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Corso di Chimica Generale, Appunti di Chimica

Riassunto delle slide con integrazioni.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 04/05/2022

lucaferre
lucaferre 🇮🇹

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Scarica Corso di Chimica Generale e più Appunti in PDF di Chimica solo su Docsity! Luca Ferrero (matricola 914835) Università degli Studi di Torino Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari Corso di Laurea in Scienze e tecnologie agrarie A.A. 2021 - 2022 Appunti di CHIMICA GENERALE (prof. Martin) 1 1. INTRODUZIONE: L’ATOMO La chimica è la scienza che studia la composizione, la struttura, le proprietà della materia e le sue trasformazioni. I filosofi greci teorizzavano che la materia fosse costituita da particella più piccole che chiamavano atomi. John Dalton (1766–1844) introdusse in chimica la teoria atomica della materia: • Tutta la materia è composta di atomi • Ogni trasformazione chimica è l’unione o separazione di atomi per formare moleco le • Gli atomi di una particolare elemento sono identici l’uno all’altro Thomson, nel 1897, teorizzò l’esistenza di una particella più piccola, l’elettrone, che presenta una carica negativa (l’atomo è elettricamente neutro). Il protone, particella subatomica con carica positiva, è stato identificato grazie agli studi condotti sull’atomo di idrogeno privato del suo elettrone. La massa del protone è quasi uguale alla massa dell’atomo di idrogeno; la massa degli altri atomi è superiore alla massa dei protoni più la massa degli elettroni: la differenza di massa è dovuta ad un’altra particella chiamata neutrone. Il nucleo dell’atomo è formato da protoni (p) caricati positivamente e neutroni (n) non carichi ed è circondato da elettroni (e-) caricati negativamente. Massa (g) Carica (C) Protone 1.6725*10-24 1.16022*10-19 Neutrone 1.6748*10-24 0 Elettrone 9.1096*10-28 -1.16022*10-19 NUMERO ATOMICO E MASSA ATOMICA Gli atomi sono elettricamente neutri per cui il numero di protoni eguaglia quello degli elettroni. Con il numero atomico Z indichiamo il numero di protoni e, di conseguenza, il numero di elettroni. Con numero di massa A invece indichiamo la somma dei protoni e dei neutroni. La massa atomica è nell’intervallo 10-21 – 10-24g. Per non lavorare con un’unità di misura troppo piccola, è stata inventa l’unità di massa atomica chiamata dalton: 1 dalton è pari a 1/12 della massa dell’atomo di 12C (12.00000 uma:1 dalton=1.6605*10-24 g). ISOTOPI Possono esistere atomi dello stesso elemento con lo stesso numero di protoni e diverso numero di neutroni: vengono chiamati isotopi. Esempio: Idrogeno: • Prozio: 1 elettrone, 1 protone • Deuterio: 1 elettrone, 1 protone, 1 neutrone • Trizio: 1 elettrone, 1 protone, 2 neutroni Carbonio: • 12C: 6 elettroni, 6 protoni, 6 neutroni (presenza in natura: 98.9%) • 13C: 6 elettroni, 6 protoni, 7 neutroni (presenza in natura: 1.1%) • 14C (radioattivo): 6 elettroni, 6 protoni, 8 neutroni (presenza in natura: <0.1%) 2 MASSA ATOMICA MEDIA Per tabulare la massa di un atomo viene calcolata la media di ogni massa atomica di ogni isotopo e della sua abbondanza naturale. Esempio: Il carbonio naturale consiste principalmente di due isotopi, al 98.892% è 12Ce al 1.108% è 13C. Massa atomica media=12*98.892/100+13*1.108/100=12.011 uma ISOBARI Si dicono isobari due atomi con stessa massa atomica, ma diverso numero atomico. Esempio: IONI Un atomo può perdere o acquistare elettroni, diventando così una specie elettricamente carica detta ione. Un atomo che perde uno o più elettroni diventa carico positivamente ed è detto catione; un atomo che acquista uno o più elettroni diventa carico negativamente ed è chiamato anione. La carica ionica si determina sottraendo al numero di protoni il numero di elettroni. MOLE E NUMERO DI AVOGRADO Un campione macroscopico contiene un numero molto grande di atomi: visto il grande numero, si utilizza come unità la mole (mol). Una mole di atomi di un elemento contiene N atomi di quell’elemento (grammo atomo): una mole di un composto contiene N molecole di quel composto. NA=6.022*1023 (numero di Avogadro) Una mole di un dato elemento contiene 6.022*1023 atomi e corrisponde a un numero di grammi pari alla massa atomica di quell’elemento. Una mole di un composto contiene un numero di Avogadro di molecole e corrisponde a un numero di grammi pari al peso molecolare 1 mole 6.022*1023 atomi 1 mole Numero di Avogrado 1 mole Massa atomica di un elemento espresso in grammi Esempio: 1 atomo di 12C pesa 12.00 uma → 1 mol di C contiene NA atomi di C e pesa 12.00 g 1 atomo di 1H pesa 1.00 uma → 1 mol di H contiene NA atomi di H e pesa 1.00 g 3 2. UNITÀ DI MISURA DETERMINAZIONI SPERIMENTALI ED ERRORI Misurare una grandezza significa confrontarla con un'altra grandezza di riferimento, ad essa omogenea, detta unità di misura. Lunghezza: metro (m) distanza percorsa dalla luce nel vuoto nell'intervallo di tempo di 1/299.792.458 secondi Massa: chilogrammo (kg) massa del cilindro prototipo di platino-iridio conservato presso il Bureau International des Poids et Mesures di Sèvres (Parigi) Tempo: secondo (s) durata di 9192631770 oscillazioni della radiazione emessa nella transizione tra due particolari livelli energetici iperfini dello stato fondamentale del cesio 133 Corrente elettrica: ampere (A) la corrente elettrica costante che fluendo in due conduttori rettilinei, paralleli, indefinitivamente lunghi, di sezione circolare trascurabile, posti a distanza di 1 m nel vuoto, determina fra essi una forza di 2*10-7 N per metro conduttore Temperatura: kelvin (K) la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua Quantità di sostanza: mole (mol) quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0.012 kg di 12C Intensità luminosa: candela (cd) l’intensità luminosa, in una data direzione , di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza pari a 540*1012 Hz e la cui intensità energetica in tale direzione è di 1/683 W/sr Massa chilogrammo Lunghezza metro Tempo secondo Temperatura kelvin Quantità di sostanza mole Corrente elettrica ampere Intensità luminosa candela Misure derivate: superficie m2, volume m3 ed anche il litro l Sottomultipli Multipli pico- *10-12 p deca- *101 da nano- *10-9 n etto- *102 h micro- *10-6 µ chilo- *103 k milli- *10-3 m mega- *106 M centi- *10-2 c giga- *109 G deci- *10-1 d Tera- *1012 T UNITÀ DI MISURA DI INTERESSE AGRARIO E FORESTALE Misure di massa: sono unità di misura non appartenenti al SI ma talvolta ancora utilizzate. Tonnellata 1000 kg, cioè 1 Mg t Quintale 100 kg q Miriagrammo 10 kg mag N.B. Quintale e miriagrammo sono unità obsolete e non andrebbero più utilizzate, ma talvolta vi si fa ancora riferimento in campo agrario e forestale. 6 3. ORBITALI ATOMICI MODELLI DI STRUTTURA DELL’ATOMO Thomson (1904): si immaginava che le cariche negative degli elettroni fossero diffuse in una matrice positiva. Rutherford (1909): in questo modello il nucleo occupa il centro dell’atomo e porta una carica positiva Ze+. La neutralità elettrica è garantita da Z elettroni che ruotano attorno al nucleo secondo determinate traiettorie (orbite). Il modello di Rutherford però non spiegava l’esistenza degli spettri atomici a righe. Bohr (1913): è ispirato da concetti di quantizzazione dell’energia che permette di spiegare lo spettro a righe dell’idrogeno. In questo modello, l’elettrone può muoversi in orbite (traiettorie) circolari attorno al nucleo senza perdere energia (stato stazionario). Sono permesse quelle orbite per le quali il momento angolare dell’elettrone è un multiplo intero di h/2π: 𝑚𝑣𝑟 = ℎ/2𝜋 (e quindi r=n h/2πmv) m=massa dell’elettrone v=velocità dell’elettrone r=raggio dell’orbita h=costante di Planck Il momento angolare dell’elettrone è quantizzato: non può assumere qualsiasi valore, ma solo alcuni. L’elettrone possiede solo una serie fissa di orbite permesse. Gli stati permessi per l’elettrone sono numerati con n=1, 2, 3, … L’elettrone che si trova nell’orbita permessa (stato fondamentale) non emette energia. L’elettrone può passare a un’orbita superiore se gli è fornita una quantità di energia pari al salto energetico ad un’orbita permessa più esterna. Quantità inferiori non permettono il passaggio. L’elettrone che passa a un livello energetico superiore ritorna allo stato fondamentale emettendo un fotone, con energia pari alla differenza tra i due livelli. L’elettrone non emette se si trova in un’orbita permessa. L’emissione di una radiazione avviene solo se l’elettrone passa da un orbita più esterna ad una più interna. 𝑣 = (𝐸2 − 𝐸1)/ℎ (frequenza della radiazione emessa) 7 Passaggio non possibile Passaggi possibili DUALISMO ONDA-PARTICELLA Nella fisica classica esiste una netta separazione fra corpi materiali e onde: alcuni fenomeni, come l'interferenza, riguardano solo le onde e non concernono le particelle materiali; altri fenomeni, come gli urti, coinvolgono solo le particelle e non le onde. Questa separazione scompare nella meccanica quantistica: una stessa entità fisica (ad esempio un elettrone) può essere descritta come particella o come onda, a seconda del tipo di esperimento in cui viene studiata. Questo dualismo viene formalizzato dalla cosiddetta relazione di De Broglie, che associa ad una particella di massa m che si muove a velocità n un'onda avente lunghezza d'onda: 𝜆 = ℎ 𝑚𝜈 = ℎ 𝑝 p=mν: momento (lineare) della particella h: costante di Planck (6.63*10-32 J*s) MECCANICA QUANTISTICA Il modello di Bohr, basato sulla meccanica classica, non descriveva in modo soddisfacente gli atomi multielettronici: Louis de Broglie (1924) propose una nuova teoria secondo cui ogni particella in movimento si comporta come un’onda (esempio: la radiazione luminosa). La lunghezza d’onda dell’onda di materia è data da 𝜆 = ℎ/𝑚𝑣 h: costante di Planck mν: momento della particella Per descrivere il moto di un elettrone è necessario conoscere i valori della sua posizione e della sua velocità in qualsiasi istante. Heisenberg (1927) dimostrò che non è possibile determinare con precisione questi 2 parametri. Infatti secondo il principio d’indeterminazione di Heisenberg, o si conosce la posizione esatta o si consce la sua velocità. Schrodinger descrisse il comportamento dell’elettrone come quello di un’onda stazionaria e propose un’equazione d’onda associata all’elettrone: il concetto di onda associata ad un elettrone non permette di assegnare a questa particella una posizione esattamente determinata nello spazio. La meccanica ondulatoria introduce la nozione di probabilità di presenza invece di localizzazione. 8 L’equazione di Schrödinger è una funzione d’onda che permette di calcolare la posizione di un determinato elettrone lungo le tre coordinate, rispetto al nucleo posto all’origine. Il movimento dell’elettrone avviene in 3 dimensioni per cui le soluzioni accettabili dell’equazione derivano dalla combinazione di 3 costanti dette numeri quantici (n, l, m). Ogni funzione d’onda caratterizzata dai 3 numeri quantici viene chiamata orbitale. Non si può assegnare agli elettroni un’orbita definita, ma si può calcolare la probabilità di trovare un elettrone in una certa porzione di spazio dell’atomo. NUMERI QUANTICI I numeri quantici descrivono stati energetici permessi di un orbitale elettronico. Numero quantico principale n n determina l’energia dell’orbitale È sempre intero e positivo (1, 2, 3, …); più è alto il valore di n, maggiore è l’energia dell’elettrone e maggiore è la sua distanza dal nucleo. n → livello energetico principale Numero quantico secondario (o azimutale o angolare) l Determina la forma geometrica della nuvola elettronica È sempre intero, varia da 0 a (n-1) l=0 → orbitale s (sferica) l=1 → orbitale p (a 8) l=2 → orbitale d (forma più complessa) l=3 → orbitale f (forma ancora più complessa) Numero quantico magnetico m Determina l’orientazione degli orbitali l’uno rispetto all’altro. È sempre intero, varia da -l a +l. l=0 → m=0 orbitali s l=1 → m=-1,0,+1 orbitali p l=2 → m=-2,-1,0,+1,+2 orbitali d Numero di spin L’elettrone ruota attorno al proprio asse o in senso orario (+1/2) o in senso antiorario (-1/2); in ogni orbitale possono stare solo 2 elettroni con spin opposto. 11 L’energia di ionizzazione diminuisce all’aumentare del raggio atomico (più lontano è l’elettrone dal nucleo, più facile sarà la sua estrazione), quindi: • All’interno di un gruppo, l’energia di ionizzazione diminuisce dall’alto al basso • All’interno di un periodo, l’energia di ionizzazione diminuisce da destra a sinistra Affinità elettronica L’affinità elettronica è l’energia in gioco quando un atomo acquista un elettrone per formare uno ione con una carica negativa (anione); si può anche definire come la forma di legame tra l’elettrone aggiunto e l’atomo. X+e-→X-+energia Ha lo stesso andamento dell’energia di ionizzazione. Elettronegatività È la tendenza di un atomo ad attrarre a sé gli elettroni condivisi quando forma legami con altri atomi. È una proprietà relativa: vale solo quando si forma un legame. In un legame la coppia elettronica passa più tempo sull’atomo più elettronegativo. L’elettronegatività dipende dall’energia necessaria a sottrarre l’elettrone a uno dei due atomi (energia di ionizzazione) e dall’energia che si sviluppa nell’acquisto dell’elettrone da parte dell’altro atomo (affinità elettronica). All’interno di un gruppo, l’elettronegatività diminuisce dall’alto al basso. All’interno di un periodo, l’elettronegatività aumenta da sinistra a destra. Carattere metallico Gli elementi metallici (maggior parte degli elementi): • Sono buoni conduttori di elettricità e calore • Sono duttili (modellabili in fili) e malleabili (modellabili in lastre sottili) • Sono lucidi, quasi tutti solidi a temperatura ambiente (tranne il mercurio) • I metalli tendono a cedere elettroni formando ioni positivi (cationi) Diversamente, i non-metalli: • Sono cattivi conduttori di elettricità e calore; • Non sono duttili né malleabili • Non sono lucidi • A temperatura e pressione ambientali possono essere gas, liquidi o solidi • I non-metalli tendono ad acquisire elettroni formando ioni negativi (anioni) I metalloidi, o semimetalli, hanno caratteristiche intermedie e possono assumere comportamento sia metallico che non-metallico a seconda delle circostanze 12 5. GRUPPI DI ELEMENTI GRUPPO I: METALLI ALCALINI L’idrogeno fa eccezione, perché pur appartenendo al I gruppo, non è un metallo. Sodio e potassio sono molto comuni, il potassio è un importante elemento nutritivo per le piante. Litio, rubidio e cesio sono piuttosto rari; il francio è radioattivo. Sono presenti in natura sotto forma di ioni o composti ionici, quasi mai allo stato elementare. Tutti sono solidi molto teneri, duttili, malleabili e con punti di fusione bassi. Reagiscono spontaneamente con l’ossigeno dell’aria sviluppando fiamma e trasformandosi nei corrispondenti ossidi e perossidi; a contatto con l'acqua reagiscono violentemente e si trasformano nei rispettivi idrossidi a carattere fortemente basico, con sviluppo di idrogeno. Tutti hanno configurazione elettronica esterna ns1, quindi hanno 1 elettrone solo nell’orbitale s più esterno. Hanno quindi forte carattere metallico, tendono a rilasciare facilmente l’elettrone esterno dando luogo a cationi monovalenti (Li+, Na+, K+, ecc.). Esempio: 2Na+2H2O → 2NaOH+H2+E 2K+2H2O → 2KOH+H2+E GRUPPO II: METALLI ALCALINO-TERROSI I più comuni in natura, in particolare nel suolo e nelle piante, sono magnesio e calcio. Hanno punto di fusione e di ebollizione più alti rispetto ai metalli alcalini e sono più duri. Ca e Mg sono abbondanti nel suolo e sono importanti elementi nutritivi per le piante. La loro configurazione elettronica esterna è ns2. Anche questi elementi sono fortemente reattivi, si ionizzano molto facilmente (bassa energia di ionizzazione) e tendono a dare (esclusivamente) cationi bivalenti (esempio: Mg2+, Ca2+, ecc.) per la perdita dei 2 e- del guscio più esterno. L’elio, pur avendo la stessa configurazione elettronica esterna fa eccezione: ha scarsissima reattività, non perde i suoi elettroni e si comporta come un gas nobile: infatti viene ascritto a quest’ultimo gruppo. Reagiscono con l’ossigeno formando i rispettivi ossidi, e con l’acqua formando idrossidi a carattere basico. Ossidi e idrossidi sono scarsamente solubili in acqua e stabili al riscaldamento. La reazione, seppure spontanea e molto esoergonica, è meno violenta rispetto a quella dei metalli alcalini. Esempio: 2Ca+O2 → 2CaO Mg+2H2O → Mg(OH)2+H2 GRUPPO DEL BORO (ELEMENTI DEL III GRUPPO O GRUPPO 13) L’alluminio è il metallo più abbondante nella crosta terrestre e il terzo elemento per abbondanza dopo silicio e ossigeno. Moltissime importanti fasi solide del suolo contengono alluminio. Il boro, unico metalloide, è un elemento nutritivo per le piante. Hanno configurazione elettronica esterna ns2p1. Possono dare cationi trivalenti, perdendo i tre elettroni del livello esterno. Sono poco diffusi in natura allo stato elementare. L’alluminio, reagendo con l’ossigeno dell’aria, forma rapidamente un sottile strato di ossido che protegge il metallo da ulteriori reazioni. Il catione alluminio, trivalente, forma l’idrossido reagendo con l’acqua. Ossidi e idrossidi sono poco solubili in acqua. Esempio: 4Al+3O2 → 2Al2O3 Al3++H2O → Al(OH)3+3H+ 13 GRUPPO DEL CARBONIO (ELEMENTI DEL IV GRUPPO O GRUPPO 14) Tutti gli elementi di questo gruppo hanno configurazione elettronica esterna ns2p2. I più diffusi in natura sono carbonio (alla base di tutte le biomolecole e protagonista della chimica organica) e silicio (dopo l’ossigeno, è l’elemento più diffuso nella crosta terrestre). C (e in parte Si) sono non-metalli: hanno energia di ionizzazione in generale troppo alta per formare cationi liberi; piuttosto, tendono a formare legami covalenti. Il silicio, metalloide, può dare catione Si4+ (difficilmente libero). Danno luogo a moltissimi composti reagendo con molti elementi. Il germanio è un tipico metalloide (utilizzato nei semiconduttori). Stagno e piombo sono metalli e i loro cationi sono solitamente bivalenti piuttosto che tetravalenti (Sn2+, Pb2+). GRUPPO DELL’AZOTO (ELEMENTI DEL V GRUPPO O GRUPPO 15) Tutti gli elementi di questo gruppo hanno configurazione elettronica esterna ns2p3. I più diffusi in natura sono l’azoto e il fosforo, importantissimi nutrienti per le piante, entrano in molti composti organici e biomolecole vegetali e animali. L’azoto compone il 78% circa dell’atmosfera terrestre, mentre il fosforo si trova più comunemente nel suolo e nella crosta terrestre. Entrambi sono non-metalli. Formano anioni insieme all’ossigeno (ossoanioni) e possono dare luogo a numerosissimi composti insieme ad altri elementi. Hanno 5 elettroni sul livello più esterno, ma possono assumere numeri di ossidazione molto variabili (massimo +5). Arsenico e antimonio sono metalloidi. Entrambi sono tossici per la maggior parte dei viventi. Il bismuto è un metallo pesante, anche se relativamente poco tossico. GRUPPO DELL’OSSIGENO (ELEMENTI DEL VI GRUPPO O GRUPPO 16) Gli elementi di questo gruppo erano denominati calcogeni (generatori di minerali). Tutti hanno configurazione elettronica esterna ns2p4. Ossigeno e zolfo, entrambi tipici non-metalli, sono i più abbondanti in natura e i più importanti per questo corso di studi. L’ossigeno è l’elemento più abbondante nella crosta terrestre (circa 46%); in forma elementare è gassoso a temperatura e pressione ambientali, forma molecole biatomiche e costituisce circa il 21% dell’atmosfera; insieme all’idrogeno, forma l’acqua. L’ossigeno ha grande affinità elettronica e, dopo il fluoro, è l’elemento più elettronegativo. Reagisce e forma composti con quasi tutti gli elementi. Insieme a carbonio e idrogeno, entra nella composizione della maggior parte delle molecole organiche. Lo zolfo elementare è solido a temperatura ambiente; è ampiamente presente nella crosta terrestre sotto forma di minerali, benché rappresenti meno dello 0.1%. Si trova spesso associato ad attività vulcanica. È presente disciolto in acqua e nei suoli soprattutto come solfati, mentre i solfuri disciolti si trovano solo in ambienti anossici. È un importante elemento nutritivo per le piante; anche il selenio è un elemento essenziale, benché in piccole quantità. Questi elementi formano anioni. Mentre l’ossigeno nei composti ha quasi sempre numero di ossidazione -2, lo zolfo può assumerne diversi, da -2 a +6. ALOGENI (ELEMENTI DEL VII GRUPPO O GRUPPO 17) Gli alogeni (generatori di sali), hanno configurazione elettronica esterna ns2p5, quindi manca loro un solo elettrone per completare l’orbitale p esterno. Hanno tutti grandissima affinità 16 Elettroneutralità dei composti ionici: il numero di elettroni ceduti è uguale al numero di elettroni acquistati Ogni ione attrae il maggior numero possibile di ioni di segno opposto formando così un solido cristallino. Sodio: gruppo I Cloro: gruppo VII Na([1s22s22p63s1])+Cl([1s22s22p63s23p5] → Na+([1s22s22p6)+Cl-([1s22s22p63s23p6]) Calcio: gruppo II Cloro: gruppo VII Ca([1s22s22p63s2])+Cl([1s22s22p63s23p5]) → Ca2+([1s22s22p6])+Cl-([1s22s22p63s23p6]) Il legame ionico si forma facilmente tra elementi del gruppo I o II (anche alcuni metalli del gruppo III e di transizione) ed elementi del gruppo VII o VI, quindi tra un elemento con bassa energia di ionizzazione e bassa elettronegatività, che raggiunge l’ottetto cedendo uno o due e-, e un elemento con elevata energia di ionizzazione ed elettronegatività, che raggiunge l’ottetto acquisendo uno o due e-. LEGAME IONICO E LEGAME COVALENTE Per completare il livello elettronico esterno gli atomi mettono in comune uno o più elettroni del guscio di valenza. Il legame ionico si forma quando la differenza di elettronegatività dei due elementi che si legano è molto grande. L’atomo più elettronegativo attrae a sé gli elettroni con tale intensità da strappare a quello poco elettronegativo l’elettrone (o gli elettroni) condivisi. Si formano così un catione e un anione, che si legano grazie all’attrazione elettrostatica. Se la differenza di elettronegatività tra i due atomi che si legano non è sufficiente perché quello più elettronegativo sottragga l’elettrone a quello meno elettronegativo, allora gli elettroni di valenza vengono condivisi tra i due atomi e si forma un legame covalente. 17 LEGAME COVALENTE PURO Il legame covalente puro (o omonucleare o omopolare o apolare) si forma quando i due atomi coinvolti hanno la stessa elettronegatività. Questo, in genere, si verifica quando i due hanno lo stesso numero di cariche positive nel nucleo e lo stesso numero di elettroni: si tratta quindi tipicamente dello stesso elemento. Ne sono esempi gas come l’idrogeno (H2) e quelli formati da non-metalli del V, VI e VII gruppo (N2, O2, F2, Cl2, ecc.). In questo caso la/le coppie di elettroni condivise trascorrono lo stesso tempo su entrambi i nuclei, la nube elettronica è distribuita in modo perfettamente simmetrico e la molecola non è polare. Il cloro Cl2 forma un legame singolo perché condivide un elettrone. L’ossigeno O2 forma un legame doppio perché condivide due elettroni. L’azoto N2 forma un legame triplo perché condivide tre elettroni. LEGAME COVALENTE POLARE Quando il legame coinvolge atomi diversi, che presentano una diversa elettronegatività, le coppie di elettroni di legame trascorrono un tempo maggiore sull’elemento più elettronegativo si ha un legame covalente polare (o eteronucleare o eteropolare). Anche se la differenza di elettronegatività non è così spiccata da causare un trasferimento di e- da un elemento all’altro (e non si forma quindi un legame ionico), la nube elettronica è comunque asimmetrica, maggiormente spostata verso l’elemento più elettronegativo, la cui carica nucleare positiva è compensata con leggero eccesso. Al contrario, la compensazione della carica positiva del nucleo dell’elemento meno elettronegativo risulta più o meno lievemente carente. La molecola che ne risulta, quindi, pur rimanendo complessivamente neutra, potrà avere una polarità negativa, più o meno spiccata, in corrispondenza dell’elemento più elettronegativo e una polarità positiva in corrispondenza dell’elemento meno elettronegativo. In un caso come quello rappresentato in figura, la molecola forma un dipolo permanente. Se posti in presenza di un campo elettrico i dipoli si orientano. Acido cloridrico HCl Acqua H2O Le molecole simmetriche, come la CO2, possono aver momento dipolare nullo, pur avendo legami polari in quanto i momenti dei due dipoli si annullano reciprocamente. 18 ENERGIA POTENZIALE E DI LEGAME In natura un processo di legame avviene spontaneamente quando il valore di energia potenziale raggiunto è più basso di quello di partenza. Quando l’energia potenziale è alta, le forze repulsive fra i gusci elettronici dei due atomi non permettono il legame. Quando gli atomi sono troppo lontani, invece, l’energia potenziale tende a 0 non permettendo l’interazione tra gli atomi. Solo in punto, ad una certa distanza (distanza di legame) c’è una quantità minima di energia potenziale che permette il legame: per l’idrogeno la distanza è di 74 pm ad un’energia potenziale di 436 kJ/mol. All’aumentare del numero di legami, si accorcia la distanza di legame e aumenta l’energia di legame (esempi: H-H 436 kJ/mol, O=O 498 kJ/mol, N≡N 945 kJ/mol). RIASSUNTO Legame covalente non polare Legame covalente polare Legame ionico Elettroni di legame condivisi equamente tra due atomi. Nessuna carica sugli atomi. Elettroni di legame condivisi in modo diseguale tra due atomi. Cariche parziali sugli atomi. Trasferimento completo di uno o più elettroni di valenza. Cariche complete sugli ioni risultanti. LEGAME METALLICO Il legame metallico è un particolare tipo di legame ionico in cui gli elettroni di valenza non sono legati a un singolo catione ma sono delocalizzati, cioè condivisi tra tutti i cationi metallici. Questa disposizione consente una notevole mobilità degli elettroni di valenza, che sono liberi di muoversi attraverso la struttura del metallo, spiegando così l’elevata conducibilità elettrica (modello a mare di elettroni). 21 7. IBRIDAZIONE E STRUTTURA MOLECOLARE TEORIA DI LEWIS E TEORIA VSEPR Le formule di Lewis servono per raffigurare gli elettroni di valenza in molecole semplici ma non sono in grado di descrivere la forma delle molecole né indicare come gli atomi costituenti una molecola sono disposti nello spazio. Una teoria in grado di prevedere la geometria di semplici molecole è la cosiddetta teoria VSEPR (Valence Shell Electron Pair Repulsion). Anche questa teoria, come il metodo di Lewis, è semplice, ma presenta dei limiti: ad esempio anch’essa è applicabile solo a molecole composte da atomi dei blocchi s e p. Il concetto di base della teoria VSEPR è il seguente: in una molecola costituita da un atomo centrale legato ad altri atomi terminali, le coppie elettroniche attorno all'atomo centrale (sia le coppie di legame, sia quelle di non legame) tendono a respingersi e quindi si dispongono in modo tale da minimizzare la repulsione. Poiché le coppie di legame pongono in corrispondenza l’atomo centrale con gli atomi ad esso legati, il principio della minima repulsione determina la disposizione nello spazio degli atomi costituenti la molecola. In base a questa teoria, la repulsione determinata da coppie solitarie di elettroni non condivise è maggiore di quella esercitata dalle coppie di legame. Su queste basi è possibile prevedere la geometria della molecola. Forma N° coppie elettroni di legame N° coppie elettroni solitari Angolo di legame Esempi: Lineare 2 0 180 BeCl2, CO2, HCN, C2H2 Trigonale planare 3 0 120 BF3, SO3, NO3 -, CO3 2-, C2H4 Tetraedrico 4 0 109.5 NH4 +, SO4 2-, SiO4 2- PO4 3-, Ni(CO)4, CH Trigonale piramidale 3 1 107 PH3, SO3 2-, NH3 Planare piegata 2 2 105 H2S, SO2, H2O TEOREMA DEL LEGAME DI VALENZA La teoria di Lewis (postulata prima dell'avvento della meccanica quantistica) considera gli elettroni di valenza degli atomi che formano i legami, ma prescinde dal fatto che tali elettroni sono descritti da orbitali atomici. La teoria del legame di valenza (VB, Valence Bond) integra il modello di Lewis nell'ambito della meccanica quantistica, mettendo in relazione il legame fra due atomi con gli orbitali atomici che descrivono gli elettroni implicati nel legame stesso. Ciò che nella teoria di Lewis è descritto come condivisione di una coppia di elettroni, nella teoria del legame di valenza è meglio descritto come sovrapposizione degli orbitali atomici coinvolti. Il risultato è sempre un abbassamento dell'energia del sistema, che segue l’aumento della densità elettronica fra i nuclei dei due atomi che si legano. Il legame fra due atomi si realizza mediante sovrapposizione di due orbitali atomici, uno per ciascun atomo. Nella maggioranza dei casi, si può assumere che i due orbitali che si sovrappongono per formare l’orbitale di legame siano semioccupati, cioè contengano un elettrone ciascuno . Nell'orbitale di legame che si viene a formare si vengono così a trovare due elettroni con spin antiparallelo. 22 Due atomi legati sono tenuti uniti dalla sovrapposizione di orbitali atomici. La forza di legame sarà tanto maggiore quanto maggiore è la sovrapposizione fra i due orbitali. In genere solo alcune coppie di orbitali atomici possono sovrapporsi in modo efficace. Gli orbitali di tipo s hanno simmetria sferica e quindi la sovrapposizione fra due orbitali di tipo s non presenta vincoli direzionali (esempio: molecola di H2). Un orbitale p e un orbitale s possono sovrapporsi in modo efficace solo quando l'orbitale s giace lungo l'asse che contiene i due lobi dell'orbitale p. La sovrapposizione fra due orbitali di tipo p può avvenire in modo efficace se i due orbitali sono disposti lungo lo stesso asse. Nei casi di legami tra orbitali s-s, s-p, p-p lungo lo stesso asse, la densità elettronica è concentrata lungo l'asse di legame e presenta simmetria cilindrica: si parla in questo caso di legame σ. Due orbitali p possono sovrapporsi efficacemente anche con la sovrapposizione laterale dei rispettivi lobi. In tal modo si ha un aumento di densità elettronica sopra e sotto un piano contenente i due nuclei e perpendicolare all'asse degli orbitali p che si sono sovrapposti, mentre su tale piano la densità elettronica è nulla. Si parla in questo caso di legame π e il piano sul quale la densità elettronica è nulla viene detto piano nodale. Un legame di tipo π si può ottenere anche per sovrapposizione di un orbitale p con un orbitale d opportunamente orientato. TEORIA DEGLI ORBITALI MOLECOLARI È la teoria più completa sul legame chimico. Questa teoria riesce a spiegare alcune proprietà molecolari che risultano difficili da giustificare con le altre teorie. L'idea fondamentale è che gli elettroni di legame in una molecola sono descritti da orbitali molecolari che non sono localizzati fra coppie di atomi, ma estesi su tutta la molecola; la principale conseguenza è che una coppia di elettroni che occupa un orbitale molecolare contribuisce alla coesione di tutti gli atomi su cui tale orbitale si estende. La forma più usata della teoria MO è quella in cui gli orbitali molecolari vengono espressi come combinazioni lineari di orbitali atomici (LCAO-MO). Dalla combinazione di n orbitali atomici, si ottengono sempre n orbitali molecolari (a differenza della teoria VB, secondo la quale dalla sovrapposizione di due orbitali atomici si ottiene un solo orbitale di legame). In prima approssimazione si possono combinare solo orbitali atomici aventi: • Energia simile • Opportuna simmetria Nel caso più semplice di combinazione di 2 orbitali atomici, si ottengono 2 orbitali molecolari. Come nel caso degli orbitali atomici, ciascun orbitale molecolare può contenere al massimo 2 e- con spin opposto. Un orbitale molecolare ha energia più bassa della media delle energie degli orbitali atomici originali e si chiama orbitale molecolare legante; l'altro orbitale molecolare ha energia più 23 elevata della media delle energie degli orbitali atomici e si chiama orbitale molecolare antilegante. Come gli orbitali atomici, quelli molecolari sono descritti da una funzione d’onda che permette di ricavare la probabilità di trovare l’elettrone intorno ai nuclei della molecola. Gli orbitali molecolari si stimano combinando linearmente gli orbitali atomici. Il loro numero è uguale a quello degli orbitali atomici combinati: dalla combinazione di 2 orbitali 1s si ottengono 2 orbitali molecolari. Esistono 2 combinazioni possibili: Orbitale molecolare legante: con le due funzioni d’onda in fase, ottenendo una combinazione costruttiva e un sistema stabile, con un aumento di densità elettronica tra i nuclei. Orbitale molecolare antilegante: con le due funzioni d’onda in opposizione di fase, ottenendo un’interazione distruttiva, un sistema instabile e un punto nodale (no elettroni) tra i nuclei. Per gli elementi dei periodi successivi al primo, gli orbitali molecolari coinvolgono anche gli orbitali p (e, per gli elementi di transizione, gli orbitali d), dando luogo a situazioni più complesse. Orbitali molecolari dell’etilene 26 LEGAMI INTERMOLECOLARI I legami intermolecolari sono determinati da forze esistenti fra le molecole. Sono generalmente di tipo elettrostatico. Le interazioni più importanti sono: Interazione ione-dipolo Forze di van der Waals: o Interazione dipolo-dipolo o Interazione dipolo permanente-dipolo indotto o Interazione dipolo istantaneo-dipolo indotto (forze di London) Legame idrogeno Sono generalmente più deboli dei legami tra gli atomi che compongono la molecola: il legame ionico, covalente e metallico hanno un’energia di legame di 100-500 kJ mol-1 mentre le interazioni dipolari e il legame idrogeno hanno energia inferiore ai 100 kJ mol-1. INTERAZIONE IONE-DIPOLO Trattandosi di un fenomeno elettrostatico, gli ioni sono in grado di orientare molecole polari. Gli anioni attraggono l’estremità positiva dei dipoli, mentre i cationi attraggono l’estremità negativa. L’interazione ione-dipolo è alla base della solubilità dei composti ionici in sostanze polari, come ad esempio l’acqua. Il numero di molecole d’acqua orientate che circondano gli ioni è direttamente proporzionale alla carica dello ione e inversamente proporzionale alle sue dimensioni. INTERAZIONE DIPOLO-DIPOLO • Interazione dipolo permanente-dipolo permanente Le molecole polari si orientano in modo che l’estremità negativa dell’una sia rivolta verso quella positiva dell’altra. Questa proprietà conferisce coesione all’insieme delle molecole e fa sì che le sostanze polari abbiano di solito punti di fusione e di ebollizione più alti rispetto a quelle apolari. • Interazione dipolo permanente-dipolo indotto Una molecola polare può indurre un momento dipolare su una molecola non polare sufficientemente vicina, dando a un’interazione intermolecolare attrattiva. • Interazione dipolo istantaneo-dipolo indotto (forze di dispersione di London) Questa interazione riguarda molecole di per sé non polari. Anche queste, tuttavia, interagiscono perché anche le sostanze apolari (esempio: metano, elio, azoto) possono liquefare e solidificare. La distribuzione degli elettroni intorno ad atomi e molecole non è fissa nel tempo, ma va incontro a fluttuazioni. Anche le molecole apolari, quindi, possono manifestare dei dipoli istantanei che si originano dalla fluttuazione temporanea della carica elettronica. Nell’istante in cui si forma un dipolo, per quanto debole, esso può indurre un dipolo nelle molecole adiacenti, che quindi si 27 attraggono tra loro. L’intensità di questa interazione dipende dalla polarizzabilità intrinseca delle molecole. a) Uno spostamento della carica elettronica produce un dipolo istantaneo b)il dipolo istantaneo di sinistra produce un dipolo indotto nella molecola di destra LEGAME IDROGENO Il legame a idrogeno, o ponte a idrogeno, è un legame intermolecolare che ha luogo quando in una molecola è presente un atomo di idrogeno legato a un elemento elettronegativo di piccole dimensioni come F, O, N. È un caso particolare di legame dipolo-dipolo, ed è quindi più debole dei legami intramolecolari ma è un legame relativamente forte rispetto ad altri legami intermolecolari e giustifica il punto di ebollizione delle sostanze che lo contengono come l’acqua. La differenza di elettronegatività tra l’H e l’O (per esempio) fa sì che il legame sia polare e la molecola risultante sia un dipolo. Le molecole si dispongono in modo da orientare il polo positivo di una verso quello negativo dell’altra. Quando l’acqua si trova allo stato solido (ghiaccio), ciascuna molecola è legata con altre quattro tramite legami a idrogeno, il che determina una struttura relativamente espansa del solido. Per questa ragione il ghiaccio è meno denso dell’acqua. Oltre che nel caso dell’acqua, il legame idrogeno è importantissimo per il funzionamento di molte biomolecole, come la formazione della struttura delle proteine e degli acidi nucleici. Ghiaccio Acqua liquida Forze di legame (in kJ mol-1) intermolecolari (tra le molecole) e intramolecolari (all’interno della molecola) 28 8. NOMENCLATURA CHIMICA La nomenclatura è un sistema di assegnazione di nomi a composti chimici. Le formule rappresentano un composto usando una combinazione di simboli che danno una formula chimica. Gli elementi sono indicati con il simbolo chimico. Il numero relativo di ogni elemento contenuto nella molecola è indicato da un numero arabo al pedice. Esempio: acqua H2O H e O sono i simboli chimici di idrogeno e ossigeno e 2 è il numero relativo di atomi di idrogeno nella molecola (l’ossigeno non avendo nessun numero ha solo 1 atomo). I nomi dei composti chimici sono stati attribuiti per lungo tempo in base all’uso comune. Più recentemente si è creato un metodo sistematico per costruire i nomi dei composti in base a regole prestabilite. Esiste una società scientifica che si occupa di stabilire le regole della nomenclatura chimica: l’International Union of Pure and Applied Chemistry, nota con l’acronimo IUPAC. Esistono quindi dei nomi comuni, dei nomi tradizionali, ritenuti anche se non più conformi alle attuali regole, e dei nomi IUPAC (talvolta più di uno per un singolo composto). Esempi: NaHCO3 Nome comune Bicarbonato Nome ritenuto Bicarbonato di sodio, carbonato acido di sodio Nome IUPAC Idrogenocarbonato di sodio N2O Nome comune Gas esilarante, protossido Nome ritenuto Protossido di azoto, ossido iponitroso Nome IUPAC Monossido di diazoto FORMULE CHIMICHE Per dare un nome ai composti occorre saperne scrivere correttamente la formula. A tal fine è necessario conoscere ed utilizzare correttamente i numeri di ossidazione degli elementi. Gli elementi che si uniscono a formare le molecole possono avere diversa elettronegatività. I casi estremi sono, da un lato, le molecole omonucleari, in cui non c’è alcuna differenza di elettronegatività poiché si tratta dello stesso elemento e, dall’altro, i composti ionici, in cui la differenza è tale che gli elettroni dell’elemento più elettropositivo sono strappati e trasferiti su quello più elettronegativo formando due ioni. Nel caso delle molecole unite da legami covalenti, anche se non si arriva a formare degli ioni, la differenza di elettronegatività è determinante per la costituzione della molecola e la distribuzione degli elettroni di legame. VALENZA E NUMERO DI OSSIDAZIONE La valenza di un elemento rappresenta il numero di elettroni che un atomo perde, guadagna o mette in comune nel legarsi ad un altro elemento. In pratica, rappresenta il numero di legami che l’atomo può formare. Questo dipende dagli elettroni di valenza. Alcuni elementi possono assumere più numeri di valenza. 31 Esempio: CuO ossido rameico; Cu2O ossido rameoso Nomenclatura IUPAC: per i composti binari di tutti gli elementi con l’ossigeno (quindi sia ossidi basici, sia ossidi acidi) si scrive «ossido di (nome dell’elemento)». Quando l'elemento può dare diversi ossidi, le proporzioni fra l'elemento e l'ossigeno vengono indicate premettendo gli opportuni prefissi numerici ditri-, tetra-, penta-, ... Esempio: FeO monossido di Fe; Fe2O3 trossido di diferro; P2O5 pentossido di difosforo Nomenclatura di Stock: alternativamente si può scrivere il nome dell’elemento seguito dal suo numero di ossidazione in numeri romani tra parentesi tonde. Esempio: CuO ossido di rame (II); Cu2O ossido di rame (I) ANIDRIDI (O OSSIDI ACIDI) Nomenclatura tradizionale: i composti binari tra ossigeno e non-metalli, noti come ossidi acidi o anidridi, si indicano come “anidride (aggettivo derivato dal nome del non metallo)”. Se il non metallo forma una sola anidride, il suffisso dell'aggettivo da esso derivato è “-ica”. Se il non metallo forma due anidridi, si segue una regola analoga a quella usata per i metalli: suffisso “-ica” quando il non metallo ha il numero di ossidazione più elevato, suffisso “-osa” quando il non metallo ha il numero di ossidazione meno elevato. Può accadere che un non metallo formi fino a quattro diverse anidridi. In questo caso, oltre ai due suffissi appena visti, si utilizzano anche i prefissi “per-” e “ipo-” secondo la seguente sequenza (n.o. decrescente): Anidride per-…-ica Anidride …-ica Anidride …-osa Anidride ipo-…-osa Esempio: Cl2O7 anidride perclorica; Cl2O5 anidride clorica; Cl2O3 anidride clorosa; Cl2O anidride ipoclorosa IDROSSIDI Si ottengono formalmente per idratazione (da cui il nome) dei corrispondenti ossidi metallici. Sono composti ternari contenenti un catione metallico e l’anione OH - (ione ossidrile). Esempio: CaO+H2O → Ca(OH)2 Nomenclatura tradizionale: segue le regole viste per i corrispondenti ossidi, sostituendo “ossido” con “idrossido”. Esempio: Li(OH) idrossido di litio; Ca(OH)2 idrossido di calcio; Al(OH)3 idrossido di alluminio; Fe(OH)2 idrossido ferroso; Fe(OH)3 idrossido ferrico Nomenclatura IUPAC: per gli idrossidi la nomenclatura IUPAC è uguale a quella tradizionale, salvo che nei casi in cui un metallo possa formare diversi idrossidi, dove si specifica con appositi prefissi numerici il numero di ossidrili coinvolti. Esempio: Fe(OH)3 triidrossido di ferro; Fe(OH)2 diidrossido di ferro Nomenclatura di Stock: si specifica il n.o. del metallo in numeri romani tra parentesi tonde. Esempio: Fe(OH)2 idrossido di ferro (II); Fe(OH)3 idrossido di ferro(III) OSSIACIDI (O OSSOACIDI O ACIDI OSSIGENATI) Sono composti ternari costituiti generalmente da idrogeno, ossigeno e un non metallo. Si ottengono formalmente per idratazione delle anidridi. Esempio: SO3+H2O=H2SO4 32 Nomenclatura tradizionale: le regole di nomenclatura tradizionale sono uguali a quelle viste per le anidridi da cui derivano formalmente; si scrive «acido (aggettivo derivato dal nome del non metallo)». In caso il non metallo possa formare più anidridi, e quindi più ossiacidi, si usano i prefissi utilizzati per le anidridi (acido ipo-...-oso; acido …-oso; acido …-ico; acido per-…-ico). A volte, il grado di idratazione (numero di molecole d'acqua addizionate all'ossido di partenza) non è unico: se il n.o. del non metallo è dispari si utilizzano i prefissi meta-, piro-, orto- per differenziare le specie acide risultanti (il prefisso orto- viene in genere omesso); se è pari (silicio), si utilizzano meta- e orto-. Esempio: P2O5+1H2O = HPO3 acido metafosforico P2O5+2H2O = H4P2O7 acido pirofosforico P2O5+3H2O = H3PO4 acido ortofosforico Nomenclatura IUPAC: il nome si indica come «acido (prefisso indicante il numero di atomi di ossigeno)osso(radice del nome del non metallo)ico». Inoltre, tra parentesi tonde, si indica il numero di ossidazione del non metallo come numero romano. Esempio: H3BO3 acido triossoborico (III); HNO2 acido diossonitrico (III); HNO3 acido triossonitrico (V) SALI (DA OSSIACIDI) Si ottengono formalmente dalla reazione fra un ossiacido e una base Acido+base=sale+acqua Esempio: Ca(OH)2+H2SO4 = CaSO4+2H2O Sono generalmente composti ionici, costituiti da un catione metallico proveniente dall’idrossido e da un ossoanione ottenuto per sottrazione di uno o più ioni H+ dalla molecola dell'acido. Nomenclatura tradizionale: il nome dei sali si ottiene dal nome dell’ossoanione, con opportuno suffisso, seguito da quello del catione proveniente dalla base. Il suffisso si sceglie in funzione di quello dell’acido, secondo la seguente tabella: Acido Sale Per-…-ico Per-…-ato …-ico …-ato …-oso …-ito Ipo-…-oso Ipo-…-ito Esempio: Ca(OH)2+H2SO4 = CaSO4+H2O solfato di calcio NaOH+HClO = NaClO+H2O ipoclorito di sodio 3CuOH+H3PO4 = Cu3PO4+3H2O fosfato rameoso 3Cu(OH)2+2H3PO4 = Cu3(PO4)2+6H2O fosfato rameico SALI ACIDI Nomenclatura tradizionale: gli acidi poliprotici, che contengono cioè più di un atomo di idrogeno (H2SO4, H3PO4, …), possono dare sali con sostituzione solo parziale degli H contenuti. In questo caso si parla di sali acidi. Si premette la parola “idrogeno”, “di-idrogeno”, ecc. al nome dell'ossianione, nel caso in cui la reazione di neutralizzazione non abbia consumato tutti gli atomi di idrogeno disponibili. 33 Esempio: Ca(OH)2+2H2SO4 = Ca(HSO4)2+2H2O idrogenosolfato di calcio CuOH+H3PO4 = CuH2PO4+H2O diidrogenofosfato rameoso Per i sali acidi derivanti da H2CO3, H2SO3, H2SO4 si utilizzava il prefisso «bi-». Esempio: Ca(HCO3)2 bicarbonato di calcio; Ca(HSO3)2 bisolfito di calcio Nomenclatura IUPAC: il nome si ricava da quello del non metallo contenuto nell'ossoanione proveniente dall'acido, terminante sempre col suffisso «-ato» e con l'indicazione dello stato di ossidazione in notazione romana; il numero di atomi di ossigeno è specificato con un opportuno prefisso che precede il frammento «osso»; infine si specifica il nome del metallo proveniente dalla base, eventualmente con un prefisso per indicare il numero degli atomi. Esempio: K2SO3 triossosolfato(IV) di dipotassio; K2SO4 tetraossosolfato(VI) di dipotassio; Al2(CO3)3 tritriossocarbonato(IV) di dialluminio IDRACIDI Sono composti binari dell’idrogeno con gli elementi non metallici, tipicamente del gruppo VII (alogeni) e del gruppo VI (tranne l’ossigeno). Nomenclatura tradizionale: si scrive il sostantivo «acido» seguito dall’aggettivo derivato dal nome del non metallo terminante col suffisso «-idrico». Esempio: HF acido fluoridrico; HCl acido cloridrico; HBr acido bromidrico Nomenclatura IUPAC: il nome si ricava da quello del non metallo col prefisso «-uro», seguito dalla specifica «di idrogeno». Esempio: HF fluoruro di idrogeno; HCl cloruro di idrogeno; HBr bromururo di idrogeno SALI DA IDRACIDI Anche gli idracidi reagiscono con le basi per dare dei sali che, a differenza di quelli da ossiacidi, non contengono ossigeno, ma sono composti binari contenenti solo il non metallo e il metallo. Nomenclatura tradizionale: si scrive la radice del nome del non metallo seguito dal suffisso «-uro» e dal nome del catione metallico, se necessario con suffisso –ico oppure –oso in funzione del numero di ossidazione del metallo. Esempio: KF fluoruro di potassio; NaCl cloruro di sodio; CuBr2 bromuro rameico; Cu2S solfuro rameoso Nomenclatura IUPAC: il nome si ricava da quello dell’idracido col suffisso «-uro», seguito dal nome del catione metallico con un prefisso numerico, oppure con il n. di ossidazione tra parentesi tonde. Esempio: KF fluoruro di potassio; Fe2Cl3 tricloruro di diferro o cloruro di ferro (III); Cu2S solfuro di dirame o solfuro di rame (I) NOMENCLATURA DEI CATIONI Elementi con un solo numero di ossidazione: Na+ ione sodio K+ ione potassio Ca2+ ione calcio 36 REAGENTE LIMITANTE Se uno dei reagenti è in difetto rispetto al rapporto molare indicato dall’equazione stechiometrica, questo è detto reagente limitante e determina la quantità di prodotto che si può formare. Per esempio se devo montare una bicicletta, so che mi serviranno 1 telaio e 2 ruote per ottenere 1 bicicletta. Con 4 telai e 7 ruote avrò 3 biciclette più 1 telaio e 1 ruota; la ruota è il reagente limitante. Esempio: N2+H2 → NH3 1N2+3H2 → 2NH3 Se ho 1 mole di N2 e 1 mole di H2 qual è il reagente limitante? Qual è il reagente in eccesso? Quante moli di NH4 ottengo? H è il reagente limitante, N il reagente in eccesso e non si ottengono moli di NH4. RESA DI UNA REAZIONE Resa teorica di una reazione: massa massima di prodotto/i prevedibile in base alla stechiometria di reazione Resa percentuale di una reazione: percentuale della resa teorica effettivamente ottenuta BILANCIAMENTO DI REAZIONI SENZA VARIAZIONI DEL NUMERO DI OSSIDAZIONE Per bilanciare reazioni che coinvolgono un numero limitato di reagenti e prodotti, in cui le specie chimiche coinvolte non variano il loro n.o., si può procedere per tentativi, cercando i coefficienti stechiometrici interi e più piccoli possibile in modo da avere lo stesso numero di atomi di ciascun elemento a destra e a sinistra. Esempio: L’idrossido di calcio reagisce con l’acido ortofosforico per dare fosfato tricalcico e acqua 1 Ca(OH)2+H3PO4 → Ca3(PO4)2+H2O (3 atomi di Ca, 2 anioni ortofosfato) 3Ca(OH)2+2H3PO4 → Ca3(PO4)2+6H2O I composti che rimangono uguali tra i reagenti e tra i prodotti non partecipano alla reazione e possono non essere scritti. Esempio: Ba2++2Cl-+2Na++SO42- → BaSO4+2Cl-+2Na+ Ba2++2Cl-+SO4 2- → BaSO4+2Cl- PRINCIPIO DI CONSERVAZIONE DELLA CARICA In un’equazione chimica le carica presenti tra i reagenti devono essere uguali a quelle presenti tra i prodotti. Esempio: Fe(OH)3+H+ → Fe3++H2O Questa reazione non è bilanciata né per masse né per cariche. Reagenti Masse Prodotti Masse Fe 1 Fe 1 O 3 O 1 H 4 H 2 Reagenti cariche Prodotti cariche +1 +3 37 Si bilanciano le cariche: Fe(OH)3+3H+ → Fe3++3H2O Reagenti Masse Prodotti Masse Fe 1 Fe 1 O 3 O 3 H 6 H 6 Se le masse sono bilanciate correttamente, anche le cariche risultano corrette: Reagenti cariche Prodotti cariche +3 +3 REAZIONI CHIMICHE REAZIONI DI PRECIPITAZIONE (DOPPIO SCAMBIO) AgNO3 (aq)+KCl (aq) → AgCl(s)+KNO3 (aq) REAZIONE ACIDO-BASE Reazioni chimiche Reazioni di precipitazione Reazioni acido-base Reazioni di ossido- riduzione Reazioni di combustione Reazioni di sintesi (i reagenti sono elementi) Reazioni di decomposizione (i reagenti sono elementi) 38 BILANCIAMENTO DI REAZIONI DI OSSIDO-RIDUZIONE Nelle reazioni di ossido-riduzione vengono scambiati degli elettroni tra gli elementi (tutti o alcuni) che partecipano alla reazione. Il principio di Lavoisier vale anche per gli elettroni: tutti gli elettroni ceduti dalle specie chimiche che si ossidano devono essere accettati dalle specie chimiche che si riducono. Ossidazione: perdita di elettroni X→Xn++ne- Xn-→X+ne- Riduzione: acquisizione di elettroni Xn++ne-→X X+ne-→Xn- Ossidazione e riduzione sono processi complementari. Non avvengono separatamente ma insieme: gli elettroni ceduti da una specie chimica devono essere acquisiti da un’altra. Reagente che perde elettroni Cosa subisce: Viene ossidato Reagente che acquisisce elettroni Cosa subisce: Viene ridotto Cosa fa: Riduce un altro reagente (riducente) Cosa fa: Ossida un altro reagente (ossidante) Per capire se una reazione è un’ossido-riduzione e quale agente è ossidante/riducente si utilizza il concetto di numero di ossidazione: si guarda la carica che un atomo in un composto avrebbe se le coppie di elettroni di legame fossero attribuite interamente all’atomo più elettronegativo. Esempio: HCl Legame covalente polare: • L’atomo di Cl quindi è come se acquistasse un elettrone (una carica negativa), il suo n.o. è perciò –1 • L’atomo di H è come se perdesse un elettrone (e acquistasse una carica positiva), il suo n.o. è perciò +1 Esempio: Lo zinco cede elettroni, si ossida, è il riducente. Il suo n.o. aumenta. L’idrogeno acquista elettroni, si riduce, è l’ossidante. Il suo n.o. diminuisce. Il cloro non si ossida né si riduce, il suo n.o. non cambia. I coefficienti stechiometrici devono soddisfare tre requisiti: Bilanciamento degli elettroni Il numero di elettroni ceduti dalla specie riducente deve essere uguale al numero di elettroni acquistati dalla specie ossidante. Il bilanciamento elettronico viene effettuato attraverso: o la determinazione dei n.o. di tutte le specie che partecipano alla reazione; o individuazione delle specie che cambiano il proprio n.o. (specie ossidante e riducente); o la scelta degli opportuni coefficienti stechiometrici che permettano di eguagliare il numero degli elettroni coinvolti nelle due semireazioni. 41 10. STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA: GAS STATI DI AGGREGAZIONE DELLA MATERIA Stato solido: forma propria e volume proprio; forze di coesione (intermolecolari) elevate, bassa Ecin molecole. Sono incomprimibili. Stato liquido: volume proprio ma non hanno forma propria; forze di coesione (intermolecolari) deboli, intermedia Ecin molecole. Sono incomprimibili. Stato gassoso (aeriforme): né forma propria né volume proprio; forze di coesione (intermolecolari) molto deboli, elevata Ecin molecole. Sono comprimibili. PASSAGGI DI STATO I passaggi di stato dipendono da temperatura e pressione. Gas →condensazione, liquefazione→ Liquido →solidificazione→ Solido Solido →fusione→ Liquido →evaporazione, vaporizzazione→ Gas Gas →condensazione, brinamento→ Solido Solido →sublimazione→ Gas STATO GASSOSO Le forze di legame intermolecolari sono ridotte; le particelle sono in uno stato altamente disordinato. Inoltre: bassa viscosità, assenza di volume e forma, comprimibilità, miscibilità, pressione esercitata sulle superfici. Le grandezze fisiche utili alla descrizione di un gas sono: Pressione La pressione è definita come la forza esercitata per unità di area su una certa superficie in direzione normale ad essa. La pressione si ottiene come P = F/A dove F è il modulo della componente della forza perpendicolare alla superficie di area A L’unità di misura della pressione è il pascal (Pa): 1 𝑃𝑎 = 1 𝑁 𝑚2 = 1 ∗ 𝑘𝑔 𝑚 ∗ 𝑠2 Comunemente si usa anche il bar che equivale 1*105 Pa. Altra unità di misura per la pressione è l’atmosfera (atm), ovvero la pressione media esercitata dall’atmosfera terrestre a livello del mare, equivalente a quella esercitata da una colonna di mercurio alta 760 mm: tale pressione non dipende dalla sezione della colonna di Hg, ma è proporzionale alla sua altezza. 1 atm=1.013*105 Pa Volume Temperatura La temperatura misura l’energia cinetica delle molecole. Nella temperatura assoluta lo 0 coincide con lo 0 assoluto (-273.15°C) e si misura in gradi kelvin (K). Numero di moli LEGGE DI BOYLE (relazione tra volume e pressione a temperatura costante) La legge di Boyle, nota come legge isoterma, stabilisce che, ad una data temperatura e per un dato n di moli di gas, il prodotto P*V è costante: 𝑃1𝑉1 = 𝑃2𝑉2 ovvero 𝑃𝑉 = 𝐶𝑜𝑠𝑡. T e n costanti 42 Questa legge è rigorosamente valida solo per i gas ideali. I gas reali obbediscono a tale legge a basse pressioni ed alte temperature. LEGGE DI CHARLES (relazione tra volume e temperatura a pressione costante) La legge di Charles, nota come legge isobara, stabilisce che, ad una data pressione e per una data quantità di gas, il volume è direttamente proporzionale alla temperatura assoluta: 𝑉 = 𝑉0 𝛼𝑇 [dove α=1/(273.15)] 𝑉1: 𝑇1 = 𝑉2: 𝑇2 𝑉/𝑇 = 𝐶𝑜𝑠𝑡. P e n costanti Questa legge è rigorosamente valida solo per i gas ideali. I gas reali se ne discostano a basse temperature. LEGGE DI GAY-LUSSAC (relazione tra pressione e temperatura a volume costante) Nota come legge isocora. A volume costante, la pressione di un gas è direttamente proporzionale alla sua temperatura assoluta: 𝑃 = 𝑃0𝛼𝑇 𝑃1: 𝑇1 = 𝑃2: 𝑇2 𝑃/𝑇 = 𝐶𝑜𝑠𝑡. LEGGE DI AVOGRADO Ad una data pressione e temperatura, volumi uguali di gas diversi contengono lo stesso numero di molecole (e di moli). 𝑉 = 𝐶 ∗ 𝑛 P e T costanti EQUAZIONI DI STATO DEI GAS REALI Le quattro grandezze che descrivono completamente un gas (temperatura, pressione, volume e numero di moli) non sono dunque indipendenti, ma esiste una relazione che le lega: tale relazione è chiamata equazione di stato ed è valida per i gas ideali. La sua applicazione può essere estese ai gas reali solo a pressione sufficientemente bassa. L’equazione che definisce un gas ideale è: 𝑃𝑉 = 𝑛𝑅𝑇 (P: pressione, V: volume, n: numero di moli, T: temperatura assoluta, R: cost. universale dei gas) Il valore numerico R dipende dalle unità di misura con cui si esprimono le altre grandezze: 43 𝑅 = 0.082 1𝑎𝑡𝑚 𝑚𝑜𝑙 𝐾 = 8.314 𝐽 𝑚𝑜𝑙 𝐾 Il concetto di gas ideale prescinde da alcune delle caratteristiche dei gas reali, come lo spazio occupato dalle molecole o le interazioni intermolecolari, ma tutti i gas tendono a comportarsi in modo pressocché ideale in un intervallo abbastanza ampio di pressione. Per un gas ideale in condizioni di equilibrio, una qualsiasi delle quattro grandezze caratteristiche può essere ricavata dall’equazione di stato, note le altre tre . L’equazione di stato dei gas ideali vale per ogni condizione di equilibrio. Se avviene una variazione fra due stati di equilibrio, i valori delle grandezze caratteristiche nei due stati di equilibrio sono correlati: 𝑃1𝑉1 = 𝑛1𝑅𝑇1 𝑃2𝑉2 = 𝑛2𝑅𝑇2 𝑃1𝑉1 𝑃2𝑉2 = 𝑛1𝑇1 𝑛2𝑇2 Dalle misure di P, V e T di una massa nota di gas (m), si può ricavare la sua massa molare (MM): 𝑀𝑀 = 𝑚(𝑅𝑇/𝑃𝑉) L’equazione di stato dei gas ideali può essere espressa anche in funzione della densità (d) di un gas: 𝑃 = 𝑅𝑇𝑛/𝑉) = [ 𝑅𝑇 ( 𝑚 𝑀𝑀 ) 𝑉 = 𝑅𝑇𝑚 𝑀𝑀𝑉 = 𝑅𝑇𝑑/𝑀𝑀 MISCELE DI GAS L’equazione di stato dei gas ideali prescinde dalla natura e dalle caratteristiche del gas. Essa è dunque valida anche per miscele di più gas: in tal caso, il numero di moli totali è la somma del numero di moli di tutti i componenti della miscela: 𝑃𝑉 = (𝑛1 + 𝑛2 + 𝑛3 + ⋯ )𝑅𝑇 = 𝑅𝑇 ∑ 𝑛𝑖 𝑖 Ne segue che la pressione totale esercitata da una miscela gassosa può essere suddivisa nei contributi dovuti a ciascun componente: 𝑃 = 𝑅𝑇 𝑉 ∑ 𝑛𝑖 𝑖 = ∑ 𝑛𝑖 𝑖 = 𝑅𝑇 𝑉 = ∑ 𝑃𝑖 𝑖 Il termine Pi=niRT/V è la pressione che il componente i-esimo eserciterebbe se occupasse da solo tutto il volume V alla temperatura T: tale pressione si chiama pressione parziale del componente i- esimo. La legge di Dalton (o delle pressioni parziali) afferma che la pressione totale esercitata da una miscela ideale di gas ideali è uguale alla somma delle pressioni parziali che sarebbero esercitate dai gas se fossero presenti da soli in un eguale volume. Dalla definizione di pressione parziale si ha: 𝑃𝑖 𝑃 = 𝑛𝑖 𝑅𝑇 𝑉 𝑅𝑇 𝑉 ∑ 𝑛𝑖𝑖 = 𝑛𝑖 ∑ 𝑛𝑖𝑖 = 𝑥𝑖 xi: frazione molare del componente i-esimo 46 • Diffusibilità • Isotropia • Densità Le proprietà più importanti dei liquidi sono: • Viscosità • Tensione superficiale • Tensione di vapore Le particelle che costituiscono il liquido sono prossime le une alle altre, trattenute da forze attrattive (forze coesive) che ne impediscono la dispersione, a differenza di quanto avviene nei gas. A differenza di quanto avviene nei solidi, però le molecole nei liquidi possono muoversi continuamente all’interno della massa liquida, pur rimanendo strettamente vicine. Esse appaiono animate da un incessante moto a zig-zag, provocato dagli urti tra molecole, noto come moto browniano, tanto più pronunciato quanto maggiore è l’energia del sistema (in generale aumenta con la temperatura). Una conseguenza del moto delle molecole entro il liquido è il generale aumento del volume del liquido (e quindi una diminuzione della densità) rispetto al solido. Il solido normalmente ha una densità di circa il 10% più elevata del corrispondente liquido (misurata a parità di temperatura e pressione). Fanno eccezione l’acqua e poche altre sostanze. VISCOSITÀ La viscosità è la resistenza che un liquido incontra a fluire. Perché un liquido scorra, le sue molecole devono poter scivolare le une sulle altre. In generale, più forti sono le attrazioni intermolecolari, più il liquido è viscoso. • Le sostanze che hanno un’elevata tendenza a formare legami a idrogeno hanno di solito un’elevata viscosità. • Analogamente, all’aumentare dell’area superficiale delle molecole si osserva un aumento della viscosità a causa dell’aumento delle forze di interazione. • La viscosità tende a diminuire con l’aumento di temperatura, perché le molecole hanno più energia per muoversi. TENSIONE SUPERFICIALE I liquidi, pur non avendo una forma propria stabile, di norma tendono ad assumere forma sferica (minima area superficiale). La proprietà che favorisce la forma sferica dei liquidi è la tensione superficiale. Una molecola all’interno del liquido è completamente circondata da altre molecole: le forze attrattive esercitate su di essa si bilanciano, dato che provengono da tutte le direzioni. Una molecola sulla superficie del liquido, invece, viene attratta solo dalle molecole che sono sotto o a lato di essa. L’attrazione verso l’interno porta il liquido ad assumere una forma tale da minimizzare la superficie esposta, la quale tende a essere in ogni punto ortogonale alla risultante delle forze attrattive che agiscono verso l’interno. Ne risulta la forma sferica. Un altro effetto imputabile alla tensione superficiale dei liquidi si manifesta nell’innalzamento (o abbassamento) di un liquido in un tubo capillare. La forma del menisco (concavo o convesso) dipende dal fatto che la coesione tra le molecole del liquido sia minore (concavo) o maggiore (convesso) rispetto alle forze di adesione tra liquido e contenitore. 47 In un tubo capillare di raggio r, la forza che tende a far salire il liquido all’interno del tubo è data dalla tensione superficiale γ moltiplicata per la circonferenza del tubo (2πr). La forza che si contrappone all’innalzamento è data dalla massa del liquido per l’accelerazione di gravità (m*g). La massa del liquido è calcolabile conoscendo la sua densità (ρ) e l’altezza (h) dell’innalzamento capillare. All’equilibrio si ha: 2πr*γ=πr2hρg. Da cui: h=2γ/(ρgr). L’innalzamento capillare h risulta tanto maggiore quanto più piccolo è il raggio del capillare e quanto più grande è la tensione superficiale. EVAPORAZIONE In un liquido, le molecole sono in movimento, ma interagiscono tra loro tramite forze intermolecolari. Una frazione delle molecole del liquido può avere energia cinetica sufficiente a superare le forze intermolecolari che le trattengono ed evaporare. Questa energia critica varia in funzione della natura delle molecole e delle forze intermolecolari. Al crescere della temperatura, una frazione sempre maggiore di molecole avrà energia superiore all’energia critica e potrà evaporare. TENSIONE DI VAPORE L’acqua in un contenitore aperto con il tempo evapora completamente. Man mano che le molecole passano dallo stato liquido allo stato gassoso si allontanano dal contenitore e quindi una nuova frazione di molecole evapora. Il livello dell’acqua in un contenitore chiuso inizialmente diminuisce, poi rimane costante. Le molecole allo stato gassoso aumentano nello spazio chiuso, aumenta la pressione, aumentano le forze intermolecolari e una parte del gas torna allo stato liquido. In un ambiente chiuso si raggiunge un equilibrio dinamico: liquido⇆gas, velocità condensazione=velocità di evaporazione. La tensione di vapore è la pressione esercitata da un gas in equilibrio con il suo liquido. Dipende dalla natura delle molecole e da temperatura e pressione. Poiché l’energia cinetica delle molecole aumenta all’aumentare della temperatura, anche la tensione di vapore aumenta con la temperatura. La tensione di vapore aumenta al diminuire delle forze intermolecolari. In generale, le sostanze polari e ancor più quelle in grado di formare legami idrogeno necessitano di più energia di quelle apolari per evaporare. Forte attrazione fra molecole → tensione di vapore bassa → scarsa evaporazione Bassa attrazione fra molecole → tensione di vapore alta → elevata evaporazione Esempio: tensione di vapore a 25°C Etere etilico 534 mm Hg Acetone 231 mm Hg Acqua 23 mm Hg Mercurio 0.0018 mm Hg 48 EBOLLIZIONE Al crescere della temperatura aumenta il numero di molecole con energia cinetica maggiore dell’energia critica. Ad un certo punto la tensione di vapore eguaglia la pressione esterna e il processo di evaporazione non interessa più soltanto la superficie, ma interessa tutta la massa del liquido. Il passaggio di stato comincia ad avvenire in maniera tumultuosa, attraverso un processo detto di ebollizione, in cui si formano bolle di gas anche all’interno del liquido. Se il contenitore non è chiuso, l’ebollizione inizia quando la tensione di vapore eguaglia la pressione atmosferica. Si definisce punto di ebollizione normale la temperatura alla quale la tensione di vapore assume il valore di 1 atm, ossia 760 mm di Hg (pressione normale). Curva di riscaldamento dell’H2O a pressione 1 atm (760 mm Hg) Si noti che nella curva di riscaldamento dell’acqua, quando viene riscaldato il ghiaccio si raggiunge la temperatura di fusione, la temperatura del sistema rimane costante (nel caso dell’acqua, a 0°C) finché tutto il ghiaccio è fuso. Successivamente, la temperatura del liquido ricomincia a salire linearmente in funzione del calore somministrato fino alla temperatura di ebollizione. Quando il liquido inizia a bollire, la temperatura rimane nuovamente costante (100°C per l’acqua a P=1 atm) finché tutto il liquido è evaporato. Tale calore, assorbito dal sistema senza produrre un aumento di temperatura, è noto come calore latente. La quantità di calore necessaria a far variare in un intervallo definito la temperatura di una determinata massa di una sostanza è detto calore specifico. DIAGRAMMA DI STATO È un grafico pressione-temperatura che indica lo stato di un determinato composto in determinate condizioni di temperatura e di pressione. 51 𝐻 = 𝐸 + 𝑃𝑉 La variazione di entalpia di un sistema in trasformazione è dato dalla differenza tra l’entalpia dei reagenti e quella dei prodotti: ΔH=Hreagenti–Hprodotti poiché H=E+PV: ΔH=ΔE+P*ΔV+V*ΔP se P è costante, ΔP=0, dunque ΔH=ΔE+P*ΔV Ma ΔE=q-L, dove L può essere definito come P*ΔV. Sostituendo: ΔH=q-P*ΔV+P*ΔV. Dunque: Δ𝐻 = 𝑞 La variazione di entalpia è il calore scambiato dal sistema a pressione costante, ovvero è il calore di reazione. Ricordando che ΔH=Hreagenti-Hprodotti, allora se: • ΔH<0: reazione esotermica • ΔH>0: reazione endotermica Ci si riferisce solitamente all’entalpia standard (∆H°) di reazione intendendo l’entalpia misurata a 25° e alla pressione di 1 atm. L’entalpia standard di reazione è l'entalpia di una reazione in cui i reagenti nel loro stato standard si trasformano nei prodotti, anche questi nel loro stato standard (25°C; 1 atm). Una equazione chimica (reazione) che comprende anche il valore entalpico associato, è detta equazione termochimica. Esempio: CH4+2O2 ⇄ CO2+2H2O ∆H°=-891 kJ/mol Quella indicata nell’esempio rappresenta l’entalpia standard di reazione nell’ambito dell’equazione chimica in oggetto. Nel caso della formazione di un composto, si può avere l’entalpia standard di formazione, riferita a 1 mole di composto formato in condizioni standard. L’entalpia può inoltre essere riferita ai passaggi di stato e corrisponde al calore latente del processo indicato a pressione costante. L’entalpia molare è il valore riferito al passaggio di stato di una mole di sostanza. L’entalpia di fusione, evaporazione e sublimazione hanno tutti valori ∆H° maggiori di 0 in quanto in tutti questi casi il sistema assorbe calore dall’ambiente. Diversamente i processi inversi (solidificazione, condensazione) avranno entalpia negativa e quindi il sistema cederà calore all’ambiente (esempio: l’irrigazione antibrina sfrutta l’entalpia di congelamento dell’acqua). Secondo la legge di Hess, l’entalpia di una reazione è indipendente dal percorso chimico seguito: la quantità di calore impegnata in una reazione chimica dipende solo dall’energia interna dei reagenti e dei prodotti e non dal meccanismo della reazione stessa. Inoltre questo significa che se si sommano più equazioni termochimiche per dare una nuova equazione, le rispettive entalpie sono sommabili. Esempio: C(s)+1/2 O2 → CO ∆H°=-110.5 kJ/mol CO+1/2 O2 → CO2 ∆H°=-283.0 kJ/mol _______________________________________________________________________________________________________ C(s)+O2+CO → CO+CO2 ∆H°=-393.5 kJ/mol SECONDO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA Qualunque sistema tende spontaneamente a portarsi nella condizione di massima probabilità. Poiché un sistema disordinato è più probabile di un sistema ordinato, ne deriva che ogni sistema isolato tende spontaneamente verso il massimo disordine. Se si assume l’entropia 52 S come una misura del disordine del sistema, ogni sistema isolato tende spontaneamente verso la massima entropia. L’entropia è proporzionale al numero di modi in cui si possono disporre atomi o molecole in un sistema (un sistema disordinato ha più opzioni di uno ordinato). L’entropia è una funzione di stato, come E ed H, e si misura in J/K. In una trasformazione, la variazione di entropia è data da: ΔS = 𝑆𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑖 − 𝑆𝑟𝑒𝑎𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖 ΔS𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒 = ΔS𝑠𝑖𝑠𝑡𝑒𝑚𝑎 − ΔS𝑎𝑚𝑏𝑖𝑒𝑛𝑡𝑒 ∆S totale è sempre >0 Per determinare la spontaneità di una trasformazione chimica, bisogna tenere conto sia dell’entalpia sia dell’entropia dei reagenti e dei prodotti, valutando le variazioni avvenute. La funzione che tiene conto di ciò è l’energia libera di Gibbs (G) che si esprime: 𝐺 = 𝐻 − 𝑇𝑆 (G: energia libera, H=entalpia, T=temperatura assoluta, S=l’entropia) La variazione dell’energia libera ∆G è data dalla differenza dell’energia libera dei prodotti meno l’energia libera dei reagenti: ∆𝐺 = ∆𝐻 − 𝑇∆𝑆 In natura tutti i sistemi tendono spontaneamente a minimizzare l’energia libera: Una reazione chimica è spontanea quando porta ad una diminuzione dell’energia libera del sistema, quindi una reazione è spontanea se: ∆𝐺 = (𝐺 𝑝𝑟𝑜𝑑𝑜𝑡𝑡𝑖 − 𝐺 𝑟𝑒𝑎𝑔𝑒𝑛𝑡𝑖) < 0 ∆𝐺 = (∆𝐻 − 𝑇∆𝑆) < 0 Processo spontaneo ∆G<0 Sistema all’equilibrio ∆G=0 Processo non spontaneo ∆G>0 Variazione entalpia Variazione entropia Spontaneità ∆H<0 ∆S<0 Sì, ∆G<0 sempre ∆H<0 ∆S<0 Solo se |∆H|>|T∆S| ∆H>0 ∆S>0 Solo se |∆H|<|T∆S| ∆H>0 ∆S>0 No, ∆G>0 sempre Una reazione reagenti R⇌prodotti P 53 L’equilibrio tra reagenti R e prodotti P è una funzione della differenza tra i livelli di energia libera dei due composti ai loro stati fondamentali; in questo caso l’energia libera dei P allo stato fondamentale è minore di quella dei R e quindi il ΔG° della reazione è negativo e l’equilibrio favorisce P. Se un equilibrio è favorevole non significa che la velocità della reazione (conversione di R in P) sia elevata. Nel corso di qualunque reazione chimica R⇌P: • La conversione dei R in P è accompagnata da una continua variazione del contenuto di E del sistema • Ogni combinazione di reagenti è caratterizzata da un ben determinato livello di E Allo stato fondamentale (molecole al minor contenuto energetico e massima stabilità) le lunghezze di legame, gli angoli di legame e le distribuzioni degli elettroni nei R sono nelle loro condizioni di equilibrio. L’energia del sistema aumenta quando i reagenti cominciano a interagire iniziando la reazione chimica. L’energia raggiunge un valore massimo in corrispondenza del punto chiamato stato di transizione della reazione: qui le lunghezze di legame, gli angoli di legame e le distribuzioni di elettroni nei reagenti sono distorti in una configurazione a livello energetico più elevato. La differenza tra l’energia dello stato di transizione e l’energia dei reagenti è l’energia di attivazione della reazione. A mano a mano che la reazione prosegue, l’energia del sistema diminuisce fino a raggiungere un nuovo minimo in corrispondenza dei prodotti della reazione. L’energia di attivazione è data dalla differenza tra l’energia dello stato di transizione e l’energia dello stato fondamentale dei reagenti; è definita come l’energia necessaria affinché una reazione possa avvenire. Quest’energia è necessaria per allineare i gruppi reagenti, formare cariche transitorie instabili e riorganizzare legami e altre trasformazioni. Il valore dell’energia di attivazione influenza grandemente la velocità della reazione. Quanto più l’energia di attivazione è alta, tanto più la reazione è lenta. Infatti, tanto più questa è alta, tante meno saranno le molecole che posseggono un’energia sufficiente per superare la barriera energetica dello stato di transizione. Per questa ragione talvolta si utilizzano i catalizzatori per aumentare la velocità delle reazioni chimiche. Un catalizzatore è una sostanza che non partecipa alla reazione (lo troviamo invariato alla fine della reazione stessa), che non modifica la spontaneità della reazione (ΔG rimane invariato), ma che è in grado di diminuire l’energia di attivazione. Le reazioni biochimiche che avvengono nelle cellule sono catalizzate da catalizzatori biologici, gli enzimi. 56 (*) I due metodi sopra indicati sono molto utilizzati, non solo per le soluzioni, ma anche per esprimere il contenuto di un elemento o composto in una massa (esempio: concentrazione di elementi nel suolo, comunemente espressa in g/kg o in mg/kg). PERCENTUALE IN PESO La percentuale in peso (%p/p) è la massa (in g) di una sostanza su 100 g di soluzione (oppure kg/100 kg, ecc). PERCENTUALE IN VOLUME La percentuale in peso (%v/v) è il volume (in l) di una sostanza su 100 l di soluzione (oppure ml/100 ml, ecc). PERCENTUALE PESO/VOLUME La percentuale in peso/volume (%p/v) è la massa (in g) di una sostanza su 100 ml di soluzione (oppure kg/100 l, ecc). PARTI PER MILIONE Parti di una sostanza (in peso o in volume) su 106 parti di soluzione o di un insieme (in peso o in volume). Può esprimere mg/kg; mg/l; ml/l (si può moltiplicare o dividere, a piacere, numeratore e denominatore per una stessa quantità: mg/kg=kg/t=µg/g. PARTI PER MILIARDO Parti di una sostanza (in peso o in volume) su 109 parti di soluzione o di un insieme (in peso o in volume). Può esprimere µg/kg; µg/l; µl/l (anche in questo caso si può moltiplicare o dividere, a piacere, numeratore e denominatore per una stessa quantità). Esistono anche le parti per trilione (ppt), ovvero parti su 1012 . Le unità di misura sopra illustrate sono anch’esse considerate obsolete e il loro uso è sconsigliato in quanto ambiguo e possibile fonte di confusione, ma sono tutt’ora molto utilizzate per la loro praticità e per una lunga abitudine in vari settori applicativi. Spesso si esprimono in ppm o in ppb le concentrazioni di elementi (nutritivi per le piante o contaminanti) presenti nel suolo, nelle acque, nelle piante, negli alimenti e in numerose altre matrici. DILUIZIONI DELLE SOLUZIONI Si incontra spesso il problema di dover preparare una soluzione diluita a concentrazione data partendo da una soluzione più concentrata. Se preleviamo una quantità nota di una soluzione a concentrazione nota, preleveremo di conseguenza una certa quantità di moli (o sottomultipli) di soluto. Se poniamo questa quantità di soluto in un certo volume di solvente, sarà solo la quantità di solvente a cambiare, non la quantità di moli di soluto. Possiamo calcolare le moli di soluto presenti nel volume che abbiamo prelevato sapendo che: 𝑀𝑜𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡à (𝑀) = 𝑚𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑜𝑙𝑖 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑡𝑜 = 𝑚𝑜𝑙𝑎𝑟𝑖𝑡à ∗ 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 Poiché diluendo le moli di soluto che abbiamo apportato con la quantità di soluzione prelevata rimangono costanti si ha: moli iniziali = moli finali 𝑀𝑖 ∗ 𝑉𝑖 = 𝑀𝑓 ∗ 𝑉𝑓 (Mi: molarità iniziale, Mf: molarità finale, Vi: volume iniziale, Vf: volume finale) 57 Nell’esempio della figura precedente, con la prima diluizione abbiamo prelevato 10 ml di una soluzione 500 µmol/l, quindi le micromoli prelevate sono: 500 µmol*0.01 l=5 µmol. A questi 10 ml se ne aggiungono altri 90 per un volume finale di 100 ml (ovvero 0.1 l). La concentrazione della prima soluzione diluita sarà: 5 µmol (quelle prelevate)/0.1 l=50 µmol/l. Riassumendo i calcoli fatti: 500 µmol/l*0.01 l=Mf*0.1 l, da cui si ricava: Mf=(500x0.01)/0.1=50 µmol/l. LEGGE DI RAOULT In una soluzione di un soluto non volatile, la tensione di vapore della soluzione (psoluzione) è uguale alla frazione molare del solvente (Χsolvente) moltiplicata per la tensione di vapore del solvente puro (p°solvente). 𝑝𝑠𝑜𝑙𝑢𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 = 𝑋𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒 ∗ 𝑝° 𝑠𝑜𝑙𝑣𝑒𝑛𝑡𝑒 La conseguenza della legge di Raoult è che la tensione di vapore di una soluzione (con soluto non volatile) sarà minore di quella del solvente puro a qualsiasi temperatura; l’abbassamento è proporzionale alla concentrazione del soluto. Questo modifica il diagramma di fase del solvente. Il nuovo diagramma di fase della soluzione è definito dalle curve in rosa. Si noti come, nella soluzione, il campo di esistenza della fase liquida è espanso rispetto a quello dell’acqua pura. Risulta infatti evidente che la soluzione solidifica a una temperatura più bassa (abbassamento crioscopico) rispetto al solvente puro e bolle a una temperatura più alta (innalzamento ebullioscopico). La nuova curva della tensione di vapore, incontrando la curva della fase solida in un punto diverso da quello dell’acqua pura, segna un nuovo punto triplo. PROPRIETÀ COLLIGATIVE Innalzamento ebullioscopico In una soluzione ideale (soluzione diluita) di un solvente volatile e di un soluto non volatile, l’innalzamento della Teb (innalzamento ebullioscopico, ΔTeb) è proporzionale alla molalità della soluzione. Δ𝑇𝑒𝑏 = 𝑇𝑒𝑏 − 𝑇°𝑒𝑏 = 𝐾𝑒𝑏 ∗ 𝑚 (Teb: T di ebollizione della soluzione; T°eb: T di ebollizione del solvente puro; m: molalità; se m=1 mol/kg, allora avremo ΔT = Keb) Keb è l' innalzamento ebullioscopico specifico di ogni solvente, corrispondente ad una soluzione 1 m di qualsiasi soluto. Le dimensioni di Keb sono [°][kg][mol-1]. Abbassamento crioscopico In una soluzione ideale (soluzione diluita) di un solvente volatile e di un soluto non volatile, l’abbassamento della Tfus (abbassamento crioscopico, ∆Tcr) è proporzionale alla molalità. Δ𝑇𝑐𝑟 = T°𝑐𝑟 − 𝑇𝑐𝑟 = 𝐾𝑐𝑟 ∗ 𝑚 (Tcr: T di solidificazione della soluzione; T°cr del solvente puro; m: molalità; se m=1 mol/kg allora avremo ∆T=Kcr) Kcr è l’abbassamento crioscopico specifico di ogni solvente, corrispondente ad una soluzione 1 m di qualsiasi soluto. Le dimensioni di Kcr sono [°][kg][mol-1]. 58 Pressione osmotica Separando due soluzioni a diversa concentrazione con una membrana semipermeabile, cioè permeabile solo al solvente e non al soluto, si verifica il fenomeno dell'osmosi che consiste nel movimento del solvente attraverso la membrana, passando dalla soluzione più diluita a quella più concentrata, fino al raggiungimento di una situazione di equilibrio. Il risultato di ciò è l'innalzamento del livello della soluzione più concentrata rispetto a quella più diluita. La pressione che occorre applicare sulla soluzione più concentrata per riportarla al livello di quella più diluita è detta pressione osmotica (π). La pressione osmotica di una soluzione in cui il soluto non è un elettrolita si calcola mediante l’equazione di Van’t Hoff, una relazione molto simile a quella dell'equazione di stato dei gas ideali: 𝜋𝑉 = 𝑛𝑅𝑇 da cui: 𝜋 = 𝑛 𝑉 𝑅𝑇 = 𝑀 ∗ 𝑅𝑇 (M: concentrazione molare di soluto; n: numero di moli del soluto; R: costante universale dei gas; T: temperatura) Le relazioni viste sopra per il calcolo delle proprietà colligative delle soluzioni sono valide solo per soluti non elettroliti che, cioè, non si dissociano in ioni quando si dissolvono. Quando si hanno soluzioni contenenti elettroliti forti come i sali, o gli acidi e le basi forti, le stesse relazioni vanno moltiplicate per il fattore n che indica il numero di ioni o di parti in cui l’elettrolita forte si dissocia. Esempio: NaCl → Na++Cl-, n=2, AlCl3 → Al3++3Cl-, n=4 • Innalzamento ebullioscopico: Δ𝑇𝑒𝑏 = 𝐾𝑒𝑏 ∗ 𝑚 ∗ 𝑛 • Abbassamento crioscopico: Δ𝑇𝑐𝑟 = 𝐾𝑐𝑟 ∗ 𝑚 ∗ 𝑛 • Pressione osmotica: 𝜋 = 𝑀 ∗ 𝑅𝑇 ∗ 𝑛 61 Mentre le costanti cinetiche delle reazioni di ordine 0, 1 e 2 si possono ottenere sperimentalmente in modo relativamente semplice, ciò è molto difficile per reazioni di ordine superiore. Talvolta si scelgono quindi opportune condizioni sperimentali e si fanno approssimazioni per ricondurre le cinetiche a uno dei primi tre casi in tabella. Si parla quindi di reazione di pseudo ordine (pseudo primo ordine, pseudo secondo ordine). MECCANISMI DI REAZIONE: LA TEORIA DELLE COLLISIONI (O DEGLI URTI) Le molecole dei reagenti possono interagire e dare luogo ai prodotti soltanto se esse vengono in contatto e se il contatto è efficace per la reazione. Sia che i reagenti siano allo stato gassoso, sia che essi si trovino in soluzione acquosa, le molecole si muovono continuamente e possono quindi collidere. Affinché gli urti siano efficaci le molecole quando collidono devono essere orientate opportunamente rispetto ai legami che devono rompersi e formarsi; le probabilità che ciò avvenga dipendono dalla geometria molecolare dei reagenti, quindi dalla natura dei reagenti che a sua volta influenza anche l’energia di attivazione della reazione. La percentuale di urti efficaci può essere aumentata con l’uso di catalizzatori, che non prendono parte alla reazione, ma ne riducono l’energia di attivazione. Anche se solo una frazione degli urti è efficace nel fare avvenire la reazione, le probabilità che questa avvenga aumentano all’aumentare del numero degli urti, che a sua volta cresce con: • La concentrazione dei reagenti • La superficie di contatto • La temperatura (aumenta il numero e l’energia degli urti) EFFETTO DELLA TEMPERATURA: EQUAZIONE DI ARRHENIUS Perché la reazione avvenga, le collisioni devono avere energia sufficiente per la rottura e la riformazione dei legami, cioè per superare la barriera dell’energia di attivazione (Ea). La frazione delle molecole che si urtano con una energia cinet ica uguale o maggiore all’energia di attivazione è data dalla distribuzione di Maxwell delle velocità. Poche molecole possiedono a bassa temperatura un’energia cinetica superiore ad Ea; al crescere della temperatura il numero degli urti delle molecole aumenta rapidamente. La relazione che lega la costante cinetica (k) di una reazione con la temperatura fu proposta da Arrhenius: 𝑘 = 𝐴𝑒− ( 𝐸𝑎 𝑅𝑇) T: temperatura assoluta (K); R: costante dei gas (8,29 J); A: fattore di frequenza; Ea: energia di attivazione Linearizzando si ottiene: ln 𝑘 = ln 𝐴 − 𝐸𝑎 𝑅 1 𝑇 Se si conoscono le costanti cinetiche di una stessa reazione a temperature diverse, è possibile plottarle in funzione della temperatura ed interpolare una retta che ha per coefficiente angolare Ea/R e per intercetta lnA, ricavando così Ea ed A. 62 15. EQUILIBRIO CHIMICO Molte reazioni possono procedere sia in un senso A+B→C+D, sia in quello opposto C+D→A+B. Questo può avvenire quando la differenza di energia libera tra i due sistemi non è tale da rendere la reazione pressoché irreversibile (per esempio la dissociazione di un acido debole in acqua è una reazione di equilibrio, mentre la combustione della sostanza organica contenuta in un ciocco di legno non lo è). Reazioni che possono procedere in entrambi i sensi sono reversibili e si usa la doppia freccia: A+B⇆C+D. La reazione, dopo un certo tempo, raggiunge l’equilibrio quando la velocità della reazione diretta eguaglia quella della reazione inversa. Queste reazioni sono quindi definite reazioni di equilibrio. Si tratta di un equilibrio dinamico perché una parte dei reagenti continua a trasformarsi in prodotti e viceversa, ma le concentrazioni delle varie specie chimiche restano costanti. LEGGE DI AZIONE DI MASSA Nel 1864 Peter Waage e Cato Maxmilian Guldberg formularono il concetto moderno di costante di equilibrio. La reazione che essi usarono fu quella tra acido acetico e alcol etilico: 𝐶𝐻3𝐶𝑂𝑂𝐻 + 𝐶2𝐻5𝑂𝐻 ⇄ 𝐶𝐻3𝐶𝑂𝑂𝐶2𝐻5 + 𝐻2𝑂 Questa reazione fu studiata permettendo il raggiungimento dell’equilibrio partendo da diverse concentrazioni iniziali. All’inizio il sistema contiene soltanto i reagenti; gradualmente la loro concentrazione diminuisce e aumenta quella dei prodotti, finché si raggiunge una situazione di equilibrio in cui le concentrazioni non variano più nel tempo. Ogni volta essi calcolarono la concentrazione dei prodotti e dei reagenti all’equilibrio: sulla base dei risultati ottenuti essi formularono la legge di azione di massa. Quando un sistema è all’equilibrio si stabilisce un valore costante nel rapporto tra il prodotto delle concentrazioni all’equilibrio dei prodotti, ognuna elevata alla potenza del proprio coefficiente stechiometrico, e il prodotto delle concentrazioni all’equilibrio dei reagenti, ciascuna elevata alla potenza del proprio coefficiente stechiometrico. Usando la generica espressione per la reazione 𝑎𝐴 + 𝑏𝐵 ⇆ 𝑐𝐶 + 𝑑𝐷 𝐾 = [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 A,B,C,D: sostanze coinvolte nella reazione; a,b,c,d: coefficienti stechiometrici COSTANTE DI EQUILIBRIO La costante di equilibrio esprime quantitativamente la dipendenza delle concentrazioni di prodotti e reagenti in una reazione chimica all’equilibrio: non dipende dal percorso di reazione attraverso cui l’equilibrio è raggiunto; a temperatura costante è indipendente dalle concentrazioni ma varia al variare della temperatura. Il suo valore numerico dipende dalle unità di misura utilizzate. Quando reagenti e prodotti si trovano in soluzione acquosa, comunemente la loro concentrazione si esprime in molarità: la costante di equilibrio viene in tal caso solitamente indicata come Kc (C: concentrazione). Nel caso di reazioni in cui reagenti e prodotti sono allo stato gassoso, le concentrazioni possono essere espresse come pressioni parziali dei gas e in tal caso la costante di equilibrio è indicata come KP (P: pressione). Il valore di K ci dice se l’equilibrio della reazione è spostato verso i prodotti (K>1: [Prodotti]>[Reagenti]) oppure verso i reagenti (K<1: [Prodotti]<[Reagenti]). 63 Esempio: A una temperatura di 500°C, N2 (0.75 M all’equilibrio) viene fatto reagire con H2 (1.15 M all’equilibrio) per dare NH3 (0.261 M all’equilibrio). Per prima cosa si scrive la reazione: 𝑁2 + 𝐻2 ↔ 𝑁𝐻3 e la bilanciamo: 𝑁2 + 3𝐻2 ↔ 2𝑁𝐻3 ricordando che: 𝐾 = [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 ⟹ 𝐾 = [𝑁𝐻3]2 [𝑁2]1[𝐻2]3 = [0.261]2 [0.75]1[1.15]3 = 5.97 ∗ 10−2 Il piccolo valore di K ottenuto indica che l’equilibrio di questa reazione è fortemente spostato a sinistra ovvero solo una piccola parte dei reagenti è trasformata in prodotti. K<<1 più reagenti che prodotti K>>1 più prodotti che reagenti Esempio: 𝐻2 + 𝐼2 ⇔ 2𝐻𝐼 quando la concentrazione all’equilibrio delle varie specie a 25°C è: [H2]=0.0505 M [I2]=0.0498 M [HI]=0.389 M Occorre innanzitutto scrivere l’espressione della costante di equilibrio 𝐾𝑒𝑞 = [𝐻𝐼]2 [𝐻2][𝐼2] = (0.389)2 (0.0505)(0.0498) = 60.2 Ad una temperatura diversa le concentrazioni all’equilibrio sono: [H2]=0.00560 M [I2]=0.000590 M [HI]=0.0127 M Calcolare la costante di equilibrio: 𝐾𝑒𝑞 = (0.0127)2/[(0.00560)(0.000590) = 48.8 L’equilibrio dinamico è tale proprio perché risponde alle variazioni che avvengono nel sistema: in questo caso la temperatura. Il sistema ritrova un’altra situazione di equilibrio, ma diversa da quella precedente. PROCESSO HABER-BOSCH La reazione N2+3H2 ↔ 2NH3 ottenuta per la prima volta a livello industriale agli inizi del ‘900 ha segnato una rivoluzione in campo agrario perché ha permesso la produzione su larga scala di fertilizzanti azotati di sintesi. Azoto e idrogeno sono fatti reagire a temperatura e pressione elevata in presenza di catalizzatori. La catalisi è necessaria perché, anche se la reazione è esoergonica (ΔH°=-92 kJ/mol), occorre superare l’elevata energia di attivazione in gioco. L’N2, infatti, è una molecola molto stabile. In precedenza i fertilizzanti azotati erano prodotti a partire da deiezioni animali e da tessuti vegetali, in particolare di specie azotofissatrici: in passate erano importate grandi quantità di guano come fonti di N e P. La grande disponibilità di fertilizzanti azotati seguita alla messa a punto di questo processo è alla base dell’impennata della produttività delle colture agrarie che si è avuta durante il ‘900 e sostiene il rapido aumento della popolazione umana. D’altra parte un così grande aumento di N disponibile ha effetti importanti sull’ambiente, sulla qualità dei suoli, sul clima. 66 16. ACQUA: DISSOCIAZIONE E PRODOTTO IONICO La molecola d’acqua è un tetraedro centrato sull’O con il doppietto elettronico non condiviso e dai due legami con gli atomi di H. La differenza di elettronegatività tra O e H fa si che la molecola sia un dipolo, con parziale carica negativa su O e parziale carica positiva su H. Il dipolo d’acqua rende possibile la formazione dei legami a idrogeno, che ne stabilizzano la struttura allo stato solido, ma anche allo stato liquido. Per queste ragioni: • La densità allo stato liquido è maggiore rispetto a quella allo stato solido • La temperatura di ebollizione è molto superiore rispetto a quella di liquidi non polari La formazione di legami idrogeno tra le molecole di acqua allo stato liquido è dinamica, cioè i legami si formano, si rompono e si riformano in continuazione. La polarità della molecola conferisce all’acqua elevata affinità per le sostanze polari e ioniche, tanto da superare le forze che tengono unite le molecole o gli ioni della sostanza, portandoli così in soluzione come ioni o molecole solvatate, cioè circondate da molecole di solvente (cioè acqua). Per questa sua capacità l’acqua è considerata il solvente universale. DISSOCIAZIONE IONICA DELLE MOLECOLE D’ACQUA Nonostante il legame che unisce l’idrogeno all’ossigeno nella molecola d’acqua sia forte, una piccola parte delle molecole va incontro a dissociazione: uno dei due atomi di H si dissocia dalla molecola come protone, lasciando una carica negativa sul gruppo –OH rimanente. Naturalmente, il protone (H+) non si trova libero come tale in soluzione, ma viene solvatato e si unisce ad altre molecole d’acqua che possono accettarlo perché hanno coppie elettroniche libere, dando luogo allo ione H3O+, detto ione idrossonio (o, più brevemente, idronio), e allo ione OH-, detto ione idrossile (o ossidrile). La reazione di dissociazione ionica dell’acqua è una reazione di equilibrio che si può scrivere nel seguente modo: 𝐻2𝑂 + 𝐻2𝑂 ⇆ 𝑂𝐻− + 𝐻3𝑂+ 67 Se trascuriamo la molecola d’acqua che forma il legame dativo per la formazione dello ione idrossonio, e se semplifichiamo la scrittura di quest’ultimo ione riportando solo il protone H+, pur consapevoli che questa semplificazione non rispecchia la realtà, possiamo scrivere: 𝐻2𝑂 ⇆ 𝐻+ + 𝑂𝐻− Si può calcolare la costante di equilibrio di questa reazione, che a 25°C è: 𝑘 = [𝐻+] ∗ [𝑂𝐻−] [𝐻2𝑂] = 1.8 ∗ 10−16 Il piccolo valore della costante indica che questa reazione è molto spostata verso sinistra, possiamo quindi trascurare il numero di molecole che si dissociano rispetto alla concentrazione dell’acqua pura che possiamo considerare costante. 𝑘 = [𝐻+]𝑒𝑞 ∗ [𝑂𝐻−]𝑒𝑞 [𝐻2𝑂]𝑒𝑞 = 𝑥2 [𝐻2𝑂]𝑖𝑛𝑖𝑧 − 𝑥 ≈ 𝑥2 [𝐻2𝑂]𝑖𝑛𝑖𝑧 La concentrazione dell’acqua pura espressa in moli/litro è: [𝐻2𝑂] = 𝑃/𝑝. 𝑚. = 1000 (𝑔/𝑙)/18 (𝑔/𝑙) = 55.55 𝑚𝑜𝑙/𝑙 Se inglobiamo la concentrazione (costante) dell’acqua pura all’interno della costante di dissociazione avremo: 𝑘𝑤 = 𝑘 ∗ [𝐻2𝑂] = [𝐻+] ∗ [𝑂𝐻−] = 𝑥2 sostituendo: 𝑘𝑤 = 𝑘 ∗ [𝐻2𝑂] = 1.8 ∗ 10−16 ∗ 55.55 = 10−14 Nell'acqua pura le uniche molecole che si dissociano sono quelle dell'acqua e ogni molecola d'acqua che si dissocia origina uno ione H+ ed uno ione OH-; le due specie ioniche dovranno perciò trovarsi nell'acqua in numero uguale, dovranno cioè avere la stessa concentrazione, che dovrà essere pari a: 𝑥 = [𝐻+] = [𝑂𝐻−] = √𝑘𝑤 = 10−7 𝑚𝑜𝑙/𝑙 Dalle espressioni riportate sopra, possiamo anche scrivere: 𝑘𝑤 = [𝐻+] ∗ [𝑂𝐻−] = 10−14 Poiché [H+] e [OH-] sono valori molto piccoli, risulta più comodo esprimerli utilizzando una notazione logaritmica. Nel 1909 fu proposta a questo scopo l’adozione dell’operatore matematico p, che indica il logaritmo in base 10 cambiato di segno della concentrazione degli ioni H+ e OH-. pH=-log10[H+] pOH=-log10[OH-] Dall’espressione 𝑥 = [𝐻+] = [𝑂𝐻−] = √𝑘𝑤 = 10−7 𝑚𝑜𝑙/𝑙 deriva che per l’acqua pura, a temperatura di 25°C, si avrà pH=pOH=7. Sempre dall’espressione 𝑘𝑤 = [𝐻+] ∗ [𝑂𝐻−] = 10−14 per le proprietà dei logaritmi si avrà pH+pOH=14. Se, pur utilizzando soluzioni abbastanza diluite, aggiungiamo all’H2O pura un acido forte (HA), questo si dissocia completamente negli ioni H+ e A-; gli ioni H+ (o, in realtà, H3O+) andranno ad aumentare la concentrazione degli ioni H+ derivanti dalla dissociazione dell’acqua pura. Analogamente, se aggiungiamo all’acqua una base forte (BsOH), essa si dissocerà completamente negli ioni Bs+ e OH-; gli ioni ossidrile derivanti dalla dissociazione della base aumenteranno la concentrazione di quelli derivanti dalla dissociazione dell’acqua. 68 L’aggiunta di H+ derivanti da acidi, o di OH- derivanti da basi, altera l’equilibrio di dissociazione dell’H2O pura. Rimanendo sempre valida la costante kw=[H+]*[OH-]=10-14, ad un aumento della concentrazione di H+ deve corrispondere una diminuzione della concentrazione di OH- affinché il loro prodotto rimanga costante ed uguale al valore di kw. Quindi, a temperatura costante, è sufficiente conoscere la concentrazione di H+ oppure quella di OH- per poter facilmente calcolare la concentrazione dell’altra specie ionica. Le soluzioni in cui: [H+]=[OH-]=10-7 e dunque pH=pOH=7 si dicono neutre [H+]>[OH-]>10-7 e dunque pH<pOH<7 si dicono acide [H+]<[OH-]<10-7 e dunque pH>pOH>7 si dicono basiche Il pH può di per sé assumere anche valori negativi o superiori a 14, se si lavora con acidi o basi concentrate, ma solitamente questo non accade, perché di norma si usa il concetto di pH soltanto quando si opera con soluzioni diluite. 71 HCl+H2O=H3O++Cl- oppure da acido, cedendo un protone ad una base e trasformandosi in ione ossidrile: NH3+H2O=NH4 ++OH- Nel primo caso, la coppia coniugata coinvolgente l'acqua è H3O+/H2O, nel secondo caso, la coppia coniugata è H2O/OH-. Altre specie anfiprotiche comuni sono gli anioni di acidi poliprotici. Ad esempio, l'acido solforoso H2SO3, è un acido diprotico che può dissociare due protoni in due stadi distinti: H2SO3+H2O=H3O++HSO3 – HSO3 -+H2O=H3O++SO3 2- Lo ione idrogeno solfito HSO3 -, può sia cedere un ulteriore protone comportandosi da acido, che accettare un protone per ridare l'acido solforoso e comportarsi quindi da base. In altre parole, la specie HSO3 - è la base della coppia coniugata H2SO3/HSO3 - e l'acido della coppia coniugata HSO3 -/SO3 2-. Altri casi simili sono l’acido solforico e ortofosforico. ACIDI E BASI FORTI E DEBOLI La forza di un acido è la misura della sua capacità di dissociarsi in modo più o meno completo in soluzione. Poiché la tendenza di un acido a dissociarsi, secondo la definizione di Brønsted-Lowry, dipende dal carattere basico del solvente, la forza degli acidi potrebbe non essere univoca. Pertanto, qui si considererà solo il caso di acidi e basi in soluzioni acquose. Acidi considerati forti che sono dissociati al 100% in soluzione acquosa: • HCl acido cloridrico • HNO3 acido nitrico • H2SO4 acido solforico • HBr acido bromidrico • HI acido iodidrico • HClO4 acido perclorico Per la maggior parte degli altri acidi, la dissociazione non è completa e sono quindi considerati deboli. Bisogna però considerare che si ha dissociazione completa per soluzioni 1M o più diluite, mentre in soluzioni molto concentrate può non essere del 100%. Inoltre, gli acidi poliprotici forti, come il solforico, lo sono solo per la dissociazione del primo protone, mentre possono essere considerati deboli per la dissociazione del secondo. COSTANTE DI DISSOCIAZIONE ACIDA (Ka) Possiamo definire la forza di un acido come la misura di quanto la reazione HA+H2O⇄A-+H3O+ sia spostata verso destra. La forza dell’acido dipende perciò dalla costante di equilibrio di questa reazione. Nel caso degli acidi forti, la reazione è completamente spostata verso la forma dissociata dell’acido, quindi la reazione che va da destra verso sinistra è trascurabile e la costante di equilibrio è molto grande. Nel caso degli acidi deboli, invece, una frazione non trascurabile della forma dissociata torna a riassociarsi e questa frazione aumenta a mano a mano che la forza della base coniugata dell’acido (A-) sale e si avvicina a quella di H2O. La forza di un acido si può quindi misurare con la costante di equilibrio relativa alla sua reazione di dissociazione. Per l’acido generico HA, si ha: 𝐻𝐴 + 𝐻2𝑂 𝐻3𝑂+ + 𝐴− ⇄ 𝑘 𝐾𝑎 = [𝐻3𝑂+][𝐴−] [𝐻𝐴][𝐻2𝑂] 72 Moltiplicando ambo i membri per [H2O] si ha: Ka[H2O]=([H3O+][A-])/([HA]). Ma la concentrazione molare di H2O non varia sensibilmente rispetto all’acqua pura, e vale 55.5M (a 25°C), dunque K[H2O] è una costante, che possiamo denominare costante di dissociazione acida (Ka). 𝐾𝑎 = [𝐻3𝑂+][𝐴−] [𝐻𝐴] Analogamente a quanto visto per la concentrazione di H+ (o di OH-) derivanti dalla dissociazione dell’acqua, dove pH=-log10[H+], possiamo definire: pKa=-log10Ka Esempio: acido acetico (acido debole) ha: Ka=1.76*10-5 pKa=-log101.76*10-5=4.75 COSTANTE DI DISSOCIAZIONE BASICA (Kb) Analogamente a quanto visto per gli acidi, la forza di una base è misurata quantitativamente dalla sua costante di ionizzazione basica. Per una generica base B: 𝐵 + 𝐻2𝑂 ⇆ 𝐵𝐻+ + 𝑂𝐻− 𝐾𝑏 = [𝐵𝐻+][𝑂𝐻−] [𝐵] da cui si vede che la tendenza della base ad acquistare un protone è tanto maggiore quanto maggiore è il valore di Kb. Esempi: NH3+H2O=NH4 ++OH- KA=1.8*10-5 (CH3)2NH+H2O=(CH3)2NH2 ++OH- KA=7.4*10-4 (CH3)3N+H2O=(CH3)3NH++OH- KA=7.4*10-5 Esempi di basi forti sono: • LiOH idrossido di litio • NaOH idrossido di sodio • KOH idrossido di potassio • *Ca(OH)2 idrossido di calcio • *Sr(OH)2 idrossido di stronzio • *Ba(OH)2 idrossido di bario * Completamente dissociati in soluzioni con concentrazioni uguali o minori di 0.01 molari. Occorre però considerare che altre sostanze, ad esempio K2O, Na2O o CaO in acqua danno immediatamente KOH, NaOH e Ca(OH)2 e questi si comporteranno con basi forti. La forza relativa degli acidi può essere collegata alla loro struttura molecolare: dipende dalla facilità con cui il legame X–H si rompe per generare lo ione H3O+. I principali fattori che determinano le forze relative degli acidi sono: La polarità del legame X–H (δ-X–Hδ+): più il legame è polarizzato (con crescente carica positiva sull’idrogeno), tanto maggiore è l’acidità del composto. La forza del legame X–H con cui il protone è legato ad X che, a sua volta, dipende dalle dimensioni dell’atomo X: più grande è l’atomo X, più debole è il legame X-H e quindi maggiore è l’acidità. Nel caso degli ossiacidi, che hanno struttura H-O-Y, la forza dell’acido aumenta con la polarità del legame H–O, che a sua volta cresce con l’elettronegatività di Y (che è il non metallo). Quando un elemento può dare più ossiacidi legando un diverso 73 numero di atomi di ossigeno, in generale la forza dell’acido aumenta all’aumentare del numero di atomi di ossigeno (molto elettronegativo) legato. pH DI ACIDI E DI BASI FORTI Gli acidi forti sono dissociati al 100%, quindi la concentrazione di H+ (in realtà di H3O+) sarà uguale alla concentrazione iniziale dell’acido. Esempio: calcolare il pH di una soluzione 0.10 M di HCl. La concentrazione di H+ è uguale alla concentrazione iniziale dell’acido, cioè 0.10 M: quindi: pH=- log(0.10)=1.00. Esempio: calcolare il pH di una soluzione 1.00 M di HBr. La soluzione è: pH=- log(1.00)=0.00 Analogamente, nel caso delle basi forti, la concentrazione di ioni OH- sarà uguale alla concentrazione iniziale della base forte. Esempio: calcolare il pH di una soluzione 0.10 M di NaOH. pOH=-log(0.100)=1.00 pH=14.00-1.00=13.00 Esempio: calcolare il pH di una soluzione 0.050 M di KOH. pOH=-log(0.050)=1.30 pH=14.00-1.30=12.70 CALCOLO DEL pH DI SOLUZIONI DI ACIDI DEBOLI Esempio: calcolare il pH di una soluzione di acido benzoico C6H5COOH 0.300 M sapendo che la Ka dell’acido benzoico è uguale a 6.3*10-5 C6H5COOH+H2O → H3O+ + C6H5COO- Ka=([H3O+][C6H5COO-])/[C6H5COOH]=6.3*10-5 Ponendo [H3O+]=[C6H5COO-]=x Avremo all’equilibrio che [C6H5COOH]=0.300-x (valore approssimabile a 0.300 perché è un acido debole) 6.3*10-5={(x)(x)}/0.30 x2=1.89*10-5 → x=4.35*10-3 M; il pH sarà log104.35*10-3=2.36. In questo caso risolvere l’equazione di secondo grado avrebbe dato un risultato diverso per l’1.45% Esempio: calcolare il pH di una soluzione 0.150 M di acido nitroso HNO2 sapendo che la Ka=4.6*10-4. Se si applica l’approssimazione 0.150-x~0.150 avremo x2=4.6*10-4*0.150=8.31*10-3. Essendo la differenza rispetto alla soluzione maggiore al 5% (5.54%) bisogna applicare l’equazione di secondo grado senza semplificazioni. Condizioni per poter impiegare l’approssimazione: Ka<10-4 Concentrazioneacido/Ka>1000 ACIDI POLIPROTICI Gli acidi poliprotici hanno più di un protone per ciascuna molecola che può dissociare, tuttavia i protoni hanno costanti di dissociazione diverse. Esempi di acidi poliprotici sono l’acido solforico H2SO4, diprotico, e l’acido ortofosforico H3PO4, triprotico. H2SO4+H2O⇄H3O++HSO4 - Ka1=completamente dissociato 76 perché base coniugata estremamente debole dell’acido forte HCl. NH4 + è acido coniugato, relativamente forte, della base debole NH3. Quindi NH4 + tenderà a reagire con l’acqua, che si comporta da base, per dare origine a NH3 con formazione di ioni H3O+ e conseguente diminuzione di ioni OH-. 𝑁𝐻4 + + 𝐻2𝑂 ⟷ 𝑁𝐻3 + 𝐻3𝑂+ Si può dimostrare anche qui che la costante di idrolisi 𝐾𝑖 = [𝑁𝐻3][𝐻3𝑂+] [𝑁𝐻4 +] può essere calcolata come 𝐾𝑖 = 𝐾𝑊 𝐾𝑎 La concentrazione di H+ si può calcolare come [𝐻+] = √ 𝐾𝑊 𝐾𝑏 ∗ 𝐶𝑆 Kw: prodotto ionico dell’acqua (10-14); Kb: costante di dissociazione della base debole; CS: concentrazione molare del sale Un acido debole e una base debole Questi sali, sciolti in acqua, possono dare origine a soluzioni che possono essere acide, basiche o neutre, a seconda della forza relativa degli acidi deboli e delle basi deboli da cui derivano i sali. Il sale di acetato di ammonio CH3COONH4 in acqua si dissocia completamente in: 𝐶𝐻3𝐶𝑂𝑂𝑁𝐻4 → 𝑁𝐻4 + + 𝐶𝐻3𝐶𝑂𝑂− NH4 + tenderà a reagire con l’acqua, che si comporta da base, per dare origine a NH3 con formazione di ioni H3O+ e conseguente diminuzione di ioni OH-. CH3COO- tenderà a reagire con l’acqua che si comporta da acido per dare origine a CH3COOH con formazione di ioni OH- e conseguente diminuzione di ioni H+. Quindi la reazione complessiva dipende dalla Ka e dalla Kb dell’acido e della base debole. Nel caso specifico, Ka dell’acido acetico è quasi uguale a Kb dell’ammoniaca, quindi la forza della base debole e dell’acido debole praticamente si equivalgono, e il pH rimane neutro. Invece, se Ka≠Kb la soluzione può risultare acida o basica. La concentrazione di idrogenioni è data da: [𝐻−] = √ 𝐾𝑎 𝐾𝑏 ∗ 𝐾𝑊 Kw: prodotto ionico dell’acqua (10-14); Ka e Kb: costanti di dissociazione rispettivamente dell’acido e della base debole In questo caso il pH che si ottiene è indipendente dalla concentrazione del sale e dipende solo da Ka e Kb: o Se Ka=Kb → pH=7: soluzione neutra o Se Ka>Kb → pH<7: soluzione acida o Se Ka<Kb → pH>7: soluzione basica 77 18. PRODOTTO DI SOLUBILITÀ EQUILIBRI ETEROGENEI IN SOLUZIONE ACQUOSA: COMPOSTI POCO SOLUBILI La solubilità di una sostanza è la massima concentrazione, espressa come molarità o in g/ l, che si può trovare in soluzione a una determinata temperatura. Questo concetto include sia composti non ionici sia composti ionici (sali). Una soluzione che contenga una quantità di soluto inferiore alla solubilità a quella determinata temperatura si dice insatura. Quando invece viene aggiunta una quantità di sostanza superiore alla quantità solubile a quella temperatura, una parte di essa si deposita come corpo di fondo e non si scioglie. In questo caso la soluzione si dice satura. La solubilità dei solidi nei liquidi solitamente aumenta con la temperatura (mentre di solito diminuisce la solubilità dei gas nei liquidi). Se una soluzione prossima alla saturazione alla temperatura t1 viene fatta raffreddare lentamente fino alla temperatura t2 (dove t2<t1), può succedere che la concentrazione in soluzione superi la solubilità alla temperatura t2 senza che si verifichi precipitazione: la soluzione è sovrasatura. Le soluzioni sovrasature non sono però stabili ed è sufficiente una minima perturbazione, come uno scossone o l’introduzione di un cristallo, perché si verifichi immediatamente la precipitazione. I sali sono elettroliti forti, che si dissociano completamente in ioni in soluzione acquosa, ciò nonostante alcuni sono poco solubili, così come, ad esempio, alcuni ossidi e idrossidi. L’esempio più classico è il cloruro d’argento, AgCl, poco solubile in acqua. Ponendo in acqua una certa quantità di AgCl, la maggior parte si deposita come corpo di fondo. Solo una minima parte andrà in soluzione, dissociandosi nei suoi ioni: 𝐴𝑔𝐶𝑙(𝑠) ⇄ 𝐴𝑔+ (𝑎𝑞) + 𝐶𝑙− (𝑎𝑞) In base alla legge di azione di massa, la costante di equilibrio sarà: 𝐾𝑒𝑞 = [𝐴𝑔+][𝐶𝑙−] [𝐴𝑔𝐶𝑙] Tuttavia AgCl è allo stato solido come corpo di fondo, quindi la concentrazione del solido può essere considerata costante e inclusa nella costante di equilibrio, che verrà definita costante di solubilità Kps: 𝐾𝑒𝑞[𝐴𝑔𝐶𝑙] = [𝐴𝑔+][𝐶𝑙−] ⟶ 𝐾𝑝𝑠 = [𝐴𝑔+][𝐶𝑙−] Per un composto ionico generico, AaBb⇄aAn++bBm- 𝐾𝑝𝑠 = [𝐴𝑛+]𝑎 ∗ [𝐵𝑚−]𝑏 Questa espressione si applica solo alle soluzioni sature e prende il nome di prodotto di solubilità ed è dato dal prodotto delle concentrazioni molari degli ioni in soluzione, ciascuno elevato al proprio coefficiente stechiometrico assunto nella dissociazione. RELAZIONE TRA SOLUBILITÀ E Kps Dal prodotto di solubilità è possibile calcolare la solubilità di una sostanza. La solubilità è la concentrazione in soluzione della sostanza in esame. Ad esempio, una quantità S di solfato di argento si dissolve dissociandosi: 78 𝐶𝑎𝑆𝑂4 ⇄ 𝐶𝑎2+ + 𝑆𝑂4 2− 𝐾𝑝𝑠 = [𝐶𝑎2+][𝑆𝑂4 2−], da cui: 𝐾𝑝𝑠 = 𝑆 ∗ 𝑆 = 𝑆2. E quindi: 𝑆 = √𝐾𝑝𝑠. Altro esempio, con un composto a diversa stechiometria di dissociazione: 𝐴𝑔2𝑆𝑂4 ⇄ 2𝐴𝑔+ + 𝑆𝑂4 2− 𝐾𝑝𝑠 = [𝐴𝑔+]2[𝑆𝑂4 2−], da cui: 𝐾𝑝𝑠 = (2𝑆)2 ∗ 𝑆 = 4𝑆3. E quindi: 𝑆 = √ 𝐾𝑝𝑠 4 3 . Per un composto generico: 𝐴𝑎𝐵𝑏 ⇄ 𝑎𝐴𝑛+ + 𝑏𝐵𝑚− 𝐾𝑝𝑠 = [𝐴𝑛+]𝑎[𝐵𝑚−]𝑏 = (𝑎𝑆)𝑎(𝑏𝑆)𝑏 = (𝑎𝑎𝑏𝑏)𝑆𝑎+𝑏, 𝑆 = √ 𝐾𝑝𝑠 𝑎𝑎𝑏𝑏 (𝑎+𝑏) . È possibile confrontare la solubilità di due composti ionici confrontando direttamente le Kps soltanto se questi si dissociano secondo la stessa stechiometria. FATTORI CHE INFLUENZANO LA SOLUBILITÀ Temperatura Come già detto, la solubilità dei solidi nei liquidi solitamente aumenta con la temperatura, mentre la solubilità dei gas nei liquidi di solito diminuisce. Effetto dello ione comune Per qualunque composto poco solubile che si dissocia, AaBb⇄aAn++bBm-; Kps=[An+]a*[Bm-]b. Il prodotto di solubilità dipende solo dalla temperatura e deve rimanere costante, qualunque sia la provenienza degli ioni An+ e Bm-. Quindi, in base al principio di Le Chatelier, la solubilità di AaBb diminuirà se nella soluzione si trovano già ioni comuni con il sale, An+ oppure Bm-, provenienti da elettroliti diversi. Esempio: Determinare la solubilità di BaSO4 in una soluzione 10-2 M di Na2SO4. Kps=[Ba2+]*[SO4 2-]=1.1*10-10 mol/l Solubilità in acqua pura: Kps=S*S=S2; S=√𝐾𝑝𝑠=1.1*10-5 mol/l BaSO4 ⇄ [Ba2+] [SO4 2-] - - 10-2 Inizio S S 10-2+S Equilibrio Kps=S(10-2+S). Poiché S sarà molto piccolo rispetto a 10-2 M, possiamo trascurarlo nell’addizione: Kps~S*10-2; S=Kps/10-2=1.1*10-8. Come atteso, questo valore di solubilità è inferiore rispetto a quello in acqua pura. Effetto del pH Il pH influenza la solubilità quando modifica la concentrazione delle specie in soluzione. 81 Lo ione Cu2+ ossida lo Zn metallico a Zn2+ e si deposita sulla barretta come Cu metallico. (2) (1) (2) Nel caso dell’esempio (2) la reazione di redox avviene per mescolamento dei reagenti, e quindi per trasferimento diretto degli elettroni dalla specie che si ossida a quella che si riduce SCALA DEI POTENZIALI REDOX I potenziali di riduzione standard sono i voltaggi generati quando una semicella di una certa sostanza (ad esempio Zn/Zn+2) è collegata ad una semicella di riferimento. Le condizioni in cui viene misurato questo voltaggio sono 25°C, pressione 1 atm se si tratta di gas, e la concentrazione degli ioni uguale a 1M. Tutti i valori sono riferiti al potenziale della coppia H+/H2 (H++e- → H2) che costituisce la semicella di riferimento. Questa è composta da una concentrazione di ioni H3O+=1M ed un elettrodo di platino. Questa semicella è chiamata semicella standard a idrogeno, a cui per convenzione si assegna il valore di V=0. Tutte le reazioni sono scritte nel verso della riduzione (esempio: A++e-=A). I valori di E° sono tanto più positivi quanto più la riduzione è spontanea. Il verso in cui la redox è spontanea dipende dalla differenza tra i potenziali delle due semireazioni. ELETTRODO AD H IN CONDIZIONI STANDARD (ELETTRODO NORMALE A H) 𝑃𝑡(𝑠)|𝐻2 (𝑔,1 𝑎𝑡𝑚)|𝐻3𝑂+ (𝑎𝑞,1 𝑀) 𝐸°𝐻3𝑂+|𝐻2 = 0.00 𝑉 CELLE VOLTAICHE O GALVANICHE Le celle voltaiche (o galvaniche), dette anche pile, sono costituite da due compartimenti separati (semicelle), contenenti soluzioni elettrolitiche ed elettrodi che possono essere connesse in un circuito ad un misuratore di differenza di potenziale (voltmetro) tra i due elettrodi del circuito. Le due semicelle sono collegate con un ponte salino ed un voltmetro è posto sul circuito esterno. Se la sostanza di cui si intende misurare il potenziale si riduce maggiormente rispetto allo ione idrogeno la 82 corrente fluirà nella direzione di questa riduzione indicando il valore del potenziale sul voltmetro. Se una seconda semicella ad idrogeno viene collegata alla prima non si osserverà passaggio di corrente e il voltmetro misurerà un potenziale di cella uguale a 0. Se colleghiamo una semicella che si ossida più facilmente della semicella ad idrogeno la corrente fluirà nel circuito in direzione opposta. Quindi sul voltmetro leggeremo un valore positivo, neutro o negativo, questo significherà che la semicella che abbiamo collegato alla semicella ad idrogeno si riduce rispettivamente più facilmente, in misura uguale o inferiore rispetto all’idrogeno. Se la sostanza di cui si vuole misurare il potenziale si riduce meno facilmente dell’idrogeno avverrà su questa sostanza un processo di ossidazione e quindi il flusso di elettroni sarà negativo. Pt(s)/H+ (1 M), H2 (1 atm) // Zn2+ (1 M)/Zn(s) → valore negativo di -0.76 volts Per la semireazione: Zn2++2e-→Zn, il potenziale standard di riduzione uguale a -0.76 V (E0 rid=-0.76 V per lo ione zinco). Cu(s)/Cu2+ (1 M) // H+ (1 M), H2 (1 atm)/Pt(s) → valore positivo di +0.34 volts Per la semireazione: Cu2++2e-→Cu, il potenziale standard di riduzione è uguale a +0.34 V (E0 rid=+0.34 V per lo ione rame). CELLE VOLTAICHE: PILA DI DANIELL Le celle voltaiche producono spontaneamente corrente elettrica che viene chiamata forza elettromotrice (f.e.m.) come risultato di un potenziale elettrico che esiste tra due semireazioni di una reazione redox che coinvolgono rispettivamente guadagno di elet troni (riduzione) e perdita di elettroni (ossidazione). Poiché si ha passaggio di elettroni da sinistra a destra, se la neutralità delle soluzioni non viene ristabilita si crea a destra un accumulo di carica positiva e a sinistra di carica negativa che si oppone ad un ulteriore passaggio di corrente. Occorre una connessione tra le due semicelle che permetta il passaggio di ioni per ristabilire l’elettroneutralità delle soluzioni. Questo si può ottenere mediante un ponte salino. Convenzionalmente una pila si definisce con il seguente diagramma: • Una barra (/) è utilizzata per separare l’elettrodo dalla soluzione elettrolitica dello stesso compartimento. • Una doppia barra (//) è usata per separare i due compartimenti (semicelle). Per esempio nella pila di Daniell scriveremo: Zn / Zn2+ // Cu2+ / Cu Generalmente per convenzione la specie ossidata è scritta alla sinistra della doppia barra, mentre la specie ridotta alla destra. Gli elettroni fluiscono dall’anodo al catodo. La cella genera un potenziale denominato potenziale di cella che nel caso della pila di Daniell con le concentrazioni standard di Zn2+ e Cu2+ vale 1.10 V. Più il valore del potenziale di riduzione, E0, è positivo, più facilmente la specie viene ridotta, maggiore sarà quindi la sua forza ossidante. Più il valore del potenziale di riduzione, E0, è negativo, più facilmente la specie viene ossidata, maggiore sarà quindi la sua forza riducente. E0 ox=-E0 red ecco perché nella pila Daniell è il Cu2+ ad essere ridotto a Cu e lo Zn ad essere ossidato a Zn2+. Il potenziale di cella è determinato sommando il potenziale delle due semicelle. La differenza di potenziale ai due elettrodi (misurata in volt) è la forza elettromotrice della pila stessa. La 83 cella elettrochimica eroga una forza elettromotrice (f.e.m.). Essa e positiva se la reazione avviene spontaneamente. Nel diagramma Zn(s) / Zn2+ // Cu2+ / Cu(s) ΔE0=E0 red+E0 ox=0.34 V+0.76 V=1.10 V, dove ΔE0 indica le condizioni standard. Si noti che il valore di E0 per lo Zn è stato cambiato di segno, infatti il valore tabulato è quello della semireazione di riduzione, mentre lo Zn si ossida, quindi la semireazione procede nel verso opposto e il segno del potenziale di riduzione va cambiato. Si definisce anodo l’elettrodo al quale si ha l’ossidazione delle specie anioniche o elementari e catodo l’elettrodo al quale si ha la riduzione dei cationi a opera degli elettroni che migrano attraverso il circuito dall’altra semicella. Zn(s) → Zn2+ (aq) + 2e- ossidazione: avviene all’anodo; Cu2+ (aq) + 2e-  Cu(s) riduzione: avviene al catodo. In questa notazione (Zn(s) / Zn2+ (aq) // Cu2+ (aq) / Cu(s)) l’anodo è scritto a sinistra ed il catodo a destra, con le specie scritte nelle stesso ordine in cui compaiono nelle rispettive semireazioni. Forza elettromotrice (f.e.m.) di una pila: è la differenza di potenziale (d.d.p.) massima che può esistere tra i due elettrodi di quella pila. La f.e.m. di una pila è per definizione una grandezza positiva ed è correlata al potenziale (assoluto) di ciascun semielemento dalla relazione. Per il calcolo della f.e.m. di una cella in condizioni standard, si sottrae il potenziale di riduzione normale dell’anodo (reazione di ossidazione) dal potenziale di riduzione normale del catodo (reazione di riduzione): ΔE0=E0 catodo–E0 anodo La f.e.m. di una cella voltaica è caratteristica per ogni data cella cioè per ogni data reazione di ossidoriduzione. Poiché la f.e.m. dipende anche dalle concentrazioni delle specie implicate e dalla temperatura, è necessario riferirsi a delle condizioni standard. Definiamo f.e.m. standard (ΔE0 cella) la f.e.m. della cella che opera in condizioni standard: concentrazione dei soluti=1 M, pressione parziale dei gas=1 atm, temperatura=25°C. EQUAZIONE DI NERNST: CALCOLO DELLA F.E.M. IN CONDIZIONI NON STANDARD In una generica reazione di ossido-riduzione che avviene in condizioni non standard, la differenza di potenziale complessivo della cella è dato dall’equazione di Nernst: aA + bB → cC + dD 𝑄 = [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 ∆𝐸𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎 = ∆𝐸0𝑐𝑒𝑙𝑙𝑎 − (𝑅𝑇/𝑛𝐹)𝑙𝑛𝑄 ∆𝐸 = ∆𝐸0 − (𝑅𝑇/𝑛𝐹)𝑙𝑛 [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 = ∆𝐸0 − (𝑅𝑇/𝑛𝐹)2.303𝐿𝑜𝑔10 [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 = ∆𝐸0 − (0.0592/𝑛)𝐿𝑜𝑔10 [𝐶]𝑐[𝐷]𝑑 [𝐴]𝑎[𝐵]𝑏 Nell’equazione di Nernst: • R è la costante universale dei gas espressa in joule per mole per grado che vale 8.31 J/mole-K; • T è la temperatura assoluta a cui si trova la cella; • n è il numero di elettroni scambiati nella reazione; 86 La cella è costruita in modo da evitare che il cloro e il sodio vengano a contatto. Il costo dell’elettrolisi del sodio è elevato, occorrono 14 kJ di energia elettrica per produrre 1 g di sodio. Se abbiamo due elettrodi di platino ed una soluzione acquosa concentrata di NaCl e imponiamo dall’esterno una sufficiente differenza di potenziale potrebbero avvenire le seguenti semireazioni: • Catodo: 2H++2e- → H2 E°=0.000 V 2H2O+2e- → H2+2OH- E°=-0.828 V (*) Na++e- → Na E°=-2.710 V • Anodo: 2Cl- → Cl2+2e- E°=-1.36 V (**) 2H2O → O2+4H++4e- E°=-1.23 V Di tutte queste reazioni avverranno solo la seconda* e la quarta**. Per il catodo il tutto è facilmente spiegabile perché la concentrazione di H+ è troppo piccola e quindi è giusto che avvenga la reazione di riduzione dell’acqua che è la più accessibile. Più complicato è spiegare perché si osserva la formazione di Cl2 e non di O2, malgrado il potenziale di quest’ultimo sia più accessibile. La motivazione va ricercata nel potenziale di sovratensione che è diverso per l’H2O e per il Cl-. Sperimentalmente osserviamo all’anodo 2H2O+2e-→H2+2OH- e al catodo 2Cl-→Cl2+2e-. La reazione totale è 2H2O+2Cl-→Cl2+H2+2OH- quindi, durante l’elettrolisi, oltre ad ottenere Cl2 e H2, la soluzione diventa progressivamente basica. ELETTROLISI DI CuCl2 IN SOLUZIONE ACQUOSA Se poniamo una soluzione acquosa di CuCl2 tra due elettrodi di platino, se imponiamo una sufficiente differenza di potenziale dall’esterno in modo da avere elettrolisi avremo le seguenti reazioni possibili: • Catodo: Cu2++2e- → Cu E°=+0.34 V 2H2O+2e- → H2+2OH- E°=-0.828 V • All’anodo: 2Cl- → Cl2+2e- E°=-1.36 V 2H2O → O2+4H++4e- E°=-1.23 V Sperimentalmente si osserva la deposizione di rame metallico al catodo e lo sviluppo di cloro gassoso all’anodo. Quindi avvengono le seguenti semireazioni: Cu2+ + 2e- → Cu 2Cl- → Cl2 + 2e- ----------------------------------------------------------------------------------------- Cu2+ + 2Cl- → Cu + Cl2 ELETTROLISI DI Na2SO4 IN SOLUZIONE ACQUOSA Se si opera l’elettrolisi su una soluzione acquosa di Na2SO4 si osserva lo sviluppo di idrogeno gassoso al catodo e ossigeno gassoso all’anodo secondo le semireazioni: • Anodo: 2H2O → O2+4H++4e- E°=-1.23 V • Catodo: 4H2O+4e- → 2H2+4OH- E°=-0.828 V Gli ioni Na+ e SO4 2- non partecipano al processo elettrolitico, ma la loro presenza è comunque indispensabile per la conducibilità elettrica della soluzione. ELETTRODEPOSIZIONE 87 Una semplice applicazione dell’elettrolisi avviene nei processi di elettrodeposizione o galvanostegia, dove un metallo viene elettrodeposto al catodo sull’oggetto desiderato. Ad esempio nell’elettrodeposizione del rame il costituente dell’anodo è il metallo stesso (Cu), l’elettrolita contiene uno ione derivato dello stesso metallo (Cu2+). La concentrazione del rame è costante, perché quello che si deposita al catodo è rimpiazzato da quello che passa in soluzione all’anodo: • Anodo: Cu(s) → Cu2++2 e- • Catodo: Cu2++2 e- → Cu(s) LEGGI DI FARADAY Una quantità costante di elettricità q provoca la scarica di una quantità di elettrolita proporzionale ad essa. Quantità uguali di elettricità liberano da elettroliti diversi quantità di sostanze che stanno tra di loro come i rispettivi equivalenti chimici. Esiste cioè una relazione tra quantità di elettroni scambiati e quantità di sostanza deposta: • Ag++e- → Ag(s) 1 mole di elettroni produce la deposizione di 1 mole di Ag • Cu2++2 e- → Cu(s) 1 mole di elettroni produce la deposizione di 0.5 moli di Cu • Al3++3 e- → Al(s) 1 mole di elettroni produce la deposizione di 0.333 moli di Al 1 mole di elettroni corrisponde a 96485 coulomb, arrotondato per convenzione a 96500 coulomb, che corrisponde ad 1 faraday (F). Il numero dei coulomb viene calcolato come 𝑛° 𝑐𝑜𝑢𝑙𝑜𝑚𝑏 = 𝑛° 𝑎𝑚𝑝𝑒𝑟𝑒 ∗ 𝑠𝑒𝑐𝑜𝑛𝑑𝑖 Una corrente di 1 ampere è la corrente in cui si ha il passaggio di un coulomb al secondo. 88