Scarica Lezioni di Chimica: Avogadro, Gay-Lussac, Isotopi, Struttura Atomica e Legame Chimico e più Dispense in PDF di Chimica solo su Docsity! Lezione 1 NATURA ATOMICA DELLA MATERIA Legge di conservazione della massa (Lavoisier, 1785) - Legge delle proporzioni definite (Proust, 1799) - Proporzioni multiple (Dalton, 1807) Grazie alla scoperta delle leggi ponderali fondamentali che regolano le combinazioni chimiche, l’ipotesi atomica della materia parve il punto di riferimento irrinunciabile per spiegare razionalmente i risultati sperimentali inquadrati dalle leggi. Con la rivoluzione chimica del XVIII secolo si buttarono le basi per la definizione moderna di elemento, inteso come sostanza semplice che può essere isolata attraverso procedure chimiche. Lavoisier riconobbe l’importanza delle misurazioni accurate e fece una serie di esperimenti sulla combustione. All’epoca si pensava che la combustione fosse dovuta ad una proprietà chiamata flogisto espulsa dal legno o dai metalli quando bruciavano. Lavoisier riscaldò dei metalli (stagno o piombo) in recipienti chiusi con quantità limitate di aria. La calce che si formava pesava di più del metallo originale, ma il peso dell’intero recipiente era immutato. Analogamente, bruciando la legna, la cenere residua era più leggera del legno di partenza, ma il peso del recipiente rimaneva lo stesso. La trasformazione del metallo (o della legna) non era conseguenza della perdita di flogisto, ma dell’acquisto di uno dei (ossigeno) gas presenti nell’aria. “In una reazione chimica la massa totale dei prodotti formati deve essere esattamente uguale alla massa totale delle sostanze di partenza” Nulla si crea , nulla si distrugge, ma tutto si trasforma La massa totale delle sostanze reagenti coinvolte in una reazione chimica è uguale alla massa totale delle sostanze prodotte. Legge delle proporzioni definite (Proust, 1799) “Le proprietà dei composti sono invariabili come lo è il rapporto dei loro costituenti” Un composto puro, qualunque sia l’origine o il modo di preparazione, contiene sempre quantità definite e costanti degli elementi, proporzionali alla loro massa. CuO Rame: 79.8% Ossigeno: 20.2% 100 g di CuO 79.8 g di Rame 20.2 g di Ossigeno. Carbonio C Ossigeno O Possono combinarsi per dare due composti 1) 1 g di C 2) 1 g di C 1.33 g di O 2.66 g di O Il composto 2) ha il doppio degli atomi di ossigeno rispetto al composto 1) CO CO2 Legge delle proporzioni multiple (Dalton) “Le stesse quantità relative di due elementi che si combinano con un terzo elemento si combineranno anche tra loro” “Se un elemento mostra più pesi di combinazione, questi, tra di loro, sono in rapporti di numeri interi e piccoli”. Teoria atomica di Dalton Postulati fondamentali della teoria atomica di Dalton 1. Ciascun elemento è costituito da particelle molto piccole dette atomi. 2. Tutti gli atomi di un dato elemento sono identici. 3. Gli atomi di elementi differenti hanno proprietà differenti (compresa la massa) 4. Le reazioni chimiche non riescono a mutare gli atomi di un elemento in quelli di un altro; nel corso delle reazioni chimiche gli atomi non si creano né si distruggono. 5. I composti traggono origine dalla combinazione di atomi di almeno due elementi. 6. In un dato composto il numero relativo e la specie degli atomi sono costanti. La legge di Avogadro, 1811 Volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole La legge di Gay-Lussac, 1808 Data la reazione fra due gas, i volumi dei reagenti e dei prodotti gassosi stanno fra di loro in rapporto come numeri interi semplici (misurati a parità di pressione e temperatura). Le relazioni tra i volumi di gas che reagiscono tra di loro (a P, T cost) sono analoghe ai rapporti di combinazione tra le sostanze 2 vol. di idrogeno più 1 vol. di ossigeno producono 2 vol. di acqua (vapore) 2 H2 + O2 → 2H2O Dedusse, inoltre che le molecole di idrogeno, ossigeno, cloro e azoto dovevano essere biatomiche PARTICELLE SUBATOMICHE Numerosi esperimenti condotti fin dalla fine del XIX secolo hanno evidenziato che gli atomi sono costituiti da particelle più piccole, definite subatomiche. In un tubo sotto vuoto in presenza di un gas rarefatto l’applicazione di una scarica elettrica prodotta da due elettrodi provoca una scarica definita raggio catodico (perché si muove dal catodo all’anodo). Tale raggio è composto da cariche negative (perché si muovono dal polo negativo al polo positivo) ed è capace di caricare negativamente un materiale colpito da esso. Il fatto che i raggi catodici riuscissero a muovere una paletta posta sul loro cammino indicava che essi avevano una massa. Esperimenti di Thomson I risultati sperimentali mediante studi su raggi catodici con applicazione di campi elettrici e campi magnetici consentirono di individuare il rapporto tra la carica e la massa dell’elettrone (e/m) che risultò essere 1.76 x 108 coulomb/g. A questo punto bastava determinare o la carica dell’elettrone o la massa dell’elettrone per poter risalire all’altra quantità. Apparecchio di Millikan Millikan nel 1909 mise a punto un esperimento detto «della goccia d’olio» con cui determinò la carica dell’elettrone che risultò pari a 1.60 x 10-19 C. Protoni La materia è di solito elettricamente neutra, pertanto, è ragionevole pensare che anche gli atomi di cui essa è formata siano neutri; di conseguenza si deve ammettere che negli atomi siano presenti anche particelle con carica elettrica positiva. Si è potuto verificare che queste particelle: • hanno una massa molto più grande di quella degli elettroni (1836 volte di più); • possiedono una carica positiva che è sempre un multiplo intero del valore della carica dell’elettrone. Protoni Thomson formulò il primo modello atomico, in cui si supponeva che gli elettroni costituissero una porzione dell’atomo carica negativamente. Erano particelle con carica negativa ed immerse in una matrice uniformemente carica di carche positive. Modello atomico di Rutherford Rutherford suggerì che ogni atomo possedesse un nucleo dotato di carica positiva, circondato da un certo numero di elettroni. Poiché un elettrone è dotato di carica negativa pari ad e, se un atomo possiede Z elettroni la carica del nucleo dovrà essere Ze. In un atomo neutro protoni ed elettroni sono presenti in uguale numero. Se un atomo neutro perde uno o più dei suoi elettroni, si trasforma in uno ione carico positivamente. Se un atomo neutro accetta uno o più elettroni, diventa uno ione carico negativamente. Quello che rende qualitativamente e quindi chimicamente diversi gli atomi di elementi diversi è il numero di protoni che questi possiedono. Questo numero è Z e si chiama numero atomico. Ogni elemento presenta un diverso valore di Z. Neutroni Nel 1932 Chadwick scoprì un’altra particella subatomica (neutrone) con massa di 1.68 x 10-27 Kg, cioè circa uguale a quella del protone, ma priva di carica. Protoni e neutroni si trovano insieme nel nucleo e per tale motivo si indicano collettivamente come nucleoni. I neutroni funzionano come «colla» perché la loro presenza permette di tenere insieme più protoni. L’unico nucleo a non avere bisogno di neutroni è quello dell’idrogeno perché formato da un solo protone. La massa dei protoni e neutroni è molto più grande di quella degli elettroni (circa 1/1000 più piccolo). Numero di massa Il numero dei nucleoni (protoni + neutroni) posseduto da un atomo si definisce numero di massa (A). Z è il numero atomico e definisce il numero di protoni. Il numero di elettroni posseduti da un atomo è pari al numero di protoni presenti nel nucleo. Un nuclide è una specie definita da un preciso valore di Z e A. Pertanto il numero dei neutroni (N) è dato da N = A – Z. 1. l’elemento è definito e riconosciuto in base al numero atomico (Z); 2. Il numero di protoni è dedotto dal numero atomico (Z) dell’elemento; 3. Il numero degli elettroni equivale al numero di protoni; 4. Gli elettroni sono di dimensioni molto più piccole dei protoni e dei neutroni; 5. Gli elettroni sono confinati in regioni di spazio ben definite; 6. I protoni sono compatti nel nucleo insieme ai neutroni; 7. Il numero di neutroni si deduce dal numero di massa (A). Il numero di protoni presenti nel nucleo (numero atomico, Z) identifica l’elemento cui è stato associato il simbolo chimico e la posizione nella tavola periodica. Il numero di elettroni posseduti da un atomo è pari al numero di protoni presenti nel nucleo in modo da rendere l’atomo elettricamente neutro. Il numero di elettroni è fondamentale nel determinare le proprietà chimiche dell’elemento e la sua reattività. Il numero atomico cresce progressivamente di un’unità, definendo gli elementi che conosciamo, dall’elemento con numero atomico 1 a quello con numero atomico 92. livello energetico n, esiste un solo orbitale s; se ℓ = 1 (orbitali p, presenti solo dal secondo livello energetico n = 2 in poi), m potrà essere –1, 0 o +1, il che vuol dire che gli orbitali p di ogni livello sono 3, orientati diversamente nello spazio, rispetto alle 3 coordinate e vengono perciò indicati con una lettera (x, y o z) corrispondente alla coordinata lungo la quale sono orientati: px, py e pz; se ℓ = 2 (orbitali d), m potrà essere –2, –1, 0, +1 e +2, per cui esisteranno 5 diversi orbitali d; se ℓ = 3 (orbitali f) m sarà –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 ed esisteranno 7 diversi orbitali f. Orbitale s: in ogni livello energetico troviamo un solo orbitale s (che può contenere 0, 1 o 2 elettroni). Orbitali p: a partire dal 2° livello, ogni livello presenta 3 orbitali p diversi (aventi cioè orientamento spaziale diverso), che possono contenere fino a un massimo di 6 elettroni (2 per ogni orbitale). Gli orbitali d, presenti nel 3°, 4°, 5° e 6° livello, sono in tutto 5 e possono contenere complessivamente fino a 10 elettroni. Numero quantico di spin (ms ): può assumere solo due valori: +1/2 o –1/2; secondo il modello dell’elettrone rotante, lo spin indica il senso di rotazione dell’elettrone sul proprio asse, in senso orario o in senso antiorario. Due elettroni che hanno la stessa serie di numeri quantici n, ℓ e m (ossia che occupano lo stesso orbitale) non possono avere lo stesso numero quantico di spin (principio di esclusione di Pauli), devono cioè avere spin opposto. Ogni orbitale può essere pertanto occupato al massimo da due elettroni, i quali devono avere spin opposto. Configurazioni elettroniche L’elettrone, dotato di carica elettrica negativa, è attratto dal nucleo (positivo), dal quale può allontanarsi in funzione dell’energia che possiede. Più energia possiede e tanto più riesce ad allontanarsi dal nucleo. Pertanto, la dimensione dell’orbitale è proporzionale al contenuto energetico degli elettroni in esso contenuti. Il numero quantico principale n definisce la dimensione e il contenuto energetico dell’orbitale. Negli atomi che possiedono più di un elettrone, all’azione attrattiva del nucleo si somma anche l’azione di repulsione reciproca degli elettroni (cariche di ugual segno si respingono), per cui in uno stesso livello energetico gli orbitali e hanno un contenuto energetico inferiore agli orbitali p, gli orbitali p inferiore agli orbitali d e questi ultimi inferiori agli orbitali f. Quando il numero di elettroni è elevato (dal 4° livello energetico in poi) può capitare che un orbitale appartenente a un livello energetico inferiore (per esempio un orbitale 3d) abbia un contenuto energetico superiore a un orbitale (di diverso tipo) appartenente a un livello energetico superiore (nell’esempio, 4s). Nel suo stato fondamentale, ogni atomo dispone gli elettroni all’interno degli orbitali in ordine crescente di energia. Per stato fondamentale (o stazionario) di un atomo si intende la condizione di minima energia che contraddistingue l’atomo, in contrapposizione allo stato eccitato, nel quale gli elettroni, assorbendo energia, possono passare a livelli energetici superiori, per poi ritornare allo stato fondamentale (emettendo l’energia assorbita sotto forma di fotoni). Regola di Hund Gli elettroni appartenenti allo stesso sottolivello (p, d o f ), nella condizione di maggior stabilità dell’atomo (condizione di minor energia), tendono ad assumere spin parallelo (regola di Hund) e, poiché in un orbitale possono “convivere” due elettroni solo se hanno spin opposto (antiparallelo), ogni orbitale del sottolivello viene prima occupato da un solo elettrone e il secondo elettrone completa l’orbitale solo se prima tutti gli orbitali del sottolivello contengono già un elettrone. Regole di riempimento degli orbitali: 1. Ogni orbitale può contenere non più di due elettroni; 2. Vengono riempiti per primi gli orbitali del primo livello, poi quelli del secondo, del terzo e così via, tenendo presente che di ogni livello vengono riempiti prima gli orbitali s (a minor contenuto energetico), poi gli orbitali p (presenti dal secondo livello energetico in poi), poi gli orbitali d e, infine, gli orbitali f; 3. Esiste un solo orbitale s per ogni livello, che può contenere fino a due elettroni; dal secondo livello al settimo troviamo gli orbitali p (3 per livello, possono contenere in totale fino a un massimo di 6 elettroni); dal terzo al sesto livello troviamo gli orbitali d (5 per livello, contengono in totale fino a 10 elettroni); al quarto e al quinto livello troviamo 7 orbitali f (che possono contenere fino a 14 elettroni); Regole di riempimento degli orbitali: 4. Il riempimento degli orbitali p, d ed f rispetta la regola di Hund, per cui prima si riempiono con un solo elettrone tutti gli orbitali di un sottolivello poi si aggiunge il secondo elettrone a ogni orbitale; 5. L’ordine di riempimento degli orbitali (sottolivelli) d ed f si incrocia con l’ordine di riempimento dei rispettivi livelli, per cui gli orbitali d di un livello (dal terzo al sesto) vengono riempiti dopo l’orbitale s del livello successivo. 3d viene dopo 4s (la sequenza è: 4s 3d 4p...) Integrando tutte queste regole, risulterà il seguente ordine di riempimento degli orbitali: 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p Tavola periodica I gruppi sono 8 e sono identificati dai numeri romani (I-VIII). Fra il gruppo II e il gruppo III si trovano gli elementi di transizione. In fondo alla tavola periodica ci sono due file di 14 elementi metallici costituenti le serie dei lantanidi e degli attinidi. Ordinando gli elementi secondo il valore crescente della loro massa atomica, si notò che le proprietà chimiche cambiano radicalmente dal litio (Li) al fluoro (F). Dal sodio (Na) le proprietà si ripetono in modo simile. Le proprietà chimiche degli elementi variano in maniera periodica in funzione della loro massa atomica. Tavola periodica: è uno schema di classificazione in cui si tiene conto contemporaneamente della massa atomica e della ripetitiva comparsa di determinate caratteristiche. Il primo esempio moderno di classificazione si deve a Mendelev. A lui si deve la suddivisione in gruppi (colonne) e periodi (righe). Egli privilegiò il criterio della periodicità delle proprietà chimiche rispetto a quello della massa crescente. Poté così prevedere le proprietà di elementi ancora sconosciuti e scoperti anni dopo. Oggi è noto che la comparsa periodica di comportamenti chimici simili è da attribuire alla configurazione elettronica esterna. Elementi dello stesso gruppo hanno uguale numero di atomi nello strato più esterno. La tavola periodica è divisa in periodi e gruppi, in cui sono incasellati tutti gli elementi chimici. Le righe della tavola vengono chiamate periodi, il numero degli elementi che sono contenuti nei periodi dipende direttamente dagli strati e sottostrati che ospitano gli elettroni. Dunque il primo periodo ha solo due elementi (idrogeno, H, e elio, He): sono gli elementi con numero atomico 1 e 2 rispettivamente, che possiedono un solo strato ed un solo orbitale (1s) per sistemare i loro elettroni (1 per l’idrogeno e 2 per l’elio). Il secondo e il terzo periodo hanno identico andamento: contengono 8 elementi in totale e possono essere suddivisi in due blocchi: 2 elementi posizionati all’estremità sinistra, che hanno caratteristiche metalliche e 6 nella parte destra. Gli elementi che appartengono al secondo periodo possiedono 2 strati (1 e 2) dove sistemare gli elettroni. Il secondo strato a sua volta è suddiviso in due sottostrati (2s e 2p) che vengono progressivamente riempiti di elettroni man mano che il numero atomico cresce; quindi, man mano che ci si sposta da sinistra a destra nel periodo. Gli elementi con Z 3 e 4 posizionati a sinistra avranno un totale di 3 e 4 elettroni da sistemare negli orbitali (i primi 2 e - riempiranno il primo strato (1s) e i rimanenti passeranno al secondo strato (2) nel sottostrato s. Gli elementi del blocco di destra, con numero atomico progressivamente crescente da 5 a 10, sistemeranno gli e - nel secondo strato (2) occupando gli orbitali del sottostrato p. Lo stesso andamento si ripete per il 3° periodo. Sistema periodico degli elementi: periodi Il 4° e 5° periodo contengono 18 elementi e presentano un andamento differente dai periodi precedenti, ma identico tra loro. Sono suddivisi in tre blocchi: il blocco che contiene le prime due colonne a sinistra (4s), il blocco centrale (3d) che contiene 10 elementi, il blocco a destra di 6 elementi (4p). Schema che si ritrova nei periodi della tavola periodica: -1° periodo: 2 elementi -2° e 3° periodo: 8 elementi (2+ 6) -4° e 5° periodo: 18 elementi (2+10+6) - 6° periodo: 32 elementi (2+ 10+ 14+6). Elementi dello stesso gruppo che appartengono a periodi differenti avranno un numero di elettroni dello strato più esterno IDENTICO (definito dal periodo). Dal momento che il comportamento chimico degli elementi è determinato dagli e - dello strato esterno, gli elementi appartenenti allo stesso gruppo mostreranno un comportamento chimico simile (ma non IDENTICO!). Proprietà degli elementi Le proprietà degli elementi variano con regolarità lungo la tavola periodica in base alla variazione periodica della configurazione elettronica. Sono proprietà periodiche il raggio atomico, l’energia di ionizzazione, l’affinità elettronica e l’elettronegatività. Il raggio atomico (Å) è la metà della distanza minima di avvicinamento tra due atomi dello stesso elemento. Il raggio atomico aumenta lungo un gruppo e diminuisce lungo un periodo. L’energia di ionizzazione (kJ/mol) è l’energia necessaria per rimuovere un elettrone da un atomo isolato. L’energia di ionizzazione aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo. L’affinità elettronica è l’energia che si libera quando un atomo in fase gassosa cattura un elettrone. L’affinità elettronica aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo. L’elettronegatività di un elemento misura la sua tendenza ad attrarre gli elettroni di legame da un altro elemento. L’elettronegatività aumenta lungo un periodo, e diminuisce lungo un gruppo. In generale, elementi dello stesso periodo hanno proprietà che cambiano in maniera progressiva lungo il periodo. Hanno un numero atomico, quindi elettroni, che cresce progressivamente da sinistra verso destra, arrivando a completare l’ottetto con l’ultimo elemento del periodo. Se si considerano i gruppi (le colonne), gli elementi che appartengono allo stesso gruppo sono caratterizzati dalla stessa identica sequenza di riempimento degli orbitali in strati e sottostrati. Metalli, non metalli e semimetalli A seconda delle loro proprietà fisiche e chimiche gli elementi si possono suddividere in metalli, non metalli e semimetalli. I metalli sono più di 80 e occupano la parte sinistra della tavola periodica. Gli elementi metallici sono solidi, duri, lucenti, malleabili, duttili e conducono calore ed elettricità. Le proprietà chimiche dei metalli dipendono dalla loro tendenza a perdere elettroni diventando ioni positivi. Gli elementi del «blocco f», ovvero lantanidi e attinidi, hanno caratteristiche metalliche. Gli attinidi sono elementi di origine artificiale, instabili e radioattivi. I non metalli occupano la parte destra della tavola periodica. Le proprietà chimiche dei non metalli dipendono dalla loro capacità di accettare elettroni diventando ioni negativi. Gli elementi del gruppo VII sono detti alogeni. I semimetalli presentano sia comportamento metallico sia non metallico. I semimetalli si trovano lungo il confine che separa i metalli e i non metalli. Lezione 3 NUMERO DI OSSIDAZIONE Un atomo isolato è elettricamente neutro: il numero di elettroni è uguale a quello dei protoni • Quando un atomo si lega ad altri atomi per formare una molecola la sua elettroneutralità viene perturbata • Il caso estremo è quello dei composti ionici: in tali composti, gli atomi costituenti hanno perso o acquistato elettroni diventando perciò ioni. Un esempio di questo genere è il composto NaCl, costituito da ioni Na+ e Cllegati fra loro da forze puramente elettrostatiche • Non tutti i composti sono ionici, ma quando due atomi diversi sono legati, uno dei due tende ad attirare gli elettroni dell'altro verso il proprio nucleo. Se questo processo venisse portato all'estremo, l'atomo più elettronegativo assumerebbe una carica negativa mentre l'altro assumerebbe una carica positiva, proprio come in un composto ionico. Il numero di ossidazione (o stato di ossidazione) è un numero convenzionale, che può essere: POSITIVO, NEGATIVO, INTERO, NON INTERO, ZERO. Corrisponde all’ipotetica carica che acquisterebbe ogni atomo in una molecola se gli elettroni di legame fossero assegnati all’atomo più elettronegativo. ELETTRONEGATIVITA’: capacità di un atomo in una molecola di attirare su di sè gli elettroni di legame. VALENZA: n° di legami stabiliti da un atomo in una molecola PER CALCOLARE FACILMENTE IL N.O. DI UN ELEMENTO SONO STATE STABILITE DELLE REGOLE FISSE NUMERO DI OSSIDAZIONE 1) Il n.o. può essere positivo, negativo, zero, frazionario o intero 2) La somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi in una molecola neutra è sempre uguale a zero 3) La somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi di una specie ionica è uguale alla sua carica es: NH4 + = +1; PO4 3- = -3 4) Il numero di ossidazione di un elemento è sempre uguale a zero es: Hg, Na, K, Mg, Cl2 , Br2 , O2 , H2 , N2 , I2 . Nelle molecole biatomiche omonucleari non c’è differenza di ettronegatività tra i due atomi. In una qualsiasi molecola omonucleare (cioè formata da atomi dello stesso tipo) non ci possono essere (ovviamente) differenze nella tendenza ad attirare elettroni: ne segue che ciascun atomo non perde né acquista (neppure ipoteticamente) elettroni e quindi si trova esattamente come se fosse isolato. Il suo numero di ossidazione sarà dunque 0 anche in questo caso. 5) Per gli ioni monoatomici la carica coincide con il n.o. Tutti gli altri elementi possono avere diversi numeri di ossidazione. I più comuni sono riportati nella tavola periodica. In genere il numero di ossidazione più alto (da positivo a negativo) coincide con il gruppo di appartenenza. Formule chimiche Gli elementi chimici raramente in natura si trovano come tali. Nella maggior parte dei casi si combinano tra loro guidati dalla necessità di arrivare ad uno stato più stabile. Gli atomi si legano tra loro utilizzando gli elettroni dello strato più esterno formando sostanze o molecole attraverso un legame interesse, è dunque difficile individuare delle proprietà generali come per i composti ionici o i metalli. I composti covalenti si ritrovano a temperatura ambiente sia allo stato gassoso (es. metano, N2 , ammoniaca) che liquido (es. H2O, alcol etilico), o solido (es. zucchero da tavola). Sono generalmente cattivi conduttori sia di calore che di elettricità, poiché gli elettroni condivisi nel legame sono localizzati tra gli atomi e non sono liberi di muoversi. La solubilità, lo stato fisico, il punto di ebollizione e di fusione dipendono dalle forze intermolecolari presenti tra le molecole. La tipologia di legame covalente (polare o apolare) è responsabile delle forze intermolecolari in gioco e spiega le proprietà dei composti covalenti caso per caso. Elettronegatività e polarità di legame Quando il legame si stabilisce tra atomi dello stesso elemento si parla di legame omopolare. Il legame covalente si dice polare quando si stabilisce tra elementi differenti tra cui esiste una differenza in termini di elettronegatività. L’elettronegatività di un atomo è l’abilità dello stesso in una certa molecola di attrarre elettroni verso di sé. Un atomo molto elettronegativo tenderà sia ad attrarre elettroni di un altro atomo sia a non farsi strappare elettroni. I valori numerici di elettronegatività ricavati da Pauling vanno da un massimo di 4.0 per il fluoro (F) ad un minimo di 0.7 per il Cesio (Cs). Sono misure approssimate delle tendenze relative degli atomi di attrarre elettroni nei legami chimici. Le coppie di elettroni di un legame covalente tra due atomi differenti non sono condivise in modo uguale. Solo nel caso di atomi uguali le coppie di legame sono ugualmente condivise (come in H2 , Cl2 , N2 ). Il caso opposto è quello del legame ionico, dove non vi è compartecipazione degli elettroni di legame, ma un trasferimento vero e proprio di questi ultimi da un atomo all’altro. Riassumendo: Legame covalente omopolare è quello in cui gli elettroni sono condivisi in modo uguale tra gli atomi. Legame covalente polare si verifica quando uno degli atomi esercita un’attrazione maggiore rispetto all’altro sugli elettroni di legame. Legame ionico se la forza di attrazione per gli atomi di legame è abbastanza grande. Le differenze di elettronegatività tra due atomi possono facilmente dare un’idea della maggiore o minore polarità di legame. Ad es: Nella molecola HF si ha una condivisione non uguale degli elettroni di valenza tra H ed F Ad es. l’elettronegatività del Cloro nei composti PCl3 e ClO4 - può differire sensibilmente perché varia il suo contorno chimico Quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tra due atomi, maggiore è il carattere polare del legame. Legame di coordinazione (o dativo) Il legame covalente di coordinazione si stabilisce quando il doppietto di legame è fornito interamente da uno solo degli atomi che partecipano al legame. Il secondo atomo mette a disposizione un «opportuno» orbitale capace di alloggiare tali elettroni. Il legame metallico (Metallo con Metallo) Gli elettroni di valenza sono messi in comune tra molti atomi. - Nel più semplice modello del legame metallico, tutti gli atomi mettono in comune i loro elettroni di valenza in un “mare” di elettroni uniformemente distribuito. - A differenza del legame covalente, gli elettroni sono “delocalizzati”, ossia si muovono liberamente in tutto il campione di metallo. Il legame metallico è caratterizzato da nuclei carichi positivamente che sono tenuti insieme da interazioni elettrostatiche molto forti con gli elettroni degli strati esterni che «fluttuano» attorno ad essi. E’ caratteristico dei soli metalli, le cui proprietà derivano in prima istanza dal mare di elettroni che circonda i nuclei. In genere hanno le seguenti caratteristiche: - composti solidi a temperatura ambiente (eccezione il mercurio), flessibili, duttili e malleabili: si ha regolarità ma non rigidezza nella disposizione dei cationi metallici, che scorrono l’uno accanto all’altro attraverso il mare di elettroni ma senza respingersi. - Generalmente presentano alte temperature di fusione e altissime temperature di ebollizione: le interazioni elettrostatiche tra nuclei ed elettroni sono fortissime e quindi sono richieste elevatissime energie per separare ciascun catione metallico e i suoi elettroni da tutti gli altri. - Conducono l’elettricità e il calore: la mobilità degli elettroni consente di trasportare cariche elettriche nella conduzione dell’elettricità o di trasferire energia nella conduzione del calore; - Sono lucenti e caratterizzati dal tipico “colore metallico”: la luce, data la natura del legame metallico che rende estremamente compatta la struttura, non riesce a penetrare oltre la superficie e viene riflessa, conferendo al metallo il tipico aspetto. Strutture di Lewis Il numero e la disposizione degli elettroni esterni che ogni atomo mette in gioco nella formazione del legame viene efficacemente rappresentato dalle strutture di Lewis. Le strutture di Lewis consentono di convertire la formula molecolare in una struttura bidimensionale. Mostra come gli atomi sono legati tra loro. Ogni elettrone esterno (dei sottolivelli s e p) viene rappresentato con un puntino ( ); ∙ una coppia di elettroni (doppietto) si rappresenta con due puntini ( ) o con un trattino (-). Gli elettroni ∙∙ spaiati o accoppiati si dispongono attorno al simbolo dell’elemento in una rappresentazione detta diagramma a punti. Regola dell’ottetto La configurazione elettronica caratterizzata dalla disposizione di otto elettroni s 2p 6 prende il nome di ottetto. E’ una configurazione di grande stabilità e cioè di basso contenuto di energia. Quando due o più atomi si legano, acquistano, perdono o mettono in compartecipazione elettroni per realizzare una tale configurazione esterna (REGOLA DELL’OTTETTO). Fanno eccezione a questa regola l’idrogeno e i metalli di transizione che possono impegnare anche orbitali di tipo d. Gli elementi del gruppo VIII A sono molto stabili e di conseguenza hanno bassa reattività e proprio per questo vengono chiamati gas nobili o gas inerti. La loro grande stabilità è da attribuire alla configurazione elettronica esterna ns2 np6 (ottetto) per cui il chimico statunitense Gilbert Lewis suppose che anche gli altri atomi tendessero a raggiungere detta configurazione elettronica esterna attraverso la formazione di legami chimici per avere alta stabilità, bassa energia e bassa reattività. Regole per scrivere le strutture di Lewis: 1. Indicare tutti gli elettroni di valenza. Se una specie è uno ione, si aggiunge un e - per ogni carica negativa, si sottrae per ogni carica positiva; 2. Ad eccezione dell’H e degli atomi della II riga (P, S) vale la regola dell’ottetto; 3. Le cariche formali si attribuiscono dividendo i legami in parti uguali e contando il n° degli e - che compete ad ogni atomo; 4. Se non ci sono abbastanza e - per dare l’ottetto all’atomo centrale, si assegnano legami multipli; 5. Una convenzione sostituisce ciascun doppietto di e- con una linea. Regole per scrivere le strutture di Lewis; 6. Eccezioni alla regola dell’ottetto: atomi del GRUPPO IIIA (ad esempio Boro e Alluminio) possono dare composti neutri e covalenti con solo 6 e - di valenza. b) atomi della seconda riga (ad esempio Zolfo e Fosforo) possono avere più di 8 e - nel guscio di valenza. Strutture di risonanza Non sempre una sola struttura di Lewis descrive adeguatamente la struttura reale. Molte molecole e ioni sono descritti nel modo migliore scrivendo due o più strutture di Lewis e considerando che la vera molecola o ione sia costituita dalla “mescolanza” di queste strutture. Le strutture contribuenti sono interconnesse con una freccia a doppia punta e differiscono tra loro solo per la posizione degli e- . La molecola reale è un ibrido di risonanza. Le strutture di risonanza sono tutte “equivalenti” dal punto di vista energetico e quindi contribuiscono in ugual misura all’ibrido di risonanza. Geometria molecolare Le molecole hanno geometrie spaziali ben definite caratterizzate da distanze di legame ed angoli di legame. Questi possono essere determinati sperimentalmente (es. raggi X). Si vede che molecole con formula simile possono avere geometrie totalmente diverse, come ad esempio CO2 e H2O. Le formule di Lewis non danno alcuna indicazione sulla geometria molecolare ma solo su come gli atomi sono connessi fra di loro da legami. Lineare OĈO = 180° Piegata HÔH = 10. Le proprietà chimiche e in particolare la reattività chimica di una molecola, o di uno ione poliatomico, sono determinate spesso dalla loro disposizione spaziale, ovvero dalla geometria. La geometria dipende: - dal numero degli atomi costituenti - dalla lunghezza del legame che unisce gli atomi - in particolare, dall’angolo che i legami formano tra loro. L’angolo di legame e la disposizione spaziale degli atomi può essere efficacemente determinato utilizzando il modello VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion, ovvero repulsione tra le coppie elettroniche di valenza). Secondo questo modello l’angolo di legame dipende dal numero delle coppie elettroniche impegnate nel legame o libere (coppie solitarie o lone pair) e che circondano l’atomo centrale. Le coppie elettroniche che circondano l’atomo centrale tendono infatti a respingersi, essendo cariche dello stesso segno, e a disporsi il più lontano possibile le une dalle altre. La geometria molecolare vera e propria si riferisce alle posizioni degli atomi e non delle coppie solitarie. Essa è quindi determinata direttamente solo dalla disposizione delle coppie leganti in quanto solo a queste corrisponde un atomo legato all’atomo centrale. Tuttavia, la presenza di coppie solitarie altera la disposizione delle coppie leganti e pertanto influenza indirettamente la geometria molecolare. Struttura del metano Usando le regole empiriche non si spiega la struttura del metano considerando la configurazione elettronica esterna. Dalla configurazione sopra rappresentata il C potrebbe formare due legami solo con due atomi di H. Così facendo il C non Lezione 1 NATURA ATOMICA DELLA MATERIA Legge di conservazione della massa (Lavoisier, 1785) - Legge delle proporzioni definite (Proust, 1799) - Proporzioni multiple (Dalton, 1807) Grazie alla scoperta delle leggi ponderali fondamentali che regolano le combinazioni chimiche, l’ipotesi atomica della materia parve il punto di riferimento irrinunciabile per spiegare razionalmente i risultati sperimentali inquadrati dalle leggi. Con la rivoluzione chimica del XVIII secolo si buttarono le basi per la definizione moderna di elemento, inteso come sostanza semplice che può essere isolata attraverso procedure chimiche. Lavoisier riconobbe l’importanza delle misurazioni accurate e fece una serie di esperimenti sulla combustione. All’epoca si pensava che la combustione fosse dovuta ad una proprietà chiamata flogisto espulsa dal legno o dai metalli quando bruciavano. Lavoisier riscaldò dei metalli (stagno o piombo) in recipienti chiusi con quantità limitate di aria. La calce che si formava pesava di più del metallo originale, ma il peso dell’intero recipiente era immutato. Analogamente, bruciando la legna, la cenere residua era più leggera del legno di partenza, ma il peso del recipiente rimaneva lo stesso. La trasformazione del metallo (o della legna) non era conseguenza della perdita di flogisto, ma dell’acquisto di uno dei (ossigeno) gas presenti nell’aria. “In una reazione chimica la massa totale dei prodotti formati deve essere esattamente uguale alla massa totale delle sostanze di partenza” Nulla si crea , nulla si distrugge, ma tutto si trasforma La massa totale delle sostanze reagenti coinvolte in una reazione chimica è uguale alla massa totale delle sostanze prodotte. Legge delle proporzioni definite (Proust, 1799) “Le proprietà dei composti sono invariabili come lo è il rapporto dei loro costituenti” Un composto puro, qualunque sia l’origine o il modo di preparazione, contiene sempre quantità definite e costanti degli elementi, proporzionali alla loro massa. CuO Rame: 79.8% Ossigeno: 20.2% 100 g di CuO 79.8 g di Rame 20.2 g di Ossigeno. Carbonio C Ossigeno O Possono combinarsi per dare due composti 1) 1 g di C 2) 1 g di C 1.33 g di O 2.66 g di O Il composto 2) ha il doppio degli atomi di ossigeno rispetto al composto 1) CO CO2 Legge delle proporzioni multiple (Dalton) “Le stesse quantità relative di due elementi che si combinano con un terzo elemento si combineranno anche tra loro” “Se un elemento mostra più pesi di combinazione, questi, tra di loro, sono in rapporti di numeri interi e piccoli”. Teoria atomica di Dalton Postulati fondamentali della teoria atomica di Dalton 1. Ciascun elemento è costituito da particelle molto piccole dette atomi. 2. Tutti gli atomi di un dato elemento sono identici. 3. Gli atomi di elementi differenti hanno proprietà differenti (compresa la massa) 4. Le reazioni chimiche non riescono a mutare gli atomi di un elemento in quelli di un altro; nel corso delle reazioni chimiche gli atomi non si creano né si distruggono. 5. I composti traggono origine dalla combinazione di atomi di almeno due elementi. 6. In un dato composto il numero relativo e la specie degli atomi sono costanti. La legge di Avogadro, 1811 Volumi uguali di gas diversi, nelle stesse condizioni di temperatura e pressione, contengono lo stesso numero di molecole La legge di Gay-Lussac, 1808 Data la reazione fra due gas, i volumi dei reagenti e dei prodotti gassosi stanno fra di loro in rapporto come numeri interi semplici (misurati a parità di pressione e temperatura). Le relazioni tra i volumi di gas che reagiscono tra di loro (a P, T cost) sono analoghe ai rapporti di combinazione tra le sostanze 2 vol. di idrogeno più 1 vol. di ossigeno producono 2 vol. di acqua (vapore) 2 H2 + O2 → 2H2O Dedusse, inoltre che le molecole di idrogeno, ossigeno, cloro e azoto dovevano essere biatomiche PARTICELLE SUBATOMICHE Numerosi esperimenti condotti fin dalla fine del XIX secolo hanno evidenziato che gli atomi sono costituiti da particelle più piccole, definite subatomiche. In un tubo sotto vuoto in presenza di un gas rarefatto l’applicazione di una scarica elettrica prodotta da due elettrodi provoca una scarica definita raggio catodico (perché si muove dal catodo all’anodo). Tale raggio è composto da cariche negative (perché si muovono dal polo negativo al polo positivo) ed è capace di caricare negativamente un materiale colpito da esso. Il fatto che i raggi catodici riuscissero a muovere una paletta posta sul loro cammino indicava che essi avevano una massa. Esperimenti di Thomson I risultati sperimentali mediante studi su raggi catodici con applicazione di campi elettrici e campi magnetici consentirono di individuare il rapporto tra la carica e la massa dell’elettrone (e/m) che risultò essere 1.76 x 108 coulomb/g. A questo punto bastava determinare o la carica dell’elettrone o la massa dell’elettrone per poter risalire all’altra quantità. Apparecchio di Millikan Millikan nel 1909 mise a punto un esperimento detto «della goccia d’olio» con cui determinò la carica dell’elettrone che risultò pari a 1.60 x 10-19 C. Protoni La materia è di solito elettricamente neutra, pertanto, è ragionevole pensare che anche gli atomi di cui essa è formata siano neutri; di conseguenza si deve ammettere che negli atomi siano presenti anche particelle con carica elettrica positiva. Si è potuto verificare che queste particelle: • hanno una massa molto più grande di quella degli elettroni (1836 volte di più); • possiedono una carica positiva che è sempre un multiplo intero del valore della carica dell’elettrone. Protoni Thomson formulò il primo modello atomico, in cui si supponeva che gli elettroni costituissero una porzione dell’atomo carica negativamente. Erano particelle con carica negativa ed immerse in una matrice uniformemente carica di carche positive. Modello atomico di Rutherford Rutherford suggerì che ogni atomo possedesse un nucleo dotato di carica positiva, circondato da un certo numero di elettroni. Poiché un elettrone è dotato di carica negativa pari ad e, se un atomo possiede Z elettroni la carica del nucleo dovrà essere Ze. In un atomo neutro protoni ed elettroni sono presenti in uguale numero. Se un atomo neutro perde uno o più dei suoi elettroni, si trasforma in uno ione carico positivamente. Se un atomo neutro accetta uno o più elettroni, diventa uno ione carico negativamente. Quello che rende qualitativamente e quindi chimicamente diversi gli atomi di elementi diversi è il numero di protoni che questi possiedono. Questo numero è Z e si chiama numero atomico. Ogni elemento presenta un diverso valore di Z. Neutroni Nel 1932 Chadwick scoprì un’altra particella subatomica (neutrone) con massa di 1.68 x 10-27 Kg, cioè circa uguale a quella del protone, ma priva di carica. Protoni e neutroni si trovano insieme nel nucleo e per tale motivo si indicano collettivamente come nucleoni. I neutroni funzionano come «colla» perché la loro presenza permette di tenere insieme più protoni. L’unico nucleo a non avere bisogno di neutroni è quello dell’idrogeno perché formato da un solo protone. La massa dei protoni e neutroni è molto più grande di quella degli elettroni (circa 1/1000 più piccolo). Numero di massa Il numero dei nucleoni (protoni + neutroni) posseduto da un atomo si definisce numero di massa (A). Z è il numero atomico e definisce il numero di protoni. Il numero di elettroni posseduti da un atomo è pari al numero di protoni presenti nel nucleo. Un nuclide è una specie definita da un preciso valore di Z e A. Pertanto il numero dei neutroni (N) è dato da N = A – Z. 1. l’elemento è definito e riconosciuto in base al numero atomico (Z); 2. Il numero di protoni è dedotto dal numero atomico (Z) dell’elemento; 3. Il numero degli elettroni equivale al numero di protoni; 4. Gli elettroni sono di dimensioni molto più piccole dei protoni e dei neutroni; 5. Gli elettroni sono confinati in regioni di spazio ben definite; 6. I protoni sono compatti nel nucleo insieme ai neutroni; 7. Il numero di neutroni si deduce dal numero di massa (A). Il numero di protoni presenti nel nucleo (numero atomico, Z) identifica l’elemento cui è stato associato il simbolo chimico e la posizione nella tavola periodica. Il numero di elettroni posseduti da un atomo è pari al numero di protoni presenti nel nucleo in modo da rendere l’atomo elettricamente neutro. Il numero di elettroni è fondamentale nel determinare le proprietà chimiche dell’elemento e la sua reattività. Il numero atomico cresce progressivamente di un’unità, definendo gli elementi che conosciamo, dall’elemento con numero atomico 1 a quello con numero atomico 92. livello energetico n, esiste un solo orbitale s; se ℓ = 1 (orbitali p, presenti solo dal secondo livello energetico n = 2 in poi), m potrà essere –1, 0 o +1, il che vuol dire che gli orbitali p di ogni livello sono 3, orientati diversamente nello spazio, rispetto alle 3 coordinate e vengono perciò indicati con una lettera (x, y o z) corrispondente alla coordinata lungo la quale sono orientati: px, py e pz; se ℓ = 2 (orbitali d), m potrà essere –2, –1, 0, +1 e +2, per cui esisteranno 5 diversi orbitali d; se ℓ = 3 (orbitali f) m sarà –3, –2, –1, 0, +1, +2, +3 ed esisteranno 7 diversi orbitali f. Orbitale s: in ogni livello energetico troviamo un solo orbitale s (che può contenere 0, 1 o 2 elettroni). Orbitali p: a partire dal 2° livello, ogni livello presenta 3 orbitali p diversi (aventi cioè orientamento spaziale diverso), che possono contenere fino a un massimo di 6 elettroni (2 per ogni orbitale). Gli orbitali d, presenti nel 3°, 4°, 5° e 6° livello, sono in tutto 5 e possono contenere complessivamente fino a 10 elettroni. Numero quantico di spin (ms ): può assumere solo due valori: +1/2 o –1/2; secondo il modello dell’elettrone rotante, lo spin indica il senso di rotazione dell’elettrone sul proprio asse, in senso orario o in senso antiorario. Due elettroni che hanno la stessa serie di numeri quantici n, ℓ e m (ossia che occupano lo stesso orbitale) non possono avere lo stesso numero quantico di spin (principio di esclusione di Pauli), devono cioè avere spin opposto. Ogni orbitale può essere pertanto occupato al massimo da due elettroni, i quali devono avere spin opposto. Configurazioni elettroniche L’elettrone, dotato di carica elettrica negativa, è attratto dal nucleo (positivo), dal quale può allontanarsi in funzione dell’energia che possiede. Più energia possiede e tanto più riesce ad allontanarsi dal nucleo. Pertanto, la dimensione dell’orbitale è proporzionale al contenuto energetico degli elettroni in esso contenuti. Il numero quantico principale n definisce la dimensione e il contenuto energetico dell’orbitale. Negli atomi che possiedono più di un elettrone, all’azione attrattiva del nucleo si somma anche l’azione di repulsione reciproca degli elettroni (cariche di ugual segno si respingono), per cui in uno stesso livello energetico gli orbitali e hanno un contenuto energetico inferiore agli orbitali p, gli orbitali p inferiore agli orbitali d e questi ultimi inferiori agli orbitali f. Quando il numero di elettroni è elevato (dal 4° livello energetico in poi) può capitare che un orbitale appartenente a un livello energetico inferiore (per esempio un orbitale 3d) abbia un contenuto energetico superiore a un orbitale (di diverso tipo) appartenente a un livello energetico superiore (nell’esempio, 4s). Nel suo stato fondamentale, ogni atomo dispone gli elettroni all’interno degli orbitali in ordine crescente di energia. Per stato fondamentale (o stazionario) di un atomo si intende la condizione di minima energia che contraddistingue l’atomo, in contrapposizione allo stato eccitato, nel quale gli elettroni, assorbendo energia, possono passare a livelli energetici superiori, per poi ritornare allo stato fondamentale (emettendo l’energia assorbita sotto forma di fotoni). Regola di Hund Gli elettroni appartenenti allo stesso sottolivello (p, d o f ), nella condizione di maggior stabilità dell’atomo (condizione di minor energia), tendono ad assumere spin parallelo (regola di Hund) e, poiché in un orbitale possono “convivere” due elettroni solo se hanno spin opposto (antiparallelo), ogni orbitale del sottolivello viene prima occupato da un solo elettrone e il secondo elettrone completa l’orbitale solo se prima tutti gli orbitali del sottolivello contengono già un elettrone. Regole di riempimento degli orbitali: 1. Ogni orbitale può contenere non più di due elettroni; 2. Vengono riempiti per primi gli orbitali del primo livello, poi quelli del secondo, del terzo e così via, tenendo presente che di ogni livello vengono riempiti prima gli orbitali s (a minor contenuto energetico), poi gli orbitali p (presenti dal secondo livello energetico in poi), poi gli orbitali d e, infine, gli orbitali f; 3. Esiste un solo orbitale s per ogni livello, che può contenere fino a due elettroni; dal secondo livello al settimo troviamo gli orbitali p (3 per livello, possono contenere in totale fino a un massimo di 6 elettroni); dal terzo al sesto livello troviamo gli orbitali d (5 per livello, contengono in totale fino a 10 elettroni); al quarto e al quinto livello troviamo 7 orbitali f (che possono contenere fino a 14 elettroni); Regole di riempimento degli orbitali: 4. Il riempimento degli orbitali p, d ed f rispetta la regola di Hund, per cui prima si riempiono con un solo elettrone tutti gli orbitali di un sottolivello poi si aggiunge il secondo elettrone a ogni orbitale; 5. L’ordine di riempimento degli orbitali (sottolivelli) d ed f si incrocia con l’ordine di riempimento dei rispettivi livelli, per cui gli orbitali d di un livello (dal terzo al sesto) vengono riempiti dopo l’orbitale s del livello successivo. 3d viene dopo 4s (la sequenza è: 4s 3d 4p...) Integrando tutte queste regole, risulterà il seguente ordine di riempimento degli orbitali: 1s 2s 2p 3s 3p 4s 3d 4p 5s 4d 5p 6s 4f 5d 6p 7s 5f 6d 7p Tavola periodica I gruppi sono 8 e sono identificati dai numeri romani (I-VIII). Fra il gruppo II e il gruppo III si trovano gli elementi di transizione. In fondo alla tavola periodica ci sono due file di 14 elementi metallici costituenti le serie dei lantanidi e degli attinidi. Ordinando gli elementi secondo il valore crescente della loro massa atomica, si notò che le proprietà chimiche cambiano radicalmente dal litio (Li) al fluoro (F). Dal sodio (Na) le proprietà si ripetono in modo simile. Le proprietà chimiche degli elementi variano in maniera periodica in funzione della loro massa atomica. Tavola periodica: è uno schema di classificazione in cui si tiene conto contemporaneamente della massa atomica e della ripetitiva comparsa di determinate caratteristiche. Il primo esempio moderno di classificazione si deve a Mendelev. A lui si deve la suddivisione in gruppi (colonne) e periodi (righe). Egli privilegiò il criterio della periodicità delle proprietà chimiche rispetto a quello della massa crescente. Poté così prevedere le proprietà di elementi ancora sconosciuti e scoperti anni dopo. Oggi è noto che la comparsa periodica di comportamenti chimici simili è da attribuire alla configurazione elettronica esterna. Elementi dello stesso gruppo hanno uguale numero di atomi nello strato più esterno. La tavola periodica è divisa in periodi e gruppi, in cui sono incasellati tutti gli elementi chimici. Le righe della tavola vengono chiamate periodi, il numero degli elementi che sono contenuti nei periodi dipende direttamente dagli strati e sottostrati che ospitano gli elettroni. Dunque il primo periodo ha solo due elementi (idrogeno, H, e elio, He): sono gli elementi con numero atomico 1 e 2 rispettivamente, che possiedono un solo strato ed un solo orbitale (1s) per sistemare i loro elettroni (1 per l’idrogeno e 2 per l’elio). Il secondo e il terzo periodo hanno identico andamento: contengono 8 elementi in totale e possono essere suddivisi in due blocchi: 2 elementi posizionati all’estremità sinistra, che hanno caratteristiche metalliche e 6 nella parte destra. Gli elementi che appartengono al secondo periodo possiedono 2 strati (1 e 2) dove sistemare gli elettroni. Il secondo strato a sua volta è suddiviso in due sottostrati (2s e 2p) che vengono progressivamente riempiti di elettroni man mano che il numero atomico cresce; quindi, man mano che ci si sposta da sinistra a destra nel periodo. Gli elementi con Z 3 e 4 posizionati a sinistra avranno un totale di 3 e 4 elettroni da sistemare negli orbitali (i primi 2 e - riempiranno il primo strato (1s) e i rimanenti passeranno al secondo strato (2) nel sottostrato s. Gli elementi del blocco di destra, con numero atomico progressivamente crescente da 5 a 10, sistemeranno gli e - nel secondo strato (2) occupando gli orbitali del sottostrato p. Lo stesso andamento si ripete per il 3° periodo. Sistema periodico degli elementi: periodi Il 4° e 5° periodo contengono 18 elementi e presentano un andamento differente dai periodi precedenti, ma identico tra loro. Sono suddivisi in tre blocchi: il blocco che contiene le prime due colonne a sinistra (4s), il blocco centrale (3d) che contiene 10 elementi, il blocco a destra di 6 elementi (4p). Schema che si ritrova nei periodi della tavola periodica: -1° periodo: 2 elementi -2° e 3° periodo: 8 elementi (2+ 6) -4° e 5° periodo: 18 elementi (2+10+6) - 6° periodo: 32 elementi (2+ 10+ 14+6). Elementi dello stesso gruppo che appartengono a periodi differenti avranno un numero di elettroni dello strato più esterno IDENTICO (definito dal periodo). Dal momento che il comportamento chimico degli elementi è determinato dagli e - dello strato esterno, gli elementi appartenenti allo stesso gruppo mostreranno un comportamento chimico simile (ma non IDENTICO!). Proprietà degli elementi Le proprietà degli elementi variano con regolarità lungo la tavola periodica in base alla variazione periodica della configurazione elettronica. Sono proprietà periodiche il raggio atomico, l’energia di ionizzazione, l’affinità elettronica e l’elettronegatività. Il raggio atomico (Å) è la metà della distanza minima di avvicinamento tra due atomi dello stesso elemento. Il raggio atomico aumenta lungo un gruppo e diminuisce lungo un periodo. L’energia di ionizzazione (kJ/mol) è l’energia necessaria per rimuovere un elettrone da un atomo isolato. L’energia di ionizzazione aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo. L’affinità elettronica è l’energia che si libera quando un atomo in fase gassosa cattura un elettrone. L’affinità elettronica aumenta lungo un periodo e diminuisce lungo un gruppo. L’elettronegatività di un elemento misura la sua tendenza ad attrarre gli elettroni di legame da un altro elemento. L’elettronegatività aumenta lungo un periodo, e diminuisce lungo un gruppo. In generale, elementi dello stesso periodo hanno proprietà che cambiano in maniera progressiva lungo il periodo. Hanno un numero atomico, quindi elettroni, che cresce progressivamente da sinistra verso destra, arrivando a completare l’ottetto con l’ultimo elemento del periodo. Se si considerano i gruppi (le colonne), gli elementi che appartengono allo stesso gruppo sono caratterizzati dalla stessa identica sequenza di riempimento degli orbitali in strati e sottostrati. Metalli, non metalli e semimetalli A seconda delle loro proprietà fisiche e chimiche gli elementi si possono suddividere in metalli, non metalli e semimetalli. I metalli sono più di 80 e occupano la parte sinistra della tavola periodica. Gli elementi metallici sono solidi, duri, lucenti, malleabili, duttili e conducono calore ed elettricità. Le proprietà chimiche dei metalli dipendono dalla loro tendenza a perdere elettroni diventando ioni positivi. Gli elementi del «blocco f», ovvero lantanidi e attinidi, hanno caratteristiche metalliche. Gli attinidi sono elementi di origine artificiale, instabili e radioattivi. I non metalli occupano la parte destra della tavola periodica. Le proprietà chimiche dei non metalli dipendono dalla loro capacità di accettare elettroni diventando ioni negativi. Gli elementi del gruppo VII sono detti alogeni. I semimetalli presentano sia comportamento metallico sia non metallico. I semimetalli si trovano lungo il confine che separa i metalli e i non metalli. Lezione 3 NUMERO DI OSSIDAZIONE Un atomo isolato è elettricamente neutro: il numero di elettroni è uguale a quello dei protoni • Quando un atomo si lega ad altri atomi per formare una molecola la sua elettroneutralità viene perturbata • Il caso estremo è quello dei composti ionici: in tali composti, gli atomi costituenti hanno perso o acquistato elettroni diventando perciò ioni. Un esempio di questo genere è il composto NaCl, costituito da ioni Na+ e Cllegati fra loro da forze puramente elettrostatiche • Non tutti i composti sono ionici, ma quando due atomi diversi sono legati, uno dei due tende ad attirare gli elettroni dell'altro verso il proprio nucleo. Se questo processo venisse portato all'estremo, l'atomo più elettronegativo assumerebbe una carica negativa mentre l'altro assumerebbe una carica positiva, proprio come in un composto ionico. Il numero di ossidazione (o stato di ossidazione) è un numero convenzionale, che può essere: POSITIVO, NEGATIVO, INTERO, NON INTERO, ZERO. Corrisponde all’ipotetica carica che acquisterebbe ogni atomo in una molecola se gli elettroni di legame fossero assegnati all’atomo più elettronegativo. ELETTRONEGATIVITA’: capacità di un atomo in una molecola di attirare su di sè gli elettroni di legame. VALENZA: n° di legami stabiliti da un atomo in una molecola PER CALCOLARE FACILMENTE IL N.O. DI UN ELEMENTO SONO STATE STABILITE DELLE REGOLE FISSE NUMERO DI OSSIDAZIONE 1) Il n.o. può essere positivo, negativo, zero, frazionario o intero 2) La somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi in una molecola neutra è sempre uguale a zero 3) La somma algebrica dei n.o. di tutti gli atomi di una specie ionica è uguale alla sua carica es: NH4 + = +1; PO4 3- = -3 4) Il numero di ossidazione di un elemento è sempre uguale a zero es: Hg, Na, K, Mg, Cl2 , Br2 , O2 , H2 , N2 , I2 . Nelle molecole biatomiche omonucleari non c’è differenza di ettronegatività tra i due atomi. In una qualsiasi molecola omonucleare (cioè formata da atomi dello stesso tipo) non ci possono essere (ovviamente) differenze nella tendenza ad attirare elettroni: ne segue che ciascun atomo non perde né acquista (neppure ipoteticamente) elettroni e quindi si trova esattamente come se fosse isolato. Il suo numero di ossidazione sarà dunque 0 anche in questo caso. 5) Per gli ioni monoatomici la carica coincide con il n.o. Tutti gli altri elementi possono avere diversi numeri di ossidazione. I più comuni sono riportati nella tavola periodica. In genere il numero di ossidazione più alto (da positivo a negativo) coincide con il gruppo di appartenenza. Formule chimiche Gli elementi chimici raramente in natura si trovano come tali. Nella maggior parte dei casi si combinano tra loro guidati dalla necessità di arrivare ad uno stato più stabile. Gli atomi si legano tra loro utilizzando gli elettroni dello strato più esterno formando sostanze o molecole attraverso un legame interesse, è dunque difficile individuare delle proprietà generali come per i composti ionici o i metalli. I composti covalenti si ritrovano a temperatura ambiente sia allo stato gassoso (es. metano, N2 , ammoniaca) che liquido (es. H2O, alcol etilico), o solido (es. zucchero da tavola). Sono generalmente cattivi conduttori sia di calore che di elettricità, poiché gli elettroni condivisi nel legame sono localizzati tra gli atomi e non sono liberi di muoversi. La solubilità, lo stato fisico, il punto di ebollizione e di fusione dipendono dalle forze intermolecolari presenti tra le molecole. La tipologia di legame covalente (polare o apolare) è responsabile delle forze intermolecolari in gioco e spiega le proprietà dei composti covalenti caso per caso. Elettronegatività e polarità di legame Quando il legame si stabilisce tra atomi dello stesso elemento si parla di legame omopolare. Il legame covalente si dice polare quando si stabilisce tra elementi differenti tra cui esiste una differenza in termini di elettronegatività. L’elettronegatività di un atomo è l’abilità dello stesso in una certa molecola di attrarre elettroni verso di sé. Un atomo molto elettronegativo tenderà sia ad attrarre elettroni di un altro atomo sia a non farsi strappare elettroni. I valori numerici di elettronegatività ricavati da Pauling vanno da un massimo di 4.0 per il fluoro (F) ad un minimo di 0.7 per il Cesio (Cs). Sono misure approssimate delle tendenze relative degli atomi di attrarre elettroni nei legami chimici. Le coppie di elettroni di un legame covalente tra due atomi differenti non sono condivise in modo uguale. Solo nel caso di atomi uguali le coppie di legame sono ugualmente condivise (come in H2 , Cl2 , N2 ). Il caso opposto è quello del legame ionico, dove non vi è compartecipazione degli elettroni di legame, ma un trasferimento vero e proprio di questi ultimi da un atomo all’altro. Riassumendo: Legame covalente omopolare è quello in cui gli elettroni sono condivisi in modo uguale tra gli atomi. Legame covalente polare si verifica quando uno degli atomi esercita un’attrazione maggiore rispetto all’altro sugli elettroni di legame. Legame ionico se la forza di attrazione per gli atomi di legame è abbastanza grande. Le differenze di elettronegatività tra due atomi possono facilmente dare un’idea della maggiore o minore polarità di legame. Ad es: Nella molecola HF si ha una condivisione non uguale degli elettroni di valenza tra H ed F Ad es. l’elettronegatività del Cloro nei composti PCl3 e ClO4 - può differire sensibilmente perché varia il suo contorno chimico Quanto maggiore è la differenza di elettronegatività tra due atomi, maggiore è il carattere polare del legame. Legame di coordinazione (o dativo) Il legame covalente di coordinazione si stabilisce quando il doppietto di legame è fornito interamente da uno solo degli atomi che partecipano al legame. Il secondo atomo mette a disposizione un «opportuno» orbitale capace di alloggiare tali elettroni. Il legame metallico (Metallo con Metallo) Gli elettroni di valenza sono messi in comune tra molti atomi. - Nel più semplice modello del legame metallico, tutti gli atomi mettono in comune i loro elettroni di valenza in un “mare” di elettroni uniformemente distribuito. - A differenza del legame covalente, gli elettroni sono “delocalizzati”, ossia si muovono liberamente in tutto il campione di metallo. Il legame metallico è caratterizzato da nuclei carichi positivamente che sono tenuti insieme da interazioni elettrostatiche molto forti con gli elettroni degli strati esterni che «fluttuano» attorno ad essi. E’ caratteristico dei soli metalli, le cui proprietà derivano in prima istanza dal mare di elettroni che circonda i nuclei. In genere hanno le seguenti caratteristiche: - composti solidi a temperatura ambiente (eccezione il mercurio), flessibili, duttili e malleabili: si ha regolarità ma non rigidezza nella disposizione dei cationi metallici, che scorrono l’uno accanto all’altro attraverso il mare di elettroni ma senza respingersi. - Generalmente presentano alte temperature di fusione e altissime temperature di ebollizione: le interazioni elettrostatiche tra nuclei ed elettroni sono fortissime e quindi sono richieste elevatissime energie per separare ciascun catione metallico e i suoi elettroni da tutti gli altri. - Conducono l’elettricità e il calore: la mobilità degli elettroni consente di trasportare cariche elettriche nella conduzione dell’elettricità o di trasferire energia nella conduzione del calore; - Sono lucenti e caratterizzati dal tipico “colore metallico”: la luce, data la natura del legame metallico che rende estremamente compatta la struttura, non riesce a penetrare oltre la superficie e viene riflessa, conferendo al metallo il tipico aspetto. Strutture di Lewis Il numero e la disposizione degli elettroni esterni che ogni atomo mette in gioco nella formazione del legame viene efficacemente rappresentato dalle strutture di Lewis. Le strutture di Lewis consentono di convertire la formula molecolare in una struttura bidimensionale. Mostra come gli atomi sono legati tra loro. Ogni elettrone esterno (dei sottolivelli s e p) viene rappresentato con un puntino ( ); ∙ una coppia di elettroni (doppietto) si rappresenta con due puntini ( ) o con un trattino (-). Gli elettroni ∙∙ spaiati o accoppiati si dispongono attorno al simbolo dell’elemento in una rappresentazione detta diagramma a punti. Regola dell’ottetto La configurazione elettronica caratterizzata dalla disposizione di otto elettroni s 2p 6 prende il nome di ottetto. E’ una configurazione di grande stabilità e cioè di basso contenuto di energia. Quando due o più atomi si legano, acquistano, perdono o mettono in compartecipazione elettroni per realizzare una tale configurazione esterna (REGOLA DELL’OTTETTO). Fanno eccezione a questa regola l’idrogeno e i metalli di transizione che possono impegnare anche orbitali di tipo d. Gli elementi del gruppo VIII A sono molto stabili e di conseguenza hanno bassa reattività e proprio per questo vengono chiamati gas nobili o gas inerti. La loro grande stabilità è da attribuire alla configurazione elettronica esterna ns2 np6 (ottetto) per cui il chimico statunitense Gilbert Lewis suppose che anche gli altri atomi tendessero a raggiungere detta configurazione elettronica esterna attraverso la formazione di legami chimici per avere alta stabilità, bassa energia e bassa reattività. Regole per scrivere le strutture di Lewis: 1. Indicare tutti gli elettroni di valenza. Se una specie è uno ione, si aggiunge un e - per ogni carica negativa, si sottrae per ogni carica positiva; 2. Ad eccezione dell’H e degli atomi della II riga (P, S) vale la regola dell’ottetto; 3. Le cariche formali si attribuiscono dividendo i legami in parti uguali e contando il n° degli e - che compete ad ogni atomo; 4. Se non ci sono abbastanza e - per dare l’ottetto all’atomo centrale, si assegnano legami multipli; 5. Una convenzione sostituisce ciascun doppietto di e- con una linea. Regole per scrivere le strutture di Lewis; 6. Eccezioni alla regola dell’ottetto: atomi del GRUPPO IIIA (ad esempio Boro e Alluminio) possono dare composti neutri e covalenti con solo 6 e - di valenza. b) atomi della seconda riga (ad esempio Zolfo e Fosforo) possono avere più di 8 e - nel guscio di valenza. Strutture di risonanza Non sempre una sola struttura di Lewis descrive adeguatamente la struttura reale. Molte molecole e ioni sono descritti nel modo migliore scrivendo due o più strutture di Lewis e considerando che la vera molecola o ione sia costituita dalla “mescolanza” di queste strutture. Le strutture contribuenti sono interconnesse con una freccia a doppia punta e differiscono tra loro solo per la posizione degli e- . La molecola reale è un ibrido di risonanza. Le strutture di risonanza sono tutte “equivalenti” dal punto di vista energetico e quindi contribuiscono in ugual misura all’ibrido di risonanza. Geometria molecolare Le molecole hanno geometrie spaziali ben definite caratterizzate da distanze di legame ed angoli di legame. Questi possono essere determinati sperimentalmente (es. raggi X). Si vede che molecole con formula simile possono avere geometrie totalmente diverse, come ad esempio CO2 e H2O. Le formule di Lewis non danno alcuna indicazione sulla geometria molecolare ma solo su come gli atomi sono connessi fra di loro da legami. Lineare OĈO = 180° Piegata HÔH = 10. Le proprietà chimiche e in particolare la reattività chimica di una molecola, o di uno ione poliatomico, sono determinate spesso dalla loro disposizione spaziale, ovvero dalla geometria. La geometria dipende: - dal numero degli atomi costituenti - dalla lunghezza del legame che unisce gli atomi - in particolare, dall’angolo che i legami formano tra loro. L’angolo di legame e la disposizione spaziale degli atomi può essere efficacemente determinato utilizzando il modello VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion, ovvero repulsione tra le coppie elettroniche di valenza). Secondo questo modello l’angolo di legame dipende dal numero delle coppie elettroniche impegnate nel legame o libere (coppie solitarie o lone pair) e che circondano l’atomo centrale. Le coppie elettroniche che circondano l’atomo centrale tendono infatti a respingersi, essendo cariche dello stesso segno, e a disporsi il più lontano possibile le une dalle altre. La geometria molecolare vera e propria si riferisce alle posizioni degli atomi e non delle coppie solitarie. Essa è quindi determinata direttamente solo dalla disposizione delle coppie leganti in quanto solo a queste corrisponde un atomo legato all’atomo centrale. Tuttavia, la presenza di coppie solitarie altera la disposizione delle coppie leganti e pertanto influenza indirettamente la geometria molecolare. Struttura del metano Usando le regole empiriche non si spiega la struttura del metano considerando la configurazione elettronica esterna. Dalla configurazione sopra rappresentata il C potrebbe formare due legami solo con due atomi di H. Così facendo il C non raggiungerebbe l’ottetto, ma avrebbe solo 6 e - intorno. Si promuove un elettrone da un orbitale s ad un orbitale superiore p. si ottengono 4 orbitali, ciascuno con un e - spaiato. A questo punto il C potrebbe formare 4 legami singoli con 4 atomi di H, uno con l’orbitale s e gli altri 3 con gli orbitali p. N.B. si formerebbero 4 legami con lunghezza diversa. Sperimentalmente però è stato osservato che tutti e quattro i legami hanno la stessa lunghezza. Ibridazione degli orbitali I quattro orbitali si «mescolano» tra loro e producono 4 orbitali ibridi identici. Il numero degli orbitali ibridi è sempre uguale al numero degli orbitali atomici combinati. Dall’ibridazione di 1 orbitale s e 3 orbitali p si ottengono 4 orbitali ibridi sp3 . Orbitali ibridi e geometria del metano a) 1 orbitale s combinato con 1 orbitale p produce 2 orbitali ibridi sp con geometria lineare (angoli 180°). Restano due orbitali p non ibridati b) 1 orbitale s e 2 orbitali p portano a 3 orbitali ibridi sp2 con geometria triangolare (angoli 120°). Resta 1 orbitale p non ibridato c) 1 orbitale s e 3 orbitali p formano 4 orbitali sp3 con geometria tetraedrica (angoli di 109.5°) Lezione 5 I legami intermolecolari e lo stato fisico Forze di Wan der Waals (Molecole Polari) - Legame a ponte idrogeno (presente solo nelle molecole in cui sono presenti legami principali H-F, H-O, H-N) - Legame dipolo-dipolo (presente nelle molecole polari che non sono in grado di formare legami idrogeno) - Legame ione-dipolo (si formano tra ioni e dipoli) - Legame dipolo-dipolo indotto (Molecole Apolari) - Forze di London. Legame dipolo-indotto-dipolo indotto (si formano tra molecole apolari, dove non ci sono dipoli permanenti). I legami intermolecolari e lo stato fisico Le energie delle forze intermolecolari, rispetto a quelle di un legame covalente carbonio-carbonio, sono nettamente più deboli. Variano all’incirca d’un minimo di 0.05% per i legami dipolo-dipolo ad un massimo di circa il 5% per i legami a idrogeno rispetto ad un legame carbonio-carbonio. Tuttavia le forze intermolecolari hanno un effetto additivo e, benchè estremamente deboli, se cumulate, possono diventare di entità rilevante, tale da giustificare lo stato di aggregazione del composto. Le forze di van der Waals Sono forze intermolecolari molto deboli che si formano a causa della distribuzione non simmetrica della nuvola elettronica attorno agli atomi o alle molecole. Possono essere definite forze di contatto perché direttamente proporzionali alla superficie di contatto delle molecole. Gli elettroni sono in continuo movimento e ciò può generare dei dipoli elettrici. Le molecole risentono di interazioni elettrostatiche di segno opposto. Questi dipoli temporanei si modificano velocemente a causa del continuo movimento degli elettroni, ne consegue che le forze elettrostatiche sono piuttosto deboli. Legame a idrogeno E’ un’attrazione elettrostatica fra l’atomo di Idrogeno di una molecola e l’atomo più elettronegativo di un’altra molecola (O, F, N). E’ il legame secondario più intenso fra tutti (energia di legame ≈ 10 ÷ 30 kJ/mol) ed ha una direzione preferenziale (nello stato solido le sostanze saranno cristalline) Nell’acqua O è parzialmente negativo, mentre i due H sono parzialmente positivi. Quando due molecole di acqua si avvicinano, si stabilisce un’attrazione elettrostatica fra O di una di esse e un H dell’altra. Si forma così un legame a idrogeno fra le due molecole. H2O, NH3 , HF hanno T di fusione ed ebollizione più alta degli altri idruri dei gruppi corrispondenti grazie alla presenza del legame idrogeno. Legame dipolo-dipolo Si forma in molecole polari che possiedono un dipolo permanente. - Si stabilisce un’attrazione elettrostatica fra la parte d+ di una molecola e la parte d- di un’altra molecola.- In una sostanza polare le molecole hanno momenti dipolari permanenti, per cui tendono ad allinearsi verso l’estremità negativa del dipolo vicino. Sono forze generalmente deboli 3-10 kJ/mol. Generalmente solubili in acqua con la quale formano interazioni dipolo – dipolo. A temperatura ambiente sono aeriformi se la MM è bassa o liquidi se la molecola è più pesante. Legame ione-dipolo Queste forze sono responsabili delle interazioni che determinano la solubilità delle sostanze ioniche in soluzioni acquose. • Per esempio il dipolo della molecola di acqua interagisce con la carica elettrica degli ioni che costituiscono il reticolo ionico riuscendo a distaccarli e a portarli in soluzione. Molecole con un momento di dipolo elettrico possono provocare, in molecole non polari ma polarizzabili, l’induzione di un dipolo temporaneo. Si hanno interazioni dipolo – dipolo indotto. raggiunge uno stato di equilibrio dinamico. La pressione parziale esercitata dal vapore in condizioni di equilibrio con il suo liquido è chiamata tensione di vapore. Lo stato di equilibrio è una funzione di stato: non dipende dalla forma del recipiente, dalla quantità di liquido, ecc. La tensione di vapore di una sostanza dipende dalla temperatura. Al crescere della temperatura aumenta l’energia cinetica molecolare e quindi la tendenza delle molecole a sfuggire dal liquido. Di conseguenza la tensione di vapore aumenta all’aumentare della temperatura. Un liquido (o un solido) è detto volatile se ha una elevata tensione di vapore a temperatura ambiente. Si chiama punto di ebollizione la temperatura alla quale la tensione di vapore del liquido uguaglia la pressione esterna (pressione atmosferica). Il punto di ebollizione dipende dalla pressione esterna. Ad esempio l’acqua bolle a 100°C ad 1 atm ma a 95°C a 0,83 atm. Il punto di ebollizione normale di un liquido è il punto di ebollizione alla pressione esterna di 1 atmosfera. Lo stato liquido: tensione superficiale Le forze intermolecolari presenti nei liquidi sono responsabili del fenomeno chiamato TENSIONE SUPERFICIALE. Considerando le molecole sulla superficie del liquido, queste risentiranno delle forze intermolecolari solo dalla parte interna dello stesso, mentre verso l’alto interagiranno solo con l’aria. Se le forze intermolecolari verso l’interno (attrazione liquido-liquido) sono più intense rispetto alle forze intermolecolari che si instaurano tra liquido e aria, allora le prime prevarranno e le molecole della superficie del liquido saranno attratte verso l’interno. Questo fenomeno si chiama tensione superficiale e sulla superficie del liquido si forma come un reticolo, in grado di sorreggere alcuni oggetti leggeri o alcuni piccoli insetti. La superficie dei liquidi è liscia perché le forze intermolecolari tendono ad attrarre le molecole tra loro e verso l’interno. La tensione superficiale di un liquido è la risultante dell’attrazione verso l’interno, che organizza le molecole nel loro insieme e forma la superficie liscia. Grazie ai suoi legami a idrogeno, la tensione superficiale dell’acqua è circa tre volte maggiore di quella della maggior parte dei liquidi comuni. Lo stato liquido: tensione superficiale I liquidi presentano un comportamento particolare quando si trovano in gocce: anziché allargarsi, queste tendono ad assumere forma sferica. E’ una proprietà dovuta alle forze intermolecolari: le molecole che si trovano all’interno sono sottoposte all’attrazione da parte delle molecole che le circondano, mentre quelle alla superficie sono attratte solo da quelle sottostanti. Le gocce d’acqua assumono una forma sferica che è quella che presenta la minima superficie di contatto con l’aria. La tensione superficiale di un liquido è l’energia necessaria per far aumentare di un’unità la sua area superficiale. La tensione superficiale varia a seconda del liquido e della superficie con cui sono a contatto. Inoltre, la tensione superficiale diminuisce all’aumentare della temperatura perché l’agitazione termica delle molecole attenua i legami intermolecolari. La tensione superficiale di un liquido può essere diminuita con l’aggiunta di tensioattivi (saponi, detergenti, etc.) che favoriscono il contatto tra il liquido e la superficie. Le molecole dei tensioattivi contengono una lunga catena apolare e un’estremità polare. La parte polare si immerge tra le molecole dell’acqua mentre la parte apolare rimane fuori dal liquido. Grazie ai tensioattivi si riescono a formare le bolle di sapone: il sapone abbassa la tensione superficiale dell’acqua consentendo all’aria di essere incorporata. Come si forma una bolla di sapone? Una bolla di sapone è costituita da una sottile pellicola di acqua racchiusa tra due strati di molecole di sapone con le teste polari rivolte verso l’acqua e le teste apolari verso l’aria (l’aria è costituita da molecole biatomiche, quali N2 e O2 , caratterizzate da legami covalenti apolari e quindi idrofobe). Questi due strati rendono stabile la bolla diminuendo la tensione superficiale ed evitando l’evaporazione. Per verificare che le code idrofobe siano esposte all’esterno della bolla, si può preparare una bolla e deporla su una superficie senza farla scoppiare. Molto delicatamente si può appoggiare una gocciolina di acqua: questa scivolerà via a causa della repulsione dovuta alla porzione idrofoba. Lo stato liquido: capillarità Un’altra proprietà dei liquidi è la capillarità. Se in una bacinella contenente dell’acqua immergiamo un tubo sottile, osserviamo che l’acqua sale nel tubo oltre il livello di superficie dell’acqua stessa e la salita è tanto maggiore quanto più piccolo è il diametro del tubo. Il fenomeno è dovuto alle forze di attrazione tra le molecole dell’acqua e il tubo: se questo è piccolo queste forze superano quelle che si esercitano tra le molecole dell’acqua stessa. Alla capillarità è dovuta l’azione della carta assorbente, del cotone idrofilo, la distribuzione delle sostanze nutritive del terreno nelle piante… Lo stato solido Come i liquidi, i solidi possiedono un proprio volume, ma a differenza di questi possiedono una forma propria. Questo accade perché nel caso dei solidi le molecole si limitano a vibrare sugli assi di legame e in un volume piccolissimo. Questo giustifica la rigidità e la impenetrabilità relativa dei solidi. Sulla base del tipo di legame che aggrega le unità costitutive, i solidi vengono classificati in: • cristallini in cui le particelle sono disposte in modo ordinato e regolare (sottoposti a riscaldamento fondono ad una temperatura ben definita). • amorfi in cui le particelle sono disposte disordinatamente. (rammolliscono progressivamente con l’aumentare della temperatura). Lo stato solido I cristalli ionici si formano in virtù dell’attrazione fra ioni con carica opposta. Sono fragili, presentano elevata temperatura di fusione, conducono elettricità allo stato fuso e in soluzione acquosa. I cristalli covalenti o solidi reticolari si formano grazie a una rete tridimensionale di legami covalenti fra gli atomi. Sono duri, hanno temperatura di fusione elevata, non conducono elettricità e non sono solubili in acqua. I cristalli metallici sono costituiti da atomi legati con legame metallico. Sono duttili, malleabili, conducono elettricità e calore. Le leghe sono soluzioni di più metalli allo stato solido. I solidi cristallini sono caratterizzati da una disposizione interna regolare di atomi, molecole o ioni. La cella elementare è l’unità più piccola che, ripetuta nelle tre dimensioni dello spazio, genera l’intero cristallo. I sistemi cristallografici sono sette: 1. cubico (diamante, oro, salgemma); 2. esagonale (grafite, smeraldo); 3. tetragonale (zircone); 4. trigonale (rubini, zaffiri, calcite); 5. rombico (topazio); 6. monoclino (crocoite); 7. triclino. I sette reticoli cristallini Lo stato solido: polimorfismo Cristalli che hanno la stessa composizione chimica, possono presentarsi con strutture cristalline diverse. Forme alternative di uno stesso elemento che si diversificano per il modo in cui gli atomi sono legati sono dette allotropi. Un esempio è il carbonio che presenta due forme allotropiche: • la grafite, con reticolo esagonale; • il diamante, con reticolo cubico. Lo stato solido: isomorfismo L’isomorfismo è il fenomeno per cui sostanze diverse formano cristalli aventi lo stesso reticolo. Quasi tutte le sostanze possono trovarsi in tutti e tre gli stati di aggregazione: solido, liquido, aeriforme. Lo stato in cui si trovano dipende dalla temperatura e dalla pressione a cui esse sono sottoposte. Nella maggior parte dei casi con l’aumento della temperatura le sostanze passano successivamente dallo stato solido a quello liquido e a quello aeriforme. Alcune sostanze possono passare direttamente dallo stato solido all’aeriforme o viceversa senza passare attraverso lo stato liquido. I cambiamenti di stato Il passaggio da solido a liquido prende il nome di fusione; quello inverso di solidificazione. Il passaggio da liquido ad aeriforme prende il nome di evaporazione se avviene solo in superficie, vaporizzazione se interessa tutta la massa. Il passaggio inverso è detto condensazione se l’aeriforme è un vapore, liquefazione se è un gas. Il passaggio diretto da solido ad aeriforme è detto sublimazione, il passaggio inverso brinamento. Tutti i passaggi di stato sono trasformazioni della materia che implicano un trasferimento di energia sotto forma di calore. Si chiama punto di solidificazione o punto di congelamento la temperatura alla quale un liquido si trasforma in un solido cristallino. Si chiama punto di fusione la temperatura alla quale un solido cristallino si trasforma in un liquido. Punto di congelamento e punto di fusione coincidono e corrispondono alle temperatura alla quale solido e liquido sono in equilibrio dinamico fra di loro: Contrariamente al punto di ebollizione il punto di fusione varia molto poco con la pressione. Sia il punto di fusione che quello di ebollizione sono caratteristici di una data sostanza. solido liquido I cambiamenti di stato: calore nelle transizioni di fase Una qualsiasi transizione di fase implica liberazione o assorbimento di energia sotto forma di calore. In particolare è richiesto calore per: -far fondere un solido (fusione) -far evaporare un liquido (evaporazione) -far evaporare un solido (sublimazione). Ovvero questi processi fisici sono endotermici(ΔH>0). Al contrario i processi inversi sono esotermici (ΔH <0) e producono la stessa quantità di calore I passaggi di stato dal solido al liquido e a quello gassoso avvengono quando forniamo energia termica (calore) al sistema: questa viene trasformata dalle molecole o dagli atomi del sistema in moto (energia cinetica). Più forti sono le interazioni interatomiche o intermolecolari e maggiore sarà l’energia che bisogna fornire per favorire il passaggio di stato. Continuando a somministrare energia le molecole/atomi aumenteranno il loro movimento e romperanno completamente le interazioni interatomiche/intermolecolari. Se al contrario si sottrae calore al sistema il movimento delle molecole diminuisce e le interazioni intermolecolari/interatomiche aumentano: il sistema passa dallo stato gassoso al liquido e poi a quello solido. Riscaldando una sostanza, sia essa solida, liquida o gassosa, il calore fornito provoca un aumento della temperatura. Durante la transizione di fase nel verso solido →liquido →gas, invece, il calore fornito serve per separare le molecole e la temperatura rimane costante fino a che tutta la sostanza non è passata alla fase successiva. Raffreddando una sostanza il calore viene sottratto e la temperatura diminuisce ma rimane costante durante una transizione di fase nel verso gas →liquido →solido Durante una transizione di fase permane una situazione di equilibrio, fin tanto che siano presenti entrambe le fasi, e la temperatura si mantiene costante. In condizioni particolari (di pressione e temperatura) alcune sostanze passano direttamente dallo stato solido a quello gassoso, senza passare dallo stato liquido intermedio: questo processo prende il nome di SUBLIMAZIONE. Lezione 7 Le Soluzioni Una soluzione è un sistema omogeneo costituito da almeno due componenti. Il componente maggioritario è solitamente chiamato solvente mentre i componenti in quantità minore sono chiamati soluti. Soluzioni gassose: in genere i gas possono mescolarsi in tutte le proporzioni per dare soluzioni gassose. Soluzioni liquide: sono le più comuni e sono ottenute nella maggior parte dei casi sciogliendo in un liquido un gas, un solido o altri liquidi. Soluzioni solide: sono principalmente leghe di due o più metalli. Le leghe di mercurio (l’unico metallo liquido) con altri metalli sono chiamate amalgame e possono essere sia liquide che solide). Le Soluzioni La formazione di una soluzione è dovuta a due fattori: •Aumento di entropia (fattore di disordine) •Forze intermolecolari di attrazione tra le molecole delle due sostanze (fattore energetico). Durante il processo si rompono i legami intermolecolari soluto-soluto e solvente- solvente. Si originano quindi legami soluto-solvente. La capacità di un soluto di sciogliersi in un dato solvente dipende quindi da molti fattori, tra cui i tipi di legami che si devono spezzare nel soluto e nel solvente e quelli che si possono formare nella soluzione. Solubilizzazione Il processo di solubilizzazione consiste nella dispersione nel solvente delle particelle che compongono il soluto. • Questo avviene se le interazioni fra le particelle di soluto e le particelle di solvente sono maggiori delle interazioni tra le particelle di soluto. La possibilità di formare soluzioni dipende quindi dall’entità delle interazioni tra molecole. I soluti ionici sono solubili in solventi polari. I soluti polari sono solubili in solventi polari. I soluti non polari (o leggermente polari) sono solubili in solventi non polari (o leggermente polari). Nella formazione di una soluzione, le molecole di solvente circondano le molecole di soluto. Tale fenomeno è chiamato solvatazione ed è dovuto alle attrazioni che si esercitano fra solvente e soluto. Quando il solvente è l’acqua, la solvatazione prende il nome di idratazione. Perché un solido si sciolga, occorre allontanare le molecole tra loro, rompendo tutte le interazioni attrattive che tengono insieme l’edificio cristallino. • Occorre quindi vincere le forze di attrazione tra le molecole, e per far questo bisogna fornire energia. Questa energia deriva in parte dall’azione del solvente: quando un solido si scioglie, significa che le molecole del solvente sono in grado di rimpiazzare le interazioni attrattive soluto- soluto con interazioni soluto-solvente. Solido ionico in solvente polare Il processo avviene mediante la solubilizzazione e la solvatazione degli ioni che compongono il reticolo cristallino. Cationi ed anioni attraggono il solvente ciascuno secondo la propria carica. Gli ioni in soluzione sono solvatati da molecole d’acqua. L’ interazione tra gli ioni in soluzione è molto minore rispetto allo stato solido perché la presenza delle molecole di acqua diminuisce l’interazione coulombiana. Il glucosio forma con l’acqua legami ad idrogeno. Da un cristallo si separano molecole idratate. Il glucosio viene solubilizzato in acqua grazie alla formazione di legami ponte idrogeno con le molecole d’acqua. Solido covalente polare in un solvente polare I solidi ionici si dissociano in anioni e cationi, mentre i solidi molecolari polari semplicemente si disperdono nella soluzione. Soluzioni acquose L’acqua e’ un ottimo solvente sia nei confronti di specie ioniche, a causa della polarita’ della sua molecola, sia nei confronti di specie molecolari contenenti gruppi polari, con le quali stabilisce interazioni dipolari o legame a idrogeno. E’ per questo che le soluzioni più importanti e più comuni sono quelle acquose. Equilibrio chimico Alcune reazioni terminano quando si sono consumati i reagenti. Esempi di reazioni in cui i reagenti si trasformano completamente nei prodotti: Reazione esplosiva della polvere da sparo-Reazione del sodio con l’ossigeno-Reazione di combustione del gas naturale. Quando le reazioni risultano incomplete e, soprattutto, sembrano non andare né avanti né indietro, si è in presenza di una trasformazione reversibile in equilibrio dinamico. Un sistema è in equilibrio quando non variano più le sue proprietà macroscopiche osservabili. L’equilibrio è dinamico perché è il risultato di due processi opposti che avanzano a uguale velocità. Equilibrio chimico: anche i prodotti reagiscono L’equilibrio chimico si raggiunge quando la velocità della reazione diretta reagenti → prodotti è uguale alla velocità della reazione inversa prodotti → reagenti L’equilibrio chimico si scrive: reagenti ⇄ prodotti. Equilibrio chimico: reversibilità della reazione chimica I reagenti non si consumano completamente ed i prodotti reagiscono tra loro per ridare i reagenti. Nella generica reazione: A + B → C + D i composti C e D, man mano che si formano, reagiscono tra loro per riformare i composti A e B, secondo la reazione: C + D → A + B possiamo scrivere: A + B ⇄ C + D. A + B ⇄ C + D Nelle reazioni reversibili avvengono contemporaneamente la reazione diretta, da sinistra verso destra, e la reazione inversa, da destra verso sinistra. A temperatura e pressione costanti, un sistema chimico chiuso è all’equilibrio se la concentrazione (o la pressione, se si tratta di gas) dei reagenti e dei prodotti è costante nel tempo. Mano a mano che una reazione procede la concentrazione dei reagenti (A e B) diminuisce, mentre la concentrazione dei prodotti (C e D) aumenta. La velocità di reazione è proporzionale alla concentrazione di reagenti, per cui la velocità della reazione diretta diminuisce nel tempo, mentre la velocità della reazione inversa aumenta. Da un certo momento in poi, le velocità delle due reazioni sono uguali e quindi le concentrazioni dei reagenti e dei prodotti diventano costanti. La condizione in cui le velocità delle due reazioni rimangono uguali, così da rendere il sistema chimico apparentemente statico, è detta equilibrio chimico. Un sistema chimico è all’equilibrio quando la velocità della reazione diretta è uguale alla velocità della reazione inversa. Nelle condizioni di equilibrio le concentrazioni di tutte le specie chimiche restano costanti nel tempo. In un sistema chimico all’equilibrio le caratteristiche macroscopiche non variano. Non si osservano variazioni perché le due reazioni, diretta e inversa, continuano ad avvenire con pari velocità. Il raggiungimento dell’equilibrio può essere evidenziato dalla stabilità nel tempo di alcune caratteristiche macroscopiche come per esempio la concentrazione, la temperatura, la pressione o il colore. Nelle condizioni iniziali i due gas hanno colori diversi Durante la reazione la colorazione cambia e all’equilibrio resta costante. Dinamicità dell’equilibrio chimico Il raggiungimento dello stato di equilibrio può richiedere tempi più o meno lunghi, ma è inevitabile, se e solo se il sistema è chiuso. Poiché a livello microscopico le reazioni continuano ad avvenire si parla di equilibrio dinamico. La legge di azione di massa In una reazione chimica all’equilibrio, il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni delle sostanze prodotte e il prodotto delle concentrazioni delle sostanze reagenti, ciascuna elevata a un esponente uguale al corrispondente coefficiente stechiometrico, è costante. Questo rapporto prende il nome di costante di equilibrio Keq. Data la generica reazione aA +bB ⇄ cC + dD l’espressione della costante di equilibrio è: [C]c [D]d [A]a [B]b K = La costante di equilibrio K ha un valore specifico per ogni reazione chimica e dipende dalla temperatura. La costante di equilibrio Data la generica reazione aA +bB ⇄ cC + dD [C]c [D]d [A]a [B]b K = Le reazioni in cui è favorita la formazione dei prodotti hanno Keq > 1. Le reazioni in cui è favorita la formazione dei reagenti hanno Keq < 1. La costante di equilibrio La costante di equilibrio in fase gassosa Nella legge di azione di massa applicata a composti gassosi, le quantità dei reagenti e dei prodotti possono essere espresse come pressioni parziali. La costante di equilibrio per la reazione aA(g) + bB(g) ⇄ cC(g) + dD(g) indicata con il simbolo Kp , è: La costante di equilibrio in fase gassosa Kp = PCcPDd/PAaPBb. Quoziente di reazione Ogni miscela di reagenti e prodotti che non sia all’equilibrio è caratterizzata da un rapporto, chiamato quoziente di reazione Q, la cui espressione è esattamente eguale alla costante di equilibrio. Q= [C]c · D]d/[A]a · [B]b Il quoziente di reazione esprime il rapporto tra il prodotto delle concentrazioni dei prodotti e quello delle concentrazioni dei reagenti, ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico, quando la reazione non si trova in condizioni di equilibrio. Quando una reazione non ha ancora raggiunto l’equilibrio, possiamo capirne l’andamento confrontando il quoziente di reazione Q e la K Se Q < K il sistema non è all’equilibrio, per cui parte dei reagenti si trasformerà nei prodotti. Se Q > K il sistema non è all’equilibrio, per cui parte dei prodotti si trasformerà nei reagenti. Se Q = K il sistema è all’equilibrio. Il principio dell’equilibrio mobile (principio di Le Chatelier) Lo stato di equilibrio si altera se si vanno a modificare le condizioni di temperatura, pressione, concentrazione di reagenti e prodotti. A+B C+D. L’aggiunta di un reagente sposta a destra l’equilibrio della reazione. La sottrazione di un reagente sposta a sinistra l’equilibrio della reazione. L’aggiunta di un prodotto sposta a sinistra l’equilibrio della reazione. La sottrazione di un prodotto sposta a destra l’equilibrio della reazione. A+B C+D. L’equilibrio chimico è una forma di equilibrio stabile, poiché, una volta raggiunto, si mantiene nel tempo opponendosi a eventuali perturbazioni. In condizioni di temperatura e pressione costanti, l’equilibrio chimico corrisponde alla condizione di minima energia ΔG = 0. Ogni perturbazione dell’equilibrio non è spontanea ΔG > 0. Aggiungendo un reagente a un sistema all’equilibrio, questo si sposta nella direzione che consente il consumo dell’aggiunta di reagente a favore della formazione del prodotto. Viceversa, si ha la reazione opposta se si aggiunge un prodotto. Effetto della pressione sull’equilibrio chimico Gli equilibri in fase gassosa risentono delle variazioni di pressione e volume. L’aumento di pressione di un sistema gassoso all’equilibrio comporta lo spostamento dell’equilibrio nella direzione in cui è presente il minor numero di moli. Un aumento della pressione sposta l’equilibrio nella direzione in cui si producono meno molecole gassose. Effetto della pressione sull’equilibrio chimico Effetto della temperatura sull’equilibrio chimico La variazione di temperatura influenza lo stato di equilibrio in modo diverso a seconda che la reazione sia esotermica o endotermica. Le reazione esotermiche sono favorite da una diminuzione di temperatura, mentre le reazione endotermiche sono favorite da un aumento di temperatura. Riassumendo: L’equilibrio chimico può essere spostato: variando le concentrazioni dei reagenti o dei prodotti; variando la pressione esercitata sul sistema, se il numero delle molecole allo stato gassoso dei reagenti è diverso da quello dei prodotti; variando la temperatura, se la reazione è esotermica o endotermica. Equilibrio chimico La presenza di un catalizzatore influenza solo la velocità con cui si raggiunge l’equilibrio, ma non ha nessun effetto sulla posizione dell’equilibrio perché il catalizzatore non partecipa alla reazione. (Es. di catalizzatori sono gli enzimi). Equilibri eterogenei ed equilibrio di solubilità Le reazioni si dicono eterogenee quando i componenti si trovano in fasi diverse (liquido, solido, gassoso). Si ha una reazione eterogenea, per esempio, quando si libera un gas a partire da un solido, oppure quando un soluto solido si scioglie in soluzione. Nei sistemi eterogenei in cui si instaura un equilibrio di solubilità il valore della costante di equilibrio è indipendente dalla quantità dei solidi. Equilibri eterogenei ed equilibrio di solubilità. La dissociazione in ioni di un solido è una reazione chimica specificata da una propria particolare costante di equilibrio detta prodotto di solubilità (Kps). La solubilità Si definisce solubilità di una sostanza, la quantità massima di soluto che riesce a sciogliersi in una determinata quantità di solvente ad una certa temperatura. • Quantità massima significa che se si aggiunge ancora sostanza solida, questa non si scioglie più ma si deposita sul fondo del recipiente (corpo di fondo); in questo caso si dice che la soluzione è satura. Si può quindi definire la solubilità ad una certa temperatura come la concentrazione della soluzione satura a quella temperatura. • La solubilità di una sostanza dipende dalla temperatura. Equilibri eterogenei ed equilibrio di solubilità Il prodotto di solubilità (Kps) di una sostanza è uguale al prodotto delle concentrazioni molari dei prodotti (gli ioni in soluzione), ciascuna elevata al proprio coefficiente stechiometrico. Kps è tanto più piccolo quanto meno solubile è una sostanza. In soluzione si ha formazione di un precipitato quando il prodotto delle concentrazioni ioniche relative a una sostanza è maggiore del suo Kps. Quando il solido ha raggiunto la massima solubilità consentita dalla sua natura, dalla temperatura e dal tipo di solvente, non può sciogliersi ulteriormente e rimane come corpo di fondo. In questo caso si dice che la soluzione è satura. Come negli equilibri, la variazione della temperatura influenza il prodotto di solubilità nel seguente modo: • se la solubilizzazione è endotermica sarà favorita la formazione della soluzione; • se la solubilizzazione è esotermica la solubilità diminuisce all’aumentare della temperatura. Il quoziente di reazione permette di prevedere la formazione di un precipitato. Se Q = Kps la soluzione è satura e gli ioni in soluzione sono in equilibrio con il precipitato solido. Se Q < Kps il sistema non è all’equilibrio, la soluzione non è satura e il precipitato non si forma. Se Q > Kps il sistema non è all’equilibrio, le concentrazioni degli ioni sono troppo alte, la soluzione è sovrassatura e il sale precipita fino a che diventa Q = Kps Lezione 9 Acidi e Basi Acidi e basi sono tra le sostanze più comuni presenti in natura e sono normalmente presenti nelle nostre case. A B Nel 1675 Boyle descrisse gli acidi come le sostanze che: hanno sapore aspro; reagiscono con i metalli liberando idrogeno; sono solventi; danno reazione di neutralizzazione con le basi; colorano di rosso la cartina tornasole. Le basi invece: sono amare; danno reazione di neutralizzazione con gli acidi; colorano di blu la cartina tornasole. Teoria di Arrhenius Fu Arrhenius a dare una prima spiegazione al comportamento acido e basico di alcune sostanze. Egli osservò che gli acidi e le basi in soluzione conducevano la corrente elettrica, perché davano luogo alla formazione di ioni. Secondo Arrhenius gli acidi sono sostanze capaci di rilasciare in acqua idrogenioni H+ , mentre le basi in acqua liberano ioni idrossido OH– . Acidi: HCl(aq) → H+ (aq) + Cl– (aq) HNO3(aq) → H+ (aq) + NO3 - (aq) Basi: NaOH(aq) → Na+ (aq) + OH– (aq) Quando un acido in acqua si ionizza, lo ione H+ si lega tramite un legame dativo all’atomo di ossigeno di una molecola di acqua. Si forma così il catione H3O+ , chiamato ione ossonio o ione idronio. Un acido secondo Arrhenius è una sostanza che degli elettroni da una specie chimica all’altra attraverso conduttori ed elettrodi, senza che ci sia contatto diretto. L’elettrodo dove avviene la semireazione di ossidazione è chiamato anodo; l’elettrodo dove avviene la semireazione di riduzione è chiamato catodo. All’anodo si verificano le reazioni di ossidazione, al catodo le reazioni di riduzione. Gli elettroni circolano attraverso il conduttore esterno, collegato a uno strumento che misura il passaggio di corrente elettrica. Il circuito è chiuso dal ponte salino attraverso il quale le cariche possono passare tra le due soluzioni, che rimangono separate. PILA DI DANIELL La pila Daniell è costituita da una lamina di zinco immersa in una soluzione di solfato di zinco e una lamina di rame immersa in una soluzione di solfato di rame. I due semielementi sono collegati tramite un setto poroso, mentre le due lamine sono collegate da un filo metallico. La lamina di zinco si assottiglia perché lo zinco va in soluzione; la lamina di rame si ispessisce e si produce rame metallico; la soluzione di solfato rameico si decolora perché gli ioni Cu2+ diminuiscono; la lampadina si accende in quanto gli elettroni fluiscono attraverso il circuito esterno della pila. Per ogni atomo di zinco che va in soluzione, due elettroni passano dalla lamina di zinco a quella di rame, uno ione rame acquista i due elettroni e si riduce a rame metallico, mentre uno ione SO4 2– attraversa il setto poroso ristabilendo l’equilibrio delle cariche. In tutte le pile l’anodo, l’elettrodo dove avviene la reazione di ossidazione, ha segno negativo, il catodo, dove avviene la riduzione, è positivo. La corrente elettrica nel circuito esterno si muove dall’elettrodo negativo a quello positivo, cioè dall’anodo al catodo. PILA DI DANIELL: direzionalità La direzionalità di una reazione redox è determinata dalla differenza di potenziale elettrico (d.d.p) rilevabile ai due poli del generatore, vale a dire la diversa tendenza degli elementi a ridursi. La forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila corrisponde alla differenza tra il potenziale di riduzione del semielemento ossidante e del semielemento riducente determinato in condizioni standard. La f.e.m. deve avere valore positivo affinché la reazione redox decorra spontaneamente e il sistema funzioni come una pila. L’anodo, è perciò sempre costituito dal semielemento col potenziale di riduzione più basso; il catodo è sempre costituito dal semielemento col potenziale di riduzione maggiore. IL SEMIELEMENTO DI RIFERIMENTO Modello schematico di un semielemento a idrogeno. La semireazione che caratterizza il semielemento a idrogeno è: 2H+ (aq) + 2e– → H2(g) SCALA DEI POTENZIALI DI RIDUZIONE Si definisce potenziale di riduzione di un semielemento il valore in volt (V) che misura la sua tendenza a ridursi, ossidando altre specie. Per avere potenziali di riduzione confrontabili vengono calcolati nelle stesse condizioni utilizzando il semielemento a idrogeno 2H+ /H2 come riferimento, cui è stato attribuito convenzionalmente potenziale di riduzione standard E° = 0,00 V. Il valore di potenziale ottenuto utilizzando l’elettrodo a idrogeno come elettrodo di riferimento è un valore standard e prende il nome di potenziale di riduzione standard E°. I valori di E° dei semielementi, disposti in ordine decrescente, costituiscono la scala dei potenziali di riduzione standard. Le semireazioni sono sempre scritte secondo il modello: forma ossidata + elettroni → forma ridotta. Più il valore di E° è basso, maggiore è la tendenza di un semielemento a ridurre. Ciascun semielemento tende a ossidare i semielementi con E° minore e a ridurre i semielementi con E° maggiore. La forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila in condizioni standard si determina sommando il potenziale di riduzione standard del catodo e il potenziale di riduzione standard dell’anodo cambiato di segno: ΔE° = E° catodo – E° anodo Potenziale di riduzione standard Più il valore di E° è basso, maggiore è la tendenza di un semielemento a ridurre. Ciascun semielemento tende a ossidare i semielementi con E° minore e a ridurre i semielementi con E° maggiore. Forza elettromotrice (f.e.m.) La forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila è data dalla somma dei potenziali dei due elettrodi che la costituiscono. La forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila in condizioni standard si determina sommando tra il potenziale di riduzione standard del catodo e il potenziale di riduzione standard dell’anodo cambiato di segno: ΔE° = E° catodo – E° anodo ELETTROLISI Le reazioni sfruttate nelle pile sono reazioni spontanee e avvengono liberando energia. L’elettrolisi è il fenomeno contrario con il quale, per mezzo della corrente elettrica, si fanno avvenire reazioni di ossidoriduzione che altrimenti non avverrebbero. L’elettrolisi è sfruttata soprattutto per produrre sostanze chimiche utili per processi industriali. Consente delle forzature e fa avvenire anche reazioni non spontanee. L’elettrolisi si realizza in un dispositivo detto cella elettrolitica, costituita da un recipiente contenente una soluzione ionica (elettrolita) in cui vengono immerse due lamine metalliche collegate ai poli da un generatore di corrente continua. Applicando un potenziale di segno contrario e superiore a quello che verrebbe prodotto dalla pila gli elettroni sono costretti a fluire entro il circuito dall’esterno: al passaggio della corrente gli ioni positivi (cationi) in soluzione vengono attratti dall’elettrodo negativo (catodo) dove acquistano elettroni e si riducono depositandosi sulla lamina metallica. Gli ioni negativi (anioni) sono attratti dall’elettrodo positivo (anodo) dove cedendo elettroni si ossidano.