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Collezionisti e musei, una storia culturale a cura di Raffaella Fontanarossa, Dispense di Museologia

Oggi il museo non solo rientra fra i principali luoghi di formazione del sapere e di produzione culturale, ma, coinvolgendo l'uso politico del patrimonio, si rivela anche una potente arena per la rappresentazione, talvolta utopica, delle rispettive identità. Le eredità del passato, riconfigurate nel presente, generano cosí nuove narrazioni.

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 11/02/2023

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andrea-gardenghi 🇮🇹

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Scarica Collezionisti e musei, una storia culturale a cura di Raffaella Fontanarossa e più Dispense in PDF di Museologia solo su Docsity! COLLEZIONISTI E MUSEI. UNA STORIA CULTURALE Di Raffaella Fontanarossa In questi primi vent’anni del nuovo millennio, i musei hanno ricevuto un’attenzione mai registrata prima in tutta la loro storia. Lungi dal rivelarsi «cimiteri dell’arte» destinati all’oblio, come pur era stato profetato a piú riprese fra Otto e Novecento, oggi i musei dominano il panorama culturale, registrando tra l’altro una crescita esponenziale all’altro capo del mondo. Oggi il museo non solo rientra fra i principali luoghi di formazione del sapere e di produzione culturale, ma, coinvolgendo l'uso politico del patrimonio, si rivela anche una potente arena per la rappresentazione, talvolta utopica, delle rispettive identità. Le eredità del passato, riconfigurate nel presente, generano cosí nuove narrazioni. La prima parte di questo libro è dedicata a concetti generali e alla fase che precede la nascita del museo moderno. A lungo istituzione italiana, quindi europea e americana, il museo ha attraversato definitivamente gli oceani solo alla fine del XIX secolo: in Cina, Giappone, Corea, come in gran parte dell’Africa, si tratta di un’istituzione assai recente e in decisa evoluzione. La maggior parte dei circa novantamila musei registrati oggi nel mondo, essendo stati creati dopo il 1960, ha dunque meno di sessant’anni, mentre in alcune aree, in particolare i paesi islamici e l’Africa subsahariana, benché in rapida espansione, essi sono istituzioni ancora pressoché sconosciute. Come si sono fatte strada nella cultura europea, occidentale, le nozioni di «patrimonio culturale», «collezione» e «museo»? Lo stesso mouseion, quale istituzione votata alla ricerca, eclissato per tutto il medioevo, riemerge durante il Rinascimento grazie agli umanisti, che legano il rinnovato interesse per l’antico a oggetti (iscrizioni, monete, medaglie), dunque a collezioni che non caratterizzavano l’originario «tempio delle Muse». Benché i «tesori» siano al centro del collezionismo medievale, di rado è possibile individuare alla loro origine precise scelte. Solo dal XV secolo emergono singole personalità, come il duca di Berry o i principi delle corti italiane e nordiche, che segnano il reale inizio del collezionismo. Studioli, cabinets e camere delle meraviglie non vengono trasformati subito in musei, ma nel tempo lo smembramento delle rispettive raccolte è destinato, a implementare i nuclei delle principali istituzioni museali. Le prime prove di destinazione pubblica delle collezioni risalgono alla fine del Quattrocento e sono localizzate in Italia. Oltre ai bronzi donati da Sisto IV, altri protomusei – dal colle vaticano del Belvedere alla villa di Paolo Giovio vicino a Como, alla Tribuna di Firenze, allo statuario Grimani di Venezia e, piú tardi, a Milano – sono destinati a un ristretto pubblico di privilegiati. Benché i primi musei italiani siano visitati da viaggiatori stranieri, nel resto d’Europa ci vorranno quasi due secoli, grosso modo fino alla metà del Seicento, perché si avvii un analogo processo. La seconda parte del libro ripercorre a grandi linee la nascita e la grande diffusione dei musei in Europa, l’esportazione della tipologia del museotempio nel Nord America nonché le circostanze che presiedono alla nascita del concetto di museo in Estremo Oriente. A traghettare l’istituzione dei primi musei oltralpe sono le scienze naturali, non l’arte. Certo, alcune pionieristiche realtà a carattere storico-artistico-archeologico si registrano anche nel resto d’Europa. L’affermazione del museo d’arte è inscindibile da tre vicende collegate tra di loro anche in ordine di tempo. La prima è la fortuna europea delle accademie, non solo a Roma, Firenze, Milano e Bologna, ma anche a Monaco e Dresda, dove la promozione dei musei è legata alla necessità di avere modelli su cui esercitarsi. La seconda è la nascita della dottrina del bello, dell’estetica che si serve dei musei, luoghi che isolando le opere dal contesto, ne favoriscono le speculazioni contemplative. Infine la storia dell’arte, fondata sullo scorcio del Settecento. Al pari di collezioni private, chiese, archivi e biblioteche, i musei assurgono a luoghi privilegiati della nuova disciplina. Nei musei si fa ricerca nell’ambito delle scienze umane e naturalistiche, si esercita l’occhio per scrivere la storia, l’archeologia e, appunto, la storia dell’arte. Oltre che motivazioni storiche, economiche e sociali, ci sono almeno altri due fattori che scatenano la proliferazione dei musei. Il Grand Tour, moda introdotta già nel Seicento dall’aristocrazia britannica, diventa nei due secoli successivi parte essenziale del-l’educazione di giovani di buona famiglia. Meta fondamentale del viaggio è l’Italia, con le sue città d’arte e i suoi musei, che i viaggiatori contribuiscono in maniera determinante a far conoscere, e a emulare, nel resto d’Europa. Un ultimo detonatore per la propagazione dei musei sono le mostre. Al centro della terza parte del libro sono le scelte e le figure che portano alla nascita dei nuovi musei d’America e il dibattito in Europa, dove, dopo le esperienze della propaganda di regime condotte anche attraverso l’arte, si apre nel secondo dopoguerra una nuova fase. Se nel resto d’Europa la ricostruzione stenta a decollare, tra riallestimenti e restauri, l’Italia risorge dalle macerie attraverso la cultura. Le soluzioni piú innovative derivano dal dibattito avviato dal Movimento Moderno per l’architettura, divulgato da riviste come «Domus», «Casabella» e «Ottagono», e dalla sperimentazione di nuovi displays in occasione di fiere ed esposizioni temporanee, come quelle che si svolgono alla Triennale o alla Biennale di Venezia. Il dialogo tra le novità introdotte nei musei americani e l’Europa si fa serrato. A ridosso del ’68, l’invenzione del Centre Pompidou mette in scena a Parigi, di fatto, l’utopia di una nuova cultura, pluridisciplinare, aperta sulla città e destinata a tutti. Con «l’effetto Beaubourg» e con le sue politiche culturali si confronteranno tutti i successivi cantieri. Sulla sponda opposta, quella dell’Oceano Atlantico, diciotto anni prima, un’analoga rottura si era compiuta con l’edificazione del Guggenheim. L’architettura è – e a lungo resterà – l’aspetto che piú caratterizza i musei di nuova costruzione, cosí come gli ampliamenti. La quarta parte del volume, che indagando i musei del nuovo millennio sottolinea l’interesse per l’arte contemporanea e registra il fenomeno della proliferazione dei musei in determinate aree del mondo, si conclude con alcuni spunti di riflessione sulle regioni extraoccidentali. Quale storia per l’arte extraoccidentale «anonima»? Una storia dell’arte fatta da antropologi ed etnologi? Musei fatti dagli specialisti o dalle comunità e dalle minoranze? CAPITOLO 1. LE PAROLE CHIAVE Pomian recente inutile indispensabile l’80 % dei musei del mondo è successivo agli anni ‘60 del 900. Il ruolo del museo è oggi un ruolo estremamente discusso. Dagli anni ‘50 in avanti c’è stato un forte dibattito su quale fosse la vera funzione della museologia. Nel 1934 data della conferenza di Madrid, per la prima volta si riuniscono gli esponenti internazionali della museologia e viene esplicitata una condizione che diventerà fondamentale: il museo non è fatto solo dalle collezioni ma nasce dal rapporto tra le collezioni e chi le guarda e tra le collezioni e chi le studia. Il primo capitolo fornisce una riflessione sul museo come scienza sociale, come luogo in cui si interpretano le esigenze della società del periodo. A partire dagli anni 50 ci sono una serie di definizioni del museo che si susseguono e che spesso si oppongono in modo dialettico. - Mouseion: geografo Strabone chiama museion un ambiente porticato della biblioteca di Alessandria d’Egitto. Luogo di incontro su modello dell’accademia platonica ateniese. Deposito della memoria collettiva, anche templi e palazzi reali. Tempio di Confucio, primo museo al mondo. Oltre alle tombe e ai loro apparati rituali e votivi (thesauri), anche templi e palazzi reali del mondo antico sono evocati, da una parte della critica, quali musei ante litteram. I tesori dei faraoni egizi, per esempio quello di Tutankhamon o di Ramses II, come quelli dei palazzi e degli arredi funerari dell'antica Mesopotamia e della Cina, forniscono ulteriori testimonianze di collezioni come segni visibili dell'elezione divina, strumenti principali di esercizio del potere. UNA DEFINIZIONE DI MUSEO: istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico che acquisisce, conserva. Compie ricerche e studi, espone e comunica il patrimonio materiale e immateriale dell’umanità e del suo ambiente per finalità di educazione, di studio e di diletto. - Definizione che si arricchisce via via del concetto di patrimonio. ICOM pondera poi le scelte lessicali per rendere la definizione internazionale. A distanza di 15anni, la crescita esponenziale del numero di musei, insieme alle mille difficoltà di gestione incontrate da quelli già esistenti, ha imposto una nuova discussione sul tema. Quale ruolo ha il museo nella società moderna e globale? Quali sono le sue antiche e nuove funzioni? Sulla sua piattaforma, nell'estate del 2019, ICOM ha raccolto oltre 250proposte, provenienti dai comitati ICOM nazionali come dai singoli musei di tutto il mondo. Ne è scaturita una definizione che, discussa durante la conferenza di Kyoto, ha diviso in due il tavolo, imponendo il rinvio della votazione a una successiva discussione e a un'ulteriore sintesi condivisa. - Innegabile che i musei siano rivolti alla conservazione del passato. Arca di Noè, primo tentativo di conservazione delle biodiversità..blabla si dilunga con la storia di Noè. - 2005 convenzione di Faro = insieme di risorse del passato. È innegabile, comunque, che i musei siano istituzioni rivolte alla conservazione del passato, anche quando è frutto di cristallizzazioni e, nondimeno, di scelte arbitrarie, perché, come diceva Jacques Le Goff, «gli oblii, i silenzi della storia sono rivelatori dei meccanismi di manipolazione della memoria collettiva». L'oblio, il vuoto e perfino la damnatio memoriae possono inoltre generare nuovi patrimoni culturali: la conservazione, la cura e l'esposizione delle assenze o delle «tracce spettrali» si sono rivelate, fra la fine del xx e l'inizio del XXI secolo, un importante motore per la produzione del patrimonio della memoria collettiva, come nel caso del già citato GLI STUDIOLI RINASCIMENTALI: FERRARA URBINO GUBBIO MANTOVA (vabbè sappiamo) LA GALLERIA Mentre lo studiolo esalta una spazialità chiusa e riservata alle speculazioni del suo fondatore, la galleria, che ne rappresenta in qualche modo la prosecuzione, testimonia la necessità di un rinnovato rapporto con l’esterno. Fra le due tipologie si colloca l’articolata sperimentazione di nuovi spazi espositivi (saloni, giardini, antiquaria, logge), che nel corso del Cinquecento coinvolge collezioni laiche ed ecclesiastiche. Sul piano concettuale, la galleria si configura dunque nel segno di una continuità con il dispositivo che l’ha preceduta, in quanto riflette anch’essa l’idea di spazio mentale, ma con un respiro diverso. Documentabile per la prima volta nella prima metà del Cinquecento in Francia, la galerie riprende forme classiche mutuate dagli atri, dai vestiboli e dalle logge delle ville romane come dai portici e dai colonnati tipici della cultura greca. Di solito è collocata in un’ala dotata di grandi vetrate, in grado di accogliere al meglio la luce. CAPITOLO 3. IL PRELUDIO DEI MUSEI: UNA STORIA ITALIANA ROMA 1471: IL PRIMO MUSEO Nella Roma del Quattrocento, «museo a cielo aperto» per antonomasia, s’intraprendono studi antiquari legati soprattutto alla topografia, in un’ottica di riorganizzazione urbanistica. L’umanesimo archeologico che contraddistingue la seconda metà del XV secolo favorisce il costituirsi di nuove raccolte private – come quella del cardinale Giuliano Cesarini, già sita nel palazzo di largo Argentina – grazie anche all’appropriazione di patrimonio pubblico reperito in situ. I papi intervengono tempestivamente per contrastare tali pratiche, molti sono iniziatori di interventi di restauro e nuove costruzioni (Pietro Barbo, poi papa Paolo II costruisce palazzo venezia, papa Sisto IV, iniziativa che anticipa lo spazio pubblico. Con la donazione di Papa Sisto IV al Campidoglio, Il termine “museo” non compare nell'epigrafe e verrà utilizzato soltanto mezzo secolo più tardi, apre di fatto il primo nucleo dei futuri Musei Capitolini. Anche all'origine dei Musei Vaticani, com'era accaduto per i Capitolini, troviamo collezioni di scultura classica attraverso le quali i papi si presentano come legittimi eredi della storia romana. IL CORTILE DEL BELVEDERE: Protagonista è, in questo caso, il nipote di Sisto IV, Giulio II della Rovere, anch'egli interessato all'antico e alla sua destinazione pubblica. Alla metà del Cinquecento il cortile si presenta ancora come un giardino, luogo di piacere dove le statue sono alternate a fontane e aranci, mirti, allori e cipressi. Il connubio tra architettura, scultura ed elementi vegetali di questo “museo” all'aperto viene subito preso a modello, sia per le valenze estetiche, sia per quelle religiose di «bosco sacro», e Giorgio Vasari lo descrive come un antiquario delle statue. Modello tripolare: Conservare/ studiare-ricercare/ comunicare Nel 1471 a Roma viene istituito il primo museo a cielo aperto. Per antonomasia: studi antiquari legati soprattutto alla topografia, in un’ottica di riorganizzazione urbanistica. In Europa dopo la metà del 500, la parola “museo” comincia ad essere usata per identificare raccolte di privati che pensano ad una destinazione “pubblica”, intesa come ristretta a una cerchia di eletti. ESEMPIO ANCHE DEL LASCITO DEL CARDINALE ALLO STATUARIO GRIMANI IL COLLEZIONISMO FIORENTINO: sede di banche e società commerciali esportatrici, Firenze emette la sua moneta d’oro, il fiorino, garantendo così stabilità economica e sostegno delle arti. I testi di Vasari stanno alla base della ricostruzione del collezionismo fiorentino. Collezioni di alcune famiglie + raccolte delle botteghe degli artisti >> Lorenzo De Medici. Come si evince dagli inventari, le sue collezioni trovano sistemazione omogenea nel palazzo di via larga, oggi noto come palazzo medici. DALLO STUDIOLO DI FRANCESCO I ALLA TRIBUNA La politica culturale di Francesco I pone di fatto le basi per la nascita dei musei fiorentini e porta a termini un cantiere avviato dal padre per ospitare gli uffizi (al centro di un profondo riassetto urbanistico e punto di raccordo tra importanti spazi pubblici). La tribuna è ambiente ottogonale coperto da cupola incrostata di madreperla e conchiglie, destinata ad accogliere i tesori delle raccolte medicee, rappresenta un notevole salto concettuale dallo studiolo. In questi ambienti andranno incontro molte trasformazioni e vi si alterneranno opere più importanti delle collezioni. I capolavori assoluti sono gli unici ad essere disposti secondo un ordine atemporale. Aperta al pubblico nel 1584. In Europa, soprattutto dopo la metà del Cinquecento, la parola museo comincia a essere usata un po' dappertutto per identifica re raccolte di privati che pensano a una destinazione «pubblica, intesa come ristretta a una cerchia di eletti. Museo compare nei testi di opere di eruditi italiani o di autori stranieri che hanno viaggiato in Italia. La tradizione storiografica che nell’800 sulla scorta di Vasari, poneva all'apice della dinastia la figura di Lorenzo il Magnifico, è stata in seguito ridimensionata. Tuttavia egli resta un indiscusso pro- motore delle arti. Come si evince dagli inventari, le collezioni medicee trovano una sistemazione omogenea nel palazzo oggi noto come Palazzo Medici Riccardi. CAPITOLO 4. GENESI DEI MUSEI D’OLTRALPE A nord delle Alpi (Norimberga, Augusta o Bruges) si formano altri importanti nuclei d’arte aperti in via eccezionale a visitatori accuratamente selezionati. Il Nord Europa conquista un posto al 1° piano nella geografia del collezionismo per Margherita d’Asburgo, che sceglie di acquisire soprattutto dipinti.. Per merito di Francesco I cominciano a formarsi anche le collezioni che sarebbero confluite al Louvre. A patire dalla seconda metà del 17sec, in Italia, l’antico continuerà a trionfare sul modello delle raccolte dei papi mentre le collezioni principesche nordiche saranno caratterizzate da dipinti, bronzetti, gemme e sculture moderne. La stessa scelta dei soggetti sarà fortemente influenzata dal contesto storico segnato dalle guerre di religione. - I castelli di Ambras e di Praga Kunstkammer realizzato da Ferdinando I d’Asburgo, camera che custodiva tra gli altri oggetti, presunte corna di unicorno e raffinate coppe d’agata. Oltre alla biblioteca, l’armeria e il gabinetto delle meraviglie, Ferdinando II crea il proprio antiquarium (con teste e busti di statue antiche). Esistono wunderkammer con vita breve questo perchè alla morte del collezionista, gli oggetti preziosi confluiscono nella camera dei tesori. - Spesso nei paesi cattolici le collezioni non sopravvivono alla dipartita dei loro proprietari mentre nelle regioni protestanti si creano le condizioni per garantire una certa continuità. Le raccolte danno origine alle forme museali. Nel 1565 a Monaco viene pubblicato un testo che può essere considerato un incunabolo della museologia le “inscriptiones vel tituli theatri amplissimi”. Spesso nei paesi cattolici le collezioni non sopravvivono alla dipartita dei loro proprietari, mentre nelle regioni protestanti si creano le condizioni per garantire una certa continuità. Accade cosí che le raccolte, talvolta, diano origine a forme museali. A Kassel, nel 1567, Guglielmo IV d'Assia estrae dal tesoro reale le curiosità naturali (uova, corna..) Dispersioni del patrimonio artistico e forme embrionali di tutela - Il tentativo di importazione del Laooconte in Francia, condotto da Francesco I e conclusosi con un fallimento, non è un episodio isolato e induce a riflettere sul tema delle dispersioni del patrimonio artistico italiano, ampiamente rappresentato nelle raccolte dei sovrani d'oltralpe. Non mancano tuttavia esempi significativi di alienazione delle collezioni d'arte. Uno degli episodi piú clamorosi, perché relativo a una collezione intera, si verifica nel 1627 a Mantova. Il duca Vincenzo Gonzaga II lascia mano libera al sovrano inglese Carlo I che, attraverso il suo mercante Daniel Nys, porta a Londra una serie di capolavori italiani. Questo particolare caso, insieme ad altri analoghi facilmente documentabili, ha indotto Francis Haskell a riflettere su come alcune opere abbiano passato piú tempo nei musei che le hanno accolte che nei luoghi d’origine. Uno spunto di grande interesse, considerato che il contesto originario di un’opera, vero o presunto, è al centro del dibattito museologico. Senza contare gli aspetti giuridici legati alla questione e le relative pratiche di restituzione intentate e, in molti casi, ancora in atto. Nasce negli anni ‘60 il concetto di Nouvelle museologie che unisce per la prima volta la nozione di museo a quella di contesto. Vuole dialogare con il territorio, con il paesaggio, con i cittadini. Si espande negli altri contesti del territorio. CAPITOLO 5. LA NASCITA DEL MUSEO MODERNO I CABINETS SCIENTIFICI TRA OLANDA E INGHILTERRA Nel 600 le collezioni sono ormai un fenomeno diffuso in tutta Europa. Il fenomeno dei cabinets scientifici si sviluppa su larga scala, soprattutto oltralpe. Il museo di Oxford è visitato sin dall’inizio da un pubblico più vasto e il ricavato dei biglietti d’ingresso riesce a coprire gli stipendi dei due conservatori che lo amministrano. Come accadrà per altre istituzioni, non tutti apprezzano che l'accesso sia garantito senza limitazioni di classe o genere. Nel 1884 Arthur Evans, archeologo, acquista una collezione archeologica di importanza internazionale. LE ORIGINI DEL BRITISH MUSEUM > Lever nel 1760 realizza un museo etnografico, da qui crea un corpus di animali unici nel suo genere realizzando a tutti gli effetti un museo di anatomia. Aggiunge a questa collezione anche l’antica biblioteca legata alla nazione del 700 del figlio fino ad allora rimasta nei depositi. Il British Museum viene aperto due anni dopo nel 1759. Importanti collezioni lo potano poi a orientarsi sempre più verso l’archeologia. Anche alle origini del primo grande museo pubblico inglese c'è un cabinet di curiosità naturali, quello di Hans Sloane, medico e successore di Newton. Il suo è uno dei cabinets più ricchi d'Europa, corredato di biblioteca, stampe, disegni, monete e medaglie. Interessi naturalistici in Francia e in Italia, anche in Francia le istituzioni museali si sviluppano a partire da quelle di storia naturale. All’inizio del 18sec tra le prime raccolte aperte al pubblico, la collezione dell’Ambrosiana a Milano. Nel 1606 viene costruito un edificio appositamente per ospitare la biblioteca e in seguito le collezioni d’arte del cardinale F.Borromeo. Il museo, la biblio Ambrosiana e le opere contenute nella collezione sono concepiti come un importante strumento di innovazione degli studi teologici. Nel 1779 Gaspare Maria Paoletti realizza la Neoclassica sala della Niobe all’interno degli Uffizi, un prezioso esempio di architettura neoclassica che offre una degna cornice al gruppo scultoreo rinvenuto a Roma nei primi mesi del 1583. A Roma il museo entra nell’immaginario collettivo (inizio 700), il museo viene infatti codificato nel suo ruolo di luogo di formazione degli artisti e di conservazione degli oggetti per la pubblica utilità. Qui le antichità diventano sempre di più oggetto di pura amministrazione estetica. Villa Albani > residenza privata, opere collocate lungo la galleria centrale dell’edificio e con una costellazione di statue in giardino. Il confine tra collezione privata e museo pubblico è ancora assai labile. Nel 1734 si ha una nuova svolta verso il museo moderno. momento chiave per la storia del museo: è la fase in cui da luogo d’élite si trasforma in destinazione pubblica. Durante il Neoclassicismo la ricerca della perfezione estetica e la riflessione sul ruolo dell’arte nella società spingono gli intellettuali ad aprire al grande pubblico le collezioni reali e aristocratiche. A rompere il ghiaccio è Roma, dove nel 1734 papa Clemente XII decreta l’apertura dei Musei Capitolini. Questi sono un prototipo di collezione pubblica sviluppato sulle basi di un progetto collezionistico inaugurato nel Quattrocento da papa Giulio II. Al secondo piano del palazzo dei Conservatori, allestita la pinacoteca capitolina Nell’Italia preunitaria, numerosi stimoli arrivano dalla storiografia originale = valorizzazione del patrimonio locale. Accanto a questi primi progetti di razionalizzazione gli allestimenti con gli echi delle camere delle meraviglie, si fondono con il gusto pre-romantico per le rovine dando origine a scenografie che oggi definiremo “immersive”. I primi musei a Napoli e le scoperte di Pompei ed Ercolano - Mentre nel resto della Penisola e dell'Europa occidentale i musei sono oramai un'istituzione radicata, Napoli oltrepassa la metà del 18sec senza avere un giardino botanico, uno zoo, un osservatorio o una galleria pubblica. A differenza delle altre capitali degli stati italiani, le raccolte private qui non si trasformano in musei, nemmeno quella allestita tra palazzo e bottega di piazza Santa Chiara. Apertura degli Uffizi: Benché accessibili a un'élite di interessati e, una volta all'anno, ai fiorentini, per tutto il Seicento gli Uffizi mantengono la loro dimensione di galleria principesca, che risponde alla definizione di protomuseo, piú che di museo. Ai quadri gioviani erano stati uniti anche quelli della Serie aulica, sequenza di 4. Oltreoceano, tipologia del museo tempio esportata in america da collezionisti privati negli anni settanta e ottanta del 19 secolo. Reenactment > La semantica del termine - usato, con significati condivisi, anche in altre discipline, tra cui la psicoanalisi e la filosofia - implica invero molteplici declinazioni attorno non sempre al concetto della «rimessa in azione di qualcosa», cioè una vera e propria forma di lettura, o di rilettura, degli spazi e degli archivi di un'esperienza. Nel 19 sec dipinti e oggetti d’arte vengono raccolti in università e accademie a scopo didattico -------nuova stagione dei musei parallela alla nascita della museologia degli anni 20 del 20sec. LA VERA NASCITA DELLA MUSEOLOGIA La storiografia moderna, specialmente italiana, data l’avvio di una nuova stagione per i musei e, parallelamente, la nascita della museologia, agli anni Venti del xx secolo. La formazione dei musei tedeschi e la creazione di quelli americani consentono di anticipare questa data di almeno due decenni. I temi erano stati annunciati dalla trattatistica tardo rinascimentale (Quiccheberg), barocca (Major) e, in particolare, dal volume Museographia di Neickel, tradotto in francese già nel 1829. Tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento alla parola «museo» si sarebbero affiancati i suffissi -logia, da logos («discorso») o grafia, da graphein («scrivere»): sempre in bilico tra i significati suggeriti dai due composti – «discorso attorno al museo» e «descrizione, studio del museo» –, museologia e museografia coltiveranno quest’ambiguità lessicale, per sovrapporsi ed essere talvolta interpretate come sinonimi, finché, a partire dal secondo Novecento, preciseranno i rispettivi compiti. - MUSEOLOGIA > disciplina che studia il museo come specifico strumento di conoscenza, istituito per rendere accessibili le testimonianze visibili della civiltà - MUSEOGRAFIA > studia il disegno della forma e della struttura visiva dei musei, si occupa della progettazione architettonica dei musei. CAPITOLO 9. DALLE MOSTRE AI MUSEI Per la formazione e la propagazione dei musei, un ruolo fondamentale è svolto dalle mostre temporanee. Apelle esponeva i quadri sul balcone del suo studio e rimaneva ad ascoltare i commenti dei passanti di nascosto. Mostre si realizzavano in occasione di concorsi per la realizzazione di statue dei templi.alle esposizione è legato anche lo svilupparsi del mercato dell’arte. Nel medioevo prime notizie di mostre nei santuari o mercati. In età moderna, mutano radicalmente i rapporti tra committenza e artista, perché non vengono più ordinate direttamente le opere (no commissioni). - LE MOSTRE DI ROMA E FIRENZE NEL 600: Francis Haskell incentra le sue ricerche sulle prime forme di esposizione. Le mostre romane hanno lo scopo di esaltare la nobiltà, quelle fiorentine mirano a esporre dipinti altrimenti difficilmente visibili e sono corredate precocemente di un catalogo e di una guida. - FRA SALON E ASTE FRA-INGH- Dal 1665 si tengono nel palazzo reale mostre periodiche e per la prima volta le mostre assumono carattere istituzionale e i Salon acquistano importanza, sono determinanti per la formazione degli artisti e per l’orientamento del gusto. Non solo l'ammissione è riservata ai membri dell'accademia, ma la gerarchia dei generi è netta: al vertice c'è la pittura di storia, poi il ritratto, il paesaggio e infine le nature morte. Quando le esposizioni si chiudono, i dipinti vengono messi a disposizione degli studenti d’arte come modelli da copiare. Si decide di dedicare ogni mostra a un tema come un artista, un periodo o una scuola. La rassegna più importante è quella del 1894 curata da Adolfo Venturi. In Italia per tutto l’800 non si tengono mostre di livello internazionale eppure alcune mostre archeologiche di rilievo vengono organizzate all’estero da studiosi italiani. Nel 1857 si ha un exploit a Manchester, “Art Treasures of the United Kingdom” dove viene presentata per la prima volta la Natività di Botticelli e la Madonna di Michelangelo. Il curatore è uno storico dell’arte d origini bavaresi, Diversi studi sono il punto di riferimento per la scelta delle opere da esporre >> definita la prima mostra blockbuster. - Costruzione Crystal Palace 1851 Il museo deve essere un’“aula scolastica per tutti” secondo Cole che si propone di migliorare gli standard dell’industria britannica educando designer, produttori e cittadini. Henry Cole, teorico del disegno industriale e stretto collaboratore del principe Alberto. L’esposizione universale di Parigi del 1889 ha portato alla costruzione della Torre Eiffel da subito elemento imprescindibile del paesaggio parigino. Giappone - la storia del Giappone risale proprio alla “scoperta” dell’Europa da parte delle delegazioni nipponiche invitate alle esposizioni universali. HAKUBUTSUKAN “casa delle cose” contenente oggetti da collezione per Fukuzawa (è stato uno scrittore e saggista giapponese. Figura tra le più rappresentative del mondo culturale dell'era Meiji, contribuì con la sua attività di educatore e di scrittore a porre le fondamenta del Giappone moderno.[1]) anticipava il concetto di museo la cui funzione principale risiede nell’educazione. In occasione dell’EXPO del 1877 sorge il primo museo di arti applicate tout court del Giappone seguendo il modello londinese. Primi musei cinesi - i primi vengono fondati nella maggior parte da missionari gesuiti e da altri occidentali e in seguito all’apertura al commercio di alcuni porti cinesi, mirano a esportare le scoperte scientifiche e tecnologiche dei loro paesi. Si tratta di musei destinati a un èlite. (Museo di Shanghai) La lingua cinese registra per la prima volta la parola Museo nella seconda metà dell’800. Primo museo considerato veramente cinese, fondato nel 1905 per esporre oggetti d’arte e curiosità naturali, affiancato da uno zoo e da un giardino botanico. Dall’epoca Song sono molte le fonti che fanno riferimento a una molteplicità di oggetti tipici dell’arte di vivere cinese, come strumenti musicali…Hui riponeva in cassettoni ogni genere di curiosità naturale o artificiale, nell’intento di miniaturizzare il mondo. Non va dimenticata la cultura dei giardini. COLLEZIONISTI E MUSEI. PARTE TERZA CAPITOLO 10. I NUOVI MUSEI IN AMERICA E IL DIBATTITO IN EUROPA IL MERCATO DELL’ARTE In Europa il sistema dell’arte è consolidato (ci sono le rassegne dei Salons, gallerie private come quella di Durand Ruel o di Vollard). - In Italia nel 1981 viene fondata la Triennale di Milano e 4 anni dopo la Biennale di Venezia. Le esposizioni contribuiscono alla visibilità e al consolidamento dei movimenti artistici. - I «musei effimeri» proliferano fin dal primo Novecento affiancando l’affermarsi delle avanguardie artistiche: nella galleria Thannhauser di Monaco, nel 1911-12, si tengono le prime esposizioni del gruppo Der Blaue Reiter, mentre i futuristi italiani, dal 1912, intraprendono un tour di mostre nelle principali città europee e, nel 1915, a San Francisco. In america a presentare le avanguardie europee è l’Armony Show del 1913 che si tiene a New York Chicago e Boston (tra i finanziatori personaggio importante è Plummer Bliss). La moglie Lillie Bliss, Mary Sullivan e ala Rockerfeller poi affittano sei stanze al Manhattan Building, nasce nel 1929 il MOMA. IL MOMA Novità: rinuncia all’idea di contenitore riconoscibile dall’esterno, scardinamento della forma del museo. Protagonista è l’arte moderna ma importante è l’impegno delle tre fondatrici e delle loro donazioni. La presidenza viene poi, alla morte delle fondatrici, affidata ad Alfred Barr. L’allestimento prevede ogni sei mesi la rotazione di un terzo della collezione permanente e integra il punto di vista dell’arte occidentale. WHITNEY MUSEUM OF AMERICAN ART Nato pochi anni dopo il MOMA sempre per un sodalizio femminile, con la collezione Vanderbilt con cui entra in contatto Julianne Force (prima direttrice del museo). Questo è il primo museo pubblico per l’arte americana del 20 secolo. Alla morte di Vanderbilt, problemi con l’eredità della donazione che il museo deve affrontare ma riesce a sopravvivere grazie ad una rete di artisti e mecenati e si trasferisce in un edificio di Marcel Brauer, poi apre diverse filiali in città e favorisce l’accesso alle collezioni d’arte di un pubblico ampio. La nuova sede del museo che ne ospita gli ampliamenti è progettato da Renzo Piano. ITALIAN ART A LONDRA Nel 1929 si tiene a Londra la prima mostra internazionale d’arte antica, dedicata ai maestri del rinascimento e del barocco e si ispira alle mostre londinesi che affittavano le stanze in cambio di una percentuale dei profitti. Qui lady Chamberlain chiede l’appoggio di Mussolini e la mostra diviene strumento di propaganda di regime ma questo incontra alcuni ostacoli: nei prestiti alcuni enti (come il Poldi Pezzoli ma anche la National Gallery) si oppongono ai prestiti delle proprie collezioni per favorire una propaganda di regime. Il commissario è Ettore Modigliani. PROPAGANDA DI REGIME E INNOVAZIONE FRA LE DUE GUERRE Altre mostre di propaganda, - a Firenze nel ’22, mostra della pittura italiana del seicento e settecento curata da Ugo Ojetti a Palazzo Pitti, importante perché cambia la percezione dell’arte barocca fino ad allora trascurata. Già riscoperta di Caravaggio che verrà consacrata pooi nel 1951 - a Roma nel 1931 Mostra della rivoluzione, mostra storica con elementi innovativi come illuminazione cinematografica, scenografie con fotomontaggi e musica di sottofondo - in germania mostre dell’arte degenerata, con Goebbels, che erano itineranti nei paesi germanici. Hitler a Monaco fa costruire Haus der Kunst, che espone arte di regime. Ospita mostre temporanee e non ha una collezione permanente quindi segue il modello della Kunsthalle Messa in sicurezza delle opere da parte dei paesi. Importante è la figura di Henri Focillon che ha le idee ben chiare per una nuova metodologia di allestimento che prevede meno opere e le pareti più scarne., display puliti e ordinati per la visualizzazione delle opere. Questi tentativi di ridefinire la museologia confluiscono in una conferenza tenutasi a Madrid nel 1934 che è la prima conferenza internazionale dei musei (secondo le idee che mergono il museo deve riflettere il gusto e non deve essere un deposito di oggetti, no stoffe alle pareti no museo di ambientazione). In America invece va di moda un particolare topologia di museo d’ambiente, la period room. Un esempio è il trasporto al MET dello studiolo di Federico e Guidobaldo da Montefeltro riallestito integralmente nel museo americano. IL MUSEO VIVENTE Musei viventi (Moses) dove l’arte è patrimonio di tutti e al servizio della nazione. Dal punto do vista delle architetture è il Movimento Moderno a farsi interprete delle nuove istanze: Mies van der Rohe, Walter Gropius e Le Corbusier. Nel 1929 quest’ultimo progetta per Ginevra il Mundaneum, un centro mondiale scientifico, documentario e educativo al servizio delle varie associazioni internazionali. Pochi anni dopo (1931-39) lo stesso Le Corbusier sviluppa il concetto di «museo a crescita illimitata», una macchina espositiva modulare, con percorso a spirale, flessibile e funzionale, che abbandona la monumentalità dei musei-tempio rinunciando perfino alla facciata, al prospetto principale. In Germania, Alexander Dorner teorizza il «museo vivente» tra «sale d’atmosfera» e nuovissimi dispositivi. Le Atmosphäreräume di Dorner sono sale destinate a offrire al visitatore l’esperienza di uno specifico periodo della storia dell’arte senza ricorrere agli arredi, come accadeva nei musei d’ambientazione e nelle period rooms, ma attraverso scelte cromatiche in grado di trasmettere l’atmosfera e lo spirito di un particolare stile. In questo senso il museo è attivo, vivente. Alla fine degli anni Venti, ad Hannover (all’epoca denominato Provinzialmuseum), Dorner elabora con El Lissitzky il cosiddetto Kabinett der Abstrakten, un ambiente per mostre che ha vita breve e viene smantellato dai nazisti impegnati nella cancellazione di quella che consideravano «arte degenerata», l’impatto di questo display è tale da favorirne immediatamente la diffusione internazionale. IN ITALIA TRA PASSATO E FUTURO Negli anni Venti del XX secolo, in Italia il museo di ambientazione è ancora largamente diffuso. Si tratta infatti di un modello espositivo strettamente funzionale al formarsi delle identità nazionali e civiche (il Museo del Bargello a Firenze o quello di Castelvecchio a Verona). La formula storicistica del museo d’ambientazione, in cui le opere sono presentate insieme con arredi e suppellettili, risolve inoltre il problema di esporre collezioni estremamente eterogenee, attribuendo al tempo stesso dignità a materiali marginali sul piano storico-artistico, ma densi di significato dal punto di vista della realtà locale → Importante il contributo dei collezionisti privati, di mercanti e storici, che rivolgono grande attenzione alle arti decorative e ai relativi rifacimenti in stile, tipici dell’eclettismo del tempo. - Coordinatore dei servizi di custodia e accoglienza - Curator (Singleton) colui che coadiuva il ruolo dell’architetto e del filosofo per saper sceglere che esporre Un organigramma delle mansioni si ha nel report del MIBACT, nei bandi emessi per la direzione dei musei statali CAPITOLO 12. UNA NUOVA GEOGRAFIA MUSEALE IL DOPOGUERRA IN EUROPA: LA FINE DEI MUSEI? Per certi versi, vista dall’Europa, quella del dopoguerra sembra la stagione della fine dei musei. Le avvisaglie non erano certo mancate, già ai tempi in cui i Fauves dichiaravano di volerli bruciare. In Italia, a farsi interpreti di queste istanze erano stati i Futuristi, con Filippo Tommaso Marinetti. Dopo la forte spinta rappresentata dai musei della ricostruzione, negli anni Settanta anche nella Penisola si registrerà una battuta d’arresto. - In Danimarca, nel piccolo villaggio di Humlebæk, non lontano dal centro di Copenaghen, sul modello di quanto stava avvenendo al MoMA di New York, nel 1958 viene inaugurato il Louisiana Museum of Modern Art, tutt’oggi punto di riferimento nel settore delle arti contemporanee. Leggendarie le mostre realizzate dal suo fondatore Knud Jensen secondo il cosiddetto «principio della sauna», una tattica che affianca esposizioni «calde» di grandi nomi conosciuti dal pubblico a rassegne «fredde» di artisti giovani ed emergenti, concepite per educare i visitatori a uno sguardo aperto e curioso. - La nuova architettura ha forme semplici, lungi dalla monumentalità che nei decenni precedenti aveva inteso incarnare una presunta superiorità culturale. L’essenzialità è ribadita anche nella scelta dei materiali impiegati: metallo, cemento e ampie finestre in vetro che, permettendo di vedere all’interno, annunciano simbolicamente una nuova epoca di apertura e trasparenza (Neue NationalGalerie Berlino Mies Van de Rohe, spazio espositivo nel sottosuolo, al piano terra bookshop o mostre temporanee, museo iconico per il rilancio della Germania) - A cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, verrà realizzata a Francoforte la Museumsufer, la «riva dei musei» lungo il fiume Meno. - A Monaco, la Glyptothek e la Alte Pinakothek sono state ripristinate nel dopoguerra: la prima con un intervento discutibile (un recente ulteriore restauro si è appena concluso); l’altra mediante un restauro filologico. - il nuovo Abteiberg Museum è considerato una pietra miliare del design postmoderno, un museo concepito come opera d’arte totale, che esalta il valore auratico delle singole opere. Riecheggiano cosí, vent’anni dopo, le istanze già sperimentate nei musei italiani della ricostruzione, da Palazzo Bianco alla Gipsoteca canoviana. L’allestimento dell’Abteiberg non risponde a rigidi ordinamenti guidati da assi spazio-temporali, ma piuttosto a parametri estetici attorno ai quali si muovono le collezioni UNO SPARTIACQUE Nel 1969 Harald Szeemann realizza una mostra alla Kunsthalle di Berna intitolata Live in your Head: When Attitudes Become Form. Il radicale approccio del curatore alla pratica espositiva, concepita come medium linguistico, è sottolineato dal sottotitolo dell’esposizione: Works – Concepts – Processes – Situations – Informations. La contestazione culminata nel ’68 colpisce dunque anche l’istituzione museale, giudicata specchio della borghesia. Gli studenti parigini reclamano la soppressione del Louvre e la dispersione delle sue collezioni: «La Joconde au métro». Gli intellettuali, capitanati da André Malraux, dichiarano che a orientare i loro interessi è esclusivamente il «non pubblico». Eppure c’è un museo che esce dalla sacralità, cessa d’intimidire il pubblico e diventa simbolo della rivoluzione culturale in atto. Georges Pompidou, nel 1970, a bandire il concorso per «un insieme architettonico e urbano capace di segnare la sua epoca» e al tempo stesso di riqualificare un’area allora degradata di Parigi, il plateau Beaubourg. Alla massima flessibilità delle volumetrie corrisponde l’invito a non seguire un percorso predeterminato, ma a costruirlo in base a interessi ed esigenze personali. Il risultato è un edificio aperto, ispirato non alle istituzioni museali del passato, di cui non a caso non porta neppure il nome – si chiama infatti «centro» e non «museo» L’architetta Gae Aulenti è chiamata a riprogettare, con Italo Rota e Pietro Castiglioni, alcuni spazi interni con soluzioni piú tradizionali e rigide. In un celebre saggio, L’effet Beaubourg, Jean Baudrillard identifica nel Centre Pompidou l’origine del fenomeno dell’antimuseo, che anziché decretare la fine di questa istituzione, avvia un processo di museofilia. I GUGGENHEIM Le polemiche non risparmiano neppure l’architettura-scultura a nastro bianco di Wright, che si inserisce in forte contrasto con gli oramai caratteristici grattacieli di Manhattan, con la maglia ortogonale della città e con il vicino Metropolitan Museum. Architetto antiurbano per eccellenza, Wright disegna una galleria espositiva che si sviluppa all’interno a forma di spirale. I dipinti sono allestiti lungo i muri ellittici e in alcune stanze che si aprono lungo il percorso. Per i critici è difficile esporre le opere sui muri della spirale, che non sono né piatti né verticali, né sufficientemente illuminati dalla grande vetrata centrale. Amica e sostenitrice di molti artisti del suo tempo, di cui organizza anche mostre, Peggy progetta inizialmente un museo a Londra, ma solo nel 1942 realizza, a New York, con l’architetto rumeno-austriaco Frederick Kiesler, una prima galleriamuseo che s’impone immediatamente come referenza per l’arte contemporanea. Tornata in Europa in occasione della Biennale internazionale d’arte di Venezia del 1947, Peggy Guggenheim espone nel padiglione greco opere della sua collezione: artisti come Arshile Gorky, Jackson Pollock e Mark Rothko vengono cosí presentati in Italia per la prima volta. MUSEI D’AMERICA Gli stati occidentali Il modello piú diffuso negli Stati Uniti è quello che Krysztof Pomian ha definito «museo evergetico», dovuto cioè alle volontà di un benefattore. Il caso del Guggenheim Museum non è dunque isolato. • Hearst Castle a San Simeon in California • Pasadena Art Institute • Getty Villa a Malibu, aperta nel ’74, clonaizone del complesso archeologico della Villa dei Papiri di Ercolano • LACMA di Los Angeles, egemonia culturale • San Francisco Museum of Modern Art, riconosce il valore della fotografia • Denver Art Museum, Colorado Questi musei sono sfidati da nuovi musei privati che vantano di grandi mezzi e imponenti collezioni, promuovono artisti e politiche culturali e orientano il mercato → The Broad Gli stati orientali • Milwaukee Art Museum (MAM), situato a nord di Chicago, è un’istituzione dalle radici antiche, che risalgono alla galleria aperta in città nel 1888 da Frederick Layton. • Nell’Ohio, la nascita del Cincinnati Art Museum • il Center for the Visual Arts, progettato da Frank Gehry, con biblioteca e altri servizi per l’università, a cui il museo era legato fin dalla sua fondazione. • lo Stone Hill Center e, nel 2014, nuovi spazi espositivi e centri di ricerca,entrambi firmati da Tadao Andō Gli stati meridionali • Dallas Museum Art fondato nel 1903 e riallestito nel 1984 • Kimbell Art Museum edificio di Kahn del 1975, accanto padiglione di Renzo Piano • Menil Collecti0n di Huston. Il nuovo museo texano viene cosí impostato attorno a un lucernario. La rotazione delle opere diviene funzionale alla necessità di esporle solo per brevi periodi a una fonte luminosa intensa com’è la luce del Texas: il deposito di Kahn si trasforma nella Treasure House, posta dall’architetto genovese nel piano piú alto dell’edificio. In collaborazione con Peter Rice, Tom Barker e Shunji Ishida, la copertura trasparente è strutturata come un insieme di lucernari a foglia. Gli spazi dell’edificio principale, inaugurato nel 1987, e della Cy Twombly Gallery del 1995, nata dalla collaborazione con l’artista americano e anch’essa progettata da Renzo Piano, sono stati pluripremiati. Nel 1996, per ospitare l’installazione di Dan Flavin, è stato restaurato un edificio degli anni Trenta, la Richmond Hall. È del 2009, infine, l’intervento di David Chipperfield mirato alla riorganizzazione, tra spazi verdi, architetture e arte, dell’intero campus della Menil. IL LOUVRE FUORI LE MURA Nel 2012 è stata inaugurata una nuova sede a Lens, nella Francia nord-orientale. La città, segnata dalle due guerre mondiali e dalla chiusura dell’industria mineraria, ha puntato sul nuovo museo per favorire lo sviluppo del territorio. L’ultimo decennio delle politiche culturali del Louvre è stato poi contraddistinto dall’incandescente dibattito attorno a un’altra sede «fuori porta», il Louvre Abu Dhabi, inaugurato nel novembre del 2017. Concepito come un «museo universale», è stato progettato da Jean Nouvel nell’isola di Saadyat, al cui centro si sta sviluppando un distretto culturale che, oltre alla «filiale» del Louvre, comprende lo Sheikh Zayed National Museum disegnato da Norman Foster, una sede del Guggenheim progettata da Frank Gehry, una sede dell’Università della Sorbona, oltre che spazi commerciali e residenziali. Firmando un accordo intergovernativo, la Francia ha concesso l’uso del nome «Louvre» agli Emirati Arabi per trent’anni, in cambio di quattrocento milioni di euro, e si è impegnata a contribuire sia alla formazione del personale del nuovo museo, sia all’incremento delle collezioni. La stessa concezione di «museo universale» è oggetto di contestazioni: si accusa infatti il Louvre Abu Dhabi – e con esso operazioni analoghe da parte di musei occidentali – di esportare acriticamente una visione europea di museo: un’operazione piú simile a una nuova colonizzazione che a una proposta multiculturale. Un terzo progetto del Louvre «fuori le mura» è stato inaugurato nel 2019 a Liévin, a duecento chilometri da Parigi, nel Nord-est del paese: si tratta del Centre de conservation del Louvre, progettato dagli architetti londinesi Rogers Stirk Harbour + Partners, dove si stanno trasferendo i depositi del museo parigino. IL MUSEO DIFFUSO Il sistema delle filiazioni non è l’unico modo in cui l’istituzione museale si ramifica. Il museo esce e va oltre il museo anche per espandersi nel territorio circostante. È il caso dell’ecomuseo, teorizzato da Georges-Henri Rivière e da Hughes de Varine-Bohan. Si tratta di un museo esteso al paesaggio che, nelle pratiche dei due museologi, coinvolge le realtà rurali peculiari delle campagne francesi. In Italia, dove attualmente sono censiti oltre duecento ecomusei, il primo, l’Ecomuseo della Montagna Pistoiese, risale al 1990. L’ecomuseo estende la funzione principe del museo, la conservazione, al di fuori di esso, per proteggere il patrimonio culturale diffuso su un intero territorio. Entrare in questa prospettiva significa superare l’idea del museo classificatorio, fatto di vetrine, teche e cartellini, per valorizzare la cultura di un’intera popolazione, la sua memoria, le sue forme rituali e immateriali. Piú che come un prodotto, l’ecomuseo si configura come un processo ed è impostato su tre principali elementi: il patrimonio (in luogo della collezione), il territorio (in luogo dell’immobile- contenitore) e la popolazione (in luogo del pubblico). Fra le sue tante declinazioni si possono individuare due tendenze prevalenti: quella che lo ritiene essenzialmente un museo territoriale che agisce per la popolazione e quella che lo considera un processo comunitario avviato con la popolazione e che opera per il suo sviluppo. CAPITOLO 14. LAVORARE NEI MUSEI IL PATRIMONIO ITALIANO TRA TUTELA E VALORIZZAZIONE Per i musei italiani e il patrimonio del paese il 2001 è un anno fondamentale. Escono infatti, a distanza di pochi mesi l’una dall’altra, due normative importantissime: la prima, l’8 marzo, è addirittura una riforma della Costituzione; la seconda, il 10 maggio, è piú tecnica e riguarda gli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. La tutela è concepita tra l’altro non solo come difesa dell’esistente, ma come attività costante di conoscenza. Con la riforma del Titolo V, però, questa funzione non è piú saldamente nelle mani dello stato. Diventa allora fondamentale definire che cosa si intenda per «tutela» e cosa per «valorizzazione» dei beni culturali. Proprio su questi concetti si basa infatti il riparto delle attribuzioni, non solo normative (legislative e parallelamente regolamentari), ma anche amministrative, fra i diversi livelli istituzionali in materia di beni culturali. A fronte di leggi precedenti relative al diritto amministrativo e a varie sentenze si è creato anche un vulnus riguardo ad altre delicate materie, come l’urbanistica e la tutela del paesaggio. Affidando ai privati prima la gestione di alcuni servizi e poi degli stessi beni culturali, si corre il rischio di generare una pericolosa confusione, che apre la porta a una separazione tra tutela dei beni e loro gestione. L’ANNO ZERO DEI MUSEI ITALIANI Il 10 maggio 2001 viene pubblicato un decreto ministeriale per addetti ai lavori rappresenta la fine di un’attesa durata oltre mezzo secolo: l’Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. Un ritardo legislativo forse sorprendente, soprattutto se si considera che il termine «museo» viene definito dalla legislazione solo nel 1999, nel Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali. (status giuridico, assetto finanziario, strutture del museo, personale, sicurezza, gestione delle collezioni, rapporti del museo con il pubblico e relativi servizi, rapporti con il territorio). Rientrano nel rapporto fra spazio, oggetti e visitatore anche i sistemi di protezione: da un lato i sensori sonori, i dissuasori e i distanziatori per proteggere le opere dal pubblico, dall’altro teche, vetrine, climabox e dispositivi affini capaci di garantire, oltre che la custodia, anche la conservazione degli oggetti. Vi sono infatti casi in cui gli standard di conservazione delle opere non sono in linea con i parametri climatici e termoigrometrici degli ambienti. Umidità relativa, temperatura e qualità dell’aria vanno comunque sempre monitorate con appositi strumenti. Essenziale è il controllo della luce, non solo per le aree esterne, ma anche all’interno del museo e, soprattutto, lungo il percorso. FUNZIONE EDUCATIVA DEI MUSEI: SPECIALITA’ E ANOMALIE Fin dalle origini, i musei sono considerati luoghi di crescita intellettuale e di azione culturale. Ha sicuramente intento educativo l’atto con cui il parlamento inglese, pochi anni dopo la fondazione del British Museum nel 1759, apre le sue porte, gratuitamente, «a tutte le persone studiose e curiose». L’espressione della volontà pedagogica è particolarmente precoce nell’Italia preunitaria: nel 1603, per esempio, il naturalista Aldrovandi dona le sue collezioni e la biblioteca al Senato di Bologna ➔ qualche ambiguità nella genesi dei musei strettamente connessi con la didattica. È il caso, per esempio, delle pinacoteche annesse alle accademie e dei laboratori artigianali del South Kensington, oppure dei musei scientifici, nei quali museo e laboratorio educativo sostanzialmente coincidono. Accanto a questo filone, si collocano i cosiddetti musei pedagogici, nati verso la metà dell’Ottocento sulla spinta delle Esposizioni universali e costituiti da collezioni di strumenti didattici. ➔ Un discorso a parte meritano le sezioni didattiche intese come servizi all’interno dei musei. Le riflessioni sull’apprendimento dei bambini attraverso l’attività artistica, elaborate da pedagogisti come Rudolf Steiner o Maria Montessori, si prestano bene a essere tradotte, all’interno dei musei, in laboratori dove «fare arte» ➔ In Italia sono precorritrici le iniziative di Fernanda Wittgens a Brera. A stimolarle era stato Mario Salvi, che nella sua funzione di presidente del Consiglio superiore delle Antichità e Belle Arti aveva invitato i funzionari ministeriali a valorizzare il ruolo dei musei nell’ambito della ricostruzione materiale e morale del paese. Wittgens organizza attività didattiche STRUMENTI DI COMUNICAZIONE MUSEALE I musei attivano la percezione attraverso molti «linguaggi extramuseali»: in questo senso possono definirsi dispositivi multimediali anche quando non fanno ricorso diretto alle nuove tecnologie. Il museo, con il suo impatto tridimensionale, plastico, è di per sé interattivo, esprime la sua multimedialità attraverso le scelte architettoniche, di ambienti e allestimenti, operate da architetti e direttori. Alla base di ogni progetto museografico c’è il progetto museologico, che parte dallo studio e dalla conoscenza delle singole opere: è da ogni oggetto della collezione, dal suo eventuale restauro e, prima ancora, dal lavoro di inventariazione e catalogazione, che scaturisce il messaggio da attribuire all’opera. Si procede poi a individuare un corretto ordinamento, tale da trasmettere con chiarezza concettuale le ragioni del percorso museale. Occupando uno spazio fisico che il fruitore percorre, il museo si distingue perciò dagli altri media: non è un libro, una pagina bianca dove inserire un testo, ma è parte del testo. Comunica con i luoghi, con gli oggetti, ma non necessariamente soltanto attraverso di essi. All’interno del museo, le tradizionali brochures con la pianta e le informazioni principali rappresentano ancora un veicolo efficace e apprezzato dal pubblico. La comunicazione testuale è poi realizzata da pannelli, didascalie (o cartellini, termine ancora in uso, benché didascalia sia considerato piú corretto dagli addetti ai lavori) e schede. Oltre alla leggibilità, bisogna fare in modo che le didascalie e i pannelli non interferiscano con le opere e gli spazi, garantendo una corretta visione. ESEMPIO: 1. La revisione delle didascalie del Louvre punta anche a semplificare i titoli di alcune opere: il Torso di Mileto è diventato, per esempio, Torse masculin. Certo, in questo caso come in altri si trattava di titoli convenzionali, ma al tempo stesso storici e quindi portatori di significato. A giudicare da questi primi infelici cambiamenti, la nuova comunicazione del Louvre, anziché intesa come strumento di crescita culturale per i suoi fruitori, sembra improntata a un livellamento verso il basso. 2. Piú promettenti le strategie adottate recentemente dal Victoria and Albert Museum per affrontare le sfide della disabilità (Disability Equality Scheme), della diversità (V&A Diversity Policy), della promozione delle pari opportunità (V&A Gender Equality Scheme) e dell’accesso (Strategy for Access, Inclusion&Diversity). In particolare, l’ultimo progetto si propone non solo di stimolare l’accesso al museo di nuovi pubblici – lavorando con specifiche comunità, per esempio quella asiatica, o con gruppi di età ben definiti, come anziani e giovani –, ma anche di promuovere la partecipazione ai processi interni del museo e la rappresentazione della diversità culturale attraverso politiche mirate di selezione e formazione del personale. LA RINUNCIA AL TESTO La rinuncia alla comunicazione, anche se oggi è operata sempre piú di rado dai musei – a parte il recente caso del Kolumba di Colonia, sul quale si tornerà –, evitando perfino di ricorrere ai cartellini accanto alle opere, è un’opzione di per sé ricca di significati. Fino a qualche decennio fa, la piú importante collezione privata italiana, la Galleria Doria Pamphilj di via del Corso a Roma, si presentava al pubblico come una quadreria del tutto sprovvista di apparati didattici: gli unici nomi di autori e titoli di dipinti erano quelli, se presenti, incastonati ab antiquo nella cornice del quadro. LA TECNOLOGIA ALL’INTERNO DEI MUSEI Nell’ambito della didattica cosiddetta «passiva», ci sono numerosi altri strumenti non solo testuali il cui utilizzo, negli ultimi anni, è stato ampiamente incrementato: l’audioguida e le altre applicazioni digitali, dal sito web alle specifiche app dedicate, approfondimenti delle opere attraverso codici QR, tag per l’attivazione della realtà aumentata (AR), ologrammi, monitor con video in loop, pannelli e tavoli interattivi. L’ingresso massiccio dei supporti multimediali nei musei risale alla fine degli anni Novanta. Oltre che come parte del percorso museale, e dunque come strumenti educativi, sono usati a fini di conservazione (attraverso la simulazione di ricostruzioni e «restauro virtuale») e di documentazione. In base all’utilizzo delle tecnologie si possono distinguere i musei «tradizionali-virtuali», che non disdegnano l’impiego dei supporti digitali, ma che anteponendo l’aggettivo «tradizionale» mettono subito in chiaro la loro consistenza fisica. Ci sono poi i musei «virtuali», che rappresentano un’estensione dei musei reali, e ci sono infine i musei «realmente virtuali», che non sono fisicamente visitabili, ma esistono solo nelle versioni numeriche. Un’altra categoria è rappresentata da musei che esistono fisicamente, e dunque si possono visitare come i musei tradizionali, ma non espongono oggetti e affidano il racconto ai supporti multimediali. - Museo Audiovisivo della Resistenza, aperto nel 2000 nei luoghi della lotta per la liberazione iniziativa di un partigiano, Paolino Ranieri - Museo Archeologico Virtuale MAV, vicino gli scavi di Ercolano. Installazioni multimediali - La volontà dell’Ermitage di San Pietroburgo di aprire un avamposto a Mosca, dedicato esclusivamente all’arte contemporanea, si è trasformata nel frattempo in un progetto concreto. Si deve inoltre a Renzo Piano la trasformazione del GES-2, un’ex centrale elettrica nei pressi del Cremlino, in un museo d’arte contemporanea per la V-A-C Foundation del miliardario Leonid Mikhelson, completato nel 2021. LA FEBBRE DA MUSEO IN CINA L’arte contemporanea è protagonista nel nuovo millennio anche in Cina. Al momento della sua nascita, nel 1949, la Repubblica popolare cinese aveva ereditato solo venticinque musei, di cui avrebbe sostenuto da allora in poi l’incremento, bandendo invece quelli privati. Si trattava di istituzioni di stampo storico e commemorativo, come il Museo della Rivoluzione Cinese o il Museo di Storia Naturale di Pechino, mirate a solidificare l’eredità culturale della nazione. Collettivismo, sacrificio di sé e lotta di classe contrastavano con l’ideologia neoliberista che guidava lo sviluppo rapido, la glorificazione del mercato e l’imprenditorialità del nuovo corso del paese. In questo ambiente culturale e politico ambiguo, i musei e i loro curatori si sono trovati a negoziare le nuove proposte nell’ambito di un contesto tutt’altro che monolitico. Fa parte di questi nuovi orientamenti il programma sponsorizzato dallo stato a partire dal 2003, detto del «turismo rosso» e inteso come una forma di educazione patriottica. Dagli anni Ottanta del Novecento i musei sono diventati dunque il cardine dell’agenda politica del governo cinese, che a livello ministeriale come locale li incentiva in tutti i modi. La stampa cinese parla di «febbre da museo. Il Museo di Arte Contemporanea di Shanghai, noto anche con il nome di PSA Power Station of Art, ha sede in un edificio industriale dell’Esposizione di Shanghai 2010, riconvertito in sede museale. Se questo procedimento è comune in Europa, come attestano il riutilizzo della Gare d’Orsay e la nuova destinazione dell’edificio della Tate Modern – una ex fabbrica abbandonata – è invece inusuale in Oriente, dove il concetto di patrimonio è molto diverso e fa sí che si assista spesso alla distruzione di interi villaggi a vantaggio di nuove costruzioni. CONCEZIONI DIVERSA = Per capire la differenza culturale di fondo è opportuno ricordare che in Oriente la fragilità degli oggetti è un dato di fatto che sarebbe inutile voler combattere, cercando di andare contro le leggi naturali: una consapevolezza che fa evaporare non solo la nozione di autenticità, ma anche quella di originalità. In Cina, piuttosto che spendersi nel tutelare la naturale vulnerabilità di un’opera calligrafica, la si conserva per poterla copiare minuziosamente. Un giorno la copia potrà rimpiazzare il suo modello. In Giappone i santuari di Ise a sud di Tōkyō, uno dei piú famosi complessi monumentali del paese, vengono smantellati e ricostruiti una volta ogni vent’anni. Gli edifici attuali, completati nel 2013, saranno abbattuti e riedificati in un terreno vicino nel 2033. Le tecniche di smantellamento, il metodo del taglio degli alberi impiegati nella costruzione, oltre a tutti gli altri materiali utilizzati, rispondono a regole e rituali ben precisi, che rendono questo saper fare e disfare simile a un «restauro». Rifare per conservare è un paradosso per noi. Piú che il manufatto in sé, l’attenzione è puntata sulla cultura artigianale, su una sapienza tecnica che si perpetua. Con ogni evidenza ci troviamo di fronte a una concezione di patrimonio opposta a quella occidentale, strettamente legata invece alla salvaguardia dei beni. A Pechino è stato inaugurato nel 2015, sempre in una fabbrica, ristrutturata dallo studio Pei-Zhu, il Museo di Arte Moderna Minsheng, finanziato dalla China Minsheng Bank e destinato all’arte cinese tradizionale e contemporanea. Scanditi da sale di dimensioni diverse, gli interni reinterpretano il tradizionale dispositivo del cubo bianco, rendendone gli spazi piú flessibili. Un black cube è invece dedicato a performance e teatro. I MUSEI D’ARTE CONTEMPORANEA IN GIAPPONE I primi musei pubblici di arte contemporanea in Giappone sono stati aperti – sul modello del MoMA – a Kamakura e a Tōkyō nel dopoguerra. L’attuale panorama si allinea in generale ai modelli occidentali, cui èdebitore anche uno dei principali architetti del paese, Arata Isozaki. Nel Museo di Arte Moderna di Gunma, a Takasaki (1974), o nel Museo di Arte Contemporanea di Nagi (1991- 94) si coglie chiaramente l’eredità di Mies van der Rohe e di Le Corbusier. Si deve tra l’altro a quest’ultimo il progetto del Museo Nazionale di Arte Occidentale di Tōkyō, destinato a esporre la collezione Matsukata, impostato nel 1955 durante un breve soggiorno in Giappone dello stesso Le Corbusier e poi portato a termine da alcuni suoi Allievi. Accanto agli influssi del Movimento Moderno sull’architettura di importazione occidentale, la museografia giapponese presenta alcune caratteristiche peculiari: innanzitutto la tendenza a costruire gli spazi sfruttando luci e ombre, replicando all’interno dei musei l’impiego della luce indiretta tipica delle locali case di legno. Poi la trasparenza degli edifici e il legame, mutuato anch’esso dalle abitazioni, tra spazi interni e natura esterna (giardini, acqua, rocce). Infine il dinamismo nella successione degli spazi. Vi sono diversi validi esempi. Innanzitutto il Museo di Arte Contemporanea del XXI secolo, aperto nel 2004 a Kanazawa e disegnato dallo studio locale SANAA. L’edificio, circolare e trasparente, sottolinea la fluidità della visita alle collezioni permanenti e ai numerosi servizi per la collettività, quali la biblioteca o il laboratorio per bambini. Le visioni creative dell’artista Rei Naito e dell’architetto Ryue Nishizawa si fondono nel Museo d’Arte di Teshima, che sorge in un’isola del mare interno di Seto: il museo, che ricorda una goccia d’acqua, non espone né opere d’arte, né di design, né naturalia. Non mostra proprio nulla: è vuoto. Si compone di due grandi finestre ovali, una sul bosco e una sul cielo, per cui sono le nuvole che passano o il vento che muove le fronde degli alberi a cambiare la scena: si entra a piedi nudi e si deve stare rigorosamente in silenzio, la macchina fotografica e il cellulare vanno lasciati fuori. Nel pavimento in resina ci sono minuscoli buchi dai quali escono gocce d’acqua. IL SISTEMA DELL’ARTE Il mercato dell’arte è alimentato da gallerie, fiere e aste, accomunate nel nuovo millennio da una caratteristica: la tendenza a superare la tradizionale separazione fra arte antica e contemporanea. Sempre piú spesso, nelle aste e nelle fiere si tengono anche vere e proprie mostre, frutto di una selezionata curatela. Non sempre gli artisti contemporanei rispettano i tradizionali canali di intermediazione e talvolta scelgono di non essere rappresentati da una o piú gallerie, ma di presentarsi direttamente sul mercato. Un caso oramai di scuola è quello dell’artista britannico Damien Hirst. Dopo essere stato a lungo sostenuto dal collezionista e gallerista anglo-iracheno Charles Saatchi, nel 2008 ha immesso direttamente sul mercato un lotto di trecento opere, mandandole all’asta da Sotheby’s a Londra. Sono molto diversi rispetto al passato anche i tradizionali appuntamenti periodici con le grandi fiere internazionali. In Italia, la Biennale internazionale dell’Antiquariato di Palazzo Corsini resta l’unico evento di rilievo per gli espositori di arte antica, ma da diversi anni sono presenti anche mercanti di arte contemporanea. Riservati specificamente a quest’ultimo settore sono Artissima a Torino, Miart a Milano, ArtVerona e Arte Fiera a Bologna, accompagnati a ogni edizione da apposite iniziative che coinvolgono le relative città e istituzioni. La piú prestigiosa fiera di arte antica in Europa è TEFAF di Maastricht, da tempo aperta anch’essa all’arte contemporanea e recentemente approdata a New York, dove si svolgono anche Armory Show e Frieze. L’arte contemporanea è protagonista della consolidata Art Basel, che da tempo ha stabilito due appuntamenti fuori dai confini svizzeri, a Miami e a Hong Kong. Punto di riferimento resta Documenta, una rassegna fortemente caratterizzata dalla cifra curatoriale che dal 1955 si tiene ogni cinque anni a Kassel, in Germania. In Asia e in Sud America il settore fieristico dell’arte è in continua espansione. Accanto alle Biennali veneziane d’arte e d’architettura (quest’ultima dal 1980), a quelle del Whitney Museum of American Art di New York (dal 1932), di San Paolo del Brasile (dal 1951), della triennale Carnegie International (New York, dal 1896), costituiscono appuntamenti rilevanti. In Medio Oriente e in Africa si tengono Biennali a Istanbul (dal 1987), Sharjah (Emirati Arabi Uniti, dal 1993) e, con solo due edizioni (1995 e 1997), a Johannesburg. Nell’Asia orientale, costituiscono appuntamenti attesi le Biennali di Gwangju (Corea del Sud, dal 1995), Shanghai e Seul. CAPITOLO 16. NEL SEGNO DELL’ARTE CONTEMPORANEA E DELLE MOSTRE LA SITUAZIONE ITALIANA In Italia, invece, si segnalarono in un primo momento solo realtà locali. Tra le realtà piú rilevanti, oltre all’attività di accademie e premi, vanno citate le società promotrici, nate proprio per contrastarne il monopolio. Dal 1840 era attiva a Trieste la Società Triestina di Belle Arti, che fra l’altro incoraggiava i cittadini a investire nelle iniziative artistiche locali, come fecero con lungimiranza analoghe istituzioni, per esempio, torinesi o genovesi. In altre città si affermarono a poco a poco appuntamenti periodici destinati a grande fortuna, come le Esposizioni internazionali o le Triennali di Milano e la Biennale di Venezia. 1. Fino a tutto il dopoguerra, l’eccezione era rappresentata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna (GNAM, oggi Galleria Nazionale) di Roma. Il riferimento all’arte «moderna» e non contemporanea sottolinea già nel nome il carattere storico delle collezioni, di cui facevano parte opere datate a partire dall’Ottocento. Nata nel 1883, la galleria accoglieva le opere piú significative in occasione delle varie Esposizioni nazionali. All’inizio occupava alcune sale del Palazzo delle Esposizioni di via Nazionale. L’attuale sede, il Palazzo delle Belle Arti, fu progettata dall’architetto e ingegnere Cesare Bazzani e inaugurata nel 1911, in occasione dell’Esposizione universale tenutasi per celebrare il cinquantenario dell’Unità d’Italia. La GNAM è rimasta per gran parte del Novecento l’unico museo aperto alle sperimentazioni d’avanguardia di artisti che altrimenti trovavano spazi adeguati soltanto nel sistema, pubblico e privato, delle gallerie e delle mostre (importanti gli allestimenti di Palma Bucarelli e Cristiana Collu) 2. L’apertura, nel 1988, del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato è un momento importante, che segna l’inizio di un nuovo corso. Si tratta della prima istituzione italiana progettata ex novo per presentare, collezionare, documentare e supportare le ricerche artistiche di arti visive e performative, cinema, musica, architettura, design, moda e letteratura. Il nuovo centro riflette il radicamento nel territorio di collezioni private come quella dei fratelli Farsetti, nella vicina casa d’aste omonima, o quella di Giuliano Gori, ideatore e proprietario di un’estesa collezione d’arte ambientale nella Fattoria di Celle. La raccolta dà spazio a lavori plastici, grandi sculture, installazioni, fotografie, video e dipinti con particolare attenzione all’Arte povera, alla Transavanguardia e alla Nuova scultura italiana ed europea. 3. Negli stessi anni si lavora a un altro centro per l’arte contemporanea vicino a Torino. L’architetto Andrea Bruno avvia il progetto alla fine degli anni Sessanta, ma il Museo di Arte Contemporanea del castello di Rivoli apre solo nel 1984. Attualmente le collezioni permanenti documentano le tendenze dell’arte contemporanea internazionale dalla fine degli anni Sessanta ai nostri giorni, con importanti nuclei di opere dell’Arte povera e della Transavanguardia, oltre a installazioni studiate appositamente per il museo. 4. Fondazione Palazzo Albizzini di Città di Castello, che raccoglie le opere di Alberto Burri in due sedi: Palazzo Albizzini dal 1981 e gli ex seccatoi del tabacco dal 1990, con opere selezionate dallo stesso artista, che prima di morire, nel 1995, fece in tempo a progettare il suo museo. 5. Apre a Torino, nel 1995, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo. Si tratta di un’istituzione no profit, configuratasi fin dal primo momento come osservatorio sulle tendenze artistiche e i linguaggi culturali del presente, indagato incrociando arte, musica, danza, letteratura e design.4 6. Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto (MART) nasce dalla fusione delle collezioni del polo trentino con il Museo Fortunato Depero di Rovereto. Il complesso, creato dall’architetto svizzero Mario Botta in collaborazione con Giulio Andreolli, viene inaugurato nel 2002 a Rovereto. Oltre a raccolte e archivi connessi alla stagione futurista, le collezioni del museo documentano la pittura locale dalla fine dell’Ottocento al Simbolismo, Novecento, Astrattismo, Razionalismo, Arte concettuale e informale. Tra le mostre di ricerca promosse dal MART si segnalano la monografica dedicata nel 2016 a Giuseppe Penone, Umberto Boccioni. Genio e memoria (2017), Realismo Magico. L’incanto nella pittura italiana degli anni Venti e Trenta (2018) e la rassegna dedicata a Margherita Sarfatti. Il Novecento italiano nel mondo (2018-19). 7. La storia del MACRO (Museo di Arte Contemporanea di Roma) riconduce alla locale Galleria Comunale d’Arte Moderna e Contemporanea, attiva in diverse sedi dalla fine del XIX secolo. Nel 1997, MACRO s’insedia in un nuovo spazio nei pressi di Porta Pia, l’ex stabilimento Peroni. Un’ulteriore sede, MACRO Future, si trova in due padiglioni ristrutturati dall’architetto francese Odile Decq nell’ex mattatoio di Testaccio, vicino alla Piramide Cestia. 8. Il MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo), voluto dal ministero per i Beni e le Attività culturali, che ora lo gestisce tramite una fondazione, apre nel 2010 dopo un lungo e travagliato cantiere. nuovo museo disegnato dall’architetta anglo-irachena Zaha Hadid in collaborazione con il tedesco Patrick Schumacher, luogo d’incontro per i residenti del quartiere, oltre che per i visitatori. CAPITOLO 17. MUSEOLOGIA COLONIALE E POSTCOLONIALE NUOVI PANORAMI IN AFRICA E DALL’AFRICA Guardato nel suo complesso, il continente africano ospita oggi meno di mille musei, metà dei quali nell’area subsahariana e circa trecento in Sudafrica: un dato significativo, che denuncia come, in rapporto alla superficie e alla popolazione, le istituzioni museali restino in queste aree, al momento, piuttosto rare e percepite dalla popolazione come estranee. Eppure nel nuovo millennio anche per i musei africani si colgono i segni dell’avvio di una nuova fase. Un fenomeno degno di nota riguarda l’arte africana contemporanea, gli artisti della diaspora e la loro presenza nel sistema dell’arte occidentale, cosí come un capitolo ancora da scrivere riguarda la loro presentazione nei paesi d’origine. In Sudafrica, come altrove, proprio l’arte contemporanea sta facendo da traino a nuove realtà museali. Il percorso è stato avviato con la Biennale di Johannesburg che, benché abbia avuto solo due edizioni, nel 1995 e nel 1997, ha segnato un’apertura verso questo settore. La presenza di artisti e curatori africani nei padiglioni della Biennale di Venezia è l’altro principale veicolo di scambio. Rappresenta una novità l’apertura a Città del Capo, nel 2017, dello Zeitz Museum of Contemporary Art Africa (Zeitz MOCAA), il primo grande museo di arte contemporanea del XXI secolo del continente, con una cospicua collezione di dipinti, fotografie e installazioni video a firma dei massimi artisti africani e della diaspora. Ancora una volta, però, l’ideazione e la realizzazione del museo, che hanno richiesto soli cinque anni, si devono a un europeo, l’imprenditore tedesco Jochen Zeitz, attivo nel campo della moda, collezionista, finanziatore principale del polo a lui intitolato. I MUSEI COLONIALI SOTTO L’INFLUENZA OCCIDENTALE Nei paesi che hanno conosciuto la colonizzazione, le collezioni autoctone, esposte mettendone in evidenza gli aspetti «primitivi», nel passato venivano spesso affiancate da collezioni europee, a lungo ritenute le uniche degne di essere elevate a opere d’arte. Un confronto esasperato atto a ribadire la superiorità e il dominio culturale di queste ultime, relegando i manufatti della cultura indigena al rango di produzione tipica di un mondo sottosviluppato. Anche i musei africani sono stati istituiti da bianchi, missionari, imprenditori o intellettuali che fossero. Uno dei primi risale al 1825: è il South African Museum di Città del Capo, di stampo scientifico. Caratterizzato da raccolte etnologiche e scientifiche, uno dei primi musei dell’Africa orientale è l’Uganda Museum di Kampala, colonia britannica al momento della fondazione, nel 1908. Anche l’istituzione, nel 1863, del Museo Egizio del Cairo, un nuovo edificio nello stile del museo-tempio appositamente costruito in piazza Tahrir nel 1902, è stata considerata un omaggio alla museologia occidentale, alla tradizione delle Beaux-Arts. Fino agli anni Cinquanta del Novecento i principali musei del paese restarono di dominio europeo. Piú di recente, a catalizzare l’attenzione dei paesi occidentali sulla Turchia, ha contribuito anche l’originale progetto costruito dal premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk a partire dal romanzo Il museo dell’innocenza, la cui storia si è materializzata nell’omonima casa-museo aperta nel 2012, sempre a Istanbul, dallo stesso scrittore, e di cui il romanzo diventa una sorta di catalogo. Pamuk ha acquistato sia la casa che ospita il museo, sia le migliaia di oggetti che esso contiene. L’ALTRA FACCIA DELLA MEDAGLIA: I MUSEI ETNOGRAFICI IN EUROPA Totem e feticci erano già presenti nei cabinets e nelle Wunderkammern rinascimentali sotto forma di curiosità esotiche, ma la sensibilità per la cultura popolare si formò nel primo Ottocento, con i viaggi d’esplorazione, il formarsi degli imperi coloniali e poi con l’affermazione dell’etnografia. In Francia, gli scambi economici e la prima espansione coloniale furono all’origine di collezioni private, culminate nel XIX secolo nella creazione di cabinets di curiosità contenenti reperti di storia naturale, testimonianze archeologiche, storiche ed etnografiche. Dopo la Rivoluzione francese furono creati musei nazionali esplicitamente destinati ad accogliere le raccolte extraeuropee. Il primo museo etnografico aprí per impulso dell’Esposizione universale di Parigi del 1878 al Trocadéro, per essere poi sostituito, nel 1937, dal Musée de l’Homme di Paul Rivet, le cui sezioni vennero rifondate su basi scientifiche rese piú solide da nuove spedizioni. La stessa moda per l’art nègre, rilanciata dai movimenti d’avanguardia del primo Novecento e da artisti come Picasso, Matisse, Derain o Vlaminck, che ne furono anche tra i primi collezionisti, contribuí a consolidare l’approccio feticista. Alcune mostre, tra cui Art/artifact, hanno ben evidenziato tali criticità. Le politiche coloniali portarono poi alla nascita del Musée des Colonies e, nel 1935, del Musée de la France d’Outre-mer. La situazione cambiò nuovamente nel dopoguerra, quando la decolonializzazione impose nuovi assetti e divenne inevitabile un cambio di nome. I musei italiani, a parte qualche tentativo di riallestire nuclei di collezioni – come nel caso del Museo delle Culture (MUDEC) inaugurato nel 2014 in un’area ex Ansaldo, un polo interdisciplinare dove hanno trovato collocazione reperti e collezioni delle raccolte etnografiche e antropologiche provenienti soprattutto dal Comune di Milano. L’ARTE SACRA NEI MUSEI E I MUSEI DI ARTE SACRA Gli oggetti d’arte sacra hanno la particolarità, quando entrano in un museo, di essere sempre soggetti a transfer, non solo quando vengono presentati come opere d’arte, ma anche quando viene richiamato il loro contesto originale. I Buddha esposti nelle sezioni di arte orientale dei principali musei possono evocare, agli occhi dei devoti, riflessioni spirituali e perfino momenti di preghiera. La valenza religiosa diventa ancora piú esplicita in musei come quelli ebraici, che talvolta includono nel percorso la visita alla sinagoga antica. Un magistrale esempio di riallestimento rivelatosi in grado di restituire alle opere musealizzate non solo il loro contesto, ma anche la funzione originaria e – senza far rumore – pure quella catechetica, è quello realizzato nel 2015 nel Museo dell’Opera del Duomo di Firenze. Un progetto colossale, diretto dallo storico dell’arte Timothy Verdon, in Vaticano approdano dunque, inevitabilmente, richieste di restituzione, come quelle del governo australiano, che auspica il rientro di una serie di oggetti sacri appartenenti agli aborigeni dell’isola di Melville. Nel complesso è perciò in corso, in collaborazione con le comunità di origine, una revisione delle sezioni dedicate ai popoli australiani, con restauri e depositi a vista. Il progetto, concepito come strumento di «dialogo e di unità tra i popoli», è denominato Anima mundi. ESEMPIO AUSTRALIA Anche in Oceania la storia dei musei, almeno nelle sue fasi iniziali, che si collocano alla metà del XIX secolo, ricalca grosso modo il copione consolidato. Nel 1827 un’esposizione di curiosità naturali a Sidney portò alla nascita di uno dei primi musei pubblici del paese, all’epoca autorizzato dall’Ufficio coloniale e denominato semplicemente Colonial Museum, poi Australian Museum dagli anni Trenta dell’Ottocento. La dominazione bianca e la colonizzazione culturale sono però problemi che vengono affrontati in quest’area già negli anni Settanta del secolo scorso, mettendo in discussione la formazione della memoria e dell’identità nazionale. Molto interessante al riguardo è il caso del National Museum of Australia di Camberra, perché la presa di coscienza da parte della popolazione bianca australiana di essere stata colonizzatrice, e pertanto di aver contribuito a rimuovere la popolazione indigena, è cruciale per il processo di costituzione del museo. L’affievolirsi del senso di appartenenza britannica e l’arrivo di molti emigrati in Australia hanno continuato ad alimentare il dibattito sulla national identity. La storia australiana non iniziava piú nel 1770 con Cook, né con la colonizzazione britannica, ma molto prima con gli aborigeni, considerati i primi viaggiatori e scopritori del continente. Entro la fine degli anni Novanta, la maggior parte dei musei australiani ha riletto i percorsi espositivi integrando collezioni significative dei popoli aborigeni e coinvolgendoli direttamente nelle scelte. ALLA RICERCA DELLA PROSPETTIVA POSTCOLONIALE L’esigenza di riletture radicali, ineludibili quando si voglia emanciparsi dal modello eurocentrico, si intreccia con il problema delle richieste di restituzione. La questione è delicata. Le obiezioni mosse da una parte e dall’altra – da chi spinge per restituire tutto e subito a chi si mostra piú cauto – sono complesse. Una prima distinzione va fatta tra gli oggetti acquisiti illegalmente durante campagne coloniali, guerre, genocidi, razzie e quelli importati durante scambi e missioni scientifiche, oppure frutto di acquisti e donazioni. Va considerato che nel Nord America i musei hanno un’autonomia decisionale notevole, che permette di alienare gli oggetti e quindi di avviare con relativa semplicità le pratiche di restituzione. Nei paesi europei, invece, il patrimonio museale è sottoposto al principio dell’inalienabilità. Un altro nodo importante, messo in evidenza dalla museologia postcoloniale, riguarda il patrimonio culturale immateriale. Un gruppo di ballerini, per affermare la propria identità nel campo della cultura, ha chiesto il riconoscimento del Museu do Samba, stile che nell’immaginario collettivo coincide con un intero paese come il Brasile, ma che viene puntualmente rinnegato dalla storiografia ufficiale per la sua origine africana. I musei queer sono censurati da alcuni governi, per esempio da quello brasiliano. La comunità LGBTQIA+ di quel paese porta avanti l’istituzionalizzazione del Museu Bajubá attribuendole il valore di un vero e proprio atto politico.