Scarica Chimica inorganica (no nomenclatura) e più Appunti in PDF di Chimica Inorganica solo su Docsity! CHIMICA E PROPEDEUTICA BIOCHIMICA LA MATERIA E GLI ELEMENTI La chimica è lo studio della composizione della materia e delle sue trasformazioni. La materia è costituita da elementi, quelli noti sono 118, di cui 20 sono fondamentali. I più importanti sono O, C, H, S, N, Ca, Cl, Mg… L’INDAGINE CHMICA ED IL METODO SCIENTIFICO Vi sono un livello di indagine macroscopico e un livello di indagine microscopico. Per l’indagine chimica è necessario approcciarsi al metodo scientifico: esso vede innanzitutto la definizione di una base sperimentale, un’ipotesi, che si costruisce per analizzare un campione, che viene quindi trattato, e su di esso viene stabilito un protocollo sperimentale che prevede l’uso di una tecnica funzionale per la definizione del parametro da osservare. L’ipotesi viene dalle cosiddette evidenze, che vanno validate: la validazione è una serie di ripetizioni di un certo approccio sperimentale, realizzata per assicurarsi sia che la tecnica utilizzata sia corretta, sia per verificare il risultato sul quale è stata generata l’ipotesi. Essa è quindi indice della riproducibilità del dato, il risultato cioè deve essere riproducibile da chiunque ripeta lo stesso esperimento. Esso può essere definito tale sulla base di un’importante significatività a livello statistico, che permette quindi di andare oltre l’ipotesi, ossia di definire il risultato. Gli elementi in antichità erano divisi secondo il quartetto di Aristotele: il mondo veniva spiegato in quattro elementi (aria, terra, acqua, fuoco) che, miscelandosi in diverse proporzioni, davano le diverse proprietà della materia (caldo, secco, freddo, umido). Si arrivò poi a Democrito, che invece propose invece una spiegazione della materia dal punto di vista dell’organizzazione atomica. Teoria che fu poi riproposta dal “De rerum Natura” di Tito Lucrezio Caro. La teoria atomica nasce con Dalton nel 1805: si definisce la materia come una sostanza costituita da particelle infinitesime ed indivisibili dette atomi; gli atomi di uno stesso elemento sono tutti uguali per proprietà e peso; le reazioni chimiche avvengono tra atomi interi e non tra frazioni di atomi; gli atomi non sono trasformabili gli uni negli altri e sono indistruttibili. Leggi fondamentali della chimica sono anche quelle di Lavoisier (fine ‘700 conservazione della massa: “in una reazione chimica la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti”), Proust (1799, proporzioni definite: “il rapporto fra le quantità in peso di due elementi che reagiscono per formare un composto è costante”) e Dalton (1803, proporzioni multiple: “quando due elementi si combinano tra loro per formare composti diversi, le quantità di uno di questi elementi che si combinano con una quantità fissa dell’altro, stanno fra loro in rapporti semplici, esprimibili mediante numeri interi, generalmente piccoli”). Lavoisier riconobbe l’importanza delle misurazioni accurate e fece una serie di esperimenti sulla combustione. All’epoca si pensava che la combustione fosse dovuta ad una proprietà chiamata “flogisto” che veniva espulsa dal legno o dai metalli quando essi bruciavano. Lavoisier riscaldò quindi dei metalli, in recipienti chiusi con quantità limitate d’aria. La calce che si formava pesava molto di più del metallo originale, ma il peso dell’intero recipiente era immutato. Analogamente, bruciando la legna la cenere residua era più leggera del legno di partenza, ma il peso del recipiente rimaneva lo stesso. La trasformazione quindi era accompagnata dalla conservazione delle masse: durante una trasformazione chimica non vi è né un guadagno né una perdita apprezzabile di materia, la somma delle masse dei reagenti è uguale alla somma delle masse dei prodotti. Altra legge importante è quella delle proporzioni definite (o legge di Proust) che afferma che un composto puro, qualunque sia l’origine o il modo di preparazione, contiene sempre quantità definite e costanti degli elementi proporzionali alla loro massa. Nella teoria atomica di Dalton, egli afferma che la materia è discontinua, composta da particelle indivisibili dette atomi. Nella definizione della sua teoria infatti introduce, oltre al concetto di atomo, anche il concetto di elemento e di composto: 1. Tutta la materia è composta da atomi indivisibili. Un atomo è una particella estremamente piccola che mantiene la sua identità durante le reazioni chimiche. 2. Un elemento è un tipo di materia composto da un solo tipo di atomo. Tutti gli atomi dello stesso elemento hanno la stessa massa e le stesse proprietà. 3. Un composto è un tipo di materia costituito da atomi di due o più elementi chimicamente uniti in proporzioni fisse. Due tipi di atomi in un composto si legano in proporzioni espresse da numeri semplici ed interi. Dalton fu anche il primo ad introdurre i simboli atomici: rappresentò elementi semplici e composti binari, terziari e quaternari con un simbolismo che gli permettesse di rappresentare i vari atomi. Thompson definì per primo la presenza dell’elettrone grazie ad una strumentazione che consisteva in un tubo con un neon, con all’estremità due elettrodi collegati ad un Il nucleo quindi è caratterizzato da due numeri: - Numero atomico Z, che corrisponde al numero di protoni (ed elettroni); - Numero di massa A, che corrisponde al numero di protoni + numero di neutroni. Un nucleo caratterizzato da Z e da A è anche chiamato nuclide ed è rappresentato con il simbolo dell’elemento + Z in basso a sinistra + A in alto a sinistra. Il numero di protoni di un dato elemento è sempre lo stesso in quanto è il valore che caratterizza l’atomo, ma può cambiare il numero di neutroni, e quindi anche quello di massa atomica. Gli atomi i cui nuclei hanno lo stesso numero di protoni ma diverso numero di neutroni, sono detti isotopi. Un esempio è costituito dagli isotopi dell’idrogeno: H 1 è il prozio (nessun neutrone), H 2 il deuterio (un neutrone), H 3 è il trizi0 (due neutroni). Gli elementi presenti in natura sono in genere miscele di isotopi, ci si riferisce quindi all’abbondanza relativa di un determinato isotopo, cioè la frazione del numero totale di atomi di un dato isotopo. Riguardo alla formula chimica, ne esistono vari tipi, la formula chimica è una notazione che usa i simboli atomici con dei numeri a pedice per indicare le quantità relative degli elementi che costituiscono la sostanza. In tale accezione viene detta formula empirica o formula minima, ed è il tipo più semplice di formula chimica. Talvolta la formula minima/empirica coincide con quella molecolare (es. NaCl), ma non sempre (es. NH2 empirica, N2H4 molecolare = idrazina). Vi è poi anche la formula di struttura, una delle più esplicite, come anche il modello ball and stick e il modello molecolare space-filling. GLI IONI Uno ione è una particella carica ottenuta da un atomo o un gruppo di atomi legati chimicamente per addizione o sottrazione di elettroni. L’anione è uno ione carico negativamente, come ad esempio Cl- oppure SO4 2-; il catione è uno ione carico positivamente, come NaCl+ oppure Ca2+. Un composto ionico è un composto costituito da cationi ed anioni tenuti assieme da forze elettrostatiche in una disposizione spaziale regolare. In tali casi si parla di unità formula più che di formula chimica e non si può definire una molecola. Es. NaCl = 1 ione Na+ per ogni ione Cl- COMPOSTI CHIMICI i composti chimici sono suddivisi in: composti organici, cioè composti del carbonio, derivati da idrocarburi (composti di carbonio ed idrogeno); e composti inorganici, ovvero composti formati da tutti gli altri elementi, inclusi alcuni composti semplici del carbonio (CO; CO2…) CLASSIFICAZIONE DELLA MATERIA La materia è qualsiasi cosa avente massa e in grado di occupare spazio; essa si divide in: - Sostanze pure: hanno composizione fissa, non possono essere ulteriormente purificate; - Miscele: una combinazione di due o più sostanze pure, che può essere fisicamente (eterogenea) o chimicamente (omogenea) separabile nelle sostanze pure originari. Le sostanze pure a loro volta si dividono in: - Elementi: non possono essere ulteriormente suddivisi utilizzando mezzi chimici o fisici, ma si combinano per formare i composti; - Composti: elementi uniti in rapporti fissi. D’altra parte le miscele si dividono in: - Miscele omogenee: composizione totalmente omogenea (acqua con sale NaCl); - Miscele eterogenee: composizione non uniforme (sangue, acqua con pasta). Per lavorare con le sostanze chimiche, è fondamentale conoscere i prefissi metrici ed i fattori di conversione. Si utilizzano infatti delle bilance analitiche che permettono di misurare campioni estremamente piccoli di sostanza. TEORIA DI BOHR DELL’ATOMO DI IDROGENO Secondo il modello nucleare di Rutherford l’atomo è formato da un nucleo con carica positiva attorno al quale si muovono gli elettroni. Nel caso più semplice, l’idrogeno, si ha un elettrone che si muove attorno ad un protone. Tale modello però pose subito un grosso dilemma: secondo la fisica classica infatti, una particella carica che orbita attorno ad un centro deve perdere continuamente energia e seguire un’orbita a spirale che lo porta poi a cadere sul nucleo, ciò causerebbe quindi instabilità dell’atomo. Ogni eventuale teoria atomica inoltre, doveva spiegare il fenomeno degli spettri a righe che gli atomi emettono ad alte temperature, e che costituivano una chiara evidenza di stabilità, concetto che andava in conflitto con l’idea di un atomo instabile a causa della perdita di energia e conseguente degenerazione degli elettroni. La teoria di Bohr contempla non solo l’emissione, ma anche l’assorbimento di luce. Questo fenomeno consiste nell’assorbimento di un fotone da parte di un elettrone in un livello energetico più basso che ne causa la transizione ad un livello energetico più alto. Nell’atomo di idrogeno l’elettrone si trova nel livello n=1 che è anche detto livello o stato fondamentale. Sopra questo livello si hanno livelli energetici detti “eccitati”. Per passare dallo stato fondamentale a quello eccitato quindi l’elettrone deve assorbire un fotone di energia ℎ𝜆 appropriata. Tale eccitazione può avvenire anche tramite l’assorbimento di energia cinetica ad esempio in seguito all’urto di atomi. È questo fenomeno che permette di osservare l’emissione di luce da parte di idrogeno ad alta temperatura. La teoria di Bohr inoltre prevedeva che l’elettrone avesse un’orbita circolare con un raggio che poteva essere calcolato per ogni livello energetico, cioè per ogni n. Sebbene questa teoria riuscisse a spiegare con successo vari aspetti sperimentali dell’atomo di idrogeno, essa era molto specifica, pertanto non poteva essere generalizzata al caso di atomi con più elettroni. Per riferirsi quindi a tali atomi si utilizza la meccanica quantistica. MECCANICA QUANTISTICA Le idee correnti sulla struttura atomica si basano sulla meccanica quantistica ovvero una teoria che sostituisce la meccanica classica nel caso di particelle microscopiche e tiene conto della loro natura ondulatoria. Secondo la relazione di De Broglie (1923) la luce non ha solo le proprietà di un’onda, ma anche quelle di una particella (nei fenomeni microscopici). La meccanica quantistica introduce un altro elemento: la casualità. Più piccola è la scala attraverso cui si osserva il mondo, più le cose diventano casuali. Il principio di indeterminazione di Heisenberg afferma che come conseguenza della natura ondulatoria delle particelle microscopiche esiste una limitazione sulla determinazione simultanea della posizione e della velocità di tali particelle. Pertanto non è possibile misurare simultaneamente e con esattezza la posizione e la quantità di moto di una particella in movimento, poiché subentrano numerosi valori di casualità. Il prodotto dell’incertezza sulla posizione e dell’incertezza sulla quantità di moto (m x v) di una particella è maggiore o uguale alla costante di Planck divisa per 4𝜋: (Δ𝑥)(𝑚Δ𝑣!) ≥ ℎ 4𝜋 Il numero quantico del momento magnetico ml determina l’orientamento spaziale di orbitali con n e l definiti, cioè con dimensioni e forma definite. Per ogni dato l, ml può assumere tutti i valori interi compresi tra -L e +L. Il numero quantico di spin determina le due possibili orientazioni dell’asse di spin di un elettrone, e può assumere i valori ms= +1/2 o -1/2. Questo numero quantico quindi determina il verso di rotazione dell’elettrone attorno ad un asse. ORGANIZZAZIONE DI GUSCI, SOTTOGUSCI E ORBITALI Ad ogni guscio è associato un sottoguscio indicato dalle lettere s, p, d, f, g. n=1 può avere solo l=0, quindi ha solo il sottoguscio s. n=2 può avere l=0 e l=1 quindi può avere s e p. n=3 abbiamo l=0,1,2 quindi sottogusci s, p, d per distinguere i sottogusci li numeriamo chiamandoli 1s, 2s, 3s; 1p, 2p, 3p, 3d. Gli orbitali s hanno forma sferica, quindi la probabilità di trovare un elettrone è uguale in tutte le direzioni dello spazio attorno al nucleo. Le probabilità di trovare l’elettrone 1s ad una distanza r dal nucleo è massima per r=0 e diminuisce all’aumentare di r. anche questi valori derivano dall’equazione di Schroedinger. Per rappresentare un orbitale quindi si riporta la probabilità di trovare l’elettrone con una punteggiatura tanto più fitta quanto maggiore è il valore della probabilità; si riporta quindi la superficie che racchiude un certo valore (es. 99%) della probabilità di trovare l’elettrone. L’orbitale s aumenta le sue dimensioni all’aumentare di n, allo stesso tempo aumentano anche graficamente le zone in cui è probabile trovare gli elettroni, cioè i livelli energetici. Il numero dei nodi radiali (zone di passaggio tra un n e un altro) quindi aumenta (secondo n-1), con la distanza media dell’elettrone dal nucleo. La sequenza di riempimento degli orbitali avviene in funzione dell’energia e del livello energetico dell’elettrone: il 4s andrà quindi riempito prima del 3d. Gli orbitali p hanno forma di due lobi posti sulla stessa linea, uno sopra e uno sotto il nucleo e si dispongono lungo gli assi x, y e z; li definiamo quindi px, py e pz, si distinguono in base all’orientamento dei lobi lungo gli assi. La zona nodale è la zona del piano nodale inclusa tra i due lobi. Vi sono 5 orbitali d che hanno varie forme. Vi sono 7 orbitali f che si combinano nelle varie dimensioni. CONFIGURAZIONE ELETTRONICA La configurazione elettronica di un atomo è una particolare distribuzione degli elettroni fra i sottostrati, ovvero fra i vari orbitali senza la specificazione degli ml. Essa è indicata dalla successione dei simboli dei sottostrati con un indice in alto a destra che indica il numero di elettroni presenti nel sottostrato. Es. Li con Z=3: 1s2, 2s1. (configurazione corrispondente allo stato fondamentale) Boro con Z=5: 1s2, 2s2, 2p. Si fa spesso uso di una rappresentazione grafica in cui ogni orbitale è rappresentato da un cerchio (o da un quadrato) e sono riportati tutti gli altri orbitali possibili per ogni sottostrato. La presenza di un elettrone in un orbitale è indicata da una freccia che punta verso l’alto per ms = +1/2 e verso il basso per ms = -1/2. Principio di esclusione di Pauli: non tutte le configurazioni elettroniche sono possibili, questo principio afferma che due elettroni in un atomo non possono avere tutti e quattro i numeri quantici uguali. Dato che un elettrone in un determinato orbitale ha i numeri quantici n, l e ml fissati, ne segue che il restante numero quantico ms può assumere solo i valori -1/2 o +1/2, quindi un dato orbitale può essere occupato al massimo da due elettroni con spin opposto. Le caselle che rimangono vuote nel riempimento degli elettroni determinano il comportamento degli atomi nei legami. Ordine sequenziale: 1s, 2s, 2p, 3s, 3p, 4s, 3d, 4p, 5s, 4d, 5p, 6s, 4f, 5d, 6p, 7s, 5f, 6d, 7p. Principio di Aufbau o della costruzione sequenziale: gli elettroni all’interno degli orbitali si sistemano prima un elettrone per ogni sottolivello, poi passano al riempimento degli spin antiparalleli. (?) Regola di Hund: in un sottostrato la disposizione degli elettroni a più bassa energia si ottiene introducendo gli elettroni con spin paralleli nei vari orbitali del sottostrato e solo successivamente accoppiando gli altri elettroni. Uno dei maggiori successi della meccanica quantistica è proprio la capacità di spiegare gli andamenti periodici della tavola periodica: essa rispecchia un’organizzazione elettronica, gli elementi che si trovano nella stessa zona quindi hanno le stesse proprietà chimiche che sono proprio dovute alla loro configurazione. Oggi è noto che la comparsa periodica di comportamenti chimici simili è da attribuire ad una configurazione elettronica esterna simile. Quelli appartenenti al primo gruppo hanno un solo elettrone di valenza. Elementi dello stesso gruppo hanno configurazione elettronica esterna simile. Gli elementi a sinistra sono detti blocco s (primi due gruppi), quelli a destra sono detti blocco p, e quelli al centro del blocco d (in cui c’è il riempimento degli orbitali d), infine staccato in basso abbiamo il gruppo f (in cui vengono riempiti gli orbitali f). Quelli appartenenti al primo gruppo hanno un solo elettrone di valenza. Idealmente la tavola periodica può essere divisa con una linea obliqua che divide i metalli dai non metalli. Gli elementi metallici hanno determinate proprietà: - Sono ottimi conduttori di calore; - Alta conducibilità elettrica che aumenta al diminuire della temperatura; - Alto potere riflettente e lucentezza metallica; - Sono solidi a temperatura ambiente, ad eccezione del mercurio; - Se riscaldati o esposti a radiazioni elevate si rileva effetto fotoelettrico ed effetto termoionico. Gli elementi non metallici invece: - Sono conduttori di calore; - Sono isolanti; - Non riflettono la luce; - Possono essere gas, liquidi o solidi a temperatura ambiente; - Allo stato solido sono in genere fragili; - Non mostrano effetto fotoelettrico o termoionico. Una caratteristica della tavola periodica è la valenza, ovvero il numero di legami che un elemento può formare: ad esempio gli elementi del primo gruppo, avendo un solo elettrone di valenza, possono formare un solo legame. Gli elettroni appartenenti allo stesso gruppo hanno quindi la stessa valenza. L’ultimo gruppo invece, quello dei gas nobili, contiene atomi che non formano legami, questo perché sul livello di valenza non hanno elettroni disponibili da impiegare in un legame. All’interno della tavola periodica vi sono delle proprietà periodiche: l’affinità elettronica, l’energia di ionizzazione e l’elettronegatività. L’affinità elettronica è definita come la variazione di energia che si misura quando un atomo libero cattura un elettrone: Cl cattura un elettrone formando l’anione Cl-. L’energia necessaria a catturare un atomo viene detta quindi affinità elettronica. specie denominate “radicali” che sono altamente reattive. I radicali sono molecole alla ricerca di elettroni, e li trovano ad esempio sulle membrane plasmatiche, provocando un effetto denominato “stress ossidativo” e quindi danneggiandole. Una coppia di elettroni nella formula di Lewis è detta coppia di legame se la coppia di elettroni è condivisa tra due atomi, coppia non legante o coppia solitaria se la coppia di elettroni rimane su uno degli atomi. Nella formazione del legame covalente in alcuni casi entrambi gli elettroni possono provenire dallo stesso atomo, tale tipo di legame viene definito legame di coordinazione o legame dativo. I doppietti non leganti infatti possono essere utilizzati per formare dei legami dativi, come nel caso dell’ammoniaca (NH3), in cui l’azoto può formare un legame dativo con un atomo, elemento o ione che presenta una lacuna elettronica, come lo ione H+, mettendo a disposizione il suo doppietto elettronico libero. Al formarsi di un legame dativo si formano esclusivamente degli ioni, nel caso dell’ammoniaca si ha una carica positiva sull’azoto, che forma quindi lo ione ammonio. Quando viene scisso un legame covalente polare si ha quindi quella che viene definita una scissione eterolitica. Nella formazione di uno o più legami covalenti ognuno degli atomi quindi raggiunge la configurazione di un gas nobile, tende cioè a completare l’ottetto di valenza. A parte l’idrogeno che ne ha due, tutti gli altri atomi possono contenere otto elettroni nel loro guscio di valenza. La tendenza di un atomo in una molecola ad avere otto elettroni nel proprio guscio di valenza è detta regola dell’ottetto. Oltre ai legami singoli, esistono anche i legami multipli, ovvero doppi e tripli: è possibile infatti che due atomi condividano rispettivamente due o tre coppie di elettroni. Esempio: etene CH4 (alchene), acetilene (alchino). Il legame covalente polare è un caso di legame covalente fra due atomi diversi, come HCl, in cui gli elettroni hanno maggiore probabilità di trovarsi in prossimità di un atomo piuttosto che all’altro, condizione dovuta ad una differenza significativa di elettronegatività. Ad esempio in HCl gli elettroni sono maggiormente distribuiti attorno al cloro, che acquista quindi una parziale carica negativa (𝛿 −). Se due atomi con le loro nubi elettroniche si trovano a contatto ma non avviene nulla tra gli elettroni, allora i due atomi si respingono, senza formazione alcuna di legame. Al contrario, se gli elettroni interagiscono si possono verificare due casi limite: 1. Uno dei due atomi è più elettronegativo dell’altro, con conseguente trasferimento di uno o più elettroni dall’atomo meno elettronegativo a quello più elettronegativo e con formazione quindi del legame ionico; 2. I due atomi hanno elettronegatività paragonabile, quindi gli elettroni vengono condivisi con formazione di un legame covalente. Gli elettroni possono localizzarsi equamente tra i due atomi qualora la differenza di elettronegatività sia poca (covalente ionico), al contrario se la differenza di elettronegatività è leggermente più significativa gli elettroni si localizzeranno spostandosi leggermente verso l’atomo più elettronegativo (covalente polare). IBRIDAZIONE Quando un atomo, che ha elettroni su orbitali s e p, inizia a formare dei legami molecolari si ha una combinazione tra gli orbitali p ed s per dare origine a dei nuovi orbitali molecolari (come accade al C che forma 4 legami e non 2). Tra due orbitali isoenergetici, ovvero con lo stesso numero quantico n, come 2s e 2p, può avvenire, in seguito all’eccitazione di alcuni elettroni, il passaggio di questi ultimi da un orbitale ad un altro, così da formare il più alto numero di legami possibile. - Un orbitale s e un orbitale p danno origine a due orbitali ibridi sp; - Un orbitale s e due orbitali p formano 3 orbitali sp2; - Un orbitale s e tre orbitali p formano 4 orbitali sp3. La forza di un legame dipende dal grado di sovrapposizione tra gli orbitali, maggiore è la sovrapposizione, più forte è il legame. Si possono sovrapporre solo orbitali che presentano un elettrone spaiato oppure due orbitali di cui uno contiene due elettroni e l’altro nessuno (dativo); questo proprio a causa del principio di Pauli, secondo cui in una data regione dello spazio possono coesistere al massimo due elettroni con spin opposto. Nella zona di sovrapposizione degli orbitali quindi è maggiore la probabilità di trovare elettroni. La sovrapposizione degli orbitali non avviene in una direzione qualunque, bensì in quella che permette la massima sovrapposizione: nel caso di HCl ad esempio, l’orbitale 1s di H si sovrappone all’orbitale 3pz, cioè esattamente lungo l’asse z. Ciò permette la formazione di un legame più forte. Non sempre però il numero di legami formati da un certo atomo corrisponde al numero di elettroni spaiati che esso possiede. Il carbonio ad esempio possiede solo due elettroni spaiati, ma forma comunemente quattro legami covalenti, come nel metano CH4. Questo perché un atomo, per formare legami, può utilizzare configurazioni eccitate a bassa energia con un numero maggiore di elettroni spaiati, grazie al fatto che i due orbitali sono isoenergetici. Nell’atomo di carbonio quindi un elettrone occupante l’orbitale 2s viene eccitato e va dunque ad occupare l’orbitale 2p rimasto vuoto, così da avere quindi 4 elettroni spaiati. Tale eccitazione richiede energia, che però viene compensata dall’energia che si guadagna in seguito alla formazione dei due legami addizionali che ora il carbonio è in grado di formare. In realtà però questo non spiega le proprietà dei quattro legami, in quanto gli orbitali spaiati non sono equivalenti (un s e tre 2p) e i quattro legami deriverebbero dalla sovrapposizione degli orbitali 1s di tre idrogeni con i tre orbitali 2px, 2py e 2pz del carbonio, e dell’orbitale 1s del restante idrogeno con l’orbitale 2s del carbonio. Tali previsioni però sono in contrasto con i dati sperimentali, secondo cui i quattro legami C-H del metano sono tutti equivalenti. Il metano infatti ha una geometria tetraedrica (C centrale circondato da H) con i quattro legami C-H tutti della stessa lunghezza e con tutti gli angoli di legame HCH uguali e pari a 109,5°. Si assume quindi che i quattro orbitali del carbonio si combinino fra di loro, per dare quattro nuovi orbitali equivalenti ed isoenergetici detti orbitali ibridi. In generale un orbitale ibrido è una combinazione lineare di orbitali atomici di uno stesso atomo. Nel caso del carbonio nella molecola di metano si ottengono quindi quattro orbitali ibridi chiamati sp3 perché derivano dalla combinazione di un orbitale s e tre orbitali p. La sovrapposizione con i 4 orbitali 1s dell’idrogeno con un elettrone permette quindi al carbonio di rispettare la regola dell’ottetto. Si possono ottenere diversi tipi di orbitali ibridi combinando linearmente diversi tipi e numeri di orbitali atomici. Il numero di orbitali ibridi ottenuti è uguale al numero totale di orbitali atomici combinati e per indicarli si usa il simbolo dei vari orbitali combinati. Es: gli orbitali sp3 sono chiamati così perché derivano dalla combinazione di un orbitale 2 e tre orbitali p, e sono quattro perché in tutto si combinano quattro orbitali. Gli orbitali ibridi sp2: hanno geometria triangolare (es. BF3 = Boro al centro circondato dal Fluoro) con angoli di legame 120°. Gli orbitali ibridi sp: hanno geometria lineare con angoli di legame di 180° (BeF2). La molecola d’acqua: anche se l’ossigeno ha due elettroni spaiati è necessario ricorrere, come per il carbonio, allo schema di ibridizzazione sp3 per giustificare la sua geometria, piegata con angolo HOH = 105°. In questo caso però non si ha bisogno di eccitazione. La geometria è tetraedrica anche se non perfettamente. temperatura e pressione, è uguale al rapporto tra le masse delle loro singole molecole. MASSA ATOMICA E MASSA MOLECOLARE La massa atomica relativa (MA), di un elemento è il rapporto tra la massa assoluta (kg) dell’elemento stesso e la dodicesima parte della massa assoluta (kg) dell’atomo di 12C, che equivale a 1,661 x 10-27kg. La massa molecolare relativa (peso molecolare), MM, è la somma delle masse atomiche che compaiono nella formula della molecola. Per i composti ionici la massa molecolare relativa si calcola allo stesso modo, ma prende il nome di peso formula. PESO MOLECOLARE Il peso molecolare di una sostanza è la somma dei pesi atomici di tutti gli atomi nella molecola della sostanza: Es. H2O = PA(H)= 10 u.m.a. PA(O)= 16 u.m.a. PM (H2O) = 2 x 1 + 16 = 18 u.m.a. Nel caso di composti ionici si parla di peso formula riferendosi ad unità formula: Es. NaCl = PA(Na)= 22,99 u.m.a. PA(Cl)= 35,45 u.m.a. PF (NaCl)= 22,99 + 35,45 = 58,44 u.m.a. LA MOLE Quantità di sostanza che contiene tante unità elementari quanti sono gli atomi contenuti in 12g esatti di 12C. Data la massa di un singolo atomo di 12C di 12 u.m.a. x 1,67 10-24g gli atomi sono: 12𝑔 12 𝑢.𝑚. 𝑎/𝑎𝑡𝑜𝑚𝑜 𝑥 1,67 10!"#𝑔/𝑢.𝑚. 𝑎. = 6,022 10"$ Quindi le unità elementari presenti in 12g di 12C, ovvero una mole di 12C, contiene 6,022 x 1023 atomi. Questo numero è detto numero di Avogadro (NA). Con la dimensione mol-1 indica il numero di particelle/mole. Esso rappresenta infatti il fattore di conversione tra mole e numero di oggetti (particelle, atomi, molecole). Indicando con n il numero di moli, il numero di particelle N sarà dato da: 𝑁%&'()*+,,+ = 𝑛-., 𝑥 𝑁/ = 𝑛-., 𝑥 6,022 10"$𝑝𝑎𝑟𝑡𝑖𝑐𝑒𝑙𝑙𝑒/𝑚𝑜𝑙 MOLE E MASSA Due campioni hanno la stessa massa, ma essendo gli atomi sul piatto destro della bilancia più leggeri di quelli sul piatto di sinistra, il campione di destra è costituito da un maggior numero di atomi. A parità di numero di atomi invece, essendo quelli sul piatto destro più leggeri, la massa del campione di destra risulta più piccola di quella del campione di sinistra. Quantità uguali di atomi (uguali numeri di moli) non hanno quindi necessariamente la stessa massa. Una mole di composti diversi contiene sempre lo stesso numero di particelle, ma sono rappresentate da pesi e da volumi differenti. UTILIZZO DEL NUMERO DI AVOGADRO Una mole di sostanze diverse contiene lo stesso numero di particelle (NA) per ogni sostanza, per un atomo, per una molecola, per un composto ionico… una mole di sostanze diverse corrisponde ad una massa in g diversa: Es. una mole di CO2 è costituita da 1 mole di C + 2 moli di O, quindi pesa: 12g + 16g x 2 = 44g Una mole di CO2 contiene: 1 mol x 6,022 1023 = 6,022 1023 molecole. MASSA MOLARE La massa molare di una sostanza è la massa di una mole. Per definizione il carbonio 12C ha una massa molare di 12g (MA degli atomi di carbonio = 12,011 u.m.a.). Quindi 1,0 mol di carbonio= 6,022 1023 atomi di carbonio = 12,011 g di carbonio. Per tutte le sostanze la massa molare in grammi è uguale al peso molecolare in u.m.a., quindi: PM (O2) = 31,998 u.m.a. 1 mol di molecole O2 = 6,022 1023 molecole di O2 = 31,998 g di O2 La massa molare può essere utilizzata come fattore di conversione per trasformare i grammi in moli e viceversa. Nello specifico si forniscono o i grammi o le moli di una data sostanza, chiedendo di ricavare l’altro dato non fornito. Per farlo si usa la massa molare (g/mol). Se il numero di moli è uguale alla massa divisa per la massa molare, allora: - peso in grammi = numero di moli x peso di una mole (massa molare di una mole); - numero di particelle = numero di moli x numero di Avogadro. MOLE DI UN COMPOSTO Es. PM (C6H12O6) = 180 u.m.a. quindi 180 g di glucosio sono pari ad una mole di glucosio: 𝑛-.,) = 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑖𝑛 𝑔 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑚𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑖𝑛 𝑔/𝑚𝑜𝑙 Il peso di una mole atomi è un numero di grammi pari al numero che esprime il suo peso molecolare. Avremo quindi 1 mole quando massa in g e massa molare sono uguali. Es. a quante moli corrispondono 10g di etanolo (C2H5OH)? n = massa in g / massa molare in g/mol 1. calcolo del PM (u.m.a.): PM (C2H5OH) = 12 x2 + 1 x 5 + 16 + 1 = 24 + 5 +16 + 1 =46 u.m.a. 2. equivalenza PM = M (g/mol) M = 46 g/mol 3. applicazione della formula n = 10 : 46= 0,217 mol Es. 2 quanto pesano 0,0654 moli di ZnI2? PM (ZnI2) = 65,37 + 126,9 x 2 = 319,17 u.m.a. M= 319,17 g/mol n = m/M quindi m= n x M m = 0,0654 x 319,17 = 20,87 g -.,) 1) 4 -.,) 1) 3 = $,6 7,# = 2,5 si divide sempre per il numero di moli più piccole! quindi PO2,5 si moltiplica tutto per 2*= moli di Px2 (1x2=2) e moli di Ox2 (2,5x2=5) = P2O5 anidride fosforica. *si moltiplica per due perché i numeri devono essere interi secondo le leggi di Gay-Lussac e Avogadro. Dalla composizione percentuale in peso di un composto si ricava la formula minima del composto, che non sempre coincide con quella molecolare. In quest’ultimo caso, se è noto anche il peso molecolare del composto, si può ricavare anche la formula molecolare. Es. Un composto chimico ha la seguente composizione percentuale: H=3,1%; P=31,5%; O=65,4%. Determinare la formula minima del composto. Su 100 g di composto: H=3,1g P= 31,5g O=65,4g n (H)= 3,1/1,008= 3,1 mol n (P)= 31,5/30,97= 1,02 mol n (O)= 65,4/16= 4,09 mol H = 3,1/1,02= 3 P = 1,02/1,02= 1 il composto ha formula minima H3PO4 O = 4,09/1,02= 4 Es. l’acido tartarico ha la seguente composizione: C=32%, H=4%, O=64%. Determinare formula minima e formula molecolare, sapendo che il peso molecolare è 150 u.m.a. In 100 g di composto ci sono: C=32g H=4g O=64g n (C)= 32/12,01= 2,66 moli n (H) = 4/1,008= 4 moli n (O)= 64/16= 4 moli C= 2,66/2,66= 1 H= 4/2,66= 1,50 O= 4/2,44= 1,50 Moltiplico tutto x2: C=2; H=3; O=3. Il composto ha formula minima C2H3O3. Peso della formula minima = 75 u.m.a. Peso molecolare = 150 u.m.a. Per trovare la formula molecolare si applica la formula: 𝑥 = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑚𝑜𝑙𝑒𝑐𝑜𝑙𝑎𝑟𝑒 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑓𝑜𝑟𝑚𝑢𝑙𝑎 𝑚𝑖𝑛𝑖𝑚𝑎 Quindi: x=150/75=2 Ciò significa che C2H3O3 è da prendere due volte: (C2H3O3)2 quindi la formula molecolare è C4H6O6. LE REAZIONI CHIMICHE La reazione chimica è una trasformazione della materia che si espleta tramite la rottura o la formazione dei legami chimici sviluppati tra le porzioni più esterne degli atomi. Le reazioni sono associate a modifiche energetiche che permettono la formazione di materiali con proprietà diverse da quelle della materia di partenza (reagenti). Nelle reazioni sono presenti vari stati, tra cui quello di equilibrio, stato in cui vi è un equilibrio dinamico tra reagenti e prodotti. I simboli rappresentano gli elementi, le formule descrivono i composti, le equazioni chimiche descrivono le reazioni chimiche, descrivono cioè la conversione di reagenti in prodotti. Nelle equazioni chimiche viene usato anche un simbolismo per descrivere gli stati degli elementi (s, l, g, aq) e per segnalare la presenza di: catalizzatori (à con sopra scritto un composto), gas che si disperdono ( ) oppure cambi di temperatura (Δ). Ci sono vari tipi di reazione: - Reazione di sintesi, producono un solo composto a partire da due o più reagenti e sono del tipo: A +B = C; - Reazione di decomposizione: si verificano quando un reagente si decompone grazie ad un catalizzatore originando due o più prodotti e sono del tipo: AB = A+B; possono liberare ossigeno, anidride carbonica (carbonati) o idrogeno (idrossidi). - Reazione di scambio semplice o spostamento: si verificano quando un elemento libero più reattivo va a sostituire uno degli elementi presenti nel composto, e sono del tipo: A+BC=B+AC (A è l’elemento più reattivo). Reazione di doppio scambio o di precipitazione: avviene sempre tra Sali e determina la formazione di prodotti che possono poi determinare o formare un precipitato (non sempre, dipende anche dai reagenti e dalle concentrazioni); i composti si scambiano elementi in forma ionica e sono del tipo: AB+CD=AD+BC. Possono formare precipitati le reazioni composte dai seguenti reagenti: sale + acido; sale 1 + sale 2. Quando un metallo più reattivo ne sposta un altro dal suo sale, gli atomi del metallo più reattivo si trasformano in ioni positivi, mentre gli ioni inizialmente positivi, posti in soluzione, diventano atomi neutri (reazione di neutralizzazione). Possono formare acqua (reazione di neutralizzazione): idrossido + acido; ossido + acido; ossido acido + idrossido. Possono portare anche alla formazione di prodotti gassosi. Possono formare prodotti gassosi i seguenti reagenti: carbonato + acido; solfito + acido; sale di ammonio + idrossido. - Reazioni di ossidoriduzione: sono parte delle reazioni di scambio semplice, oltre al passaggio da reagenti a prodotti si ha anche il cambio dei numeri di stato di ossidazione degli elementi. Vedono lo spostamento di elettroni tra due elementi con caratteristiche diverse. CALCOLO STECHIOMETRICO Le equazioni chimiche descrivono il tipo di reagenti e di prodotti e la loro quantità relativa in una reazione. I numeri che precedono i simboli sono detti coefficienti stechiometrici. Nella stechiometria si applica sempre la legge di conservazione della massa di Lavoisier, secondo la quale durante una trasformazione chimica ordinaria non vi è guadagno né perdita apprezzabile di massa. Proprio a causa di questa legge le equazioni devono sempre essere bilanciate, sia nelle masse sia nelle cariche e devono essere bilanciate anche sotto il punto di vista energetico (dell’energia rilasciata). Regole del bilanciamento: 1. Scrivere le formule corrette dei reagenti e dei prodotti; 2. Contare il numero di atomi di ciascun elemento a sinistra e confrontarli con il numero di atomi della stessa specie a destra, considerare un elemento alla volta, lasciando H e O per ultimi, se è tutto bilanciato tranne O, e non c’è modo di Es. si mescolano 5,40g di Al con 8,10g di Cl2. Quanto AlCl3 si può ottenere? 2Al + 3Cl2 à 2AlCl3 Confronto quindi il rapporto molare reale tra i reagenti con quello teorico. I reagenti devono essere nel rapporto molare di mol Cl2/ mol Al = 3/2. Se il rapporto è > di 3/2, allora il reagente limitante è Al; Se il rapporto è < di 3/2, allora il reagente limitante è Cl2. Quindi, calcolo le moli di ciascun reagente: 5,40𝑔 𝐴𝑙 𝑥 1 𝑚𝑜𝑙 27 𝑔 (𝑝𝑒𝑠𝑜 𝐴𝑙) = 0,200 𝑚𝑜𝑙 𝐴𝑙 8,10𝑔 𝐶𝑙" 𝑥 1 𝑚𝑜𝑙 70,9𝑔 = 0,114 𝑚𝑜𝑙 𝐶𝑙" Altrimenti si può anche fare una proporzione in cui: 3:2=x:0,3 e poi 3:2=0,114:x e poi confrontarle con la resa reale. Metto in rapporto il numero delle moli dei reagenti per vedere se è maggiore o minore di 3/2: 𝑚𝑜𝑙 𝐶𝑙" 𝑚𝑜𝑙 𝐴𝑙 = 0,114 0,200 = 0,57 Il rapporto quindi è < 3/2, quindi il reagente limitante è il cloro. Conseguentemente si devono basare tutti i calcoli sul cloro. Tra il cloro e l’alluminio il rapporto è 3:2 (o 3/2). Per calcolare la quantità di reagente in eccesso rimasto si mettono in confronto i coefficienti stechiometrici dei due reagenti che hanno reagito e si sottraggono agli iniziali per recuperare quelli che non hanno reagito. n iniziali – n finali I GAS Non hanno né forma né volume propri, ma assumono quelli del recipiente in cui sono contenuti. Sono facilmente comprimibili. Si trovano in genere allo stato gassoso le sostanze costituite da molecole piccole e di basso peso molecolare. Le proprietà dei gas sono descritte da tre leggi empiriche che regolano temperatura, pressione e il numero di moli, cioè i fattori da cui dipendono le proprietà stesse dei gas: legge di Boyle, legge di Charles e legge di Avogadro. Si definisce “pressione” la forza esercitata per unità di superficie. 𝑃 = 𝐹𝑜𝑟𝑧𝑎 𝐴𝑟𝑒𝑎 La forza può essere anche intesa come forza peso qualora si parli di un oggetto su un piano. LEGGI EMPIRICHE DEI GAS Le proprietà dei gas dipendono in maniera semplice da Pressione, Temperatura, Volume e numero di moli. Quando due di queste grandezze sono costanti esiste una relazione semplice tra le altre due. Tali relazioni furono scoperte tra il 1600 ed il 1800 e sono note come leggi empiriche dei gas. La legge di Boyle: con temperatura (T in Kelvin) e numero di moli (n) costanti, la pressione (P in atm o Pa) ed il volume (V in m3 o L) sono inversamente proporzionali. Per la legge di Boyle quindi: 𝑃) 𝑥 𝑉) = 𝑃9 𝑥 𝑉9 Es. una certa quantità di ossigeno occupa 50L a 15,7 atm. Quale volume occuperà a 1 atm? Vi= 50L Pi= 15,7 atm applicando la legge di Boyle: Vf=? 15,7atm x 50L = 1 atm x Vf Pf= 1 atm Quindi: 𝑉9 = 76,; &(- < 6=> 7 &(- = 785𝐿 Per quanto riguarda la temperatura, essendo una grandezza misurabile solo con misure relative, si possono definire delle scale di temperatura. Esistono infatti delle proprietà meccaniche che dipendono da questa grandezza, come il volume del mercurio, che all’aumentare della temperatura aumenta. Per misurarla si utilizza il Kelvin, che corrisponde al °C + 273. La legge di Charles: il volume di un gas dipende dalla temperatura ed aumenta con essa. In particolare, a pressione costante il volume di un gas aumenta linearmente con la temperatura: sono quindi direttamente proporzionali. In un grafico V-t (°C) a pressione sufficientemente bassa per qualsiasi gas le rette si intersecano tutte in un unico punto sull’asse delle ascisse. Questo punto corrisponde a t=-273,15 °C; ciò implica quindi che a t=-273,15 °C il volume V=0. In realtà però questo non è possibile, perché i gas liquefano prima. Per la legge di Charles quindi, dove V= a+bt (t in °C), la costante a può essere eliminata osservando che v=0 quando t=-273,15°C. Definiamo quindi una nuova scala delle temperature, detta scala Kelvin. Nella scala Kelvin, T=t+273,15. L’equazione diventa quindi V=bT, che è la forma finale della legge di Charles, oppure V/T= costante con P e n costanti. La forma di impiego della legge di Charles quindi è: 𝑉9 𝑇9 = 𝑉) 𝑇) Es. Un gas ha volume di 785L a 21°C. Qual è il suo volume a 28°C? Vi= 785L ti=21°C à Ti= 21+273,15=294,15 K Vf=? tf=28°C à Tf =28+273,15= 301,15 K applicando la legge di Charles: Vf /301,15K = 785L/294,15K Quindi: 𝑉9 = ;?6> < $=7,76@ "A#,76@ = 803,70 Unendo la legge di Boyle e quella di Charles si può ottenere una legge combinata dei gas, che con n costante dà quindi le formule: 𝑉 ∝∗ 𝑇 𝑃 ; 𝑜𝑝𝑝𝑢𝑟𝑒 𝑉 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑥 𝑇 𝑃 ; 𝑜 𝑎𝑛𝑐𝑜𝑟𝑎 𝑃𝑉 𝑇 = 𝑐𝑜𝑠𝑡𝑎𝑛𝑡𝑒 ∗∝ = “proporzionale” nO2= n di KClO3 x (rapporto tra volumi O- KClO3) à 𝑛!" = 0,0100𝑚𝑜𝑙 KCl𝑂# # %&' !! " %&' ()*!" = 0,015 Ora si può applicare PV = nRT 𝑉 = 𝑛 𝑥 𝑅 𝑥 𝑇 𝑃 = 0,015 𝑚𝑜𝑙 𝑥 0,0821 𝐿𝑎𝑡𝑚/𝐾𝑚𝑜𝑙 𝑥 298𝐾 1,02 𝑎𝑡𝑚 = 0,360𝐿 in maniera analoga si risolvono problemi in cui è dato il volume di O2 sviluppato e si vuole sapere il peso di KClO3 necessario a produrlo. MISCELE DI GAS La legge di Dalton: in una miscela di gas, ogni gas si espande fino a riempire il contenitore ed esercita la stessa pressione, detta pressione parziale, che eserciterebbe se fosse da solo nel contenitore. La legge di Dalton delle pressioni parziali stabilisce che la pressione totale di una miscela di gas è uguale alla somma delle pressioni parziali dei singoli componenti della miscela: P tot = Pa + Pb + Pc … Le single pressioni parziali seguono la legge dei gas ideali, pertanto la pressione può essere scritta come: 𝑃 = 𝑛 𝑥 𝑅𝑇 𝑉 Si noti che con T e V costanti: 𝑃/ 𝑃 = 𝑛/ 𝑅𝑇 𝑉 𝑛 𝑅𝑇𝑉 = 𝑛/ 𝑛 = 𝑋/ XA è detta frazione molare e si calcola con: 𝑋/ = 𝑛/ 𝑛/ + 𝑛D + 𝑛*... = 𝑛/ 𝑛 XA x 100 invece è la percentuale molare di un componente. Se sono note la pressione totale e la composizione di una miscela di gas, allora le pressioni parziali sono: PA= XA P; da cui: 𝑋/ = 𝑃/ 𝑃 La somma di tutte le frazioni molari dei componenti di una miscela è 1. LA SOLUBILITÀ DEI GAS NEI LIQUIDI Un gas è solubile in un liquido solo se le sue molecole riescono a formare dei legami, anche deboli, con le molecole del liquido. Per fare sì che ciò avvenga, le molecole del gas devono urtare la superficie libera del liquido. Più è alta la concentrazione del gas al di sopra del liquido, tanto più numerosi saranno gli urti, e quindi tanti più saranno i legami che si formeranno. Secondo la legge di Henry la solubilità di un gas è direttamente proporzionale alla pressione parziale del gas sopra la soluzione. La solubilità è espressa in grammi di soluto per litro di soluzione e KH è una costante: 𝑠 = 𝑘F 𝑥 𝑃 Un grafico della solubilità in funzione della pressione parziale del gas corrisponde ad una retta. LE SOLUZIONI Una soluzione è una miscela omogenea (la sua composizione e le sue proprietà sono uniformi in ogni parte del campione) di due o più sostanze formate da ioni o molecole. Differisce dai colloidi, le cui particelle sono più grandi delle molecole normali, ma non ancora visibili al microscopio. Le soluzioni possono esistere in ognuno dei tre stati della materia: possono essere gassose, liquide o solide. Il caso più comune è quello di soluzioni liquide (di gas, solidi o liquidi disciolti in un liquido); le solide invece sono principalmente leghe di due o più metalli. Le leghe di mercurio (unico metallo liquido) con altri metalli sono chiamate amalgame e possono essere sia liquide sia solide. Si dice solvente il componente presente in quantità maggiore, o che determina lo stato della materia in cui la soluzione esiste. Si dice soluto il componente presente in quantità minore. LA SOLUBILITÀ In generale solo una quantità finita di solido si scioglie in un dato volume di solvente dando luogo ad una soluzione satura, cioè una soluzione di equilibrio con un eventuale solido in eccesso. Il solvente cioè riesce a solubilizzare una certa quantità di soluto. La concentrazione del soluto nella soluzione satura è detta solubilità. La solubilità di una sostanza in un’altra può essere spiegata sulla base di due fattori: una naturale tendenza al disordine (fattore entropico), che è l’unico fattore ad agire nel caso dei gas ideali che sono miscibili in tutte le proporzioni; forze intermolecolari di attrazione tra le molecole delle due sostanze (fattore energetico). La solubilità di un soluto in un solvente quindi dipende da un bilancio di questi due fattori. SOLUZIONI MOLECOLARI In questi casi il soluto (solido o liquido) è costituito da molecole tenute assieme da forze intermolecolari deboli. Nel caso di liquidi essi sono solubili se tenuti assieme da forze intermolecolari simili. Il simile scioglie il simile. SOLUZIONI IONICHE In questo caso il soluto è un solido ionico tenuto assieme da forti legami ionici e può sciogliersi solo in solventi polari. I fattori che determinano la dissoluzione di un solido ionico in un solvente polare sono due: l’energia reticolare del solido (somma delle energie di attrazione fra anioni e cationi) più è grande il suo valore, minore è la tendenza del solido a sciogliersi; l’energia di attrazione ione-dipolo fra gli ioni ed i dipoli elettrici costituiti dalle molecole di solvente opportunamente orientati: più è grande, maggiore è la tendenza del solido a disciogliersi. L’energia reticolare dipende anche dalla distanza degli ioni oltre che dalla loro carica: maggiore è la carica dello ione, maggiore è l’energia reticolare; maggiore è la distanza fra gli ioni, minore è l’energia reticolare. La solubilità di un solido ionico in acqua quindi dipende da un bilancio fra energia reticolare ed energia di idratazione, cioè l’energia elettrostatica di interazione di uno ione con le molecole d’acqua. L’energia di idratazione è più grande per ioni di carica elevata e di dimensioni piccole. In genere l’energia reticolare prevale, è quindi possibile prevedere che: - Solidi formati da ioni con una sola carica, soprattutto se di grandi dimensioni, sono in genere solubili; - Solidi formati da ioni con due o tre cariche, specie se di piccole dimensioni, sono in genere insolubili. Conseguentemente sono sempre solubili i Sali di: metalli alcalini e ione NH4 +; nitrati perclorati e acetati. Sono per lo più solubili i Sali di: cloruri, bromuri e ioduri (tranne Ag+ e Pb2+); solfati tranne quelli di Ca2+, Sr2+, Ba2+, e Pb2+. Sono per lo più insolubili i Sali di: solfuri e idrossidi (tranne che dei gruppi I-II e NH4 +); carbonati e fosfati (tranne che nel gruppo I e NH4 +). La pressione ha poco effetto sulla solubilità di solidi e liquidi, è invece importante per quella dei gas. la pressione osmotica è la pressione che occorre esercitare sulla soluzione A per bloccare il flusso osmotico. Essa è indicata con 𝜋 ed è proporzionale alla concentrazione molare M del soluto. 𝜋 = 𝑀 𝑅 𝑇 In cui R è la costante dei gas e T la temperatura assoluta. Si noti l’analogia con l’equazione dei gas ideali PV=nRT, più evidente se si considera che M=n/V e quindi: P=(n/V) RT cioè P=MRT. La pressione osmotica viene utilizzata anche per calcolare il peso molecolare di sostanze polimeriche o macromolecole. 𝑀 = 𝜋 𝑅𝑇 SOLUZIONI DI ELETTROLITI Un elettrolita è una sostanza che si scioglie in acqua producendo ioni e formando una soluzione che conduce l’elettricità. Un non-elettrolita è una sostanza che si scioglie in acqua senza produrre ioni (non ionizza) e forma una soluzione che non conduce l’elettricità. Gli elettroliti possono essere composti ionici (NaCl) o molecolari (HCl). Un elettrolita può essere forte o debole: un elettrolita forte è presente in una soluzione completamente dissociato sotto forma di ioni (es. HCl, il cui H+ interagisce con la porzione basica dell’acqua formando un legame dativo con il doppietto non condiviso di O, e Cl- non interagisce in quanto ione spettatore); un elettrolita debole invece è solo parzialmente ionizzato in soluzione, quindi parzialmente dissociato. Per spiegare le proprietà colligative di soluzioni di elettroliti si deve tenere conto della concentrazione totale di tutti gli ioni piuttosto che della concentrazione dell’elettrolita. Argomenti seconda prova: EQUAZIONI IONICHE E MOLECOLARI Vanno scritti in forma molecolare: composti ionici insolubili (e quindi i non elettroliti), sostanze molecolari non o molto poco ionizzabili (acqua) e le sostanze gassose. Gli elettroliti invece vanno scritti come ioni. Alcuni ioni in un’equazione ionica compaiono ad entrambi i membri e non prendono parte alla reazione. Essi sono noti come ioni spettatori e possono essere eliminati per dare la reazione ionica netta, che evidenzia la parte essenziale della reazione. REAZIONI IN SOLUZIONE ACQUOSA Quando si mescolano due composti ionici solubili in acqua si ottiene una soluzione contenente i quattro ioni che in genere rimane stabile. Affinché fra questi ioni si possa avere una reazione, due di essi devono reagire per dare un composto non-elettrolita che può essere rimosso dalla soluzione. Vi sono tre possibili reazioni di questo genere: 1. Reazioni di precipitazione = due ioni reagiscono per dare un composto ionico non solubile; 2. Reazioni di neutralizzazione = due degli ioni sono H+ ed OH- che reagiscono per dare H2O, una reazione di questo tipo quindi implica la combinazione di ioni idrogeno ed idrossido per formare acqua. Esse sono scritte come equazioni ioniche; 3. Reazioni con formazione di gas = due degli ioni reagiscono per dare origine ad un composto molecolare gassoso che evolve dalla soluzione. TEORIE ACIDO-BASE Acidi e basi sono sostanze note da molto tempo e diverse classificazioni sono state fatte nel corso del tempo in base alle loro proprietà. Si riportano quindi le tre moderne teorie acido-base. 1. Teoria di Arrhenius: egli fu il primo a proporre una teoria acido-base a partire dal comportamento di queste sostanze in acqua. Un acido è una sostanza che, sciolta in acqua, provoca un aumento della concentrazione degli ioni H+. Una base è una sostanza che, sciolta in acqua, provoca un aumento della concentrazione degli ioni OH-. Arrhenius inoltre distinse acidi e basi a seconda della loro forza: - Un acido forte è una sostanza che in acqua si ionizza completamente per dare ioni H+ (es. HCl); - Una base forte è una sostanza che in acqua si ionizza completamente per dare ioni OH- (es. NaOH). - Acidi e basi deboli non sono completamente ionizzati in soluzione, ma danno luogo ad un equilibrio (es. CH3COOH ovvero l’acido acetico). Nonostante la sua utilità però la teoria di Arrhenius ha dei limiti. Il primo è che lo ione H+ è un protone semplice e non può esistere in acqua come tale, ma solo legato ad una molecola d’acqua sottoforma di ione H3O+ in cui lo ione H+ è legato tramite un legame dativo ad un doppietto dell’ossigeno dell’acqua. Inoltre la teoria di Arrhenius si limita alle soluzioni acquose e non considera basiche sostanze che non contengono ioni OH-, come l’ammoniaca. 2. Teoria di Bronsted e Lowry (1923): le reazioni acido-base sono considerate come reazioni di trasferimento protonico. Un acido quindi è una specie che dona un protone, una base è una sostanza che accetta un protone. Analogamente, una base posta in acqua accetta un protone dall’acqua stessa liberando ioni OH-. Secondo questa teoria la ionizzazione di HCl in acqua è vista come il trasferimento di un protone da HCl all’acqua. L’acqua, a causa delle sue proprietà anfoteriche, a volte si comporta come un acido, altre come una base; ciò accade anche ad altre sostanze, che vengono quindi dette anfiprotiche o anfotere. Specie che differiscono solo per un protone (NH3-NH4 + o H2O-H3O+) costituiscono una coppia coniugata acido-base. NH3 ad esempio è una base, ma una volta accettato il protone diventa NH4 +, una specie che è capace di cedere il protone ed è quindi un acido, nello specifico è l’acido coniugato della base NH3, che è la base coniugata dell’acido NH4 +. Una reazione acido-base è quindi caratterizzata da due coppie coniugate acido-base. Questa teoria quindi è molto più generale della teoria di Arrhenius: una base è una sostanza che accetta protoni (quindi OH-, che secondo Arrhenius una sostanza deve necessariamente possedere per essere una base, è solo un esempio di base); acidi e basi possono essere sia molecole sia ioni; si possono avere solventi diversi dall’acqua; alcune sostanze possono agire da acido o da base a seconda della specie con cui reagiscono. Forza relativa di acidi e basi: Un acido forte ha come coniugato una base debole e viceversa. La forza relativa di un acido (o di una base) può essere considerata in funzione della loro tendenza a perdere (o accettare) un protone. Gli acidi più forti sono quelli che perdono più facilmente i loro protoni, le basi forti sono quelle che accettano un protone più facilmente. In generale una reazione acido-base è spostata nella direzione dal più forte al più debole membro della coppia acido base. Si può stabilire la seguente scala di acidità: HI > HBr > HCl > H3O+ > HF > CH3COOH. Tra acidi forti si può notare una differenza qualora li si ponga in un solvente meno basico dell’acqua, come l’acido acetico. Poiché invece in acqua la loro forza sembra essere la stessa si parla di effetto livellante dell’acqua sugli acidi forti. Forza degli acidi e struttura molecolare: si può correlare la forza relativa di una serie di acidi alla loro struttura molecolare. La forza di un acido dipende dalla facilità di rimozione del protone H+ dal legame X-H nella specie acida. I fattori che determinano le forze relative degli acidi sono quindi essenzialmente due: la polarità del legame X-H (= più il legame è polarizzato con la carica + sull’idrogeno, maggiore è l’acidità) e la forza del legame X-H (forza con cui il protone è legato ad X che a sua volta dipende dalle dimensioni dell’atomo: più grande è l’atomo, più debole è il legame e quindi maggiore è l’acidità). 𝐾3 = 𝑃2* 𝑃H1 𝑃/& 𝑃GD Supponendo che tutti i gas siano ideali è possibile ricavare una relazione tra Kp e Kc: 𝐾3 = 𝐾* (𝑅𝑇)IJ Con: Δ𝑛 = 𝑐 + 𝑑 − 𝑎 − 𝑏 Per le costanti di equilibrio non si fa uso delle dimensioni. Ciò deriva dalla definizione termodinamica di costante di equilibrio, in cui compaiono le attività anziché le concentrazioni o le pressioni parziali. Le attività sono delle concentrazioni o pressioni efficaci rispetto ad una concentrazione o pressione standard. Per una miscela ideale lo stato di riferimento è rappresentato da concentrazioni 1 M e pressioni 1 atm e quindi il rapporto tra la concentrazione (o pressione parziale) e la concentrazione o pressione standard è una grandezza adimensionale. USO DELLA COSTANTE DI EQUILIBRIO Grazie alla costante di equilibrio, di cui s può fare un’interpretazione qualitativa, si può prevedere la direzione della reazione per una reazione che non si trovi all’equilibrio e che lo debba raggiungere. Si possono anche calcolare le concentrazioni di equilibrio a partire da quelle iniziali. Uso qualitativo della ostante di equilibrio: se Kc è grande, quindi molto maggiore di uno (>>1), l’equilibrio è spostato verso i prodotti, cioè nella miscela di equilibrio le concentrazioni dei prodotti sono maggiori di quelle dei reagenti. Se invece Kc è piccola (<<1) l’equilibrio è spostato verso i reagenti. Se Kc è uguale ad uno invece le concentrazioni di reagenti e prodotti sono uguali. Previsione della direzione di una reazione: considerando una reazione generica a A + b B ↔ c C + d D con kc nota, e supponendo di avere una data miscela iniziale di reagenti e di prodotti con le loro concentrazioni, in generale non siamo all’equilibrio, per cui la reazione procederà verso destra o verso sinistra fino a raggiungere una situazione di equilibrio in cui le nuove concentrazioni soddisferanno la relazione con Kc. note le concentrazioni iniziali quindi, si definisce il quoziente di reazione QC ad un dato istante i: 𝑄* = [𝐶])* [𝐷])1 [𝐴]) & [𝐵]) D In cui le concentrazioni sono relative ad un dato istante i qualunque, non necessariamente all’equilibrio. Per calcolare verso quale direzione procede la reazione per raggiungere l’equilibrio si inseriscono le concentrazioni iniziali e si confronta il suo valore con quello di Kc. Se Qc > Kc la reazione procede verso sinistra; Se Qc < Kc la reazione procede verso destra; Se Qc = Kc la reazione è all’equilibrio In un problema quindi si calcolano prima le concentrazioni in molarità dei componenti, poi si calcola il quoziente di reazione, infine si confronta con Kc. Per i problemi in cui sono date le quantità iniziali di composti che si introducono in un recipiente di reazione, è nota la K e si devono calcolare le quantità di reagenti e prodotti all’equilibrio, si devono fare tre passaggi: 1. Costruire una tabella con le concentrazioni iniziali, con le variazioni di concentrazione espresse tutte in termini di una variabile x e con le concentrazioni all’equilibrio; 2. Sostituire le concentrazioni all’equilibrio, espresse in termini di x, nell’equazione per Kc ottenendo un’equazione di primo o secondo grado; 3. Risolvere l’equazione rispetto all’incognita x e questa si sostituisce per i valori all’equilibrio. PRINCIPIO DI LE CHATELIER Si consideri una reazione chimica all’equilibrio. Se le condizioni di reazione vengono modificate la reazione si sposta dall’equilibrio e procede in una direzione o nell’altra fino a raggiungere una nuova condizione di equilibrio. La direzione in cui la reazione si sposta può essere prevista usando il principio di Le Chatelier: quando un sistema all’equilibrio chimico viene perturbato mediante una variazione delle condizioni di reazione, esso modifica la propria composizione all’equilibrio in modo da opporsi a tale variazione. Vi sono tre modi di perturbare il sistema chimico all’equilibrio: 1. Variazione delle concentrazioni, ovvero l’allontanamento o l’aggiunta di un reagente o di un prodotto; 2. Variazione della pressione, in genere cambiando il volume del recipiente; 3. Variazione della temperatura. EQUILIBRI ACIDO-BASE Nella descrizione di questi equilibri l’acqua riveste un ruolo particolare in quanto partecipa alla reazione non solo come solvente ma anche come reagente. AUTOIONIZZAZIONE DELL’ACQUA L’acqua viene generalmente considerata un non-elettrolita. In realtà però in misura ridotta l’acqua conduce l’elettricità. Questo significa che, in minima parte, l’acqua si ionizza. Il processo di ionizzazione dell’acqua è detto autoionizzazione, poiché due molecole d’acqua identiche reagiscono per dare ioni H3O+ e OH-. In pratica una molecola d’acqua agisce da acido (cede un protone) e l’altra agisce da base (accetta un protone). Il processo è molto limitato come si vede dal valore della costante di equilibrio a 25°C: Kc = 3,2 x 10-18. Poiché il valore numerico della costante di equilibrio è molto piccolo, all’equilibrio avremo una concentrazione molto ridotta di ioni H3O+ e di ioni OH- per cui la concentrazione dell’acqua può essere considerata costante ed uguale a quella dell’acqua pura (55,56 M). Questa concentrazione, essendo costante, può essere inglobata nel valore della costante di equilibrio, cioè si definisce la costante Kw, detta costante di prodotto ionico dell’acqua ed assume il valore di 10-14 a 25°C. spesso inoltre si scrive H+ al posto di H3O+, quindi Kw = [H+] [OH-]. In acqua pura quindi [H+] = [OH-] = 10-7 M. ACIDI E BASI FORTI Un acido forte è caratterizzato dal fatto che in soluzione acquosa esso cede completamente il protone all’acqua, per quanto riguarda la concentrazione di ioni H+ in reazioni come questa, il contributo di autoionizzazione dell’acqua è trascurabile (in presenza di soluzioni molto diluite invece non lo è). Tuttavia l’autoionizzazione dell’acqua è sempre presente ed è l’unica responsabile di ioni OH- in soluzione, la cui concentrazione può essere calcolata dall’espressione della costante del prodotto ionico dell’acqua. Tipi di acidi forti sono: - HCl = acido cloridrico; - HBr = acido bromidrico; - HI = acido iodidrico; - H2SO4 = acido solforico; - H2NO3 = acido nitrico; - HClO4 = acido perclorico. Una base forte è caratterizzata dal fatto che in soluzione acquosa si dissocia completamente in ioni OH-. Anche per la concentrazione di questi ioni il contributo dell’acqua rimane trascurabile; è però l’unica fonte di ioni H+. Tipiche basi forti sono gli idrossidi del gruppo IA e IIA: - LiOH = idrossido di litio; - NaOH= idrossido di sodio; - KOH= idrossido di potassio; - Ca(OH)2= idrossido di calcio; - Sr(OH)2= idrossido di stronzio; Percentuale di ionizzazione: [F!] [F/] 𝑥 100 In generale l’approssimazione per un acido debole x<<[HA]0, che permette di evitare di risolvere l’equazione di secondo grado, vale se si ha Ka<<[HA]0 almeno di un fattore 102 o 103. In questi casi la concentrazione di ioni H+ può essere calcolata direttamente con la formula: [𝐻K] = s𝐾&𝑥 [𝐻𝐴]= Analogamente agli acidi deboli, l’approssimazione x<<[B]0, vale se si ha Kb<<[B]0 almeno di un fattore 102 o 103. In questi casi la concentrazione di ioni OH- può essere calcolata con la formula: [O𝐻-] = s𝐾O𝑥 [B]= SOLUZIONI DI SALI IN ACQUA Un sale deriva dalla reazione di neutralizzazione di un acido e di una base in soluzione acquosa, dove i Sali sono dissociati negli ioni costituenti: - NaCl (s) à Na+ (aq) + Cl- (aq) - NH4Cl (s) à NH4 + (aq) + Cl- (aq) - CH3COONa à CH3COO- (aq) + Na+ (aq) Nella teoria di Bronsted e Lowry anche gli ioni possono comportarsi da acidi o da basi, in particolare se sono gli acidi o le basi coniugati di basi o acidi deboli, rispettivamente. Ioni che invece sono i coniugati di acidi o basi forti invece non hanno proprietà acide o basiche. In una soluzione di NaCl, poiché gli ioni costituenti sono i coniugati di un acido forte (HCl) e di una base forte (NaOH), Na+ e Cl- non hanno alcuna tendenza ad accettare o donare protoni all’acqua, la soluzione risulterà quindi neutra. Considerando invece una soluzione ottenuta sciogliendo NH4Cl in acqua, si ottiene che: mentre lo ione cloruro è stabile in acqua, lo ione NH4 + è l’acido coniugato della base debole NH3, è quindi in grado di cedere un protone all’acqua secondo la reazione: NH4 + (aq) + H2O ↔ NH3 (aq) + H3O+. La soluzione risulterà quindi acida. La relazione tra NH4 + e l’acqua no è diversa dalle alte reazioni acido-base. Tuttavia una reazione tra uno ione e l’acqua viene detta reazione idrolisi. Si dice allora che lo ione ammonio si idrolizza, a differenza dello ione cloruro. Sciogliendo in acqua del cianuro di sodio NaCN, esso si scompone nei suoi ioni costituenti: Na+ + CN-, in questo caso mentre lo ione Na+ è stabile, lo ione CN- è la base coniugata dell’acido cianidrico HCN, ed è quindi in grado di accettare un protone dall’acqua secondo la reazione: CN- (aq) + H2O (l) ↔HCN (aq) + OH- (aq). La situazione risulta dunque basica e lo ione cianuro si idrolizza. Se entrambi gli ioni del sale sono i coniugati di un acido e di una base debole, la soluzione risulterà acida o basica a seconda dello ione più forte (se l’acido o la base coniugata del catione è più forte dell’acido o della base coniugata dell’anione o viceversa). Ricapitolando quindi: per idrolisi si intende la reazione di uno ione con l’acqua per dare l’acido coniugato ed un ossidrile (ovvero l’anione di un acido debole, quale CN-) o la base coniugata ed un idrogenione (catione di una base debole, quale NH4 +). Poiché i Sali possono essere considerati come il prodotto di reazioni di neutralizzazione possiamo anche classificare il loro comportamento in base all’acido e alla base da cui provengono: - Sale proveniente da acido forte + base forte = neutra - Sale proveniente da acido forte + base debole = acida - Sale proveniente da acido debole+ base forte = basica - Sale proveniente da acido debole + base debole = acida se Ka>Kb; basica se Ka<Kb pH DI UNA SOLUZIONE SALINA Considerando di voler calcolare il pH di una soluzione di NaCN, per prima cosa si deve calcolare la Kb della reazione di idrolisi dello ione CN-: CN- (aq) + H2O (l) ↔ HCN+ (aq) + OH- (aq) KO = [HCN][OH-] [CN-] Le costanti basiche di anioni di acidi deboli (così come le costanti acide di cationi di basi deboli) non sono normalmente riportate in tabella perché sono strettamente legate alle costanti acide degli acidi deboli corrispondenti. In tutti i casi, per una coppia acido-base coniugati si ha che Ka Kb = Kw (che corrisponde a [H3O+] [OH-]). Esiste dunque una relazione tra Kb per CN- e Ka per l’acido coniugato HCN: CN- (aq) + H2O (l) ↔ HCN+ (aq) + OH- (aq) Kb HCN+ (aq) + H2O (l) ↔ H3O+ (aq) + CN- (aq) Ka ----------------------------------------- H2O (l) + H2O (l) ↔ H3O+ (aq) + OH- (aq) Kw Dalla regola di combinazione delle costanti di equilibrio si ha che Ka Kb = Kw, da cui: KO = KP KQ N.B. Kw numericamente corrisponde a 1,0 x 10-14 ! La stessa relazione vale anche per gli acidi coniugati di basi deboli, per cui si ha che: KQ = KP KO A questo punto, il calcolo del pH di una soluzione salina in cui uno dei due ioni idrolizza è del tutto analogo a quello visto per calcolare il pH di una soluzione di un acido o una base debole. SOLUZIONI TAMPONE Un tampone è una soluzione che varia in maniera trascurabile il proprio pH in seguito all’aggiunta di quantità moderate di un acido o di una base forte. Se ad un litro d’acqua vengono aggiunte 0,01 moli di HCl il pH varia da 7 a 2, cioè di 5 unità. L’aggiunta della stessa quantità di HCl ad un litro di soluzione tampone può far variare il pH di circa 0,1 unità. Per questo motivo le soluzioni tampone sono molto importanti, anche a livello biologico. Per esempio il sangue è una soluzione tampone ed ha un pH di circa 7,4, se tale valore dovesse variare infatti la sua funzione di trasportatore di ossigeno risulterebbe compromessa. I tamponi possono essere costituiti da: - Un acido debole e la sua base coniugata (HCN / CN-) - Una base debole e il suo acido coniugato (NH3 / NH4 +) Una soluzione tampone contiene quindi una coppia acido-base coniugata, cioè un acido e la sua base coniugata in equilibrio tra di loro. All’aggiunta di un acido o di una base forte l’equilibrio si sposta dalla parte della base o dell’acido deboli che costituiscono il tampone, “assorbendo” così l’eccesso di ioni H+ oppure OH-. Considerando il tampone costituito da CN- e HCN: aggiungendo un acido forte, che libera quindi ioni H3O+, questi reagiscono quindi con CN- per dare HCN secondo la reazione: CN- + H3O+ à HCN + H2O. Per valutare quindi se gli ioni H3O+ vengono efficacemente sottratti consideriamo quindi la costante di equilibrio della reazione precedente. Questa reazione è l’inverso della reazione di ionizzazione acida dell’acido cianidrico, che ha Ka = 4,9 x 10-10.