Scarica Corso monografico Letteratura Italiana contemporanea prof.ssa Angela Ida Villa (2°anno) e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! LETTERATURA CONTEMPORANEA LEZIONE DEL 4/10/2021 Bisogna pensare a Montale e Pascoli come se le loro opere fossero degli scrigni, ovvero con una superficie (scrizio superior) e l’interno (scrizio interior). Si parla infatti di “Scrizio superior” contenuto di superficie delle opere di questi due autori, ovvero il contenuto superficiale delle loro opere e che si trova sui manuali (e che abbiamo studiato alle superiori) Ma questi autori hanno inserito altri contenuti all’interno delle loro opere, per trovare questi significati nascosti è necessario aprire questo scrigno e utilizzare l’ingegno per trovare la chiave giusta per comprendere queste opere e trovare il loro significato nascosto. Ciò che hanno nascosto sono dei contenuti nascosti perché sono eversivi, quindi contenuti che recuperano gli argomenti delle antiche eresie, del cristianesimo e i contenuti delle religioni pagane antiche. “Scrizio interior” l’interno dello scrigno, parte più interessante e che indagheremo. Nello scrizio interior troveremo argomenti che hanno a che fare con antiche eresie del cristianesimo e dell’ebraismo e contenuti che provengono da religioni pagane antiche (greco-romana, egizia, fenicia, punica ovvero i cartaginesi e anche gli aztechi). Tutti questi significati nascosti vengono fusi ed espresse tramite immagini, le quali vengono rappresentate a loro volta come scrigni: infatti queste immagini apparentemente sembrano realistiche (parte esterna), ma in realtà sono solo ed esclusivamente simbolico-religiose (legate alla religione e alle eresie). Le immagini sono dei simboli, il termine “simbolo” deriva dal simposio di Platone e significa “uno fatto da due”, se una cosa è fatta da due significa che è formata da sé stessa ma anche da qualcos’altro (in Montale l’altro è ciò che parla di antiche eresie o di antiche religioni Pagane) Le immagini vengono viste come dei frutti, per poter arrivare alla polpa bisogna togliere la buccia. Pascoli ha avuto funerali massonici, non era cattolico, mentre Montale è sempre stato molto evasivo sulla sua fede religiosa e infatti parlando dell’autore inglese Elliot dirà che per capire il significato di una poesia di un poeta bisogna conoscere prima la religione di quest’ultimo, una religione che si manifesta tramite le immagini. Questi poeti che usano le opere come scrigni suddividono i lettori in due categorie: - Lettori comuni coloro che si fermano allo scrizio superior, alla parte esterna e più superficiale - Lettori elitario interlocutore privilegiato e prioritario, ha un bagaglio culturale (non fatto solo da conoscenze letterarie, ma anche di conoscenze legate alle eresie e le religioni pagane) maggiore rispetto al lettore comune che gli consente di comprendere i simboli, quindi i significati nascosti dentro le opere LEZIONE DEL 12/10/2021 Ut pictura poesis citazione che proviene dall’enciclica Ars poetica di Orazio e fa riferimento al fatto che la poesia è come la pittura in versi, c’è sempre l’immagine come punto di partenza. Immagini e parole saranno il filo conduttore di questo corso e la struttura delle poesie è quella di uno scrigno EUGENIO MONTALE Montale è un poeta enigmista (come Pascoli) lo capiamo dal fatto che ama usare le parole con riferimento alle varie accezioni del termine e inoltre ama usare giochi di parole. Montale non rivela esplicitamente i significati della propria opera, dissemina i propri testi di indizi (simboli religiosi) che il lettore deve individuare e mettere assieme per riuscire a capire il significato recondito delle sue poesie. Quindi possiamo dire che i componimenti sono veri e propri enigmi che il lettore, il quale funge da investigatore, deve risolvere per riuscire a comprenderne il significato; per risolverli utilizza il metodo investigativo quindi deve formulare delle ipotesi, le quali devono essere sorrette da argomentazioni. Il “TU” – Eugenio Montale È un componimento risalente al 1969, che scrisse nel periodo della maturità (aveva 73 anni) LEZIONE DEL 18/10/2021 MONTALE POETA DEPISTANTE Montale è detto poeta depistante: depista i critici e più in generale i lettori. La prova interna che Montale è un poeta depistante è il componimento intitolato il “TU” che si trova nella raccolta satura, il “TU” di satura è un componimento risalente al 1969. A questo punto è fondamentale definire il concetto di “varianti”, ovvero le correzioni dell’autore. Le varianti possono essere spiegate all’interno di un discorso di un testo formato da una brutta e una bella, quelle che noi definiamo “le varianti” sono le brutte ovvero, le redazioni provvisorie del testo mentre le belle sono le redazioni definitive. Le belle di Montale sono contenute nella raccolta “opera in versi”, la quale fu pubblicata dall’editore Einaudi a Torino nel 1980, esattamente un anno prima della morte dell’autore. Le varianti dei versi che parlano di montale come poeta depistante: - V. 976, “Dicono i critici da me con astuzia depistati” montale è reo confesso di depistaggio e ammette la sua astuzia e quindi ha una colpa. In questo caso usa il verbo presente perché si tratta di una consuetudine ovvero una costante che montale applica ai suoi testi. - V. 976, “Dicono i critici, io stesso con astuzia li ho depistati” Differenze nella 2° versione montale rivendica l’azione da sé compiuta. - V. 976, “Mi sono ben guardato dall’avvisare” - V. 976, “Per colpa mia (i critici) non furono avvisati” - T. 283, “Senza questa mia colpa avrebbero saputo” Se si mettono insieme si vede un Montale che si fa beffa dei suoi ingenui lettori, si sta pavoneggiando del suo essere stato astuto e del suo essersi ben guardato dall’avvisare i suoi critici che li stava portando fuori C’è un altro componimento successivo (anni ‘80) che si intitola “quando il fischio del pipistrello”, in questo componimento Montale dice di essere stato invischiato nel grande affare. “Il pipistrello con la tromba del giudizio universale” è di fatto un angelo nero e il tema del fischio è ripreso dal libretto di Arrigo Boito BOTTA E RISPOSTA III – Eugenio Montale Poesia che risale al 1968/1969 ed è anch’essa del componimento poetico “Satura”, montale è anziano e pensa che sia in punto di morte, così sente la necessità di iniziare a chiarire le idee ai lettori riguardo la vera natura delle sue poesie. TESTO: Di quel mio primo rifugio io non ricordo che le ombre degli eucalipti; ma le altre, le ombre che si nascondono tra le parole, imprendibili, mai palesate, mai scritte, mai dette per intero, le sole che non temono contravvenzioni, persecuzioni, manette, non hanno né un prima né un dopo perché sono l’essenza della memoria. Hanno una forma di sopravvivenza che non interessa la storia, una presenza scaltra, un’asfissia che non è solo dolore e penitenza (T 370) “primo rifugio”, “ombre”, “eucalipti”, “nascondono” parla di ciò che lui ricorda stando nel primo rifugio (rimanda al cavallo di troia, lui chiuso in un rifugio) e ricorda le ombre degli eucalipti. Montale non scrive mai nulla per caso, ha inserito l’eucalipto, una pianta con un profumo molto intenso e balsamico. “Eucalipto” termine composto da due termini greci che significano “coperto bene”, quindi significa nascosto bene, così inizia ad anticiparci il tema di qualcosa che è nascosto bene, ci anticipa che c’è qualcosa di ben nascosto nei versi successivi. Nei versi vi è il riferimento allusivo all’opera del 1582 di Giordano Bruno “De Umbris Idearum” in abbinamento all’opera esemplificativa “Ars memoriae” Giordano bruno morì nel 1600 a Roma, bruciato sul rogo per le proprie idee e a causa delle quali fu denunciato al tribunale dell’inquisizione, per questo “le sole (parole) che non temono contravvenzioni, manette e persecuzioni”, il De Umbris Idearum è un trattato dell’arte della memoria, ovvero che proponevano tecniche di memorizzazione dei concetti. Lo scopo per il quale Bruno metteva in atto questo sistema di memoria era una finalità religiosa, tramite questo trattato desiderava che le ombre (divinità pagane egizie) venissero tramandate dalla memoria tramite le tecniche della memotecnica, queste ombre sono OMBRE DIVINE e pagane che hanno a che fare con il paganesimo degli antichi egizi Montale ci sta suggerendo che ci sta parlando del tema delle ombre nascoste alla maniera delle ombre di Giordano Bruno, le idee nascoste bene, sono idee religiose che si nascondono tra le parole e che non sono mai state espressamente dichiarate perché lasciandole in forma di ombre non è stato messo sotto accusa. LEZIONE DEL 26/10/2021 Le ombre di cui parla montale sono ombre che hanno a che fare con la religione, una religione che non è quella cristiana, ma bensì una religione che ha a che fare con le antiche eresie o le religioni pagane. Montale usa, per spiegare la struttura delle sue poesie, ci dice che la sua poesia l’ha concepita come un “muretto a secco”, ovvero scritta a denti stretti, infatti Montale nel 1961 paragonò la struttura dei propri tesi poetici a quella di un muretto a secco, in cui le immagini poetiche vengono accostante casualmente a incastro senza il collante (rappresentazione del cemento), la modalità a denti stretti significa che il poeta non fa capire ai lettori il significato profondo delle sue opere (sono poesie poco comunicative) Montale scelse l’immagine del muretto sia perché i muretti a secco sono tipici dei luoghi in cui ha vissuto, ma anche perché le pietre che lo compongono sembrano accatastate alla rinfusa come le parole che compongono le sue poesie, le quali sembrano apparentemente senza senso, ma in realtà sono legate insieme dal collante (ovvero le ombre). Le parole di Montale sono circondate dalle ombre religiose e queste parole sono PAROLE MARRANE, questo termine venne introdotto dallo stesso autore nell’opera di Satura del 1968 “Le parole” Le parole marrano, deriva dallo spagnolo e ha due significati ovvero “maiale” ed “eretico” ovvero colui che dissimila la propria religiosità segreta, questo termine venne usato con il significato eretico per la prima volta in Spagna, durante il periodo dell’inquisizione e lo affibbiavano ad Arabi ed Ebrei, i quali si erano ufficialmente convertiti al cattolicesimo, ma in realtà continuavano in segreto a professare la loro religione. TESTO: le parole [...] invano si celano nei dizionari perché c’è sempre il marrano che dissotterra i tartufi* più puzzolenti e più rari (T 374). La poesia di Montale viene anche costruita con oggetti marrani, ovvero oggetti apparentemente realistici che però dissimilano un ulteriore significato attinente a religioni eretiche o pagane (es. il tartufo scoperto dal marrano) LEZIONE DEL 2/11/2021 La musa ispiratrice di Montale è Irma Brandeis (chiamata dal poeta Clizia), la quale apparteneva ad una famiglia che professava l’eresia dell’ebraismo chiamata Frankismo (fondata sul marranesimo, quindi sulla dissimulazione religiosa) L’OGGETTO MARRANO DI MONTALE Gli oggetti marrani sono dei simboli religiosi dissimulati dove la religiosità è una “religiosità proibita” Importante il tema dei tartufi il tartufo non è solo un tartufo ma bensì un simbolo religioso *Parla dei tartufi perché ai tempi in cui è stata scritta la poesia la ricerca dei tartufi veniva fatta con i maiali. Simbolo significa “uno fatto da due” come affermava Platone nel simposio, se un oggetto è un simbolo, allora questo oggetto ha un significato realistico e un significato ulteriore, il quale riguarda le antiche eresie e le religioni pagane. La poesia di Montale è una poesia simbolico-religiosa e una poesia “marrana” quindi una cripto-poesia, riconducibile al suo essere un cripto poeta, tant’è che nelle sue lettere si firmava come “Eusebio” (già a partire dagli anni 20), ovvero il suo pseudonimo, Eusebio deriva dal Greco e significa “colui che venera bene gli dei” quindi siamo nell’ambito del paganesimo (“dei”, più dei pagani). LEZIONE DEL 8/11/2021 Montale ce lo fa capire nella sua poesia di Satura “dopo una fuga”, poesia che risale agli anni ’60 in cui scrisse “la mia strada è passata dai demoni (satanismo) e da Dei indistinguibili (paganesimo politeista)”, facendo riferimento al fatto che nella sua vita (di uomo e di poeta) egli Immagine del cubo di Rubik ci fa capire il “sincretismo religioso” di Montale, ovvero un accordo o fusione di dottrine di origine diversa sia nella sfera delle credenze religiose sia in quella delle concezioni filosofiche. Nella sua poesia infatti possono convergere più filoni religiosi, i quali possono essere marcati con colori differenti come con le facce del cubo, le quali apparentemente sembrano sconnessi tra loro. Il sincretismo religioso è alla base delle opere di Montale, ed è una delle chiavi per arrivare a capire il significato recondito dei suoi componimenti LEZIONE DEL 9/11/2021 MISTERIOSA MITOLOGIA FAMILIARE MONTEROSSINA MONTALIANA A Monterosso al mare c’è il promontorio di San Cristoforo dove si trova il cimitero, ma la salma di Montale non si trova là in quanto è stato seppellito a Firenze, il cimitero di Monterosso divide in due il paese Sopra la tomba di famiglia di Montale è presente il disco solare alato, un simbolo pagano frequentemente usato sulle tombe delle famiglie non cristiane di origine egizia (ma non solo) Nella scritta “famiglia Montale” al posto della “O” nel cognome è rappresentato un serpente che si mangia la coda formando un cerchio (Uroboro), simbolo pagano del tempo ciclico di quello che Nietzsche chiamava “eterno ritorno dell’identico” Il tema del tempo ciclico non è un tema cristiano, nel cristianesimo infatti si attende il giorno del giudizio universale, quindi non pensa al tempo come circolare, ma bensì lineare. “alfa” e “omega” alla destra e alla sinistra della porta della cappella funebre, indicano l’inizio e la fine dei tempi (simboli pagani poi riutilizzati in ambito Cristiano) Montale coinvolge persone che erano legate a un’eresia, come il modernismo, una corrente dell’eretismo cattolica che si diffuse intorno agli inizi del 1900 sia in Italia (grazie a Minotti Murri e Buonaiuti) sia all’estero, tant’è che nel 1907 Papa Pio X dovette emanare un’enciclica intitolata “Pascendi” in cui condannò il modernismo in quanto eretico. Perciò la poesia si apre alludendo all’eresia del modernismo, Tyrell fu il maggiore esponente de Trinchero fu modernista fino al 1906 ed entra nella famiglia Montale intorno al 1913, tuttavia passò dal modernismo ad un’altra eresia, aderì in segreto ad una setta religiosa eretica che si chiama TOWIANISMO, Achille Erba in “aspetti e problemi del cattolicesimo italiano nei primi decenni del 1900” pubblicò delle lettere scritte tra Trinchero e Begey (capogruppo del filone Torinese dei towianisti) in cui si diceva che Trinchero doveva rimanere all’interno della chiesa per poterla riformare dall’interno. Nella poesia ipotizziamo che Montale sia venuto a conoscenza di quest’articolo e che abbia preso spunto per poter scrivere “l’odore dell’eresia”, dicendo le stesse cose che aveva letto nell’articolo e affermando che lui era a conoscenza della doppia vita di Trinchero. LEZIONE DEL 7/03/2022 L’ODORE DELL’ERESIA – Eugenio Montale Consente di dimostrare che Montale viveva in un ambiente eretico da ragazzo e che ne era consapevole, il tratto ereticale deriva dal sacerdote Trinchero, un barnabita, ma in realtà era un cripto eretico appartenente alla setta del Towanismo. Towiansky, colui che ha fondato il Towanismo, è presente nelle opere di Marianna Montale. Questa vicenda fece sì che Montale prendesse spunto per poter scrivere la sua opera “l’odore dell’eresia” Quali erano le eresie che contribuirono al Towanismo? Orazio Premoli scrive un libro intitolato “contributo alla storia del misticismo contemporaneo” nel 1913, Premoli era un Padre Barnabita che mette in luce quali fossero gli aspetti eretici della dottrina Towanista e che erano condivise anche da Trinchero. In realtà nel towanismo sono confluite delle eresie che già in precedenza erano state condannate dal cattolicesimo: - Eresia gnostica lo gnosticismo è una delle prime eresie del cristianesimo, esplicita in autori come “Arrigo Boito”, della scapigliatura Milanese - Metempsicosi reincarnazione dopo la morte - Concezioni apocalittiche che però non sono in linea con l’apocalisse cristiana, si parla in questo caso di apocatastasi e palingenesi, che sono due fasi della concezione apocalittica degli stoici antichi pagani - Concezioni di Gioachino da Fiore teorie millenaristiche preconizzanti la fine del mondo, in particolare l’approssimarsi di un’epoca superiore, quella dello spirito Paracleto. Gioachino Da Fiore Visse tra il 1130 e il 1202 circa. Gioachino da Fiore riteneva che esistessero tre periodi nella vita del genere umano e nella storia della sua salvezza, è noto infatti per la “teoria dei tre periodi”, la particolarità è che Gioachino Da fiore fa combaciare ai tre periodi le tre figure della trinità, ovvero Padre, Figlio e Spirito Santo: 1. L’ETÀ DEL PADRE il regno del padre era stato quello dell’antico testamento ed era stato il regno della legge dominato dai laici 2. L’ETÀ DEL FIGLIO l’età di Gesù Cristo, la quale corrisponde al regno del nuovo testamento e della chiesa cattolica. Secondo Gioachino Da Fiore l’età del figlio era sul punto di esaurirsi, i cristiani avrebbero dovuto affrontare prove terribili e l’antecristo sembrava che stesse per prendere il sopravvento, lasciando il posto alla terza età, ovvero l’età dello spirito 3. L’ETÀ DELLO SPIRITO eretta da un Ordo Iustorum (o monachorum o contemplantium), ovvero uomini giusti, e basata su un Vangelo eterno e che sarebbe stata l’età di Giovanni alla quale si sarebbe arrivati tramite un trapasso dalla chiesa di Pietro alla chiesa di Giovanni. Le posizioni di Gioachino Da Fiore sono state condannate dal IV concilio Lateranense (1215) e dal Concilio provinciale di Arles (1263) Gioachino Da Fiore nega la signoria di Gesù Cristo in quanto viene superata dall’avvento dell’età dello spirito, quindi ritiene che la signoria di Cristo sia temporanea in quanto successivamente ci sarà lo spirito a sostituirlo e quindi proclama anche la fine della chiesa di Pietro. Gioachino Da Fiore annuncia nello svolgersi della nostra storia terrestre una terza età o terzo tempo e proclama che eterno sarà il tempo dello spirito, quindi per lui Gesù non è più la persona in base alla quale tutto si organizza, ma bensì un simbolo che si eclisserà di fronte alla rivelazione dello Spirito, mentre il cristianesimo, al contrario, basa tutta la sua idea sulla figura di Gesù Cristo. Montale, qualche anno dopo l’articolo che uscisse la condanna di Trinchero scritta da Erba, scrisse l’odore dell’eresia con la quale dimostra anche che conosce le teorie di Gioachino Da Fiore. Nell’odore dell’eresia Montale dissemina dei “sassolini” così che il lettore unendo le tracce lasciate dall’autore possa capire che l’eresia di cui si parla non è il modernismo di Tyrell e di Miss Petre, ma il Towanismo. Montale nel testo scrive “fu miss Petrus”, cambia il nome della suora perché Petrus tradotto dal latino diventa “Pietro”, quindi l’autore utilizza questo nome per collegarsi al Towanismo i quali condannavano la chiesa di Pietro, ovvero quella della chiesa cattolica, facendo riferimento invece alla teoria di Gioachino Da Fiore delle tre età, secondo le quali la chiesa di Pietro sarebbe poi stata superata dalla Chiesa di Giovanni. Questo è il primo indizio che fa capire che l’eresia di cui si parla è il Towanismo e non il modernismo. Il secondo indizio si trova alla fine della poesia, dice che per Trinchero le poesie eretiche erano un “balsamo”, balsamo perché in realtà non risultavano così strani in quanto era proprio il suo credo. Inoltre sempre alla fine utilizza parole come “pneumi” e “soffi”, che possono essere ricollegati all’avvento dello spirito, tema che conclude la poesia e che era il credo centrale dei Towanismo. Questo componimento è circolare perché si apre con un tema riconducibile al Towanismo e si conclude con l’esortazione dello spirito in riferimento a concezioni eretiche, indizi che fanno capire che Trinchero non era un modernista ma un Towanista. In questa poesia, nella seconda strofa, si trova anche la base del tema del Dionisiaco e TESTO “l’odore dell’eresia”: Fu miss Petrus, l’agiografa e segretaria di Tyrrel, la sua amante? Sì, fu la risposta del barnabita e un brivido d’orrore serpeggiò tra parenti, amici e altri ospiti occasionali. Io appena un bambino, indifferente alla questione, il barnabita era anche un discreto tapeur di pianoforte, e a quattro mani, forse a quattro piedi avevamo cantato e pesticciato “In questa tomba oscura” e altrettali amenità. Che fosse in odore di eresia pareva ignoto al parentado. Quando fu morto e già dimenticato appresi ch’era sospeso a divinis e restai a bocca aperta. Sospeso sì, ma da chi? Da che cosa e perché? A mezz’aria attaccato a un filo? E il divino sarebbe un gancio a cui ci si appende? Si può annusarlo come qualsiasi odore? Solo più tardi appresi il significato della parola e non restai affatto col respiro sospeso. Il vecchio prete mi pare di rivederlo nella pineta ch’è bruciata da un pezzo, un po’ curvo su testi miasmatici, un balsamo per lui. E l’odore che si diffonde non ha nulla a che fare col divino o il demonico, soffi di voce, pneumi di cui è traccia solo in qualche carta illeggibile. misura e dell’equilibrio, Dioniso invece è il dio del disordine, della follia, disarmonia, qui capiamo perché Montale si inginocchia sulla fonte Castalia ma non vede il suo riflesso perché è una fonte apollinea perché lui è un poeta dionisiaco come dice a denti stretti nel 1924 quando si dice poeta tirso nel IX componimento di Mediterraneo. Pompei: affreschi villa dei Misteri, molti simboli dionisiaci come la maschera del teatro e la corona di foglie d’uva o di edera, il ragazzo da iniziare al culto si sta guardando nello specchio, è anche questo un simbolo perché Dioniso Zagreo è stato uccido dai titani mentre si guardava allo specchio quindi lo specchio di vino ci rimanda a questo delle iniziazioni dionisiache. Nella raccolta Diario del '71 e del '72, subito dopo L'odore dell'eresia, c'è la poesia Le acque alte, in cui il tema del paganesimo diventa più esplicito. La poesia inizia infatti con questi versi: LE ACQUE ALTE mi sono inginocchiato con delirante amore nella fonte Castalia ma non un filo d’acqua rifletteva la mia immagine La Fonte Castalia (tempio di Adelfi; in cui per 9 mesi si onorava Apollo, per 3 mesi si onorava Dionisio Zagreo) è una fonte dedicata al dio Apollo. Ma Montale non vede riflessa la propria immagine nella fonte Castalia (apollinea). Perché? Perché Montale è un poeta dionisiaco (questo si evince in Mediterraneo, IX, 1924 in cui c’è il termine “tirso”, che ci vuole dire che egli è un poeta neopagano, neodionisiaco). Per cui, essendo lui un poeta neodionisiaco, non riesce a specchiarsi nella fonte Castalia legata ad apollo. Montale, poeta tirso in Mediterraneo afferma di aver scritto Mediterraneo con “parola sapide di sale greco”: Mediterraneo ha sottotraccia concetti (=sapore) provenienti dall’antichità greca (“tirso”). La fonte Castalia si trovava presso il santuario di Delfi, dove era venerato Apollo, dio del sole e della poesia, della bellezza e dell'armonia. Bere alla fonte Castalia significava ricevere da Apollo l'ispirazione poetica. • Montale dice di essersi inginocchiato sulla fonte di Castalia e questo gesto indica il suo essere poeta (cerca l'ispirazione poetica), un poeta che compie un rituale tipico del paganesimo antico: si comporta come un antico poeta pagano. Montale dice però che le acque non riflettevano la sua immagine: questo significa che la sua ispirazione non è apollinea, non è il poeta della grazia e dell'armonia. A Delfi erano venerati sia Apollo che Dioniso, quindi Montale sta dicendo che la sua ispirazione non è apollinea, ma dionisiaca, che lo ispira Dioniso, dio della follia e della disarmonia. C'è quindi un filo conduttore che lega le poesie L'odore dell'eresia e Le acque alte: nella prima, avevamo pesticciato, che rimanda al pigiare l'uva e quindi al vino, sta a dire che Montale ha un’ispirazione dionisiaca e non apollinea, come conferma dicendo che la sua immagine non viene riflessa dalla fonte Castalia nella poesia successiva. L'accostamento delle due poesie nella raccolta rende esplicito il tema del paganesimo, che però il poeta ha abilmente dissimulato. Nella poesia Iride (1943-44), inserita nella raccolta La bufera, Montale ci dice di essere anch'egli un eretico, però ovviamente lo dichiara in modo allusivo e a denti stretti. Tra le righe di questa poesia si parla di un’eresia cristologica, di un’eresia dell’ebraismo, ma anche del paganesimo greco/romano e semitico: è una poesia con tante stratificazioni semantiche, tutte legate al tema della religione non cristiana. Iride è infatti una poesia oscura, tipica del Montale reticente e depistante, che costruisce i suoi testi con la tecnica del muretto a secco: tante immagini senza un collante esplicativo, senza un collegamento logico. Anche questa poesia è uno scrigno dai molteplici fondi segreti e ciascun fondo, per essere aperto, ha bisogno di una chiave. Montale si identifica con la figura del povero nestoriano smarrito, seguace cioè di Nestorio, arcivescovo e teologo della Siria e patriarca di Costantinopoli, che visse tra il 381- 451 circa e fu considerato eretico. A Nestorio si attribuiva un’eresia cristologica, che affermava che alle due nature di Gesù Cristo (divina e umana) corrispondessero anche due diverse persone (duofisismo= due nature); questa eresia venne condannata nel Concilio di Efeso nel 431. Montale, nel momento in cui, nella poesia Iride, si identifica con il seguace di Nestorio, dichiara a denti stretti, in modo allusivo, di essere un eretico. In Iride sul tema cristologico si innesta un’altra eresia, quella dell’ebraismo definita “Frankismo”, che attendeva il Messia incarnato in una donna. Il Frankismo è un’eresia ebraica, che perdura tuttora, in modo particolare in America. Intorno al 1700 in Polonia si diffuse tra gli ebrei. Al Frankismo aveva aderito la musa ispiratrice di Iride, Irma Brandeis, inserita nella poesia con l'espressione “un fuoco di gelo”, che allude al suo cognome (brand= fuoco; ice= ghiacci). È a lei che il poeta si rivolge nella poesia. Irma era una studiosa americana, appassionata di letteratura italiana, che conobbe Montale all’inizio degli anni '30 a Firenze, dove il poeta era direttore della biblioteca del Gabinetto Vieusseux; i due si frequentarono per tutta un'estate, ma Montale era già legato a Drusilla Tanzi, colei che nelle sue poesie menziona con l’appellativo di mosca e che diventerà sua moglie. Infatti il progetto di seguire Irma in America naufraga perché Drusilla minaccia di suicidarsi. Irma entra nella poesia Iride con le sue vere caratteristiche: Irma di religione ebraica è chiamata Iri del Canaan, territorio in cui si insediarono gli antichi Ebrei dopo essere fuggiti dall’Egitto. Il nome Iri richiama la dea greca Iride, messaggera di Giunone, identificata con la dea cartaginese Astarte, (Cartagine fu fondata dai Fenici), chiamata Caelestis dai Romani. Nel nome Iri del Canaan è quindi evidente la fusione di elementi ebraici, fenici e greco-romani. Il Canaan era la “terra dei Fenici”, popolazione che venerava Ball e Moloch, cui si offrivano sacrifici umani. Moloch, divinità cruenta del paganesimo semitico (i Fenici sono una popolazione semitica, come gli Ebrei), era una fornace a forma di corpo di animale sulle cui mani tese venivano posti i bambini dati in sacrificio, che precipitavano nel fuoco. Questo rituale è descritto da Flaubert nel suo romanzo Salammbò (1862), opera tradotta nel 1940 per Einaudi da Camillo Sbarbaro, amico di Montale. LEZIONE DEL 22/03/2022 continuo lezione precedente - “L’odore dell’eresia” Sono i versi finali “Il vecchio prete mi pare di rivederlo nella pineta ch’è bruciata da un pezzo, un po’ curvo su testi miasmatici, u balsamo per lui. E l’odore che si diffonde non ha nulla a che fare col divino o il demoniaco, soffi di voce, pneumi di cui è traccia solo in qualche carta illeggibile.” Questa poesia si chiude con il tema dello spirito (tema centrale del credo towianista). Quando Montale scrive “miasmatici” intende che sono odori religiosi velenosi in quanto eretici. Successivamente dice “per lui balsamo” in quanto Trinchero era un eretico che credeva fortemente in quelle idee. Il vecchio padre, Trinchero, Montale lo rivede curvo su “testi velenosi” che per lui “sono balsamo”. Il termine “pesticciato”, che significa “pestare con intensità” rimanda alla vendemmia (che avveniva in contenitori di forma rettangolare in cui veniva inserita l’uva e dove più persone pestavano i grappoli), il termine “trinchero” potrebbe rimandare all’atto di bere (trincare). Il vino ha a che fare con la religiosita’, nella religione cristiana il vino viene associato alla divinita’ Bacco (Roma) e Dioniso (Grecia), dei del vino. L’atto del pesticciare avveniva in contenitori rettangolari che rimandano all’idea di una tomba oscura cosi’ come rimanda all’idea di uno “specchio di vino” (che è anche uno specchio divino in quanto collegato al culto dionisiaco). Già secoli prima Petrarca nel poema “l’Africa” aveva parlato di Monterosso al mare introducendo il tema di Dioniso-Bacco al quale diceva che era caro Monterosso per via dei suoi vigneti (Monterosso è impregnata da elementi pagani). Anche il pino è un tema dionisiaco (Dioniso era caro a questa pianta). Il nesso tra Nettuno e Bacco è il tridente (Nettuno impugna il tridente Dioniso invece ha il tirso in mano). Nell’ “Odore dell’eresia” Montale scrive “il vecchio prete mi pare di rivederlo nella pineta ch’è bruciata da un pezzo” ed è qui che Montale collega Trinchero all’eresia in quanto a Monterosso (la pineta bruciata da un pezzo) c’è la statua pagana di Nettuno (eretta nel 1910) che impugna un tridente e che sulle spalle sorregge una conchiglia. Montale quando sceglieva l’ordinamento dei propri testi all’interno di una raccolta seguiva criteri molto precisi anche se non li dichiarava. Questo ci consente di scoprire significati reconditi. Quando Montale metteva 2 poesie una affianco all’altra stava a significare che vi erano fili conduttori tra i 2 componimenti. Questa cosa è stata fatta nel diario del ’71 e del ’72 tra il componimento “L’odore dell’eresia” e il componimento “le acque alte”. Attraverso l’odore dell’eresia Montale vuole far riflettere sugli aspetti pagani appartenenti a Trinchero (nello specifico al paganesimo dionisiaco). Nella nascita della tragedia Nietzsche collega Dioniso ed Apollo (secondo alcune fonti erano fratelli in quanto entrambi i figli di Zeus e Giove), Dioniso è collegato al tema della fonte Castalia che viene citata nei primi versi de “le acque alte” (“mi sono inginocchiato con delirante amore sulla fonte Castalia ma non un filo d’acqua rifletteva la mia immagine”). Apollo è il dio dell’ordine, dell’armonia e della bellezza classica (ovvero data dall’equilibrio) mentre Dioniso è il dio del disordine, della follia e della disarmonia. Montale arrivato alla fonte Castalia (in Grecia) non vede riflessa la sua immagine in quanto la fonte Castalia si trovava vicino al tempio di Delfi (in cui si venerava solo per 3 mesi Dioniso mentre per i restanti mesi si venerava Apollo). Montale ci dice che non vede riflessa la propria immagine nella fonte Castalia in quanto è una fonte apollinea e non dionisiaca (Montale è un poeta tirso ovvero un poeta neo-pagano, precisamente neo- dionisiaco). Montale e Trinchero vengono ritratti pesticciati in rapporto ad una tomba oscura dionisiaca. L’accostamento tra “L’odore dell’eresia” è le acque alte” ci rende chiaro il collegamento tra Montale e il culto dionisiaco. Il tema dello specchio, a cui rimanda Montale nelle “acque alte”, e’ collegato al tema di Dioniso in quanto Dioniso Zagreo venne ucciso (fatto a pezzi) dai titani mentre si guardava allo specchio. Testo della poesia “IRIDE” "Quando di colpo San Martino smotta le sue braci e le attizza in fondo al cupo fornello dell’Ontario* schiocchi di pigne verdi fra la cenere o il fumo d’un infuso di papaveri e il Volto insanguinato sul sudario che mi divide da te; questo e poco altro (se poco è un tuo segno, un ammicco, nella lotta che me sospinge in un ossario, spalle al muro, dove zàffiri celesti e palmizi** e cicogne su una zampa non chiudono *Ontario ha molteplici significati, è una provincia Canadese, che si trova davanti a New York, città frequentata da Irma Brandeis (musa ispiratrice di questa poesia) ** ossari + palmizi = Tofet di Cartagine LEZIONE DEL 28/03/2022 Stiamo considerando Iride, in particolare i versi boh, sono ambientati a Cartagine e questo non è un caso, è fondamentale chiedersi cosa c’entra Montale con Cartagine. Montale si chiamava Eugenio, ed è proprio il suo santo protettore ad essere legato a Cartagine, Sant’Eugenio infatti era il Vescovo di Cartagine e durante le persecuzioni ariane si trasferì sull’isola di Bergeggi, in Liguria e questo fu considerato un vero e proprio miracolo. Montale in Iride si riferisce sempre ad un “tu”, ovvero Iri Cannan, in cui Cannan era la terra dei fenici e i fenici fondarono Cartagine ed era una popolazione che venerava Ball e Moloch, cui si offrivano sacrifici umani. Moloch, divinità cruenta del paganesimo semitico (i Fenici sono una popolazione semitica, come gli Ebrei), era una fornace a forma di corpo di animale sulle cui mani tese venivano posti i bambini dati in sacrificio, che precipitavano nel fuoco. Questo rituale è descritto da Flaubert nel suo romanzo Salammbò (1862), opera tradotta nel 1940 per Einaudi da Camillo Sbarbaro, amico di Montale. Irma entra nella poesia Iride con le sue vere caratteristiche: Irma di religione ebraica è chiamata Iri del Canaan (Alias Irma Brandeis), territorio in cui si insediarono gli antichi Ebrei dopo essere fuggiti dall’Egitto. Il nome Iri richiama la dea greca Iride, messaggera di Giunone, identificata con la dea cartaginese Astarte, (Cartagine fu fondata dai Fenici), chiamata Caelestis dai Romani. Nel nome Iri del Canaan è quindi evidente la fusione di elementi ebraici, fenici e greco-romani. In Iride troviamo ancora i Fenici nell'espressione quell’effigie di porpora, poiché il color porpora era estratto dai Fenici (in greco, Fenici= purpurei) da un mollusco, il murice. Montale a denti stretti ci parla dei Fenici, in questa poesia dedicata a Iride, alla quale aveva parlato del Moloch in una lettera. È fondamentale nella poesia il riferimento al “Volto”, il quale risulta connesso alla città di Cartagine, l'espressione drappo bianco è da ricollegare al v.5 il volto insanguinato sul sudario con cui Montale fa riferimento al volto di Gesù impresso sul telo della Veronica durante la Via Crucis, ma rimanda anche a Irma, poiché essa essendo ebrea sta ancora aspettando il messia, che però è una donna. Fondamentale chiedersi anche perché il volto insanguinato diventa una maschera sul drappo bianco: La maschera era indossata dagli attori delle tragedie greche, spettacoli che si tenevano durante le feste in onore di Dioniso. Il filosofo Nietzsche aveva sostenuto che nelle tragedie dell’antica Grecia veniva messo in scena sempre lo stesso dramma, quello di Dioniso Zagreo, ucciso neonato e fatto a pezzi dai Titani, per poi rinascere come Dioniso Iacco. Quindi con il termine maschera Montale collega la passione di Gesù (il volto insanguinato) con la passione e morte di Dioniso, contaminando elementi cristiani e pagani. Nella poesia Iride Montale inserisce un insieme di immagini simbolico-religiose, provenienti da differenti religioni e incastrate come le pietre di un muretto a secco (in cui le pietre non sono unite col cemento), apparentemente senza un legame logico, ma in realtà collegate dal tema criptoreligioso e dal sincretismo. Il lettore che si ferma alla scriptio superior legge solo versi incomprensibili e astrusi: chi vuole arrivare alla scriptio inferior deve conoscere le religioni antiche e i loro simboli, ma deve anche saper cogliere le associazioni logiche nascoste, con cui Montale ha tra loro collegato i diversi elementi, per costruire il suo sincretismo religioso (in cui compaiono l'eresia nestoriana, l'ebraismo e il Frankismo di Irma, il cattolicesimo con la passione di Cristo, il paganesimo semitico con Adone, il paganesimo greco con Dioniso). Nella poesia parla anche delle cicogne, che risultano collegate al tema della nascita, tuttavia Montale non ne parla con accezione positiva ma le definisce come uccelli che uccidono i loro piccoli se deformi o malati prima di intraprendere il viaggio migratorio verso l’Africa. Anche la prima strofa di “iride” parla di un sacrificio, ma un sacrificio Cristiano, ovvero quello cruento di Gesù Cristo, tant’è che “il volto insanguinato sul sudario” fa riferimento ad una tappa della via Crucis (stazione VI, quello della Veronica) “San Martino” rimanda invece fa riferimento al duomo di San Martino di Lucca (recuperare) LEZIONE DEL 4/04/2022 San Martino ha a che fare con il tema del volto, Montale conosceva il Duomo di Lucca chiamato anche di San Martino sia perché l’autore aveva delle cugine a Lucca, ma anche perché nella frazione di Lucca (Cerasomma) si recava tutti gli anni di ritorno da Monterosso Anna Degli Uberti per vendemmiare nei vigneti di proprietà della sua famiglia (verso 4) IL TEMA DEI PAPAVERI I papaveri sono il simbolo di Demetra, dea greca che con la figlia Persefone era a capo del culto misterico “Misteri eleusini” Quindi l’infuso di papaveri ci parla del sonno, sonno che allude alla morte, i baccelli di papaveri decoravano anche le tombe antiche tra le quali anche quella monterossina dei Montale (riferimento pagano della famiglia Montale) Anche le “pigne verdi” citate da Montale sono un simbolo pagano, in particolare il simbolo del Dio Greco Dioniso IL TEMA DEL VOLTO Nella seconda parte della poesia il tema del volto ritorna, nelle prime strofe alludeva al sudario di Gesù Cristo, nella seconda parte il riferimento cristiano si trasforma in pagano parlando di “effigie di porpora” e di “maschera sul drappo bianco” - Effigie di porpora sottintende un rimando ai Fenici, una popolazione pagana situata nella terra del Canaan. Il tema dei fenici è ripreso nell’espressione “iri del Canaan”, epiteto che fa riferimento ad Irma Brandeis, “iri” infatti vuol dire “iride” ovvero la messaggera degli dei, ma è al tempo stesso il diminutivo di “Irma”, la quale era ebrea, ma non ortodossa (lei faceva riferimento al Frankismo) I fenici venivano chiamati “i purpurei” o ”i rossi” in quanto erano coloro che scoprirono il colore porpora, la porpora è un colorante naturale estratto da un mollusco Qui entra in gioco il sincretismo religioso montaliano, il tema della porpora rimanda alla divinità pagana (fenicia) di Adone e il termine “Adon” significa “signore” I cultori della porpora credevano in Adone che era collegato a vicende di morte e, secondo alcune fonti, di rinascita. Il dio Adone era stato ucciso mentre andava a caccia, così che i fenici celebravano le feste nel bosco in cui si ricordava la morte di Adone e la sua rinascita primaverile - Maschera sul drappo bianco” l’immagine del volto di Gesù Montale la lega al concetto di “Maschera” È insolito perché la maschera è un’immagine prettamente pagana, gli attori greci si esibivano portando una maschera e fa riferimento al dio Dioniso Zagreo, figlio di Persefone e di Zeus. La morte del dio Dioniso Zagreo è trattata anche ne “Nascita della tragedia” di Nietzsche, il dio venne fatto a pezzi dai Titani appena nato e successivamente sepolto nel tempio di Delfi, Nietzsche inoltre dice che in tutte le tragedie antiche c’era un unico personaggio, ovvero Dioniso Zagreo, nascosto sotto gli eroi tragici greci. La maschera sul drappo bianco è un altro implicito riferimento al paganesimo in quanto la maschera nell’antichità veniva usata a teatro, luogo nel quale veniva celebrato Dioniso Zagreo. IL SINCRETISMO RELIGIOSO Con il termine “sincretismo religione” si parla della fusione di dottrine di origine diversa, sia nella sfera delle credenze religiose ma anche a livello filosofico, in particolare nelle opere di Montale è molto visibile l’intreccio di religioni e di ideologie differenti. È proprio Montale che parla di sincretismo religioso nella prosa “cronaca di viaggio il carattere dei Greci” del 1962, anno in cui Montale fece un anno in Grecia questa prosa è un punto fondamentale per il tema del sincretismo religioso cristiano-pagano in quanto chiama in causa le divinità che abbiamo già trovato nella poesia “iride” accostando ad esse la figura di Gesù Cristo Nella poesia dice che è tornata Persefone dall’Ade e inoltre collega la figura di Gesù ad Adone con la frase “è tornata Persefone dall’Ade, si è portato Gesù al sepolcro venerdì come si portava Adone nell’antichità”; Adone nella festa di primavera veniva celebrata la sua morte e la sua risurrezione, mentre Persefone, mitologicamente, passa metà anno con Ade, suo marito, mentre l’altra metà dell’anno risorge portando con sé la primavera, questi due concetti sembrano molto simili alla resurrezione di Gesù, mischiando così cristianesimo e paganesimo. Montale afferma che nel 1960 il popolo Greco è ancora pagano, si sa da Nietzsche che gli antichi greci nelle tragedie vedevano la messa in scena dei tragici fatti della vita di Dioniso Zagreo, spiega che Dioniso (dio del teatro e della tragedia) era la costante in tutte le tragedie presentate. Quindi il popolo Greco assiste alle commemorazioni pagane e alle tragedie come il popolo cristiano va oggi in chiesa, il sacrificio di Gesù, parlando di Montale, è paragonato alla morte e alla commemorazione di Dioniso Zagreo e, di conseguenza si può parlare di sincretismo religioso. LEZIONE DEL 5/04/2022 altra strofa di “Iride”: “ Se appari, qui mi riporti, sotto la pergola di viti spoglie, accanto all’imbarcadero del nostro fiume – e il burchio non torna indietro, il sole di San Martino si stempera, nero. “ San Martino corrisponde alla data dell’ 11 Novembre. Sole di morte, non porta calore, vi e’ l’inverno quindi e’ un’estate fredda. San Martino viene chiamata anche Estate di San Martino, un’estate fredda dei morti perche’ poco prima cade la festa cristiana dei morti, il 2 novembre. L’estate di san martino e’ legata al tema dei morti. Proverbio: “A san martino ogni mosto diventa vino”>(” la pergola di viti spoglie”)>montale introduce il tema del vino nell’ambito di versi nei quali si parla del “sole nero”. Tema del vino presente ne “sotto la pergola d viti spoglie”. Non vi sono i grappoli perche’ raccolti per la vendemmia cosi da creare il vino. Sia l’estate fredda che il vino hanno un collegamento col tema del sole nero che riconduce a Dioniso. Gli antichi greci romani- da “macrobio, Saturnali”: nelle preghiere segrete (culto misterico. I culti segreti sono quelli che non vengono celebrati in maniera ufficiale e davanti a tutti. PASCOLI Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna e muore il 6 aprile a Bologna nel 1912. 3.2) testo del 1895 di Pascoli-fase di maturità di Pascoli “Il Pascoli cripto-poeta”: Pascoli, dal punto di vista concettuale, ha molte affinità rispetto a quanto detto su Montale. Sia le opere di Pascoli che di Montale sono concepite e strutturate come scrigni(come uno scrigno di gioielli o un baule). La superficie dello scrigno, cioè il coperchio, è la scriptio superior, la parte interna dello scrigno è lo scriptio inferior. Sulla superficie dello scrigno vi sono gli argomenti già trattati alle superiori riguardo alla poesia Pascoliana, che ha tanto sentimentalismo con immagini naturali e familiari; sentimenti tristi, di famiglia, immagini della natura, piccole cose semplici della quotidianità, lutti di famiglia. Nella scriptio inferior delle poesie di Pascoli concepite come scrigno si ritrovano le antiche eresie del cristianesimo, dell’ ebraismo,antiche religioni pagane e quindi greco romane, egizie, fenicie, fenicio-puniche, precolombiane, azteche. Le immagini poetiche sono dei piccoli scrigni. Le poesie sono degli scrigni ma le immagine prese isolate sono a loro volta dei piccoli scrigni. Nella scriptio superior abbiamo significati che sembrano realistici e molto convincenti e accattivanti ma al di sotto della superficie c’è un significato interno e nascosto riguardante le eresie e religioni pagane. Le immagini pascoliane sono immagini simbolico-religiose pagane; sono simboli religiosi pagani anche se in apparenza potrebbero sembrare molto realistiche. Queste immagini sono simboliche(simbolo=uno fatto da due) quindi essendo simbolo l’immagine ha il suo significato realistico ma al contempo ha un significato altro. Se una cosa significa anche altro vuol dire che è un simbolo. Quell’altro ha a che fare con le antiche eresie e religioni pagane quindi Pascoli, come Montale, è un cripto poeta che ha scritto cripto poesie. Ci sono quindi due livelli di lettura, realistico di superficie e simbolico all’interno e al di sotto della superficie. Se vi sono due livelli di lettura vuol dire che vi sono anche due categorie di lettori, concepiti in partenza dall’autore: A) il lettore comune: si ferma alla superficie dello scrigno quindi alla scriptio superior; B) lettore elitario: interlocutore privilegiato e prioritario. Possiede un bagaglio culturale tale da consentirgli di comprendere i simboli e quindi di comprendere i significati reconditi nascosti dentro lo scrigno. Il suo bagaglio culturale non è lo stesso del lettore comune, è un bagaglio culturale fatto di letteratura ma anche di conoscenze relative alle antiche eresie e alle religioni pagane antiche. Montale e Pascoli, nella scriptio inferior, sono molto simili. 3.2) L’autocommento pascoliano della poesia “Il 21 di Aprile” del 1895: Pascoli aveva 40 anni circa-fase di piena maturità. Questo testo è tratto da un articolo di Pascoli, “Il latino nelle scuole” pubblicato il 15 Ottobre del 1895 sulla “Rassegna Scolastica”. In questo brano vi è la prova che Pascoli si concepiva come cripto poeta che usa immagini simbolico pagane e che postula un lettore che sia in grado, attraverso i suoi indizi, di reperire il significato nascosto dentro immagini simbolico religiose pagane. Vi è l’introduzione, la poesia e il commento di Pascoli.Pascoli si mostra subito un poeta reticente, dissimulatore e depistante perché non dice nell’articolo che questa poesia, che ha come argomento la fondazione di Roma, è stata scritta da lui. Attenzione di Pascoli verso il latino infatti la poesia è scritta sia in italiano che in latino. Attenzione per il latino perché egli, a differenza di Montale che non aveva fatto studi regolari, era un grandissimo conoscitore del greco e del latino e aveva studiato all’università di Bologna dove si è laureato in lettere. Aveva fatto una tesi su un poeta antico greco, Alceo. Lui per tutta la vita ha avuto a che fare con il greco e il latino in quanto si trattava della sua professione. Una volta laureato egli comincia ad insegnare a Matera e poi in altre città di Italia e insegnava nei licei greco e latino. Negli ultimi anni della sua vita li insegna anche in università. È un poeta che scrive le poesie in lingua italiana ma anche in latino e vinceva anche medaglie d’oro nei concorsi internazionali di poesia latina e con queste medaglie riesce a conquistare la casa di Castelvecchio, in Toscana. Casa in cui si trasferì nel 1895. Egli viveva con la sorella Maria. Prima la prese in affitto e poi la acquisto grazie a queste medaglie ottenute in questi concorsi. Intorno alla casa vi era anche il vigneto. Oggi si conservano le bottiglie di vino della casa con l’etichetta ideata da Pascoli che era anche vignaiolo. La casa è rimasta come Pascoli l’aveva lasciata. Dall’altra parte vi era la camera comunicante di sua sorella Maria, con cui lui aveva un rapporto strettissimo. La tappezzeria delle loro camere da letto è costituita da disegni di rose per uno e di viole per l’altro. Il tema delle rose e di viole era stato così interiorizzato da Pascoli che lo utilizzava anche nella quotidianità. Tornando al resto, Pascoli non dice di essere l’autore; lo si sa perché nella sua casa vi era una biblioteca con tutti i suoi manoscritti dove si trovano anche le brutte dei testi. Lui però non si dichiara l’autore del testo. Ad oggi vi sono i testi online di Pascoli sul sito pascoliano di casa Pascoli. Il commento: a Pascoli piace la parsimonia e la semplicità. Qui vi è la chiave per comprendere la poesia pascoliana. Egli qui non parla di sè stesso ma in generale; sono però cose in cui lui crede. Parla di un poeta ipotetico che in realtà è lui stesso. Non lo dice perché altrimenti tutti avrebbero capito che quello che dice è la chiave che consente di aprire lo scrigno delle sue poesie e di capire la struttura delle sue poesie e che tipo di poeta è e che immagini usa che che modus operandi usa. Sono quindi informazioni che Pascoli riferisce a sè stesso. Pascoli quindi dissimila, non dice di essere lui l’autore di questo componimento. Dice che questo sonetto gli piace. Gli piace la parsimonia e la semplicità; questo sonetto è parsimonioso cioè non dice tante cose ma nello stesso tempo è semplice. Pascoli dice che è una poesia parsimoniosa qui di egli si è limitato a dire cose essenziali. Egli esibisce una falsa modestia quando dice che non è chissà che poeta colui che scrive il testo. Egli dice che il poeta non è un Cicerone(guida che spiega tutto per filo e per segno) che parla in versi, cioè in una poesia non bisogna aspettarsi una spiegazione di tutto. Per lui il poeta quindi non deve dichiarare e spiegare tutto perché non è un cicerone ma lascia che il lettore pensi e trovi da sè; il lettore ha un ruolo attivo. Il poeta vuole che il suo lettore abbia un ruolo attivo. Il lettore deve pensare e trovare da sè dopo avergli messo innanzi, da parte del poeta, quanto basta a capire. Da una parte vi è quindi un cripto poeta che dice cose essenziali al lettore che è un ricercatore e un investigatore che cerca gli indizi che il poeta gli ha lasciato, quindi pensare e trovare da sè i significati nascosti che non sono stati esplicitati dal poeta perché il poeta gli ha lasciato gli indizi utili a capire il significato nascosto; il lettore deve avere un ruolo attivo, deve innanzitutto pensare. Il lettore è una testa pensante, riflette e cerca di capire il significato nascosto dal poeta. Pensa, cerca e trova da sè dopo aver passato in rassegna gli indizi che il poeta gli ha lasciato. Il poeta che lascia indizi è il poeta che si comporta come Pollicino e Hansel e gretel. Poeta Pollicino. Sassolini che il poeta Pollicino lascia in giro sono i simboli religiosi pagani. Egli lo dice nella seconda parte del testo. Egli dice che si udiva il martellare di un picchio-Pascoli parte dal dato realistico. Per Pascoli, latinista e grecista, il picchio non è solo un picchio. Pascoli dice che il lettore vede un uccello. Egli dice che il suo lettore deve pensare che il picchio simboleggia qualcosa. Questo uccello è anche qualcos’altro, ovvero “Picus”, il padre di Fauno, il figlio di Saturno, il dio del vaticinio. Egli dice che quando si vedono realistiche dobbiamo pensare che sono simboli di qualcos’altro ma sono simboli religiosi che attingono alla religione pagana antica e tutti questi ragionamenti deve farli il lettore di Pascoli. È quindi Pascoli stesso che dà queste dritte e in base a queste dritte Pascoliane si affrontano le sue opere. Il lettore deve risolvere gli enigmi disseminati dal poeta nei testi. 3.3) “Il sepolcro” (1905): Testo che fa comprendere la religiosità di Pascoli. La chiave di decifrazione dei suoi componimenti è la religione, come lo è per Montale. Vi sono contenuti religiosi che hanno a che fare col paganesimo ma vi è un ulteriore elemento di dissimulazione perché l’oggetto del sepolcro apparentemente reca dei simboli religiosi cristiani che vengono però annullati dalla presenza di altri simboli religiosi pagani e nello specifico dionisiaci. Tema religioso pagano dionisiaco è molto importante e centrale come per Montale. Poesia scritta appena 7 anni prima della morte di Pascoli. Parla di una tomba antica, una tomba che viene abbandonata e diviene preda di erbe selvatiche. in particolare modo nelle ultime 2 strofe Pascoli si concentra sull’edera. Il lettore capisce solo alla fine che questo sepolcro è sormontato da una croce di sasso ammuffito sul quale si è avvolta l’edera. Egli dice di non togliere l’edera ma di lasciarla lì. È l’immagine di tomba che Pascoli vorrebbe per sè. Sulla sua lapide sono stati incisi questi versi. Nel finale si capisce che il sepolcro è sormontato da una croce vecchia tutta avvolta dall’edera. Per lui deve rimanere l’edera che la avvolge tutta e che danneggia il sasso. Le tombe in stato di abbandono sono tutte avvolte dall’edera. Pascoli parla di sepolcro in senso generico. L’edera cresce nei cimiteri e nelle tombe che sono in stato di abbandono; grande desolazione. È come se fosse un cimitero abbandonato, in stato di completo abbandono, quindi nessuno che si prende cura di queste tombe. Intorno alla tomba non vi è solo l’edera ma tante erbacce e Pascoli non fa mai nulla a caso, c’è sempre un filo conduttore. Questa tomba ha una croce in pietra. L’edera è una pianta che danneggia la muratura, il muro si scrosta e alla fine la croce si sgretola. L’edera è un infestante. La croce è un simbolo religioso Cristiana quindi qui la religione è introdotta dalla presenza della croce che verrà distrutta dall’edera. Edera che quindi distrugge il simbolo cristiano. Pascoli nelle prime poesie che scrive da giovane scrive poesie nelle quali inneggia a Dioniso, il tema di Dioniso è centrale nel giovane pascoli. L’edera è un simbolo pagano e la croce simbolo cristiano. I simposiasti, I baccanti, I seguaci di Dioniso portatori di tirso portavano a capo le corone che potevano essere di viti, di uva ma d’inverno si usava l’edera perché la vite a Ottobre è già secca,non ha più foglie. L’edera è simbolo dionisiaco, di quel dioniso considerato Dio delle linfe vitali della natura, linfa che presiede alla crescita rigogliosa e incontrollabile della natura e quest’edera è il simbolo della crescita incontrollabile della natura, della potenza della natura, della linfa vitale che fa capo a Dioniso secondo gli antichi. Croce che non si vede più perché avvolta dall’edera. Il simbolo della religione Cristiana viene annullato e nullificato e annientato da quest’edera che è il simbolo dionisiaco, immagine simbolica della concezione pascoliana della teologia neo pagana della sostituzione. C’è un simbolo cristiano, Pascoli lo fa sovrapporre da un simbolo pagano ed è come se volesse che la religione Cristiana venisse annientata da quella pagana. Pascoli era affigliato alla massoneria; già prima di laurearsi aveva presa contatti con una loggia bolognese per l’affigliazione che poi avviene a Bologna, nella loggia dove vi era anche Carducci. Pascoli è conclamato che fosse affigliato a questa società segreta anticattolica. Egli, dopo il 1882, quando ormai diventa insegnante, questi concetti reversivi non li dice più apertamente e affida tutto il suo discorso al singolo. Pascoli è allusivo, lascia tutto al singolo. L’edera rimanda a Dioniso e anche i simboli precedenti riportano a lui. Egli era esperto di botanica quindi inseriva vegetali con cognizione di causa affinché potesse esprimere il suo concetto e che il lettore potesse accoglierlo. Pascoli è un Antichista perché egli non si rapporta all’antichita’ con criterio archeologico e filologico ma si percepisce come un antico che è tornato a vivere nella nostra quotidianità dove porta con sè tutto il bagaglio di un uomo di quell’epoca(in particolare la religiosità); un antico venuto a vivere nel presente. Il fiocco alla lavallière è simbolo di modernità e di libertà senza alcun freno e simbolo di protesta. Pascoli era un poeta celebre. Non poteva quindi più permettersi di dire determinate cose apertamente. In un intervista che egli fece nel 1895 e che rilasció a Oyetti disse che aveva trascorsi anarchico-socialisti da giovane e spiega che il suo pensiero non era cambiato da allora ma era cambiata la sua professione. Da giovane era uno studente che seguiva gruppi anarchici ma una volta professore non poteva più esprimere il suo pensiero e affida i suoi significati nascosti al simbolo. Pascoli poeta nazionale non può più dire che era anarchico e lo dice con questa cravatta anzi fiocco. da giovane scriveva poesie neopagane e neodionisiache apertamente. Bacco è una divinità anarchica. Queste poesie continuano ad esistere sotto il velo del simbolo. Egli infatti pubblicò i suoi libri di interpretazione simbolica dantesca è uno di questi si intitola infatti “sotto il velame” quindi per lui noi lettori dobbiamo leggere sotto il velame di questa foto e dei suoi componimenti e far emergere i significati reconditi. 1) "Sotto il velame" (1900) di Pascoli: si tratta di un libro di intepretazione dantesca; al momento era poco conosciuto come studioso di Dante. da meta' degli anni 90 scrisse libri di intepretazione dantesca e riteneva che la Divina Commedia di Dante fosse un poema simbolico e che quindi le immagini di Dante fossero se' stesse e anche qualcos'altro e per spiegare questo dice che e' come se l'opera di Dante fosse ricoperta da un velo e noi lettori dobbiamo riuscire a togliere il velo per capire il significato nascosto. Pascoli ebbe delusione su questi libri di interpretazione dantesca perche' riscontro' critiche-ostilita' perche' Pascoli parla di simbolo religioso e non di simbolo tout court; la critica militante perlopiu' non era cattolica percio' ostile a recepire questi simboli religiosi e il discorso del simbolo religioso che ha a che fare con le eresie tocca ambiti che sono prerogativi a societa' segrete quindi coloro che fanno parte di quest'ultime lo tengono all'oscuro. sotto il velame e' come dire che: - "disegno" di una possibile opera velata: 1 livello di significato-significato sopra il velame (significato realistico)-scriptio superior ----------------------------------------------------------------------------------------------------------- 2 livello di significato-significato sotto il velame (significato simbolico)-scriptio inferior il testo e' considerato un' palinsesto. Pascoli concepisce il testo dantesco come un palinsesto, semanticamente bipartito in SCRIPTIO SUPERIOR e SCRIPTIO INFERIOR. E' come se Pascoli dicesse di Dante quello che riguarda anche i suoi testi. 2) Pascoli dagli anni '90 utilizza uno pseudonimo: Giano Nemorino, Giano dei boschi. Nemorino deriva da Nemus, Nemoris (in latino)=bosco. bosco ha a che fare col mondo nebucolico ed esso ha a che fare con le divinita' pagane-Diana, divinita' dei boschi. Si parla di un bosco sacro. Vi erano boschi sacri dedicati a Giano. chi era Giano? era una divinita' romana rappresentata con 2 volti. In questo modo Pascoli dice di avere 2 volti, 2 personalita'. bisogna leggere Pascoli sotto il velame per scoprire l'altro suo volto. Laltro volto ha un nome che corrisponde all'altro pseudonimo che risale agli anni '70: Gianni Schicchi>>e' una figura dantesca che troviamo nell'inferno. Collocato all'inferno in quanto era un falsatore di identita', si faceva passare come un'altra persona e nell'inferno Dante lo rappresenta come un zannatore>>immagine non piu' umana ma bestiale. Immagine efferata. Pascoli aveva qualcosa che lo faceva richiamare Gianni Schicchi il camaleonte, ovvero coluic he assunse una identita' che non era la propria. cio' ci dice tanto di Pascoli. Giano ha une volti quindi ha un'identita' dissimulata e lo stesso vale per Gianni Schicchi, mandato all'inferno perche' falsatore di identita'. dice quindi che aldila' dell'identita' sopra il velame ve ne e' una anche sotto il velame. identita' falsata, nascosta, efferata dall'anarchico. dietro a Giano vi e' il Dio Saturno (mangiava i propri figli perche' gli era stato pronosticato che uno dei figli lo avrebbe detronizzato-era il dio dell'eta' dell'oro. Giove riusci' a detronizzare il padre Saturno, il quale venne accolto da Giano con cui governava come re il popolo latino che vi era nel Lazio. Si nascose quindi nel Lazio presso Giano che lo prese con se' a governare (si parla di ambito della leggenda e non della storia- Saturno era una figura mitologica. Macrobio (autore latino) nei Saturnali (testi latini) riporta che in eta' arcaica a Roma venivano fatti sacrifici umani per Saturno. Dietro al volto di Giano Nemorino c'e' Saturno. 3) L'opera giovanile di Pascoli: Il giovane Giovanni Pascoli: Pascoli faceva attivita' politica a Bologna e in Emilia Romagna e scriveva queste poesie riferite ad eresie; da inizio anni '70 fino al 1882 (quando si laurea, quindi inizia subito a insegnare, nei licei della penisola italiana, latino e greco). concorsi internazionali in cui vinse le medaglie che si attuavano ad Amsterdam. 3.1) "poesie giovanili" (1873-1882): A) "lacrime di Bacco" (13 Ottobre 1878): il tema di Dioniso Bacco e' in linea con quello dell'anarchia perche' egli e' una divinita' anarchica in quanto il vino che da' agli uomini da' gioia a tutti. Bacco era considerato il Dio che dava gioia agli uomini a causa del vino, qualunque uomo senza differenza sociale. vi e' anche la compinente di violenza nel culto di Bacco, dove i baccanti smembravano animali ma anche esseri umani. e' un volto che ride ma un sorriso di crudelta'. A1: "Quando il gran nume, cui l’antico vate Sentìa presente nelle veglie alate, Cui vedea sulle tigri galoppante Nel tramonto autunnal la donna amante, Vanir scorse di Giove il ciel giocondo E strane croci viaggiare il mondo, Pria di fuggir nell’inaccesse plaghe Tra macerie di templi e di nuraghe, Versò due gemmee lacrime dagli occhi: Ed Arianna ch’era a’ suoi ginocchi, In due calici d’or le raccoglieva, Mentre Bacco, o diletta mia, diceva, Questo pianto del cuore io lascio in dono A’ vati nuovi, che più miei non sono. Ne’ lor petti entrerà la poesia Quando berranno la reliquia mia! Nell’una coppa il néttare; il nepente Era nell’altra; che noi, grama gente, Vino e assenzio appelliamo. Or quando all’una Io bevo, allora nella plaga bruna Del sonno entro, e se bevo all’altra coppa Allora la lieta fantasia galoppa, Verso altri cieli ove un mattino d’oro Raggia sui mirti, e sull’antico alloro." A2: spiegazione: si parla dell'esilio di Dioniso Bacco. fase in cui le croci si diffondono. Il cristianesimo, quindi il simbolo della croce, comincio' a diffondersi nel 300 A.C. con l'imperatore Teodosio che emana degli editti che dichiarano che da quel momento in poi la religione ufficiale dell'Impero Romano sara' quella cristiana- cristianesimo nuova religione dell'Impero Romano. Teodosio dispone affinche' tutte le religioni pagane vengano considerate fuori legge e questo comporta la chiusura di tutti i luoghi di culto che non siano cristiani. Le croci si diffondono nel mondo e Dioniso Bacco deve fuggire perche' divinita' pagana. Il punto di vista e' quello di Dioniso Bacco che considera le croci strane perche' sono qualcosa di nuovo. Dioniso Bacco deve fuggire quindi va in esilio. Pascoli non dice che il paganesimo e' stato debellato ma che invece va a nascondersi quindi Pascoli preconizza il ritorno di Dioniso Bacco. E' un esilio, non una sconfitta. Pascoli non dice che il paganesimo e' stato eliminato. Scompare anche il celo (olimpo) di Giove: l'olimpo con divinita' suprema Giove scompare. Il celo giocondo e' quello dei pagani. L'olimpo di Giove e' desolato perche' vi e' quello cristiano. Leopardi, gia' a suo tempo, aveva espresso questo dolore per le stanze vuote dell'olimpo di Giove-lo stesso Leopardi, nelle sue prose giovanili, utilizza lo pseudonimo Tirso Ricedio Arcare. Questo concetto era gia' stato espresso da Leopardi nel 1821 ne "Alla primavera o delle favole antiche". In questa poesia vi e' un altro personaggio, Arianna, l'amante di Bacco. Teseo, una volta che sconfigge il minotauro, porta Arianna con se' in un'isola ma poi egli ando' via dall'isola di Grecia e lei venne trasformata in una costellazione della corona da Bacco. Bacco andava in esilio quindi pianse e Arianna si pose in ginocchio di fronte a Bacco con due calici d'oro nei quali raccoglieva le lacrime di Dioniso Bacco e Bacco spiega che quelle lacrime raccolte sono le lacrime del suo cuore che lascia in dono ai poeti nuovi. In questi versi vi e' presenza cristiana rappresentata con finalita' blasfeme: Arianna e' l'immagine della Maddalena che rappresenta la passione-crocifissione e morte di Gesu'-Maddalena era posta ai piedi del crocifisso e uno dei simboli della Maddalena e' la coppa con la quale intinse i piedi di Gesu'. Pascoli riprende questa immagine cristiana ma la volta in senso blasfemo e neopagana con Bacco. trasformazione blasfema quando parla delle lacrime del cuore lasciate ai suoi vati. il dono sono i vati, i poeti. La figura del poeta e' presente fin Il Dio de’ Tiranni che al bujo il dannò! È forse una vampa del tetro petrolio Che su per le nere muraglie guizzò? Chi là ne l’altare, chi qua sopra il solio Fantasma di truce bellezza s’alzò? Soffriam: le catene si spezzano al fine Allor che pugnali, ne piaccia foggiar; Fra un mucchio fumante di sparse ruine Già Spartaco è sorto tremendo a pugnar. Soffriamo, o fratelli! la mano sul cuore Lo sguardo nuotante, nell’alba che appar! Udite?! Le squille che suonano l’ore A stormo tremendo desiano suonar! Già mugghia il tremuoto laggiù nella reggia! S’accampa ne’ templi superbo il Pensier! Un rosso vessillo nell’aria fiammeggia, E in mezzo una scritta vi luccica in ner: Un’alta sentenza che i secoli andati Pensaron nel tempo del muto dolor Che nega l’umana pietà agli spietati! Che all’odio condanna chi uccise l’amor! Le dolci fanciulle ch’avete stuprato, I bimbi che indarno vi chiesero il pan, Nel giorno dell’ira, nel giorno del fato, I giudici vostri, borghesi, saran. " C1: componimento di matrice politica, inno per l'internazionale anarchica. riferimenti pagani ma anche satanici. Pascoli dice che puo' ridere solo chi si e' macchiato le mani di sangue per aver commesso delitti. Ritorna la figura di Gianni Scacchi, uno degli pseudonimi di Pascoli. Questa poesia e' stata fatta conoscere integramente nel 2007 da elisabetta Graziosi, studiosa di Bologna e le prime due strofe vennero pubblicate da Croce ma si dovette aspettare un secolo per conoscere la poesia intera grazie a Graziosi Elisabetta. poeta sanguinario, anarchico. una poesia del genere dava fastidio agli studiosi di Pascoli che l'hanno eclissata. Il pascoli anarchico e' Gianni Schicchi. figura mitologica presente-Prometeo che era colui che aveva donato agli uomini il fuoco e per questo motivo Giove lo condanno' ad un supplizio eterno; venne incatenato e tutti i giorni vi era un'aquila che gli mangiava il fegato che gli ricresceva e di nuovo. Prometeo sta aspettando il giorno della sua liberazione e dove si vendichera' nei confronti di Giove. Anche Satana giudica nell'inferno il dio Giove. Satana, bellissimo angelo ma ribelle, venne precipitat dal cielo e che chiuso nel buio dell'inferno. Satana si vendica per essere stato condannato da Dio: come se si capolvolgesse la lotta tra angeli e demoni dove, in questa poesia, vingono i demoni che si rifanno alle figure del bene. Vi e' anche la figura di Spartaco: e' un gladiatore ma originariamente egli, prima di essere fatto prigioniero, viene dalla Tracia, regione nord est della Grecia antica dalla quale proveniva Dioniso Sabazio. Pascoli scrisse nel 1893 un poemetto dedicato ai gladiatori che si rivoltano contro l'esercito romano ed erano guidati da Spartaco. fa intervenire anche Dioniso Sabazio in questo poemetto latino chiamato "gladiatores" del 1893. Dioniso Sabazio invade con la sua furia i gladiatori per cercare di portarli alla gloria. Sabazio come divinita' di Spartaco, gladiatore della Tracia. "e' forse una vampa del tetro petrolio...": pascolio prospetta l'incendio generalizzato delle citta' e non solo un'insurrezione a mano armata. Il petrolio proviene dalle profondita' della terra dove si trova anche satana e questo petrolio risale in superficie per le mura delle citta' e distrugge tutto e infiamma il mondo-immagine del mondo incendiato-qui si riprende la figura di Gianni Schicchi; visione della fine dei tempi che prospetta nel presente ma qualcosa che e' gia' inizato con satana. Sopra l'altare, sopra le chiese, sopra il trono pontificio e dei regnanti si innalza il fantasma di Lucifero, creatura evanescente, un angelo che risale e si accampa sul trono e sull'altare sconfiggendo tutti i poteri spirituali e temporali. immagine di Pascoli Gianni Schicchi quando parla di petrolio: pascoli, come gianni schicchi, avrebbe pubblicato nel 1876 un romanzo chiamato "I Dinamisti", autore Gianni Schicchi, pseudonimo di Pascoli-unica testimonianza del contenuto grazie ad un allievo di pascoli. i dinamisti sono i dinamitardi quindi gli anarchici. questo testo parla di un anarchico dinamitardo che si fa calare al centro della terra dove posiziona la dinamite facendo esplodere la terra distruggendo tutto il mondo. "e' una vampa di petrolio" e' una costola del romanzo. potenza della distruzione completa del mondo. discorso con componente religiosa. fine del mondo attraverso il petrolio ha un contesto religioso preciso, quello della venuta di Satana. Pascoli e' un anarchico ma ha una religione che esprime la sua opera, quella neopagana e con riflessi satanisti. 3.2) 1882-spartiaque: anno che divide il pascoli giovane che scrive fino al 1882 e il pascoli maturo che scrive dopo il 1882. Egli, da dipendente statale quando insegnava ai licei, non poteva permettersi di scrivere determinate cose che lo avrebbero fatto licenziare e che non gli avrebbero dato la possibilita' di mantenere le sue sorelle. prima del 1882 pascoli sopra il velame (opere esplicitamente anarchiche e neopagane, neodionisiache) e dopo il 1882 Pascoli sotto il velame (ricorre all'allusione e al simbolo religioso nascosto). 3.4) 1894- Pascoli intervistato da Ugo Ojetti dove spiega che non poteva piu' esprimere apertamente le sue idee e quindi nasconde i suoi concetti reversivi (anarchia, paganesimo) che quindi rimangono velati sotto il velame del simbolo, percio' Pascoli ricorre al velo del simbolo ma dice per tutta la vita le stesse cose. 3.5) fotograzia inizi '900 quella del fiocco "cravatta" anarchico, con sfondo delle viti quindi tema dell'uva, Apollo e Dioniso. egli si sentiva un anarchico. faceva un sorriso come per dire di guardare bene sotto il velame e che sotto era qualcosa che apparentemente non sembrava. 1) mare del nulla: il padre terribile, quello a cui Montale si sacrifica. 1-2) "Meriggiare pallido e assorto" di Montale: "Presso un rovente muro d’orto, ascoltare tra i pruni e gli sterpi schiocchi di merli, frusci di serpi. Nelle crepe del suolo o su la veccia spiar le file di rosse formiche ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano a sommo di minuscole biche. Osservare tra frondi il palpitare lontano di scaglie di mare m entre si levano tremuli scricchi di cicale dai calvi picchi. E andando nel sole che abbaglia sentire con triste meraviglia com’è tutta la vita e il suo travaglio in questo seguitare una muraglia che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia." 2.1) spiegazione della poesia e quindi anche del mare del nulla e del sole del nulla: La poesia è tutta incentrata sul paesaggio quasi deserto e molto caldo. Il poeta osserva la natura che lo circonda, assorto e pallido a causa del sole rovente, soffermandosi sugli elementi naturali. Le formiche sembrano fare avanti e indietro senza meta, proprio come gli uomini; ii serpenti si muovono tra l'erba con un fruscio appena percettibile; si scorge in lontananza il mare tremolante; si ode il canto tremulo delle cicale. Queste descrizioni non danno certo una visione positiva della vita che ci circonda e infatti Montale rimarca tutto ciò per descrivere l'incertezza umana e lo stato di "abbandono" in cui l'uomo, come il paesaggio, riversa. La figura della muraglia nell'ultima strofa descrive l'isolamento dell'uomo. Si tratta di una strofa notevole per costruzione e contenuti. Il muro è invalicabile e presenta in cima cocci aguzzi di bottiglia, a formare una vera prigione per l'uomo. Da notare l'ambientazione nell'orto, luogo chiuso e confinato, e il fatto che il sole nella poesia non è visto come qualcosa che dà luce e speranza, ma bensì acceca e stanca. L'uomo non riesce e non è in grado di andare oltre tutto ciò, è bloccato e non riesce a elevarsi. Solo in lontananza l'autore vede uno spiraglio, rappresentato dalle scaglie di mare. La poesia "Meriggiare pallido e assorto" è stata scritta da Eugenio Montale probabilmente nel 1916 e fa parte della raccolta Ossi di seppia. È forse una delle più famose del poeta ed ha come protagonista il paesaggio della Riviera ligure di levante, che si individua molto bene in questo testo e che Montale conosceva benissimo, anche perché trascorreva le vacanze nella casa paterna di Monte Rosso, una delle Cinque terre. Da notare anche la fortissima capacità di oggettivazione poetica che comunica con il lettore attraverso il consueto mezzo del correlativo oggettivo. di serpi" mentre con gli occhi segue "le file rosse di formiche" e i palpiti lontano delle onde del mare. Sono fremiti di vita nella immobile sonnolenza del mezzodì. Nella quarta strofa (parte riflessiva) sono espresse le considerazioni del poeta sull'esistenza umana: vivere – per Montale – è come camminare lungo una muraglia invalicabile, irta di cocci aguzzi di bottiglia, che assurgono a simbolo delle difficoltà insormontabili della vita. Meriggiare è una poesia in cui si possono riconoscere quasi tutte le caratteristiche della poetica di Montale. Innanzitutto rivela la sensibilità musicale del poeta: ogni parola è stata scelta perché entri in un rapporto sonoro con le altre (rime, consonanze, giochi di suono...) o perché evochi un'atmosfera con il suo suono onomatopeico. Poi questa poesia ci offre molti esempi di concentrazione di significati in poche parole, tipica dello stile di Montale. Già il primo verso "Meriggiare pallido e assorto" è una metafora che riesce a descrivere con tre parole sia un momento della giornata sia l'atteggiamento con cui il poeta vive quel momento. Infine, da questi versi si può dedurre qual è il concetto di poesia secondo Montale. Per cui fare poesia significa cercare la verità: non il ragionamento, ma le sensazioni e le immagini poetiche possono aiutare gli uomini ad intuire il significato della vita; la sensibilità poetica dà talvolta delle vere e proprie rivelazioni, momenti in cui la verità appare come un lampo. L'uso dei verbi all'infinito, che reggono la struttura del componimento (meriggiare, ascoltare, spiar, osservare, palpitare, sentire, seguitare) contribuisce a oggettivare le azioni descritte (non si fa riferimento all'autore ma è un concetto universale) e a dare un senso di continuità. 2.6) Commento: In un'assolata giornata estiva il poeta cammina lungo il muro di un orto in un paesaggio aspro e scabro della Liguria. In ogni particolare di questo paesaggio egli vede concretizzarsi il suo modo di sentire l'esistenza come una realtà dolorosa, il male di vivere, condizione di disagio tipica dell'uomo contemporaneo e di tutto l'uomo del 900. Questa sofferenza viene messa in evidenza attraverso l'oggettivazione del paesaggio e quindi l'uso del correlativo oggettivo. Notiamo, come già abbiamo detto, il "muro d'orto rovente" che rappresenta la chiusura rispetto a ciò che è conoscibile, dunque un muro completamente opposto alla siepe di Leopardi che invece permetteva al poeta di Recanati di costruire, di fingere al di là di essa la sua idea d’infinito. Anche gli elementi della vegetazione sono secchi "pruni, sterpi" e questo per indicare come la vita sia irta di sofferenze, di spine, di impedimenti. Cioè simboleggiano un'esistenza priva di scopo. Il "mare", che normalmente ispira il sentimento dei poeti, viene rappresentato con delle scaglie proprio per rendere, anche in questo caso, l'idea della sofferenza, della chiusura, della negatività dell'esistere. Il "sole non illumina ma abbaglia", quasi acceca, impedendo all'uomo di vedere, di scoprire e quindi contribuisce a dare all'uomo una sensazione di disarmonia e di ansia e d'angoscia. L'immagine più importante è, come si è detto, nel verso finale in cui compaiono "i cocci aguzzi di bottiglia sul muro" e cioè l'uomo, nella sua esistenza, non è in grado di andare oltre a ciò che vede, non è capace di fare un'esperienza che lo possa sublimare, almeno in questa prima fase. Anche a provare a superare l'angoscia del presente troviamo i cocci di bottiglia cioè le difficoltà che ci impediscono di sognare, di andare oltre. Nel verso 6 le "formiche rosse che si rompono e si intrecciano" rappresentano, forse, uno spaccato di un'umanità piccola, debole, soggetta ai colpi del destino; un certo richiamo potrebbe essere al popolo di formiche descritto nelle canto leopardiano della "Ginestra". 2.6.1) Il tema centrale: L’ora che incombe e quella muraglia gli suscitano pensieri d’angoscia riguardanti la triste condizione dell’uomo irrimediabilmente chiuso nel cerchio della sua solitudine e della sua incomunicabilità. È una concezione pessimistica della vita. Questa la nota emblematica del pessimismo montaliano e questo "il tema centrale" della lirica. 3) Leopardi-Pascoli-analogia su mazzolin di rose e di viole- Pascoli cripto-decifratore del simbolico mazzolin di rose e di viole>>dionisiaco del "Sabato del villaggio" (1828-29) di Giacomo Leopardi: 3.1) Leopardi: "Sabato villaggio": " La donzelletta vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell'erba; e reca in mano Un mazzolin di rose e di viole, Onde, siccome suole, Ornare ella si appresta Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. Siede con le vicine Su la scala a filar la vecchierella, Incontro là dove si perde il giorno; E novellando vien del suo buon tempo, Quando ai dì della festa ella si ornava, Ed ancor sana e snella Solea danzar la sera intra di quei Ch'ebbe compagni dell'età più bella. Già tutta l'aria imbruna, Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre Giù da' colli e da' tetti, Al biancheggiar della recente luna. Or la squilla dà segno Della festa che viene; Ed a quel suon diresti Che il cor si riconforta. I fanciulli gridando Su la piazzuola in frotta, E qua e là saltando, Fanno un lieto romore: E intanto riede alla sua parca mensa, Fischiando, il zappatore, E seco pensa al dì del suo riposo. Poi quando intorno è spenta ogni altra face, E tutto l'altro tace, Odi il martel picchiare, odi la sega Del legnaiuol, che veglia Nella chiusa bottega alla lucerna, E s'affretta, e s'adopra Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba. Questo di sette è il più gradito giorno, Pien di speme e di gioia: Diman tristezza e noia Recheran l'ore, ed al travaglio usato Ciascuno in suo pensier farà ritorno. Garzoncello scherzoso, Cotesta età fiorita E' come un giorno d'allegrezza pieno, Giorno chiaro, sereno, Che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, Stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo'; ma la tua festa Ch'anco tardi a venir non ti sia grave. " vennevi Una dopo aver colte al sole, tutte, quelle rose, cantarellando, quelle viole. " 4.2) Spiegazione poesia e del commento polemico di Pascoli: 11 "dove" in appena 8 versi. se,bra che voglia attirare la nostra attenzione. questi "dove" vi sono tra "rose" e "viole" come sassolini per indiziarci affinche' noi lettori capiamo il significato recondito di quanto ha scritto. nei primi versi sono nascosti dei versi antichi scritti in greco e tramandati dall'autore greco "Ateneo". si parla, in questo test antico, delle rose e delle viole, e Pascoli non fa altro che parafrasare questo testo antico. vuole far si' che chi conosce l'antichita' greca sappia che lui ha ripreso il testo di Ateneo (che ha conservato dei versi scritti da un'autore sconosciuto). e' un mazzolino (di rose e di viole) greco antico, quindi lui riprende un tema antico. Pascoli vuole far capire che secondo lui Leopardi intende il mazzolino di rose e di viole come mazzolino greco antico simbolico religioso, e' un simbolo dionisiaco e la donzelletta e' la madre di Dioniso Zagreo. Egli sostiene di sapere veramente cosa intendesse Leopardi con mazzolino di rose e viole. Pascoli, polemizzando "Il sabato del villaggio" di Leopardi, vuole far capire che in realta', dietro alla poesia di Leopardi, vi e' un significato recondito e la polemica vi e' per far insorgere dei dubbi nei lettori-Anche in Leopardi vi e' qualcosa sotto il velame. Ce' un'altro autore antico che utilizzava i termini "mazzolino di fiori e di rose", oltre ad Ateneo, che e' Teocrito che scrisse "Idilli">>FONTE ANTICA NASCOSTA dell’argomentazione pascoliana circa il fatto che le rose e le viole del mazzolino di Leopardi siano cronologicamente incompatibili: → Teocrito, Idilli, XI, Il Ciclope (mazzo di fiori botanicamente, ovvero cronologicamente “sbagliato”); sottinteso: Teocrito, Idilli, VII (simposio privato di Licida con in capo una corona di rose o di viole, mente beve vino su un fascio d’erba appena tagliata. Teocrito aveva fatto pronunciare questa frase da Polifemo, il Polifemo degli amori della ninfa Galatea, una ninfa bianca e bellissima. Per fare in modo che lei si innamori di lui, egli le regala un mazzo di fiori; vuole confezionarle un mazzo di gigli e papaveri ma non e' molto intelligente e dopo aver espresso questa sua volonta', dice di non poterlo fare perche' i gigli vi sono d'inverno e i papaveri d'estate-steste argomentazioni che utilizza Pascoli. Pascoli riprende intenzionalmente questa argomentazione goffa e la pone nella conferenza affinche' vi sia un sassolino ulteriore per i lettori. Chi riesce a riconoscere la ripresa Teocritea vuol dire che conosce Teocrito e nell'idillio 7 di Teocrito si parla proprio di rose e di viola, seconda fonte nascosta nel testo del "Sabato". si parla di una corona di rose e di viole che verra' indossata dalla figura enigmatica di Licida (protagonista di questo componimento) quando festeggera' un banchetto e durante questo festeggiamento prevede di avere sul capo una corona di rose e viele, essere seduto su un fascio d'erba e di bere del vino-e' un simposio, ovvero un banchetto privato. il convito simposio, rito dei greci romani, nel quale si beveva ritualmente vino (ritualmente per Dioniso che era dio del vino e del convito simposio). ambientazione: convito. il legame tra rose e viole e' spiegato da un altro autore, Plutarco ne "Questioni conviviali", III, 647D. Plutarco (presente nella biblioteca di Leopardi) premette che dioniso era anche un medico e che quindi elardisce l'edera che toglie l'ebbrezza alcolica; Plutarco, quando dice che dioniso e' un medico sapiente che aveva dato corone dell'edera agli uomini per smaltire i fumi dell'alcool ovvero del vino, aggiunge che nei conviti i simposiasti o convitati indossavano sul capo anche corone di viole e di rose, in quanto il loro frofumo freddo era in grado far passare gli effetti della sbornia. le rose e le viole entrano in un contesto rituale del convito. Plutarco e' fondamentale perche' dice che nell'antichita' le rose e le viole venivano coltivate e potevano fiorire nello stesso periodo e che avevano una destinazione conviviale. questa immagine di rose e viole ha alle spalle il tema di diosino-sono fiori che tacitamente parlano di dioniso e del paganesimo, sono quindi fiori pagani. quindi polemica di pascoli perche' voleva far capire che anche Leopardi era un autore cripto-pagano. C'e' tutta una narrazione sotto l'immagine della donzelletta. rose e viole sono assieme nel convito, sono simbolo della divinta' pagana di dioniso. le rose e le viole potevano fiorire insieme, anche d'inverno, a marzo, perche' gli antichi romani avevano messo a punto delle antiche tecniche di fioritura con acqua calda nella serra e acqua calda per innaffiare i fiori sicche' potevano fiorire anche d'inverno. essi coltivavano grandissime quantita' di fiori perche' servivano per i conviti e nell'ambito della cosmesi. Importavano questi fiori in parte dall'Egitto. vi era la coltivazione nelle serre e utilizzo dell'acqua canalizzata che veniva fatta passare nelle serre cosi' da mantenere calore con l'acqua calda e le innaffiavano con l'acqua calda-questo nell'antica Roma. A Recanati questa tecnica non si conosceva e non era realistica ma lo era nell'antica Roma e al giorno d'oggi. Anche il ballo riguarda il Convito. -> 1a fonte antica delle rose-viole(-sedano) dei Crisantemi: ATENEO, opera "Deipnosofisti" opera (presente nella biblioteca di Leopardi a casa sua) che si chiama "I sofisti a banchetto", XIV, 629E (<<Dove [sono] le mie rose, dove [sono] le mie viole, dove [sono] i miei bei sedani? / Ecco le rose, ecco le viole, ecco i bei sedani>>). 4-5) Pascoli, Viole d’inverno (poesia; Myricae, 1897): " Donde, o vecchina, queste vïolette serene come un lontanar di monti nel puro occaso? Poi che il gelo ha strette tutte le fonti; il gelo brucia dalle stelle, o nonna, ogni foglia, ogni radica, ogni zolla – – Tiepida, sappi, lungo la Corsonna geme una polla. Là noi sciacquiamo il candido bucato nell’onda calda in mezzo a nevi e brine; e il poggio è pieno di vïole, e il prato di pratelline. " 5.1) spiegazione: vecchina → vecchierella del Sabato del villaggio; Sabato del villaggio; Pagano→pagus (= villaggio). e' la riprova che pascoli sapeva la tecnica greco romana. 4-6) 25 dicembre 1897, “Tribuna” → Pascoli, Dalle tombe egizie. Bacchylides [I] articolo: <<Fa del suo meglio “l’usignolo di Ceo” [Bacchilide]; ma vince forse “il cigno dirceo” [Pindaro]? Oh! lasciamo queste gare, questi “concorsi” queste “premiazioni” tanto stucchevoli tra vivi, così inutili coi morti! Come si può ponderare l’aroma? Qual è meglio, l’odor della rosa o quello della viola? il vin di Chio o quel di Lesbo?> 6.1) spiegazione: l'odore della rosa e della viola vengono connessi al vino di Chio e di Lesbo. accosta al tema della rosa e della viola quello del vino dei dei antichi. Chio e Lesbo sono localita' della Grecia. si parla di odore dei fiori collegati al vino che allude a Plutarco (che emerge nella prossima poesia), che parlava di corone di rose e di viole dei simposiasti mentre tenevano il rito del convito. Pindaro parla di ciocche di rose e di viole. 4-7) Pascoli, "Digitale purpurea" (20 marzo 1898, “Marzocco”): poesia, contenente due volte l’espressione «odor di rose e di viole a ciocche» [contiene due cripto-citazioni di due autori antichi – Plutarco e Pindaro – che avevano menzionato l’abbinamento rose+viole in contesto dionisiaco e simposiale]− <<odor di rose e di viole>> → cripto-citazione di PLUTARCO, Questioni Conviviali, III, 647D [odore delle rose e delle viole conviviali intrecciate in corone e Dioniso come inventore delle corone conviviali]. − <<rose e di viole a ciocche» → cripto-citazione di PINDARO →“ciocche” («fÒbai») di viole e rose di un ditirambo di Pindaro d’argomento dionisiaco (fr. 75, 18 Bergk 1878, p. 395), nascita di Dioniso, figlio di Zeus e di Semele, dio del vino − 2a fonte antica delle rose-viole: − PLUTARCO, Questioni Conviviali, III, 647D [odore delle rose e delle viole conviviali intrecciate in corone]. il lontanar d'un ultimo saluto! − «Maria!» «Rachele!» Questa piange, «Addio!» dice tra sé, poi volta la parola grave a Maria, ma i neri occhi no: «Io,» − mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola ero con le cetonie verdi. Il vento portava odor di rose e di viole a − ciocche. Nel cuore, il languido fermento d'un sogno che notturno arse e che s'era all'alba, nell'ignara anima, spento. − Maria, ricordo quella grave sera. L'aria soffiava luce di baleni silenzïosi. M'inoltrai leggiera, − cauta, su per i molli terrapieni erbosi. I piedi mi tenea la folta erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni! − Vieni! E fu molta la dolcezza! molta! tanta, che, vedi… (l'altra lo stupore alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta − con un suo lungo brivido…) si muore!» " 7.2) spiegazione: Pascoli parla delle sue due sorelle. La poesia Digitale purpurea appartiene alla raccolta di Giovanni Pascoli I poemetti, pubblicata per la prima volta nel 1897. I poemetti si aprono con un’epigrafe tratta da Virgilio, "Paulo maiora" ("paulo maiora canamus" scrive il poeta latino nel quarto libro delle Egloghe). Poetiamo con uno stile più alto: questo il significato dell’espressione come la intende Pascoli ponendola a inizio volume. Rispetto alla raccolta Mirycae, infatti, I poemetti sono componimenti più estesi (sono poemetti, appunto), hanno un andamento prevalentemente narrativo e un verso più disteso (molto spesso sono composti in terzine dantesche). Con Italy, Digitale purpurea è tra i testi più famosi della raccolta: scopriamo insieme come si struttura metricamente, di cosa narra e cosa significa. Il poemetto riporta dell’incontro tra due amiche, la bionda Maria e la bruna Rachele, che ricordano insieme gli anni della loro infanzia trascorsi in un convento. Maria è ispirata a Maria Pascoli, sorella di Giovanni (con cui il poeta vivrà fino alla morte, nel tentativo di ristabilire il nido familiare andato in frantumi dopo la morte del padre), e ha un ruolo prevalentemente di spettatrice; sarà Rachele ad avere lo sconcertante coraggio di lanciarsi verso l’ignoto e a confessarlo, dopo anni, all’amica. Sembra che lo spunto per la composizione del testo nasca proprio da un racconto fatto da Maria: molti anni prima, le suore le avevano vietato di respirare il profumo di una pianta dai fiori rossi, creduta velenosissima (in realtà, la digitale purpurea è sì velenosa, ma solo in elevatissime concentrazioni). Nello svolgersi di versi, il fiore diventerà simbolo della trasgressione e della pulsione erotica. Proprio da questo fiore, la digitalis purpurea, prende nome il componimento. La poesia si divide in tre parti Prima parte: Le due protagoniste ricordano insieme gli anni trascorsi in convento. Sono “piccoli anni così dolci al cuore” (v. 10), ma subito coperti da un alone di cupezza: vengono ricordati “i rovi con le more” (v. 12), i canti misteriosi degli uccelli, e il “fior di...? / morte” (vv. 15-16), la digitale purpurea, a cui non avvicinarsi assolutamente perché emana un intenso odore che causa la morte. Seconda parte: Solo dopo aver citato il fiore, le due riescono davvero a vedere ("vedono" è l’anafora che apre le prime due terzine di questa sezione, vv. 26 e 29), vicinissimo, quanto fino a quel momento evocato: ricordano la quotidianità del convento, le visite dei parenti, l’aria satura di incenso, le continue litanie. Anche la seconda sezione si chiude con l’immagine della digitale purpurea, i cui fiori vengono umanizzati ("dita / spruzzolate di sangue, dita umane" vv. 48-49). Terza parte: Rachele, con grande stupore di Maria, scoppia in lacrime e confessa di aver sfidato la paura e il divieto e di essersi avvicinata al fiore, che, ribadisce l’ultimo verso, porta alla morte. L’atmosfera che caratterizza il componimento è inquieta e sensuale (decadente), ricca di suggestioni uditive, visive e olfattive (l’incenso, le litanie delle suore e il canto degli uccelli, il giallo sole, il verde dei campi, il bianco delle vesti, il rosso del sangue). L’intenso profumo emanato dalla digitale purpurea è simbolo della pulsione erotica e di un complicatissimo rapporto con l’amore e la carnalità che caratterizza la vita di Pascoli: l’odore non è solo forte e dolcissimo, ma mortale. In questi termini, che la trasgressione si collochi su un piano puramente onirico o che Rachele abbia fisicamente accolto la carnalità risulta di secondaria importanza. Non è un caso che fra la bionda, modesta e ingenua Maria e la bruna e scintillante Rachele sia proprio la seconda a cogliere il fiore, aprendosi alla trasgressione, all’amore e alla vita. Il componimento è caratterizzato da alcune opposizioni molto forti. La prima riguarda quella tra innocenza infantile e ardore sensuale: Maria è tutta innocenza ("esile e bionda, semplice di vesti / e di sguardi" v. 2); Rachele, “esile e bruna” invece è ardente (i suoi occhi “ardono” v. 5). La seconda è interna alla natura: l’esempio più importante è quello che dà il nome al componimento. La digitale purpurea ha un profumo dolcissimo ed è presentato come molto bello, ma nella sua forma ricorda delle dita insanguinate. È un fiore ambiguo, che strega, chiama a sé. È bellissimo, come tutta la natura, ma di una bellezza angosciante e misteriosa (come angosciante è il verso dell’assiuolo in L’assiuolo o i fiori del gelsomino in Il gelsomino notturno, con cui Digitale purpurea condivide anche parte dei temi). La terza, che è strettamente legata alla seconda e si colloca su un piano ancora più profondo, è quella legata all’eros: l’amore da cui Pascoli è tanto attratto è lo stesso che il poeta censura e che teme; a questo amore, Pascoli preferirà la costruzione di un rifugio domestico, con una figura femminile domestica, madre, sorella. In questa poesia, scritta 2 anni dopo la conferenza, riprende l'immagine delle rose e delle viole in un contesto che allude al tema delle rose e delle viole antiche pagane. "odore di rose e di viole a ciocche": 2 volte ripreso nel componimento-vi sono 2 diversi autori, 2 diverse fonti. l'dore di rose e di viole e' una cripto citazione di Plutarco. Il termine odore rimanda questa immagine delle rose e delle viole a Plutarco, che diceva che il lro odore freddo toglie l'ebbrezza da alcool-Nell'ultima citazione di odore di rose e viole vi e' una citazione di Pindaro, che utilizza questa frase in un ditirambo (tipico componimento dionisiaco con una particolare metrica e ritmi riguardanti la natura di dioniso) di argomento dionisiaco, dove si parla della nascita del vino. con termine odore fa riferimento a Plutarco, che parla di odore di rose e viole ne "questioni conviviali"; "ciocche" lo utilizza Pindaro nel ditirambo. pascoli sapeva che il tema delle rose e delle viole aveva a che fare con quello di dioniso ed e' quindi in grado di decifrare il tema delle rose e delle rose in chiave dionisiaca-egli e' riuscito a leggere sotto il velame l'immagine della donzelletta e del mazzolin di rose e di viole. 4-8) 5° “sassolino” [Pascoli. Pollicino- Hansel e Gretel]: Poesia dal titolo greco [=Solon] pubblicata sul numero di aprile del 1895 del “Convito” (sul “Convito” del 12 febbraio del 1896 Pascoli pubblicò Crisantemi con le rose, le viole e il sedano tratti dal testo adespoto greco tramandato da Ateneo, Deipnosofisti) «Egli, Amiche, braccia di rose, chiome di viola, Sole è per me, lucente: bello sì, ma gelido e bello, come Sole occidente» Elementi cripto-dionisiaci: − l’incipit di «Triste il Convito senza canto» − il Convito di è ambientato in un giorno delle feste dionisiache Antesterie («Erano le Anthesterie: s’apriva / il fumeo doglio e si saggiava il vino. // Entrò, col lume de la primavera / e col l’alito salso de l’Aegaeo, / la cantatrice»). E nell’antica Grecia le Antesterie erano feste religiose ufficiali in il gesto di fare a pezzi e riunire insieme ci ricorda il dioniso zagreo, perche' egli da neonato venne fatto a pezzi dai Titani e l'unica parte rimasta integra era il cuore quindi ci si aspettava che rinascesse grazie al cuore. La madre di Dioniso Zagreo era Persefone: era la dea degli inferi; ella di solito veniva chiamata dagli antichi con uno pseudonimo, ovvero "Core" perche' l'etimologia di Persefone era considerata nefasta, portatrice di morte e strage-per evitare questo termine nefasto gli antichi utilizzavano l'epiteto "Core"=la fanciulla (per antonomasia). Ai tempi di Leopardi la fanciulla poteva essere scritta come donzelletta-la fanciulla corrisponde alla donzelletta. "Sabato del villaggio" inizia con "La donzelletta" con la L maiuscola quindi la fanciulla per antonomasia. non vi e' quindi una qualunque donzelletta ma la donzelletta per antonomasia-elemento cosi' importante che rappresenta l'incipit del testo. se quindi la donzelletta rappresenta Core, questa donzelletta e' la madre di Dioniso Zagreo, simboleggiato dal mazzolin di rose e di viole, quindi per questo la dama sembra che tenga un bambino sul petto invece dei fiori, il figlio neonato di Persefone. mazzolino perche' il figlio zagreo e' piccolo. Il tema pagano e' gia' impresso nella specificazione "Villaggio" in quanto, nell'antichita' latina, il villaggio era "Pagus"; il termine pagano deriva da pagus perche' il pagus villaggio e' una realta' piccola immersa nei campi. nel momento in cui si diffuse il cristianesimo in italia, si diffuse nelle grandi citta' e nei piccoli villaggi tendeva a sradicarsi quindi e' nei villaggi che venivano conservati i culti pagani. scrivere "sabato del villaggio" gia' fa paventare il tema pagano. lettura sotto il velame in chiave neo pagana dionisiaca. Vi e' un testo del '900 di Pascoli in cui egli sapeva bene che questa donzelletta era Persefone>III. Il Pascoli cripto-interprete del Sabato del villaggio nelle lezioni accade_miche bolognesi III.1. "La reticenza di Kórē («La donzelletta») e della «festa [...] grave»" nella “Lezione terza” sul Sabato del villaggio dell’a.a. 1905-6: Donzelletta, sa di Arcadia, ed è impropria perché – non vuol dire contadinella: non credo poi che in Recanati fosse in uso questa parola d’altri tempi153. Arcadia e' un movimento letterario dell'accademia dell'arcadia fondata a Roma alla fine del '600. Il significato proprio di Arcadia e' quindi un altro, cioe' quello della poesia che si rifa' a questo movimento letterario dell'arcadia ma il primo significato riporta a una regione montuosa della Grecia, la cui popolazione si dedicava in particolare alla caccia e alla pastorizia-quindi il termine arcadia ci rimanda alla Grecia. Quindi la donzelletta ha il sapore della grecia antica e nella grecia antica la donzelletta era una dea, Persefone, detta Core, la quale altresi' era la madre di Dioniso Zagreo. Pascoli e' quindi allusivo e depistante perche' non dice che questa donzelletta e' la dea Core, la dea Persefone ma ci da' gli indizi per comprenderlo. Pascoli in realta' ha detto tutto, ci ha messo nella via giusto sotto il velame dell'incipit del sabato del villaggio. La festa grave e' quella del garzoncello, perche' vi era all'inizio la donzelletta e al termine il ganzoncello che aveva la festa grave= " Garzoncello scherzoso, cotesta etá fiorita è come un giorno d’allegrezza pieno, giorno chiaro, sereno, che precorre alla festa di tua vita. Godi, fanciullo mio; stato soave, stagion lieta è cotesta. Altro dirti non vo’; ma la tua festa ch’anco tardi a venir non ti sia grave. " - spiegazione: Ragazzo (garzoncello - apostrofe) allegro (scherzoso), questa tua giovinezza (età fiorita - metafora) è come un giorno pieno di felicità (d’allegrezza pieno anastrofe), [come un] giorno chiaro, sereno, che precede (precorre) la maturità (festa di tua vita - metafora ). Sii felice (godi) o mio fanciullo (apostrofe); questa (cotesta) [età] è una condizione beata (stato soave), un’età gioiosa (stagion lieta - metafora). Non voglio dirti altro (Altro dirti non vo’ ); ma non ti pesi (non ti sia grave) [il fatto che] la tua vita adulta (la tua festa) tardi ancora ad arrivare (a venir). Varianti del Sabato → <<Garzoncello scherzoso (gentile)>> gentile= pagano. il poeta si rivolge ad un fanciullo invitandolo a godere dei piaceri della fanciullezza, basati sull’attesa e la speranza, lasciando trapelare la convinzione che le aspettative non verranno soddisfatte e la vita non potrà mai compensare in egual modo il piacere di quell’attesa. Alla felicità della festa, rappresentata nei preparativi del villaggio, si affianca invece un’ombra, la disillusione della domenica. Una metafora della vita per cui all’attesa del sabato corrispondono le speranza della giovinezza, mentre alle delusione della domenica corrisponde quella della vita adulta. La conclusione del canto “Il sabato del villaggio” allude, infatti, a questo parallelismo e il poeta dice chiaramente di non voler turbare le felici illusioni del fanciullo: “altro dirti non vo'”. Come afferma lo studioso Luperini, “l’altro è appunto la delusione che grava sul futuro, smentendo nella vita adulta le speranza della giovinezza. Esattamente come la domenica delude le attese del sabato. 0-1-2) "Epitalamio Lesbo" (1882) di Pascoli-poesie giovanili di Pascoli: qui si parla di garzoncelli e di donzelle. Pascoli abbina le donzelle al melograno. → Epitalamio lesbio (poesia, ottobre 1882) <<donzelle // quello che al melograno>>◼ Melograno→ 1) mito di Persefone rapita negli Inferi mentre coglieva fiori, tra i quali rose e viole (perche' le fonti antiche, in particolare l'Inno Omerico dedicato a Demetra, dicono questo) (Inno omerico II. A Demetra), la quale durante il suo soggiorno agli inferi mangiò un chicco di melograno che le era stato offerto da Ade; 2) mito di Dioniso Zagreo: Clemente Alessandrino, Protrettico ai Greci, II, 19, 3 : dal sangue di Dioniso nacque il melograno (Dioniso legato al sangue è Zagreo – perché fatto a pezzi dai Titani, fanciullino, neonato -, e Zagreo era figlio di Persefone-Core, “La donzelletta” leopardiana). melograno simbolo d Persefone. Persefone un giorno strappo' un fiore e cosi' strappo' tutta la zolla di terra e da li' esce il dio degli inferi, Plutone o Ade, e si invaghisce di lei e la rapisce negli inferie ne fa la dea degli inferi. durante la sua permanenza nell'inferno, persefone mangia un chicco di melograno. Il suo ritorno sulla terra, richiesto da sua madre, non poteva essere definitivo perche' durante il soggiorno degli inferi mangio' un chicco di melograno e per questo motivo ogni anno tornava sulla terra per poi tornare negli inferi d'inverno. Persefone e Demetra son le due dee di Eleusi, madre e figlia, onorate nei rituali misterici dei culti eleusini; sono le dee dei culti misterici, cioe' segreti, che si celebravano in autunno a Eleusi.eleusi significa "il venire"; La donzelletta come core eleusina perche' e' Persefone, la dea degli eleusi. Persefone e' considerata la primavera. quando persefone torna sulla terra i campi si ricoprono di campi e di fiori. il culto di Eleusi ha a che fare con la rinascita di Dioniso Zagreo. rinascita di dioniso zagreo come dioniso jacco, che corrispondeva a dioniso zagreo rinato nelle forme dello spirito. dioniso jacco e' il dioniso di nascita eleusina e corrispondeva a dioniso zagreo rinato nelle forme dello Spirito. I rituali di Eleusi si tenevano ad autunno ad Eleusi; Leopardi stese il testo del "Sabato del villaggio" proprio quando ad Eleusi si celebravano i culti misterici Eleusini, d'altra parte il testo si apre con l'immagine di Persefone, la dea di Eleusi. "Il sabato del villaggio" e' quindi un componimento neopagano con prospettive culturali. Pascoli ci da' l a conferma che lui aveva capito. 3) • 5° “sassolino” [Pascoli. Pollicino- Hansel e Gretel] Poesia dal titolo greco [="Solon"] pubblicata sul numero di aprile del 1895 del “Convito” (sul “Convito” del 12 febbraio del 1896 Pascoli pubblicò Crisantemi con le rose, le viole e il sedano tratti dal testo adespoto greco tramandato da Ateneo, Deipnosofisti): «Egli, Amiche, braccia di rose, chiome di viola, Sole è per me, lucente: bello sì, ma gelido e bello, come Sole occidente» Elementi cripto-dionisiaci: − l’incipit di «Triste il Convito senza canto» − il Convito di è ambientato in un giorno delle feste dionisiache Antesterie («Erano le Anthesterie: s’apriva / il fumeo doglio e si saggiava il vino. // Entrò, col lume de la primavera / e col l’alito salso de l’Aegaeo, / la cantatrice»). E nell’antica Grecia le Antesterie erano feste religiose ufficiali in onore di Dioniso preannuncianti la primavera − rose-viole + <<Sole occidente>> (sole al tramonto) → sole al tramonto, sole notturno, delle regioni inferiori, sole nero →Dioniso (Apollo: sole diurno, delle regioni celesti – Macrobio, Saturnali) -> (sole ctonio) Dioniso Zagreo N.B. questo sassolino delle rose-viole vien fatto sparire da Pascoli quando ripubblica il componimento nella raccolta Poemi conviviali (1904) col titolo di Solon (inserito come 1° dei Poemi conviviali) → il poeta non è un cicerone (1895) 1- cambia il titolo da greco in Solon>>perche' se avesse lasciato il testo in grecia subito si sarebbe capito che si parlava della Grecia antica e di dioniso-questo vale anche per le rose e le viole eliminate. 2- elimina del tutto le rose e le viole. un MAZZETTO, tuttavia nella festa della domenica sera avrà assunto la forma di GHIELANDETTE, ovvero di corone per il capo e il collo]. Egli non sa se non levare al CAVOLO [→ corona simposiale di rose e di viole; anche il cavolo rientra nel discorso delle bevute di vino nei conviti/simposi, poiché gli antichi reputavano che contrastasse – così come le rose e le viole, fiori da profumo freddo – gli effetti dell’ebbrezza alcolica, dell’ubriacatura] qualche foglia marcia o bacata, e legare i fiori [rose+viole] alla meglio, con un torchietto [torchio per la spremitura dell’uva per ricavare il vino: tema religioso pagano di Dioniso] che strappa lì per lì a un salcio [ramo sottile e flessibile del salice qui usato come legaccio per tenere assieme i fiori del mazzolin]: come dire, (il poeta) unisce i suoi pensieri con quel ritmo nativo, che è nell’anima del bimbo che poppa e del monello che ruzza. " 4.1) spiegazione: si tratta del latino nelle scuole dove Pascoli dice che il poeta non e' un Cicerone. Il pensiero di Pascoli va di nuovo al mazzolino di rose e di viole. Il cavolo e' l'equivalente della corona di rose e di viole perche' si pensava che eliminasse anch'esso gli effetti dell'ebbrezza-nell'antichita' aveva la stessa funzione delle rose e delle viole. rose + viole perche', riferendoci al testo di Ateneo che erano versi come una sorta di filastrocca recitata nel corso di una danza chiamata "i fiori", quindi i fiori sono le rose e le viole. rose e viole sono i fiori perche' esso e' il titolo della danza-quindi rose+viole=i fiori. Il torchio introduce il tema del vino (perche' dal torchio vi e' l'uva per ricavare il vino) quindi rose e viole +vino=dioniso. il salcio e' il ramo sottile del salice, legato qui per tenere assieme le rose e le viole. Pascoli ha quindi l'idea fissa del mazzolino di rose e di viole, immagine pagana di Dioniso Zagreo. ritorna poi all'immagine del bambino che poppa che sarebbe dioniso zagreo da neonato. Pascoli costruisce una sorta di muretto secco e i lettori costruiscono il collante. 5-piccolo schema) Lettura sotto il velame del "Sabato del villaggio": il divino fanciullino del "sabato del villaggio" della grecita' pagana che era dioniso zagreo, che era figlio di Persefone/Core. 6-piccolo schema) Lettura sotto il velame del "Fanciullino" di Pascoli: "il fanciullino" di Pascoli. 6.1) il fanciullino: - prima parte a puntate nel 1897 da Gennaio sulla rivista "Marzocco", la stessa dove aveva pubblicato il commento sul "Sabato del villaggio". - 1 ed. integrale nel 1903 ne "Miei pensieri di varia umanità". 7)IL FANCIULLINO 1a parte Leopardi, Il sabato del villaggio: Un “fanciullino” divino (pagano) è nascosto nelle immagini dell’incipit del Sabato del villaggio Il “fanciullino” divino-pagano [ = Dioniso Zagreo, figlio di Persefone, Core, “La donzelletta” per antonomasia] nascosto sotto il velame del <<mazzolin di rose e di viole>> portato in mano dalla <<donzelletta>> [= Kore, Persefone] di Leopardi (Il sabato del villaggio) Per eventuali approfondimenti personali rinvio ai miei contributi leopardiani sull’argomento: V-S1 = A.I. Villa, Nuove fonti per “Il sabato del villaggio”. I. I fiori per la festa: le rose e le viole “festive” di Pindaro (fr. 75) e le grandi Dionisie di primavera, “Otto/Novecento”, n. 1, 2006, pp. 5-37; V-S2 = A.I. Villa, Dalle rose e viole di Plutarco e di Clemente Alessandrino a quelle del “mazzolin” del “Sabato del villaggio” di Leopardi, “Otto/Novecento”, n. 2, 2009, pp. 87-110; V-S3 = A.I. Villa, Tra Creuzer, Dupuis e Monti: il simbolico “mazzolin” dionisiaco del “Sabato del villaggio”. Leopardi e la “nuova mitologia”, in AA.VV., Studi di storia e critica della letteratura italiana dell’Ottocento e del Novecento in onore di Giuseppe Farinelli, a c. di A.I. Villa, Milano, Edizioni di Otto/Novecento, 2011, pp. 131-97; V-S4 = A.I. Villa, A proposito della festa “grave” del “garzoncello scherzoso(gentile)” del “Sabato del villaggio”: l’“Abrege de l’Origine de tous les Cultes” di Charles-Francois Dupuis tra Giacomo Leopardi e Antonio Papadopoli, “Otto/Novecento”, n. 2, 2010, pp. 81-193; V-S4/I = A.I. Villa, Dalla “vecchierella” dionisiaca di Ovidio delle feste primaverili dei “Liberalia” alla “vecchierella” del “Sabato del villaggio” di Leopardi (con una considerazione sulle rose e viole dell’“Orfeo” di Poliziano e sul “pipistrello” di Pompei, presso il tempio di Iside, della “Ginestra” e con un’appendice sulla concezione leopardiana dell’“entusiasmo” divino del poeta “oltrafilosofo”), “Otto/Novecento”, n. 2, 2011, pp. 27-136; V-S4/I/I = A.I. Villa, Dalla “vecchierella” di Orazio (“Odi”, III, 15), che dovrebbe starsene a casa a filare la lana anziché andare ai conviti inghirlandata di rose e fare la baccante Tiade, a quella del “Sabato del villaggio” di Leopardi, “Otto/Novecento”, n. 2, 2013, pp. 123-37. Premessa - Il sabato del villaggio (pagus → pagano; Recanati → da Recina → dea Ericina = dea Venere/Afrodite/Tanit-Astarte Ericina, da Erice, località siciliana) La donzelletta VIEN PERSEFONE E DEMETRA: LE DUE DEE DEI MISTERI ELEUSINI (DA ELEUSI = ETIMOLOGIA GRECA “IL VENIRE”. La donzelletta [Persefone, dea eleusina] VIEN [rinvia a Eleusi] Dioniso Jacco = 3° Dioniso di nascita eleusina (= [Schelling, Filosofia della Rivelazione] = Dioniso Zagreo rinato misticamente nella forma dello spirito = “dio a venire”) La donzelletta [non una donzelletta qualsiasi, ma La donzelletta con la L maiuscola: La donzelletta per antonomasia; donzelletta = fanciulla; “La fanciulla” per antonomasia: dea “Core”, in greco fanciulla, la fanciulla divina per antonomasia, soprannome per la dea Persefone, dea degli inferi, significava “portatrice di strage, di morte”; Persefone-Core dea della Primavera; Persefone-Core era anche la madre di Dioniso Zagreo, il fanciullo per antonomasia, perché morì fanciullo, quando ancora neonato venne fatto a pezzi dai Titani, quindi le sue membra vennero riunite assieme; Inno omerico II. A Demetra: Persefone, detta Core, “la fanciulla” per antonomasia, mentre stava raccogliendo dei fiori – tra i quali rose e viole – venne rapita e portata negli Inferi da Ade, dio degli Inferi, divenendo così la regina degli Inferi; Persefone in primavera, come incarnazione della stessa Primavera, risale sulla terra, e i prati si ricoprono di erbe e di fiori] vien dalla campagna, In sul calar del sole, Col suo fascio dell’erba; e reca in mano Un mazzolin [nome alterato diminutivo : piccolo mazzo] di rose e di viole [→ paganesimo, paganesimo dionisiaco; Dioniso Bacco, nei cui simposi/conviti si beveva ritualmente il vino; simbolo di Dioniso Zagreo → mito di Dioniso Zagreo, fatto a pezzi col ferro, neonato, dai Titani, le sue membra sparse vennero poi riunite assieme da Apollo e sepolte nel tempio di Delfi mazzolin di rose e di viole portato da La donzelletta = simbolo religioso pagano → simbolo di Dioniso Zagreo, neonato, fanciullino, fatto a pezzi dai Titani, le cui membra vennero riunite assieme; simbolo, accezione greca : “uno fatto da due” (Platone, Simposio), “riunire assieme cose". Mazzolino di rose e di viole fatto legato al simbolo che significa "uno fatto da due" e dal verbo "riunire cose sparse">>che sono le rose e le viole prese qua e la'. INTRECCIO TRA ROSE+VIOLE E SABATO DEL VILLAGGIO Pensieri sull’arte poetica [prime 4 parti del saggio che dal 1903 verrà intitolato Il fanciullino]: 1897, rivista “Marzocco” 1896, rivista “Marzocco”, Pascoli, Il sabato del villaggio [prosa; parte iniziale della conferenza fiorentina su Leopardi; conteneva la polemica sulle rose-viole del <<mazzolin>>]; Crisantemi, “Convito”, 2 febbraio 1896; 1897: 2 testi pascoliani con le rose e viole antiche: Dalle tombe egizie [articolo] e Vile d’inverno [poesia]: 2 “sassolini”; 1898: Digitale purpurea [poesia]: altro “sassolino”. _____________________________________________________ 1896, rivista “Marzocco”, Pascoli, Il sabato del villaggio [prosa; parte iniziale della conferenza fiorentina su Leopardi; conteneva la polemica sulle rose-viole del <<mazzolin>> del Sabato del villaggio]; Crisantemi, “Convito”, 12 febbraio . 1897 Pensieri sull’arte poetica [prime 4 parti del saggio che dal 1903 verrà intitolato Il fanciullino]: 1897, rivista “Marzocco”. 1897: 2 testi pascoliani con le rose e viole antiche: Dalle tombe egizie [articolo] e Vile d’inverno [poesia]: 2 “sassolini”. 1898: Digitale purpurea [poesia]: altro “sassolino”. _____________________________________________________ Il fanciullino [Pensieri sull’arte poetica, 1897] si incastona tra i testi pascoliani contenenti il tema delle rose- viole cripto-pagane e cripto-dionisiache; ➔ Il fanciullino [Pensieri sull’arte poetica, 1897] costola staccata dal cripto-discorso pascoliano su Dioniso Bacco e Zagreo velato nei testi pascoliani del 1896-98; ➔ “costola” perché “sotto il velame” del Fanciullino Pascoli ha nascosto lo stesso tema di Dioniso Zagreo, inglobato nell’immagine leopardiana del <<mazzolin di rose e di viole>> portato in mano dalla <<donzelletta>>; è lo stesso tema dell’incipit del Sabato del villaggio, ovvero quello del fanciullino divino ed eterno per antonomasia, ovvero Dioniso Zagreo, fanciullo divino eterno perché morto fanciullo, dunque “fanciullo per sempre”. 1° INDIZIO Nel I paragrafo del Fanciullino (1903, 1907) e dei Pensieri sull’arte poetica(1897) ➔ <<Egli [il fanciullino] è quello […] che popola […] il cielo di dei>> Significa che la cultura religiosa del fanciullino di cui parla Pascoli è quella pagana. «Egli è quello [...] che popola [...] il cielo di dei»105. Il fanciullino di Pascoli «popola [...] il cielo di dei» dal momento che, come Leopardi aveva asserito nel 1822 («Ahi ahi, [...] vote / son le stanze d’Olimpo», Alla Primavera, o delle Favole antiche, vv. 81-2) e come lui stesso aveva tematizzato nelle Lacrime di Bacco (1878)106, in seguito agli editti e ai decreti dell’imperatore Teodosio I che, alla fine del IV sec., avevano proclamato il cristianesimo come religione ufficiale dell’Impero mettendo al bando i culti pagani, il cielo era stato “spopolato” dagli dèi pagani “spodestati” e le stanze dell’Olimpo, sino ad allora ospitanti gli dèi, erano così state “svuotare”. Il fatto che il fanciullino di Pascoli «popola [...] il cielo di dei» denota la presenza di una componente neopagana nella sua connotazione. 2° INDIZIO Nel II paragrafo del Fanciullino (1903, 1907) e dei Pensieri sull’arte poetica (1897) ➔ <<Tu [il fanciullino] sei il fanciullo eterno>>; <<Tu sei antichissimo, o fanciullo!>> sono appellativi di dioniso. Perché fanciullo eterno e antico? Dioniso era il puer aeternus (cfr. Ovidio, Metamorfosi, V, 18); secondo il mito (cfr. ad. es., Nonno, Dionisiache, VI) morì neonato, fatto a pezzi dai Titani. Sicché rimase eternamente un fanciullo (cfr. Pascoli, Il giorno dei morti, vv. 53-4). E per l’appunto «Zagreus era detto “il fanciullo” per antonomasia (cf. Lobek, Aglaophamus, Regimontii 1829, 699 ss)». dioniso zagreo mori' fanciullo. 3° INDIZIO Nel I paragrafo del Fanciullino (1903, 1907) e dei Pensieri sull’arte poetica (1897) È dentro noi un fanciullino1 che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano (tema della morte per natura, piange (il fanciullino che e' in lui per la morte del fanciullino) che primo in sé lo scoperse, ma lagrime ancora e tripudi suoi. Quando la nostra età è tuttavia tenera, egli confonde la sua voce con la nostra, e dei due fanciulli che ruzzano e contendono tra loro, e, insieme sempre, temono sperano godono piangono, si sente un palpito solo, uno strillare e un guaire solo. Ma quindi noi cresciamo, ed egli resta piccolo; noi accendiamo negli occhi un nuovo desiderare, ed egli vi tiene fissa la sua antica serena maraviglia; noi ingrossiamo e arrugginiamo la voce, ed egli fa sentire tuttavia e sempre il suo tinnulo squillo come di campanello. Il quale tintinnio segreto noi non udiamo distinto nell'età giovanile forse così come nella più matura, perché in quella occupati a litigare e perorare la causa della nostra vita, meno badiamo a quell'angolo d'anima d'onde esso risuona. E anche, egli, l'invisibile fanciullo, si perita vicino al giovane più che accanto all'uomo fatto e al vecchio, ché più dissimile a sé vede quello che questi. Il giovane in vero di rado e fuggevolmente si trattiene col fanciullo; ché ne sdegna la conversazione, come chi si vergogni d'un passato ancor troppo recente. Ma l'uomo riposato ama parlare con lui e udirne il chiacchiericcio e rispondergli a tono e grave; e l'armonia di quelle voci è assai dolce ad ascoltare, come d'un usignuolo che gorgheggi presso un ruscello che mormora. Fonte → ORFISMO (religione dell’antica Grecia, pagana e misterica) L'orfismo era Incentrato su Dioniso Zagreo, il fanciullino morto fanciullo, fatto a pezzi dai Titani. secondo gli orfici il genere umano sarebbe nato dalle ceneri dei Titani, dopo essere stati fulminati da Zeus. I Titani mangiano le carni di dioniso zagreo. li' vi erano quindi le ceneri dei Titani e di dioniso zagreo, il fanciullino per antonomasia quindi la componente del fanciullino rimane per sempre dentro ogni uomo. in ogni uomo c'e' un fanciullino divino ed eterno, cioe' dioniso zagreo, perche'gli uomini nascono dalle ceneri dai Titani che mangiarono dioniso zagreo. In ogni essere umano vi e' il fanciullino divino. Concezione antropologica orfica: uomini nati dalle ceneri dei Titani, fulminati da Zeus, dopo che ebbero divorato le carni di Dioniso Zagreo; per cui in quelle ceneri dei Titani dalle quali nacquero gli uomini c’erano anche le ceneri di Dioniso Zagreo, il fanciullino per antonomasia. ➔ La chiave del Fanciullino di Pascoli e' la concezione antropagana degli orfici (<<E’ dentro di noi un fanciullo>> che rimane sempre piccolo anche se noi cresciamo): nell’uomo, secondo gli orfici, pagani, c’è una componente titanica e una componente divina; (→ Dioniso Zagreo, il fanciullino eterno). 4° INDIZIO vi e' nell'Incipit del I paragrafo del Fanciullino (1903, 1907) e dei Pensieri sull’arte poetica (1897) È dentro noi un fanciullino1 che non solo ha brividi, come credeva Cebes Tebano che primo in sé lo scoperse, [Nota a piè di pagina pascoliana] 1 PLATONE, Fedone, 77 E. ➔ Fonti pascoliane del Fanciullino sono antiche, greche, in definitiva pagane ➔ In Fedone 77E si parla del tema del fanciullino in rapporto a quello della paura della morte; e non molto prima (69C-D) vi è un accenno al tema dei misteri e delle iniziazioni dionisiache, con menzione dei portatori di tirso e dei “bacchi”119 (inoltre in Leggi 701C Platone accennava all’“antica natura titanica” degli esseri umani). Nel Fedone Pascoli menziona dei temi dionisiaci, il tema dei misteri e dei misteri dionisiaci e del tirso e i suoi portatori (seguaci di dioniso) e dei bacchi-proposto da Pascoli nell'incipit. ➔ Si tratta di un accostamento di idee che fa balenare, per il «fanciullino» pascoliano connesso nell’incipit, tramite la nota, a quello greco del Fedone e al tema della paura della morte, l’idea del mito del divino fanciullino pagano che morì per l’appunto fanciullo: Dioniso Zagreo; e ciò tanto più per via del fatto che nell’explicit dei Pensieri sull’arte poetica Pascoli ha menzionato Orfeo120: cosa, questa, che suggerisce la circolarità della struttura del saggio sul fanciullino del 1897. esplicita meziona di Orfeo. la morte e' quello che caratterizza dioniso zagreo. Sia il <<mazzolin di rose e di viole>> della <<donzelletta>> del Sabato del villaggio, sia Il fanciullino di Pascoli parlano della stessa cosa: ➔ Doniso Zagreo, il fanciullino divino pagano per antonomasia - <<mazzolin di rose e di viole>> della <<donzelletta>> del Sabato del villaggio = simbolo, simbolo religioso pagano: immagine simbolica del fanciullino Dioniso Zagreo figlio di Persefone-Core (“La donzelletta”); - Il fanciullino di Pascoli: fanciullino Dioniso Zagreo figlio di Persefone_Core (“La donzelletta”).