Scarica Riassunto di procedura penale prima parte - Decima edizione Conso-Grevi (pre-Cartabia)) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! PROCEDURA PENALE I Compendio di Procedura Penale Conso – Grevi INDAGINI E UDIENZA PRELIMINARE Il Libro V introduce la parte dinamica del codice, disciplinando la fase del procedimento penale prodromica al giudizio e gli epiloghi della stessa. Disposizioni generali Finalità e caratteri essenziali La locuzione indagini preliminari allude ad un'attività di individuazione e raccolta di dati utili a stabilire se il processo debba essere instaurato o meno. Il codice attuale sottolinea la centralità del dibattimento, come luogo di confronto delle parti davanti al giudice e luogo elettivo di formazione della prova (vs. codice abrogato incentrato sull'istruzione, funzionale all'acquisizione di materiale suscettibile di essere utilizzato nel giudizio). Nel modello accusatorio, le regole dell'attività di ricerca del materiale probatorio (cfr. fase preliminare) costituiscono un’attività di indagine preparatoria, con un metodo di conoscenza a struttura dialettica (cfr. giudizio), individuando nel contraddittorio dibattimentale il baricentro dell’accertamento. L’art. 326 individua la finalità delle indagini preliminari nel reperimento di elementi necessari per le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale, cioè l’atto introduttivo del processo, ma privi di valore probatorio per il giudizio (cfr. irrilevanza probatoria delle investigazioni, assenza di un ruolo difensivo, segretezza degli atti). L'esercizio dell'azione penale segna la linea di confine tra: Indagini: le cui terminologie sono: o Procedimento; o Persona sottoposta alle indagini; o Atti omologhi: atti di indagine compiuti unilateralmente dal p.m., attività che ha portato ad una sostanziale giurisdizionalizzazione della fase di indagine. Per bilanciare la conseguente perdita di centralità del dibattimento, è necessario un rafforzamento delle garanzie e del ruolo della difesa. Pertanto, il p.m., nonostante sia comunque tenuto a svolgere ogni indagine necessaria, deve irrobustire il quadro probatorio (in quanto non vi è più la corroborazione di elementi di prova in dibattimento) e svolgere indagini complete per passare il vaglio dell’udienza preliminare, anche in vista di una possibile richiesta dell’imputato di essere giudicato allo stato degli atti (es. giudizio abbreviato, in cui verrebbe giudicato sulla base del materiale conoscitivo raccolto solo nella fase preliminare). Giudizio: o Processo vero e proprio connotato dalla giurisdizione e introdotto dalla formulazione dell’accusa; o Imputato: destinatario dell’imputazione; o Atti di prova: di omologo contenuto compiuti innanzi al giudice. Concluse le indagini, il p.m. può chiedere al giudice: Archiviazione: se dalle indagini non emergono elementi idonei a sostenere l’accusa, il p.m. chiede al giudice l’archiviazione della notizia di reato e degli atti delle indagini preliminari; Rinvio al giudizio: se dalle indagini vengono reperiti gli elementi necessari a sostenere l’accusa, il p.m. esercita l’azione penale e formula l’imputazione nei confronti dell’imputato (ex indagato) e supportare decisioni che verranno eventualmente adottate nella stessa fase preprocessuale (es. misure cautelari) o successivamente (es. giudizi speciali privi di dibattimento; dibattimento, ove si deroghi al contraddittorio). o Udienza preliminare: la Corte d’assise o il Tribunale a cui il p.m. ha chiesto il rinvio (oppure promuovendo un giudizio speciale o emettendo il decreto di citazione diretta innanzi al tribunale in composizione monocratica), dovrà valutare nel contraddittorio delle parti la fondatezza della richiesta di rinvio a giudizio: Rinvio: se il giudice ritiene fondata la richiesta, dispone con decreto il rinvio; Sentenza di non luogo a procedere: se la ritiene infondata. Protagonisti della attività investigativa L’art. 326 evidenzia altresì i protagonisti della attività di indagine preliminare, nell’ambito delle rispettive attribuzioni: Pubblico Ministero: titolare dell’obbligo di esercitare l’azione penale e dirige le indagini (cfr. art. 327). Il p.m. è sia organo pubblico, in quanto deve svolgere obiettivamente anche gli accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini (cfr. potere sostitutivo dell’attività difensiva), sia parte, in quanto è l’organo di accusa nel processo. In ogni caso, una volta raggiunto da una notizia di reato, il p.m. deve valutare se instaurare il processo o procedere all’archiviazione (cfr. la Corte costituzionale stabilisce la necessità di un bilanciamento tra l’obbligo di esercizio dell’azione penale e il fine di evitare un processo superfluo); Polizia giudiziaria: l’art. 327 stabilisce che il p.m. che dirige le indagini dispone direttamente della polizia giudiziaria (vincolo di dipendenza funzionale). Tale disposizione propone una rilettura di carattere accusatorio del precetto costituzionale, in quanto solo all’organo di accusa (e non anche al giudice) viene affidata la disponibilità degli organi di polizia durante le indagini (vs. art. 109 che evidenzia il ruolo ancillare della polizia giudiziaria che dipende direttamente dall’autorità giudiziaria). o La stretta subordinazione dell’una all’altro istituita dal legislatore del 1988 per evitare condizionamenti del giudice ad opera della polizia giudiziaria, risulta ora in parte attenuata a seguito di interventi normativi che hanno concesso margini di maggiore autonomia (es. l’art. 327 stabilisce che la polizia giudiziaria, anche dopo la comunicazione della notizia di reato, continua a svolgere attività di propria iniziativa; nel codice, le attività della polizia giudiziaria precedono sistematicamente quelle del pubblico ministero). Difensore (L. 397/2000): l’art. 327bis stabilisce che il difensore ha facoltà di svolgere investigazioni per ricercare di individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, nelle forme per le finalità stabilite nel Titolo VI-bis, Libro V. Giudice per le indagini preliminari (g.i.p.) L’art. 328 affida l'esercizio delle funzioni giurisdizionali nel corso della fase investigativa al giudice per le indagini preliminari – distinto dal giudice istruttore (p.m.), in modo da precludere interventi non consoni ad un organo imparziale – che presidia ogni snodo cruciale che si prospetti nel corso della fase preliminare. Il g.i.p. non riceve una regolamentazione unitaria dei suoi poteri, ma ha una competenza ad acta, in quanto provvede sulle richieste provenienti dal p.m., dalle parti private e dalla persona offesa, ed esclusivamente nei casi stabiliti dalla legge. Tra i compiti principali vi sono: Tutela dei diritti fondamentali: la presenza di un giudice nell’ambito di una fase non giurisdizionale è resa necessaria dalla circostanza che gli atti di indagine sono suscettibili di incidere sui diritti costituzionalmente tutelati, cioè sulle libertà fondamentali (es. misure cautelari personali; accompagnamento coattivo; autorizzazione di atti che incidono sull’inviolabilità del domicilio o delle comunicazioni – es. intercettazioni) o sui diritti alla proprietà o alla disponibilità dei beni (es. misure cautelari reali; restituzione delle cose sequestrate, anche in sede di opposizione al diniego di sequestro da parte del p.m.); Correttezza delle dinamiche processuali: o Diritto di difesa (es. accertamenti sulla capacità dell’imputato di partecipare coscientemente al processo; dilazione del diritto dell’imputato privato della libertà di conferire immediatamente con il proprio difensore); o Compensare lo squilibrio tra parte pubblica e privata (es. autorizzazione per il difensore a conferire, ricevere dichiarazioni o assumere informazioni da persona detenuta nel corso delle indagini difensive; decidere sulla richiesta di un difensore di ottenere documenti dalla pubblica amministrazione in caso di rifiuto di quest’ultima; autorizzare il difensore all’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico); o Acquisizione della prova anticipata (es. assicurarne la formazione in contradditorio, con il potere di ammettere e dirigere l’incidente probatorio). Chiusura delle indagini e udienza preliminare: poteri di controllo sui tempi di svolgimento delle indagini e sui presupposti per il loro ulteriore sviluppo; determinazioni in materia di p.m., essendo demandata all’organo giurisdizionale tanto la deliberazione della scelta di non procedere, quanto la verifica sull’esercizio dell’azione esercitata tramite richiesta di rinvio a giudizio; Altre dichiarazioni: se la legge necessita una condizione di procedibilità, le dichiarazioni di querela, istanza e richiesta di procedimento possono essere veicolo per la notizia di reato, sempre che la stessa non sia già nella disponibilità degli organi inquirenti. o Notizie non qualificate: tutti gli eventi fenomenici idonei a prospettare la possibilità di commissione di un reato derivanti da qualsiasi fonte che si palesi alle autorità inquirenti (es. notizie di fonte giornalistica; constatazione diretta di un fatto, eventualmente accompagnata dall’arresto in flagranza; informazione confidenziale) e anche nelle attività loro riconosciuta di prendere notizia di reati di propria iniziativa. La simmetria istituita dall’art. 330 tra le sfere operative dei due soggetti è solo apparente: Obbligo della polizia giudiziaria: nelle attribuzioni degli ufficiali ed agenti rientra il dovere di prendere notizia dei reati e di riferirne all’autorità giudiziaria (art. 55.1) . L’art. 361 c.p. – omessa denuncia di reato punisce coloro che, avendo avuto notizia di un reato, non ne abbiano comunicato l’apposita informativa nei casi in cui fosse obbligatorio; Facoltà: l’art. 70.5 ord. giud. prevede che, se un magistrato addetto all’ufficio della procura, fuori dall’esercizio delle sue funzioni, viene a conoscenza di fatti che possono determinare l’inizio dell’azione penale o di indagini preliminari, può segnalarli per iscritto al titolare dell’ufficio, a cui spetterà, in quanto informato, adottare i provvedimenti di natura formale conseguenti alla segnalazione (cfr. richiesta di archiviazione; provvede personalmente o designa uno o più magistrati dell’ufficio). Secondo un’opinione giurisprudenziale consolidata, l’attività che conduce all’individuazione della notizia di reato e dell’attività investigativa compiuta fino a quel momento è sempre un’attività lecita, in quanto preordinata ad acquisire e precisare gli estremi della notizia di reato, salvo che essa non incida su valori costituzionalmente protetti (es. diritti di libertà: non sono consentiti i provvedimenti di natura cautelare e atti quali perquisizioni, sequestri, ispezioni o intercettazioni di comunicazioni o conversazioni). Registro delle notizie di reato La notizia di reato, non essendo atto di indagine, non è assoggettata alla disciplina propria di quegli atti (es. non vi è regime di segretezza), ma attiene alla disciplina della dinamica processuale, per la stretta connessione con prerogative e doveri che ne derivano in capo agli organi di indagine. L’art. 335 stabilisce che, non appena acquisita, su propria iniziativa o perché comunicatagli dalla polizia giudiziaria, il p.m. deve iscrivere immediatamente ogni notizia di reato, cioè ogni informazione dotata degli elementi per definirsi tale, nell’apposito registro custodito presso l’ufficio: Modello 21: notizie di reato a carico di persona nota, in cui il p.m. inserisce contestualmente anche il nome della persona alla quale il reato è attribuito; Modello 43: pseudo-notizie di reato (es. notizia di un fatto lecito; notizia inverosimile di un fatto illecito). o Cestinazione (archiviazione diretta): per evitare un inutile dispendio di energie, il p.m. potrà trasmettere gli atti direttamente all’archivio, senza richiedere al giudice un formale provvedimento di archiviazione, in quanto la loro irrilevanza penale è apprezzabile ictu oculi. Tuttavia, se il p.m. ne ha richiesto l’archiviazione, la giurisprudenza ritiene che il giudice dovrà comunque pronunciarsi nelle forme di cui all’art. 409. Modello 44: notizie di reato contro ignoti, cioè persone non soggettivamente determinate; Modello 46: denunce anonime (non sono notizie di reato, ma i pubblici ufficiali possono trarvi delle informazioni per risalire alla notizia). Nel caso di mutazione della qualificazione giuridica del fatto o se il fatto risulta diversamente circostanziato, il p.m. dovrà aggiornare l’iscrizione (vs. in tutti gli altri casi, dovrà procedere con una nuova iscrizione). Termine I termini di durata delle indagini (1 anno) e per le richieste (di: giudizio abbreviato, decreto penale di condanna, giudizio direttissimo nei confronti dell’imputato che abbia reso confessione) iniziano a decorrere dall’iscrizione nominativa nel registro, scaduti i quali, ogni atto investigativo dovrà ritenersi inutilmente compiuto. Dallo stesso momento, l’art. 405 sembra imporre la decorrenza del termine di sei mesi per la richiesta di rinvio a giudizio (da concordare con i termini di durata massima ex art. 407). Nonostante non vi possa essere discrezionalità del p.m. per l’iscrizione della notitiae criminis non appena riscontrata la corrispondenza di un fatto di cui abbia avuto notizia di una fattispecie di reato, manca una sanzione specifica per il caso di inottemperanza all'obbligo di iscrizione, generando il rischio che possa intercorrere un lasso di tempo indeterminato ed incontrollato tra l’acquisizione e l’iscrizione della notizia di reato, vanificando gli interessi per i quali il termine è stato istituito con il conseguente aggiramento della sanzione di inutilizzabilità. La giurisprudenza ha prospettato l'eventualità di una retrodatazione del dies a quo di durata delle indagini, tutte le volte in cui fosse accertata la tardiva iscrizione. Tuttavia, le S.U. hanno precisato che, ferma restando la configurabilità di ipotesi di responsabilità disciplinari o penali, l'apprezzamento circa la tempestività dell'iscrizione rientra nell’esclusiva valutazione del p.m. e sottratto, in ordine all’an e al quomodo, al sindacato del giudice. La L. 103/2017, nel riformare le norme di ordinamento giudiziario finalizzate a rafforzare i poteri di controllo demandati ai dirigenti degli organi inquirenti, ha stabilito che il Procuratore della Repubblica ha il compito di assicurare, insieme al corretto, puntuale ed uniforme esercizio dell’azione penale, ed al rispetto delle norme del giusto processo da parte del suo ufficio, altresì l’osservanza delle disposizioni relative all’iscrizione della notizia di reato . Allo stesso modo, il Procuratore Generale presso la Corte d’appello è chiamato ad accertare il rispetto delle norme relative all’iscrizione delle notizie di reati, oltre che a vigilare sul corretto e puntuale esercizio dell’azione penale da parte degli uffici del distretto. Notizie qualificate Denuncia dei pubblici ufficiali (art. 331) I pubblici ufficiali e gli incaricati di pubblico servizio hanno l’obbligo penalmente sanzionato di denunciare i reati perseguibili d’ufficio (vs. reati procedibili a querela, richiesta o istanza) di cui abbiano avuto notizia nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio (vs. altrimenti, varrà come una denuncia dei privati ex art. 333), salvo il caso di cui all’art. 347, per cui la polizia giudiziaria ha sempre il compito istituzionale di prendere notizia dei reati ed informarne il p.m. con le cadenze e le modalità stabilite. Tra i pubblici ufficiali sono ricompresi anche i magistrati, se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio (art. 331.4). Benché non sia espressamente considerato, anche il giudice penale può essere il soggetto tenuto all’informazione (es. ipotesi di testimonianza falsa o reticente). La denuncia deve rispettare taluni requisiti: Forma: redazione per iscritto, eventualmente con un unico atto proveniente e sottoscritto da più persone obbligate alla denuncia per il medesimo fatto; Contenuti (art. 332): esposizione degli elementi essenziali del fatto, giorno dell'acquisizione della notizia; fonti di prova già note; inoltre, quando è possibile (l’obbligo permane anche se non si sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito), tutto ciò che può valere all’identificazione della persona alla quale il fatto è attribuito, della persona offesa dal reato e delle persone informate dei fatti (es. generalità, domicilio); Destinatari: presentazione o trasmissione senza ritardo al p.m. o ad un ufficiale di polizia (salvo il caso di cui all’art. 331.4). Difensore e collaboratori Per garantire la massima esplicazione del diritto di difesa nel processo penale, il legislatore precisa che il difensore e gli altri soggetti di cui all’art. 391-bis non hanno obbligo di denuncia neppure relativamente ai reati dei quali abbiano avuto notizia nel corso delle attività investigative da essi svolte, nonostante sia considerato un servizio di pubblica necessità e di rilevanza pubblicistica (status controverso). Denuncia dei privati (art. 333) L’art. 333 stabilisce che ogni persona che abbia notizia di un reato perseguibile d’ufficio può farne denuncia. In questo caso, la denuncia da parte di privati è facoltativa, salvi i casi espressamente previsti dalla legge che sanzionano penalmente l’omessa denuncia di taluni delitti (es. contro la personalità dello Stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo; cose provenienti da delitto; materie esplodenti e di precursori esplosivi; rinvenimento di armi o parti di esse, o di esplosivi; fatti o circostanze relative ad un sequestro di persona a scopo di estorsione, salva la non punibilità di chi ha posto in essere le relative condotte in favore di congiunti). Il privato può presentare la denuncia personalmente o per mezzo di un procuratore speciale, oralmente o per iscritto, al p.m. o ad un ufficiale di polizia, il quale ha l’obbligo di rilasciare una ricevuta, al fine di comprovare l’avvenuta presentazione e ai fini della prova di rapporti giuridici di carattere extra-penale, nei casi in cui la denuncia sia obbligatoria. Essa deve essere firmata dal denunciante o dal procuratore speciale, in quanto la denuncia anonima è inutilizzabile, cioè non può valere né come notizia criminis né può essere iscritta nel registro, salvo che costituisca corpo del reato o provenga comunque dall’imputato. Tuttavia, essa può essere iscritta in un apposito registro (c.d. modello 46), in quanto il p.m. e la polizia giudiziaria, fermi restando i limiti della attività pre-procedimentale, possono attingervi (es. per verificare se dall’atto anonimo possano ricavarsi gli estremi utili per l’individuazione di una notitiae criminis). Referto Il referto è la dichiarazione con cui l’esercente una professione sanitaria (vs. mestieri espressione dell’arte medica – ottici, odontotecnici – ne rimangono esclusi) , principale (es. medici privati – se esercitano in strutture pubbliche, saranno considerati pubblici ufficiali; farmacisti; veterinari) o secondaria (infermieri, assistenti diplomati), deve riportare la commissione di un reato perseguibile d’ufficio, del quale abbia avuto notizia durante la prestazione della sua opera: Nella linea di comportamento imposta al professionista sanitario dal comb. disp. artt. 334 e 365 c.p., l’obbligo di collaborazione nei confronti dello Stato da parte di chi svolge un servizio di pubblica necessità penalmente sanzionato, prevale sul segreto professionale. Viceversa, l’obbligo di referto viene meno (e così la sanzione penale) e diventa mera facoltà quando la notizia di reato sia suscettibile di esporre la persona assistita a conseguenze di carattere penalistico, al fine di evitare che il soggetto bisognoso di cure sia messo nella scomoda alternativa tra il precludersi l’accesso all’assistenza sanitaria o il sottoporvisi con il rischio di essere incriminato. Il referto, che può altresì essere sottoscritto in un unico atto da tutti coloro che, avendo prestata la loro assistenza nella medesima occasione ne sono tenuti, deve pervenire entro 48h, o, se vi è pericolo nel ritardo, immediatamente, al p.m., a un ufficiale di polizia giudiziaria del luogo in cui chi è obbligato a redigerlo ha prestato la propria opera o assistenza, o, in loro mancanza, a quello più vicino. Il referto, che sembra dover essere redatto in forma scritta, deve avere dettagliato contenuto (es. generalità della persona assistita; luogo dove attualmente si trovi; tempo, luogo e altre circostanze dell’intervento del sanitario; circostanze del fatto; mezzi con cui è stato commesso; effetti causati o che può causare). Condizioni di procedibilità Gli artt. 112 Cost. e 50 c.p.p. sanciscono l’obbligo dell’esercizio dell’azione penale in capo all’organo di accusa, circoscrivendolo ai casi perseguibili d’ufficio, cioè ove non sia necessaria la querela, la richiesta, l’istanza o l’autorizzazione a procedere. Al fine di tutelare interessi di varia natura e temperare la rigidità dell’obbligo, il Titolo III disciplina ipotesi in cui l’instaurazione del processo o il suo ulteriore incedere sono subordinati a condizioni di procedibilità, cioè eventi che ostacolano la progressione del processo riconducibili a: Manifestazioni di volontà: ipotesi nominate, cioè condizioni specificamente disciplinate dalla legge che possono essere poste in essere da: o Soggetto privato (cfr. querela e istanza): volontà dell’offeso del reato, spesso per lo scarso disvalore giuridico del fatto o del tipo di reato, o per le conseguenze peggiori che il processo spiegherebbe nei confronti dell’offeso; o Soggetto pubblico (cfr. richiesta e autorizzazione): scelte inevitabilmente politiche che pongono dubbi di legittimità. Tuttavia, la Corte costituzionale ha ritenuto che tali condizioni inciderebbero sull’ufficiosità dell’azione penale e non sul principio di obbligatorietà della stessa, il quale non può dirsi compromesso tutte le volte in cui la legge ricolleghi l’obbligo di agire a determinate condizioni. Accadimenti oggettivi: ipotesi innominate, cioè condizioni di procedibilità diverse, a cui si estende la disciplina codicistica dettata dall’art. 345.1. Dottrina e giurisprudenza le rintracciano nella trama sistematica del codice di procedura, del Codice penale e di altre fonti di diritto penale, sostanziale o processuale (es. particolare tenuità del fatto; segreto di Stato; precedente giudicato; clausola di specialità nell’estradizione; pronuncia sull’incapacità irreversibile dell’imputato; stato di flagranza per i reati di cui all’art. 260; presenza del reo nel territorio dello Stato per i reati ex art. 9 e 10 c.p.). Querela apprestata per i soggetti titolari di prerogative funzioni dalle disposizioni sovraordinate rende sostanzialmente priva di applicazione la norma codicistica nei confronti di quegli stessi soggetti. Difetto di una condizione di procedibilità La mancanza di una condizione di procedibilità è suscettibile di produrre effetti sia sull’attività di indagine sia sul processo eventualmente avviato: Sospensione: la mancanza della condizione nella fase preliminare (che può ancora sopravvenire) avrà un effetto paralizzante. Infatti, il termine per le indagini comincerà a decorrere solo dal momento in cui l’ostacolo sarà rimosso (cfr. quando querela, richiesta o istanza pervengono al p.m. o quando viene concessa l’autorizzazione a procedere). Prima di quel momento, l’azione investigativa si limita a fronteggiare l’eventuale dispersione della prova (cfr. possono essere compiuti gli atti d’indagine necessari ad assicurare le fonti di prova; se vi è pericolo nel ritardo, il giudice può assumere le prove ex art. 392), non potendosi estendere al compimento di atti di indagine che, per non essere connotati dall’urgenza, esorbitino tale limite, né ad atti che costituiscano espressione di un potere coercitivo. Di regola, sono previsti termini piuttosto brevi affinché chi è titolare sciolga il dubbio sulla volontà di rimuovere l’ostacolo al promovimento dell’azione, così che l’attività processuale non ne rimanga indefinitamente condizionata; Archiviazione: quando risulta evidente che la condizione di procedibilità non può più avvenire, il difetto di procedibilità dev’essere dichiarato con un provvedimento di archiviazione. o Se il p.m. esercita erroneamente l’azione, l’assenza della condizione di procedibilità non impedirebbe l’instaurazione del processo, ma l’esito sarebbe vano, in quanto il giudice, venendo a conoscenza dell’ostacolo alla prosecuzione, non potrebbe accedere al merito ed è tenuto a pronunciare una sentenza di non doversi procedere o di non luogo a procedere. Se, per il medesimo fatto, la condizione di procedibilità sopraggiunge o diventa superflua, per essere venuta meno la condizione personale che rendeva necessaria l’autorizzazione (cfr. dalla sentenza non deriva l’effetto preclusivo del ne bis in idem), è possibile un nuovo esercizio dell’azione penale. Attività di indagine Il p.m. e la polizia giudiziaria sono entrambi titolari del potere di prendere notizia dei reati, anche di propria iniziativa, ma con doveri e poteri diversi. Infatti, il destinatario ultimo della notizia di reato è il magistrato, che dovrà immediatamente iscriverla nell’apposito registro, in vista dei successivi adempimenti, mentre la polizia giudiziaria ha l’obbligo di informare il p.m. di ogni notizia che rechi il fumus di un illecito penale, previa un’essenziale attività di accertamento. Nel sistema previgente, la polizia giudiziaria presentava all’autorità giudiziaria un rapporto, cioè un dossier già sedimentato concernente gli elementi di prova autonomamente raccolti e i motivi in base ai quali si ravvisava la responsabilità penale di un soggetto. Tuttavia, un atto conseguente a ricerche dai tempi non contingentati e caratterizzato da contenuti non meramente informativi, finiva per condizionare le strategie di indagini del p.m. Pertanto, il legislatore, per accentuare l’unitarietà dello sviluppo investigativo ed evitare lunghe e complesse indagini pre-istruttorie, ha valorizzato il ruolo di guida del magistrato fin dalle prime battute del procedimento. In particolare, a seguito di una recrudescenza della criminalità di stampo mafioso, la riforma ha previsto una maggiore autonomia della polizia giudiziaria, svincolata dal rapporto di subordinazione alle direttive del magistrato (cfr. artt. 330, 347 e 348), che finiva per ingessarne l’operato investigativo fino all’intervento del p.m.; e più ampi margini operativi, sia all’inizio del procedimento sia quando il p.m. abbia già assunto la direzione delle indagini (vs. ridotti spazi che avevano portato ad una deresponsabilizzazione della polizia giudiziaria, e, più in generale, una difficile gestione del carico delle notizie di reato). Polizia giudiziaria L’art. 55 disciplina la tradizionale tripartizione delle funzioni della polizia giudiziaria (ufficiali e agenti) fino all’intervento del p.m., poi meglio definita dalla parte dinamica del codice: Informativa (art. 330-347): potere-dovere di prendere notizia dei reati e riferirli al PM; Investigativa: ricercare gli autori del reato, raccogliere ogni elemento utile alla ricostruzione del fatto e all’individuazione del colpevole; Assicurativa (art. 348 ss.): una volta comunicata la notizia di reato, la polizia giudiziaria deve compiere gli atti necessari per assicurare le fonti di prova utili nel processo (es. ricerca e conservazione nello stato dei luoghi delle cose e delle tracce pertinenti al reato; delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti). Dalla tripartizione vengono escluse funzioni della polizia giudiziaria che sono però implicite: Impedire che i reati vengano portati a conseguenze ulteriori; Svolgere ogni attività o indagine disposta o delegata dall’autorità giudiziaria. Notizia di reato L’attuale art. 347 obbliga la polizia giudiziaria a riferire la notizia di reato acquisita al p.m.: Tempi: la polizia deve comunicare la notizia di reato, senza ritardo, al fine di poter svolgere ogni attività di indagine necessaria a definire la notizia di reato e non solo nell’ambito del perimetro segnato dalle direttive del magistrato procedente (vs. comunicazione entro 48 ore, termine rigido ed eccessivamente ristretto). o Si rischia di legittimare una zona temporale di indagine troppo ampia, in cui la polizia giudiziaria svolge indagini autonome e parallele senza controllo dell’autorità giudiziaria (magistrato), e senza che nessun adempimento formale segni l’inizio del procedimento. Forma: l’informativa deve essere presentata in forma scritta, anche con supporto informativo o trasmissione telematica; Contenuti: l’informativa deve contenere: o Gli elementi essenziali del fatto e altri elementi sino ad allora raccolti, le fonti di prova, e le attività compiute delle quali trasmette la relativa documentazione; o Il giorno e l'ora in cui ha acquisito la notizia: adempimento funzionale all’accertamento di una responsabilità disciplinare; o Quando possibile , deve comunicare le informazioni concernenti l’indagato, l’offeso e coloro che siano in grado di riferire circostanze idonee alla ricostruzione del fatto (es. generalità, domicilio ed ogni altra notizia utile alla loro identificazione). Alla più elastica definizione del limite temporale corrisponde una razionalizzazione dei tempi necessari per i prescritti adempimenti, ma non un mutamento, quantitativo e qualitativo, degli atti da compiersi e del ruolo attribuito alla polizia. Pertanto, una volta individuati gli estremi essenziali della notizia di reato, ogni ulteriore indugio costituirà causa di ritardo censurabile dal magistrato. I commi successivi prevedono due deroghe ai tempi e alle forme prescritte dal primo comma: Entro 48 ore: qualora siano stati compiuti atti per i quali sia prevista l’assistenza di un difensore, la comunicazione deve essere data entro 48 ore dal suo compimento, salva diversa disposizione di legge. In questo caso, vi è l’esigenza di un’immediata investitura del p.m. e una maggior certezza dei tempi dell’adempimento, al fine di garantire un controllo-sollecito dell’autorità giudiziaria su atti suscettibili di incidere sui diritti della persona sottoposta ad indagine; Immediatamente, anche in forma orale: quando la notizia riguardi particolari delitti (cfr. art 407.2 (a) n. 1-6; maltrattamenti, delitti contro la libertà sessuale, lesioni personali e omicidio nelle ipotesi aggravate di cui agli artt. 576 e 577) e, in ogni caso, quando ricorrano ragioni di urgenza, la comunicazione deve essere data immediatamente, anche in forma orale, salva la trasmissione senza ritardo e in forma scritta della stessa, con allegata documentazione. L’obiettivo è quello di garantire la tempestività dell’intervento e la priorità dell’instaurazione dei relativi procedimenti, anche a tutela dell’offeso ove sia più presente il rischio di reiterazione di atti di violenza. La polizia giudiziaria mantiene comunque un ristretto margine di discrezionalità, in quanto l'immediata comunicazione della notizia è prevista per i soli casi che richiedano immediate direttive da parte del p.m. o un intervento in chiave cautelare. Infatti, l’indefettibile e pedissequo adempimento dell’obbligo porrebbe il rischio di dispiegare effetti contro-producenti, non consentendo al p.m. di selezionare e di graduare i provvedimenti da adottarsi rispetto all’effettiva urgenza. A sostegno di ciò, la disposizione è priva di sanzione: sicché la necessità del rispetto della regola ivi prevista è corroborata dal solo art. 124, che impone di osservare le norme del codice, pure quando la relativa inosservanza non importa nullità o altra sanzione. Una regola speciale armonizza, con l’obbligo imposto dall’art. 347, gli adempimenti conseguenti ad una notizia di reato non perseguibile d’ufficio, quando ancora non sia sopravvenuta la condizione di procedibilità: la polizia giudiziaria riferisce senza ritardo (o immediatamente anche in forma orale se sussistono ragioni di urgenza o si tratta di reati ex art. 407 2° co. lett. a 1-6) l’attività di indagine comunque compiuta (ex art. 346) al p.m., trasmettendo la relativa documentazione ove ne faccia richiesta. Infine, una deroga al regime informativo di cui all’art. 347, funzionale all’archiviazione di notizie di reato cumulativa, è quella di cui all’art. 107 bis disp. att. che dispone che le denunce a carico di ignoti, unitamente agli eventuali arti di indagine svolti per la identificazione dell’autore del reato, siano trasmesse all’ufficio di procura con elenchi mensili. Attività investigative L’art. 348, dopo la comunicazione al p.m., investe la polizia giudiziaria del compito di assicurare le fonti di prova, secondo tre differenti moduli operativi in un crescendo di discrezionalità esecutiva. In particolare, deve compiere: Atti diretti e delegati dal p.m. (cfr. art 370): attività delegata, rispetto a cui l’azione sarà largamente predeterminata dall’organo delegante e che la polizia svolgerà in sua vece in adempimento di un obbligo, con margini di discrezionalità ridotti alla mera esecuzione dell’atto; o Per i reati particolarmente gravi (artt. 572, 609 bis, 609ter, 609quater, 609quinquies, 609octies, 612bis e 612ter c.p.; artt. 582 e 583quinquies), la L. 69/2019 ha disposto che la polizia giudiziaria deve procedere e trasmettere la relativa documentazione dell'attività senza ritardo, e nelle forme e con le modalità previste dall'art. 357. Obiettivo di una repentina investitura del titolare delle indagini, ponendosi come ulteriore regola di comportamento (già implicita in un fisiologico svolgimento dell’operato degli organi di polizia). Direttive del p.m.: attività di indagine guidata, di cui la polizia deve rispettare le linee operative indicate dall’organo di accusa, con una maggiore libertà di azione e autonomia nella scelta delle modalità e degli strumenti utilizzabili; Attività di propria iniziativa: prima e dopo la comunicazione della notizia di reato e anche successivamente all’intervento del p.m., la polizia giudiziaria può condurre un’attività di indagine parallela di propria iniziativa, continuando a svolgere tutte le altre attività di indagine per accertare i reati o richieste da elementi successivamente emersi. L’unico limite all’autonomia della polizia, che ne restringe la libertà d’azione, è l’obbligo di informare prontamente il p.m. Gli atti di indagine possono essere: o Tipici: operazioni legislativamente predeterminate nel Titolo IV (artt. 349-357); o Atipici: l'enunciazione delle attività ad iniziativa è meramente esemplificativa. L’art. 189 risolve il problema di legittimità degli strumenti investigativi atipici, affermando la liceità della prova non disciplinata dalla legge (es. osservazione, controllo e pedinamento, anche tramite mezzi di rilevamento satellitare; video-registrazioni in luoghi pubblici o aperti al pubblico). La Corte costituzionale stabilisce l’inutilizzabilità degli elementi di prova assunti contra constitutionem tutte le volte che incidono sulle libertà fondamentali della persona, se non ne sia prevista la predeterminazione legislativa di casi e modi: Attività svolte da soggetti atipici: P.m.: riconoscimento attraverso una fotografia; richiesta all’indiziato, nella fase delle indagini, di pronunciare delle espressioni verbali, al fine di consentire il riconoscimento della voce da parte della persona offesa; Tecnici: la polizia giudiziaria, se sono necessarie competenze tecniche, può avvalersi di persone idonee che non possono rifiutare la propria opera. Tuttavia, le competenze tecniche potranno essere utilizzate unicamente per il compimento di attività di carattere materiale (es. utilizzo del captatore informatico) e non valutativo. La polizia gode di ampia discrezionalità quanto alla scelta degli strumenti, in quanto non vi è un’identificazione di mezzi che possono utilizzarsi. Infatti, una rigida predeterminazione dei suoi poteri finirebbe per rendere inadeguata la sua azione rispetto alle molteplici e imprevedibili evenienze delle vicende investigative. Identificazione della persona sottoposta alle indagini e delle altre persone L’art. 349 regola l’identificazione, cioè l’attività di regola prodromica ad ogni altro accertamento ad opera della polizia giudiziaria, sulla base delle dichiarazioni fornite dallo stesso soggetto: Persona sottoposta alle indagini: in virtù del richiamo all’art. 66 (cfr. anche art. 21 disp. att.), essa deve essere ammonita circa le conseguenze penali di un rifiuto o di una dichiarazione mendace e altresì invitato a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni; Modalità di esecuzione: pur in assenza di un esplicito richiamo, la procedura è quella indicata nel Libro III, salvo quanto previsto per l’assistenza difensiva ex art. 356 e per la perquisizione domiciliare, che può essere eseguita anche fuori dai limiti temporali previsti dall’art. 251, quando il ritardo potrebbe pregiudicare l’esito. La polizia deve trasmettere senza ritardo, e comunque non oltre le 48 ore dal compimento dell’atto, il verbale della perquisizione al p.m., che dovrà convalidarla nelle successive 48 ore. Acquisizione di plichi L’art. 353 disciplina il potere della polizia giudiziaria di acquisire plichi, sigillati o altrimenti chiusi, e trasmetterli intatti al p.m. per l'eventuale sequestro. Nel rispetto dell’art. 15 Cost., l’autorità giudiziaria è legittimata ad accedervi immediatamente in due situazioni di urgenza: Fondato motivo di ritenere che i plichi contengano notizie utili alla ricerca e all’assicurazione di fonti di prove che potrebbero andare disperse a causa di ritardo (cfr. pericolo di dispersione della prova). L'ufficiale informa col mezzo più rapido il p.m., e questi può autorizzarne l'apertura immediata e l'accertamento del contenuto. Il difensore ha diritto di partecipare; Oggetti di corrispondenza per i quali è consentito il sequestro (es. lettere, pieghi, pacchi): gli ufficiali della polizia giudiziaria, in caso di urgenza, ordinano a chi è preposto al servizio postale di sospendere l'inoltro. Se entro 48 ore il p.m. non dispone il sequestro, gli oggetti di corrispondenza vengono inoltrati. Accertamenti urgenti Gli ufficiali della polizia giudiziaria, in situazioni di necessità e urgenza, possono compiere rilevi e accertamenti, al fine di conservare le tracce e le cose pertinenti al reato e impedire l’alterazione del loro stato fino all’intervento del p.m. (non può intervenire tempestivamente o non abbia ancora assunto la direzione delle indagini). Essi possono avvenire su: Persone; Luoghi: modalità che si limitino ad osservare e a cogliere i particolari immediatamente visibili, senza che sia consentito procedere a operazioni incidenti sulla sfera personale del soggetto (vs. ispezione, che è più invasiva e a cui non segue pertanto il corredo di garanzie, residuando soltanto il diritto all’assistenza difensiva); Materiale informatico o telematico: gli ufficiali devono le misure tecniche o impartire le prescrizioni necessarie ad assicurare la loro conservazione, impedirne l’alterazione e l’accesso, e provvedendo, ove possibile, all’immediata duplicazione su adeguati supporti mediante una procedura che assicuri la conformità della copia all’originale e la sua immodificabilità. Sequestri La polizia giudiziaria potrà, quando necessario, procedere al sequestro del corpo del reato e delle cose ad esso pertinenti, dando atto nel relativo verbale del motivo del provvedimento e consegnarne copia alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. Il verbale va trasmesso senza ritardo, e comunque entro 48h, al p.m. dove luogo il sequestro è stato eseguito, il quale potrà: Convalidare il sequestro: decreto motivato, da notificarsi alla persona alla quale le cose sono state sequestrate. o Richiesta di riesame: entro 10 giorni dalla notifica o dalla conoscenza dell'avvenuto sequestro, la persona indagata, il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sottratte e quella che avrebbe diritto alla restituzione, possono proporre richiesta di riesame, senza però sospendere l’esecuzione del provvedimento. Ordinare la restituzione delle cose sequestrate. Pubblico ministero L’art. 370.1 riafferma la titolarità delle indagini del p.m., già indicata nelle disposizioni generali che introducono la disciplina della fase investigativa, stabilendo che il p.m. deve compiere personalmente ogni attività di indagine. Delega Essendo irrealistica la prospettiva di un p.m. attore unico di ogni indagine, per ragioni di efficienza si prevede che il dominus possa avvalersi della polizia giudiziaria: Delega globale: l’ambito dell’intervento sostitutivo è esteso a tutto lo svolgimento delle indagini, salvo gli atti espressamente riservati al magistrato, per cui vi è divieto di delega (es. interrogatorio di persona privata della libertà – è possibile solo quello di persona libera e in presenza di un difensore); Delega di specifici atti: se investita del correlativo potere di indagine dal p.m., la polizia giudiziaria potrà assumere attività di regola riservata al solo organo di accusa. Gli atti compiuti su delega hanno la stessa disciplina di quelli compiuti personalmente dal magistrato, in quanto l’art. 370.2 stabilisce che la polizia osserva le disposizioni degli artt. 364, 365 e 373. (cfr. informazione di garanzia inviata agli interessati; necessaria presenza del difensore nei casi ove sia prescritta; garanzie difensive; documentazione). o Quando si tratta di assumere singoli atti nella circoscrizione di un altro tribunale, il p.m. può scegliere di procedervi personalmente, delegare al personale della polizia giudiziaria apparente ad uffici ricompresi nel circondario di altro tribunale, oppure delegare il p.m. presso il tribunale territorialmente competente. La delega è limitata a singoli atti che devono essere individuati dal titolare delle indagini, ma il magistrato così investito ha facoltà di procedere di propria iniziativa anche agli atti che, a seguito dello svolgimento di quelli specificamente delegati, che gli appaiono necessari ai fini delle indagini. Peraltro, perché sia legittimato ad esorbitare dall’oggetto della delega, devono ricorrere ragioni di urgenza o altri gravi motivi. Coordinamento investigativo Per evitare che la frammentazione investigativa riconducibile ai criteri di legittimazione del p.m. possa nuocere all’efficienza delle indagini, sotto il profilo della celerità e nell’esigenza di una visuale estesa dei fenomeni criminali, il legislatore ha apprestato diversi sistemi di cooperazione tra uffici: Copie di atti o informazioni scritte sul loro contenuto: il p.m. richiede all’autorità giudiziaria; Coordinamento delle indagini collegate: gli uffici diversi del p.m. che procedono a indagini collegate si devono coordinare tra loro per la speditezza, economia ed efficacia delle indagini medesime (art. 371). A tali fini, hanno: o Obbligo di reciproca informazione: scambio di atti e comunicazione delle direttive rispettivamente impartite alla polizia giudiziaria; o Facoltà di cooperazione: possono altresì procedere congiuntamente al compimento di specifici atti. La ratio dell’istituto è quella di costituire un temperamento alla drastica riduzione dei casi di connessione, quale effetto della scelta legislativa di ridurre l’elefantiasi processuale, più difficilmente conciliabile con la struttura accusatoria del rito vigente, determinata dai maxi-processi: alla necessità di ridurre il ricorso ai processi cumulativi si dovevano contrapporre misure idonee a evitare l'eccessiva parcellizzazione delle indagini. L’istituto del coordinamento è applicabile in un triplice novero di ipotesi di indagini collegate: Procedimenti connessi a norma dell’art. 12: di norma, le indagini dovrebbero essere oggetto di un’indagine unica accentrata presso un unico ufficio del p.m. (giudice competente ai sensi dell’art. 16). Tuttavia, anche tenuto conto della regola di cui all’art. 28.3, gli organi di indagine, prima del momento di esercizio dell’azione penale, sono liberi di optare per la concentrazione dei procedimenti presso lo stesso ufficio o di trascurare i vincoli che legano i reati e di indagare sugli stessi separatamente e accedendo, se del caso, al meccanismo del coordinamento investigativo; Reati dei quali gli uni sono stati commessi in occasione degli altri; per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri il profitto, il prezzo, il prodotto o l’impunità; se si tratta di reati commessi da più persone in danno reciproco le une dalle altre; se la prova di un reato o di una circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza; La prova di più reati deriva, anche in parte, dalla stessa fonte. Viste le renitenze collaborative degli organi di indagine, sono stati introdotti alcuni correttivi che suppliscono al mancato spontaneo coordinamento almeno in riferimento alle indagini per i reati di più grave allarme sociale. In particolare, il Procuratore Generale presso la Corte d’appello (o il Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i reati di cui all’art. 51 commi 3-bis e 3-ter.) può, da solo o di intesa con altri procuratori generali, promuovere il coordinamento delle indagini in una serie di casi specificamente previsti e, in caso di mancato coordinamento, assunte le necessarie informazioni, può disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari. Attività di indagine In esordio del Titolo V, l’art. 358 impone al p.m. di compiere ogni attività necessaria, ai fini indicati nell’art. 326 – finalità delle indagini, fugando ogni equivoco sul carattere non istruttorio degli atti compiuti dall’organo di accusa: Atti investigativi tipici: strumenti legislativamente previsti caratterizzati da tendenziale fluidità delle forme, in funzione della natura processuale delle indagini preliminari e della loro limitata spendibilità probatoria. La scelta originaria compiuta in proposito dal legislatore dell’88 ha subito delle correzioni di rotta, man mano che ci si rendeva conto che in alcuni casi le fasi successive all'esercizio dell’azione penale non erano del tutto impermeabili rispetto ai risultati della fase preliminare. Essi sono largamente corrispondenti al Libro III del codice: o Mezzi di prova (Titolo II): diversamente denominati per rimarcare la differenza di natura e di regime tra gli atti compiuti davanti al giudice e quelli compiuti davanti al p.m. ad uso esclusivamente endofasico (cfr. accertamenti tecnici; individuazioni; assunzione di informazioni; interrogatorio di persone imputate in un procedimento connesso e della persona sottoposta a indagini (forme ex artt. 64-65). Non sono stati specificamente disciplinati i confronti. o Mezzi di ricerca della prova (Titolo III): contributi conoscitivi originariamente irripetibili, e dunque deputati a confluire nel fascicolo per il dibattimento, geneticamente predisposti per assumere un ruolo che esorbita dalla sola fase preliminare. La titolarità è posta in capo all’autorità giudiziaria (ispezioni, perquisizioni, sequestri) o esclusivamente al p.m. su autorizzazione del giudice (intercettazioni). Atti investigativi atipici: non disciplinati dalla legge (cfr. atti atipici della p.g., con i limiti dei diritti fondamentali e rispetto della legalità probatoria). Accertamenti tecnici e rilievi L’art. 359 stabilisce che il p.m., per compiere accertamenti o rilievi (segnaletici, descrittivi e fotografici) ed ogni altra operazione tecnica per cui sono necessarie specifiche competenze di natura tecnica, scientifica o artistica, può nominare consulenti tecnici, tra le persone iscritte negli albi dei periti (cfr. art. 220), affinché sia garantito lo stesso livello di affidabilità e di professionalità del loro apporto, e che non possono rifiutare la loro opera. La giurisprudenza distingue: Accertamenti: attività materiali che richiedono un certo grado, più o meno elevato, di capacità tecnica, ma anche e soprattutto la discrezionalità valutativa e critica dei risultati ottenuti; Rilievi: operazioni di osservazione e descrizione meramente esecutive che non suppongono alcun tipo di valutazione o di elaborazione critica (cfr. ogni altra operazione tecnica necessaria). Il ruolo del consulente viene esteso a qualsiasi attività di carattere materiale che necessiti di una competenza, scientifica o tecnica. La disciplina del consulente tecnico (status, poteri, rapporti dell’attività) risulta controversa, in quanto è dubbio se si possa estendere ad essa quella della perizia: Assenza di rilevanza probatoria: essendo operazioni ripetibili, la consulenza tecnica non cristallizza risultati probatori spendibili in dibattimento. Tuttavia, ove compatibili, possono applicarsi le regole in tema di prova: o Il consulente può essere sentito oralmente in dibattimento (o gli esiti ottenuti possono essere utilizzati nei riti alternativi); o Divieto di adottare metodi o tecniche contrastanti con l’art. 188 (libertà morale); o Incapacità e incompatibilità ex art. 225; o Possono assistere a singoli atti di indagine; o Tenuti al segreto, in quanto nella loro veste di ausiliari del p.m. assumono la qualità di pubblici ufficiali. In caso di divulgazione, ai sono punibili ai sensi dell’art. 326 c.p. Presenza facoltativa dell’indagato/difensore: non vi è obbligo di coinvolgere la persona sottoposta alle indagini e il suo difensore; Accertamenti non ripetibili In rapporto di genus a species rispetto all’art. 359, l’art. 360 tratta esclusivamente degli accertamenti (non rilievi) che riguardino persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione, cioè che, date le loro caratteristiche, non possono essere rinviati o ripetuti al dibattimento. L’art. 117 disp. att. stabilisce che le che consentono l’utilizzabilità in dibattimento di dichiarazioni rese da una persona informata dai fatti nella fase delle indagini preliminari. Assunzione di informazioni Il p.m. può emettere il decreto di citazione delle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini con le forme previste dall’art. 362. Il decreto deve contenere le generalità della persona; il giorno, l'ora e il luogo della comparizione, nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; l'avvertimento che il pubblico ministero potrà disporre ex art. 133 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata comparizione senza che sia stato addotto legittimo impedimento. Il legislatore ha evitato l’enunciazione puntuale di ogni singola fattispecie, richiamando l’analogo atto della polizia giudiziaria (cfr. art. 351 – sommarie informazioni), in quanto discipline pressoché sovrapponibili e con le forme e garanzie proprie della testimonianza: Dichiarante renitente, reticente o mendace: il soggetto, che rilascia dichiarazioni false o tace in tutto o in parte ciò che sa intorno ai fatti su cui viene sentito, è punibile ai sensi dell’art. 371-bis c.p. (profilo che interrompe la simmetria con l’atto di polizia ex art. 351): o Rifiuto: immediata procedibilità; o False dichiarazioni: il procedimento resta sospeso fino a quando nel processo nel corso del quale sono state assunte le informazioni sia stata pronunciata sentenza di primo grado o il procedimento sia stato anteriormente definito con archiviazione o sentenza di non luogo a procedere. Infatti, la valutazione della falsità delle dichiarazioni potrebbe venire sconfessata dall’accertamento operato nel processo in cui le dichiarazioni sono rilasciate. Il soggetto che ritratti non oltre la chiusura del dibattimento non è punibile – ravvedimento operoso, del quale beneficerebbe il processo ancora in itinere; False dichiarazioni preordinate: la sospensione non opera se i fatti di cui all’art 371bis c.p. sono commessi al fine di impedire, ostacolare o sviare un’indagine o un processo penale in relazione ai delitti di associazione per delinquere di stampo mafioso, strage o ai reati concernenti il traffico illegale di armi o di materiale nucleare, chimico o biologico ecc. Resta però fermo, in ogni caso, il divieto di arresto in flagranza, per evitare il pregiudizio all’auto-determinazione del potenziale testimone, il quale potrebbe essere intimidito dall’uso strumentale della misura precautelare. Limiti imposti in funzione della tutela dell’attività difensiva: divieto di chiedere informazioni sulle domande già formulate e sulle risposte date; Recepimento di peculiari forme di tutela per: o Soggetti deboli (cfr. ausilio di esperti per i minori e, successivamente, anche per le persone vulnerabili); o Reati commessi con violenza contro la persona (cfr. artt. 572, 609bis, 609ter, 609quater, 609quinquies, 609octies e 612bis c.p.; artt. 582 e 583quinquies c.p. nelle ipotesi aggravate), per cui l’assunzione delle informazioni deve avvenir entro il termine di tre giorni dall’iscrizione del reato, salve sempre le imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell'interesse della persona offesa. Infatti, dal ritardo potrebbe solo scaturire un’eventuale responsabilità disciplinare. Il novero di reati non coincide del tutto con l’ambito applicativo dell’art. 347, in quanto non tutti i reati, che pur si svolgono verso soggetti in situazione di vulnerabilità, necessitano le medesime misure di cautela (es. l’omesso riferimento all’art. 612-ter può spiegarsi considerando che, essendo il reato perseguibile a querela della persona offesa, il reato di diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite manifesta un grado di violenza minore rispetto ai reati contro la libertà personale; non per tutti i delitti contemplata nel comma 1-bis potrebbe essere utile o coerente l’estensione della nuova regola, che impone al p.m. l’immediata audizione della persona offesa). Ai sensi dell’art. 363, il p.m. può interrogare le persone imputate in un procedimento connesso a norma dell’art. 12, nonché le persone imputate di un reato collegato, ex art. 371 comma 2 lett. b, a quello per cui si procede, nelle forme dettate dall’art. 210; ad esse vengono estesi i diritti ed i doveri che ne connotano la figura ibrida: può essere disposto l’accompagnamento coattivo del dichiarante; egli deve essere avvertito della facoltà di non rispondere alle domande, nonché, ove si tratti dell’ipotesi di connessione ex art. 12 lett. c o di collegamento, deve essere destinatario dell’avviso di cui all’art. 64 3° co. lett. c. Interrogatorio Il p.m. può assumere il sapere della persona sottoposta alle indagini, attraverso l’interrogatorio, con le forme disciplinate negli artt. 64 e 65. L’interrogatorio ha la funzione sia di un’esplicazione dell’auto-difesa dell’imputato sia di un atto investigativo con il quale l’organo che svolge le indagini può assumere informazioni da un soggetto, le cui parole possono rivestire un ruolo di significativa importanza per la ricostruzione del quadro probatorio. Come qualsiasi atto investigativo, l’interrogatorio è rimesso ad una scelta strategica del p.m. che, lungo il corso dell’intera fase, può decidere se e quando compierlo. Infatti, il p.m. ha l’obbligo di sentire il soggetto, solo se, a seguito dell’avviso di conclusione delle indagini ex art. 415-bis, l’indagato, avvertito delle facoltà che gli sono riconosciute, lo richieda. Prima di quel momento, può presentarsi in ogni tempo al p.m. per rilasciare dichiarazioni spontanee, che il p.m. può raccogliere (cfr. la giurisprudenza esclude che si configuri un vero e proprio diritto di intervento in capo alla persona sottoposta ad indagine, in quanto non ravvisa nel rifiuto all’ascolto alcuna nullità) o contestare il fatto e convertire il colloquio in interrogatorio Comunque, l’iniziativa dell’indagato nell’approccio con l’organo di accusa non pregiudica l’applicazione di misure cautelari. Se il p.m. decide di sentire la persona sottoposta alle indagini, di propria iniziativa o perché la sua presenza è necessaria per il compimento dell’atto (interrogatorio, confronto, ispezione o individuazione), dovrà inviarle un invito a presentarsi (art. 375), eventualmente potendo disporne, su autorizzazione del giudice, l’accompagnamento coattivo (art. 376), almeno 3gg prima di quello fissato per la comparizione, salvo ragioni di urgenza, per cui il p.m. ritenga di abbreviare il termine (lasciando il tempo necessario per comparire). L’invito deve contenere le generalità o le altre indicazioni personali che valgono a identificare la persona sottoposta alle indagini; il giorno, l'ora e il luogo della presentazione nonché l'autorità davanti alla quale la persona deve presentarsi; il tipo di atto per il quale l'invito è predisposto; l'avvertimento che il p.m. potrà disporre a norma dell'articolo 132 l'accompagnamento coattivo in caso di mancata presentazione senza che sia stato addotto legittimo impedimento; la sommaria enunciazione del fatto quale risulta dalle indagini compiute fino a quel momento. L'invito può inoltre contenere l'indicazione degli elementi e delle fonti di prova e l'avvertimento che potrà essere presentata richiesta di giudizio immediato. Documentazione degli atti della polizia giudiziaria e del p.m. Tutti gli atti d’indagine preliminare necessitano di una forma di documentazione semplificata rispetto a quella degli atti del giudice, salvo la necessità del verbale per atti specificamente individuati: Atti di polizia giudiziaria: o Annotazione: a forma libera, secondo le modalità ritenute più idonee ai fini delle indagini, e sommarie, per tutte le attività svolte, comprese quelle dirette all’individuazione delle fonti di prova; o Verbale (art. 373): disciplina più rigorosa riservata agli atti previsti nell’art. 357.2 (stessa forma prevista per la documentazione degli atti del giudice). Essi sono suscettibili di confluire, per genetica vocazione o per occorrenze accidentali, nel fascicolo dibattimentale, nonché posta a disposizione del p.m. confluendo nel fascicolo delle indagini: Denunce, querele e istanze presentate oralmente; Sommarie informazioni e dichiarazioni spontanee dell’indagato; Informazioni assunte a norma dell’art. 351; Perquisizioni e sequestri; Identificazione di persone; Acquisizione e apertura plichi, fermo di corrispondenza; Rilievi e accertamenti sullo stato di persone, cose e luoghi; Atti descrittivi di fatti e situazioni redatti prima che il p.m. impartisse direttive per lo svolgimento delle indagini. Atti del p.m.: tendenziale principio di libertà delle forme: o Annotazioni: se si tratta di atti a contenuto semplice o di limitata rilevanza; o Verbale riassuntivo; o Verbale (art. 373): forme (e cause di nullità) previste per gli atti del giudice per: Denunce, querele e istanze di procedimento presentate oralmente; Interrogatorio e confronto dell’indagato; Ispezioni, perquisizioni, sequestri; Sommarie informazioni assunte a norma dell’art 362; Interrogatorio assunto a norma dell’art. 363; Accertamenti tecnici ex art 360. Gli atti devono essere documentati contestualmente al loro compimento, per garantire l’esatta rispondenza del contenuto a quanto avviene in presenza del verbalizzante (l’ufficiale di polizia giudiziaria o l’ausiliario che assiste il p.m.), salvo insuperabili circostanze, da indicarsi specificamente, per cui la legge ammette che la documentazione possa avvenire immediatamente dopo. L’atto contenente la notizia di reato e la documentazione relativa alle indagini sono conservati in un apposito fascicolo presso l’ufficio del p.m., assieme agli atti trasmessi dalla polizia giudiziaria. Misure precautelari Nel Titolo VI sono disciplinate le misure precautelari, cioè gli istituti che consentono la provvisoria restrizione della libertà personale: Funzioni: stretta connessione con i momenti significativi dell’attività di indagine della polizia giudiziaria e del p.m. (es. l’arresto in flagranza tende a coincidere con l’apprensione della notizia di reato, ponendo chi lo esegue di fronte ad immediate esigenze di assicurazione della prova); Presupposti: eccezionali necessità ed urgenza in deroga alla riserva di giurisdizione ex art. 13 Cost. Tuttavia, essi si connotano per la loro provvisorietà, essendo destinati a decadere se non convalidati dal giudice (unico competente, in quanto il p.m. non può incidere sulla libertà dell’imputato) attraverso una procedura assistita da rigide cadenze temporali; Titolarità dei poteri: o Arresto in flagranza: riservato alla polizia giudiziaria; o Fermo: p.m.; o Allontanamento dalla casa familiare: polizia giudiziaria, su autorizzazione del pm. Ambito applicativo: o Fasce di reati: individuate secondo un criterio qualitativo e un criterio quantitativo, secondo i criteri di computo della pena stabiliti dall’art. 278, in relazione all’applicazione delle misure cautelari; o Divieti: il provvedimento di limitazione della libertà personale non può essere emesso in assenza di un elemento essenziale per la punibilità o in presenza di cause di giustificazione, di estinzione del reato e della pena (es. adempimento di un dovere; esercizio di una facoltà legittima; causa di giustificazione), pena l’illegittimità. Rapporto con le misure cautelari: la collocazione sistematica è volta a segnalare le peculiarità degli istituti rispetto alle forme di restrizione della libertà previste nel Libro IV, nel quale viene disciplinato il rapporto tra processo penale e libertà del soggetto coinvolto. Le misure precautelari possono essere poste in rapporto di stretta strumentalità rispetto all’applicazione delle misure cautelari personali coercitive, che possono essere adottate nel corso della procedura di convalida ove ve ne siano i presupposti. Pur non essendoci una concatenazione necessaria, la Corte costituzionale ha ravvisato in questo rapporto il fondamento di legittimità dei poteri precautelari degli organi investigativi. Arresto in flagranza Gli artt. 380 ss. disciplinano l’arresto in flagranza: Titolarità: o Polizia giudiziaria: ufficiali ed agenti; o P.m.: titolarità riconosciuta generalmente in via interpretativa, in quanto sarebbe sistematicamente poco giustificabile negare al soggetto preposto alla conduzione delle indagini quanto è consentito a chi di regola deve eseguirne le direttive. La legge menziona espressamente la sua titolarità nel caso dell’arresto per i reati commessi in udienza; o Privati: nei soli casi dell’art. 380, ossia quando il suo esercizio da parte degli organi di polizia sarebbe obbligatorio, e solo se si tratta di delitti perseguibili d’ufficio. La persona che ha eseguito l’arresto deve consegnare l’arrestato e l’eventuale corpo del reato senza potrà decidere dei limiti della richiesta del p.m. e sulla scorta degli elementi a sostengo della richiesta come in ogni altro caso. Procedimento di convalida Eseguito l’arresto o il fermo, la polizia giudiziaria deve operare contestualmente su un duplice fronte, di informazioni a tutela dell’arrestato o del fermato e un passaggio di consegne tra polizia, p.m. e giudice. Innanzitutto, la polizia giudiziaria deve: Informare: o Soggetto privato della libertà: comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, se questi non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile (se non è possibile farlo scritto, lo si fa oralmente, salvo l’obbligo di fornire la comunicazione scritta senza ritardo), con cui lo informano dei propri diritti (cfr. art. 386 – es. difensore; informazioni in merito all’accusa; interprete; facoltà di non rispondere; accesso agli atti); o Familiari: la polizia giudiziaria, con il consenso dell’interessato (per ragioni umanitarie), deve avvertire senza ritardo i familiari di quanto avvenuto; o Difensore: la polizia deve informare immediatamente il difensore di fiducia eventualmente nominato o quello di ufficio disegnato dal p.m. ex art. 97. Immediata notizia al p.m.: del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito, che può essere in ipotesi diverso dal magistrato che lo aveva disposto; o Madre con prole di minore età: notizia senza ritardo al p.m. territorialmente competente e al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni del luogo dell’arresto o del fermo, per consentire alle autorità destinatarie dell’informativa di attivarsi tempestivamente per non lasciare sforniti di tutela i minori privati della figura materna. Messa a disposizione del p.m.: lo deve condurre, al più presto e comunque non oltre 24 ore dall'arresto o dal fermo, nella casa circondariale o mandamentale del luogo dove l’arresto o il fermo è stato eseguito, salvo quanto previsto dall’art. 558 (convalida dell'arresto e giudizio direttissimo); Verbale: entro lo stesso termine, salvo l’autorizzazione di una maggiore dilazione, la polizia deve trasmettere il relativo verbale, anche per via telematica, al p.m. del luogo in cui è avvenuto e, se diverso, anche a quello ha disposto il fermo. Esso deve contenere l’eventuale nomina del difensore di fiducia, l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito e l’enunciazione delle ragioni che lo hanno determinato, nonché la menzione dell’avvenuta consegna della comunicazione scritta o dell’informazione orale fornita ai sensi del comma 1bis. Entrambi gli adempimenti sono previsti a pena di perdita di efficacia della misura. Successivamente, il p.m., entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, deve: Inoltrare la richiesta di convalida al g.i.p. competente (luogo dell’arresto o fermo): o Scarcerazione immediata: se non intende chiedere una misura cautelare personale, in quanto ritiene che l’arresto sia illegittimo (fuori dai casi previsti; errore di persona; difetto dei presupposti), potrà disporre l’immediata liberazione del soggetto, ma dovrà comunque inoltrare la richiesta a cui farà seguito l’udienza di convalida, al fine di accertare la legalità dell’arresto, verificando i requisiti di legittimità dei provvedimenti sulla libertà personale adottabili dall’autorità di pubblica sicurezza. L’art. 121.2 disp. att. precisa che il giudice, nel fissare l’udienza, deve darne avviso, senza ritardo, anche alla persona liberata; Interrogatorio: nelle more della richiesta di convalida, se lo reputi utile, e previo tempestivo avviso al difensore (di fiducia o d’ufficio), si può procedere all'interrogatorio (art. 388), nelle forme e nei modi di cui agli artt. 64 e 65; Trasmettere documentazione: il p.m. dovrà trasmettere il verbale di arresto o di fermo e copia della documentazione attestante che l'arrestato o il fermato è stato tempestivamente condotto nel luogo di custodia; trasmette inoltre il decreto di fermo (art. 122 disp. att.). Infine, il giudice deve: Fissare udienza di convalida: al più presto e comunque entro le 48 ore successive, dandone avviso al p.m. e al difensore. o Luogo: l'udienza di convalida si celebra in camera di consiglio nel luogo in cui l'arrestato o il fermato si trova custodito, salvo nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Quando sussistono eccezionali motivi di necessità o di urgenza, il giudice, con decreto motivato, può disporre il trasferimento del soggetto per la comparizione davanti a sé; o Partecipazione: Necessaria del difensore: diritto di consultare ed estrarre copia dei documenti presentati per la convalida; Facoltativa del p.m.: se compare, indica i motivi dell’arresto o del fermo, ed illustra le richieste in ordine alla libertà personale; altrimenti, deve trasmettere al giudice le sue richieste, con gli elementi su cui le stesse si fondano. Interrogatorio: dopo aver verificato, anche d’ufficio, che al soggetto sia stata data la comunicazione, scritta o orale, il giudice procede all'interrogatorio dell'arrestato o del fermato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire; in ogni caso sente il suo difensore; Convalida: il giudice, entro 48 ore, convalida il provvedimento legittimo con ordinanza ricorribile per Cassazione e, se richiesta dal p.m. e in presenza delle condizioni richieste, dispone l’applicazione di una misura coercitiva (non sempre è necessaria); o Mancata convalida: l'arresto o il fermo cessa di avere efficacia se l'ordinanza di convalida non è pronunciata o depositata nelle 48 ore successive alla messa a disposizione del giudice. Possono altresì essere previste conseguenze di natura disciplinare ed eventuale riparazione per ingiusta detenzione. o Immediata liberazione: se non emette il provvedimento restrittivo dispone, sempre con ordinanza, l'immediata liberazione dell'arrestato o del fermato. Comunicazione al p.m.: le ordinanze devono essere notificate a coloro che abbiano diritto di proporre impugnazione e, se non comparsi in udienza, al p.m. e all’arrestato o al fermato. I termini per l'impugnazione decorrono dalla lettura del provvedimento in udienza o dalla sua comunicazione/notificazione. Diritto di difesa La L. 397/2000 ha introdotto una compiuta regolamentazione delle investigazioni difensive, sulla premessa della possibilità di conoscere l’ipotesi di reato provvisoriamente elevata a carico dell’indagato. Infatti, all’indagine ufficiale del p.m., organo pubblico e dominus della fase preliminare, si affianca un’indagine speculare all’accusa di carattere privato, a beneficio della posizione del principale interessato, seppur nei limiti segnati dall’ineliminabile disparità tra parte pubblica e imputato nel processo penale (es. il p.m. conserva un onere di obiettività – l’art. 358 stabilisce che gli competono accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini – che non può gravare sul difensore). Il difensore, ai sensi dell’art. 327-bis, può svolgere investigazioni per ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito, fin dal momento del conferimento dell’incarico professionale, che può essere attribuito in ogni stato e grado del procedimento, nell’esecuzione penale e per promuovere il giudizio di revisione. Inoltre, il difensore può ricevere un apposito mandato (art. 391-nonies.2), che lo abiliti a svolgere indagini, con esclusione di quegli atti che richiedano l’autorizzazione o l’intervento dall’autorità giudiziaria, anche prima che si instauri un procedimento penale e per la mera eventualità che ciò avvenga. Il difensore può procedere alle investigazioni personalmente o conferire apposito incarico a dei collaboratori (sostituto; investigatori privati autorizzati, o, allorché siano necessarie specifiche competenze, consulenti tecnici) ai quali vengono sono riconosciute le stesse garanzie di libertà accordate al difensore (cfr. art. 103 commi 2 e 5); agli investigatori privati e ai consulenti tecnici vengono imposti particolari requisiti al fine di garantire la professionalità e il corretto esercizio dell’attività (es. art. 222 – apposita autorizzazione del prefetto per gli investigatori privati; il p.m. deve selezionare i consulenti dall’albo dei periti). Il difensore estende i diritti dell’indagato (es. partecipazione del diretto interessato e del suo difensore agli atti compiuti dagli organi di indagine, in deroga all’obbligo di segretezza). Conoscenza dell’accusa L’art. 111.3 Cost., in apertura del catalogo di diritti riconosciuti all’imputato nel processo penale, prevede che la legge debba assicurare che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico. In linea generale, la conoscenza tempestiva dell’addebito è premessa indefettibile per articolare proficuamente un ruolo attivo della difesa nella fase preliminare. Tuttavia, tale principio viene contemperato con l’esigenza di salvaguardare l’efficienza delle indagini, che potrebbero essere pregiudicate dalla prematura conoscenza dalle stesse (es. in alcuni casi, la fase preliminare può svolgersi interamente, fino a chiudersi, senza che il diretto interessato ne sia a conoscenza). In particolare, l’indagato può venire a conoscenza del procedimento a suo carico in vari modi: Informazione di garanzia: il p.m. deve inviare alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa, per posta in piego chiuso raccomando a/r, l’avviso al compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere. L’avviso non illustra il fatto, ma si limita ad indicare gli estremi formali dell’addebito (cfr. norme di legge che si assumono violate; data e luogo del fatto; invito a nominare un difensore di fiducia). La sua funzione principale, più che attuare un obbligo di informazione ex art. 111.3, è quello di porre l’indagato in condizione di nominare un difensore di fiducia in grado di assistere all’atto di indagine, oltre che far conoscere l’accusa nei suoi tratti sostanziali. Infatti, il legislatore, per evitare la diffusione della notizia di un reato attribuito ad un provvisorio colpevole (in spregio alla presunzione di innocenza), ha cercato di limitare la discrezionalità dei tempi dell’adempimento (cfr. solo quando debba essere presente un difensore). o La giurisprudenza ha individuato atti equipollenti, dotati dei medesimi requisiti informativi: Accertamento tecnico irripetibile o un interrogatorio; Perquisizione o sequestro: consegna dei relativi decreti all’indagato, invitandolo contestualmente a nominare un difensore. Le SU hanno precisato che, ove la persona sottoposta alle indagini non abbia assistito all’atto, una volta che questo sia compiuto, viene ad esaurirsi l’esigenza preclusiva connessa alla sorpresa, con la conseguenza che riemerge l’obbligo del p.m. del tempestivo inoltro dell’informazione, al fine di assicurare all’interessato la pienezza delle facoltà difensive. Attività investigative: nel corso dell’attività di indagine della polizia giudiziaria che si svolgono in sua presenza (es. sommarie informazioni, perquisizioni, accertamenti) o in occasione di atti che lo vedono come protagonista passivo (es. misure precautelari o cautelari; incidente probatorio richiesto dal p.m.; richiesta di proroga dei termini di indagine); Avviso delle conclusioni delle indagini: il p.m., al termine dell’iter investigativo e avendo raccolto elementi sufficienti in chiave accusatoria (non intende formulare richiesta di archiviazione, ma vuole dare inizio al processo), ha l’obbligo di informare la persona sottoposta alle indagini, l’offeso nei reati ex artt. 572 e 612bis e i relativi difensori, pena la nullità della successiva richiesta di rinvio a giudizio; o L’avviso dovrà contenere la sommaria enunciazione del fatto e delle norme che si assumono violate; data e luogo del fatto; avvertimento che la documentazione è depositata presso la segreteria del p.m. e la relativa facoltà dell’indagato e difensore di prenderne visione e copia; o L’indagato, reso edotto della notizia di reato e dell’intera documentazione raccolta, può instaurare un contraddittorio sul fatto addebitatole e sugli esisti investigativi prima che l’accusa sia formalizzata, verificando o contraddicendo l’impianto accusatorio cui le indagini hanno messo capo, ma anche lucrare un supplemento investigativo; o Si tratta di un’informazione tardiva, in quanto prima di questo momento, la persona sottoposta alle indagini può avere conoscenza dell’esistenza di un procedimento a suo carico in via solo eventuale, in quanto l’informazione potrà pervenirle o meno a seconda della scelta di strategia investigativa degli organi inquirenti. Iniziativa del diretto interessato: l’art. 335.3 prevede che l’iscrizione della notizia di reato e gli eventuali aggiornamenti della stessa sono comunicati alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori, ove ne facciano richiesta. Infatti, se un soggetto ha motivo di ritenere di essere sottoposto ad un procedimento presso un determinato ufficio giudiziario, o se sia stato destinatario di un’informazione di garanzia, può richiederlo. o Limitazioni: ogniqualvolta l’iscrizione non risulti o non possa essere comunicata (cfr. delitti di cui all’art. 407.2 (a), nella logica del doppio binario), la segreteria della Procura della Repubblica risponderà con la formula “non risultano iscrizioni suscettibili di essere comunicate”. Inoltre, l’accesso a tale canale informativo può subire limitazioni anche di carattere temporaneo, in quanto, se sussistono specifiche esigenze attinenti all'attività di alle modalità di svolgimento e documentazione degli atti e alla possibilità di utilizzare gli elementi raccolti; Privo di poteri coercitivi: il difensore dovrà ricorrere al giudice o al p.m., chiedendo che lo soccorrano di fronte a fonti di prova renitenti e a pubbliche amministrazioni resistenti; oppure quando si tratti di assicurare garanzie difensive a soggetti indiziati od ottenere l’autorizzazione ad ascoltare dichiaranti detenuti; Finalità delle rispettive indagini: o Indagine pubblica: corollario della legalità, cui è impressa un onere di oggettività; o Indagine privata: ricercare ed individuare elementi di prova a favore del proprio assistito. Il difensore ha ampia libertà nell’individuare e approfondire temi di prova proprio in ragione dell’univoco orientamento della sua azione (es. decidere se documentare la propria attività; se e quando immettere i verbali autonomamente redatti nel procedimento). Acquisizione di notizie da persone informate sui fatti L’art. 391bis regola la possibilità per il difensore di conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa, a cui, prima dell’audizione, deve essere fornito il composito elenco di avvertimenti (art. 391bis.3), a pena di inutilizzabilità delle dichiarazioni (propria qualità e dello scopo del colloquio; se intendono semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; obbligo di dichiarare se sono sottoposte ad indagini o imputate nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato; facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione; divieto di rivelare le domande eventualmente formulate dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero e le risposte date; responsabilità penali conseguenti alla falsa dichiarazione). I soggetti con i quali il difensore e i suoi ausiliari possono conferire sono tutti coloro che siano in grado di riferire notizie utili, salva diversa indicazione, e con le garanzie ex art. 391bis: Incompatibilità a testimoniare (art. 197 lett. c e d: il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; e coloro che nel medesimo procedimento svolgono o hanno svolto la funzione di giudice, p.m. o loro ausiliario; il difensore che abbia svolto attività di investigazione di difesa e coloro che hanno formato la documentazione delle dichiarazioni e delle informazioni assunte). o Non si applicano le lett. a e b dello stesso articolo: il difensore può acquisire informazioni da persona sottoposta alle indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato a quello del proprio assistito. In tal caso, occorre, a pena di inutilizzabilità, che egli ne dia avviso almeno 24 ore prima al difensore di fiducia della persona, la cui presenza è necessaria. Se la persona è priva di assistenza difensiva, il giudice, su richiesta del difensore che procede alle investigazioni, dispone la nomina di un difensore d’ufficio ai sensi dell’art. 97. Persona detenuta: il difensore deve ottenere un’autorizzazione dell’autorità giudiziaria competente (se indagato, al g.i.p.; se imputato, al giudice procedente; se in esecuzione di pena, al magistrato di sorveglianza), che l’assume senza formalità ex art. 125.6, sentiti il p.m. ed il difensore del detenuto. La disciplina dell’acquisizione di notizie da fonti dichiarative è modulata attraverso tre differenti modelli: Colloquio non documentato: interlocuzione informale a cui il difensore o i suoi collaboratori ricorrono per sondare l’attendibilità, la pertinenza e la rilevanza delle conoscenze in possesso della persona contattata, ai fini della ricostruzione dei fatti. Tuttavia, i contenuti non possono acquisire valore probatorio (vs. altri modelli: solo difensore e al suo sostituto, in quanto dotate di potenziale valore probatorio, in quanto documentate e presidiate da una sanzione di inammissibilità per la mancata osservanza delle modalità di svolgimento previste); Ricezione di dichiarazione scritta documentata: il difensore o il suo sostituto possono chiedere alla persona informata sui fatti di rilasciare una dichiarazione scritta delle circostanze utili di cui è a conoscenza. In tal caso, la dichiarazione deve essere documentata, autenticata dal difensore ed allegata a una relazione da lui stesso redatta (cfr. data in cui ha ricevuto la dichiarazione; proprie generalità e quelle della persona che ha rilasciato la dichiarazione; fatti sui quali verte la dichiarazione; l’attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dall’art. 391bis.3), pena l’inammissibilità; Assunzione di informazioni: colloquio documentato, pena l’inammissibilità, a cui non possono assistere la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa e le altre parte private, per evitare che il dichiarante possa subire indebite influenze e, nel caso di persone minori nei procedimenti per i reati di cui all’art. 351.1ter, il difensore si avvale dell’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria. Sono previste specifiche modalità: o Dichiarazioni auto-indizianti (391bis.9): qualora il dichiarante renda dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, il difensore o il suo sostituto interrompono l’assunzione di informazioni da parte della persona non imputata o non sottoposta ad indagini, e le precedenti dichiarazioni non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese (sulla falsariga di quanto prevede l’art. 63); o Divieto di richiedere notizie su domande e risposte: in forma di reciprocità rispetto ai divieti posti ai funzionari di polizia e ai magistrati del p.m., è precluso al difensore e a chi lo affianchi nelle indagini, richiedere notizie sulle domande formulate e sulle risposte date alle persone già sentite dalla polizia giudiziaria o dal p.m. o La persona informata sui fatti deve rispondere secondo verità (cfr. davanti al p.m. e al giudice), pena la sua responsabilità per le false dichiarazioni rilasciate al difensore (371-ter c.p.), salvo la facoltà (e relativo avvertimento) di non rispondere o non rendere la dichiarazione al difensore. La difesa può rivolgersi al p.m., che, entro 7 giorni dalla richiesta (termine non perentorio), può disporre l’audizione del dichiarante renitente, sempre che non si tratti di persone sottoposte ad indagini nello stesso o in altro procedimento nelle ipotesi previste dall’art. 210. La richiesta di audizione tramite l’iniziativa difensiva in un atto dell’organo inquirente si svolgerà alla presenza del difensore, cui pure è concesso di formulare le domande per primo, ma con le forme previste dall’art. 362 per l’assunzione di informazione davanti all’organo di accusa. In alternativa all'audizione, il difensore, sia della persona offesa sia dell’indagato, può chiedere che il soggetto venga sentito con incidente probatorio. Per evitare che le indagini vengano pregiudicate dalla diffusione di notizie che appare opportuno non siano divulgate, se sussistono specifiche esigenze attinenti all’attività di indagine, il p.m. può, con decreto motivato, vietare, per una durata superiore a 2 mesi, alle persone sentite di comunicare i fatti e le circostanze oggetto dell’indagine di cui hanno conoscenza, avvertendo delle responsabilità penali conseguenti all’indebita rivelazione di notizie (delitto perseguibile ai sensi dell’art. 379-bis c.p.). Ove il difensore ritenga di voler utilizzare le informazioni provenienti della persona con la quale conferisce, il colloquio dovrà essere documentato e confluirà attraverso le forme ordinarie di documentazione degli atti previste dagli artt. 134-142, in quanto applicabili. Alla documentazione procede lo stesso difensore o un suo sostituto, i quali possono avvalersi per la materiale redazione del verbale di persona di loro fiducia. Inoltre, l’atto documentato confluirà nel fascicolo del p.m. e sarà suscettibile di essere utilizzato alla stregua degli atti di indagine. Il difensore, scegliendo una via per cui sia necessaria la documentazione (cfr. assunzione di informazioni), otterrà la dichiarazione, ma perderà la discrezionalità di non estendere l’atto che non sia favorevole alla propria strategia difensiva. Richiesta di documenti alla pubblica amministrazione L’art. 391quater attribuisce al difensore (unico soggetto legittimato: no sostituto o investigatore privato) la possibilità di acquisire elementi probatori di carattere reale, rivolgendosi alla pubblica amministrazione per prendere visione o acquisire copia, a sue spese, di documenti formati o detenuti stabilmente dall’amministrazione stessa. Il difensore deve inoltrare la richiesta (si ritiene per iscritto) indicando le circostanze che rendono il documento rilevante ai fini delle indagini difensive, ma non vi è uno specifico obbligo di esplicitazione delle finalità perseguite. Il soggetto destinatario dell’istanza difensiva deve essere la pubblica amministrazione che ha formato o detiene stabilmente il documento (es. non può chiederlo alla p.a. che l’abbia tenuto temporaneamente o in modo occasionale), la quale potrà controllare i requisiti di legittimità della richiesta e la sussistenza delle esigenze di accertamento sulla base della documentazione presentata. Nel caso in cui la p.a. differisca, limiti o rifiuti l’accesso agli atti, o in caso di mancata risposta entro 30gg dalla presentazione della richiesta, il difensore può sollecitare il p.m. a emettere un provvedimento tramite una richiesta scritta ex art. 367 (es. chiedendo che si attivi per ottenere la consegna dei documenti; disporre il sequestro di documenti con decreto motivato). Qualora il p.m. non intenda acconsentire alla richiesta del difensore, dovrà trasmettere la richiesta stessa al g.i.p., il quale valuterà se la richiesta sia fondata e se il mancato accoglimento da parte del p.m. possa pregiudicare la difesa. Tale valutazione verrà svolta in assenza del contraddittorio tra le parti, secondo lo schema procedurale di cui all’art. 368. Accesso e rilievo sui luoghi Ai sensi degli artt. 391sexies e septies, il difensore, il sostituto e i suoi ausiliari (facoltà, prima riservata esclusivamente al p.m. e alla polizia giudiziaria) possono effettuare un accesso ai luoghi, un’attività di tipo meramente ricognitivo, di osservazione e raccolta di dati che devono essere analizzati in sede diversa, e senza causare modificazioni o interferenze con l’attività di ricerca svolta dagli organi di accusa. Essi potranno osservare direttamente l’ambiente in cui si sono svolti i fatti, prendere visione dello stato dei luoghi e delle cose che potrebbero risultare rilevanti ai fini delle indagini difensive, e procedere alla loro descrizione, servendosi eventualmente di ogni mezzo tecnologico per eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici o audiovisivi. La giurisprudenza ritiene che anche l’assistito possa accedere ai luoghi, in quanto manca un divieto espresso e perché potrebbe continuare alla ricostruzione dei fatti attraverso l’osservazione dell’ambiente in cui si sono svolti. Per l’accesso ai luoghi privati o non aperti al pubblico e ai luoghi adibiti a privata abitazione e alle relative pertinenze dall’art. 391-septies, a tutela dell’inviolabilità del diritto al domicilio, è necessario il consenso del soggetto che ha la disponibilità della cosa o del luogo o, in mancanza, un’autorizzazione giurisdizionale (decreto del giudice che ne specifichi le modalità). In presenza di un provvedimento che autorizza l’attività investigativa, la persona che ha la disponibilità del luogo non può impedire l’accesso al difensore e ai suoi ausiliari, in base a quanto stabilito dall’art. 650 c.p., ma, qualora sia presente al momento dell’accesso, deve essere informata della possibilità di farsi assistere da una persona di fiducia, prontamente reperibile e idonea ex art. 120 a ricoprire il ruolo di testimone ad acta. Per eseguire rilievi di cui all’art. 391sexies, i soggetti della difesa potranno accedere anche ai luoghi di abitazione e alle loro pertinenze. In assenza del consenso del soggetto privato che ha disponibilità del bene, l’autorizzazione del giudice sarà concessa solo nel caso in cui vi sia la necessità di accertare le tracce e gli altri effetti materiali del reato: quando si tratti, cioè, di prendere cognizione dei segni esteriori lasciati dalla condotta delittuosa che potrebbero avere un peso concluderete nella valutazione del quadro indiziario. Il difensore (oppure il sostituto o loro ausiliari) può redigere un verbale (data; luogo; proprie generalità e delle persone intervenute; descrizione dello stato del luogo e delle cose; indicazione degli eventuali rilievi eseguiti, che costituiscono parte integrante dell’atto e sono allegati ad esso), che deve essere sottoscritto dall’autore e dalle persone intervenute. Tuttavia, non è un adempimento obbligatorio, in quanto è un onere per il difensore che intende utilizzare i risultati dell’indagine in chiave probatoria nel procedimento. Atti irripetibili Nonostante non vi sia una disciplina autonoma dedicata, l’art. 391decies legittima implicitamente il difensore di esperire gli atti e accertamenti irripetibili, che hanno anch’essi valore probatorio: Accesso ai luoghi e rilievi: atti ricognitivi che non comportano un’attività invasiva o valutazioni proprie degli accertamenti tecnici e che hanno ad oggetto cose o luoghi soggetti a modificazioni, i quali devono essere svolti tempestivamente, al fine di evitare la dispersione degli elementi di prova. Fuori dai casi in cui è applicabile l’art. 234, la relativa documentazione, presentata nel corso delle indagini preliminari o nell’udienza preliminare, è inserita nel fascicolo del dibattimento. Il p.m. ha la possibilità di assistere al compimento di tali atti personalmente o per mezzo di una delega alla polizia giudiziaria; in tal caso, il verbale sarà inserito nel fascicolo del difensore e in quello del p.m., confluendo in seguito nel fascicolo del dibattimento; Occasioni diverse: l’art 327bis.3 consente al difensore di avvalersi dell’aiuto di consulenti tecnici, nel caso in cui sia necessario svolgere attività investigative che richiedano particolari conoscenze (accertamenti tecnici); mentre l’art. 391decies.3 prevede che il difensore possa svolgere accertamenti tecnici irripetibili. In ogni caso, il difensore deve darne avviso al p.m. (si esclude che si debba dare anche alla persona offesa) senza ritardo per l’esercizio delle facoltà previste, in quanto compatibili, dall’art 360. Per tale via, il p.m. diviene destinatario di garanzie analoghe a quelle attribuite al difensore, in caso di accertamenti tecnici irripetibili compiuti dalla parte pubblica (es. diritto di partecipare al conferimento dell’incarico e agli accertamenti; riserva di incidente probatorio), mentre risulta inapplicabile l’art. 360.2, laddove rinvia alla garanzia di nomina del difensore. Fascicolo del difensore Il legislatore, nel disciplinare le indagini difensive, ha cercato di realizzare una parificazione della figura del p.m. e del difensore anche equiparando il valore probatorio degli elementi scaturiti dalla relativa attività. Salvo che nel caso di cui all’art. 391bis, la persona offesa non rientra tra i soggetti legittimati a richiedere, ma ha un più ristretto potere di intervento, in quanto può fare richiesta al p.m. di promuoverne l’instaurazione con il diritto ad ottenere una risposta. Non accogliendo, il p.m. pronuncia decreto motivato e lo fa notificare alla stessa. Nell’udienza preliminare, il potere di promuovere la procedura va riconosciuto anche all’imputato e alle parti già costituite. Richiesta La richiesta deve essere presentata entro i termini per la conclusione delle indagini preliminari, e comunque in tempo sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva la possibilità di richiederne la proroga finalizzata all’esecuzione dell’incidente. Il limite è solo apparente, in quanto la Corte costituzionale ha dichiarato l’incostituzionalità parziale degli artt. 392 e 393 nella parte in cui non consentivano che l’incidente probatorio potesse venire richiesto ed eseguito anche nella fase dell’udienza preliminare, essendo tale esclusione priva di ogni ragionevole giustificazione e lesiva del diritto delle parti alla prova, e quindi degli artt. 24 e 111 Cost., che la richiesta può essere altresì avanzata anche nel tempo che intercorre tra la conclusione delle indagini e l’udienza, per lo meno ove vi sia un concreto ed effettivo pericolo di dispersione del materiale conoscitivo. La richiesta deve indicare, a pena di inammissibilità, la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l'oggetto e le ragioni della sua rilevanza per la decisione dibattimentale; le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova; le circostanze che rendono la prova non rinviabile al dibattimento, che giustificano il ricorso all’incidente probatorio e, ove la richiesta provenga dal p.m., anche i difensori delle persone interessate a norma del comma 1 lett. b, la persona offesa e il suo difensore. La richiesta deve essere depositata nella cancelleria del g.i.p. e notificata a tutte le parti interessate, successivamente depositando anche la prova dell'avvenuta notifica. Entro 2 giorni dalla notifica, si instaura il contradditorio (cartolare e a tempi ridottissimi) per l’ammissibilità della richiesta, in cui il p.m. o la persona sottoposta alle indagini possono presentare deduzioni sull’ammissibilità e sulla fondatezza della richiesta, depositare cose, produrre documenti nonché indicare altri fatti che debbano costituire oggetto della prova e altre persone interessate alla prova stessa. Scaduto il termine per le deduzioni o quello successivo conseguente al differimento dell’incidente probatorio, il giudice, entro 2 giorni, decide con ordinanza non impugnabile, comunicandola immediatamente al p.m. e notificandola per estratto alle persone di cui all’art. 393 comma 1 lett. b.: Inammissibilità: mancanza dei requisiti formali (es. la richiesta non consente di capire quale sia la prova e la sua rilevanza, le ragioni di urgenza, le persone interessate); Rigetto: mancanza delle condizioni di merito; Differimento: con le forme dell’art. 397, quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare (il differimento non è possibile quando pregiudicherebbe l’assunzione della prova); Accoglimento: il giudice fissa l’udienza con ordinanza (oggetto della prova nei limiti della richiesta e delle deduzioni; persone interessate all’assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni; data) non oltre il tempo necessario al compimento dell’atto o degli atti di indagine che hanno giustificato il differimento, e comunque che non può essere disposta ad oltre 10gg dal provvedimento. Le parti devono essere avvisate almeno 2 giorni prima della data dell’udienza insieme alla facoltà di prendere cognizione e di estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare. Se si eccettua quest’ultima ipotesi, nessuna discovery prelude alla assunzione della prova nei casi ordinari. o Per i reati di cui all’art. 392.1bis, la persona sottoposta alle indagini e i difensori delle parti hanno diritto di ottenere copia degli atti depositati. Inoltre, se le persone interessate all’assunzione della prova sono minorenni, l’ordinanza stabilisce anche il luogo, il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze di tutela delle persone lo rendono necessario od opportuno. A tal fine, l’udienza può svolgersi anche in luogo diverso dal tribunale (es. strutture specializzate di assistenza o, in mancanza, presso l’abitazione della persona interessata alla prova). Udienza camerale L’udienza si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del p.m. e del difensore, di fiducia o di ufficio (in caso di mancata comparizione) della persona sottoposta ad indagini, mentre la partecipazione del difensore della persona offesa è facoltativa. La persona sottoposta alle indagini e la persona offesa hanno diritto di assistere all’incidente probatorio quando si deve esaminare un testimone o un’altra persona, o previa autorizzazione del giudice negli altri casi. Instauratosi l’udienza non sono più ammesse questioni relative all’ammissibilità o alla fondatezza della richiesta, e l’assunzione della prova deve avvenire nella medesima udienza o, se non sia possibile, in una udienza che si svolga nel giorno successivo non festivo, salvo che lo svolgimento delle attività di prova richieda un termine maggiore. Le prove sono assunte con le forme stabilite per il dibattimento (cfr. esame e contro esame; tuttavia, il difensore della persona offesa può solo chiedere al giudice di rivolgere domande alle persone sottoposte ad esame). Dopo l’assunzione, i verbali, le cose e i documenti acquisiti nell’incidente probatorio sono trasmessi al p.m. e saranno inclusi nel suo fascicolo, in attesa di transitare in quello del dibattimento. L’art. 403.1 stabilisce, pena l’inutilizzabilità, che la prova assunta in incidente probatorio può essere utilizzata in dibattimento esclusivamente nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla relativa assunzione. Infatti, l’art. 401.6 vieta di estendere l’assunzione della prova o la verbalizzazione di dichiarazioni circa fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all’incidente probatorio. A tal fine, l’art. 402 dispone che il giudice può rinviare l’udienza per il tempo strettamente necessario a notificare le persone interessate all’assunzione della prova e comunque non oltre 3 giorni, al fine di estendere l’incidente probatorio a tali fatti o dichiarazioni, salvo che il rinvio non pregiudichi l’assunzione della prova. Le prove non sono utilizzabili nei confronti dell’imputato raggiunto da indizi di colpevolezza solo successivamente all’incidente probatorio, se il difensore non ha partecipato alla loro assunzione, salvo che tali indizi siano emersi dopo che la ripetizione dell’atto sia divenuta impossibile (art 403.1bis). Allo stesso modo, l’art. 404 stabilisce che la sentenza pronunciata sulla base di una prova assunta con incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non è stato posto in grado di partecipare, non produce gli effetti di cui all’art. 652, salvo che il danneggiato ne abbia fatta accettazione anche tacita. Documentazione Al fine di bilanciare l’anticipazione della prova, divenuta il regime di ordinaria assunzione per i reati di cui al comma 1bis (inizialmente solo per il minore poi anche per la persona maggiorenne inferma di mente e in condizioni di particolare vulnerabilità), il legislatore irrobustisce le forme della documentazione, ponendo l’obbligo di documentazione integrale e la loro trascrizione (solo se richiesta dalle parti) delle dichiarazioni testimoniali con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Dell’interrogatorio è anche redatto verbale in forma riassuntiva. Quando si verifica un’indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, si provvede con le forme della perizia o della consulenza tecnica. Chiusura delle indagini preliminari Termini delle indagini L’attività investigativa del p.m. (cioè le operazioni di ricerca circa il fatto di reato) deve rispettare istanze di tempestività delle indagini e, soprattutto, di tutela dei diritti della persona, che non deve essere troppo a lungo assoggettata all’intrusione di un’inchiesta. Pertanto, il legislatore fissa un tempo massimo in cui il p.m. deve indagare e decidere, diversamente graduato a seconda della gravità dei reati e prorogabile anche più volte, entro un termine ultimo in relazione al tipo di reato e alla complessità dello scenario investigativo. Dies a quo L’art. 405 stabilisce che, salvo quanto previsto dagli artt. 406 e 415bis, il p.m. deve concludere le indagini preliminari entro il termine di 1 anno dall’iscrizione nominativa nel registro della notizia di reato (6 mesi, per una contravvenzione. In realtà, anche se la chiusura delle indagini sembra coincidere con l’adozione delle determinazioni dell’organo di accusa, il nuovo art. 407.3bis (introdotto dalla L. 103/2017), in coordinamento con gli artt. 405 e 408, prevede che, esaurito il tempo per investigare, residua un nuovo segmento temporale, ancora ascrivibile alla fase preliminare, entro il quale il p.m. può decidere di esercitare l’azione penale o richiedere l’archiviazione. Pertanto, mentre l’iscrizione del nome dell’indagato nel registro continua a rappresentare il dies a quo per il computo del tempo di durata delle indagini, il momento di decorrenza di un nuovo ed autonomo termine stabilito per l’esercizio dell’azione deve essere rapportato allo scadere del tempo per le indagini, plasmabile a seconda delle necessità investigative che si palesino nel caso concreto. Proroga Il giudice, su richiesta del p.m. prima della scadenza del termine (indicazione della notizia di reato; motivi che ne giustificano la presentazione), può concedere una proroga, in presenza di una giusta causa e, nei casi di particolare complessità delle indagini o di oggettiva impossibilità di concludere entro il termine prorogato, potrà concedere ulteriori proroghe. Salvo per i delitti indicati negli artt. 51.3-bis e 407.2, per cui il giudice decide de plano, senza contraddittorio, entro 10gg dalla presentazione della richiesta, dandone notizia al p.m. (art. 406.5-bis), il giudice deve notificare la richiesta all’indagato e, se ne abbia fatto richiesta, all’offeso dal reato, avvisando della possibilità di presentare memorie (contraddittorio esclusivamente cartolare) entro 5 giorni dalla notifica. Entro 10 gg dalla scadenza del termine per la presentazione delle memorie il giudice può: Accogliere la richiesta di proroga: il giudice dispone l’estensione delle indagini con ordinanza emessa in camera di consiglio senza intervento del p.m. e dei difensori; Fissare un’udienza: se, allo stato degli atti, il giudice non intende accogliere direttamente la richiesta di proroga, può fissare, entro 10 gg, un’udienza (procedimento camerale), notificandone l’avviso al p.m., alla persona sottoposta alle indagini, e, se ne avesse fatto richiesto, alla persona offesa. Al termine del procedimento può: o Autorizzare il p.m. a proseguire le indagini; o Respingere la richiesta di proroga, fissando un termine non superiore a 10 giorni per la formulazione delle richieste conclusive delle indagini. Gli atti compiuti nelle more del procedimento di proroga sono utilizzabili, salvo che, in ipotesi di diniego, gli stessi siano compiuti oltre lo spirare del termine originariamente previsto per le indagini. In ogni caso, ciascuna proroga non può essere autorizzata per un tempo superiore ai 6 mesi e, per reati particolarmente gravi (contro l’incolumità e la libertà individuale, per ragioni di celerità), per non più di una volta. Termini di durata massima L’art. 407 stabilisce che, salvo quanto previsto dall'art. 393.4 (proroghe), la durata delle indagini preliminari non può comunque superare i 18 mesi, o 2 anni per i casi di cui al secondo comma: Gravi delitti (es. reati di stampo mafioso e terroristico; omicidio, rapina, estorsione, sequestro di persona; delitti concernenti armi e stupefacenti; contro la libertà individuale e personale); Indagini complesse per la molteplicità dei fatti tra loro collegati o per l’elevato numero di persone sottoposte alle indagini o di persone offese; Indagini che richiedono il compimento di atti all’estero; Indagini collegate ex art. 371. L’art. 407.3 stabilisce che, salvo quanto previsto dall’art. 415-bis, non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice. Pertanto, il limite non è meramente ordinatorio, in quanto se il p.m. non rispetta i limiti temporali fissati dalla legge, l’azione penale non sarà preclusa, ma eventuali operazioni investigative debordanti sono sanzionate con l’inutilizzabilità. Supplemento investigativo La clausola di riserva di cui al comma 3 esclude dal rigoroso regime temporale il supplemento investigativo, che comunque non può superare i 30gg e prorogabili dal giudice per non più di 60, che può compiere: Indagato: può chiedere, dopo l’avviso di conclusione delle indagini, un prolungamento al p.m., che si giustifica, di fronte alle istanze di ragionevole durata del processo, per essere strettamente funzionale ai diritti della difesa, sottraendosi al sospetto di accanimento inquisitorio; P.m.: a seguito delle richieste dell’indagato, il p.m. può compiere nuove indagini. L’art. 415-bis rende esplicita la deroga, puntualizzando che le dichiarazioni rilasciate dall’indagato o il suo interrogatorio ed i nuovi atti di indagine del p.m., sono utilizzabili se compiuti entro detto termine, ancorché sia decorso il termine stabilito dalla legge o prorogato dal giudice per l’esercizio dell’azione penale o per la richiesta di archiviazione. o Scaduto il termine originario o prorogato, se gli elementi raccolti conducono il p.m. a formulare l’imputazione, il p.m. potrà svolgere, dopo la richiesta di rinvio a giudizio, attività di indagine suppletiva. Se, invece, il tempo non sarà stato sufficiente a consentirgli Procedimento di archiviazione Richiesta di archiviazione L’art. 408.1 dispone che il p.m., se la notizia di reato è infondata, deve presentare, entro il termine previsto dall’art. 407.3bis, la richiesta di archiviazione e trasmettere il fascicolo (cfr. notizia di reato; documentazione relativa alle indagini e i verbali degli atti compiuti davanti al g.i.p.) al giudice, affinché valuti la sussistenza delle condizioni legittimanti l’inazione del p.m. – potere di controllo posto a garanzia del principio di obbligatorietà (se il p.m. fosse l’unico titolare del potere di archiviazione, l’obbligo potrebbe essere eluso, pur in presenza di presupposti legislativi tassativamente definitivi). In seguito alla richiesta (revocabile fino alla pronuncia del giudice), si innesta il procedimento preordinato a vagliare le scelte dell’organo di accusa, secondo due moduli procedurali: Archiviazione de plano: il giudice emana il decreto di archiviazione senza formalità di procedura, quando concordi prima facie con la richiesta del p.m., e restituisce gli atti all'organo di accusa. o Procedimento che non richiede un contraddittorio che concluda l’iter avallando la scelta rinunciataria, in quanto manca l’interesse ad interloquire con le parti private. Infatti, la persona sottoposta alle indagini riposa sull’impossibilità di ottenere un provvedimento a sé maggiormente favorevole e la mancata opposizione della persona offesa rivelerà la sua acquiescenza; o Il decreto di archiviazione è impugnabile solo quando siano stati pretermessi i diritti dell’offeso, mentre non sarà mai impugnabile dall'indagato (ad egli il decreto sarà notificato solo nel caso in cui sia stato sottoposto a custodia cautelare, in vista di un suo eventuale interesse a chiedere la riparazione per l'ingiusta detenzione). Procedimento camerale: il giudice non è immediatamente convinto dell’infondatezza della notizia di reato, ma ritiene opportuno (o necessario, secondo quanto previsto dall’art. 410) il contraddittorio, al fine di ascoltare i soggetti portatori di interessi in conflitto. A tal fine, il giudice fissa l’udienza in Camera di Consiglio (art. 127) entro 3 mesi (art. 409.2: termine fissato per imprimere cadenze più sollecite, a carattere ordinatorio per cui dall’inottemperanza non derivano conseguenze negative dal punto di vista procedurale), dandone avviso al p.m., all'indagato, al suo difensore e all'offeso dal reato e comunicazione al Procuratore generale presso la corte d'appello per i provvedimenti di sua competenza. In udienza, il giudice potrà disporre, entro 3 mesi: o Supplemento di indagine: il giudice potrà convincersi ad esercitare i suoi poteri di indirizzo che mirano a trattenere il procedimento nella fase preliminare, per esigenze di natura investigativa; o Necessità di procedere: il giudice vuole l’avvio alla sequenza di atti del processo (giudizio) in senso stretto; o Ordinanza di archiviazione: suscettibile di reclamo al tribunale in composizione monocratica. Opposizione dell’offeso dal reato La persona offesa, in quanto titolare dell’interesse leso dal reato, è ampiamente tutelata attraverso l’ampia massa di informazioni a lei dovute fin dal suo primo contatto con l’autorità procedente. In particolare, egli deve essere avvisato (art. 90-bis) della richiesta di archiviazione, se avesse dichiarato di voler essere informato (art. 408.2). Al momento della presentazione della notizia di reato o anche successivamente, il p.m. deve notificargli l’avviso della richiesta. Nell’avviso è precisato che, entro 20 giorni (10 giorni per l’archiviazione per particolare tenuità del fatto; 30 giorni per i delitti commessi con violenza alla persona , intesa alla luce del concetto di violenza di genere quale risulta dalle pertinente disposizioni di diritti internazionale recepite e di diritti comunitario, rientrandovi anche i maltrattamenti e gli atti persecutori – per precisazione legislativa probabilmente inopportuna vi rientrano anche il furto con strappo e in abitazione), la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini (art. 410). Ogni persona offesa, indipendentemente dalla ricezione dell’avviso, ha titolarità del diritto all’opposizione. Il diritto all’opposizione si fonda su lacune di carattere investigativo; infatti, l'offeso dovrà esibire argomenti idonei, almeno ictu oculi, indicando nell'atto di opposizione, a pena di inammissibilità, l'oggetto dell’investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova dotati di concretezza e specificità (orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità), in modo da evitare un inutile dispendio di attività processuale, che potrebbe essere determinato da iniziative dilatorie e prive di fondamento. Il giudice potrà: Archiviare de plano: difetto dei requisiti; nel caso di inammissibilità dell'opposizione, il giudice dispone il decreto adeguatamente motivato di archiviazione, mostrando le ragioni per le quali alle doglianze dell'offeso non sia stato dato seguito; Convocare l’udienza camerale: la richiesta appare formalmente ammissibile, introducendo la variante partecipata del procedimento di archiviazione: se ciò avverrà, il seguito sarà quello ordinario ex art. 409 commi 2, 3, 4 e 5, ma il contraddittorio avrà una minore estensione dal punto di vista soggettivo. L’art. 410 prevede infatti che, in caso di più persone offese, l’avviso per l’udienza è notificata al solo opponente. Nel privilegiare speditezza ed essenzialità delle forme, il legislatore ha ritenuto di poter presumere dalla mancata opposizione dell’avente diritto il suo disinteresse alla procedura in questione, escludendolo dal diritto a partecipare all’udienza. Particolare tenuità del fatto Per effetto del rinvio contenuto alle disposizioni degli artt. 408, 409, 410 e 410-bis, alla nuova ipotesi di archiviazione per particolare tenuità del fatto, risultano applicabili le regole ordinarie in quanto compatibili, coordinate con le regole speciali introdotte dal nuovo comma 1-bis dell’art. 411: Modello procedurale: la procedura si svolge in udienza camerale solo ove vi sia una richiesta degli interessati in tal senso; Rafforzamento dei poteri di intervento: o Dell’offeso: all’offeso è dovuto l’avviso, indipendentemente da una previa richiesta di esserne informato ed a pena di nullità della decisione (garanzia prodromica al diritto di opposizione) e la presa visione degli atti entro 10 giorni. L’eventuale rigetto deve essere fatto tramite atto in cui devono essere indicate, a pena di inammissibilità, le ragioni del dissenso; o Della persona sottoposta alle indagini: conferimento di un potere di opposizione, finalizzato all’interesse di ottenere l’archiviazione con una formula più favorevole. Infatti, l’archiviazione per particolare tenuità del fatto è fondata su un accertamento della colpevolezza suscettibile di essere iscritta nel casellario giudiziale che potrebbe costituire una premessa per escludere nuovi giudizi di tenuità del fatto in successivi provvedimenti penali. Iter decisorio (ricalcato sul modello dell’art. 409): o Archiviazione de plano: vaglio di ammissibilità sulle eventuali opposizioni, limitato a verificare che siano esposte le ragioni di dissenso, senza alcun apprezzamento del rilievo sostanziale; o Contradditorio camerale: ammissibilità dell’atto di opposizione, in alternativa ad una procedura de plano, ove le eventuali opposizioni siano inammissibili o non siano state presentate; o Epiloghi alternativi: il giudice può eventualmente disporre: Ordinanza o decreto (a seconda che si sia svolta o meno l’udienza camerale) di archiviazione; Rigetto della richiesta: non convinto della sussistenza dei presupposti per l’archiviazione, il giudice deve restituire gli atti al p.m. ed eventualmente indicargli con ordinanza ulteriori indagini, fissando un termine per il loro compimento, oppure disporre con ordinanza che il p.m. formuli l’imputazione entro 10gg; Archiviazione per altre ragioni: se non sussiste la tenuità del fatto, il giudice può individuare altra causa di archiviazione e non disporre la restituzione. L’ipotesi contraria impone maggiore cautela: richiesto di una archiviazione per infondatezza della notizia di reato, il giudice non potrebbe archiviar per tenuità del fatto, ove non siano garantite le prerogative riconosciute ai soggetti dalla relativa disciplina. Autore del reato ignoto L’art. 415 dispone che, quando è ignoto l’autore del reato, il p.m., entro 6 mesi dalla data della registrazione della notizia di reato, deve presentare al giudice una richiesta di archiviazione, quando esperito ogni mezzo utile per individuare l’autore del reato non abbia ottenuto alcun risultato, o di autorizzazione a proseguire le indagini, ove reputi che ulteriori indagini potrebbero consentigli di pervenire a risultati utili. Il giudice si pronuncia con decreto motivato non impugnabile e restituisce gli atti al p.m. Il giudice non potrà negare la prosecuzione delle indagini e, se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata, può solo ordinare che il nome sia iscritto nel registro delle notizie di reato. L’intervento del giudice mira a scongiurare prassi elusive e di dilazione dei tempi procedurali e per l’esercizio dell’azione penale. Infatti, l’art. 415.2bis stabilisce che il termine (entro cui il p.m. deve concludere le indagini) di cui all’art. 405.2 decorre dal provvedimento del giudice (abrogato da Riforma Cartabia). La L. 479/1999, ha aggiunto due commi all’art. 415, che sono espressione di preoccupazioni di carattere fortemente pragmatico, apprestando un meccanismo piuttosto disinvolto per liberare di indagine abortite: Comma 3: rinvio, in quanto applicabili, alle altre disposizioni riguardanti la procedura di archiviazione ordinaria, da cui non differisce, salve le regole inadattabili alla peculiare situazione (es. udienza camerale, in caso di dissenso del giudice o opposizione dell’offeso; artt. 408 e 410; termine di indagine ordinari). o Secondo interpretazione diffusa e confermata dalle S.U., il p.m. dovrà chiedere l’autorizzazione a proseguire le indagini prevista dall’art. 415, e, nel momento in cui se ne presenti la necessità, la proroga dei termini di indagine; Comma 4: nelle ipotesi di cui all’art. 107-bis disp. att. – denunce a carico di ignoti, la richiesta di archiviazione ed il decreto del giudice che accoglie la richiesta sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il p.m. o il giudice intendono escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto. o Si tratta di un’ipotesi di una richiesta di archiviazione e del conseguente decreto emanati contestualmente per più reati, che consente agli organi di polizia di trasmettere agli uffici di procura le denunce dei reati commessi da persone ignote, unitamente agli atti di investigazione compiuti, elencate in apposito indice mensile. Impugnazione del provvedimento di archiviazione In precedenza, l’abrogato sesto comma art. 409 prevedeva il ricorso per il provvedimento (ordinanza) di archiviazione solo nei casi di nullità previsti dall’art. 127.5: Profili oggettivi: l’impugnazione era circoscritta ai soli provvedimenti dispositivi dell’archiviazione (es. decreto di archiviazione emesso senza l’avviso alla persona offesa che ne avesse fatto richiesta), mentre era inammissibile l’impugnazione delle ordinanze che dispongono indagini coatte o che impone la formulazione; Profili soggettivi: i soggetti legittimati all’impugnazione erano, nei casi di omesso avviso dell’udienza, la persona indagata e l’offeso dal reato e, nel caso di omissione della comunicazione, il Procuratore generale presso la Corte d’appello. La L. 103/2017 ha introdotto l’art. 410bis, riformando il regime dell’impugnabilità del provvedimento di archiviazione. Oggi, si continua a prevedere la nullità dell'ordinanza di archiviazione solo nei casi di cui all'art. 127.5, mentre il nuovo articolo fissa per tabulas i casi di nullità del decreto di archiviazione, stabilendo che il vizio ricorra quando questo sia emesso senza che la persona offesa dal reato sia stata posta in condizione di presentare opposizione all'archiviazione (mancato avviso della richiesta del p.m.; il giudice si sia pronunciato nelle more del termine concesso per la presentazione dell’atto di opposizione). La stessa tutela viene estesa anche all’ipotesi in cui, essendo stata presentata opposizione, il giudice omette di pronunciarsi sull’ammissibilità o dichiara l’opposizione inammissibile, salvi i casi di inosservanza dell’art. 410.1. Entro 15 giorni dalla conoscenza del provvedimento, l’interessato potrà adire al Tribunale in composizione monocratica, in forma di reclamo, cioè un inedito strumento di impugnazione mutuato dal processo civile (cfr. intento di deflazionare i ruoli della Corte di cassazione). Il Tribunale decide con ordinanza non impugnabile a seguito di un procedimento meramente cartolare, senza intervento delle parti interessante: Annullamento: se il reclamo è fondato, il giudice annulla il provvedimento e ordina la restituzione degli atti al giudice che lo ha emesso, che dovrà rimediare al difetto di contraddittorio, ove il vizio concernesse la convocazione dell’udienza, essendo a lui imputabile, o rinviare gli atti a sua volta al p.m., per quanto di sua competenza; Rigetto del reclamo (es. infondatezza): che, dopo il provvedimento di archiviazione, il giudice, su richiesta del p.m., potrà autorizzare con decreto motivato la riapertura delle indagini. Ottenuta l’autorizzazione, il p.m. dovrà effettuare una nuova iscrizione nel registro delle notizie di reato, che aprirà una nuova fase di indagine con conseguente nuova decorrenza dei termini di durata delle stesse. Se da una parte è necessario che il p.m. rispetti il termine finale per la definizione delle indagini; impedire tout court lo svolgersi delle indagini necessarie (anche spirato il termine) sarebbe illegittimo. Pertanto, per impedire che il p.m. possa arbitrariamente svolgere nuove indagini o applicare misure cautelari personali, è necessaria l’autorizzazione del giudice, nel caso in cui vi sia l’esigenza di nuove investigazioni (cfr. espressione vaga: c’è chi suppone che basti una rilettura degli atti già acquisiti, e chi ritiene che la preclusione sia superata soltanto dall’emersione della necessità di assumere nuovi elementi). Secondo la Corte costituzionale e di Cassazione, la mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini determina l’inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione e la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto-reato, oggettivamente e soggettivamente considerato. Si tratta, peraltro, di una interpretazione che va oltre l’interesse ad un controllo sui tempi di indagine, con l’intento di frenare eccessi inquisitori dell’organo di accusa. Richiesta di rinvio a giudizio Se le indagini fanno emergere elementi idonei a sostenere un’accusa in giudizio (vs. archiviazione), il p.m. dovrà formulare l’imputazione e, se non ritiene di promuovere un procedimento speciale, richiede il rinvio a giudizio (o procedimento davanti al giudice in composizione monocratica), depositando la richiesta nella cancelleria del giudice. Il termine per l’adempimento dovrebbe coincidere con quello già fissato dall’art. 405.2., riletto alla luce di quanto previsto nell’art. 407.3bis, ove si istituisce un autonomo spazio temporale entro il quale l’azione penale deve essere esercitata, presidiato dall’intervento del procuratore generale. Di fronte al mancato rispetto del termine, le conseguenze di carattere processuale saranno irrilevanti: il principio di obbligatorietà dell’azione penale impone, infatti, che un’iniziativa volta ad instaurare il processo, benché tardiva, non possa dirsi invalida. Avviso di conclusione delle indagini L’art. 415bis stabilisce che il p.m., formulata l’imputazione, deve inviare, pena la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, l’avviso di conclusione delle indagini all’indagato e al suo difensore (nonché al difensore della persona offesa o, in mancanza, all’offesa direttamente, quando si proceda per i delitti di cui all’art. 572 o 612-bis), in quanto la fase preliminare non può essere definita senza che la persona sottoposta alle indagini sia stata chiamata a conoscere l’addebito a suo carico e a contraddire i risultati di indagine, eventualmente anche influenzando le scelte del p.m. L’avviso di conclusione delle indagini (cfr. adempimento necessario ex art. 111.2-3 Cost.) è utile, non solo per il p.m., come primo vaglio sulla tenuta dell’impostazione accusatoria e per l’approfondimento di profili investigativi che il suo ruolo gli impone di non tralasciare (egli, infatti, è tenuto a svolgere accertamenti anche in favore della persona sottoposta alle indagini), ma questo confronto concreta soprattutto in un diritto di informazione della difesa sull’accusa e sulle varie chances difensive accordate. Infatti, l’avviso contiene gli avvertimenti: Accesso al materiale di indagine (discovery): la documentazione relativa alle indagini è depositata presso la segreteria del p.m. e che l'indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia, e di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi a intercettazioni e ascoltare le registrazioni o di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche e che hanno la facoltà di estrarre copia delle registrazioni e dei flussi indicati come rilevanti dal p.m. o Il difensore può, entro 20 giorni, depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia; sull’istanza provvede il p.m. con decreto motivato. In caso di rigetto o di contestazioni, il p.m. può avanzare al giudice istanza, affinché si proceda nelle forme di cui all'art 286.6). Facoltà difensive: attività di collaborazione con l’organo di accusa, per cui il destinatario delle indagini potrà: o Presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relative a investigazioni del difensore: entro 20 giorni; o Presentarsi per rilasciare dichiarazioni o chiedere di essere sottoposto a interrogatorio, non potendo vedersi opposto un diniego; o Chiedere al p.m. il compimento di indagine entro 30 giorni dalla richiesta, prorogabile una sola volta e per non più di 60 giorni (cfr. art. 415-bis.4). La giurisprudenza tende ad escludere che il p.m. sia tenuto ad eseguire le indagini richieste, ma non si sottrarrà dall’incarico tutte le volte in cui vi siano dubbi sulla correttezza della prospettazione accusatoria; Il p.m. ha il potere di proseguire nelle indagini anche oltre le indicazioni fornite dalla difesa se le attività aggiuntive costituiscano uno sviluppo della linea investigativa suggerita. In questo caso, viene altresì derogata la sanzione dell’inutilizzabilità anche se l’approfondimento investigativo sia compiuto oltre la soglia ultima delle indagini, purché nei limiti temporali indicati per lo stesso. Udienza preliminare La richiesta di rinvio a giudizio costituisce, salvo quanto previsto nell’art. 409.5, l’atto introduttivo dell’udienza preliminare che innesca la sequenza giurisdizionale, segnando, attraverso l’accusa di cui è portatrice, la soglia tra procedimento e processo. Infatti, l’udienza rappresenta il primo approdo del procedimento alla giurisdizione e tende a realizzare lo scopo essenziale di evitare dibattimenti iniqui per l’imputato e inutili per l’ordinamento, in quanto il magistrato, diverso da quello che ha giudicato nelle indagini (g.i.p.), opera un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale, filtrando le imputazioni non sostenute da un impianto accusatorio sufficientemente robusto per giustificare il dibattimento. Per giungere alla decisione (di arrivare o meno al processo) è necessaria una discovery degli atti e il confronto orale tra le parti. Mentre l’indagato avrebbe potuto prevenire l'azione convincendo l'organo di accusa a non agire (poteri difensivi riconosciutigli in extremis nella fase preliminare), l’imputato può resistere e contrastare la richiesta del p.m. articolando le proprie argomentazioni difensive davanti al g.u.p. chiamato a dirimere l'alternativa tra l'instaurazione del dibattimento e il non luogo a procedere (interlocuzione dialogica innestata dall’art. 415-bis e già inscenata prima dell’esordio processuale). Il contraddittorio tra le parti e la valutazione del giudice si sviluppano intorno agli esiti delle indagini, ormai svelate, ma l’assetto dell’udienza e il rapporto tra giudice e le parti non sono ancora definitivamente fissati al momento della richiesta introduttiva. Peraltro, alla luce del principio di continuità delle indagini, p.m. e difensore potranno proseguire le investigazioni anche oltre il momento introduttivo dell’udienza e, nelle ipotesi consentite, chiedere di assumere prove con le forme dell’incidente probatorio. Inoltre, il giudice potrà imporre al p.m. di tornare a indagare e, in ultima analisi, potrà inscenare anche d'ufficio un intervallo di tempo per la ricerca di elementi cognitivi che siano idonei a convincerlo dell'inutilità del dibattimento. Nelle intenzioni del legislatore delegato, l’udienza aveva un ruolo centrale nell’economia processuale, quale filtro delle imputazioni azzardate – funzione che si era dimostrata incapace di svolgere, in quanto la regola di giudizio per la pronuncia della sentenza di non luogo a procedere, fondata sull’evidenza delle cause di proscioglimento, finiva per lasciar passare ogni imputazione che non fosse evidentemente destituita di fondamento. L’evoluzione normativa ha portato alla rivitalizzazione di questa funzione, attraverso la dilatazione dei margini operativi e attribuendo taluni profili somatici propri del dibattimento all’udienza, ridefinendo progressivamente i criteri per l’emissione della sentenza conclusiva della fase, ampliando i poteri probatori del giudice e il trasferimento in questa fase dell’apparato di costituzione delle parti. Pur restando formalmente un vaglio di natura processuale, funzionale alla scelta tra il procedere e il non procedere, l’epilogo dell’udienza preliminare ha assunto la pregnanza di un giudizio di merito – in realtà, la giurisprudenza sembra non riconoscere all’udienza-filtro capacità drenanti significativamente più ampie che in passato. Requisiti formali L’art. 417 fissa i requisiti formali della richiesta di rinvio a giudizio (cfr. generalità dell'imputato o altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché le generalità della persona offesa dal reato qualora ne sia possibile l’identificazione; l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge; indicazione delle fonti di prova acquisite; domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; data e sottoscrizione), di cui la definizione dell’accusa, in forma chiara e precisa, è requisito fondamentale poiché a quella si correla ogni successiva risposta in chiave difensiva. Secondo la dottrina, la sua ambiguità o l’eccessiva vaghezza generano una nullità a regime intermedio per violazione delle disposizioni sull’intervento dell’imputato, che determina l’immediata regressione del processo alla fase precedente; Viceversa, le S.U. impongono al giudice di sollecitare il p.m. alla sua precisazione e integrazione dell’atto; e, in caso di inerzia, il giudice può adottare un provvedimento restitutorio che determini la regressione del processo. In vista del successivo contraddittorio, il p.m. deve mettere a disposizione delle parti il corpo del reato e le cose pertinenti al reato (allegati al fascicolo, qualora non debbano essere custoditi altrove) e trasmettere il fascicolo contenente la notizia di reato, la documentazione sulle indagini e i verbali degli atti compiuti davanti al g.i.p. (art. 416.2). Fissazione dell’udienza Entro 5 giorni (termine ordinatorio) dal deposito della richiesta di rinvio a giudizio, il giudice fissa l’udienza con decreto (giorno, luogo, ora), tenendo conto che tra la data di deposito della richiesta e la data dell’udienza non può intercorrere un termine superiore a 30 giorni. Nel caso in cui l’imputato ne sia privo, nomina il difensore d’ufficio. Atti introduttivi L’art. 419 stabilisce che, almeno 10 giorni prima della data dell’udienza, il giudice deve notificare l’imputato, la persona offesa e i relativi difensori, della quale risulti agli atti l'identità e il domicilio, l'avviso del giorno, dell'ora e del luogo dell'udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal p.m. e con l'avvertimento all'imputato del suo diritto a partecipare al processo e delle conseguenze della sua mancata partecipazione (artt. 420bis ss.). L’omessa o erronea citazione dell’imputato, nonché la mancata indicazione della data e del luogo dell’udienza, comporta, secondo le S.U., una nullità generale a regime assoluto (art. 179), poiché l’adempimento ha natura sostanziale di citazione. Entro lo stesso termine, è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. L'avviso è altresì comunicato al p.m. e notificato al difensore dell'imputato con l'avvertimento (al difensore) della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmesse e di presentare memorie e produrre documenti. L'avviso contiene inoltre l'invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio: P.m.: atto doveroso; Difensore: mero onere di depositare la documentazione in funzione dell’interesse all’utilizzo di quegli atti. I contenuti dell’avviso dovuto al difensore dell’imputato tendono a favorire la conoscenza degli atti depositati dal p.m. ai sensi dell’art. 416.2 (corpo del reato, fascicolo). L’art. 415bis anticipa ulteriormente la discovery, attraverso l’avviso di conclusione delle indagini, che è necessario preludio della richiesta di rinvio a giudizio. L’art. 416.2 rende più ampia l’ostensione degli atti, perché comprende anche le indagini eventualmente espletate ai sensi dell’art. 415-bis, e può comunque giovare a quanti non fossero stati tra i destinatari dell’avviso di conclusione delle indagini (es. parti private). L’invito a depositare le indagini suppletive, compiute a seguito della richiesta di rinvio a giudizio, prelude a futuri ampliamenti della discovery: sarà sulla scorta di questi e di altri possibili approfondimenti della piattaforma costituita dal fascicolo delle indagini e dall’ulteriore materiale depositato ai sensi dell’art. 419.2, che le parti e il giudice perverranno nell’udienza alle rispettive determinazioni. L’imputato, soppesati gli elementi di accusa, potrà scegliere: Accedere all’udienza preliminare: l’imputato potrà optare per un rito premiale in udienza (es. giudizio abbreviato; patteggiamento; sospensione del procedimento con messa alla prova), in vista della significativa riduzione della pena, sia perché il materiale di accusa sia inequivocabile e quindi difficilmente contrastabile in dibattimento, sia perché, in prospettiva del tutto opposta, l’impianto accusatorio sia così labile da sconsigliare qualsiasi seguito che possa irrobustirne le premesse; Rinunciare all’udienza: l’imputato può chiedere, almeno 3 giorni prima della data fissata, il giudizio immediato, notificandola al p.m. e all’offeso. Preso atto della rinuncia, il giudice emette decreto di giudizio immediato. Se non vi avrà rinunciato per accedere immediatamente al interessato alla speditezza del procedimento che all’assistenza difensiva); o se il difensore abbia prontamente comunicato lo stato di gravidanza. Svolgimento dell’udienza L’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del p.m. e del difensore dell’imputato. La procedura camerale subisce una serie di adattamenti rispetto all’archetipo dettato nell’art. 127 (es. tempi ad hoc; contraddittorio rafforzato; forme di redazione del verbale, redatto di regola in forma riassuntiva ai sensi dell’art. 140, salvo che il giudice, a richiesta di parte, disponga la riproduzione fonografica o audiovisiva dell’udienza oppure la redazione del verbale con la stenotipia). L’art. 421 stabilisce che, terminati gli accertamenti circa la costituzione delle parti, il giudice ammette gli atti e i documenti prodotti dalle parti stesse e dichiara aperta la discussione, che si concreta in un sintetico confronto tra il p.m. e i difensori delle parti private: Interventi e repliche: 1. Il p.m. espone gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio; 2. L’imputato, conclusa l’esposizione introduttiva del p.m. e prima che prendano la parola i difensori, può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto all’interrogatorio (artt. 64 e 64), nelle forme dell’esame incrociato, se richiesto dalle parti; 3. Successivamente, nell’ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile, della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria e dell’imputato, intervengono, esponendo le loro difese, e poi replicano per una sola volta. Conclusioni: al termine degli interventi e delle repliche, il p.m. e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni, utilizzando gli atti contenuti nel fascicolo trasmesso a norma dell’art. 416.2; gli atti e i documenti ammessi dal giudice prima della discussione depositati ai sensi dell’art. 419.2.; ed eventuali atti di investigazione difensiva, che possono essere presentati al giudice, delle indagini suppletive svolte successivamente alla richiesta di rinvio a giudizio; Decisione: se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione. Altrimenti, se le indagini risultino incomplete, richiede integrazioni probatorie richieste o esercitate da: o Parti (es. incidente probatorio); o P.m.: il giudice emette l’ordinanza con la quale indica le indagini supplettive che il p.m. deve compiere (termine e data della nuova udienza preliminare). L’ordinanza è comunicata al procuratore generale presso la Corte d’appello, per permettergli di esercitare i suoi poteri di controllo e dargli la possibilità di avocare eventualmente le indagini con decreto motivato; Il difensore, essendo libero di operare o meno le indagini, di esibire o celare, sembrerebbe non poter essere destinatario di un ordine del giudice. o Giudice: il giudice può altresì condurre in prima persona un’attività istruttoria ufficiosa e quindi disporre l’assunzione delle prove delle quali appaia evidente la decisività ai fini della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere (non potrebbe trattarsi di prove idonee a corroborare un eventuale rinvio a giudizio, né di prove che, ictu oculi, non siano adeguate ad indirizzarlo definitivamente verso l’epilogo alternativo). Se le prove non possono essere assunte immediatamente, il giudice dovrà fissare la data della nuova udienza, per quale dispone la citazione dei testimoni, periti e consulenti tecnici e coimputati di cui abbia ammesso l’audizione o l’interrogatorio (l’imputato può chiedere di essere sottoposto a interrogatorio, anche nelle forme dell’esame incrociato). Quest’ultimi sono condotti dal giudice, al quale il p.m. e i difensori possono chiedere di rivolgere domande alla persona esaminata. Al termine, il p.m. e i difensori formulano e illustrano le rispettive conclusioni. Modifica dell’imputazione Di norma, la richiesta di rinvio a giudizio formalizza l’accusa, fissando il thema probandum sul quale il p.m. richiede che il giudice si pronunci. Tuttavia, nel corso dell’udienza, possono risultare mutati i contorni dell’addebito, necessitando la modifica dell’imputazione. L’art. 423 prevede quattro ipotesi di mutamento: Se il fatto risulta diverso: stesso nucleo storico, ma qualche elemento dissimile da come è descritto nell’imputazione; Emerge un reato connesso a norma dell’art. 12 lett. b; Circostanza aggravante; Se risulta un fatto nuovo: non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, ma che si aggiunge al precedente, per il quale si debba procedere d’ufficio. Nelle prime tre ipotesi, il p.m. modifica l’imputazione e la contesta all’imputato presente (o, se assente, la comunica al suo difensore). Nella quarta ipotesi, il giudice ne autorizza la contestazione solo se il p.m. ne fa richiesta e vi è il consenso dell’imputato. La disciplina risulta piuttosto essenziale e non adeguatamente provvista di garanzie (cfr. medesimo istituto previsto per il dibattimento): si ritiene si possa applicare in via analogia l’art. 519 (diritto dell’imputato ad un termine a difesa, anche se la giurisprudenza si dice contraria) e l’art. 521 (viene riconosciuto al giudice il potere di dare al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione). In ogni caso, vi è la necessità di un contraddittorio sull’imputazione riqualificata che preceda l’epilogo della fase. Si ritiene applicabile anche il principio di cui all’art 521.2: se accerta che il fatto è diverso da quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il giudice deve disporre la trasmissione degli atti all’organo dell’accusa perché eserciti ex novo l’azione penale; tuttavia, secondo le S.U., lo può fare solo dopo una prima sollecitazione a riformulare l’imputazione che non sia stata raccolta dall’organo di accusa. Epiloghi ordinari Chiusa la discussione, fuori dall’ipotesi per cui il giudice dichiari con sentenza la propria incompetenza e quindi debba trasmettere gli atti al p.m. (art. 22), l’art. 424 definisce gli epiloghi ordinari dell’udienza preliminare, posti in alternativa tra loro attraverso la richiesta di rinvio al giudizio: Sentenza di non luogo a procedere: se il processo non deve essere instaurato (suscettibile di acquisire una stabilità non definitiva); Decreto non motivato che dispone il giudizio: se il giudice riterrà sussistenti gli elementi per il dibattimento. Essi sono provvedimenti con forme sintetiche ed essenziali e cadenze temporali ristrette che regolano il momento deliberativo: il giudice procede alla deliberazione subito dopo che è stata chiusa la discussione, e dà immediata lettura del provvedimento. La lettura equivale a notificazione per le parti presenti. Il provvedimento è di regola immediatamente depositato in cancelleria e le parti hanno diritto di ottenerne copia. Se non è possibile fornire una motivazione immediata, pur richiedendo una sommaria esposizione dei motivi di fatto e di diritto che la giustificano, il giudice può provvedere entro 30gg dalla pronuncia della sentenza di non luogo a procedere. Sentenza di non luogo a procedere L’art. 425 prevede che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere, indicandone la causa nel dispositivo: Situazioni di proscioglimento: il catalogo anticipa alcune formule della sentenza di assoluzione dibattimentale (non è autonomamente prevista la formula terminativa che impone il proscioglimento nel caso in cui il reato è stato commesso da persona non imputabile): o Causa che estingue il reato; o L’azione non doveva essere iniziata o proseguita; o Se il fatto non è previsto dalla legge come reato; il fatto non sussiste; l’imputato non lo ha commesso; il fatto non costituisce reato; o Se si tratta di persona non punibile per qualsiasi causa (es. particolare tenuità del fatto). Elementi insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. o Originariamente, la regola di giudizio concretava un vaglio poco più che formale, potendo la sentenza essere pronunciata soltanto quando una delle situazioni di proscioglimento risultasse evidente. Tale disciplina rendeva la sentenza inidonea ad assolvere la funzione di filtro delle imputazioni azzardate, azzerandone la portata deflattiva. Infatti, imponendo la pronuncia solo in presenza di un quadro nitido della colpevolezza, gli elementi finivano per costituire una fortissima “ipoteca” sul convincimento del giudice dibattimentale. Pertanto, per ripristinare la funzione dell’udienza, l’attuale terzo comma stabilisce che il giudice può pronunciare sentenza di non luogo a procedere anche quando l’accusa risulti insostenibile. La giurisprudenza ritiene che, nonostante l’arricchimento qualitativo, la sentenza resta qualificata da una deliberazione di tipo prognostico di sostenibilità dell’accusa in giudizio, cioè è necessaria una prognosi sull’idoneità degli elementi ad essere corroborati dalla dialettica dibattimentale, sicché il giudice dovrebbe prosciogliere l’imputato, non in qualunque situazione di incertezza, ma solo nell’ipotesi in cui il dubbio non appaia superabile nemmeno a seguito del passaggio al giudizio, secondo la valutazione di utilità del dibattimento elaborata dalla Corte costituzionale. Il secondo comma stabilisce che il giudice, ai fini della pronuncia della sentenza, deve tener conto della sussistenza di circostanze attenuanti, operando il bilanciamento. Tale precisazione ha perso significato dopo la riforma dell’art. 157 c.p., che prevede che, per determinare il tempo necessario a prescrivere, si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell'aumento per le circostanze aggravanti. Il quarto comma prevede che il giudice non può pronunciare sentenza di non luogo a procedere se ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca; tale disposizione, ricorrendo ad un’interpretazione a contrario, sembrerebbe dire che, fuori dall’ipotesi interdetta, nei confronti del soggetto incapace di intendere e di volere potrebbe essere pronunciata sentenza di non luogo a procedere, in quanto “persona non punibile” a condizione che, ritenuto non socialmente pericoloso, non debba essergli applicata una misura di sicurezza personale. Contenuti L’art. 426 prevede: Contenuti necessari: (intestazione «in nome del popolo italiano» e l'indicazione dell'autorità che l'ha pronunciata; generalità dell'imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo nonché le generalità delle altre parti private; l’imputazione; l'esposizione sommaria dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata; dispositivo, con l'indicazione degli articoli di legge applicati; data e sottoscrizione del giudice). o La sentenza è nulla solo se manca la motivazione (art. 125.3), il dispositivo (o è incompleto), o la sottoscrizione del giudice. Contenuti eventuali: o Il giudice può anche dichiarare la falsità di un atto o documento acquisito al procedimento (cfr. rinvio all’art. 537); o Condanna del querelante: se il fatto non sussiste o l’imputato non l’ha commesso, il giudice lo condanna al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato, salvo che non emerga l’assenza di colpa a questi ascrivibile nell’esercizio del diritto di querela. Con ulteriori statuizioni di carattere civilistico, il giudice negli stessi casi provvede, a richiesta delle parti e salva la compensazione totale o parziale per giusti motivi, alla rifusione delle spese sostenute dall’imputato nonché, se il querelante si è costituito parte civile, dal responsabile civile citato o intervenuto. Il querelante, se ha agito con colpa grave, può anche essere condannato a risarcire il danno all’imputato e al responsabile civile che ne abbiano fatto domanda. Contro il capo della sentenza di non luogo a procedere che decide sulle spese o sui danni possono proporre impugnazione il querelante, l’imputato e il resp. civile. Impugnazione La L. 103/2017 ha riformato la disciplina dell’impugnazione, tra cui anche quella della sentenza di non luogo a procedere, al fine di restringere l’accesso alla Corte di Cassazione, preservarne la funzionalità e l’effettività del controllo. Originariamente, la sentenza era appellabile, poi solo soggetta a ricorso per Cassazione, ora nuovamente soggetta ad appello: Appello (o ricorso per saltum): il querelante, il Procuratore della Repubblica, il Procuratore Generale (in ipotesi limitate, per i casi di avocazione o quelli in cui il procuratore della Repubblica abbia apprestato acquiescenza al provvedimento), l’imputato (salvo che con la sentenza sia stato dichiarato che il fatto non sussiste o che egli non l’ha commesso, perché in questi due casi difetta l’interesse ad impugnare) o la persona offesa (nei casi di nullità ex art. 419.7) possono impugnare la sentenza di fronte alla Corte d’appello, che deciderà in Camera di consiglio con le forme ordinarie di cui all’art. 127 (e non con le forme proprie dell’appello, funzionali a forme di acquisizione probatorie qui non consentite). La nuova disciplina regola anche gli epiloghi del giudizio a seconda dell’appellante: o Appello del p.m.: Riforma della sentenza: se gli elementi sono sussistenti per il rinvio a giudizio, la Corte pronuncia immediatamente il decreto che dispone il giudizio e forma il fascicolo del dibattimento; Conferma della sentenza: se non vi sono gli elementi, vi sarà la conferma o una nuova pronuncia di una sentenza di non luogo procedere con formula meno parte del giudice l'acquisizione di nuovi elementi di prova ex art. 507. Il motivo per cui è stata introdotta tale norma è quello di mantenere un equilibrio tra le parti in relazione alla conoscenza dei fatti oggetto di testimonianza, in modo da non creare indebiti vantaggi o arrecare indebiti svantaggi in sede dibattimentale. Le informazioni assunte in violazione di tale divieto sono inutilizzabili a carattere assoluto, estendendosi anche alla fase dibattimentale – il divieto cessa dopo l'assunzione della testimonianza e nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo. Formazione dei fascicoli Immediatamente dopo l’emissione del decreto che dispone il giudizio, o in apposita udienza fissata non oltre il termine di 15gg se una parte lo richieda, il giudice provvede alla formazione del fascicolo per il dibattimento nel contraddittorio delle parti, individuando e separando il materiale che può essere conosciuto dal giudice dibattimentale da quello che, in quanto esito delle indagini di parte, deve restare fuori dal circuito processuale. Si tratta di un adempimento funzionale al sistema del doppio fascicolo, che rappresenta la trasposizione materiale del principio di separazione delle fasi caratterizzante il nostro modello processuale. Essendo un’attività non neutra e di estrema delicatezza, essa va condotta in contraddittorio affinché le parti possano vigilare sulla qualità degli atti che vi confluiscono. L’art. 431 delinea cosa deve essere raccolto nel fascicolo per il dibattimento (atti relativi alla procedibilità dell'azione penale e all'esercizio dell'azione civile; verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria, dal p.m. e dal difensore; documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale; verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; verbali degli atti, diversi da quelli previsti dalla lettera, assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana; certificato generale del casellario giudiziario e gli altri documenti indicati nell'articolo 236; corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custoditi altrove). Le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del p.m., nonché della documentazione relativa alla attività di investigazione. Il fascicolo così formato è trasmesso senza ritardo alla cancelleria del giudice competente per il giudizio, ai sensi dell’art. 432, insieme con il decreto che dispone il giudizio e con l'eventuale provvedimento che abbia disposto misure cautelari in corso di esecuzione. Tutto quello che non rientra nella tassativa elencazione dell’art. 431 deve essere trasmesso al p.m. con gli atti acquisiti all'udienza preliminare, e unitamente al verbale di udienza: fascicolo del p.m., destinato ad essere conservato nella segreteria del p.m., con facoltà dei difensori di prenderne visione ed estrarne copia. PROCEDIMENTI SPECIALI Specialità Il concetto di procedimento speciale postula un riferimento alla dinamica processuale, e va definito per differenza specifica rispetto al concetto di procedimento ordinario di primo grado. Infatti, mentre quest’ultimo si snoda lungo una linea complessivamente composta da tre segmenti principali (indagini preliminari, udienza preliminare e giudizio), il procedimento speciale si caratterizza per l’assenza di almeno uno di quei segmenti. La specialità trova la sua ratio nell’esigenza economica, al fine di ricercare risparmio di tempo, di risorse umane e, in generale, di attività processuale. Già le codificazioni previgenti legittimavano la semplificazione dell’ordinario iter per i reati di scarsa gravità o per l’evidente fondatezza dell’accusa; oggi, vi sono addirittura incentivi premiali, che incoraggiano la rinuncia dell’imputato alla fase dibattimentale e all’esercizio di quei diritti di difesa e di prova che in essa potrebbero trovare spazio. Tuttavia, la semplificazione dell’ordinario iter incide inevitabilmente alcune garanzie costituzionali (cfr. diritti della difesa, giudice naturale, presunzione di innocenza), in quanto per attuare il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, sarebbe necessaria una procedura uniforme per accertare la responsabilità penale, al fine di garantire gli stessi diritti alle parti e la correttezza delle decisioni. Pertanto, per limitare la compressione di siffatte garanzie, la semplificazione deve essere espressamente autorizzata dalla legge, bilanciando l’interesse all’efficienza del sistema processuale con un’adeguata protezione dei diritti individuali. Il Libro VI del codice contempla sei tipi di procedimento speciale: il giudizio abbreviato, l’applicazione di pena su richiesta delle parti, il giudizio direttissimo, il giudizio immediato, il procedimento per decreto e la sospensione del processo con messa alla prova. Ma la serie non è esaustiva se si ritiene che la qualifica di “speciale” spetti a quei procedimenti la cui caratteristica essenziale risiede nell’essere privi di una fase o di una sotto-fase, presente invece nel procedimento ordinario. Alla luce di questa nozione, meritano di essere classificati come “speciali” anche taluni procedimenti non disciplinati nel libro VI: Procedimento di oblazione (art. 162, 162-bis c.p. e 141 disp. att.), che consente una chiusura anticipata della vicenda processuale evitando la fase dibattimentale con contestuale degradazione dell’illecito penale in illecito amministrativo; Estinzione del reato per condotte riparatorie (art. 162-ter c.p.); Giudizio immediato richiesto dall’imputato, che consente di anticipare il dibattimento saltando l’udienza preliminare (art. 419 5° co.); Procedimenti che nascono da una contestazione suppletiva nell’udienza preliminare (art. 423) o nel dibattimento (art. 517-518), i quali risultano privi, rispettivamente, dell’indagine preliminare e dell’intera fase preliminare al giudizio. Procedimento davanti al giudice monocratico, per i reati indicati dall’art. 550 (privo dell’udienza preliminare); Procedimento penale davanti al giudice di pace (d. lgs. 274/2000), con regole specialissime, condizionate dall’impronta tendenzialmente conciliativa e residualmente presissima che caratterizza questo tipo di giurisdizione. Non rientrano, invece, nel concetto di specialità quegli istituti volti a semplificare il procedimento in fase di impugnazione, in quanto la specialità riguarda il solo procedimento di primo grado, e non le soluzioni tecniche, pur dettate da esigenze di economia processuale, che caratterizzano i gradi successivi del giudizio (es. patteggiamento in appello; ricorso immediato per cassazione, che pur comporta l’eliminazione di un grado del giudizio di merito). Ne fuoriesce altresì il non doversi procedere per particolare tenuità del fatto, in quanto l’epilogo prefigurato dall’art. 131-bis c.p. si risolve in un proscioglimento, che può intervenire in ogni stato e grado del procedimento penale, senza che ciò comporti modalità procedurali tali da rendere il corrispondente rito “speciale”. Ragioni della specialità I procedimenti speciali rivelano una duplice natura, che genera una triplice partizione dei riti fondati su: Requisito soggettivo: espressione di una giustizia consensuale, in quanto basata su una facoltà di scelta volontaria di una o entrambe le parti di disporre di taluni stati o situazioni processuali, con conseguente rinuncia alle chances di intervento che la legge vi collega, idonea in taluni casi ad influire sul merito della causa e sulla determinazione della pena (cfr. giudizio abbreviato; applicazione di pena su richiesta di parte o “patteggiamento”; procedimento di oblazione; estinzione del reato per condotte riparatorie; sospensione del processo con messa alla prova; giudizio immediato richiesto dall’imputato). o La Corte costituzionale ha avuto difficoltà ad armonizzare le normative riguardanti il giudizio abbreviato e patteggiamento (riti principali) con i tradizionali capisaldi dell’ordinamento penale (cfr. legalità della pena; obbligatorietà dell’azione penale; presunzione di innocenza). o L’instaurazione di una procedura consensuale esclude, di regola, sia la trasformazione in altro procedimento dello stesso tipo (es. una volta ammesso il patteggiamento, non è possibile richiedere il giudizio abbreviato), sia in altra semplificazione imperativa (es. la scelta del giudizio abbreviato esclude il giudizio direttissimo); Requisiti oggettivi: esercizio della giurisdizione autoritativo, in quanto imperativamente affermati dal magistrato penale (es. scarsità del reato o l’evidenza dell’accusa). Essi rappresentano il nucleo più antico delle procedure speciali, che si giustificano in forza di predefiniti presupposti processuali, connotati da una certa oggettività, la cui sussistenza viene affermata dal p.m. e poi, di regola, vagliata e confermata dal giudice. Essi possono fondarsi su un’asserita facilità di accertamento probatorio (cfr. giudizio direttissimo; giudizio immediato richiesto dal p.m.), talvolta codificata in una situazione-tipo dai contorni assai netti (es. flagranza di reato o confessione) oppure in maniera più approssimativa (es. evidenza della prova), oppure fondarsi sull’opportunità di cullare il fatto emerso nell’udienza preliminare o nel dibattimento, con quello già in precedenza contestato, al fine di facilitare il compito del giudice nel calcolo della pena (cfr. contestazione suppletiva del reato concorrente o continuato); o È sempre consentito il passaggio da un rito imposto imperativamente a uno dei riti consensuali, per ragioni economiche (risparmio di risorse maggiore), giuridico- costituzionali (l’accesso ai riti consensuali e ai connessi sconti di pena non può essere ostacolato dalla scelta imperativa dell’autorità giudiziaria); e per garantire il diritto di difesa, e permettere ad ogni imputato di scegliere il modo più adeguato e consono ai propri interessi per difendersi (irragionevole disparità di trattamento). Gruppo misto: la semplificazione costituisce il risultato di un’iniziale scelta imperativa del magistrato penale, combinata col consenso dell’imputato o con l’accordo delle due parti principali del processo penale, imputato e p.m. (cfr. procedimento per decreto; giudizio direttissimo esperibile col consenso delle parti; contestazione suppletiva del fatto nuovo). Giustizia consensuale Nel sistema penale del 1930, la volontà delle parti e, in special modo, dell’imputato, figurava in soli due casi ed esclusivamente per i reati bagattellari (oblazione per le contravvenzioni punibili, in astratto, con l’ammenda; decreto penale per i reati punibili, in concreto, con una pena pecuniaria). Lo spazio riservato dalla legge al potere dispositivo delle parti e negoziabilità delle situazioni processuali è aumentato, ravvisando l’effetto di un’opzione culturale e di politica legislativa: L. 689/1981: o Oblazione: ambito di operatività sensibilmente esteso, includendo altresì le contravvenzioni punibili con pena alternativa, per le quali il giudice ritenga di applicare la pena pecuniaria; o Patteggiamento (embrione dell’attuale): possibilità di accordarsi sul quantum di pena evitando il dibattimento, a fronte di reati di scarsa gravità (punibili con talune sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi). Riforma processuale dell’88: dilatazione dell’operatività di vecchi istituti (cfr. patteggiamento e del procedimento per decreto), introduzione del giudizio abbreviato e si è assegnata all’imputato la facoltà di rinunciare all’udienza preliminare e, in certi casi di contestazione suppletiva, all’intera fase preliminare del processo; L. 479/1999 – legge sul giudice unico di primo grado: innovazione della disciplina sul giudizio abbreviato, nell’intento di correggerne alcune storture che la rendevano costituzionalmente illegittima (cfr. ammissibilità ancora ancorata ad un presupposto rigido ed indefettibile – la definibilità del giudizio allo stato degli atti – solo appartenente oggettivo, ma rivelatosi fonte di censurabili sperequazioni fra imputati, in quanto dipendeva dall’impegno concretamente profuso dal p.m. nello svolgimento dell’indagine, oltre che dalla personalissima opinione del giudice circa la sussistenza del presupposto in questione); L. 479/1999: modifica parziale del patteggiamento e del giudizio immediato, al fine di adeguare le rispettive discipline alla giurisprudenza costituzionale e alle nuove norme sull’udienza preliminare. D. lgs. 231/2001 – legge sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche: accessibilità all’ente-imputato il giudizio abbreviato, l’applicazione della sanzione su richiesta, e il procedimento per decreto; L. 134/2003: dilatazione del patteggiamento; L. 67/2014: introduzione della sospensione del processo con messa alla prova, modellato sull’analogo sostituto sperimentato nel settore della giustizia minorile; L. 103/2017: introduzione dell’estinzione del reato per condotte riparatorie, ed è altresì intervenuta sui presupposti di ammissibilità del giudizio abbreviato e sui limiti dello sconto di pena per i reati convenzionali, nonché sui limiti di ricorribilità per cassazione contro la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti. Il comune denominatore di tutti questi interventi risiede nella rinuncia delle parti (in particolare, dell’imputato) a giovarsi dei possibili vantaggi abbinati a determinate situazioni processuali tipiche del processo ordinario: la diversità di disciplina si giustifica con la varietà delle situazioni suscettibili di costituire l’oggetto dell’atto dispositivo, che una o entrambe le parti sono legittimate a compiere. Infatti, il carattere premiale (es. sconti di pena) dei procedimenti si giustifica nel fatto che una simile rinuncia difensiva (legittimata dal consenso ex art. 111.5 Cost.) comporta un’accelerazione del processo che avvantaggia l’accusa, in quanto rende legittima una sentenza di merito sulla base degli atti compiuti unilateralmente da polizia giudiziaria e p.m., senza quindi contrastare l’accusa con tutti gli strumenti che la fase del giudizio offrirebbe. Infatti, talvolta, è lo stesso imputato a chiedere il rito speciale, rinunciando all’udienza preliminare (giudizio immediato) o all’intera fase preliminare del processo (giudizio direttissimo consensuale), allo scopo di tutelare meglio la propria posizione in vista di un possibile proscioglimento. Oblazione o Vizi procedurali intercorsi in precedenza, se sanzionati con nullità relative o a regime intermedio. La richiesta funge da causa di sanatoria di nullità che non siano insanabili (art. 438.6bis); o Cause di inutilizzabilità della prova, che non derivino dalla violazione di un divieto probatorio: espressione equivoca, da intendere nel senso di un’irrilevanza delle sole sanzioni di inutilizzabilità fisiologica, poste a tutela della formazione dibattimentale della prova. Continuano, pertanto, ad operare i divieti produttivi di inutilizzabilità patologica che la richiesta di giudizio abbreviato non vale a sanare; o Incompetenza territoriale dell’organo giudicante: questo è il solo sacrificio a non presentarsi quale cristallizzazione di un precedente orientamento giurisprudenziale; gli orientamenti della Cassazione erano anzi in senso contrario, in quanto escludevano che chiedere il giudizio abbreviato implicasse accettazione del foro territoriale, soprattutto quando la questione di competenza fosse già stata sottolineata nel corso dell’udienza preliminare. D’ora in poi non sarà più così: chi chiude il giudizio abbreviato sa che, salvo eccezioni, non potrà contestare la competenza territoriale del giudice. Fase introduttiva La fase introduttiva del giudizio abbreviato è la richiesta, cioè un atto personalissimo dell’imputato, che può presentare egli stesso; il difensore, solo se munito di procura speciale; o, in caso di persone giuridiche, il legale rappresentante (o un rappresentante processuale, se è a sua volta imputato del reato da cui dipende l’illecito). La richiesta prevede due diversi moduli procedurali, offerti alla libera ed esclusiva scelta dell’imputato: Richiesta semplice: l’imputato si limita a chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti, su cui il giudice statuisce l’ammissibilità. L’art. 438.4 ammette, appena prima di presentare la richiesta semplice, il deposito di un’indagine difensiva, a seguito del quale è necessaria la dilazione temporale (per un massimo di 60 giorni) alla convocazione del giudizio abbreviato, per consentire al p.m. di effettuare eventuali indagini suppletive, sui temi offerti dell’investigazione privata, a seguito delle quali l’imputato può revocare la richiesta. o In passato, veniva concessa la trasmissione (a sorpresa) della documentazione di indagini private, superando così le difficoltà e i rischi conseguenti al possibile rigetto della richiesta complessa, senza prevedere la possibilità di replica per il p.m. (la Corte cost. ammetteva la disparità di trattamento sulla superiorità del magistrato inquirente nella fase preliminare). Richiesta complessa (o condizionata): l’imputato condiziona l’anticipazione del giudizio all’assunzione di taluni mezzi di prova, al fine di colmare un supposto deficit conoscitivo intorno alla questione di merito, insufficientemente chiarita dalla precedente attività investigativa (della quale l’imputato è venuto a conoscenza con l’avviso di conclusione delle indagini a norma dell’art. 415-bis). Benché la legge non lo precisi, la richiesta complessa deve indicare le circostanze di fatto da chiarire e i relativi mezzi di prova dei quali l’imputato chiede l’assunzione. Tale richiesta richiede un controllo di ammissibilità particolarmente complesso da parte del giudice; Richiesta simultanea di più richieste: l’imputato può presentare simultaneamente più richieste, fra loro alternative: o Richiesta complessa con una semplice: in modo da lasciar operare quest’ultima qualora la prima fosse rigettata – ciò si evince dalla possibilità di formulare una richiesta semplice dopo il rigetto di quella complessa; o Cumulo di richieste complesse: ciascuna delle quali contenente un diverso progetto di integrazione probatoria; o Richiesta complessa con richiesta di patteggiamento (438.5bis): al fine di garantire l’accesso ad almeno uno dei riti speciali. Termini La richiesta può essere presentata durante l’udienza preliminare fino a che non siano presentate le conclusioni. Le S.U. ritengono che la richiesta vada presentata dopo le conclusioni del p.m. e, al più tardi, quando il difensore formula le proprie conclusioni; in caso di più imputati, per ciascuno di essi, il termine coincide con l’argomentazione finale del rispettivo difensore. La legge si limita ad indicare il termine ultimo per introdurre il rito speciale, e non menziona il momento a partire dal quale l’imputato a facoltà di attivarsi: dal comb. disp. dei commi 1° e 2° art. 438, che la richiesta in questione può essere presentata, al più presto, in limine all’udienza preliminare. La facoltà di presentare la richiesta deve essere garantita all’imputato anche nei procedimenti privi di udienza preliminare (ossia quelli semplificati ex auctoritate): Giudizio immediato promosso dal p.m.: l’imputato può presentare la richiesta al gip, dopo che questi gli abbia notificato il decreto di citazione a giudizio e, precisamente, entro 15 gg dall’ultima notifica del decreto stesso all’imputato, o dell’avviso al difensore, della data fissata per il giudizio. La richiesta deve poi essere comunicata al p.m.: benché non vi sia bisogno di un suo consenso, il titolare dell’accusa va messo a conoscenza del cambiamento di rotta che l’imputato intende imprimere al processo. Dell’udienza il giudice deve dare avviso a tutti gli interessati almeno 5gg prima; Giudizio direttissimo (o citazione diretta davanti al Tribunale in composizione monocratica): il rinvio a giudizio non è soggetto al vaglio preliminare di un organo giurisprudenziale (g.i.p o g.u.p.), la richiesta va presentata al giudice dibattimentale, in udienza, prima che sia dichiarato aperto il dibattimento; Procedimento per decreto: l’opponente può chiedere il giudizio abbreviato al giudice che ha emesso il decreto stesso, il quale fissa anche l’udienza per il giudizio, dandone avviso a tutti gli interessati con almeno 5 gg di anticipo sull’udienza medesima, al fine di consentire un’adeguata preparazione della discussione e dell’eventuale integrazione probatoria. L’art. 489.2 fissa la rimessione in termini per l’imputato erroneamente dichiarato assente (cfr. patteggiamento). La richiesta può essere presentata anche nel corso del dibattimento, quando il p.m. abbia proceduto a nuove contestazioni a norma degli artt. 516 e 517. Secondo la giurisprudenza della Corte costituzionale, la contestazione del fatto diverso, del reato connesso a norma dell’art. 12 lett. b), della circostanza aggravante rimette l’imputato in termini per accedere al rito abbreviato (patteggiamento). Vaglio di ammissibilità Il giudice che riceve la richiesta deve controllarne l’ammissibilità, con criteri diversi a seconda del tipo di richiesta: Richiesta semplice: controllo meramente formale (cfr. rispetto dei termini prescritti; scelta volontaria ed espressa in forma inequivoca dall’imputato (o procuratore speciale) di essere giudicato allo stato degli atti). A ciò si aggiunge una valutazione discrezionale, per verificare la corretta qualificazione giuridica del fatto o la meritevolezza di una pena, nel caso in cui si faccia richiesta di giudizio abbreviato per reati le cui pene costituiscono ostacoli insormontabili all’esperibilità del rito (cfr. ergastolo; interdizione perpetua dell’ente): o L’art. 429.2bis stabilisce che il g.u.p. può, se lo ritiene può correggere la qualifica giuridica e derubricare l’imputazione sì da far rientrare il delitto nel novero di quelli che ammettono il giudizio abbreviato. A tal fine, il giudice può rimettere in termini l’imputato, che può presentare una nuova richiesta di giudizio abbreviato entro 15gg dalla lettura del provvedimento o dalla notificazione del decreto di rinvio giudizio dove quell'avviso deve essere contenuto; o Pur nel silenzio della legge, lo stesso potere e il correlato dovere di informazione va riconosciuto al g.i.p., destinatario di una richiesta di giudizio immediato, e al giudice dibattimentale, nei casi di citazione direttissima. Inoltre, l’imputato ha diritto di chiedere (ed ottenere) lo sconto di pena che gli sarebbe spettato anche nel corso dei giudizi di primo e secondo grado, e persino davanti alla corte di cassazione, qualora riesca a dimostrare che l’aggravante inizialmente ipotizzata dal p.m. all’atto di imputazione non sussista (es. che determinerebbe la pena dell'ergastolo o per l’omicidio volontario). Richiesta complessa: vaglio particolarmente complesso, in quanto l’efficacia della richiesta di essere giudicato allo stato degli atti (che richiede un controllo formale) è subordinata ad un’integrazione probatoria decisiva per il giudizio (che richiede un controllo sul contenuto della domanda di parte). In particolare, il giudice deve verificare che le prove indicate dall’imputato siano: o Davvero necessarie per decidere il merito della causa: apprezzamento soggettivo del giudice, che deve verificare che vi sia un nesso di pertinenza tra la reclamata integrazione probatoria e i fatti da provare ai fini della decisione di merito, e la non superfluità della prova; o Compatibili con le finalità di economia processuale proprie del procedimento: inizialmente, l’integrazione probatoria (singolare diritto alla prova) era subordinato all’opinione personale e insindacabile del giudice. Tuttavia, la Corte costituzionale 169/2003 rinvenne un profilo di irragionevolezza della disposizione, che finiva per l’esporre gli imputati ad irragionevoli disparità, con discriminazioni pressoché inevitabili nell’accoglimento delle richieste e, di riflesso, nella distribuzione dello sconto di pena associato al rito alternativo. Pertanto, oggi, il giudice dibattimentale può sempre sindacare il rigetto, che, per ragioni di economia processuale, il gip o gup dovesse opporre alla richiesta complessa. In linea generale, quando il rito abbreviato viene chiesto dopo l'instaurazione del giudizio direttissimo o nei processi a citazione diretta, sarebbe illogico ritenere che sia il giudice del dibattimento, cioè il destinatario della stessa richiesta, a dover sindacare la correttezza dell'eventuale provvedimento di rigetto subito dopo averlo adottato. Tuttavia, l'esigenza deflattiva non può giustificare disparità di trattamento dipendenti da casuali svolgimenti della dinamica processuale. Pertanto, siccome l’imputato potrebbe comunque rivolgersi al giudice d'appello per la censura della decisione di rigetto, la giurisprudenza ammette che un simile intervento del giudice d'appello possa essere anticipato al giudice di primo grado, che, se si dovesse rendere conto di aver sbagliato nel rigettare in limine litis la richiesta di giudizio abbreviato, può (deve) comunque applicare lo sconto di pena, a prescindere dalla realizzazione di economia processuale. o Valide (mezzi di prova): pur nel silenzio della legge, il giudice deve altresì valutare alla stregua del criterio di validità dei mezzi di prova dei quali l’imputato esige l’assunzione, giacché la prova vietata, essendo affetta da inutilizzabilità patologica sarebbe insuscettibile di acquisizione pure nel giudizio abbreviato. Una volta effettuato il controllo, il giudice può ammettere o rigettare il rito speciale con ordinanza. L’eventuale rigetto della domanda avanzata dall’imputato non impedisce la rinnovazione della richiesta, davanti allo stesso giudice, fino a che sia in corso l’udienza preliminare: Variazione del programma di integrazione probatoria: la richiesta rinnovata sarà accolta se l’imputato avrà saputo riformulare in maniera rispondente ai criteri di cui sopra (cfr. eliminare le prove ritenute non necessarie o quelle la cui assunzione è reputata tanto dispendiosa da risultare incompatibile con le caratteristiche di celerità del rito); Richiesta semplice: dopo che quella complessa è stata rigettata per l’inadeguatezza dell’integrazione probatoria inizialmente proposta. Rigettata la richiesta, il procedimento prosegue lungo l’iter ordinario, salva la possibilità di sottoporre al controllo del giudice dibattimentale o, se del caso, al giudice di appello, il provvedimento di rigetto (169/2003). Quando, invece, la prima verifica di ammissibilità dà esito positivo, il giudice dispone l’udienza di giudizio abbreviato, con un’ordinanza che solo eccezionalmente potrà essere revocata. Una volta ammesso il giudizio abbreviato, il giudice è vincolato al contenuto della richiesta, salva l’esclusione delle prove vietate e l’assunzione d’ufficio delle prove indispensabili per emettere la sentenza. Svolgimento procedurale L’udienza si svolge in camera di consiglio, alla quale il pubblico non è ammesso, salvo che l’imputato o gli imputati ne facciano unanime richiesta e comunque nel solo procedimento di primo grado (non invece in appello), nell’esclusivo interesse degli imputati, i quali vantano un diritto assistito da una semplice nullità relativa, suscettibile peraltro di essere limitato nei casi in cui, in linea generale, si giustificherebbe il sacrificio della pubblicità del dibattimento. All’udienza partecipano le parti principali del processo, cioè imputato, difensore e p.m. (cfr. norme sul legittimo impedimento a comparire, l’assenza e irreperibilità che disciplinano la fase introduttiva dell’udienza preliminare). La parte civile, già costituita in precedenza, può partecipare o non accettare il rito abbreviato, ma non di impedirne lo svolgimento. La non accettazione del giudizio abbreviato comporta l’uscita dal processo penale del soggetto che si reputa danneggiato, con l’ulteriore conseguenza di Sentenza Terminata la discussione, il giudice si ritira per decidere il merito della causa. Nel silenzio della legge, la giurisprudenza (come anche l’attuale normativa) ha posto l’esigenza di assicurare l’immutabilità dell’organo che ammette il rito speciale (vaglio di ammissibilità) e quello che prende la relativa decisione di merito (cfr. principio di immediatezza) Se il giudice incaricato di emettere la sentenza fosse diverso, sarebbe costretto a adeguarsi all’apprezzamento del collega su un punto cruciale, quale quello concernente l’ammissione della richiesta per la definibilità del processo allo stato degli atti. La giurisprudenza di legittimità è oggi concorde nell’affermare che il principio di immediatezza trova applicazione nel giudizio abbreviato, disposto su richiesta subordinata ad una integrazione probatoria, per la parte relativa all’effettiva trattazione ed alla deliberazione della sentenza, e non già per il momento della decisione sull’ammissione del rito. Alla sentenza conclusiva del giudizio abbreviato si applica il modello della sentenza dibattimentale: Proscioglimento: nelle situazioni di dubbio, cioè se, al termine della discussione, il giudice non fosse certo della colpevolezza dell’imputato (cfr. insufficienza, mancanza o contraddittorietà di prove a carico), dell’esistenza di una condizione di procedibilità o di una causa di estinzione del reato, deve emettere sentenza di proscioglimento (regole di giudizio ex art. 529 – di non doversi procedere); Condanna: la responsabilità penale dell’imputato è dimostrata al di là di ogni ragionevole dubbio, sia pure sulla scorta del materiale formato durante l’udienza in giudizio abbreviato. L ’art. 442.1bis elenca le fonti di convincimento giudiziale (cfr. atti d’indagine preliminare; eventuali esiti dell’indagine suppletiva del p.m. e del difensore; verbali dell’attività d’integrazione probatoria promossa dal giudice o richiesta dall’imputato, assunti in udienza; atti di indagine difensiva presentati contestualmente alla richiesta di giudizio abbreviato o contenuti nel fascicolo previsto dall’art. 391octies). o Sconto di pena: il giudice deve diminuire la pena considerata in concreto (dopo averne determinato il quantum alla stregua del calcolo di prevalenza o equivalenza delle eventuali circostanze attenuanti e aggravanti) di 1/3 per i delitti e della metà per le contravvenzioni; o Capi civili (eventuale): se la parte civile ha accettato il rito abbreviato, il giudice ha il potere di accertare e soddisfare la sua pretesa risarcitoria e la sentenza penale, una volta divenuta definitiva, produce effetti vincolanti nel separato giudizio civile di risarcimento del danno. In realtà, il giudicato ha effetto vincolante anche per il giudizio civile, salvo che non vi si opponga la parte civile che, a suo tempo, non aveva accettato il giudizio abbreviato, in quanto si suppone un interesse dell’interessato. Appello La sentenza del giudizio abbreviato è appellabile (vs. patteggiamento): Sentenze di proscioglimento: appellabili dal p.m. o L’imputato può appellare solo la sentenza di proscioglimento per vizio totale di mente, per l’affinità con la sentenza di condanna, dato l’accertamento del reato, la sua riferibilità all’imputato e l’eventuale applicazione di misure limitative della libertà personale. Sentenze di condanna: o L’imputato può appellare le condanne che prevedono sanzione pecuniaria, pena che non poteva essere eseguita o la sanzione sostitutiva (cfr. la Corte cost. 363/1991 elimina il limite di appellabilità, considerando irragionevole dosare il diritto d’appello sulla scorta di criteri estrinseci alla qualità del reato accertato e al tipo di pena irrogata) . Non sono invece appellabili i reati sanzionati con l’ammenda; o Il p.m. può proporre appello solo contro le sentenze di condanna che riguardino un titolo di reato diverso da quello a suo tempo specificato dal p.m. nell’imputazione. Il limite si giustificava in quanto compensato dal potere attribuito al p.m. medesimo di favorire l’accesso al giudizio abbreviato con una propria manifestazione di volontà. Caduta la necessità del consenso, con la citata riforma del 1999, il limite è sopravvissuto ed è giustificato dall’esigenza di garantire la rapida conclusione dei processi definiti sulla scorta di atti prevalentemente formati e raccolti nella fase preliminare, per l’esigenza di scoraggiare per il p.m. imputazioni azzardate ed indagini incomplete. La parte civile può appellare le sentenze sia di condanna che di proscioglimento. Le impugnazioni sono tassative (ex nell’art. 568, la legge deve indicare sia i provvedimenti impugnabili sia i mezzi esperibili contro di essi, e non è fatta menzione della facoltà di impugnare per la parte civile), ma qualora fosse privata della facoltà di appellare, la parte civile subirebbe un’irragionevole compressione del suo diritto di difesa nel processo penale (giacché questo diritto certamente le spetterebbe nel processo civile). Il diritto va affermato anche per evitare collisioni con i principi costituzionali e, in primo luogo, con la ragionevole attuazione del diritto di difesa, che va riconosciuto al danneggiato dal reato, il quale, costituendosi parte civile, ha scelto il giudizio abbreviato quale sede per l’accertamento del danno risarcibile. In questo senso si sono anche di recente le S.U. Quando è proposto appello contro una sentenza emessa a seguito di rito abbreviato, il relativo giudizio d’impugnazione si svolge in camera di consiglio senza l’intervento del pubblico (e questo anche se si fosse svolto coram popolo quello di primo grado). L’eventuale inosservanza di tale disposizione costituirebbe, peraltro, una semplice irregolarità, inidonea a pregiudicare la validità degli atti compiuti. Nel corso del giudizio di appello, possono essere assunte nuove prove entro i limiti messi dall’art. 603. In tal caso, la norma deve essere adeguata alla disciplina probatoria propria del rito speciale. In particolare, essa è condizionata dal tipo di richiesta all’origine del giudizio abbreviato; e, più di recente, dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, che non ammette condanne in appello emesse sulla scorta della mera rivalutazione delle prove poste a base di una sentenza assolutoria in primo grado, senza che siano stati riesaminati i testimoni (o i dichiaranti in genere). L’insegnamento della Corte di Strasburgo è stato poi recepito anche dalle S.U.: esse hanno infatti stabilito che l’imputato assolto in primo grado, all’esito di un giudizio abbreviato, può essere condannato in appello solo a condizione che si sia proceduto all’esame delle persone che avevano reso dichiarazioni ritenute decisive in prime cure, indipendentemente dal tipo di richiesta introduttiva del rito. Alla luce di un simile orientamento, il comma 3- bis art. 603 è destinato a trovare applicazione anche nel giudizio abbreviato. La differenza fra l’una e l’altra richiesta sopravvive quando il giudizio abbreviato sfocia in una condanna: Richiesta complessa: l’imputato che intende condizionare l'ammissione del rito ad una determinata integrazione probatoria mantiene, anche in appello, il diritto alla riassunzione del mezzo di prova già acquisito in primo grado, purché ciò sia necessario ai fini della decisione. Inoltre, e a maggior ragione, egli può pretendere l’ammissione in seconda istanza di una prova che, pur indicata nella richiesta di giudizio abbreviato, non è stata assunta dal giudice di primo grado. A sua volta, il p.m. appellante ha il diritto di chiedere la riassunzione, o l’assunzione per la prima volta, delle prove contrarie a quelle che l’imputato aveva dedotto nella richiesta di giudizio abbreviato; Richiesta semplice: l’imputato (ma anche il p.m.) ha rinunciato integralmente al diritto alla prova, e non può pretendere che tale diritto sorga in appello, se non quando la sentenza di proscioglimento sia appellata dal p.m. L’integrazione probatoria è affidata infatti esclusivamente al giudice, che può assumere tutti i mezzi di prova che ritiene assolutamente necessari ai fini della decisione (art. 603.3), e ogni sollecitazione delle parti circa l'assunzione di prove a loro avviso necessarie non costringerebbe il giudice ad un provvedimento formale sulla loro ammissione. Applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento) Ambito di applicazione L’art. 444 disciplina il patteggiamento, che è frutto di un’evoluzione normativa, iniziato con la L. 689/1981 che ha introdotto il rito, attribuendo all’imputato la facoltà di provocare una chiusura anticipata del processo ed evitare il dibattimento, chiedendo l’applicazione di sanzioni sostitutive delle pene detentive brevi (reati bagatellari). L’esperienza positiva che ne seguì ha indotto il legislatore ad ampliare l’ambito di operatività dell’istituto e ad inserirlo nel codice del 1988, dotandolo di una più dettagliata regolamentazione. Infine, la L. n. 134/2003 ha esteso l’ambito applicativo del rito prevedendo la possibilità di patteggiare per una serie di reati identificati attraverso la sanzione applicabile in concreto, cioè tenendo conto dei criteri commisurativi (circostanze previste dalla legge penale; diminuzione di pena prevista come incentivo all’imputato per la scelta del rito speciale): reati punibili con la pena pecuniaria, anche congiuntamente alla pena detentiva, con una delle sanzioni sostitutive, o con una pena detentiva non superiore a 5 anni (cfr. non dovendo essere considerata la pena edittale, sono ammessi al patteggiamento anche reati punibili in astratto con pene superiori a 5 anni di reclusione). Per ridimensionare il carattere di premialità, si distingue, con riferimento alla pena detentiva, tra patteggiamento: Minus: concernente i reati meno gravi (pena fino a due anni); Maius: concernente i reati più gravi (pena da due a cinque anni). Per temperare ulteriormente l’eccessiva estensione, il procedimento è escluso: Nei procedimenti per i delitti di criminalità organizzata, terrorismo, per determinati delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale, nonché con riguardo a imputati considerati delinquenti abituali, professionali o per tendenza oppure plurirecidivi; Nei procedimenti a carico di persone giuridiche punite con sanzione interdittiva ex art. 16 d.lgs. 231/2001 (vs. è ammesso per tutti gli illeciti sanzionati con pena pecuniaria); Nel procedimento minorile con la giurisdizione del giudice di pace, perché incompatibile con le peculiarità che contraddistinguono questi due procedimenti. Inoltre, per gli autori di delitti reputati sintomatici di pericolosità soggettiva, sono dettate regole particolari, in chiave special-preventiva, attraverso il ricorso a mirate pene accessorie (es. nei delitti contro la p.a., l’ammissione del patteggiamento è condizionata alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato; nei reati in materia di imposte dirette o indirette, l’ammissibilità del patteggiamento è subordinata al pagamento del debito; interdizione dai pubblici uffici; incapacità di contrattare con la p.a.; nei delitti di deturpamento permanente al volto e del delitto di mutilazione genitale femminile sono sempre assoggettabili decadenza della responsabilità genitoriale o interdizione perpetua da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e alla amministrazione di sostegno). Tali pene accessorie sono perpetue per il patteggiamento maius, mentre hanno una durata limitata per il patteggiamento minus. Richiesta L'accordo tra le parti principali del processo, avente per contenuto il quantum di pena da applicare, è elemento necessario per l’instaurazione del patteggiamento. La legge attribuisce disgiuntamente all’imputato e p.m. la facoltà di assumere l’iniziativa per promuovere il rito speciale, l’esperibilità del quale è subordinata al consenso della parte non richiedente. Richiesta e consenso possono essere formulati oralmente, se presentati in udienza, in forma scritta negli altri casi. Da una parte, l’imputato potrà decidere attraverso valutazioni di opportunità, bilanciando: Rinunce: perdita dei diritti che gli spetterebbero in base alle regole ordinarie processuali (cfr. diritto alla prova, in quanto verrà giudicato allo stato degli atti; controvertere sul fatto e sulla relativa qualifica giuridica; sulla specie e sulla misura della pena da applicare). Vantaggi comuni: o Sconto di pena: diminuzione della sanzione applicabile in concreto fino a 1/3 (la frazione indica l’entità dello sconto); o Assenza di effetti pregiudizievoli: la sentenza è inidonea ad avere effetti vincolanti nei giudici civili e amministrativi nei quali sia parte lo stesso imputato; o Assenza di pubblicità: efficace incentivo alla scelta del rito speciale (es. imputati con una fama o notorietà da difendere, che preferiscono sottrarsi ai riflettori della scena dibattimentale, dai quali potrebbe derivare un danno d’immagine persino superiore a quello di un giudizio in loro favore). Vantaggi ulteriori previsti solo per il patteggiamento minus: o Affrancamento dell’imputato dall’obbligo di pagare le spese processuali; o Esenzione da pene accessorie e misure di sicurezza, eccettuata la confisca, ammessa in relazione alle cose menzionate negli artt. 240 e 240-bis c.p.; o Non menzione della sentenza nel certificato generale del casellario giudiziale richiesta dall’interessato; o Possibilità di conseguire l’estinzione del reato per fatti che non rientrerebbero nell’ambito del 167 c.p.: la pena concordata che non superi i 2 anni di detenzione può, infatti, essere sospesa e la relativa condanna sfociare in una declaratoria di estinzione del reato, se nei 5 anni successivi alla sentenza l’imputato non commette un altro delitto o se, nei 2 anni successivi, non commette una contravvenzione della stessa indole di quella che aveva costituito oggetto di accordo. Viceversa, il p.m., pur bilanciandone gli interessi (cfr. rinuncia a controvertere sulle questioni di fatto e di diritto connesse col tema dell’imputazione; risparmio di risorse perseguendo altri reati), occupando una posizione istituzionale di funzionario pubblico, è tenuto ad effettuare la propria scelta alla stregua di parametri obiettivi (vs. connotazione politica al consenso o al suo dissenso), che giustificano l’insindacabilità del consenso prestato. Infatti, egli è soggetto alla legge ed è obbligato ad un atteggiamento accadrebbe nel dibattimento o nel giudizio abbreviato. Il dubbio opera qui contra reum. Per di più, nel patteggiamento la decisione è presa “allo stato degli atti”, sulla base del materiale raccolto nell’indagine, che non può essere integrato con altro materiale probatorio, nemmeno per superare eventuali titubanze dell’organo giudicante. Tra la sentenza di condanna emessa al termine del dibattimento e quella applicativa della pena concordata nell’indagine o nell’udienza preliminare, sussiste uno scarto evidente, perché è diversa la regola di giudizio da applicare e l’estensione dell’accertamento del giudice condotto sulla questione di fatto. La giurisprudenza di legittimità ritiene applicabile l’in dubio pro reo, quando, a pronunciarsi sulla richiesta di pena concordata sia il giudice del dibattimento o il giudice dell’impugnazione, in una delle situazioni in cui ciò può accadere (conferma dell’inapplicabilità dell’art. 530.2. nei patteggiamenti conclusi prima del dibattimento). Natura controversa L’art. 445.1bis impone di ravvisare nella sentenza di patteggiamento un’equiparazione alla condanna penale, tutte le volte in cui la legge collega certi effetti all’esistenza di una sentenza condannatoria (es. esecuzione della pena; iscrizione nel casellario giudiziale; effetti pregiudiziali nel procedimento cautelare personale). In certi casi, la legge (penale o processuale) connette determinati effetti alla condanna, non tanto in ragione del fatto che esiste una sentenza di quel formale tenore, quanto piuttosto in ragione dell’accertamento di responsabilità che la sentenza stessa racchiude e, al contempo, documenta. Se non contiene quell’accertamento, la sentenza non può produrre quegli effetti. Talvolta, è la legge stessa (cfr. salvo quanto previsto dall’art. 653 – sentenza di assoluzione) ad escludere che la sentenza di patteggiamento vada considerata come decisione di condanna: Limitatamente alle ipotesi di patteggiamento minus, la sentenza non può applicare pene accessorie ed è inidonea a sortire effetti vincolanti in sede civile risarcitoria, oltreché in sede amministrativa o in sede civile extra-risarcitoria. o L’unica eccezione è rappresentata dall’effetto vincolante che la sentenza può produrre nel procedimento disciplinare, per cui l’autorità disciplinare deve considerare accertata la responsabilità penale di colui che patteggia (cfr. la Corte costituzionale, considerata la peculiarità del giudizio disciplinare specie a sé stante, ha considerato ragionevole la pregiudizialità della sentenza patteggiata, giustificandone la regolamentazione distinta rispetto ai giudizi civili o amministrativi soggetti all’effetto vincolante delle sole sentenze emesse a seguito di dibattimento o di giudizio abbreviato). La giurisprudenza (S.U. 1998) era giunta altresì a negare la natura condannatoria della sentenza di patteggiamento ai fini del giudizio di revisione. o La L. 134/2003 ha invece provveduto a novellare l’art. 629, includendo fra i provvedimenti suscettibili di revisione anche le sentenze emesse ai sensi dell’art. 444.2, contribuendo ad avvicinare, ma non a ricondurre la sentenza di patteggiamento ad una vera e propria sentenza di condanna (ne è prova il fatto che si è sentito il bisogno di menzionarla a parte fra i casi di revisione); invero, ove se ne fosse volta affermare l’identità con la sentenza di condanna, sarebbe stato sufficiente includerla nel raggio d’azione dell’art. 629 attraverso una legge interpretativa. Il dubbio circa la natura della sentenza è riaffiorato nell’applicazione delle previsioni normative (penali e processuali) che associano automaticamente allo status di condannato determinati effetti, senza precisare se essi si producano anche a seguito di sentenza ex art. 444: Inizialmente, la giurisprudenza aveva negato la natura condannatoria ogniqualvolta il giudicato di condanna è considerato per l'affermazione di responsabilità che esso incorpora e non in ragione del suo essere titolo per eseguire una sanzione (questo spiega perché la sentenza di patteggiamento non fosse considerata di condanna ai fini di quella particolare ipotesi di revoca di diritto della sospensione condizionale della pena dipendente dall’aver commesso un reato della stessa indole); La L. 134/2003, in relazione agli esiti di un patteggiamento maius, ha cambiato rotta per le sentenze che applicavano una pena superiore ai due anni, che sembravano prossime alla condanna più di quelle che applicavano un patteggiamento minus. Le si ritenne pertanto idonee a far revocar la sospensione condizionale della pena in precedenza concessa. Tuttavia, una distinzione a tal fine tra i due tipi di sentenza, priva com’era di ragionevolezza, non poteva sopravvivere a lungo. Essa fu soltanto una tappa sulla strada che ben presto avrebbe portato la giurisprudenza a riconoscere la natura prevalente condannatoria di tutte le sentenze che irrogano la pena richiesta dalle parti. Le S.U. hanno delineato il principio per cui ogni sentenza di patteggiamento è idonea a determinare la revoca della sospensione condizionale della pena, sortendo sempre gli effetti ordinari della condanna, salvo che la legge vi deroghi espressamente. Pertanto, la sentenza che irroga la pena patteggiata è ormai sostanzialmente equiparata dalla giurisprudenza ad una sentenza di condanna a tutti gli effetti; ma la dottrina è restia ad accettare questa ricostruzione. Inappellabilità e ricorso Le sentenze di patteggiamento sono inappellabili. Coerentemente, il legislatore ha proiettato lungo l’intero arco del processo di merito gli effetti deflativi dell’accordo fra le parti; infatti, è logico ritenere che il consenso prestato all’applicazione della pena, e parallelamente la rinuncia a controvertere sui vari punti della futura decisione, precluda il secondo grado di giudizio e non producesse conseguenze solo sul procedimento di primo grado. Eccezione: l’art. 448.2, permettendo che, in caso di dissenso ingiustificato, il p.m. può proporre appello, costituisce non un’autentica eccezione, bensì una soluzione normativa in sintonia con la ratio della regola. Siccome le ragioni del dissenso possono persistere anche dopo la sentenza di primo grado, il titolare dell’accusa, finché se ne riconoscerà la legittimazione ad appellare, è ammesso a ridiscutere davanti al giudice di secondo grado il punto controverso che lo ha visto in disaccordo con il giudice di primo grado. Non sarebbe stata la stessa cosa costringere il p.m. a dolersi di un simile error in procedendo davanti alla corte di cassazione. Infatti, se al giudice dell’impugnazione quel suo dissenso apparisse giustificato, dovrebbe seguirne un altro giudizio ordinario che solo il giudice territoriale può chiudere con una sentenza di merito. L’art. 448.2bis stabilisce che la sentenza di patteggiamento è impugnabile, col solo mezzo del ricorso per Cassazione, per i casi di errores in procedendo (vizi della volontà espressa dall’imputato nel formulare la richiesta di patteggiato o alla mancata correlazione fra questa e il contenuto della sentenza) ed errores in iudicando (erronea qualifica giuridica dedotta nell’accordo fra le parti ed errata commisurazione della pena). Eventuali errori di denominazione della pena o di calcolo nella sua determinazione sono rimediabili con la rapida e informale procedura di correzione, attivabile anche d’ufficio sia dal giudice che ha emesso il provvedimento, sia dalla Corte di Cassazione. È inammissibile, infine, il ricorso per vizio di motivazione per una asserita carenza di interesse, posto che in questa speciale procedura entrambe le parti raggiungono un accordo che non può essere rimesso in discussione nelle fasi successive del processo. Azione civile Il patteggiamento è un progetto di sentenza accordato da p.m. e imputato, che il giudice, nella veste di arbitro, è tenuto a vagliare, alla luce di taluni criteri, e decidere sull’ammissibilità. Pertanto, il danneggiato dal reato non può intervenire al patteggiamento, né per esercitarvi l’azione risarcitoria, né per opporvisi. Se costituitosi parte civile nel precedente corso del processo, il sopravvenuto accordo tra le parti lo costringerebbe ad abbandonare la sede penale, per far valere la propria pretesa innanzi solo al giudice civile. L’azione civile per il risarcimento del danno da reato risulta drasticamente preclusa, come conferma la norma che sottrae al giudice il potere di decidere la relativa questione (art. 444.2), per il carattere incompleto di questo tipo di accertamento penale, definito allo stato degli atti, alla stregua di una delibazione del materiale di indagine. Pertanto, non sarebbe la sede idonea per accertare la responsabilità civilista dell’imputato per l’eventuale danno cagionato dal reato. Al più, il danneggiato già costituitosi parte civile, può esigere dall’imputato il pagamento delle spese processuali fino a quel momento sostenute, sulla base di una approssimativa valutazione di responsabilità che il giudice penale è tenuto ad effettuare con decisione analiticamente motivata e ricorribile per Cassazione sia dal danneggiato sia dall’imputato. Il processo civile che fosse instaurato dal danneggiato uscito forzosamente dal processo penale non sarebbe destinato a subire la sospensione prevista dall’art. 75.3 (come espressamente prevede l’art. 444), né sarebbe in alcun modo pregiudicato dall’esito della procedura di patteggiamento (art. 445 comma 1- bis). Non costituisce eccezione a tale regola il potere del giudice dell’impugnazione di decidere sulla questione civile con la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti. Infatti, in questi casi il giudizio di primo grado si è svolto regolarmente, sicché il giudice dell’impugnazione possiede gli atti di una completa istruzione dibattimentale, i quali sono reputati sufficienti a fondare anche una decisione sulla responsabilità civile. Sospensione del procedimento con messa alla prova (probation) La L. 67/2014 ha codificato la possibilità per l’imputato di chiedere (giustizia consensuale), già nel corso del procedimento penale, l’affidamento in prova ai servizi sociali come modalità per conseguire l’estinzione del reato. La sua esperibilità è soggetta a limiti: Oggettivi: reati di gravità medio-bassa, punibili, in astratto, con la sola sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni (sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria), ai quali si aggiungono i reati elencati nell’art. 550.2, assoggettati a sanzioni detentive di poco più gravi. Si tratta, in sostanza, dei reati appartenenti alla passata competenza pretorile, che hanno mantenuto una loro riconoscibilità procedurale, per il fatto di rientrare nel gruppo di quelli a citazione diretta; Soggettivi: l’accesso è precluso a chi, avendo subito precedenti condanne, sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza. Inoltre, può essere chiesto per una sola volta. La messa in prova anticipata persegue un duplice interesse: Privato: l’imputato intende bloccare il processo, che per lui potrebbe costituire un costo non solo economico, e ottenere l’estinzione del reato; Pubblico: deflazione processuale e, in particolare, alla chiusura del processo, senza passare per il dibattimento (cfr. economia processuale e non di decarcerizzazione, come pure qualcuno aveva affermato, in quanto i reati che vi rientrano prevedono, già in via edittale, pene difficilmente destinate ad essere eseguite con detenzione carceraria). La probation fa sorgere un dubbio di costituzionalità ex art. 27.2 Cost., che sembra porre un divieto radicale e irrinunciabile di trattare come colpevole chi ancora non è stato condannato in via definitiva. Tuttavia, l’allentamento del principio di presunzione di innocenza si giustifica: Giudizio minorile: la sospensione del procedimento con messa alla prova (ex artt. 28 e 29 d.P.R. 448/1988) è sistematicamente applicata, anche d’ufficio e senza limiti, oggettivi o soggettivi, senza scrupoli di costituzionalità. Tuttavia, in questo caso, la rinuncia alla regola generale si bilancia con l’esigenza di tutelare la dignità umana quale nucleo incomprimibile di ogni diritto individuale, e in particolare, di proteggere la personalità del giovane in formazione (art. 31 Cost.) di fronte ad un processo lungo ed incerto che potrebbe produrre un danno troppo serio e socialmente rilevante per il suo sviluppo, date le conseguenze traumatiche dell’esperienza processuale. Inoltre, l’affidamento del minore ai servizi sociali antepone gli aspetti educativi della misura, rispetto a quelli sanzionatori, risolvendosi in opportune attività di osservazione, trattamento e sostegno; o Adulti: la probation processuale previsto per gli adulti, caratterizzata in senso innegabilmente sanzionatorio, persegue un mero calcolo di economia processuale, che ha rilievo costituzionale (art. 111.2 Cost.), ma sul quale sarebbe scorretto far leva per derogare alla presunzione d’innocenza, che rispecchia altresì un limite del potere repressivo, la cui radice sta nell’esigenza di rispettare la dignità umana. Con le dovute cautele può essere derogato, ma solo per meglio servire al soddisfacimento di tale esigenza. Altri riti speciali: il volontario assoggettamento dell’imputato alla sanzione, in cui è l’imputato stesso a sottoporsi all’esecuzione della pena prima di essere dichiarato colpevole di un reato destinato ad estinguersi, è presente altrove (es. oblazione; estinzione del reato subordinata alle prescrizioni impostegli dalla pubblica autorità per rimuovere situazioni di pericolo generate dal reato o per riparare il danno con esso cagionato attraverso le restituzioni o il risarcimento), giustificandosi, però, nel fatto che gli adempimenti non sia proprie sanzioni penali, ma prestazioni risarcitorie o di condotte virtuose idonee a degradare l’illecito da penale ad amministrativo o civile: una sorta di depenalizzazione in via processuale. o Diversamente, con il probation processuale l’imputato si assoggetta ad un’applicazione anticipata della pena, sia pur nella modalità alternativa prevista dall’art. 47 ord. penit. L’affidamento in prova ai servizi sociali è una sanzione alternativa, ma non alternativa alla sanzione penale, non ha precisamente una relazione “virtuosa” con le situazioni di pericolo o di danno provocate dalla condotta illecita. La finalità è quella stessa della pena: puntare alla rieducazione del reo e, se del caso, alla sua riconciliazione con l’eventuale offeso, prima che una decisione definitiva lo consideri meritevole di rimprovero; o Patteggiamento: la Corte costituzionale 313/1990 ha affermato che nel patteggiamento è il giudice che impone la pena (seppur concordata), non l’imputato che se l’attribuisce tramite un’espressione di volontario assoggettamento ad essa. Nella sospensione con messa alla prova, invece, vi è un’applicazione immediata di pena, senza previa condanna. Decisioni conclusive Trascorso il periodo di sospensione, il giudice deve valutare l’affidamento in prova basando la sua decisione sul materiale conoscitivo fornito dall’ufficio per l’esecuzione penale esterna: Estinzione del reato: l’esito positivo della probation comporta la chiusura del processo con una sentenza che dichiara estinto il reato al termine di un’udienza (in camera di consiglio) alla quale sono invitate le parti e la persona offesa. Si tratta di una singolare sentenza assolutoria, che segue l’esecuzione di una pena, pur non escludendo l’applicazione di sanzioni amministrative accessorie. Di tale sentenza, così come dell’ordinanza che ne accoglie la richiesta, non è fatta menzione nel casellario, a richiesta dell’interessato, come incentivo premiale alla scelta di questo rito (altre volontarie accettazioni consensuali della condanna: patteggiamento e decreto penale di condanna). o Nel silenzio della legge, la particolare declaratoria di estinzione del reato si ritiene appellabile sia dal p.m., per mettere in discussione l’esito positivo, sia dall’imputato, che potrebbe avere interesse ad un proscioglimento nel merito ex art. 129.2 (salvo si tratti di reati contravvenzioni punibili con la sola pena dell’ammenda o con pena alternativa), in quanto essendo una sentenza di proscioglimento, cade sotto la previsione dell’art. 593.2, nella versione corretta dalla Corte costituzionale 26/2007 e 85/2008. In entrambi i casi, il giudice d’appello annulla l’estinzione del reato e decide nel merito dopo aver rinnovato, se occorre, il dibattimento (cfr. art. 604.6). Il lato singolare di questa situazione risiede nella circostanza che il dibattimento di secondo grado seguirebbe un primo grado chiuso con sentenza in camera di consiglio, senza un previo giudizio dibattimentale e, altresì, senza possibilità per l’imputato, riprecipitato nel giudizio ordinario, di chiedere un rito alternativo al dibattimento; o La sentenza è altresì ricorribile per Cassazione (art. 111.7 Cost.) dalle parti o dall’offeso, per gli errores in procedendo (es. omesso avviso alle parti o alla persona offesa per l’udienza decisoria), errores in iudicando (es. errata qualifica giuridica del fatto) o l’illogicità della motivazione – infatti, l’esito del periodo di prova è insindacabile in Cassazione. Iter processuale ordinario: l’esito negativo comporta la ripresa del processo ordinario (art. 464 septies.2), implicando una revoca dell’ordinanza di sospensione, implicita o, in presenza di condotte riprovevoli (trasgressioni gravi o reiterate al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte; rifiuto del lavoro di pubblica utilità; commissione di un delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello che ha occasionato il processo in corso), esplicita. o La decisione, ricorribile per Cassazione, va presa dallo stesso giudice che ha disposto la sospensione, dopo un’udienza in camera di consiglio, alla quale sono invitate a partecipare le parti e la persona offesa (464octies.2). Essa produce effetti dal momento in cui diviene definitiva. L’istanza di messa alla prova non può più essere reiterata (464novies) e il processo riprende il suo corso ordinario, verso il dibattimento, con (presunta) possibilità per l’imputato che non l’abbia già fatto di optare per uno dei restanti riti speciali (giudizio abbreviato, patteggiamento, oblazione), presentando richiesta prima della dichiarazione di apertura – la conversione può essere richiesta solo dopo il ritorno alla procedura ordinaria, perché un rito consensuale non si può trasformare in un altro rito consensuale; o Se il primo o secondo destinatario della richiesta è il giudice del dibattimento (e non il gip o gup) poi chiamato anche a decidere nel merito, potrebbero sorgere incompatibilità funzionali (cfr. garanzie di imparzialità, nell’imminente giudizio, dello stesso giudice che aveva valutato negativamente l’esito del periodo di prova). Al riguardo non soccorrono le incompatibilità stabilite nell’art. 34, calibrate su funzioni giurisdizionali collocate in diverse fasi o in diversi gradi del procedimento penale; ma vi sarebbero funzioni esercitate in una medesima fase del processo, quella del giudizio di primo grado, che sarebbe opportuno e doveroso attribuire a soggetti diversi (imparzialità). Si rendono, pertanto, necessari un intervento legislativo o una declaratoria d’illegittimità costituzionale che colpisca nuovamente l’art. 34, nella parte in cui non contempla questa inedita situazione di incompatibilità; o Il giudizio seguente un fallito tentativo di probation processuale può chiudersi, ed è probabile che si chiuda, con una definitiva sentenza di condanna a pena detentiva, determinata tenendo conto dell’eventuale periodo di affidamento in prova già trascorso (3 giornate di probation valgono un giorno di detenzione o 250 € di pena pecuniaria (art. 657 bis). La legge vieta nuove richieste di messa alla prova, in caso di esito negativo del probation o di revoca della relativa ordinanza (art. 464nonies). Nessun divieto esplicito sussiste invece per la richiesta di uno dei benefici penitenziari volti a schivare la carcerazione (affidamento in prova, detenzione domiciliare, semilibertà). È peraltro impossibile che il probation, non riuscito durante il processo di cognizione, sia ammesso in sede esecutiva. Restano le altre due sanzioni alternative (detenzione domiciliare e semilibertà), entrambe esperibili anche in assenza dei presupposti per l’affidamento in prova ai servizi sociali. Giudizio immediato richiesto dall’imputato Il giudizio immediato richiesto dall’imputato occupa un posto a parte (Libro V, in una disposizione riguardante la fase preparatoria dell’udienza preliminare ex art. 419.5), in cui la semplificazione procedurale consiste nell’assenza dell’udienza preliminare e non il dibattimento. Infine, la rinuncia esplicitata dell’imputato nella richiesta di questo rito sortisce un effetto meramente processuale, in quanto la legge non vi collega alcuna diminuzione di pena né altri vantaggi. Per tali ragioni, il giudizio immediato richiesto dall’imputato è di solito collocato tra quelli che anticipano la fase dibattimentale, finendo con l’essere considerato come una singolare versione del giudizio immediato ex art. 453 ss. In realtà, ove se ne esamini il presupposto, il suo tratto caratterizzante risiede nella facoltà che la legge attribuisce alla parte (e, segnatamente, all’imputato) di rinunciare alla chance difensiva rappresentata dall’udienza preliminare (procedura consensuale). Presupposto del rito è la dichiarazione di rinuncia all’udienza preliminare, atto personalissimo dell’imputato, con una facoltà di far agire in propria vece un procuratore ad hoc, almeno 3 gg prima della data in cui dovrebbe tenersi l’udienza preliminare. La legge non menziona ulteriori presupposti: in particolare, non subordina l’ammissibilità del rito speciali a particolari condizioni o stati di fatto, lasciandone così nascosta la vera ragion d’essere. Comunque, lo scopo di questo calcolato sacrificio da parte dell’imputato è quello di dipingere prove decisive a discarico, accelerando i tempi del suo proscioglimento dibattimentale, preferibile al proscioglimento provvisorio e di natura revocabile (più correttamente “non luogo a procedere”), con il quale potrebbe concludersi l’udienza preliminare. Presentata la dichiarazione di rinuncia all’udienza preliminare, il giudice non deve effettuare alcun vaglio di ammissibilità, salvo quello riguardante la legittimazione del richiedente e l’osservanza del termine previsto. Il giudice può emettere il decreto di citazione a giudizio o imporre la prosecuzione del processo nelle forme ordinarie, solo quando è in gioco una riunione di procedimenti, che la richiesta ex art. 419.5 farebbe cessare, provocando una separazione delle res iudicanda: evidentemente, le esigenze efficientistiche del sistema prevalgono sulla volontà dell’imputato. Scegliendo il giudizio immediato, l’imputato non può più chiedere il giudizio abbreviato e il patteggiamento (la riforma del 1999 ha modificato i termini per richiedere il patteggiamento, uniformandoli a quelli imposti per il giudizio abbreviato). Il rinvio del novellato art. 446 al termine stabilito dall’art. 458 concerne, infatti, solo il giudizio immediato promosso dal p.m., non anche quello richiesto dall’imputato. Inoltre, risulta preclusa la facoltà di chiedere la sospensione del processo con messa alla prova. Dunque, la legge non ammette che, a distanza di breve tempo, l’imputato revochi la scelta di anticipare il dibattimento, sostituendola con una scelta di segno opposto, volta alla chiusura del processo prima del dibattimento. Giustizia conflittuale I procedimenti speciali che si fondano su un atto imperativo del magistrato penale appartengono alla tradizione processuale penale italiana, in cui l’elemento comune è l’imposizione alle parti private, e in particolare all’imputato, di una semplificazione procedurale, che coincide con l’amputazione autoritativa di uno o più segmenti della fase preliminare del procedimento di primo grado. Tale semplificazione è utilizzata quando vi sia l’evidente fondatezza dell’accusa, l’esigenza di pervenire ad una decisione dibattimentale con esemplare celerità in ordine a reati percepiti come allarmanti, la scarsa gravità dei reati da perseguire e l’opportunità di accorciare i tempi di definizione del rito penale, ammettendo nuove contestazioni nell’udienza preliminare o nel dibattimento. Di norma, tutti i cittadini dovrebbero presumersi egualmente innocenti, in quanto il cittadino è assoggettabile a procedimento penale se sussistono indizi di reato a suo carico. Pertanto, sarebbe logico che il procedimento penale constasse delle stesse fasi e della stessa progressione di accertamenti della probabile responsabilità penale. Sopprimendo, in tutto o in parte, la fase preliminare del processo, si introduce una deroga del canone di eguaglianza e un temperamento della presunzione di non colpevolezza, ragionevole solo quando risulti basata su stati di fatto chiaramente definiti dalla legge (es. sorpresa in flagranza di reato o confessione); mentre sarebbe più discutibile se fondata sull’esigenza politica di perseguire in modo celere reati allarmanti, o, viceversa sul rilievo che reati di scarsa gravità esigono minor rispetto delle garanzie procedurali. Giudizio direttissimo Presupposti Il giudizio direttissimo (art. 449), imposto imperativamente dal magistrato, sopprime quasi totalmente l’intera fase preliminare, semplificando significativamente la fase pre-dibattimentale a cui si ricorre quando vi sia un’evidenza qualificata dei fatti descritti nell’accusa e della verosimile responsabilità dell’imputato e della stessa responsabilità (vs. giudizio immediato: generica evidenza), cioè il fondamento dell’accusa è talmente evidente, matura ed è accompagnata da un semplice ma robusto sostengo alla tesi che il p.m. offre alla verifica dibattimentale (es. flagranza di reato che legittima l’arresto; allontanamento d’urgenza dalla casa familiare; confessione resa a brevissima distanza dall’inizio dell’indagine). In questi casi, sono ritenute superflue sia la verifica dell’udienza preliminare sia la ricerca di fonti e mezzi di prova attuata nell’indagine preliminare. L’attribuzione del potere al p.m. di instaurare il rito speciale ha rilevato problemi pratici: Facoltà (può procedere): siccome l’art. 449 (commi 4 e 5) usava l’espressione “può procedere”, il p.m. aveva erroneamente ritenuto che dall’attribuzione di un potere derivasse una mera facoltà di scegliere o meno il giudizio direttissimo; portandolo, talvolta, ad astenersi dal procedere, benché vi fossero sufficienti e facilmente accertabili presupposti, per ragioni non processuali, quali la necessità di assicurare la dovuta completezza dell’indagine e l’esigenza di evitare perdite di tempo nella verifica di addebiti già soggetti da prove a carico (es. carico di lavoro; problemi di organizzazione dell’ufficio; determinati tipi di autore). o In realtà, la norma attributiva del potere, si risolve sempre nella previsione di un dovere, quando il suo esercizio è subordinato al verificarsi di condizioni esplicitate (o comunque desumibili) dalla legge processuale. La scelta era doverosa se ne sussistevano i presupposti (confessione o arresto convalidato) e sempre che non si rendesse necessario un supplemento di indagini (es. complesso accertamento tecnico o una perizia psichiatrica sulla capacità di intendere e di volere dell’imputato colto in flagranza) incompatibile con i tempi stretto del giudizio direttissimo. Dovere (procede): il d.l. 92/2008 ha enfatizzato la situazione di doverosità, sostituendo l’espressione “può procedere” con la più perentoria “procede”, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Pertanto, si deve scegliere il rito speciale quando vi sia l’esigenza di assicurare la completezza dell’indagine (dal punto di vista sia della difesa sia dell’accusa), lasciando comunque un apprezzamento soggettivo del p.m., che deve valutare la necessità di speciali indagini. o Il p.m. si è riappropriato di quel può che il legislatore del 2008 ha ritenuto ingenuamente di estirpare, cancellandolo dal testo dell’art. 449. Il medesimo d.l. 92/2008, convertito con la L. 125/2008, ha ampliato considerevolmente le occasioni per instaurare il rito, elevando a 30 giorni il termine (inizialmente di 15) entro il quale presentare o citare a giudizio l’imputato (in 30gg potrà essere acquisita una confessione che non sarebbe maturata nel più esiguo termine di 15gg), e potrà altresì essere condotta una pur breve indagine a conferma dell’addebito accusatorio. Svolgimento L’art. 449 stabilisce che quando una persona è stata arrestata in flagranza (o se abbia reso confessione nel corso dell’interrogatorio; o se sia stata allontanata d’urgenza), il p.m., se ritiene di dover procedere, può presentare l'imputato direttamente davanti al giudice del dibattimento per la convalida dell’arresto (e il contestuale giudizio), entro 48 ore dall'arresto. Non convalida: se il giudice non convalida l’arresto deve restituire gli atti al p.m. (salvo che l’imputato e il p.m. consentono al giudizio direttissimo); Convalida: se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio, salvo che manchi la querela (sospensione del processo). Una volta chiusa l’udienza di convalida, il giudizio direttissimo ha due modalità di svolgimento, a seconda dello status dell’imputato: Imputato privo della libertà personale: la persona in custodia cautelare o arrestata in flagranza è presentata direttamente dal p.m. al giudice dibattimentale: L’instaurazione del rito coincide sempre con l'esercizio dell’azione penale: il p.m. formula l’imputazione attraverso la richiesta al g.i.p., al quale va contestualmente trasmesso il fascicolo dell’indagine con la corrispondente notizia di reato. Il p.m. deve presentare la richiesta entro 90 giorni dalla registrazione della notizia di reato; pertanto, la situazione di evidenza deve affiorare repentinamente – limite temporale che tradisce l’intento di circoscrivere il ricorso ad un procedimento speciale che impone sostanziosi sacrifici alla difesa. Ammissibilità Il giudice, entro il termine ordinatorio di 5 gg dalla richiesta, deve pronunciarsi sull’ammissibilità del rito con decreto non motivato, insindacabile nel merito. Innanzitutto, la legge pone delle condizioni ostative, per cui il giudizio immediato non può essere disposto: Ingiusta sperequazione ai danni dell’imputato: l’imputato, essendo privato della chance difensiva per contrastare l’accusa verso il dibattimento, deve essere messo in condizioni di interloquire, col magistrato penale, sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova. A tal fine, è sufficiente un invito a comparire per l’interrogatorio, nel quale siano descritti i fatti che rendono evidenti i termini dell’accusa, e solo l’irreperibilità dell’imputato o un suo legittimo impedimento ostacolano l’instaurazione del rito speciale (se fosse necessaria l’effettiva interrogazione, la persona indagata potrebbe boicottare l’instaurazione del rito semplicemente sottraendosi all’atto investigativo o rifiutandosi di comparire davanti al magistrato). La procedura non prevede l’avviso di chiusura delle indagini, sicché l’imputato rischierebbe di trovarsi rinviato a giudizio senza nemmeno aver saputo del processo a proprio carico (salvo che per l’invito a comparire); Scelta nociva, e perciò sconsigliabile, sul piano dell’economia ed efficienza processuale: il giudizio immediato potrebbe risultare controproducente in caso di connessione, in particolare quando si procede cumulativamente anche per reati la cui prova “non appare evidente”. In tali casi, la legge impone che il rito speciale segua il suo iter scindendosi dalle vicende connesse (cfr. separazione dei processi). Se il giudice ritiene indispensabile mantenere il cumulo processuale, dovrebbe rigettare la richiesta del p.m. di giudizio immediato, imponendo così che si proceda con rito ordinario per tutte le res iudicandae. Successivamente, il giudice può: Rigettare la richiesta: la prova non appare evidente o manca una delle condizioni di ammissibilità del rito. Gli atti ritornano al p.m., che promuoverà l’ulteriore corso del procedimento per le vie ordinarie, esercitando in altro modo l’azione penale; Accogliere la richiesta: sussistono i presupposti e le condizioni per la promozione del rito. La situazione di evidenza probatoria è apprezzata dal gip e non può essere oggetto di discussione, né di doglianze di fronte allo stesso od altro giudice. o Può essere posto a questioni di legittimità per errore procedurale, cioè quando il decreto di accoglimento viene emesso senza il previo interrogatorio dell’indagato (o l’equipollente invito a comparire). La giurisprudenza ravvisa l’errore come lesione del diritto di difesa riconducibile ad una nullità a regime intermedio, idonea a contaminare la validità del decreto di giudizio immediato, del quale il giudice del dibattimento dovrebbe contestare e dichiarare l’invalidità, restituendo poi gli atti al p.m., per l’ulteriore regolare corso della procedura. Svolgimento procedurale Il decreto di accoglimento della richiesta dispone la citazione a giudizio immediato, analogo per effetti e per contenuti al decreto che, in via ordinaria, dispone il giudizio (l’art. 456 contiene un ampio rinvio all’art. 429); infatti, l’assenza di motivazione nel decreto di giudizio immediato è requisito negativo, volto a rendere insindacabile l’atto e a preservare l’imparzialità del giudice dibattimentale. Si entra così nella fase degli atti preliminari al dibattimento (art. 465 ss.): il salto dell’udienza preliminare rende tuttavia indispensabile qualche adattamento, al fine di garantire adeguatamente i diritti della difesa nel predibattimento, sia di assicurare adempimenti di essenziale importanza per il regolare svolgimento del giudizio. Conversione in rito consensuale Disposto il giudizio immediato, l’imputato può chiedere al gip, entro 15 gg successivi alla notificazione del decreto di giudizio immediato (a pena di decadenza), il giudizio abbreviato, il patteggiamento, la sospensione con messa alla prova oppure l’offerta di riparazione del danno in vista della declaratoria di estinzione del reato ex art. 162-ter. L’eventuale inammissibilità di una non è di ostacolo all’instaurazione di altro rito alternativo, per il quale l’imputato potrebbe optare in via subordinata. Più precisamente, poi: Giudizio abbreviato: il termine decorre dall’ultima notificazione all’imputato o al difensore del decreto che dispone il giudizio o, rispettivamente, dell’avviso della data fissata per il dibattimento; la richiesta, semplice o complessa, è sufficiente a mettere il giudice in condizione di doverne vagliare la fondatezza, secondo i criteri noti; Patteggiamento: il termine decorre da quando è stato prestato il consenso di una parte alla richiesta dell’altra. Nel silenzio della legge, si ritiene che sia il giudice ad assegnare alla parte il termine entro cui la parte deve prestare il suo consenso. Sospensione con messa alla prova: la legge non assegna un termine entro il quale la richiesta dell’imputato va presentata, ma si limita ad un semplice rinvio all’art. 458.1 Pertanto, conviene applicare in via analogica l’art. 464.3 (a meno di non voler riesumare quel termine di 5gg dalla notificazione della richiesta dell’imputato, che è stato cancellato dall’art. 458 con la riforma del 1999). Il gip può accogliere la richiesta o l’offerta riparatoria, trasformando il rito o fissando l’udienza per uno dei riti alternativi al dibattimento, o rigettarla, comportando la prosecuzione del processo lungo l’ordinario iter. Nel caso di rigetto, il gip è tenuto a formare il fascicolo del dibattimento che, assieme col decreto di citazione, va subito trasmesso al giudice competente per il giudizio. Da questo momento, la procedura speciale rifluisce in quella ordinaria (art. 465 ss.). Inoltre, la richiesta (complessa di rito abbreviato, di patteggiamento o di sospensione del processo con messa alla prova), possono essere rinnovate davanti al giudice del dibattimento di primo grado, prima della dichiarazione di apertura. Giudizio immediato custodiale Il d.l. 92/2008, convertito con L. 125/2008, ha aggiunto il giudizio immediato custodiale (art. 453.1bis), che va instaurato quando la persona sottoposta alle indagini si trova in stato di custodia cautelare (carcere, luogo di cura, arresti domiciliari) e a condizione che la scelta del rito speciale non pregiudichi gravemente le indagini. La richiesta va presentata dopo che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento della misura cautelare ha acquisito una certa stabilità, cioè quando il tribunale del riesame ha confermato la misura oppure dopo che è inutilmente decorso il termine per impugnare il provvedimento che la dispone. Se i gravi indizi di colpevolezza venissero meno prima che il g.i.p decida sulla richiesta di giudizio immediato, il provvedimento cautelare andrebbe revocato o annullato, e la richiesta di rito speciale rigettata. Il rigetto si impone, inoltre, ogniqualvolta il giudice ritenga l’instaurazione del giudizio immediato pregiudizievole per l’indagine (es. incompletezza). Il termine per la richiesta è fissato in 180 gg, che decorrono dalla data di esecuzione della custodia cautelare (e non dalla data di registrazione della notizia di reato), pertanto anche al termine di un’indagine protrattasi a lungo e magari giunta all’estremo limite della sua durata. Infatti, l’enfasi è posta sulla consistenza degli indizi e sullo stato di cattività (vs. brevità dell’indagine). L’intento è quello di incoraggiare il ricorso al giudizio immediato rendendo automatica e doverosa la scelta del p.m., in quanto lo status di persona soggetta a custodia cautelare è un dato oggettivo che non lascia spazio ad apprezzamenti personali e discrezionali, mentre l’unica discrezionalità possibile riguarda l’accertamento della condizione ostativa all’instaurazione del rito (cioè il grave pregiudizio per le indagini). La novità è indubbiamente destinata a far lievitare in misura significativa i giudizi immediati, ma è tale da sollevare vari dubbi: Opportunità: appare discutibile la scelta di assumere a presupposto del giudizio immediato lo status di persona in custodia, perché priva loro delle opportunità difensive esercitabili a seguito dell’avviso di chiusura delle indagini e, soprattutto, dell’udienza preliminare (vs. accelerazione dei tempi del giudizio). E anche se fosse pensata in favore dell’imputato, non andrebbe imposta autoritativamente, senza il consenso della persona destinata a subire il sacrificio dei diritti di difesa. Inoltre, è molto rischioso formalizzare in norme cogenti i rapporti di interdipendenza fra procedimento cautelare e procedimento principale, in quanto i gravi indizi di colpevolezza parrebbero risolversi in una situazione di evidenza probatoria (affinità di fonti con il giudizio immediato previsto dall’art. 453 comma). o Tuttavia, l’incidente cautelare ha uno svolgimento autonomo, sicché il far dipendere le sorti del secondo dall’andamento del primo comporta inevitabili imprevisti, complica lo svolgimento procedurale ed espone gli indagati o imputati a censurabili sperequazioni. Legittimità costituzionale: sensibile sacrificio del diritto di difesa (art. 24.2 Cost.). Gli imputati sono esposti ad irragionevoli sperequazioni, in quanto l’unica tutela apprestata dal giudice è il rigetto del rito speciale, in riferimento al soggetto che riacquisti la libertà a seguito di revoca o annullamento dell’ordinanza cautelare prima applicatagli, per il sopraggiungere di elementi tali da far apparire insussistenti i gravi indizi di colpevolezza. Tuttavia, non è prevista la revoca della richiesta, quando l’insussistenza dei gravi indizi che fondano la misura cautelare affiora dopo il suo accoglimento. Pertanto, l’udienza preliminare viene negata o garantita in base ad un evento del tutto casuale: l’eclissarsi in un momento, piuttosto che in un altro, dei suddetti gravi indizi. In altre parole, la correzione non servirebbe a reintegrare l’imputato nei suoi diritti processuali: avviso di chiusura dell’indagine e udienza preliminare gli resterebbero preclusi. o Errores in iudicando: la misura cautelare non dovrebbe essere stata disposta, se alla base vi era un titolo di reato rivelatosi sbagliato e censurato dalla Corte di cassazione; pertanto, non solo la custodia cautelare sarebbe illegittima, ma il processo si avvierebbe senza cautele per l’imputato (mancanza dell’avviso di chiusura delle indagini e udienza preliminare). È quindi palese l’irragionevole disparità di trattamento cui sono occasionalmente esposti gli indagati e, con essa, appare palese l’inconciliabilità del giudizio immediato “custodiale” con gli artt. 3 e 24 Cost. Giudizio immediato obbligatorio L’art. 464.1 dispone il giudizio immediato, che può essere imposto ex lege, quando vi sia stata opposizione al decreto penale di condanna. Presupposto del rito speciale non è l’evidenza della prova (il p.m. non presenta alcuna richiesta, né il giudice è tenuto a vagliare questo profilo, al fine di stabilire se l’opposizione a decreto debba essere seguita da giudizio immediato). Nel contesto del procedimento per decreto, l’udienza preliminare è ritenuta superflua, perché l’accusa appare saldamente ancorata a fatti incontestabili (al punto che il g.i.p li aveva ritenuti sufficienti addirittura a giustificare un provvedimento di condanna), ma anche perché essa ha per oggetto reati di scarsa gravità, i quali non sono sempre agevoli da provare. Dunque, alla base di questo caso di giudizio immediato, vi è un criterio politico basato sulla tenuità della sanzione: evidentemente, il legislatore ha ritenuto che le chances offerte dall’udienza preliminare possano essere sacrificate quando la posta in gioco è una semplice pena pecuniaria. Le caratteristiche procedurali del giudizio immediato obbligatorio sono pressoché identiche a quelle del giudizio immediato ordinario (artt. 452-458), salvo l’atto introduttivo del rito, che è il decreto di citazione emesso d’ufficio dal g.i.p (vs. richiesta del p.m.) quando abbia constatato che ogni via ad una soluzione anticipata del processo è ormai preclusa. Pertanto, la sua instaurazione non coincide mai con il promovimento dell’azione penale ed è incompatibile con ogni soluzione anticipata del giudizio (giudizio abbreviato, patteggiamento, sospensione del processo con messa alla prova), eccezion fatta per l’oblazione e per l'estinzione del reato conseguente a condotte riparatore che possono sempre essere richieste prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Contestazione suppletiva del reato concorrente e del reato continuato Pur estranea all’elenco di procedimenti contenuti nel Libro VI, la contestazione suppletiva del reato concorrete e del reato continuato presenta le caratteristiche di un giudizio speciale promosso ex auctoritate. La ratio dell’istituto è data dall’opportunità di giudicare cumulativamente le regiudicande connesse a norma dell’art. 12 (b). Infatti, l’affiorare, in udienza preliminare o in dibattimento, di un fatto che appaia in rapporto di continuazione o di concorso formale con quello già contestato pone un problema di applicazione della legge penale che esige una risposta adeguata sul piano processuale. Se per tutti questi fatti fosse riconosciuta la responsabilità dell’imputato, la relativa pena dovrebbe essere quantificata nel rispetto della proporzione stabilita dall’art. 81 c.p., calcolo difficoltoso se le vicende processuali si svolgessero separatamente. Seppur l’art. 671 offra un rimedio, esperibile in sede esecutiva, per l’eventuale errore di commisurazione della pena nel quale fossero incorsi diversi giudici occupatisi separatamente di fatti connessi ex art. 12 lett. b, l’istituto si pone come prevenzione dell’errore stesso, rendendo più agevole l’applicazione dell’art. 81 c.p. La riforma del 1999 è intervenuta in un’ottica premiale; in particolare, il legislatore ha previsto che il condannato per decreto non ha l’obbligo di pagare le spese processuali né gli possono essere applicate le sanzioni accessorie previste dalla legge penale. Inoltre, il reato oggetto del decreto è destinato ad estinguersi, se nei 5 anni successivi (o 2 nel caso di illeciti contravvenzionali), l’imputato non ne commette un altro della stessa indole. Infine, l’art. 460.5 stabilisce che, in tali ipotesi, il decreto di condanna non ostacola una successiva sospensione condizionale della pena [mentre può giustificare una revoca della sospensione stessa] e che la condanna inflitta con decreto, seppur iscritta nel casellario giudiziale, non deve essere menzionata nel corrispondente certificato a richiesta dell’interessato. Opposizione a decreto penale L’imputato (il civilmente obbligato per la pena pecuniaria o la persona giuridica per il tramite del suo rappresentante) può opporsi al decreto penale ottenendo simultaneamente un duplice risultato, in quanto l’atto di opposizione ha un duplice contenuto: Impugnazione: l’imputato, opponendosi, impugna la condanna inflitta, a seguito del quale vi sarà sospensione dell’esecuzione della condanna, risolvendo l’efficacia del provvedimento; Dissenso: l’interessato, opponendosi, ripudia il rito speciale, imponendo l’accertamento del fatto in forme diverse da quelle del procedimento per decreto. L’opposizione è prerogativa dell’imputato e degli altri soggetti indicati (cfr. la legge attribuisce principalmente a questi ultimi la facoltà di manifestare la propria contraria volontà), anche a mezzo del difensore eventualmente nominato (fiducia o d’ufficio), che avrà un’autonoma facoltà di proporre opposizione, analogamente a quel che accade nella generale disciplina delle impugnazioni. La legge impone che sia data comunicazione del decreto penale anche al querelante, ma poi tace sulla facoltà di intervenire nell’ulteriore corso della procedura. Inoltre, quel diritto di comunicazione è sfornito di una tutela processuale (dall’inosservanza del relativo dovere non discenderebbe alcuna invalidità). In linea generale, però, la persona offesa vanta un diritto (adeguatamente tutelato) di essere citata in giudizio per esercitarvi le facoltà che la legge gli attribuisce, nonché il diritto di costituirsi parte civile. Anche se assimilabile ad un gravame/impugnazione, l’opposizione al decreto penale presenta alcuni tratti peculiari: Priva dell’effetto devolutivo: una volta proposta, il processo proseguirà innanzi al giudice di primo grado, non davanti a uno di grado superiore; Dichiarazione di opposizione: l’opponente non deve necessariamente indicare i motivi della sua doglianza, ma è sufficiente che indichi gli estremi, la data e il giudice del provvedimento di condanna. Benché corredata di motivi, l’opposizione sarebbe comunque idonea ad attribuire all’organo giurisdizionale piena cognizione su tutti i punti della decisione impugnata, e non solo su quelli toccati dai suddetti motivi; Aggravio della pena: il giudice non è assoggettato al divieto di reformatio in peius, in quanto l’opponente deve sapere che corre il rischio di una condanna più grave di quella fissata nel decreto impugnato, compresa una condanna alla reclusione, all’arresto (nei casi in cui la pena pecuniaria fosse stata applicata in sostituzione o in alternativa di una pena detentiva). Effetto estensivo: se, uno degli imputati per il medesimo fatto (pluralità di imputati) presenti l’opposizione, essa vale anche per gli altri; pertanto, l’esecuzione del decreto resta sospesa per tutti, fino a che il processo non si concluda con una pronuncia irrevocabile. Analogamente, l’opposizione proposta dall’imputato giova alla persona civilmente obbligato per la pena pecuniaria che non si sia opposta; così come l’opposizione presentata da quest’ultima gioverebbe l’imputato, se questi si fosse astenuto dall’impugnare il decreto penale. Alla stessa conclusione si approda per i procedimenti a carico di persone giuridiche (art. 73 d.lgs. 231/2001), prevedendo che l’impugnazione proposta dall’imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo giova all’ente; reciprocamente, l’impugnazione proposta dall’ente giova all’imputato del suddetto reato. o Tale effetto estensivo non si risolve in automatica estensione degli effetti scaturenti dalla decisione successiva al giudizio di opposizione: solo se tale giudizio si conclude con un proscioglimento nel merito l’imputato non opponente può lucrare il buon esito dell’iniziativa altrui. In tali casi, il decreto di condanna, la cui esecuzione è rimasta sospesa anche nei confronti del non opponente) è revocato dal giudice. Con l’opposizione, l’imputato ripristina l’ordinaria situazione processuale successiva all’esercizio dell’azione penale, nella quale è possibile effettuare la richiesta di un altro rito speciale. Al fine di rendere concreta la scelta di altro rito alterativo, l’imputato va avvertito della chance difensiva che l’ordinamento processuale gli riconosce, con lo stesso decreto di condanna, a pena di nullità (l’eventuale richiesta di oblazione va indirizzata al giudice procedente, da individuare nel g.i.p. finché il fascicolo non è trasmesso al giudice dibattimentale). Viceversa, la scelta di una delle procedure alternative al dibattimento va fatta con l’atto di opposizione medesimo. Nel corso del giudizio successivo a tale atto, la richiesta non può essere presentata, salvo modifiche dell’imputazione per le quali l’imputato può normalmente contare su una remissione in termini. Il giudice che riceve la richiesta di opposizione deve vagliarne l’ammissibilità alla luce dei pochi requisiti imposti dalla legge (legittimazione dell’opponente; osservanza del termine; estremi e data del decreto di condanna; identificazione del giudice che lo adottò). Il difetto di uno solo di tali requisiti comporta l’inammissibilità dell’atto di parte e l’esecutività del decreto penale (non prima che la relativa ordinanza, ricorribile per cassazione, diventi a sua volta definitiva). Se non c’è consenso o accordo fra le parti per una definizione anticipata del processo, si procede con citazione a giudizio immediato. Nel giudizio conseguente all’opposizione, il decreto penale deve essere revocato: ma, anche se il giudice non provvede con atto formale, l’effetto di revoca si produrrebbe ex lege, a seguito del semplice accoglimento dell’opposizione. Il dibattimento si svolge secondo le regole ordinarie, con le dovute variazioni a seconda che la cognizione del reato sia attribuita al giudice collegiale o a quello monocratico. Giudizio direttissimo su accordo delle parti Di regola, la mancata convalida dell’arresto costituisce ostacolo all’instaurazione del giudizio direttissimo (restituzione degli atti al p.m. affinché questi proceda in altra maniera); tuttavia, gli artt. 449.2 e 558.5 prevedono un caso eccezionale per cui il giudizio direttissimo può ancora essere esperito se l’imputato e il p.m. vi consentono. Pertanto, ciò che cambia rispetto al giudizio direttissimo è il presupposto, non più limitato all’ordinario requisito oggettivo (l’arresto in flagranza) che legittima il ricorso al rito speciale, ma tale da comprendere anche un requisito soggettivo (il consenso delle parti). La legge processuale istituisce una sorta di rapporto pregiudiziale fra giudizio di convalida ed instaurazione del giudizio direttissimo: Convalida dell’arresto in flagranza: la convalida dell’arresto (dell’arrestato presentato in dibattimento) impone di procedere immediatamente al giudizio. La convalida enfatizza l’evidenza probatoria insita nel giudizio: se l’arresto in flagranza viene convalidato il quadro indiziario è confermato e sarebbe superflua la ricerca di altri elementi idonei a sostenere l’accusa, già fondata (poco importa che l’imputato, una volta convalidato l’arresto, sia rimesso in libertà, perché ciò non sposta la “diagnosi” a suo carico); Mancata convalida: viceversa, se l’arresto non viene convalidato, non è possibile promuovere il giudizio direttissimo ex auctoritate, sempre per ragioni legate (in negativo) alla situazione di evidenza probatoria. La legge processuale non precisa i motivi per cui può non essere convalidato l’arresto, ma si mantiene su un piano di maggior astrattezza e generalità (es. mancanza di gravità degli indizi di colpevolezza solitamente associata alla sorpresa in flagranza; sorpreso in flagranza in un reato escluso dagli artt. 380 e 381 c.p.p.). Nel diniego di convalida scorge il sintomo di un dubbio circa la pronosticabile responsabilità penale dell’imputato; un dubbio che finisce col contaminare anche il fondamento dell’accusa, e dal quale si traggono le dovute conseguenze, imponendo al giudice di restituire gli atti al p.m. Tuttavia, poiché l’esito negativo del giudizio di convalida non esclude necessariamente l’evidenza dell’accusa, il giudizio direttissimo può ancora essere promosso, purché lo vogliano entrambe le parti principali del processo. Il p.m. non può qui imporre la propria scelta all’imputato. Non sono previste forme particolari per la prestazione del consenso: P.m.: potrà manifestarlo, semplicemente citando l’imputato a comparire (art. 450.2), ogniqualvolta ritenga di non dover chiedere l’archiviazione per il fatto che gli è attribuito, o di non dover condurre, nei suoi confronti, approfondimenti che esigono lo svolgimento di un’indagine preliminare; Imputato: verosimilmente previsto al fine di temperare la facoltà del p.m. di optare per il giudizio direttissimo, in una situazione di dubbio circa l’effettivo fondatezza dell’accusa. Può essere presentato in qualsiasi forma (orale o scritta), anche dal suo difensore anche privo di procura ad hoc (arg. ex. art. 99), anche dedotto per fatti concludenti, e cioè dal comportamento dell’imputato che accetti l’iniziativa del p.m. volta ad instaurare il giudizio direttissimo. Contestazione suppletiva del fatto nuovo Talvolta, mentre è in corso il processo per altra imputazione a carico del medesimo imputato, il p.m. può contestargli un fatto nuovo (vs. connesso ex art. 12b), se vi sia consenso dell’imputato. Tale rito speciale ha la sua ratio nelle esigenze di economia processuale, che non possono essere soddisfatte a discapito dei diritti dell’imputato, il cui consenso diventa condizione essenziale. Occorre distinguere a seconda che il nuovo capo d’imputazione sia contestato: Nell’udienza preliminare: soppressione della fase delle indagini preliminari. L’imputato rinuncia a quelle (poche) facoltà d’intervento e di assistenza che la legge gli assicura in quella fase (es. diritto di essere interrogato sul fatto addebitato prima della richiesta di rinvio a giudizio; diritto a difendersi di fronte a certe iniziative del p.m. (artt. 364-366), per influire sull’esito dell’indagine, magari nell’intento di farla sfociare in un provvedimento di archiviazione). Inoltre, considerato che non è in gioco la decisione sul merito, l’atto di consenso alla nuova contestazione può provenire anche dal difensore, anche privo del mandato ad hoc; In dibattimento: soppressione dell’intera fase preliminare del processo, oltre che della fase pre- dibattimentale (strutturalmente affine al giudizio direttissimo). Il diritto alla difesa è tutelato alla stessa maniera che negli altri casi di modifica della regiudicanda dibattimentale (artt. 516 e 517): sospensione del processo (da 20 a 40 gg) e ammissione di prove in ordine al nuovo addebito sono assicurate all’imputato che ne fa richiesta. Tuttavia, sono considerevoli le chances che la difesa perde quando viene contestato un fatto nuovo. Accettando tale contestazione, l’imputato, infatti, non solo rinuncia a contrastare l’accusa nell’udienza preliminare, ma si preclude altresì quella variegata gamma di scelte di riti speciali che la legge impone di fare fra udienza preliminare e apertura del dibattimento, che non possono essere richiesti in relazione al reato contestato a norma dell’art. 518.2. Comprensibilmente, la posta in gioco è ben più elevata che nell’analoga situazione disciplinata dall’art. 423.2: perciò la legge esige che il consenso provenga direttamente dall’imputato presente al dibattimento (la contestazione non è ammessa nei confronti dell’assente). Dopo aver accertato il personale consenso dell’imputato, la contestazione suppletiva, che non deve nemmeno nuocere alla speditezza del procedimento, deve essere accompagnata da un atto autorizzativo del giudice. L’aggiunta di un nuovo capo di imputazione a quello già contestato si risolve necessariamente in un cumulo di regiudicande, soggetto al vaglio di opportunità del giudice procedente (ex art. 17). GIUDIZIO Con il giudizio si apre una nuova fase del processo, che ha inizio dalla domanda del p.m. al giudice di pronunciarsi sull’imputazione (esercizio dell’azione penale). Il giudizio viene instaurato da: Giudice: con decreto emesso dopo l’udienza preliminare o con decreto di giudizio immediato; P.m.: il processo ha inizio con atto del p.m. che cita l’imputo a giudizio (es. tribunale in composizione monocratica; giudizio direttissimo, se l’imputato si trova in stato di libertà; giudizio direttissimo; presentato dal p.m. direttamente all’udienza dibattimentale). La rubrica del Libro VII indica il giudizio ordinario di primo grado (Tribunale in composizione collegiale e Corte d’Assise, con identica disciplina salvo competenza e composizione; e Tribunale in composizione monocratica, salvo quanto diversamente disposto), che culmina nel dibattimento pubblico, nel quale le parti si affrontano per porre, in competizione tra loro, le basi probatorie della decisione finale. Infatti, secondo le linee programmatiche del nuovo codice è il giudizio di primo grado, e più precisamente il dibattimento di primo grado, il momento centrale del processo (il vero significato della riforma del 1988 era proprio quello di attribuire il primato alla giurisdizione piena del giudice dibattimentale). In altre parole, il dibattimento è la sede prioritaria per l’elaborazione della prova, soprattutto dichiarative (es. esame dei testimoni e delle parti) con tendenziale inutilizzabilità ai fini della decisione degli elementi acquisiti altrove, salvo eccezioni tassative. Caratteristiche nel sistema accusatorio Nel dibattimento è richiesta la puntuale attuazione dei caratteri del sistema accusatorio (art. 2.1 l.d. 1987). Tuttavia, una tale previsione non sarebbe stata adeguata come parametro di legittimità costituzionale, sia per il suo valore precettivo potenzialmente opinabile (trattandosi di un’astrazione di tipo aprioristico può o Tuttavia, la mancanza di un disegno globale era il segno della debolezza della riforma, ed aveva propiziato la censura della Corte costituzionale 361/1998 che ne aveva sostanzialmente vanificato la portata. Principi del giusto processo (art. 111 introdotto dalla L. cost. 2/1999): la L. 63/2001 ha attuato i principi nella disciplina ordinaria, ridisegnando l’assetto della fase dibattimentale secondo linee dirette tendenzialmente a ripristinare le scelte originarie, abbandonate nel 1992. Con la riforma, vengono resi più espliciti e vincolanti i principi già implicitamente contenuti negli artt. 24 e 27 Cost., traducendo in canoni oggettivi di legittimità del processo i diritti finora concepiti in chiave di garanzia individuale, e trovando riconoscimento a livello costituzionale la nozione di giusto processo che sul piano normativo era stata introdotta solo per tramite delle convenzioni internazionali. Vengono enunciati, per ogni tipo di processo, i principi del contraddittorio, della parità delle parti, della terzietà e dell’imparzialità del giudice, nonché della durata ragionevole del processo. Attuale ruolo del contraddittorio Con particolare riferimento al processo penale, l’art. 111 eleva a rango costituzionale le disposizioni dell’art. 6 CEDU (diritto di conoscere l’accusa, di preparare la difesa, al controesame, alla prova, all’interprete), e in particolare, il principio del contraddittorio nella formazione della prova, superando l’orientamento consolidato della giurisprudenza della Corte costituzionale, che riteneva illegittimo il divieto di utilizzare come prova in dibattimento le dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari. In particolare, viene meglio definita la nozione stessa di contraddittorio, escludendo quelle letture riduttive, secondo cui ad attuarlo è sufficiente la discussione in giudizio sui risultati di prove già acquisite altrove. Ne segue che va considerata come prova utilizzabile per la decisione solo quella assunta davanti al giudice con l’intervento delle parti, per cui la sede privilegiata non può che essere il dibattimento. Tuttavia, non essendo sempre possibile l’applicazione rigida del principio, l’art. 111.5 prevede tre specifiche deroghe al contraddittorio: Consenso dell’imputato: riferimento ai riti speciali, che altrimenti sarebbero da ritenere illegittimi perché implicanti una rinuncia al contraddittorio e l'utilizzazione probatoria degli atti di indagine preliminare. Alla medesima previsione si ricollega la possibilità, per le parti, introdotta dal legislatore ordinario, di accordarsi sull’utilizzabilità della documentazione concernente singoli elementi di prova; Accertata impossibilità di natura oggettiva: acquisizione come prova degli atti non ripetibili nel contraddittorio dibattimentale; Per effetto di provata condotta illecita: salvaguardia del valore probatorio delle dichiarazioni, anche se non acquisite in contraddittorio, di coloro che siano stati oggetto di pressioni illecite per ritrattarle (violenza minaccia o subornazione). Di dubbia omogeneità con il livello dei principi costituzionali, invece, la previsione dell’inutilizzabilità, come prova della colpevolezza, delle dichiarazioni di chi rifiuta di sottoporsi all’esame dell’imputato o del suo difensore, previsione che sarebbe stato semmai opportuno demandare alle norme del codice (art. 526 recepisce esattamente questa regola). Valore probatorio degli elementi extra-dibattimento La riformulazione dell’art. 111 Cost. ha imposto di rivedere il valore probatorio degli elementi acquisiti al di fuori del giudizio (es. atti di indagine). La L. 63/2001 ha modificato alcune disposizioni chiave (es. art. 500 – contestazioni nell’esame testimoniale), dirette a regolare il sistema dei rapporti tra indagini preliminari e dibattimento e ripristinando la separazione tra le fasi. Tuttavia, l’intervento ha causato diversi riflessi sistematici: Il ritorno all’inutilizzabilità delle precedenti dichiarazioni ha indotto il legislatore a limitare il diritto al silenzio dell’imputato che abbia riferito fatti concernenti la responsabilità altrui, sostanzialmente imponendo all’imputato un dovere di collaborazione con il p.m. – mettendo in discussione l’inviolabilità del diritto di difesa; Nell’intento di ristabilire la parità delle parti, e in particolare con la legge sulle investigazioni difensive, si è portato a compimento un disegno di dislocazione dei poteri di vera e propria formazione della prova in capo al p.m. e ai difensori: essi, infatti, possono consensualmente sottrarre al contraddittorio elementi raccolti, dall’una e dall’altra parte, fuori dall’udienza, unilateralmente e senza la presenza del giudice. Tale facoltà si manifesta sia mediante l’acquisizione concordata al fascicolo per il dibattimento degli atti del p.m. e di investigazione difensiva, sia con l’accordo sull’acquisizione, in sede di esame, delle precedenti dichiarazioni del testimone contenute nel fascicolo del p.m., nel quale confluisce anche la documentazione delle investigazioni del difensore. Tali previsioni non sono in contrasto con l’art. 111 Cost. (rinuncia al contraddittorio), ma non contribuiscono a valorizzare la formazione della prova in dibattimento. Che il contraddittorio dibattimentale rischi di assumere un ruolo comunque residuale è poi confermata dalle modifiche apportate al giudizio abbreviato, il quale, è stato praticamente trasformato da giudizio consensuale allo stato degli atti, in un vero e proprio giudizio ordinario con possibile acquisizione di prove e controprove, ferma restando la piena utilizzazione degli atti di indagine. L’impressione è confermata dal peso sempre maggiore che è venuta assumendo l’udienza preliminare, oggi sede di un vero e proprio accertamento sul merito, considerata l’ampiezza dei poteri istruttori del giudice e la necessità di un vaglio approfondito circa i presupposti del non luogo a procedere. L’auspicata centralità del dibattimento sembra perciò almeno parzialmente smentita dagli interventi strutturali che hanno accompagnato la riforma del giusto processo. Atti preliminari al dibattimento Nel giudizio si distingue tra: Atti preliminari; Dibattimento; Atti successivi: deliberazione e pubblicazione della sentenza. La fase degli atti preliminari al dibattimento, a cui è preposto, cioè ha competenza funzionale, il presidente del collegio giudicante (tribunale o corte d’assise), si estende dalla conclusione dell’udienza preliminare agli atti introduttivi del dibattimento. I limiti cronologici non sono individuati con precisione assoluta, perché alcune fra le attività preparatorie del giudizio (citazione; deposito degli atti; questioni preliminari, logicamente appartenenti al dibattimento) hanno inizio nella fase precedente. Pertanto, si assume come momento iniziale la ricezione del decreto che dispone il giudizio, che fissa l’udienza dibattimentale, (art. 654) e come momento finale la costituzione delle parti (art. 484). Notifica del decreto che dispone il giudizio Il decreto va notificato all’imputato contro il quale si sia proceduto in assenza nell’udienza preliminare, nonché all’imputato, alla persona offesa e alle altre parti private non presenti alla lettura del provvedimento. Il decreto deve contenere l’indicazione del luogo, del giorno e dell’ora della comparizione. In vista dei prevedibili coordinamenti sul piano operativo, l’art. 132 disp. att. dispone che il giudice per l’udienza preliminare richieda il giorno e l’ora della comparizione al presidente del tribunale, il quale li individua sulla base dei criteri determinati dal CSM, comunicandoli anche con mezzi telematici (e si deve supporre, senza formalità). Il presidente può anticipare o differire l’udienza per giustificati motivi, con decreto da notificare tempestivamente alle parti, strumento per correggere eventuali sovraffollamenti dei ruoli (art. 465): Al fine di garantire la ragionevole durata richiesta dall’art. 111 Cost., in considerazione dell’elevato numero di processi per i quali deve essere celebrato il dibattimento e delle scarse risorse disponibili, l’art. 132-bis disp. att. indica le categorie dei processi ai quali va assicurata la priorità assoluta nella formazione dei ruoli di udienza e della trattazione (cfr. reati più gravi; di particolare allarme sociale; a carico di imputati detenuti e da celebrare con giudizio direttissimo o immediato). Assunzione di prove non rinviabili A norma dell’art. 467, spetta inoltre al presidente, a richiesta di parte, l’assunzione di prove non rinviabili, negli stessi casi che, in sede di indagini preliminari o di udienza preliminare, consentirebbero un incidente probatorio. Si osservano le forme previste per il dibattimento. Sentenza anticipata di proscioglimento Il collegio può emettere l’eventuale sentenza anticipata di proscioglimento (art. 469), se l’azione penale è improcedibile, il reato è estinto, o se l’imputato non è punibile per particolare tenuità del fatto. La sentenza di proscioglimento predibattimentale, pronunciate in camera di consiglio, risponde ad un’evidente logica di economia processuale: è inutile passare al dibattimento quando la conclusione è già scontata e risulta dalle carte. Viene tuttavia confermata la prevalenza del proscioglimento nel merito, essendo espressamente fatta salva la previsione dell’art. 129.2, per cui, quando risulta evidente che il fatto non sussiste, che l’imputato non l’ha commesso, che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il giudice deve procedere al dibattimento, in quanto tale sentenza non può essere anticipata (cfr. la sentenza ex art. 469 è una sentenza di non doversi procedere). Il p.m., l’imputato e, quando occorre, la persona offesa devono essere avvisati della data dell’udienza, pena la nullità (di ordine generale). Durante il termine per comparire, il fascicolo per il dibattimento è depositato nella cancelleria del giudice competente per il giudizio (cfr. fascicolo del p.m. – segreteria p.m.), e le parti hanno facoltà di prenderne visione ed estrarne copia: Se le parti si oppongono (è sufficiente una semplice manifestazione di volontà a procedere al dibattimento), il proscioglimento anticipato non è possibile, in quanto si riconosce esplicitamente (all'imputato) un vero e proprio diritto al giudizio di merito e ottenere, se del caso, una decisione più favorevole. Infatti, solo le parti possono conoscere previamente le ragioni che potrebbero portare ad un’assoluzione piena oppure ad escludere del tutto il proscioglimento. o Nel caso in cui vi sia proscioglimento per particolare tenuità del fatto, deve essere sentita anche la persona offesa, se compare, in modo da consentirle il contraddittorio, pur non riconoscendo un potere di veto mediante opposizione; Qualora le parti non compaiano, il giudice può procedere egualmente e pronunciare la sentenza in camera di consiglio. Essa è inappellabile (ferma restando la ricorribilità per cassazione), essendo intervenuta con il consenso delle parti (o meglio, senza il dissenso: disinteresse). Liste testimoniali e verbali di prova Almeno 7 giorni prima della data fissata per il dibattimento (termine libero, nel quale cioè non si computa né il dies a quo né il dies a quem), le parti presentano le liste dei testimoni, periti e consulenti tecnici, nonché delle persone indicate nell’art. 210, con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame. Ciò a pena di inammissibilità, dal momento che non sono consentite prove a sorpresa, e ciascuna parte deve conoscere i fatti che le altre intendono provare. Le liste testimoniali hanno una prevalente funzione di disclosure, non essendo destinate a sollecitare un provvedimento di ammissione delle prove. Infatti, il decreto del presidente, conseguenza necessaria della presentazione delle liste se richiesto dalle parti, ha il solo scopo di autorizzare la citazione delle persone indicate, rendendone obbligatoria la comparizione. La citazione, infatti, può mancare (i testimoni e i c.t., purché indicati nelle liste, possono anche essere presentati direttamente all’udienza senza citazione) o può essere negata per le testimonianze vietate dalla legge e per quelle manifestamente sovrabbondanti. In ogni caso, la valutazione non implica un giudizio sulla ammissibilità (riservato ex art. 495 al collegio in seguito all’esposizione introduttiva), dopo l’apertura del dibattimento, né implica la conoscenza dei fatti in causa, dovendo essere compiuta soltanto in base ai dati contenuti nelle liste. Nel silenzio dell’art. 468, si deduce che l’esame delle parti è sempre ammissibile senza bisogno di preavviso, essendo le parti immanenti al processo. Viceversa, è sempre necessario indicare il soggetto nelle liste, se si intende effettuare l’esame dell’imputato in un procedimento connesso o collegato nei cui confronti si proceda separatamente (art. 210), non essendo parte, o dell’imputato nello stesso procedimento, chiamato a rendere dichiarazioni nei confronti di altre persone senza assumere la veste di testimone (Corte cost. 361/1998). Il presidente può stabilire che la citazione dei testimoni, periti o consulenti tecnici nonché delle persone indicate nell'art. 210 sia effettuata per la data fissata per il dibattimento o per altre successive udienze nelle quali ne sia previsto l’esame (cfr. opportunità di razionalizzazione che, soprattutto nei dibattimenti di lunga durata, offre la possibilità di evitare l’inutile comparizione di chi non dovrà partecipare all’udienza). Richiesta di acquisizione dei verbali di prova L’art. 468.4-bis stabilisce che le parti devono depositare la richiesta di acquisizione dei verbali di prova provenienti da altri procedimenti, per dar modo alla parte nei cui confronti il verbale può essere utilizzato di essere preavvisata. Scopo principale della norma è quello di rimandare l’eventuale citazione delle persone delle cui dichiarazioni si tratta, anche se indicate nelle liste, al momento dell’ammissione della prova: infatti, l’ammissione della prova orale deve seguire l’acquisizione del documento. Le parti hanno diritto di ottenere l’esame dei dichiaranti (testimoni o imputati in un procedimento connesso), ma l’ammissione dell’esame viene subordinata alla previa acquisizione dei verbali dei diversi procedimenti, e quindi alla conoscenza del loro contenuto da parte del giudice, e fatta dipendere da una valutazione discrezionale volendo suggerire la superfluità della prova orale quando è acquisto il documento scritto. L’acquisizione del documento può anche essere rifiutata dal giudice, nei procedimenti per i più gravi delitti (mafia; criminalità organizzata; casi indicati nell’art.190-bis), al fine di evitare l’usura dei testimoni, cioè l’eccessiva esposizione agli inconvenienti e ai rischi di una ripetuta presentazione nelle aule di giustizia, quando le loro dichiarazioni siano rilevanti in più processi separati. Collaboratori di giustizia, al fine di garantire la sicurezza del dichiarante (testimone o imputato) che può rendere l’esame da un luogo protetto e segreto. Tuttavia, la videoconferenza consente una visione soltanto parziale e a volte frammentaria di ciò che accade in aula di udienza, in cui la partecipazione al contraddittorio dibattimentale risulta sempre mediata dallo strumento tecnico. La presenza virtuale dell’imputato, nonostante la predisposizione di specifiche garanzie difensive, comprime il suo diritto alla difesa giustificata sicuramente dall’esigenza di tutelare altri valori primari (es. celerità del processo; pubblica sicurezza). In realtà, la Corte costituzionale ritiene sufficiente che sia garantita l'effettiva partecipazione personale consapevole dell’imputato al dibattimento e che i mezzi tecnici siano del tutto idonei a realizzare questa partecipazione. Verbale di udienza La verbalizzazione dell’udienza dibattimentale, in un processo nel quale la decisione deve intervenire esclusivamente sulle prove legittimamente acquisite nel dibattimento, secondo i principi dell’oralità e del contraddittorio, è attività di grande rilievo e di particolare delicatezza. Poiché i verbali delle indagini preliminari non entrano automaticamente a far parte del materiale valutabile, come supporto delle risultanze dibattimentali, è indispensabile che queste ultime siano riprodotte con la massima fedeltà e completezza. Dunque, il verbale del dibattimento, da allegare al fascicolo per il dibattimento, svolge la funzione di promemoria per il giudice che deve decidere in Camera di consiglio. L’art. 528 contiene una norma specifica che consente al giudice di sospendere la deliberazione ove reputi necessaria la traduzione immediata del verbale da parte dell’ausiliario che l’ha redatto, ovvero l’ascolto o la visione delle riproduzioni fonografiche o audiovisive (quando tale strumento sia stato utilizzato). Sempre per le stesse ragioni, l’art. 510 prevede che nel verbale di assunzione dei mezzi di prova le domande e le risposte devono essere riprodotte integralmente in forma diretta: infatti, nell’esame diretto, le domande contano quanto le risposte, perché il vero significato di queste ultime può essere compreso solo se si conosce come sono state sollecitate e come si collocano del dialogo complessivo; e ciò vale a maggior ragione per il controesame e le eventuali contestazioni. Una verbalizzazione integrale, nei dibattimenti di qualche complessità, può aver luogo soltanto con appositi strumenti tecnici. Come mezzo ordinario di documentazione degli atti processuali è prevista la stenotipia, e solo in subordine la scrittura manuale in forma riassuntiva, e deve essere effettuata la riproduzione fonografica. Se dovesse essere eseguita la verbalizzazione manuale integrale si pregiudicherebbe l’efficacia dell’esame diretto che le parti sarebbero costrette a svolgere secondo i tempi e le cadenza della penna dell’ausiliario del giudice o con continue interruzioni, vanificando di fatto l’immediatezza e la concentrazione del dibattimento. Nella pratica, la stenotipia è quasi sempre sostituita dalla verbalizzazione riassuntiva con registrazione fonografica, più efficiente e meno costosa. La registrazione fonografica e la sua trascrizione sono effettuati da personale tecnico, normalmente non dotato di poteri di certificazione (vs. stenotipisti che sono professionisti di alta qualificazione non appartenenti all’amministrazione giudiziaria), mentre la funzione certificativa resta riservata all'ausiliario che assiste il giudice che sottoscrive il verbale nel quale sono contenuti i riferimenti ai nastri registrati. In alcuni casi, poi, si procede alla videoregistrazione automatica integrale, che consente una rappresentazione più completa di quanto è avvenuto in udienza. Le parti, infine, hanno poteri di controllo sulla correttezza della documentazione. A tal fine possono chiedere che sia data lettura di singoli brani (può essere disposta anche d’ufficio dal presidente) e proporre domande di rettificazione o cancellazione, sulle quali il presidente decide (immediatamente, trattandosi di questione incidentale) con ordinanza. Allo stesso modo, il presidente decide sulle dichiarazioni che le parti intendono far inserire nel verbale. Inoltre, sono allegate al verbale le memorie scritte presentate a sostegno delle richieste e delle conclusioni delle parti. Costituzione delle parti A norma dell’art. 484, prima di dare inizio al dibattimento, il presidente controlla la regolare costituzione delle parti. L’art. 490 prevede che possa essere sempre disposto l’accompagnamento coattivo dell’imputato, indipendentemente dal fatto che l’assente sia libero o detenuto (vs. esame, che non può avere luogo senza il consenso dell’imputato, salvo che si tratti di esame concernente responsabilità altrui – sent. 361/1998). Infatti, con l’attuale struttura del processo, la presenza dell’imputato è fondamentale, in quanto nella fase del dibattimento ha luogo la formazione della prova e la sua presenza potrebbe essere indispensabile per l’assunzione di determinate prove (es. ricognizione; ispezione personale). Assenza dell’imputato La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato più volte l’Italia per violazione dell’art. 6.1 CEDU e, successivamente, per la mancanza di un adeguato rimedio che consentisse di riaprire il processo nei confronti di imputati condannati in contumacia con sentenza irrevocabile, senza che fosse provata la loro effettiva conoscenza del procedimento. Pertanto, il legislatore (L. 64/2014, a seguito di un lungo iter normativo), ha eliminato la tradizionale figura del processo in contumacia, nell’intento di garantire l’effettività del diritto di difesa e, più in generale, il rispetto del fair hearing (equo processo) richiesto dalle carte internazionali e dalla Corte penale internazionale. La contumacia è istituto storicamente estraneo al processo accusatorio, essendo più congeniale nelle procedure di tipo inquisitorio, anche per la prevalenza dei documenti scritti rispetto al contraddittorio orale. L’art. 484.2-bis rende applicabile gli artt. 420-bis ss. relativi all’udienza preliminare, che racchiudono i cardini della disciplina, per cui il processo può celebrarsi solo ove l’imputato sia presente o volontariamente assente, essendo a conoscenza dell’esistenza del procedimento: Se l’imputato non compare e non c’è ragionevole certezza che abbia avuto effettivamente conoscenza del procedimento (con conseguente non volontarietà dell’assenza), il giudice rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato personalmente a mezzo della polizia giudiziaria. Se l’imputato rimane comunque irreperibile, il processo va sospeso (artt. 420-quater – sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato e 420-quinquies – atti urgenti); Viceversa, se l’imputato risulta volontariamente assente, il dibattimento si celebra: o L’ordinanza di procedere in assenza è revocabile anche d’ufficio ove l’imputato compaia in dibattimento prima della decisione, e nel caso in cui egli provi che l’assenza in udienza fosse dovuta ad un’incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo o all’assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell’impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. L’imputato ha una duplice opzione: Rimanere in dibattimento: l’imputato ha diritto di formulare richieste di prova, compresa la possibilità di chiedere la rinnovazione delle prove già assunte, ferma la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza (cfr. art. 489: l’imputato assente in udienza potrà rendere dichiarazioni spontanee in dibattimento); Chiedere i riti premiali: l’imputo può essere restituito nel termine per chiedere il giudizio abbreviato o l’applicazione della pena su richiesta delle parti (art. 489.2: la mancanza di accenni alla messa alla prova incontrerà la censura ex artt. 3 e 24 Cost.). o Ove la sussistenza dei presupposti per procedere in assenza dell’imputato non sia smentita, il dibattimento prosegue ordinariamente e la legge non riconosce, in caso di successiva presentazione in dibattimento, né diritto alla prova né la facoltà di optare per i riti speciali (ma solo la possibilità di rendere dichiarazioni spontanee). [L’assenza prevista dalla nuova normativa, come pure l’irreperibilità, non vanno confuse con la latitanza, che si realizza su un piano differente (anche se parzialmente sovrapponibile), essendo la situazione di chi si sottrae a determinate misure coercitive o a un ordine di carcerazione]. Questioni preliminari Dopo l’accertamento della costituzione delle parti e prima della formale apertura del dibattimento devono essere proposte le questioni preliminari (art. 491), che riguardano la regolare instaurazione del dibattimento o la sua organizzazione, per evitare lo svolgimento di attività che potrebbero rivelarsi inutili o invalide: Alcune questioni devono essere proposte subito dopo il compimento delle formalità ex art. 484 (cfr. termine previsto a pena di decadenza, e non viene ripristinato nemmeno se, per qualsiasi motivo, occorre tornare alla fase precedente e rinnovare gli atti introduttivi del dibattimento): o Incompetenza (territorio, connessione o materia per eccesso); o Nullità relative degli atti delle fasi anteriori non ancora sanate, oppure eccepite nell’udienza preliminare e non dichiarate dal giudice; o Costituzione e l’intervento delle parti private diverse dall’imputato, nonché degli enti rappresentativi degli interessi lesi dal reato; o Inosservanza delle disposizioni sulla composizione monocratica o collegiale del tribunale quando non si sia tenuta l’udienza preliminare o, in quella sede, l’eccezione sia stata respinta; o Omissione dell’udienza preliminare, nel procedimento innanzi al giudice monocratico, per un reato che la preveda. Altre questioni possono essere proposte anche successivamente, se la possibilità di proporle sorge soltanto nel corso del dibattimento: o Contenuto del fascicolo del dibattimento e il trasferimento nello stesso degli atti inclusisi nel fascicolo del p.m. e viceversa; o Riunione o separazione dei giudizi. La discussione delle questioni è sintetica e il giudice decide immediatamente con ordinanza Esposizione introduttiva L’esposizione introduttiva è un momento fondamentale del dibattimento, in quanto il giudice non conosce nulla delle indagini preliminari, ad eccezione dell’imputazione e di un limitato numero di atti contenuti nel fascicolo del dibattimento. Le parti non possono dare nulla per scontato, a partire dall’ipotesi ricostruttiva della vicenda oggetto del processo (cfr. il rinvio a giudizio non è neppure motivato e contiene solo la nuda indicazione delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono). Il tema della discussione, dunque, non può che essere fissato dalle parti in limine litis. Il giudice, in questa fase, non è in grado di svolgere un ruolo attivo, né di stabilire le modalità di assunzione delle prove, ma è solo destinatario delle iniziative del p.m. e dei difensori, i quali devono renderlo edotto della materia del processo nel modo che ritengono più efficace. Prima il p.m., poi, nell’ordine, i difensori delle parti private e dell’imputato (parità delle parti), indicano i fatti che intendono provare e le prove di cui chiedono l’ammissione. In virtù delle disposizioni generali (art. 121), per evitare pregiudizievoli vuoti di conoscenza (soprattutto nei processi di maggiore complessità), si consente alle parti di accompagnare l’esposizione con memorie scritte, ma solo in funzione argomentativa o esplicativa, in quanto le memorie non possono essere utilizzate per mettere a disposizione del giudice informazioni che la legge non gli consentirebbe di conoscere direttamente (es. riproduzione del contenuto dei verbali di indagine o di documenti non acquisibili – atti del fascicolo del p.m.). Richieste di prova Dopo l’esposizione introduttiva, il giudice deve provvedere all’ammissione delle prove richieste dalle parti (art. 190) immediatamente ed espressamente con ordinanza, senza riservarsi di decidere né ricorrere alla motivazione implicita. Il giudizio di ammissibilità si basa su criteri predeterminati, che limitano la discrezionalità del giudice rafforzando i poteri delle parti; infatti, le prove possono essere escluse solo se vietate dalla legge, manifestamente superflue, cioè quando la prova non ampli concretamente la piattaforma conoscitiva del giudice, o irrilevanti, in riferimento all’oggetto della prova individuato dall’art. 187. Il giudice può ammettere: Prove non incluse nelle liste depositate prima del dibattimento (art. 493.2), se la parte dimostra l’omissione incolpevole, cioè di non averle potuto indicare tempestivamente (cfr. il diritto all’ammissione della prova non decade automaticamente); Nuove prove (sopravvenute o non ammesse in precedenza) anche al termine dell’istruzione dibattimentale, e persino dopo l’inizio della discussione, ma solo se assolutamente necessarie (art. 507); Indagini: le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo per il dibattimento di contenuti nel fascicolo del p.m. e della documentazione delle indagini difensive, introdotte ora come prove, previa lettura o indicazione ex art. 511, comportandone la diretta utilizzabilità ai fini della decisione (art. 493.3). L’accordo delle parti, che includerà verosimilmente anche la rinuncia a chiedere l’escussione dibattimentale delle corrispondenti prove orali, consente un evidente risparmio di attività al dibattimento, specie quando gli esiti della prova sarebbero scontati. o Nonostante manchi un’esplicita richiesta di parte o una disciplina sulle modalità di controllo, l’accertamento sull’ammissibilità probatoria di tali atti deve essere effettuato d’ufficio ad opera del giudice del dibattimento (o g.u.p, qualora l’inserzione nel fascicolo sia avvenuta prima del dibattimento), in quanto non basta il semplice accordo delle parti (es. le prove vietate dalla legge sono comunque inutilizzabili). È invece previsto espressamente che il