Scarica Comunicazione, Cultura e Società. Riassunto del libro di Gili-Colombo e più Sbobinature in PDF di Sociologia Della Comunicazione Di Massa solo su Docsity! 1 INTRODUZIONE : LA COMUNICAZIONE COME RELAZIONE SOCIALE Comunicare è la più diffusa e normale attività umana. Presenta un dualismo; seppur sia la più semplice attività, è una scommessa ed un rischio. Presenta molteplici condizioni per il funzionamento che possono portare ad un risultato fallimentare. Comunicare significa: - trasmettere un messaggio (un elemento di conoscenza prima ignoto al ricevente) - costruire, elaborare, condividere significati (interpretare attraverso i segni le reciproche intenzioni) - istituire, modificare, mantenere o terminare relazioni interpersonali (coinvolgersi o meno nelle relazioni sulla base della presentazione di sé che si fa e della relazione che conseguentemente ne viene definita) Elementi costitutivi della comunicazione in quanto relazione comunicativa fra soggetti sono: - soggetto agente: è tale un soggetto che interpreta i propri comportamenti come azioni, prodotto della propria volontà ed intenzionalità. Un soggetto è infatti definito agente quando compie delle azioni mosse da volontà propria. Un soggetto che agisce in relazione ad un ruolo sociale determinato, è detto attore sociale. Gli attori collettivi (organizzazioni, istituzioni, ecc) invece sono quelli che si servono di uno o più attori sociali in rappresentanza per la promulgazione della loro volontà collettiva. - relazione comunicativa: Ogni evento o atto comunicativo si basa su una relazione tra un “io” ed un “tu”, tra quindi due o più soggetti agenti che agiscono tenendo conto delle rispettive intenzioni, motivazioni ed aspettative. La sociologia studia la comunicazione come relazione comunicativa, cioè la dimensione comunicativa delle relazioni sociali nella sua struttura e nelle sue funzioni fondamentali, oltre che nelle tipologie e nei formati nei quali potrebbe presentarsi. E’ utile affrontare la disciplina entro una cornice teorica legata alle altre discipline che studiano aspetti diversi della comunicazione, ed infatti non vanno tralasciati gli aspetti materiali, sociali, normativi, di potere della relazione comunicativa che ne costituiscono lo spessore sociologico. Ma bisogna evitare l’appiattimento su queste altre discipline, in quanto si rischia poi di cadere in uno studio riduttivo, non in grado di cogliere i fenomeni nella loro totalità. Cos’è quindi la comunicazione in prospettiva sociologica? 1. essendo una relazione tra soggetti agenti dotati di volontà propria o di rappresentanza, dipende da ciò che accade in ciascun soggetto, ma è anche sempre qualcosa in più di questo. E’ il risultato di un’azione reciproca ed effetto emergente, implica sempre le singole intenzionalità e la continua ridefinizione del rapporto tra soggetti che comunicano, è fatta di atti co-costruiti. 2. Gli aspetti teorici di questa materia possono adottare due diverse prospettive: quella macrosociologica, che va dal generale al particolare, partendo dallo studio dei sistemi comunicativi nella loro struttura degli assetti generali strutturali, culturali ed istituzionali; o quella microsociologica, che orienta lo studio partendo dall’azione dei soggetti agenti e dal progressivo passaggio dall’individuo alla società. 2 L’approccio della relazione comunicativa qui adottato non esclude nè preferisce una delle due prospettive, ma le collega senza opporsi. La relazione è definita come azione reciproca tra soggetti agenti ed è da qui che si costituiscono tramite una pluralità di processi i sistemi come insiemi strutturati di relazioni. 3. La sociologia studia la comunicazione a diversi livelli: - Interazione tra gli individui (diretta o indiretta) - comunicazione dei gruppi e delle organizzazioni (sia all’interno dei gruppi, che tra gruppi o con l’esterno) - testi e prodotti culturali (forme culturali che incorporano un significato) - sistemi istituzionalizzati e reti della comunicazione (mass media, web, nella loro struttura, funzioni e modalità evolutive e nei rapporti con gli altri sistemi sociali). CAP.1 DI CHE COSA E’ FATTA LA COMUNICAZIONE Quali sono gli elementi fissi della comunicazione? A tal proposito vari autori hanno proposto diversi modelli concettuali. I primi modelli concettuali risalgono alla fine degli anni ‘40: il modello di Shannon e Weaver e il modello delle “cinque W” di Lasswell. Entrambi hanno individuato cinque elementi costitutivi della comunicazione: L’emittente e il ricevente, il messaggio, il codice e il canale. Questi elementi sono collegati tra di loro da una struttura lineare. Il modello di Shannon e Weaver è stato ideato per ridurre i fattori di disturbo e le interferenze nelle comunicazioni telefoniche, per aumentare la chiarezza del segnale trasmesso. Esso nonostante si riferisca a una comunicazione tra macchine è stato applicato successivamente alla comunicazione umana/sociale. Negli anni ’60 abbiamo il modello delle “cinque W” di Lasswell. Esso si fonda su cinque domande che identificano gli elementi fondamentali del processo comunicativo: chi, che cosa, attraverso quale canale, a chi, con quale effetto?. Tutta una serie di domande per guidare l’indagine sulla comunicazione. A questi modelli semplici si sono affiancati poi quelli di Newcomb, di Schramm e di Jakobson. - Il modello di Newcomb ha la forma di un triangolo, nel quale due vertici indicano i partecipanti alla relazione comunicativa (A-B), introducendo due elementi molto importanti: la bi-direzionalità della relazione (si riferisce al fatto che i soggetti sono al tempo stesso emittenti e riceventi) e il contesto (una dimensione che costituisce la relazione comunicativa). - Schramm sviluppa 3 modelli, dimostrando l’importanza del contesto, espresso dal concetto di campo di esperienza (cioè l’insieme delle conoscenze, esperienze dei soggetti) - Jakobson ha fissato in 6 fattori “costitutivi” e “insopprimibili” la struttura fondamentale della comunicazione linguistica. Per tracciare un quadro di queste funzioni, è necessario un emittente che invia il messaggio al destinatario; per essere operante il messaggio richiede in primo luogo il riferimento a un contesto, che possa essere 5 -Emittente (colui che parla) -Ricevente (colui che ascolta) Emittente e ricevente costituiscono al tempo stesso categorie analitiche e concetti empirici. Categorie analitiche perché identificano dei ruoli comunicativi che ogni soggetto possiede e può assumere sempre anche se talvolta un ruolo può prevalere sull’altro e quando questo accade possono subentrare i ruoli sociali nelle situazioni; e concetti empirici poiché emittente e ricevente assumono un determinato ruolo concreto. Nelle situazioni concrete può avvenire una polarizzazione dei ruoli, per cui un determinato soggetto assume prevalentemente il ruolo di emittente, mentre l’altro assume prevalentemente quello di ricevente. Per molto tempo in merito al ricevente si è impostata l’idea che esso sia solamente un soggetto passivo, ma questo concetto è erroneo e dannoso, in quanto, anche egli come l’emittente, costruisce, interpreta e rielabora i messaggi che riceve, li accetta o li rifiuta. In questo senso si è assistito ad un rovesciamento di prospettiva che ha riconosciuto al ricevente un ruolo pienamente attivo, e Reddy nei suoi studi ha teorizzato il paradigma dell’audience attiva e dei suoi componenti come “costruttori di attrezzi”, che rielaborano i messaggi ricevuti con il fine di accettarli o rifiutarli. Goffman inoltre ritiene che emittente e ricevente possano essere scomposti in diverse figure e ruoli: -Nell’emittente sono presenti 3 figure: animatore, autore e mandante. L’animatore è colui che concretamente comunica e si rivolge all’interlocutore, è la macchina parlante; l’autore è colui che ha ideato e costruito il messaggio e infine il mandante, che indica il soggetto, il gruppo o l’istituzione nel nome del quale si parla e che assume la responsabilità di ciò che viene detto. Questi ruoli dell’emittente possono essere concentrati nella stessa persona o divisi tra più persone in un team. -Il ricevente può essere scomposto in: partecipante designato e partecipante accidentale. Ratificato o designato è colui al quale ci rivolgiamo direttamente, mentre quello occasionale o accidentale è colui che si trova nel campo d’azione dell’emittente ed è raggiunto in qualche modo dal messaggio, ma l’emittente non si rivolge direttamente a lui. Il ricevente può anche essere diretto o indiretto, quello diretto è un ricevente che appunto riceve il messaggio direttamente; quello indiretto è un ricevente che assimila il messaggio tramite un altro soggetto che si è esposto direttamente al messaggio originario oppure, a sua volta, lo ha ricevuto da altri. Soggetti individuali e collettivi Mittente e ricevente si presentano fondamentalmente come soggetti individuali quando sono in presenza l’uno dell’altro e funzionano come “mezzi di comunicazione”. Essi però possono essere anche soggetti collettivi, cioè gruppi, organizzazioni e istituzioni, ad esempio, una famiglia che invita degli ospiti a cena è composta da una pluralità di individui ma agiscono anche collettivamente, è ciò che fanno anche le aziende i partiti o le università. Possiamo considerarli come un emittente unico perché il messaggio che l’emittente produce è unico, ma è comunque espressione del lavoro collettivo di molte persone. 6 Messaggi e significati Il messaggio è il contenuto dello scambio comunicativo tra i soggetti agenti, il “che cosa” della comunicazione secondo Laswell. Il messaggio può essere definito in relazione a 3 aspetti: -Indica in primo luogo una qualunque espressione comunicativa dotata di significato e può essere definita tale quando rimanda a un senso che il destinatario riconosce -Un secondo aspetto importante, è che un messaggio è significativo non solo perché è riconosciuto come un messaggio, ma anche perché dice qualcosa in relazione alla realtà. Se indichiamo un oggetto a qualcuno non ci basta che capisca quello che stiamo facendo, ma anche che riconosca l’oggetto che stiamo indicando. -In terzo luogo il messaggio è un'informazione costruita secondo le regole di un dato codice e trasmessa per mezzo di una determinata forma materiale. Ciò significa che il messaggio ha una dimensione sensibile, ed è sempre in stretto rapporto con un codice e un canale. Dimensioni del messaggio Il messaggio può presentare diverse dimensioni: 1) Intenzionale e non intenzionale 2) Di denotazione e di connotazione 3) Di contenuto e di relazione 4) Esplicita ed implicita 1)Dimensione intenzionale e non intenzionale: si ha quando il soggetto comunica in modo consapevole, esercitando una riflessività sulla sua comunicazione (da vedere sul libro con esempi) 2)Di denotazione e connotazione: l’aspetto di denotazione del messaggio si riferisce al suo significato oggettivo, di base, fondamentalmente è il significato di una parola che troviamo sul vocabolario. L’aspetto connotativo invece, si riferisce al fatto che il significato denotato di quella determinata parola può suscitare nel soggetto uno stato legato alle esperienze e ai sentimenti, la parola “guerra” ad esempio per un anziano, nostro nonno, può essere legata alla paura, alla fame, ciò a tutto ciò che egli ha vissuto combattendo sul fronte. 3)Di contenuto e di relazione: in ogni messaggio, qualsiasi cosa diciamo, è presente un secondo messaggio, più o meno visibile ed esplicito. Questo secondo messaggio è l’aspetto di relazione, che comprende una presentazione di sé, un’immagine dell’io e una affermazione con l’interlocutore. 4)Dimensione esplicita e implicita: questa distinzione si basa sul fatto che ogni atto comunicativo ha un significato che oltrepassa il suo contenuto immediato, ma presuppone e contiene un mondo. Il soggetto esegue un azione dando per scontato che l’insieme delle 7 conoscenze e il suo linguaggio possano essere comprese da tutti (come quando un prof entra in classe e inizia una lezione in lingua italiana, è abbastanza ovvio poiché ci troviamo in una scuola italiana). Prima e al di sotto di ogni significato esplicito vi sono dei significati impliciti, dati per scontati, che vengono presupposti e non devono essere esplicitati perché già appartengono alla comune conoscenza del mondo dell’interlocutore. Feedback: messaggio e azione reciproca Questa espressione indica il messaggio di ritorno che il ricevente invia al mittente originario. Il feedback però non è semplicemente il segnale o il messaggio di ritorno, ma è l’azione per cui il ricevente si costituisce pienamente come partecipante alla comunicazione. Esso appare importante sotto due punti di vista; in primo luogo può trasformare il ricevente in emittente decodificando e interpretando il messaggio, in secondo luogo il feedback assume una funzione essenziale per l’emittente originario, egli infatti ha bisogno di controllare in modo costante che il messaggio sia stato ricevuto il modo corretto, e che sia stato compreso secondo le sue intenzioni, esercitando anche una riflessività sulla propria comunicazione attraverso la risposta del suo interlocutore. Abbiamo diverse forme di feedback; la situazione più semplice si ha nella comunicazione faccia a faccia dove abbiamo dall’altro soggetto un feedback immediato, ed il messaggio viene trasmesso contemporaneamente in più direzioni. Il feedback può anche essere rimandato nel tempo, come nei rapporti epistolari, ad una lettera può seguire una lettera di risposta, una telefonata, una mail, oppure nessuna risposta. 1.4 SEGNI e CODICI -indice si collega per corrispondenza diretta. -icona per rassomiglianza.( caricatura di ciò che rappresentano) -simbolo per connotazzione. Il simbolo è l’unione di due significanti che riportano ad un significato astratto. (es fedi di marito e moglie). I messaggi devono assumere una forma sensibile attraverso codici (linguaggi, forma) e canali (mezzi). I codici sono la forma del messaggio, il sistema di riferimento entro il quale il messaggio è costruito. L’elemento costitutivo dei codici è il segno. Cos’è un segno? Secondo la filosofia medievale il segno è qualcosa che sta al posto di qualche altra cosa, evocandola o sostituendola. Secondo Pierce e Morris, il segno inoltre per funzionare necessita che sia qualcuno ad interpretare un oggetto o un evento come segno di qualcos’altro. “Una cosa è un segno solo quando e in quanto è interpretata da un interprete come segno di qualcos’altro” Il processo interpretativo è definito significazione, ed è un processo psichico possibile ma non necessario, essendo un passaggio che può avere natura culturale e soggettiva, non essendo sempre oggettiva e naturale. I segni assolvono tre principali funzioni: - rappresentazione della realtà: esseri umani conoscono il mondo, se ne fanno un’immagine ed agiscono in esso; 10 Questa più complessa articolazione permette di indagare e capire molti livelli comunicativi che andrebbero perduti se si indentificasse ogni tipo di segno con la coppia significante/significato. Pierce ha identificato tre diverse tipologie di segni sulla base del loro modo di rimandare all’oggetto: - Icona: serve a rappresentare il suo oggetto per rassomiglianza, quindi attraverso le qualità e caratteristiche percepibili con i cinque sensi. Sono icone il disegno di un albero, la mappa di una città, l’immagine che si forma sulla retina, in quanto rimandano a quello che il segno/icona significa o a cui si riferisce. - Indice: rappresenta l’oggetto indipendentemente da ogni rassomiglianza, comunica per connessione diretta o contiguità effettiva con l’oggetto. Sussiste quando vi è una relazione fattuale tra oggetto e segno: l’impronta sulla sabbia, l’indice puntato per indicare un oggetto, anche il nome proprio appartiene a questa categoria, o i nomi di città. - Simbolo: comunica per interpretazione, richiede forme di inferenze o associazione. Rappresenta gli oggetti indipendentemente da ogni rassomiglianza o connessione reale. E’ il caso delle parole. Icona, indice e simbolo possono essere tutti e tre presenti in messaggi discorsi e testi. CODICI Il concetto di codice presuppone il concetto di segno, qualunque sia il processo attraverso il quale i segni si costruiscono, stabilizzano e funzionano, è fondamentale capire come essi funzionino solo all’interno di sistemi comuni e condivisi, regolamentati e riproducibili: i codici. Caratteristiche dei codici (lingue): - Il linguaggio è composto da una pluralità di segni dotati di significato, cioè che indicano qualcosa per qualcuno nel processo di significazione. - I codici sono intersoggettivi, coesistono in una comunità di interpreti. - I segni che compongono i codici sono comunsegni, producibili e riproducibili dagli interpreti che li “tengono in vita”. - I segni che compongono i codici sono plurisituazionali, hanno cioè lo stesso senso anche in situazioni e contesti diversi rendendoci così possibile comprenderci reciprocamente in diverse circostanze. Alcuni codici però chiaramente sono legati ad un contesto specifico, mentre altri sono più universalistici. (Es. alfabeto fonetico IPA universalistico al massimo, questo spiega il suo successo legato a segni non vincolati ad una specifica cultura di riferimento, Walter Ong) - I codici sono sistemi di segni che combinati ed interconnessi secondo determinate regole generano sensi e formano una varietà di processi segnici complessi. - Il codice è inoltre normativo e costrittivo, non si può cioè usare se non sottostando ai vincoli ed agli obblighi che chi li utilizza deve conoscere e competentemente adoperare. Riassumendo, per Morris un codice linguistico è un sistema di comunsegni plurisituazionali, le cui combinazioni sono limitate, dotato di forza normativa per i suoi interpreti. 11 Commutazione per Morris: comunicando passiamo da un codice all’altro e gestiamo più codici per arricchire la comunicazione, che però più è arricchita più può essere fraintesa. 1.5 CANALI E MEDIA Il canale è un mezzo fisico-ambientale che consente il contatto tra i soggetti agenti e rende possibile la trasmissione dei messaggi. Comprende il mezzo fisico nel quale siamo immersi ed i canali che abbiamo per costituzione fisica, cioè il nostro sistema sensoriale. Il sistema sensoriale La nostra comunicazione si articola attraverso i canali sensoriali: vocale-uditivo, visivo- gestuale, tattile, olfattivo, gustativo. Chiaramente le funzioni di primaria importanza a livello comunicativo vengono svolte dai canali vocale-uditivo e visivo-gestuale. - Canale vocale-uditivo: emissione e ricezione di suoni tramite il sistema sensoriale bocca-orecchio. E’ il canale della comunicazione verbale e della paralinguistica, cioè volume, tono, enfasi, ecc. - Canale visivo-gestuale: come apparato ricevente ha il senso della vista e come emittente il corpo in generale. E’ il canale della comunicazione cinesica, il linguaggio del corpo. Gli altri sensi, seppur rappresentino canali fondamentali per molti animali, hanno significato comunicativo depotenziato per noi, ma lo mantengono. Ad esempio l’olfatto ci permette di ricevere informazioni circa la cultura, i riti, la pulizia degli altri individui ecc. Anche il gusto ha importanti significati comunicativi, basti pensare al legame tra alimentazione e cultura, ed i significati che assume il mangiare assieme per le comunità. Il ruolo comunicativo del canale tattile è invece oggetto di sempre numerosi studi, che ne evidenziano il carattere fondamentale specialmente nella crescita del bambino, ed anche ad individuo più cresciuto ha forte importanza il contatto fisico, che costituisce un sistema di segni comunicativi con specifici significati studiati dall’aptica. Dal sistema tattile e da quello visivo-gestuale dipendono l’orientazione, con cui ci collochiamo nello spazio e la prossemica, l’interpretazione delle distanze interpersonali in funzione comunicativa. I nostri sistemi sensoriali però, non operano separatamente o uno alla volta, bensì tutti insieme. Infatti noi esseri umani siamo: “esseri comunicativi complessi e multimediali, che comunicano usando una pluralità di canali sensoriali e i relativi codici nello stesso momento.” Il concetto di multimedialità quindi si applica alla nostra costituzione biologica prima che alle tecnologie comunicative, che abbiamo sviluppato sulla stregua del nostro essere multimediali a livello del sistema sensoriale e percettivo. Questa pluralità di canali e forme espressive contemporaneamente funzionanti spiega la complessità, la ricchezza e la problematicità della comunicazione faccia a faccia. Le tecnologie comunicative L’uomo però, volendo superare i propri limiti sensoriali, ha costruito sempre nuove tecnologie comunicative. Secondo Innis, Ong e McLuhan, nell’invenzione di sempre nuove tecnologie comunicative sono rintracciabili le tappe dello sviluppo della civilizzazione umana. 12 Thompson: le tecnologie e i media comunicativi potenziano la nostra capacità di comunicare secondo tre direzioni. - Fissazione: Il mezzo tecnico consente un certo grado di fissazione delle forme simboliche, permettendo la conservazione in mezzi che hanno diversi gradi di resistenza nel tempo. Le funzioni di immagazzinamento e stoccaggio delle informazioni che le tecnologie hanno superano di gran lunga la capacità di fissazione di una conversazione faccia a faccia operata dal nostro cervello, che infatti dipende dalla nostra memoria, dalle emozioni che stavamo provando, ecc... - Riproduzione: La riproduzione è la capacità di un mezzo tecnico di consentire la produzione di più copie di una forma simbolica. In questo senso la stampa ha rappresentato lo sviluppo decisivo, in quanto la possibilità di riproduzione tramite la pergamena e la carta era limitata all’azione umana, ma solo per le forme simboliche delle parole. Per quanto riguarda l’audiovisivo, a partire da litografia, fotografia, grammofono, registratore e via così, hanno permesso di fissare con mezzi tecnici che ne rendono possibile la riproduzione. - Distanziamento spazio-temporale: Ogni processo di scambio simbolico comporta la separazione della forma simbolica dal contesto della sua produzione. Grazie ai mezzi tecnici è possibile comunicare attraverso lo spazio ed il tempo, agire ed interagire a distanza, intervenire ed influenzare il corso degli eventi che accadono in luoghi lontani. Attraverso il progresso tecnologico si assiste ad un’evoluzione in direzione della così detta “presenza sociale” dei media, la possibilità dei media di ricreare condizioni di scambio sempre più realistiche. 1.6 SCOPI E NORME Le relazioni comunicative sono sempre guidate da scopi e regolate da norme. Per Hymes, Brown, Fraser, le tre categorie di componenti fondamentali della situazione comunicativa sono: partecipanti, ambiente e scopo. La condivisione o meno degli scopi e l’osservanza o meno delle norme, regolano l’unione o la separazione, l’avvicinamento o il distanziamento, il consenso o il conflitto tra soggetti agenti. Scopi: convergenze e conflitti. Ogni situazione comunicativa presenta degli scopi più o meno espressi, che si trovano in rapporto con tutti gli altri elementi della struttura della relazione comunicativa. Sono strettamente legati alla cultura di riferimento e a determinati valori, influenzano gli argomenti della comunicazione ed il tipo di linguaggio ed espressività. Possiamo distinguere tra scopi generali della relazione (ad esempio quella che si realizza in una classe scolastica), e gli scopi perseguiti dai singoli soggetti agenti. Hymes li definisce rispettivamente scopi-risultati che coinvolgono tutta la comunità dei parlanti coinvolti, e scopi-fini che riguarda solo gli scopi particolari di chi parla. Le relazioni tra gli scopi dei singoli soggetti agenti possono essere: - Scopi comuni: Un gruppo di cacciatori collabora nella ricerca di una preda; - Scopi complementari: due facce di una relazione, es. comprare-vendere, insegnare-apprendere o comunicazione di massa, dove c’è chi trasmette e chi vuole ricevere; 15 Questa prima prospettiva dirige la propria attenzione sui processi attraverso i quali i soggetti agenti “traducono” i pensieri in parole e gesti. I concetti più importanti in questo contesto sono quelli di codifica-decodifica e di commutazione di codice. Il processo di codifica-decodifica è stato individuato originariamente nella teoria matematica della comunicazione di Shannon e Weaver, dove indica la trasformazione (codifica) di un elemento fisico percepibile (suono della voce) in un altro elemento fisico (segnali elettrici) che ne consente la trasmissione attraverso un canale artificiale (linea telefonica) per essere nuovamente convertito (decodifica) nella sua forma originaria (suoni percepibili dall’orecchio umano). In questo senso, una comunicazione “riuscita” è quella che presenta la maggiore corrispondenza possibile tra l’operazione di codifica e quella di decodifica, condizione che si ottiene eliminando o limitando in massimo grado rumori e interferenze fisiche. Una visione più adeguata dei processi di codifica e decodifica riferiti alla comunicazione umana e sociale è emersa, come abbiamo visto, negli schemi della comunicazione di Schramm e nel modello linguistico di Jakobson. In questo contesto concettuale la codifica indica il processo per cui uno stato mentale, un contenuto psichico o un vissuto di un soggetto viene tradotto in parole, gesti, suoni, cioè in segni esterni percepibili dai suoi interlocutori. In questo modo ciò che è originariamente racchiuso nella “scatola nera” della mente individuale, acquisisce una dimensione pubblica e oggettiva. La codifica può avvenire attraverso segni verbali o non verbali. La decodifica è il processo inverso, che avviene nel ricevente, cioè la traduzione di un segno esterno, se ad esempio io sento la parola “albero” questo suono evoca nella mia mente un certo oggetto mentale con un tronco, delle radici, dei rami e delle foglie. Questi processi di codifica e decodifica chiamano in causa le funzioni della memoria, quando intendiamo dire qualcosa o comunicare attraverso determinati gesti significativi, estraiamo dalla nostra memoria a lungo termine la parola o il gesto appropriato al nostro scopo, quando invece dobbiamo decodificare ciò che l’altro ha detto o fatto andiamo a reperire nella nostra memoria i significati corrispondenti a quelle parole o gesti. I processi di codifica-decodifica però non sono mai perfettamente simmetrici, non abbiamo mai una “traduzione” completa, ma solo un certo grado di approssimazione. Il maggiore o minore grado di “corrispondenza” tra i processi di codifica e decodifica dipende da due fattori: le caratteristiche dei codici utilizzati e la conoscenza. Per quanto riguardo il primo caso, quanto più il codice è semplice tanto più è facile che ci sia una elevata corrispondenza tra i significati percepiti dai riceventi. Il secondo caso invece, dipende dalla ricchezza del repertorio linguistico e dalla capacità di scegliere le parole e connetterle in frasi dotate di senso. Possono esserci casi in cui vi è una mancata corrispondenza ed errori di decodifica, Eco e Fabbri hanno infatti proposto diversi tipologie di decodifiche sbagliate, non riuscite: 1. Quando il messaggio risulta incomprensibile per totale assenza di codice: ad esempio quando una persona che parla una lingua o si serve di gesti a noi sconosciuti 2. Quando l’incomprensione è dovuta alla disparità di codici tra emittente e ricevente: il codice usato dall’emittente non è ben conosciuto dal ricevente o assume un significato diverso nel contesto in cui è usato 16 3. Quando l’incomprensione è dovuta a interferenze circostanziali: il ricevente possiede il codice e comprende cosa l’emittente intenda dire, ma interpreta il messaggio secondo il proprio sistema di aspettative 4. Quando il ricevente rifiuta il messaggio per delegittimazione dell’emittente: anche in questo caso il ricevente comprende il messaggio e ciò che l’emittente intende dire, ma lo rifiuta perché rifiuta di prestare credito all’emittente, viene in altre parole rifiutato colui che lo ha prodotto. Tendenzialmente la disparità nei processi di codifica e decodifica non deriva tanto dall’utilizzo e dalla conoscenza dei codici. Infatti i partecipanti spesso capiscono le reciproche intenzioni ed il contenuto del messaggio, ma comunque non si intendono. Commutazione di codice (code switching) E’ un altro importante meccanismo di funzionamento e di uso dei codici, indica il rapido passaggio dai codici ai canali, tale passaggio può avvenire tra codici dello stesso genere come nel caso di diverse varietà linguistiche, ma anche tra codici di natura diversa, ad esempio codici verbali e non verbali. Le ragioni di queste commutazioni sono diverse, possono essere utilizzate per questioni di maggiore chiarezza o per supplire ad un deficit di comunicazione, se ad esempio, non riesco a farmi capire da un interlocutore usando la lingua italiana, posso accompagnare o far seguire ad una espressione verbale un gesto che renda più comprensibile la mia informazione o intenzione. Infine la commutazione di codice può essere adeguata in base alle diverse situazioni, cioè a contesti pubblici e formali oppure a contesti informali e quotidiani. Nelle situazioni formali sarà richiesto l’uso della lingua standard o forma “alta” di linguaggio, mentre in situazioni informali si preferirà esprimersi in dialetto o in una forma “bassa” e quotidiana. L’attività interpretativa Le azioni di codifica e decodifica sono strettamente legate a processi di produzione, interpretazione e rielaborazione di significati. I significati presentano due caratteristiche fondamentali: -sociali e culturali- nel senso che l’essere umano è impigliato in una rete di significati precostituiti e intersoggettivi che egli contribuisce a ritessere negli scambi comunicativi quotidiani con i suoi simili -individuali e soggettivi- nel senso che emergono da una personale elaborazione nella quale sono coinvolti molteplici aspetti legati alla personalità, alla biografia e alle esperienze dei singoli soggetti. Schemi, copioni, enciclopedie Noi pensiamo per concetti o categorie. I concetti ci permettono di mettere in ordine i segnali provenienti dall’ambiente e di economizzare energie psichiche. Gli psicologi identificano due tipi di concetti che si depositano nella nostra memoria semantica, gli schemi e i copioni. -Schemi: sono i concetti che si riferiscono ad elementi singoli più semplici. Possono riferirsi ad oggetti concreti (sedia,tazza,frutta) ma anche a concetti astratti (i comportamenti e le caratteristiche di una persona). 17 -Copioni: sono invece rappresentazioni concettuali di eventi e relazioni sociali quali conversare con gli amici, cercare un lavoro, sposarsi, danzare o rapinare qualcuno. Schemi e copioni si acquisiscono nel tempo grazie ad una serie di singoli atti di conoscenza ripetuti. Ciò può avvenire attraverso l’esperienza, il racconto di altri, le nozioni e le conoscenza imparate a scuola, sui libri, sui giornali ecc… Schemi e copioni, infine, non sono concetti isolati, ma sono collegati tra loro e costituiscono un repertorio ampio e organizzato dal quale traiamo i concetti e le categorie che usiamo per catalogare e interpretare la realtà e per comunicare. E’ il nostro lessico mentale o, più esattamente, la nostra enciclopedia mentale . Le enciclopedie delle diverse persone presentano tratti comuni e aspetti specifici. ● L’aspetto specifico è legato alla diversità di esperienze, istruzione, biografie, che caratterizzano le singole persone. ● I tratti comuni dipendono invece dal fatto che la società e la cultura nella quale viviamo influenzano sia la definizione delle varie “voci” dell’enciclopedia, sia la loro importanza e centralità Il significato come scoperta e come creazione 2.2 (da leggere) Frame e situazioni sociali I frame sono cornici interpretative che la società e la cultura ci mettono a disposizione per comprendere gli eventi e il loro significato. In sociologia questo concetto è stato acquisito attraverso il lavoro di Bateson e di Schutz, che ha trovato la sua applicazione nella frame analysis di Goffman, il quale afferma: “i frame sono le strutture basilari della comprensione all’interno della nostra società, che danno un senso agli eventi od ai principi di organizzazione che governano gli eventi” La nostra esperienza della realtà e l’interazione con gli altri avvengono sempre sulla base di una “definizione della situazione” e grazie a queste riusciamo a distinguere una situazione seria da una giocosa, una formale da una informale e via dicendo. I frame sono quindi dei fattori di ordine poiché, stabiliscono la “cornice” di una situazione, orientano la comprensione degli eventi. Goffman parla anche di “messa in chiave” (keying) cioè quando i partecipanti all’interazione sono consapevoli di essere passati ad un nuovo frame, ossia, un’altra definizione della situazione diversa da quella originaria. Precomprensioni e pregiudizi La rappresentazione che io ho dell’altro può oscillare tra due poli, quello dell’individuazione e quello della tipizzazione. L’individuazione è quel processo per cui percepiamo l’altro nella sua unicità fisica, di personalità e di comportamento; si riferisce a coloro che conosciamo per nome e che fanno parte della nostra “cerchia interna”. La tipizzazione invece, è quel processo per cui identifichiamo l’altro come appartenente ad un gruppo o categoria sociale. Quando incontriamo per la prima volta un’altra persona immediatamente tendiamo a “catalogarla” in base a una serie di parametri, quali il genere, l’età, l’etnia e le principali caratteristiche fisiche. La tendenza a identificare l’altro attraverso categorie e tipi generali viene evidenziata ancor di 20 Gli studi di sociologia, psicologia, linguistica ecc.. hanno individuato quattro aspetti principali in cui si realizza questa relazione fiduciaria. Il primo riguarda le pre-condizioni fiduciarie della relazione comunicativa che fanno sì che la comunicazione possa aver luogo. Un secondo aspetto riguarda la comprensione reciproca, che riguarda le modalità di costruzione del messaggio. Un terzo aspetto riguarda le misure che i soggetti mettono in atto per preservare e salvare la relazione evitando per quanto possibile divergenze e conflitti. Infine le comprensioni di cooperazione paradossale tra nemici o rivali, quando ciò serva a produrre un vantaggio reciproco. La fiducia come precondizione L’atto stesso di parlare e di ascoltare, di rivolgersi verso qualcuno per chiedergli o prestargli attenzione, contiene già la presupposizione che l’altro sia capace di parlare sensatamente e di dire il vero, si crea una pre-condizione, se così non fosse la comunicazione non potrebbe avere luogo. Questa apertura è stata definita “principio di carità” o principio di “benevolenza interpretativa”, essa è l’accordo portante su cui si regge la relazione comunicativa. Anche il fraintendimento o la menzogna sono necessariamente preceduti da qualcosa che assomiglia a un “accordo” che ne è il supporto, cioè la presunzione che l’altro afferma. In ambito sociologico questo problema è stato affrontato dalla teoria dell’agire comunicativo di Habermas, egli afferma che il fatto che l’atto stesso del parlare rivolto a qualcun altro implichi già di per se stesso una pretesa di verità e quindi di una possibile intesa ed un consenso. Al tempo stesso, sulla base di questa concezione dell’agire comunicativo orientato alla comprensione e all’intesa, Habermas costruisce la sua critica ai “media di controllo” (denaro e potere) che regolano la comunicazione nei sistemi economici e politici e con il loro sviluppo minacciano la stessa costituzione comunicativa dei mondi della vita, e producono effetti gravemente patologici sul tessuto relazionale e comunicativo della società nel suo insieme. Un altro autore vicino a queste idee è sicuramente Goffman, il quale afferma la teoria della fiducia implicita nella relazione comunicativa. Quando un attore sociale mette in scena un determinato personaggio, cioè una immagine di sé davanti a un pubblico, egli avanza una pretesa morale: quella di essere creduto. E a tale pretesa corrisponde l’aspettativa del pubblico circa l’autenticità e la sincerità della sua rappresentazione. In tal senso il fondamento della relazione comunicativa è il collante della società, è la fiducia reciproca nel fatto che l’altro sia come appare, sia quel che dice e mostra di essere. Questa fiducia nelle “apparenze” e nella sincerità della rappresentazione dell’altro è la base dell’ordine sociale. Collaborare per comprendere Il filosofo inglese Paul Grice si è chiesto quali requisiti debbano essere soddisfatti nella costruzione di un messaggio, affinché coloro che comunicano manifestino le proprie intenzioni comunicative, realizzando le migliori condizioni per comprendersi. Per rispondere a questa domanda egli ha formulato un principio generale, detto “principio di cooperazione”. Il principio di cooperazione, formulato da Grice, implica che i soggetti condividano un comune scopo comunicativo e si sentano, ognuno per la propria parte, impegnati a rispondere a ciò 21 che gli altri si attendono da loro nella specifica situazione o contesto in cui interagiscono. Grice ha identificato una serie di condizioni specifiche, definite “massime conversazionali” rivolte a perseguire tale scopo comunicativo comune. Queste massime, costruite sulle categorie di Kant della quantità, della qualità, della relazione e del modo, riguardano la completezza dell’informazione, la sua veridicità, la pertinenza e la chiarezza. ● La prima regola riguarda la completezza dell’informazione e si riferisce alla quantità di informazione per garantire una adeguata comprensione, essa chiede che l’emittente non fornisca una quantità di informazione inferiore a quella necessaria ai fini dello scambio comunicativo in atto, ma neppure una comunicazione superflua e inutile. ● La seconda regola riguarda invece la qualità delle informazioni cioè la loro veridicità e si declina in due regole specifiche: “non dire ciò che ritieni falso” e “non dire ciò per cui non hai prove adeguate”. Queste massime vengono contraddette in tutte le situazioni in cui l’emittente comunica consapevolmente una conoscenza falsa o fa affermazioni per le quali non ha una fondata certezza. Grice osserva che la massima della qualità viene considerata dai parlanti come la più importante e quindi più grave è la sua violazione. Tale violazione viene percepita infatti come un’offesa morale, mentre la violazione delle altre è percepita solo come indice di incompetenza comunicativa. ● La terza regola attiene alla relazione. Essa richiede, di individuare ciò che è rilevante nella conversazione, di “stare al tema” senza divagare e introdurre elementi fuorvianti. ● L’ultima regola riguarda il modo in cui il contenuto della comunicazione viene espresso. Essa si riferisce alla chiarezza e alla precisione di ciò che viene comunicato e si declina in una serie di raccomandazioni, queste regole riguardano ad esempio l’ordine dell’esposizione, la precisione del racconto, un linguaggio adeguato all’oggetto di conversazione. Queste regole sono violate spesso in molti modi: possono essere violate apertamente o ignorate, possono anche entrare in conflitto tra loro, cosicché il parlante dovrà sceglierne una sacrificando l’altra. Tuttavia tali regole possono variare anche notevolmente da cultura a cultura cosicché possono crearsi incomprensioni e malintesi quando si incontrano persone che provengono da società che prevedono regole comunicative diverse. Per cortesia Se le regole conversazionali di Grice riguardano essenzialmente il contenuto informativo della comunicazione, vi sono altre condizioni che riguardano invece le relazioni tra coloro che comunicano e le aspettative sociali su ciò che ci si può attendere dagli altri. Si tratta delle 22 “regole di cortesia” finalizzate a mantenere una buona relazione con gli altri nei diversi ambiti di relazione, da quelli informali e quotidiani a quelli delle relazioni formali e istituzionali. La psicolinguista Robin Lakoff ha identificato tre regole generali della cortesia: 1. Non ti imporre, non essere invadente, sii discreto e non imporre al alter il tuo punto di vista 2. Offri delle alternative, cioè lascia decidere ad alter come reagire alle tue parole 3. Metti l’interlocutore a suo agio, sii amichevole Il modello più elaborato e più usato come guida per la ricerca empirica è stato proposto da Brown e Levinson. Integrando la prospettiva di Grice con quella di Goffman, gli autori osservano che un parlante deve essere messo in grado di esprimere due caratteri fondamentali: razionalità e faccia. Il primo è la capacità di individuare i fini comunicativi di un atto intenzionale e di perseguirli scegliendo i mezzi più adeguati, il secondo è la possibilità di salvaguardare l’immagine di sé che viene proiettata nella relazione. Queste due condizioni si realizzano quando il comportamento comunicativo di un agente sociale viene approvato e non ostacolato dagli interlocutori. Brown e Levinson identificano 4 massime generali della cortesia: 1. La cortesia esplicita: antepone la chiarezza, la franchezza e la sincerità al destinatario, in modo che egli potrà cogliere tale messaggio 2. La cortesia positiva: si lega a tutti gli atti con cui l’emittente mostra di apprezzare e condividere quanto si riferisce al destinatario, esprimendo simpatia e accordo. 3. La cortesia negativa: viene impiegata per compensare possibili atti che minaccino il riconoscimento e il rispetto della libertà di azione e decisione del destinatario, scusandosi. 4. La cortesia implicita: è quella che conduce a costruire i messaggi in modo tale da lasciare all’interlocutore la possibilità di interpretarli in modi diversi così da offrire vie di uscita sia nell'emittente sia al destinatario stesso attraverso indizi, attenuazioni, accentuazioni Il paradosso della comunicazione conflittuale Può esistere una cooperazione comunicativa tra avversari o nemici? Essa può avvenire quando entrambi (rivali o nemici) possono trarre vantaggi e benefici dal mantenere viva la comunicazione. Un esempio di questa cooperazione comunicativa è lo stotting. Quando un predatore si avvicina, la gazzella che lo ha scorto inizia a saltare in verticale su quattro zampe, non sembra che si tratti di un segnale d’allarme per le gazzelle, ma di una comunicazione rivolta al predatore quando è ancora a distanza di sicurezza. Con questi vigorosi e agili salti la gazzella comunica al predatore di essere nel pieno delle forze e di rappresentare una difficile preda. Perdendo tempo, sprecando energie invece di iniziare subito la fuga, la gazzella gli mostra di essere in grado di sfuggirgli. E nelle relazioni comunicative umane? 25 In campo antropologico e linguistico questo problema è stato analizzato da due studiosi che hanno cercato di porsi tra queste due posizioni. Ipotesi Sapir-Worf: Risulta evidente come il linguaggio sia strettamente legato alla capacità umana di simbolizzazione e concettualizzazione universalmente condivisi, ma qual è l’influenza che la lingua parlata da un determinato gruppo ha sulla visione del mondo dei suoi membri? A differenze linguistiche corrispondono differenze di pensiero? Questi studiosi hanno risposto studiando le lingue dei nativi americani, e la loro posizione è sostanzialmente affermativa. A sostegno di ciò vengono portati tre tipi di fatti linguistici: - Diverse culture presentano un diverso numero di termini per indicare lo stesso oggetto. Es. greci hanno molti vocaboli per descrivere l’amore e uno solo per descrivere l’assassinio, mentre i romani il contrario. - Vengono utilizzati diversi termini per descrivere i colori ed è diversa la concezione che diverse lingue hanno dello spettro cromatico. - Dallo studio della lingua Hopi emerge come non ci fosse un modo linguistico per definire e distinguere il concetto di tempo nell’articolazione passato, presente e futuro. Ne deriva che quindi questa popolazione avesse una concezione di tempo diversa da quella degli occidentali. Sapir dice come il linguaggio non sia solo un mezzo per comunicare l’esperienza, ma anche un modo per definirla. Whorf invece afferma che possiamo arrivare a determinati concetti, organizzandoli e sezionando la natura, sulla base di un sistema linguistico di sfondo condiviso da tutti (langue, saussure) che accettiamo con un accordo implicito, che ha però termini tassativi: non possiamo parlare se non accettiamo l’organizzazione e la classificazione dei dati che questo accordo stipula. Il sistema linguistico di sfondo è la grammatica, ed è uno strumento di riproduzione per esprimere idee, dà forma alle idee, è il programma e guida dell’attività mentale dell’individuo, dell’analisi delle sue impressioni e della sintesi degli oggetti mentali di cui si occupa. Ciò ha due implicazioni: determinismo linguistico e relativismo linguistico. Determinismo: le caratteristiche determinano in modo assoluto la rappresentazione del mondo dei parlanti. Relativismo: se una lingua crea un mondo mentale diverso da ogni altra cultura, queste lingue e le relative rappresentazioni del mondo sono talmente diverse da risultare incommensurabili e intraducibili. Questa teoria è stata largamente ridimensionata dagli studi successivi di neurofisiologia e da successive ricerche in campo antropologico e linguistico. Steven Pinker osserva che questa teoria non è plausibile in quanto al tempo non si avevano adeguate conoscenze sul pensiero e su come studiarlo, ed inoltre si basa su metodi di ricerca approssimativi e inclini a forzature. Berlin e Kay conducono uno studio comparativo su 150 lingue e lo spettro dei colori, definendo il mondo dei colori non come un continuum indifferenziato, che può essere ritagliato in vari modi arbitrari, ma si basa su uno spettro di undici colori base (bianco, nero, rosso, verde, giallo, blu, marrone, viola, rosa, arancione e grigio) per cui se una lingua ha solo due termini per esprimere i colori sono bianco e nero, se sono tre, bianco nero e rosso e così via fino ad undici ed oltre. Eleanor Rosch inoltre afferma, a partire da studi sui Dani della Nuova Guinea, che il modo in cui vediamo i colori ne determina il modo in cui ne impariamo i nomi e non viceversa. 26 In conclusione questi studi dimostrano come la teoria di Sapir e Whorf possa essere accettata solo nella sua versione debole, i cui aspetti principali sono: - La lingua è legata alla cultura e ne costituisce una parte essenziale. I popoli non impiegano allo stesso modo ed in egual misura il linguaggio, alcuni ci si concentrano più di altri, ed il grado di profondità con cui il linguaggio condiziona cose come la visione del mondo dipende dalle differenze della posizione che il linguaggio ricopre nel sistema comunicativo. - Le parole di cui disponiamo nella nostra lingua influenzano la memoria e la categorizzazione soprattutto a mano a mano che ci allontaniamo dall’esperienza sensoriale e che impariamo termini tramite conoscenza indiretta, come nell’insegnamento scolastico che ci insegna determinati concetti astratti tramite termini specialistici con cui vengono designati e descritti. - Tullio de Mauro osserva che gli stessi concetti possono essere espressi in tutte le lingue, Hymes precisa che “ogni lingua è uno strumento plasmato dalla sua storia e dal suo uso”; infatti seppur ogni lingua abbia un potenziale uguale, la sua effettiva potenzialità si definisce con l’uso nella vita quotidiana. Inoltre i mezzi condizionano i significati. Questo è alla base della teoria di McLuhan che dice “il medium è il messaggio”, e ha esteso l’ipotesi S-W alle tecnologie di comunicazione. - La ricchezza e la specificazione lessicale di un particolare campo di esperienza, che definisce il campo semantico, sono legate all’esperienza di uno specifico individuo o gruppo sociale. Ad esempio un cittadino avrà uno spettro di termini per definire l’albero ridotto rispetto a quello di un botanico. Questo vale per ogni categoria della conoscenza. Non bisogna però pensare che sia il linguaggio a definire l’esperienza, e che conosco pochi termini di un campo semantico perché posso fare esperienza solo di essi. Bensì è l’esperienza in generale che determina il linguaggio; il particolare rapporto di alcuni con l’ambiente o un determinato dominio di realtà può necessitare una ricchezza e specificità di lessico diversa. - Le teorie della traduzione mostrano come ci sia un limite nel tradurre le lingue da una all’altra, infatti non c’è corrispondenza punto a punto tra tutte le parole e strutture sintattiche di lingue diverse ed infatti la traduzione letterale comporta sempre una resa “deformata” della versione in lingua originale. C’è sempre una parziale dispersione del significato, in particolar modo nella traduzione di testi con concetti astratti e complessi. 1.4. Realtà e media Le teorie sulla natura ed il ruolo dei mass media si basano su assunti di base, presupposti, relativi al rapporto tra i media e la realtà. Anche in questo caso le teorie si possono collocare tra realismo gnoseologico ed idealismo. Le teorie che si collocano in continuità con quella del realismo gnoseologico, rispondono al concetto di doppia realtà. La prima realtà di questo modello è quella della vita quotidiana, delle interazioni faccia a faccia, dei rapporti sociali e di potere, ed è concepita come la realtà primaria in cui la persona è ecologicamente e socialmente integrata. La realtà dei media invece è secondaria, e riflette, o per lo meno dovrebbe riflettere il mondo reale come suo referente. Le scuole di pensiero che accettano la concezione di doppia realtà sono molte, in quanto questo modello attraversa tutta la storia della ricerca sulla comunicazione di massa. La doppia realtà è alla base : - del concetto di “pseudo-ambiente” descritto da Lippmann ne “L’opinione Pubblica” del 1922; 27 - del concetto di “paradigma dominante” della ricerca sulla comunicazione di massa di Lazarsfeld e dai colleghi della Bureau of Applied Social Research della Columbia University; - del concetto di “paradigma critico” della Scuola di Francoforte; - del concetto della “teoria della coltivazione” o “spirale del silenzio” dei più importanti orientamenti della ricerca attuale. La seconda visione si colloca in continuità con l’idealismo kantiano. Definisce la realtà come non immediatamente data, non accessibile all’uomo indipendentemente dal linguaggio e dalle forme simboliche e comunicative con cui la rappresentiamo. I mass media sono considerati estensioni del linguaggio, che non sono semplicemente mezzi per trasmettere informazioni e idee, ma nel trasmettere informazioni e intrattenere il pubblico, trasformano e interpretano la realtà. Essi contribuiscono a dare forma alla nostra esperienza. La svolta nella visione del rapporto media-realtà è preparata da due rotture: - La prima è costituita dall’opera di McLuhan, che estende l’ipotesi Sapir-Whorf all’analisi dei media, insistendo sull’idea centrale che l’ambiente sociale si costruisce intorno ai media, poichè essi plasmano le strutture percettive e cognitive con cui l’uomo vede il mondo ed agisce in esso. I nuovi media quindi non sono nuovi modi per riportarci al vecchio mondo reale, bensì sono essi stessi il mondo reale, rimodellano radicalmente la cultura e la società. - La seconda riguarda il paradigma struttural-funzionalista e quello conflittuale della teoria sociologica generale. Questi paradigmi condividono il concetto che ci sia un ordine sociale che va scoperto e analizzato. Differiscono nella definizione delle caratteristiche di quell’ordine: per gli SF l’ordine è immanente ed alimentato dall’adesione degli individui ai valori della società; per i conflittualisti, è un ordine dialettico, da realizzarsi superando le contraddizioni della situazione presente. I mass media apparivano così veicoli o ostacoli a seconda che favorissero o impedissero l’adesione degli individui a quest ordine ideale. Dalla fine degli anni sessanta si sono affermati nuovi paradigmi sociologici accomunati dall’idea che la realtà sociale è costituita da, e attraverso, i processi comunicativi. Supportano questo paradigma l’interazionismo simbolico, la fenomenologia, l’etnometodologia, la teoria della costruzione sociale della realtà e la concezione di Luhmann. Quindi la comunicazione a tutti i livelli non è un solo aspetto o una dimensione del sociale ma il suo stesso fondamento e sostanza. Muta così anche la visione della natura e delle funzioni dei mass media, da mezzi e canali per trasmettere informazioni, diventano frame, prospettive, codici, ambienti che organizzano, e non solo rappresentano, la realtà. Media come “definers of social reality”, e questo nuovo concetto ha trovato diverse direzioni di sviluppo: le più importanti sono l’analisi del newsmaking, e le diverse teorie sui media come linguaggi e forme culturali sviluppate soprattutto nell’ambito dei cultural studies e della socio-semiotica. 2. Creare e mantenere relazioni sociali La comunicazione consente di creare, mantenere e rafforzare le relazioni sociali e il reciproco riconoscimento tra i soggetti. Da questo punto di vista la comunicazione è collegata alla socievolezza di Simmel, quella sorta di “istinto” per cui gli uomini hanno bisogno di essere in relazione con gli altri, in qualunque forma possibile. “ Il fatto che gli uomini si riuniscano in gruppi [...] è sicuramente il risultato di necessità e interessi specifici. 30 2) Il secondo tipo è costituito da quegli atti che tendono a dirigere il comportamento di altri, ordini, richieste, ma anche suppliche, consigli, avvertimenti, minacce, ecc. 3.3. Fare con le parole Un’altro tipo di atto comunicativo avviene con la produzione di un evento che modifica la realtà. Dire “io ti prendo come mia moglie”, o “ti battezzo”, nominare qualcuno suo successore o erede, conferire un titolo accademico, sono tutti atti comunicativi che cambiano oggettivamente lo status e le condizioni di vita della persona. Lo status che hai ottenuto determina le tue future espressioni. 4. Presentazione dell’io ed esigenza di riconoscimento La quarta fondamentale funzione della comunicazione è quella legata all’identità. Comunicando rendiamo noto agli altri chi siamo ed esprimiamo la nostra identità; identità che, durante la comunicazione, si forma, conferma e modifica. Essa contiene non solo gli aspetti individuali, ma anche i tratti collegati alla posizione e ruolo sociale: l’identità comprende infatti, sia una dimensione individuale sia una dimensione sociale. 4.1. l’identità una chiave sociologica Esistono due grandi modelli di definizione dell’identità: - Taylor, identità a struttura verticale, composta da una pluralità di strati, che vanno da quelli più immediati e spontanei, a quelli maggiormente condizionati e costruiti socialmente (Es. Freud, Es, Io e Super-io; Mead, Io, Me,Se). Egli osserva che la nostra identità è composta da tre elementi fondamentali ed è il prodotto della loro relazione: 1) L’io interiore, il senso irriducibile del proprio io, dei propri vissuti unici ed autentici, della propria storia personale. In pratica il luogo della “conversazione interiore” non riconducibile ad alcuna collocazione sociale. 2) L’identità dialogica, che si è formata e continua a formarsi nell’interazione con gli altri, gli altri “importanti” (famiglia, relazioni significative), insomma quelli che più “contano” per noi. 3) Infine, l’identità che deriva dall’appartenenza e dallo status sociale, dalla nostra collocazione all’interno della società e dai ruoli che ricopriamo. - Goffman (approccio drammaturgico), identità a struttura orizzontale, con una pluralità di selves, cioè diverse espressioni identitarie circostanziali. L’identità per Goffman non è un’espressione di una irriducibilità e di un nucleo stabile identitario, bensì un effetto drammaturgico, che emerge da una scena che viene presentata. In altre parole l’io sociale non è una causa di ciò che accade sulla scena, ma è un prodotto che dipende dalla scena e dalle aspettative attribuite a quel personaggio o ruolo. L’identità è quindi sempre e solo identità “sociale” che ci viene attribuita nel momento in cui assumiamo un determinato ruolo, mentre, l’identità “personale” rimane inattingibile. - Margaret Archer, tenta di superare questi due modelli proponendo una composizione e distinzione di essi. Fa una distinzione tra Io, Me, Noi e Tu. Donati li ripropone nella sua rivisitazione operata dalla sua sociologia relazionale: 31 Io: l’individuo quando nasce è un soggetto potenziale. Riceve delle attribuzioni (viene chiamato con un nome, etichettato con certi appellativi ecc..) che rappresentano il suo io, in queste interazioni diventa “agente primario”. Noi: mentre fa esperienza dell’io, scopre la sua appartenenza ad un'identità collettiva, rendendosi conto che fa parte di una specifica famiglia piuttosto che di un’altra, scoprendo di abitare in una specifica zona o città diversa dalle altre, di parlare una lingua specifica eccetera. In questo si forma il suo senso del noi, il soggetto assume dei ruoli, diventa cioè attore. Tu: l’individuo deve assumere determinati compiti nella società, è un ruolo che sta sempre davanti il concetto dell’io, il quale diventa attore, in quanto confronta la realtà data con quella che “deve essere”. Queste diverse concezioni dell’identità indicano il rapporto costitutivo tra comunicazione e identità: - L’identità non è monologica ma dialogica, cioè essa non si forma solo dentro di noi ma è in fieri ed è continuamente definita nella comunicazione, nel confronto e nello scontro con gli altri, nel modo in cui si rivolgono a noi confermando o mettendo in discussione la nostra identità personale e sociale. - L’identità può essere confermata o messa in discussione nelle relazioni comunicative. Parliamo in questo senso di “ricezione selettiva” (il bias della psicologia) che fa sì che noi riteniamo come valide prevalentemente le fonti ed i messaggi relativi alle nostre opinioni e credenze personali. Hovland, Lazarsfeld e Festinger hanno evidenziato come preferiamo esporci a pareri come il nostro per evitare disorientamento o dissonanza cognitiva. - Comunicare significa sempre protendersi verso l’altro, ed anche esporsi mettendo a rischio la propria identità. Il rischio cioè che l’identità non si affermi o si confermi nella relazione, ma si indebolisca con il rischio di perdere la coscienza di “chi è”, come nei casi di plagio, o come espresso da Goffman, nella possibilità che sussista una manipolazione reciproca, che comunque nelle società attuali il potere di manipolazione tende a polarizzarsi come denunciato da molti studi critici sui mass media fatti dalla Scuola di Francoforte ai Cultural Studies. Chi parla di chi Elias, afferma in relazione alla frase “Quando Paolo parla di Pietro, ci racconta più cose su Paolo che su Pietro”, che quando Paolo parla di Pietro fornisce anche qualcosa su se stesso. Questo accade indipendentemente dal contenuto della conversazione, in quanto quando parliamo diciamo sempre qualcosa su noi stessi, in pratica “presentiamo” sempre noi stessi. In ogni atto comunicativo è sempre presente il “chi sono io e come voglio essere considerato”, in quanto nella presentazione di noi stessi avanziamo sempre una richiesta di riconoscimento da parte dell’interlocutore. La presentazione di sè passa attraverso tre modalità principali: - La facciata personale: per facciata personale Goffman intende l’equipaggiamento espressivo che identifichiamo più direttamente con il soggetto agente stesso e comprende caratteri più generali come il genere, l’età, le caratteristiche etniche, la corporatura ecc. E’ importante come elemento quello dello stile comunicativo ossia, ad esempio, un tono di voce alto e sicuro, un eloquio senza pause o tentennamenti, la 32 fronte eretta e l’orientamento frontale rispetto all’interlocutore identificano una persona sicura e sincera. - I simboli dello status/ruolo: Le persone rivelano la propria identità anche sfoggiando simboli o emblemi del proprio status sociale o professionale, ad esempio come l’abbigliamento curato può essere simbolo di appartenenza ad uno strato sociale superiore; una spilla di un club prestigioso indica l’appartenenza ad esso; per un medico, un camice assume il ruolo di divisa legittimante e contrasta l’immagine di “malsanità” che spesso trasuda dal resto dell’informazione ecc. - L’ambientazione: L’ambientazione è costituita dallo scenario in cui si svolge la comunicazione, e tutti i dettagli di sfondo che possono dare informazioni circa il tipo di persona e che permettono di definire il suo status sociale. Vi sono molte situazioni in cui infatti l’ambientazione può essere costruita per dare una buona presentazione di se all’interlocutore, ed altre situazioni in cui non sempre è possibile, ad esempio in un’aula universitaria. Sulla base della presentazione di sé, le richieste o pretese di riconoscimento che il soggetto avanza possono essere accettate o meno dall’interlocutore. A questo proposito la Scuola di Palo Alto ha identificato tre modalità essenziali con cui l’interlocutore può reagire alla presentazione dell’emittente: - La conferma, l’interlocutore può accettare la definizione che un soggetto agente ha dato di sé, ed infatti la maggior parte delle comunicazioni in generale hanno questo scopo. E’ quindi per questo una funzione primaria ed essenziale della comunicazione. - Il rifiuto, è una situazione nella quale all’emittente viene sostanzialmente detto “hai torto” o “non approvo quello che fai o dici”, ma di per sé non è negativo perchè il soggetto viene pur sempre preso in considerazione, e può avere un ruolo “costruttivo” potendo spingere il soggetto alla riflessione sulle ragioni del rifiuto. - La negazione totale, che squalifica, disconferma completamente la definizione che il soggetto agente da di sé. A differenza del rifiuto, un soggetto dice all’altro “io non ti prendo nemmeno in considerazione” o peggio “tu non esisti”. Berger e Luckmann parlano a questo proposito di “strategia di annichilimento” operata nei confronti di gruppi sociali o etnici da quei movimenti che condannano alcuni elementi identificandoli come sfida ai valori dominanti. Avviene tramite l’etichettare certe minoranze come devianti, rifiutandole e definendole frutto di pazzia o immoralità. Oppure la negazione avviene tramite la damnatio memoriae, che colpiva traditori o personaggi pubblici caduti in disgrazie. Al giorno d’oggi la sua forma più tipica è l’esclusione dalle forme massificate di comunicazione come la televisione, di personaggi che in precedenza godevano di elevata visibilità. L’io plausibile In relazione a questi processi di conferma o di negazione dell’immagine dell’io, abbiamo due importanti annotazioni sociologiche. - Il consolidamento dell’identità richiede la presenza di una struttura di plausibilità o consenso. Queste strutture di plausibilità sono tutte quelle relazioni sociali e comunicative che consentono il mantenimento e la stabilità della nostra visione del mondo e del nostro senso dell’io. Esso si intende non solo nelle relazioni con gli “altri importanti”, ma anche con quelle relazioni più superficiali o occasionali, ad esempio il saluto del giornalaio al professore “buongiorno professore”, concorre a formare la struttura di plausibilità per cui ancora una volta egli viene confermato professore, 35 Se invece vediamo una persona sorridere, possiamo ritenere che abbia intenzioni amichevoli nei nostri confronti. Ma questo livello più immediato degli eventi non è l’unico possibile, accanto ad esso sono possibili altri “inquadramenti” che consentono di dare all’azione un significato diverso da quello iniziale. Bateson propone vari inquadramenti: 1) Il gioco: (ad es la boxe). Il contesto sportivo ci fa comprendere che si tratti di uno sport e non di una battaglia volta a farsi male reciprocamente; 2) La minaccia: Il pugno chiuso in gesto di minaccia è diverso dal pugno che viene sferrato per colpire. Noi dobbiamo codificare l’atto in sé, ed inquadrarlo per ciò che in realtà è; 3) L’inganno: L’atteggiamento di coloro che recitano nella vita reale, come se fossero in un film. In tutte queste situazioni noi dobbiamo essere bravi nel capire quale inquadramento metacomunicativo dobbiamo applicare nell’immediato per riuscire a decodificare l’atto comunicativo. Per poter operare occorre disporre di una serie di segnali che funzionino da segni- contesto. E’ il caso della rappresentazione teatrale, dove lo spettatore vedendo Amleto ragionare sul suicidio, non si allerta e non va ad avvisare la polizia, poiché ha ricevuto informazioni riguardo il dramma tramite locandine, annunci, disposizioni teatrali, ecc. Qualcosa di simile accade anche in televisione, Ogni programma esibisce particolari segnali per far capire allo spettatore di cosa si tratta, (sigle, costumi, linguaggi, ecc). Per es. Le Iene vengono riconosciute dal completo nero copiato dal film di Tarantino. Nei casi in cui non ci siano segnali che differenzino i contesti, si possono creare equivoci e confusioni. In conclusione è importante ricordare che le 5 principali funzioni della comunicazione possono essere presenti simultaneamente in ogni atto comunicativo. (es. Per favore un caffè. In questo atto troviamo tutte le funzioni descritte in precedenza) Comunicazione competente Abbiamo finora analizzato le diverse capacità ed abilità comunicative, e dobbiamo però definire il concetto che le comprende, ed è quello di competenza comunicativa. La competenza comunicativa è l’insieme di precondizioni, conoscenze e regole che consentono di comunicare, non è innata ma appresa, si fonda sulle nostre facoltà mentali e sulle nostre caratteristiche fisiche che ci consentono di comunicare. E’ quindi inscritta nel nostro organismo, ma per essere sviluppata deve essere stabilizzata nel corso della vita, esiste in noi come una potenzialità inscritta ma è l’esito di uno sviluppo personale e di un apprendimento sociale graduale. Nel processo di socializzazione, l’acquisizione e lo sviluppo della competenza comunicativa è un aspetto fondamentale. Competenza linguistica e comunicativa Questo dibattito sulla competenza comunicativa, deriva dallo studio di competenza linguistica (competence) e esecuzione linguistica (performance) di Chomsky. Per lo studioso, la competenza linguistica è la capacità di conoscere il significato delle parole, delle regole grammaticali, che ci permettono di comprendere e creare illimitate frasi nella 36 nostra lingua. Questa competenza ci permette anche di capire quando una frase è linguisticamente o grammaticalmente scorretta, al di là del contesto in cui ci troviamo. L’esecuzione linguistica invece è l’uso effettivo della lingua da parte dei soggetti che comunicano, cioè il modo in cui i parlanti fanno uso della competenza linguistica nei comportamenti di produzione e comprensione. Dell Hymes invece critica il concetto di competenza ed esecuzione linguistica, sostenendo che esiste una ulteriore differenziazione tra la capacità di usare le parole e le regole grammaticali per costruire frasi significative, e la capacità di usare queste frasi in modo appropriato nei diversi nel contesto. Per rivolgersi in modo appropriato infatti bisogna tener conto degli interlocutori e della situazione in cui si comunica. Se un individuo acquisisse la capacità di produrre, comprendere e valutare tutte le parole e frasi di una lingua ma non si concentrasse sul modo appropriato per rivolgersi agli altri sulla base del contesto, sarebbe una specie di “mostro sociale e culturale”. Alla competenza linguistica di Chomsky, Hymes contrappone e sostituisce dunque il concetto di competenza comunicativa, che definisce come : “la competenza riguardo a quando parlare e quando tacere, e riguardo a che cosa dire, a chi, quando, dove, in quale modo.” Il concetto di competenza comunicativa è strettamente legato a quelli di “situazione” e “contesto comunicativo”. Livelli di competenza Abbiamo diverse tipologie di competenze implicate nell’agire comunicativo, che operano in modo unitario e contemporaneamente: - competenze contenutistiche e tematiche - competenze semiotiche (linguistiche e non verbali) - competenze situazionali - competenze socio-culturali - competenze mediali Le competenze contenutistiche e tematiche riguardano il contenuto della comunicazione, ossia ciò di cui si parla. Chiama in causa l’enciclopedia mentale dei diversi individui cioè l’insieme delle nozioni, categorie e riferimenti presenti in memoria a cui essi attingono per comprendere ciò di cui si parla e intervenire in modo competente nella discussione. Per parlare con “cognizione di causa” bisogna avere: - Un certo grado di conoscenza diretta o indiretta dell’oggetto o del tema; - Una più approfondita conoscenza per riferimenti più ampi al tema - Possedere schemi e copioni (ad es. le nozioni di “amico”, “calcio” ecc..), e “schemi procedurali” per intervenire in modo adeguato in una interazione comunicativa. A tal proposito Hudson osserva: “Una delle componenti principali della competenza comunicativa di un individuo è un vasto insieme di schemi, o di strutture astratte, per trattare in modo efficace tipi di problemi particolari. [...] E’ prevedibile che ci siano differenze tra le persone nella capacità di risolvere problemi particolari, che riflettono differenze nella loro precedente esperienza piuttosto che nella loro intelligenza.” - La conoscenza richiesta per comprendere e intervenire in modo pertinente in una discussione può riguardare però non solo un oggetto o una issue specifica, ma un campo semantico (come la moda, il calcio, la fisica ecc..). Ogni campo semantico si caratterizza per un insieme di conoscenze specialistiche e della relativa terminologia. In relazione alla conoscenza relativa a campi semantici specifici, si può anche parlare 37 di competenza disciplinare, per indicare l’insieme di concetti, teorie, metodi di conoscenza o di azioni specifici che qualificano un determinato campo di studio o una determinata professione. Le competenze semiotiche sono quelle competenze di chi sa usare il codice linguistico (nelle sue diverse varietà intese come lingue, dialetti e registri) e il codice non verbale articolando consapevolmente tutto l’arco delle modalità espressive necessarie per comprendere e farsi comprendere. Questi sistemi espressivi costituiscono la competenza non verbale, che comprendono la paralinguistica (capacità di modulare elementi fonici della produzione verbale come tono, enfasi, ritmo e cadenza), la cinesica (la capacità di comunicare mediante gesti e movimenti corporei come le espressioni facciali, i movimenti delle mani ecc..) e la prossemica (la capacità di comprendere i significati del contatto corporeo, dell’orientazione, delle distanze interpersonali in funzione comunicativa). Le competenze situazionali comprendono le capacità e le abilità necessarie a tener conto adeguatamente degli interlocutori, degli scopi, delle norme e dei ruoli che caratterizzano le specifiche situazioni comunicative nelle quali i soggetti sono coinvolti. Si può anche parlare di una “cultura della situazione”. Di questa competenza possono essere identificati due aspetti specifici: - Competenza performativa, la capacità dei soggetti di individuare i modi e le forme comunicative più rispondenti ai propri scopi comunicativi in una determinata situazione di interazione. In pratica è la capacità di identificare i propri scopi comunicativi e di perseguirli nel modo più adeguato. Non si possono però, nell’identificazione dei propri scopi e mezzi per ottenerli, non considerare gli interlocutori ed il contesto sociale. Per questo facciamo riferimento ad una più ampia competenza pragmatica. - Competenza pragmatica, consiste nella capacità di perseguire il proprio scopo tenendo conto degli interlocutori e delle caratteristiche della specifica situazione in cui si interagisce. Non si possono ignorare le caratteristiche, le motivazioni, le aspettative degli interlocutori e i diversi condizionamenti ambientali e sociali contestuali. Le competenze socio-culturali Queste competenze non si indirizzano a specifiche relazioni o situazioni comunicative, ma comprendono anche competenze sociali e culturali più generali. Sono divise in: - Competenza sociale che è la capacità di riconoscere le diverse condizioni, status e ruoli sociali, cioè le differenze di età, genere, posizione sociale, professionale eccetera. Queste competenze permettono la comprensione del giusto allocutivo da utilizzare per rivolgersi ad un interlocutore (lei, tu, voi) per evitare mancanze di rispetto o incomprensioni. Inoltre queste competenze consentono di distinguere le regole comunicative più adatte al contesto, consentono di comunicare efficacemente in un sistema istituzionale più generale nel quale si è inseriti, considerando aspettative, norme e finalità dell’atto comunicativo. Fanno parte di questa competenza sociale il contegno e la deferenza (cioè come le situazioni comunicative rivelano ad una persona l’apprezzamento o meno nei suoi confronti), o il disinteresse e scarsità di impegno (distrarsi, non prestare attenzione, cambiare discorso ecc.). - Competenza simbolico-culturale che è la capacità di riferire gli atti comunicativi ad un orizzonte di significato che comprende conoscenze di senso comune e nozioni scientifiche, atteggiamenti, credenze e valori. Le persone che vivono in un comune mondo culturale condividono un insieme di conoscenze implicite, pre e semi- 40 mezzi di comunicazione di massa. Ogni esecuzione linguistica (performance) è specifica rappresentazione del proprio idioletto. - Il comportamento linguistico è anche la dimensione dinamica della lingua, il parlare segue le regole della comunità linguistica ma allo stesso tempo la parola è un processo di creazione per il quale tutti contribuiamo alla modifica della lingua. Varietà linguistica Di ogni lingua esistono diverse varietà legate al luogo, tempo, classe sociale di appartenenza, situazione comunicativa e mezzo utilizzato. Per quanto riguarda il luogo parliamo di asse di variazione diatopico, abbiamo i dialetti regionali e quelli locali, legati ad un territorio specifico come una città e non una regione come nel caso dei primi. La differenza tra un dialetto ed una lingua come l’italiano è il prestigio che l’italiano, che precedentemente era un dialetto, ha assunto storicamente. Distinguiamo i dialetti legati al luogo dai dialetti sociali o gerghi, utilizzati da quella fascia di popolazione che li ha creati come nel caso del linguaggio gergale giovanile, e sono legati alla classe sociale o a particolari sub-culture. Infine i registri o stili linguistici sono le varietà linguistiche in rapporto all’uso, e ne fanno parte ad esempio i linguaggi tecnico-specialistici o settoriali, come il linguaggio tecnico medico, politico o legale. In italiano il 45% dei termini della lingua appartengono a linguaggi tecnico- specialistici. Per quanto riguarda invece le mescolanze, abbiamo i prestiti interlingua che avvengono quando si diffonde in una lingua un termine di un’altra, come ad esempio in italiano weekend, resettare, karate ecc. La lingua e le varietà linguistiche sono inoltre espressione della propria identità sociale. La lingua è infatti un mezzo demarcatore dei confini tra gruppi sociali. Forme comunicative e posizione sociale sono legate ma non in maniera meccanica. Alcune comunità linguistiche sono convinte di parlare meglio di altre, mentre alcune sono vittime della cosiddetta “insicurezza linguistica” per la quale sono convinte di parlare peggio di altri gruppi. Allo stesso modo, la classe sociale influenza molto la qualità della produzione linguistica. Generalmente le persone posseggono più di una varietà linguistica e l’una o l’altra varietà viene attivata in base a situazione e contesto sociale. Il registro tipico delle interazioni e relazioni familiari e informali è detto codice ristretto. La lingua pubblica richiesta da un particolare contesto di interazione è detta codice elaborato, e alcuni studi dimostrano come la capacità di utilizzo del codice elaborato da parte dei bambini delle classi medie sia maggiore rispetto ai bambini delle classi popolari che tenderebbero ad un utilizzo più diffuso del codice ristretto. Atti linguistici Ogni parola produce effetti su chi la pronuncia e chi la ascolta, una fondamentale distinzione è quella tra enunciati constativi ed enunciati performativi, mentre i primi sono rivolti a descrivere un certo stato di cose o esporre un qualche fatto, nei secondi abbiamo la vera e propria esecuzione dell’enunciato. Secondo Austin nell’atto di dire qualcosa è possibile individuare 3 dimensioni e 3 tipi di atti che vengono realizzati simultaneamente e che egli definisce locuzione, illocuzione e perlocuzione. 1)Locuzione: è il semplice fatto di “dire qualcosa”, ossia la produzione di un’espressione dotata di significato e ben formata dal punto di vista grammaticale, tale che l’interlocutore 41 possa comprenderla, è il caso ad es. delle frasi come “ci sarò” o “vattene”. Nell’intenzione di chi formula queste frasi, possono esserci finalità diverse, possono infatti contenere un invito, una supplica, un ordine o una minaccia. 2)Atto illocutorio: è lo scopo di ciò che viene detto e l’azione che esso implica. per comprendere la vera intenzione o finalità della frase abbiamo gli indicatori di forza illocutoria che possono essere verbali o non verbali quali le parole scelte, il modo dei verbi, il tono della voce, la postura ecc...più in generale possiamo dire che ciò dipende dalle relazione tra i soggetti e dal contesto in cui sono inserite tali frasi. 3)Atto perlocutorio: si riferisce agli effetti che l’enunciato con la sua forza illocutoria produce su chi ascolta, quindi tutte le sue conseguenze comportamentali e psicologiche più o meno intenzionali. Abbiamo 5 categorie principali di atti linguistici: - Atti rappresentativi, impegnano il parlante rispetto alla verità di ciò che dice - Atti commissivi, impegnano il parlante a fare qualcosa o ad assumere una certa condotta futura - Atti espressivi, manifestano lo stato psicologico del soggetto in una relazione comunicativa - Atti direttivi, costituiscono tentativi di indurre il destinatario a fare o non fare qualcosa - Atti dichiarativi, implicano la realizzazione di un’azione attraverso l’enunciato stesso. Searle ha individuato 3 tipi di condizioni per la “riuscita” di un atto illocutorio: - condizioni preparatorie: prevedono che il parlante debba essere in posizione di autorità rispetto all’ascoltatore - condizione di sincerità: condizione nella quale il parlante vorrebbe che l’atto da lui ordinato venga compiuto - condizione essenziale: legata al fatto che il parlante intende l’enunciato come un modo per cercare di far sì che l’ascoltatore compia l’atto. Altra condizione di forza illocutiva è il contesto sociale, essa riguarda lo status e il ruolo di chi compie l’atto e il potere di cui può disporre. Certi atti sono strettamente connessi a determinati ruoli e funzioni istituzionali per cui, ad esempio, solo un sacerdote o un funzionario pubblico può sposare due persone, solo un magistrato può condannare o assolvere ecc... Conversazione ordinaria: attività organizzata, codificata con delle regole. Il numero dei partecipanti è variabile, è organizzata in modo sequenziale e vi è l’alternanza dei parlanti. E’ composta da scambi comunicativi, in particolare coppia di enunciati. Diversi sistemi di assegnazione del turno: 1)Eteroselezione: il parlante seleziona il successivo interlocutore 2)Autoselezione 3)Autoselezione continuata: chi parla continua a farlo La conversazione è unità globale di comunicazione. Le regole della conversazione non valgono nello stesso modo in tutti i contesti culturali. La comunicazione non verbale: -intelligenza analitica: capacità linguistiche e logiche -intelligenza pratica: usare ciò che è stato appreso -intelligenza creativa: nuovi percorsi e soluzioni originaliai problemi. 42 Intelligenze multiple di Gardner: 1)Linguistica 2)Musicale 3)Logico-matematica 4)Spaziale 5)Corporeo-cinestica 6)Intrapersonale 7)interpersonale Comunicazione non verbale: a)Vocale-sonora: suoni vocali non verbali b)Cinesica: aspetti visivi della comunicazione (canale visivo gestuale) c)Tattile-spaziale: pelle (aptica). Modi in cui le persone usano lo spazio. PROSSEMICA d)Olfattiva: comunicazione chimica e)aspetto fisico Paralinguaggio: caratteristiche personali della voce e del parlato; volume, tono, timbro, velocità, accento. 3 fattori che formano la lingua personale: caratteristiche fisiche legate all’età, caratteristiche psicologiche-sociali. Comunicazione anche attraverso suoni non verbali. ‘Il silenzio è comunicativo. Può essere previsto o prescritto. Ruolo di Feedback. Espressioni facciali: coinvolte 3 aree, la fronte e le sopracciglia, gli occhi e le palpebre, parte Qinferiore del volto (labbra). 6 emozioni fondamentali innate: felicità,tristezza,rabbia,paura,sorpresa,disgusto che possono presentare varie forme, gradi di intensità e sfumature. Diverse tecniche di controllo delle emozioni: -Intensificazione: esibire sentimento più forte di quello che si prova -Dis-intensificazione -Cancellazione di ogni traccia emotiva -Simulazione: recitare emozione che non si prova -Mascheramento: si copre un emozione con un altra Lo sguardo:sorpresa occhi spalancati, paura-sbarrati, rabbia-stringerli, tristezza-socchiuderli, interesse-fissi. Frequenza degli sguardi dipende da molti fattori. Posture: disposizione delle parti del corpo che possono essere assunte intenzionalmente per comunicare emozioni. Postura è condizionata dal punto di vista sociale e culturale. E’ suggerita/imposta in riferimento al ruolo sociale e professionale. Movimenti e gesti: -Gesti illustratori: legati al discorso che accompagnano, integrano, illustrano e completano il parlato. -Gesti deittici: gesti del capo e delle mani che accompagnano espressioni come io, quello.. -Gesti di adattamento: irriflessivi e si legano a stati emotivi -Gesti regolatori: manifestare intenzione dei partecipanti -Gesti indicator stato emotivo -Gesti simbolici/emblemi: tipici gruppo sociale o cultura 45 internet, non sono solo dei mezzi tecnologici, ma anche sistemi socio-economici. Essi possono essere differenziati in base alle loro differenze linguistiche di codice e tecnologiche di canali impiegati. Gli aspetti linguistici riguardano la forma che i messaggi e i testi assumono in un determinato medium (parole, suoni o immagini), gli aspetti tecnologici riguardano invece il veicolo tecnico che funge da mezzo di trasmissione. Per quanto riguarda la forma del messaggio, alcuni media sono basati sulla scrittura e sulla stampa, altri ad esempio i media visivi e audiovisivi (fotografia, cinema, radio, televisione), utilizzano invece suoni e le immagini fisse o in movimento. I media si differenziano inoltre per il contenuto e la sua organizzazione: alcuni si caratterizzano per unità di contenuto ben identificabili, cioè un solo argomento, come i libri, le opere teatrali e i film; altri possono invece contenere una pluralità di argomenti come i quotidiani e la stessa televisione. I media, come si è detto, svolgono una funzione di mediazione nelle relazioni comunicative tra soggetti. Queste relazioni variano in rapporto alle diverse strutture dei sistemi comunicativi riconducibili a due tipi fondamentali. ● Le reti a nodi, che sono quei sistemi di relazioni in cui ogni utente può collegarsi con ogni altro utente della rete comunicativa. Questo tipo di struttura relazionale è, ad esempio, quella del sistema postale e telefonico. In questo caso parleremo di una comunicazione bi-dimensionale. ● Le reti a centri, che invece si caratterizzano per il fatto che vi è una posizione centrale, dalla quale è possibile comunicare a molti destinatari. Questa struttura relazionale è quella dei mezzi di comunicazione di massa (mass media) e la comunicazione non sarà più bi-direzionale, bensì monodirezionale. Sebbene poi anche nei sistemi a centri riceventi abbiamo sempre una sorta di possibilità/capacità di feedback, è concettualmente più corretto parlare di “trasmissione” piuttosto che di “comunicazione”. Il Web contiene sia sistemi a nodi (mail, chat, social network) che a centri (siti istituzionali e quotidiani online). Un altro aspetto caratteristico della comunicazione di massa è la “mercificazione delle forme simboliche” poiché oggigiorno la gran parte della produzione di testi o prodotti culturali è realizzata per essere venduta e comprata e sottostà quindi alle regole del mercato. Tuttavia questa non è una caratteristica costitutiva della comunicazione di massa in quanto i media possono in realtà possono perseguire diversi scopi: il profitto e il successo commerciale, ma anche scopi educativi, ideologici e propagandistici e possono essere gestiti e controllati da imprese private, ma anche da governi e altri soggetti pubblici. I media si distinguono inoltre per le circostanze e i metodi di distribuzione e di ricezione. In alcuni casi la distribuzione e la ricezione da parte dei destinatari avviene nello stesso momento, come nel caso della radio o della TV, mentre in altri è più disseminata nel tempo, come nel caso dei libri o dei quotidiani. I media si distinguono poi per il fatto di far riferimento alla realtà oppure alla finzione: mentre la stampa quotidiana è più orientata verso la realtà e l’informazione, il cinema è più orientato verso la finzione. In alcuni media però i riferimenti tendono a coesistere, come nel caso della televisione. Infatti i media possono prevedere una fruizione individuale (libri) o comunitaria (televisione, cinema) e possono adottare tecnologie semplici (libro) o molto complesse e sofisticate (televisione). 46 Cap 6. Perché la comunicazione può fallire: incomprensione, conflitto e inganno. Shannon e Weaver hanno introdotto il termine “rumore” per indicare le condizioni che interferiscono sulla trasmissione dei messaggi e pregiudicano il “successo” della comunicazione. Il rumore può essere inteso secondo due prospettive: 1) Nella prima prospettiva è indicato come un incidente o un evento spiacevole. Può essere volontario e involontario e pertanto può essere contenuto e limitato ( o viceversa). Secondo la prospettiva di S. e W. la comunicazione è concepita come un atto che normalmente va a buon fine e solo accidentalmente fallisce; 2) Nella seconda prospettiva invece il rumore è una condizione permanente della comunicazione umana. Se aumentare la comprensione e contrastare la confusione è un’esigenza fondamentale per le relazioni umane, per l’esistenza della società la confusione, l’errore, l’incomprensione rimangono tuttavia inseparabili, quindi il rischio del fallimento e dell’insuccesso accompagnerà sempre il tentativo di comunicare. 1. Rumori fisici e semantici. I rumori possono essere distinti in due tipi principali: i rumori fisici e quelli semantici. -I rumori fisici sono quelli che interessano il canale comunicativo, più in generale sono quelli dove avviene la comunicazione(l’ambiente), dove percepiamo gli stimoli(canali sensoriali), e dove inoltre estendiamo e potenziamo le nostre facoltà fisiche e sensoriali (tecnologie comunicative e media). Es. Una sala con una cattiva acustica, un luogo affollato, il cellulare non ha campo, la visione televisiva è disturbata da problemi di rete, ecc. -I rumori semantici riguardano i significati prodotti e recepiti dagli interlocutori. Questi rumori sono quelli di cui si interessano la semiotica, la semiologia, la psicologia e la sociologia e riguardano la costruzione del messaggio e la sua interpretazione. Il rumore quindi riguarda tutti gli elementi del processo comunicativo, nessuno escluso. Non sempre ciò che comunichiamo corrisponde perfettamente alle nostre intenzioni, spesso non riusciamo a verbalizzare con chiarezza i nostri stati mentali, in poche parole non sempre ciò che diciamo corrisponde a ciò che vogliamo comunicare. Inoltre il messaggio può essere formulato in modo incompleto, cioè privo degli elementi necessari ad una adeguata comprensione o in modo eccessivamente ricco di informazioni e tale da far perdere di vista il suo contenuto essenziale. Un’altra possibilità di incomprensione può derivare dal contesto. Si genera rumore quando i soggetti non possiedono i riferimenti culturali necessari per comprendere la comunicazione. Un’altro esempio tipico di rumore è costituito dalle confusioni di frame. Può accadere che i diversi soggetti interpretino uno stesso avvenimento in base a frame diversi. (es. la lotta tra due persone può esprimere una reale ostilità o semplicemente un gioco tra amici) 2. Rumore nel contenuto e nella relazione I rumori possono essere distinti in base a due delle principali dimensioni/funzioni della comunicazione: referenziale e relazionale. 47 -L’aspetto di contenuto riguarda lo scambio di informazioni tra gli interlocutori su un determinato oggetto. I rumori relativi all’aspetto di contenuto e alla funzione referenziale riguardano la comprensione del contenuto, gli errori e le distorsioni nella trasmissione e ricezione delle notizie e delle informazioni. -L’aspetto di relazione si riferisce invece ai rapporti tra le persone ai ruoli sociali che esse interpretano. I rumori relativi alla comprensione e l’incomprensione (comunicazione genitori e figli, comunicazione insegnanti e studenti) non interessano solo lo scambio comunicativo, ma anche la situazione di interazione nella quale sono coinvolti i soggetti della comunicazione. 3. Incomprensioni subite e volute Il rumore può essere un esito non voluto che i soggetti della comunicazioni subiscono loro malgrado. Spesso però può anche essere una costruzione comunicativa intenzionale. Ed essa può assumere due espressioni principali: il conflitto e l’inganno. La complessità di questi due fenomeni è data dal fatto che la polarità sincerità-inganno e accordo-conflitto non è sempre netta sia per ciò che riguarda le intenzioni dei soggetti, sia rispetto alle forme e ai segni attraverso i quali si esprimono gli atteggiamenti reciproci. 3.1. Conflitto e violenza comunicativa Il conflitto e l’ostilità aperta si manifestano in scontri verbali diretti ed espliciti. ( insulti, ingiurie, offese, espressioni di sfida o di scherno, ecc..ah no fermo tu zia zoppa) Il conflitto aperto da un lato costituisce una forma di rumore perché spesso si intreccia al malinteso e all’incomprensione, ma dall’altro avverte i soggetti su ciò che sta accadendo, perciò entrambi possono assumere l’atteggiamento comunicativo che ritengono più adatto per affrontare la situazione. C’è una vastissima area di comportamenti in cui l’ostilità assume forme indirette, dissimulate, oblique e in queste rientrano, “l’evitamento”, cioè il rifiuto o il ritiro della relazione, il “mutismo”, con il quale si esprime a seconda dei casi, offesa, sfida, disapprovazione ed aggressività repressa. La violenza dell’interazione comunicativa può assumere anche la forma della “minaccia” e “dell’intimidazione”. Nella comunicazione violenta fanno parte anche “l’insinuazione”, la “diffamazione” e la “calunnia”. Consistono nel creare o avallare false voci che squalifichino una persona, gettino il sospetto sulla sua integrità personale, morale o politica. Un’altra forma di violenza è costituita dalla “disconferma” che indica la mancanza di riguardo e considerazione verso un soggetto. Nell’interazione quotidiana sono presenti molteplici tipi di disconferma, Adler e Town hanno proposto una lista in cui ci sono varie tipologie: 1) Impenetrabili: si ignora lo sforzo di comunicare da parte dell’interlocutore, es. si ignora una lettera, non si risponde ad una conversazione faccia a faccia; 2) Interruzione: si interrompe l’interlocutore prima che abbia finito di parlare; 3) Irrilevanti: si danno risposte non collegate a ciò che l’altro ha appena detto; 4) Tangenziali: invece di ignorare la proposta del parlante, la si utilizza come come punto di partenza per cambiare completamente discorso; 50 Finora abbiamo considerato il rumore come l’insieme delle condizioni che si oppongono al successo della comunicazione. In realtà il rumore non è solo il limite e la maledizione della comunicazione, ma anche una risorsa ed una opportunità. Secondo Shannon e Weaver, il massimo di informatività di un messaggio dipende da un codice il più possibile univoco e privo di ambiguità, tale cioè da limitare il più possibile incomprensioni e deformazioni nell’atto di ricezione. Questo modello risulta perfetto per la comunicazione tra macchine, ma quando lo si applica alla comunicazione umana risulta assai più problematico dal momento che questo schema, si riduce agli scambi comunicativi puramente referenziali e descrittivi, come ad esempio l’annuncio di un treno in ritardo. In poche parole possiamo dire che non esiste un discorso totalmente esplicito poiché esso richiede sempre una qualche forma di selezione di elementi e di inferenze per riempire le lacune. Rovesciando l’impostazione di Shannon e Weaver possiamo facilmente concordare con Eco che: << Un messaggio totalmente ambiguo appare come estremamente informativo, perché mi dispone a numerose scelte interpretative, ma può confinare col rumore, può cioè ridursi a puro disordine>>. Iser ribadisce che si può diminuire la denotazione di un messaggio a favore di una maggiore connotazione. Eco e Iser si riferiscono in questo caso alla comunicazione estetica in testi letterari, musicali ed artistici. Il non detto, l’implicito e il sottinteso, non costituiscono solo un limite, ma anche una ricchezza, stimolano e richiedono la produttività e la cooperazione interpretativa del ricevente. I livelli di definizione dei messaggi da parte dei media sono caratterizzati da quelli “caldi” e quelli “freddi”. I media caldi apportano dei messaggi completi, compatti, colmi di dati che perciò si impongono al ricevente e respingono la sua partecipazione. I media freddi implicano invece un alto grado di coinvolgimento da parte del pubblico. Spesso l’effettiva comprensione di un messaggio implica la capacità di una presa di distanza dal suo significato immediato e letterale, come accade per gli atti linguistici indiretti, con i quale il parlante comunica al ricevente più di quanto effettivamente dica. Ciò vale anche per le espressioni metaforiche con le quali descriviamo il nuovo attraverso il riferimento al già famigliare. Inoltre non dobbiamo dimenticare né il sarcasmo né l’ironia. In tutti questi casi, al di là del significato letterale, vi si cela un doppio significato che l’emittente può mostrare o nascondere. Un’altro caso di doppia lettura è costituito dalle letture critiche di Liebes e Katz che hanno analizzato le decodifiche della serie tv Dallas. Nell’interpretazione di un testo di una serie tv il ricevente può adottare una cornice referenziale o critica. La lettura referenziale è quella che concepisce i personaggi immaginari in modo naturalistico e trae spunto dai loro comportamenti per rifletterli sul proprio mondo. La cornice critica invece si interroga sulle intenzioni dei creatori, sulle loro finalità e scopi, sui linguaggi e le modalità espressive, sui valori e le ideologie, insomma si chiede quale tipo di comunicazione si stia realizzando e perchè. Ritornando al rumore, esso non è solo il limite al desiderio degli uomini di capirsi, contiene anche la possibilità di salvaguardare la libertà, cioè il diritto di non capire o non volere capire. Infine ciò che definiamo come comunicazione e come rumore dipende spesso dal sistema di riferimento nel quale osserviamo le relazioni comunicative. E’ una questione di prospettive. Si pensi ad esempio, ad una conferenza. Può accadere che le persone all’interno della sala inizino a rumoreggiare. Per il relatore si tratta di un rumore, una distrazione, ma essa può essere anche vista come una sorta di feedback che gli spettatori stanno inviando al relatore. 51 E’ un problema di interpretazione, se il relatore li percepisce come messaggi cercherà di vivacizzare e rendere più interessante la relazione oppure cercherà di affrettare la fine. Insomma, anche per il rapporto comunicazione-rumore, vale il motivo << chi vò capì, capisca>>. CAPITOLO 7 Perché la comunicazione può riuscire: la sfida della credibilità La possibilità che le persone riescano a comprendersi ed a collaborare implica moltissime condizioni, in questo modo è facile che la comunicazione fallisca. Per evitare ciò, i soggetti possono adottare con maggiore o minore successo diversi mezzi e strategie, attraverso un rapporto reciproco di credibilità e fiducia. La credibilità è una relazione La credibilità è la probabilità di essere creduti. Aristotele, nella Retorica, afferma che crediamo più facilmente alle persone “oneste” e che quindi la credibilità sia basata sulla qualità morale della persona. Essa infatti, è una dimensione o un affetto intrinseco; esiste prima della relazione, precede il concreto atto comunicativo. Le scienze sociali contemporanee hanno però modificato questa prospettiva; la credibilità non è solo una caratteristica personale, ma è qualcosa che viene attribuito, che viene riconosciuto dagli altri all’interno della relazione. Possiamo quindi dire che essa non è una caratteristica intrinseca della fonte, ma è una relazione. Molto spesso la credibilità tende a “modificarsi”, ovvero persone ritenute credibili e affidabili possono tradire la fiducia in loro riposta sotto la pressione di particolare incentivi, vincoli o minacce, mentre altre persone considerate poco credibili possono rivelarsi rispettose dei patti e degli impegni assunti. Anche le aspettative degli altri possono contribuire a rendere le persone più credibili; il fatto che qualcuno creda in noi, rafforza l'autostima e genera un sentimento di obbligazione morale tale da influenzare i comportamenti e perfino la percezione di noi stessi. 52 La credibilità assume aspetti differenti che dipendono dall’ emittente e dal ricevente, si parla infatti di: - Credibilità proiettata: è la credibilità dal punto di vista dell’emittente, l’auto-definizione e l’immagine che egli cerca di costruire e di accreditare attraverso determinate strategie e segni esterni - Credibilità percepita: è la credibilità dal punto di vista del ricevente, cioè quella che il ricevente attribuisce all’emittente e che può discostarsi anche notevolmente dalla prima, in modo da formulare una maggiore o minore fiducia nell’emittente. La credibilità è quindi sempre costruita, è sempre il prodotto di un'interazione e di una attenzione dell’emittente, che tiene conto, nello stesso momento, del proprio scopo comunicativo e della particolare situazione in cui agisce. Ogni soggetto infatti, tende ad esibire e a manipolare più o meno consapevolmente segni esteriori della propria credibilità. Il ricevente a sua volta ricercherà i segni della sua credibilità, le modalità visibili e percepibili della sua natura e delle sue intenzioni. Per quanto riguarda le organizzazioni (aziende, istituzioni, mass media) la credibilità si basa sull’immagine che esse accreditano presso i loro pubblici di riferimento (cittadini, utenti, clienti) attraverso diverse leve di comunicazione (pubblicità, promozione, front office, ecc…), si parla in questo caso di company image o corporate image, cioè dell’immagine distintiva che una certa azienda, marca o prodotto cerca di fissare nella mente del suo pubblico. Radici e forme della credibilità Michel e Certeau hanno definito due forme principali di credibilità come credere a e credere in, a queste due forme gli psicologi sociali Deutsch e Gerard hanno affiancato la credibilità informativa e la credibilità normativa - Credere a significa credere in ciò che l’altro dice, credere al contenuto del discorso, la credibilità informativa fa riferimento ad un evento o ad uno stato di cose del mondo, ad es. la struttura delle proteine, il funzionamento di un computer o di un evento a cui si è assistito. Questo tipo di credibilità riguarda tutte quelle forme di conoscenza empirica che spiegano come è e come funziona il mondo, essa si riferisce anche alla credibilità tipicamente richiesta e attribuita ai testimoni nei processi giudiziari e ai mezzi di informazione in quanto mediatori tra gli eventi e il pubblico. - Credere in significa invece credere in chi proferisce un discorso, orientando la propria azione secondo ciò che colui che riteniamo credibile ci indica, infatti il concetto di credibilità normativa è riferito ad un’altra persona che viene presa come modello di azione positivo, desiderabile, stimabile. Ma perché una persona è credibile? Perché dargli fiducia? Il rapporto di credibilità- fiducia viene sorretto da tre diverse “radici” o “ancoraggi” per cui i riceventi possono riconoscere un emittente come degno di fede. 55 - Accreditamento o trasferimento di credibilità: è quella relazione per cui un soggetto conferisce credibilità ad un altro soggetto o si fa garante con la sua credibilità della credibilità di un altro. La forma principale di accreditamento è costituita dall’investitura e dalle sue diverse forme, può avvenire all’interno di gruppi molto ristretti e informali, ma anche all’interno di gruppi formali e istituzioni. Altre forme di accreditamento provengono dalla vita quotidiana, ad esempio, il meccanismo della “presentazione” di un altro risponde a questa logica, per cui io impegno la mia credibilità a favore di un’altra persona. Un’altra forma di accreditamento è costituita da “testimonial” che fungono da garanti di persone, prodotti, eventi o situazioni che si assumono la credibilità delle istituzioni o organizzazioni per cui lavorano, svolgendo il ruolo di intermediari o diffusori della credibilità-fiducia. Quando la credibilità è decisiva Quando e perché la credibilità risulta decisiva? La credibilità è innanzitutto decisiva in tutti quegli atti performativi in cui un soggetto manifesta una sua intenzione o si impegna ad attuare un certo corso di azione, è il caso della minaccia ma ancor di più della promessa, cioè atti in cui un soggetto impegna se stesso, ma che acquistano senso solo se l’interlocutore è disposto a credere a ciò che egli afferma. La credibilità è più decisiva anche quando i destinatari non dispongono di strumenti conoscitivi che consentano di operare una verifica di ciò che si chiede di credere per ragioni di oggettiva impossibilità o per mancanza di competenze specifiche. La credibilità è essenziale anche nelle situazioni che di per sé non esibiscono alcun criterio che consenta di valutarle in modo corretto, ma solo in modo approssimativo e imperfetto. La credibilità è decisiva anche nelle situazioni di emergenza e quando un decisione deve essere presa in fretta perché non c’è affatto tempo per decidere La credibilità è decisiva anche quando più alta è l’ambivalenza contenuta nella scelta che viene richiesta, il divario costi-benefici, cioè quando ci si pone di fronte a una scelta radicale in cui le perdite possono essere molto forti: la reputazione, il rispetto degli altri, la sicurezza o la vita stessa, quando si attua il famoso “salto nel buio”. Infine la credibilità è decisiva quando la verifica di ciò che oggi viene detto e fatto non può essere condotta immediatamente, ma è possibile solo nel futuro e/o in condizioni diverse. 56