Scarica CICERONE, 1 CATILINARIA 1-6 e più Appunti in PDF di Letteratura latina solo su Docsity! CICERONE, 1 CATILINARIA 1-6 Proponiamo qui il celeberrimo, concitato esordio della prima orazione, pronunciata da Cicerone di fronte al senato, raccolto per l'occasione nel tempio di Giove Statore, l'8 novembre del 63 a.C. Il console aveva appena saputo grazie all'indiscrezione di Fulvia, l'amante di Quinto Curio, uno dei congiurati, che la notte del 6 novembre (quindi appena due giorni prima) in casa di Porcio Leca si era tenuta una riunione segreta dei catilinari in cui si era decisa l'eliminazione dello stesso Cicerone. La prima catilinaria si apre con un esordio concitato, un periodare paratattico e incalzante, ricco di interrogative retoriche che puntano più sul movere che sul probare la colpevolezza di Catilina. Intento di Cicerone è infatti quello di convincere Catilina ad abbandonare Roma, più che a condannarlo. Tra il primo e il secondo paragrafo si assiste a questo incalzare sempre più insistente, volto a porre Catilina in posizione di scacco anche su piano emotivo. Quindi nei paragrafi 3 e 4 il console cita l’esempio di privati cittadini che uccisero senza processo alcuni personaggi ritenuti pericolosi (ognuno definito con l’espediente retorico di utilizzare sempre un participio presente per indicare l’azione di cui era imputato). La contrapposizione tra quei gesti di coraggio e devozione verso lo stato, alla debolezza di un senatoconsulto che continua a temporeggiare, è sottolineata antifrasticamente dal chiasmo fortes viri/viri fortes e dall’utilizzo dei tempi verbali: passato nel quarto paragrafo e presente nel quinto. TESTO LATINO [1] Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? Nihilne te nocturnum praesidium Palati, nihil urbis vigiliae, nihil timor populi, nihil concursus bonorum omnium, nihil hic munitissimus habendi senatus locus, nihil horum ora voltusque moverunt? Patere tua consilia non sentis, constrictam iam horum omnium scientia teneri coniurationem tuam non vides? Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? [2] O tempora, o mores! Senatus haec intellegit. Consul videt; hic tamen vivit. Vivit? immo vero etiam in senatum venit, fit publici consilii particeps, notat et designat oculis ad caedem unum quemque nostrum. Nos autem fortes viri satis facere rei publicae videmur, si istius furorem ac tela vitemus. Ad mortem te, Catilina, duci iussu consulis iam pridem oportebat, in te conferri pestem, quam tu in nos omnis [omnes iam diu] machinaris. [3] An vero vir amplissumus, P. Scipio, pontifex maximus, Ti. Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publicae privatus interfecit; Catilinam orbem terrae caede atque incendiis vastare cupientem nos consules perferemus? Nam illa nimis antiqua praetereo, quod C. Servilius Ahala Sp. Maelium novis rebus studentem manu sua occidit. Fuit, fuit ista quondam in hac re publica virtus, ut viri fortes acrioribus suppliciis civem perniciosum quam acerbissimum hostem coercerent. Habemus senatus consultum in te, Catilina, vehemens et grave, non deest rei publicae consilium neque auctoritas huius ordinis; nos, nos, dico aperte, consules desumus. [4] Decrevit quondam senatus, ut L. Opimius consul videret, ne quid res publica detrimenti caperet; nox nulla intercessit; interfectus est propter quasdam seditionum suspiciones C. Gracchus, clarissimo patre, avo, maioribus, occisus est cum liberis M. Fulvius consularis. Simili senatus consulto C. Mario et L. Valerio consulibus est permissa res publica; num unum diem postea L. Saturninum tribunum pl. et C. Servilium praetorem mors ac rei publicae poena remorata est? At [vero] nos vicesimum iam diem patimur hebescere aciem horum auctoritatis. Habemus enim huiusce modi senatus consultum, verum inclusum in tabulis tamquam in vagina reconditum, quo ex senatus consulto confestim te interfectum esse, Catilina, convenit. Vivis, et vivis non ad deponendam, sed ad confirmandam audaciam. Cupio, patres conscripti, me esse clementem, cupio in tantis rei publicae periculis me non dissolutum videri, sed iam me ipse inertiae nequitiaeque condemno. [5] Castra sunt in Italia contra populum Romanum in Etruriae faucibus conlocata, crescit in dies singulos hostium numerus; eorum autem castrorum imperatorem ducemque hostium intra moenia atque adeo in senatu videmus intestinam aliquam cotidie perniciem rei publicae molientem. Si te iam, Catilina, comprehendi, si interfici iussero, credo, erit verendum mihi, ne non potius hoc omnes boni serius a me quam quisquam crudelius factum esse dicat. Verum ego hoc, quod iam pridem factum esse oportuit, certa de causa nondum adducor ut faciam. Tum denique interficiere, cum iam nemo tam inprobus, tam perditus, tam tui similis inveniri poterit, qui id non iure factum esse fateatur. [6] Quamdiu quisquam erit, qui te defendere audeat, vives, et vives ita, ut nunc vivis. multis meis et firmis praesidiis obsessus, ne commovere te contra rem publicam possis. Multorum te etiam oculi et aures non sentientem, sicut adhuc fecerunt, speculabuntur atque custodient. TRADUZIONE [1] Fino a quando, Catilina, abuserai dunque della pazienza nostra? Quanto a lungo ancora codesta tua follia ci schernirà? A che punto si spingerà (questa tua) sfrontata audacia? Non ti ha scosso né il presidio notturno sul Palatino, I temi 1) Il clima politico Per comprendere la strategia di Cicerone, innanzitutto non dobbiamo dimenticare i clima politico in cui fu pronunciata l'orazione, di una tensione senza precedenti, che aleggiava nell'aria già dal giorno delle elezioni dalle quali Catilina era uscito sconfitto e Cicerone (presentatosi significativamente con l'armatura sotto la toga) vincitore. Nell'attacco dell'orazione, Cicerone strategicamente accenna a tutto quanto poteva immediatamente risuonare indizio di quella tensione: la votazione il 22 ottobre del senatus consultum ultimum da parte del senato (par. 3), che aveva dichiarato lo stato di pericolo estremo per la res publica e affidato a Cicerone i pieni poteri, l'ammassarsi delle truppe di Catilina in Etruria (par. 5), la riunione dei catilina-ti in casa di Leca, la sera del 6 novembre, il fallito attentato allo stesso Cicerone per la mattina del 7 novembre (par. 1, poi, più oltre e per esteso, part. 7-10). Inoltre, quel giorno (8 novembre), Catilina era presente alla riunione del senato (par. 2). Tutto questo accennare senza dire esplicitamente serve a Cicerone come arma di intimidazione nei confronti di Catilina, che in effetti, vittima di quello stesso clima di tensione sapientemente evocato, lascerà la città il giorno stesso. 2) Gli exempla del passato Ma un punto forte dell'esordio è senz'altro il ricorso al passato. Con la celebre esclamazione o tempora, o mores! (par. 2), divenuta anch'essa proverbiale, Cicerone intende contrapporre ai tempora e ai mores del presente i tempora e i mores del passato, quando si agiva con maggior risolutezza in difesa dello stato e i nemici della res publica erano affrontati direttamente dai privati cittadini: di qui inizia il ricorso agli exempla che offre la storia romana più recente. È notevole che Cicerone, appartenente alla fazione degli optimates e risaputamente non certo estimatore dei Gracchi, non esiti a stemperare il crimine di Tiberio Gracco allo scopo di far risaltare ulteriormente quello di Catilina. Egli, infatti, sottolinea come Tiberio «avesse attentato sì alla costituzione repubblicana ma almeno in forma moderata (Ti Gracchum mediocriter labefactantem statum rei publi-cae), mentre Catilina cercava di raggiungere il potere «con incendi e massacri» (caede atque incendiis). Oltre alle vicende dei Gracchi, Cicerone ricorda altri esempi in cui i consoli seppero stroncare sul nascere tentativi di sedizione: egli si propone in questo modo di convincere il senato della necessità di una soluzione rapida e severa del problema catilinario. Il ricorso al passato è sempre una carta vincente per l'ideologia aristocratica romana, tenacemente legata alla memoria delle azioni virtuose degli antenati. L'oratore sembra ammettere di essere stato meno risoluto dei suoi predecessori (e quindi inferiore alla loro grandezza esemplare), ma solo nell'intento di ottenere che Catilina se ne andasse in modo sicuro, pienamente legale e dunque esemplare dalla città che stava infestando. Lessico e figure retoriche L'incipit della prima Catilinaria è senza dubbio un pezzo da manuale di oratoria. Come abbiamo detto, Cicerone comincia con una serie di interrogative retoriche (arma fondamentale dell'oratoria giudiziaria). Alla prima, la più famosa, ne seguono altre sei (non consideriamo quella all'inizio del secondo paragrafo Vivit?): 1) Quo usque tandem abutere, Catilina, patientia nostra? 2) Quam diu etiam furor iste tuus nos eludet? 3) Quem ad finem sese effrenata iactabit audacia? 4) Nihilne te nocturnum praesidium Palati ... nihil horum ora voltusque moverunt? 5) Patere tua consilia non sentis, constrictam ... coniurationem tuam non vides? 6) Quid proxima, quid superiore nocte egeris, ubi fueris, quos convocaveris, quid consilii ceperis, quem nostrum ignorare arbitraris? La sequenza delle interrogative retoriche conferisce all'exordium un ritmo incalzante, da interrogatorio poliziesco. Lo scopo che si prefigge Cicerone è, infatti, quello di "far crollare" l'imputato. Complessivamente, nel testo abbondano gli artifici propri della prosa oratoria ciceroniana: parallelismi (Patere... non sentis, ... teneri... non vides?, par. 1), climax (Vioit.. in senatum venit, fit... parti-ceps, notat... unumquemque nostrum), anafore (ben sei nihil al par. 1) e tutte le figure retoriche atte a condurre l'attenzione dell'uditorio dove l'oratore vuole.