nella cellula fino a farla scoppiare. L’eritrocita è quindi lisato. Se esso è invece immerso in una soluzione con una pressione osmotica maggiore (ipertonica), l’acqua contenuta nel globulo rosso esce ed esso raggrinzisce. Quindi, le cellule devono essere mantenute in soluzioni che hanno la stessa pressione osmotica (isotoniche) per poterne preservare la forma e la funzionalità. Per questo motivo le soluzioni iniettabili per via endovenosa hanno una pressione uguale a quella del sangue, detta fisiologica. ENERGIA, VELOCITA’ DELLE REAZIONI, EQUILIBRIO CHIMOCO  Termodinamica chimica. Trasformazioni chimiche e variazioni di energia  Entalpia  Entropia  Energia Libera di Gibbs  Cinetica chimica  La teoria delle collisioni  Energia di attivazione di una reazione  Costante di velocità di una reazione  Catalisi  Equilibrio chimico  Il principio di Le Chatelier 1. Termodinamica chimica. Trasformazioni chimiche e variazioni di energia Ogni trasformazione chimica è associata ad una variazione di energia. Tali variazioni vengono studiate dal ramo della chimica denominato termodinamica chimica. L’energia esiste in varie forme: • termica cioè associata alla temperatura del sistema • elettrica associata a una differenza di potenziale • cinetica, cioè associata al movimento di un corpo ed alla sua massa • chimica. Per esempio l’energia chimica viene liberata durante la combustione del metano o della benzina e può essere usata per produrre calore, lavoro meccanico per muovere l’automobile o energia elettrica. In biologia molta energia chimica viene liberata dalle 75 componente entropica (TS) che riguarda la variazione di ordine. Una reazione è spontanea quando è accompagnata da una diminuzione di energia interna, cioè quando G <0. In questo caso viene detta esoergonica, cioè produce energia che può essere usata per compiere lavoro. La dissoluzione del cloruro di sodio (NaCl) in acqua è un esempio di un processo spontaneo che assorbe calore (endoergonico), cioè il sistema si raffredda spontaneamente. Questo è spiegato dal fatto che l’energia associata alla rottura dei legami ionici tra Na e Cl (la componente entalpica) è minore della quantità di energia associata all’aumento del disordine (la componente entropica). Infatti, si passa da una situazione in cui gli atomi di Na e Cl hanno una disposizione molto ordinata nel reticolo cristallino del sale, ad una soluzione caotica in cui gli ioni sono dispersi nella soluzione acquosa. 5. Cinetica chimica Alcune reazioni chimiche si svolgono molto velocemente, dando luogo anche ad esplosioni, mentre altre procedono molto lentamente, anche in termini di anni. Inoltre, alcune reazioni avvengono solo in certe condizioni e solo se innescate, come la combustione del gas metano o della benzina. La velocità delle reazioni è un argomento importante che fornisce informazioni su come si svolgono effettivamente le reazioni chimiche, ed è studiato dalla cinetica chimica. 6. La teoria delle collisioni La teoria delle collisioni è utile per interpretare la velocità delle reazioni Consideriamo una reazione del tipo: A + B --> C + D (esempio H2 + I2 --> 2HI) La trasformazione prevede che alcuni legami presenti in A e B vengano rotti per permettere la formazione di nuovi legami e dar luogo a C e D. Perché ciò avvenga le 76 molecole A e B devono entrare in contatto con un’energia sufficiente e con una posizione opportuna. Solo in queste condizioni si ha un urto efficace (o produttivo) che può portare alla formazione del prodotto. Il numero di urti efficaci rispetto al numero di urti totali può essere molto basso. Ogni condizione che aumenta sia il numero totale degli urti che la proporzione degli urti efficaci, aumenterà la velocità della reazione. Da queste considerazioni risulta che la velocità di una reazione dipende da: • la concentrazione dei reagenti: se essa aumenta, aumenta anche il numero degli urti totali • la temperatura: al suo aumento cresce l’energia cinetica delle molecole, quindi aumenta la probabilità che gli urti abbiano un’energia maggiore della soglia richiesta (Ea). • la complessità delle molecole: per molecole semplici e sferiche la maggior parte degli urti sarà produttiva, per molecole complesse invece l’urto deve avvenire solo in una particolare posizione e ciò avviene molto raramente. Infatti, la velocità delle reazioni chimiche aumenta sempre con la temperatura, e, salvo rare eccezioni, aumenta con la concentrazione dei reagenti. La teoria prevede anche che al momento dell’urto efficace, si formi un complesso in cui sono presenti contemporaneamente sia i legami dei reagenti che quelli dei prodotti. Questo complesso attivato è una forma chimica molto instabile, che decade così rapidamente che solo raramente può essere osservata direttamente. Il complesso ha un livello energetico più alto sia del reagente che dei prodotti, e coincide con l’energia di attivazione (Ea). 7. Energia di attivazione di una reazione 77 L’evoluzione di una reazione chimica può essere descritta dall’evoluzione della sua energia nella coordinata di reazione, cioè il susseguirsi degli eventi che accadono nella reazione. In una reazione esotermica il livello energetico dei reagenti è maggiore di quello dei prodotti e la differenza è indicata da E. Perché la trasformazione avvenga, si deve formare un complesso attivato ad alta energia, esso una volta fatto decade a dare i prodotti oppure i reagenti. Il tipo di complesso attivato che si forma dipende dal cammino di reazione. 8. Costante di velocità di una reazione 80 la superficie del metallo pesante è ricca di elettroni, ed essa attrae le molecole di etilene e di idrogeno. Questo da una parte facilita l’interazione tra le due molecole, e dall’altra indebolisce il doppio legame C=C, favorendo l’attacco da parte di H2. Le reazioni biologiche sono tutte catalizzate da molecole che agiscono in maniera molto specifica su determinati reagenti, e in modo da controllare in maniera molto precisa il tipo e la quantità delle trasformazioni chimiche che avvengono in una cellula. Essi sono chiamati enzimi, e sono quasi tutti costituiti da proteine, cioè codificati direttamente dal genoma. 10. Equilibrio chimico In alcune reazioni chimiche i reagenti si trasformano completamente nei prodotti. Queste reazioni sono denominate irreversibili, e sono rare. Nella maggior parte dei casi i prodotti delle reazioni possono reagire tra loro per formare di nuovo dei reagenti. Ne consegue che la reazione non va a completamento e nella miscela finale rimangono sia i reagenti che i prodotti. Questi tipi di reazioni sono dette reversibili. Data la reazione generica: aA + bB <-- --> cC + dD Se la reazione inizia mescolando A e B, la loro concentrazione diminuirà progressivamente che la reazione procede, parallelamente diminuirà anche la velocità di reazione. Le concentrazioni dei prodotti invece, aumentano progressivamente ed aumenta anche la velocità con cui essi reagiscono per formare i reagenti. Si arriva ad un punto in cui la velocità di formazione dei prodotti è uguale e contraria alla velocità di formazione dei reagenti. Questa è la condizione di equilibrio chimico, 81 cioè una condizione dinamica in cui le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti sono costanti nel tempo. I rapporti tra le concentrazioni sono espressi dalla costante di equilibrio Keq definita come: Keq = [C] c [D] d / [A] a [B] b Essa esprime il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti, elevati ai loro coefficienti stechiometrici, diviso il prodotto delle concentrazioni dei reagenti, elevate ai loro coefficienti stechiometrici. La Keq è costante a temperatura costante, ma varia a temperature diverse. I valori di Keq sono molto utili per indicare da quale parte procederà una reazione. Infatti valori molto alti di Keq indicano che i prodotti sono favoriti e che quindi tutti, o quasi, i reagenti si trasformeranno in prodotti. Una Keq molto bassa indica invece, che i reagenti sono favoriti rispetto ai prodotti, e che quindi solo una piccola parte di essi reagirà. La Keq non dà alcuna informazione sulla velocità con la quale il sistema raggiungerà l’equilibrio, ma solo da che parte è spostato l’equilibrio. Ne consegue, che la presenza o assenza di catalizzatori, non influisce sui valori di Keq, e quindi sulle condizioni di equilibrio. La Keq è correlata alla variazione di energia libera standard dalla relazione: G° = -RT ln Keq 82 dove R è la costante universale dei gas, T è la temperatura assoluta ed ln è il logaritmo naturale. Per valori molti elevati di Keq, i valori di G° sono molto negativi, ed indicano che la reazione in condizioni standard è favorita. Viceversa per valori molto piccoli di Keq, corrispondono valori positivi di G° ed indicano che la reazione è sfavorita. 11. Il principio di Le Chatelier Il principio di Le Chatelier afferma: “quando un sistema all’equilibrio viene perturbato, esso reagisce in modo da opporsi alla perturbazione.” Esso è molto semplice ed intuitivo, ed è particolarmente utile per prevedere come risponde un equilibrio dinamico a modificazioni di temperatura, pressione o concentrazione dei prodotti e reagenti. Consideriamo la reazione: 2NO(g) + O2 (g)<-- -->2NO2 (g) + Q Q indica la quantità di calore rilasciata dalla reazione, che è esotermica. Valutiamo come si modifica il sistema all’equilibrio se la temperatura viene innalzata. Il principio afferma che esso reagirà opponendosi alla variazione, e vale a dire abbassando la sua temperatura. Ciò può essere ottenuto con lo sviluppo della reazione inversa, cioè una reazione endotermica. Quindi il sistema risponde spostando l’equilibrio verso sinistra. I reagenti sono tutti in fase gassosa, e quindi si può modificare la pressione del sistema. Se il volume della miscela in equilibrio viene ridotto applicando una pressione maggiore, si determina un aumento della concentrazione sia dei reagenti che dei prodotti. Il sistema risponde cercando di diminuire la concentrazione riducendo il numero di moli totali. Poiché la trasformazione dei reagenti (3 moli) in prodotti (2 moli), implica una riduzione del numero totale di moli, l’equilibrio reagirà spostandosi verso destra. 85 3. Basi secondo Arrhenius Arrehnius studiò il comportamento di quei composti che arricchivano le soluzioni in cui venivano disciolti con ioni ossidrile OH- e li chiamò basi. 4. Teoria Brønsted-Lowry La teoria di Arrhenius, per quanto valida per molti composti, non riusciva a spiegare il comportamento di tutte le specie chimiche in grado di cambiare la concentrazione di H+ ed OH- in soluzione acquosa e non era estensibile alle soluzioni non acquose. Visti i limiti della teoria di Arrhenius si sentiva l’esigenza di formulare una teoria migliore. Nel 1923 J.N Brønsted (chimico Danese) e T.M. Lowry (chimico inglese), indipendentemente l’uno dall’altro, formularono una nuova teoria acido-base che porta il loro nome. Secondo questa teoria si definisce: • base, un composto in grado di coordinare uno o più protoni ceduti da un acido • acido, un composto in grado di cedere uno o più protoni accettati da una base Il protone non può esistere allo stato libero, quindi un acido è vincolato alla presenza di una base che lo possa accettare. E’ quindi preferibile parlare di sistemi acido-base piuttosto che parlare di acidi e di basi singolarmente. L’acqua, ad esempio, a seconda delle specie chimiche presenti in soluzione può comportarsi da acido o da base. 86 5. Acido e base coniugata Secondo la teoria acido-base di Brønsted e Lowry, l’acido HA cede il proprio protone e si trasforma in A-, cioè una base in grado di riprendere il protone. Ad ogni acido corrisponde quindi una base coniugata. La base B dopo aver accettato il protone si trasforma in BH+ e diventa una specie chimica in grado di cedere un protone ovvero un acido; ad ogni base corrisponde un acido coniugato. Nelle reazioni acido-base si istaura un equilibrio dove l’acido si trasforma nella sua 87 base coniugata e se la reazione non è irreversibile la base coniugata può rigenerare l’acido in un sistema dinamico. Contemporaneamente, la base si trasforma nel suo acido coniugato e, nel caso la reazione sia reversibile, l’acido coniugato può riformare la base in equilibrio dinamico. 6. Esempio di equilibrio acido-base In questa reazione acido-base l’ammoniaca NH3 si comporta da base ed accetta un protone dall’acqua H2O. L’ammoniaca si trasforma nel proprio acido coniugato, lo ione ammonio NH4 +, mentre l’acqua si trasforma nella propria base coniugata lo ione idrossido OH-. Questa reazione è reversibile e quindi l’acido NH4 + rigenera la sua base coniugata NH3 cedendo un protone alla base OH - che accettando un protone genera il suo acido coniugato H2O. Si crea in questo modo un equilibrio dinamico. 7. Soluzioni non acquose La teoria acido-base di Brønsted e Lowry è facilmente estendibile alle soluzioni non acquose. Nella figura possiamo vedere come l’ammoniaca NH3 può comportarsi a seconda del contesto chimico: da base acquisendo un protone e trasformarsi nell’acido coniugato 90 H2O + H2O ↔ H3O + + OH - Questa reazione è spostata fortemente verso sinistra, quindi possiamo affermare che in una soluzione di acqua pura abbiamo la formazione di piccolissime ed uguali quantità di ione idrossile OH- e di ione idronio H3O +. Possiamo scrivere la costante: [H3O + ] • [OH - ] Kc=_________________ [H2O] 2 La concentrazione dell’acqua è 55,5 M, è pressoché costante e può essere inglobata nella Kc. Si può quindi scrivere una nuova costante Kw che include la concentrazione dell’acqua: Kw= [H3O + ] • [OH - ]= 10 -14 La Kw è il prodotto ionico dell’acqua, cioè il prodotto della concentrazione degli ioni presenti nell’acqua pura. Essa esprime l’autoionizzazione dell’acqua ed il suo valore determinato sperimentalmente a 25°C è 1 • 10-14. Per rendere più maneggevole l’approccio numerico si utilizza il logaritmo negativo (cologaritmo) del prodotto ionico dell’acqua e si rappresenta la Kw preceduta da una p. pKw = -log (1 • 10 -14 ) = 14 12. L’equilibrio delle soluzioni di acidi e di basi Gli acidi e le basi in soluzione vanno velocemente all’equilibrio. L’acido cede il protone alla base trasformandosi nella sua base coniugata. La sua base coniugata a 91 sua volta può riprendersi un protone e rigenerare l’acido. Quando la velocità di formazione della base coniugata e della rigenerazione dell’acido è uguale si instaura un equilibrio: Acido1 + base 2 ↔ base 1 + acido 2 secondo la costante: [base1] • [acido2] Kc = _________________________ [acido1] • [base2] Scambiando protoni con l’acqua della soluzione gli acidi e le basi ne modificano le caratteristiche e le proprietà. Per un acido non meglio specificato l’equilibrio è: HA + H2O ↔ A- + H3O la sua costante denominata Kc è: [A-] • [H3O+] Kc = ____________________ [HA] • [H2O] Mentre per una base l’equilibrio è: H2O + B ↔ OH - + BH + e la costante chiamata kb è uguale a: [OH - ] • [BH + ] Kc = ____________________ [H2O] • [B] 13.Costanti di dissociazione acida e basica In una soluzione acquosa, l’acqua è numericamente la parte di gran lunga più importante. La sua concentrazione è 55.5 M e generalmente in una reazione acido- 92 base viene consumata in modo trascurabile. Non cambiando in modo significativo la sua concentrazione può essere inglobata nella costante. Quindi si può definire la costante acida (Ka) nel modo seguente: [A - ] • [H3O + ] Ka = _______________ [HA] e la costante basica (Kb) [OH-] • [BH+] Kb = _______________ [B] Per rendere i numeri più maneggevoli si utilizza il logaritmo negativo (cologaritmo) e si mette una p davanti alla K. pKa = -log Ka, pKb = -log Kb. 14. Relazione fra pKa, pKb e pKw Se scriviamo gli equilibri di un acido in soluzione e del suo sale (base coniugata) in soluzione o di una base e del suo sale (acido coniugato), ad esempio l’ammoniaca NH3, e la mettiamo in acqua possiamo scrivere l’equilibrio: H2O + NH3 ↔ OH - + NH4 + E quindi la costante: [OH - ] • [NH4 + ] Kb = _________________ [NH3] Scriviamo l’equilibrio del suo sale ovvero lo ione ammonio NH4 +, che essendo l’acido associato di una base ha la potenzialità di cedere un protone: NH4 + + H2O ↔ NH3 + H3O + E la costante: [NH3] • [H3O + ] Ka = _________________ [NH4 + ] Moltiplicando le due costanti e semplificando dove possibile otteniamo: [OH - ] • [NH4 + ] [NH3] • [H3O + ] Kb • Ka =________ • _________________=[OH - ] • [H3O + ] = Kw [NH3][NH4 + ] Moltiplicando le due costanti otteniamo il prodotto ionico dell’acqua Kw. Quindi: log Ka + log Kb = log Kw Il (neo E] i ReRgIeRi co Me À. Tosi Meo °° TRURO A pioHineO RE Ri MONO A Mo! HE A_Aeefico Bd Pago n ok ° osso ni Wasmo. KOH- fermo DM Sono OHLR OA - Anvuowo 95 96 • La forza degli acidi e delle basi in acqua Un acido HA con capacità di donare protoni superiore allo ione H3O + è un acido forte e si dissocerà completamente. Quegli acidi con capacità di cedere protoni inferiore allo ione H3O +, ma superiore a quella dell’acqua sono acidi deboli; essi stabiliscono un equilibrio dinamico di scambio di protoni con l’acqua. Se una sostanza, come donatore di protoni, è più debole dell’acqua, subirà la protonazione e quindi sarà una base. • Acidi ossigenati Una regola semplice e generale per ipotizzare la forza di un acido, è verificare il numero di ossigeni legati all’atomo centrale; la forza sarà tanto maggiore quanto maggiore è il numero di ossigeni. Gli ossigeni sono atomi elettro-attrattori, attirano cioè su se stessi la nuvola elettronica lasciando parzialmente scoperti gli idrogeni che, trattenuti meno fortemente, tenderanno a staccarsi per essere ceduti ad una base. Possiamo vedere nella figura 97 come aumenta la forza degli acidi formati dal cloro con l’aumentare del numero degli ossigeni legati. PH E SOLUZIONI TAMPONE • pH • Esercitazione • La misura del pH • Acidi e basi forti e calcolo del pH • Acidi e basi deboli: calcolo del pH • Gli acidi poliprotici • Acido e base coniugata, Ka e Kb • Sali come acidi e come basi • Formule • Titolazione acido forte, base forte • Titolazione di acido debole con base forte • Titolazione di una base debole con un acido forte • Gli indicatori • Alcuni indicatori • Meccanismo della titolazione • Tamponi • Equazione di Henderson-Hasselbalch • Caso particolare • Acidosi e alcalosi 1. pH Molte soluzioni biologiche e di laboratorio hanno concentrazioni di H3O + tipiche che ne influenzano le proprietà e le caratteristiche. La misura della concentrazione di H3O + è in generale un numero che può variare in un intervallo molto ampio: da 0 a 10–14. Per comodità si è scelto un modo univoco che renda questo importante parametro maneggevole, la convenzione è definita come pH. Il pH esprime il logaritmo negativo (cologaritmo) della concentrazione degli ioni idronio H3O +. pH= - log [H3O + ]
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