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D. PALANO, Bubble-democracy., Sintesi del corso di Scienza Politica

Riassunto D. PALANO, Bubble-democracy. La fine del pubblico e la nuova polarizzazione, Scholé, Brescia, 2019.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica D. PALANO, Bubble-democracy. e più Sintesi del corso in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! INTRODUZIONE Il racconto di Heinlein era probabilmente anche una satira dei regimi fondati sulla manipolazione delle coscienze e sulla chiusura ideologica, ma forse oggi possiamo riconoscere nell’immagine di un universo autoreferenziale qualcosa che riguarda la condizione contemporanea. Perché ognuno di noi ha incominciato a rinchiudersi in una sorta di bolla autoreferenziale, costruita su misura sulle proprie convinzioni, sulle proprie preferenze e gusti. Una bolla capace di facilitare molte delle nostre operazioni quotidiane, ma che rischi di rinchiuderci nell’illusione che ciò che percepiamo, dall’angolo visuale della nostra bolla personale, sia davvero l’intero universo. Nell’ultimo discorso da Presidente di Barack Obama, Chicago 10.01.2017 in un passaggio si soffermò sui rischi che si annidavano in quelle bolle in cui molti cittadini americani si erano trovati a vivere. L’allarme di Obama era sollecitato dalla battaglia elettorale appena conclusa, dalle fake news cui Trump e i suoi avevano fatto sistematicamente ricorso per delegittimare gli avversari. Il discorso d’addio di Obama riconosceva che la vittoria elettorale di Trump aveva sancito l’inizio di una nuova stagione politica e l’ingresso in un nuovo ambiente comunicativo. Un ambiente che ha ormai poco in comune con la democrazia del pubblico e che invece può essere identificato con la formula bubble democracy (o bubbles democracy). Alcuni osservatori, tra i quali Edward Luce, hanno iniziato a sospettare che la rivolta populista contro l’economia mondiale sia l’annuncio del tramonto del liberalismo e dell’avvento di nuove democrazie illiberali. Il nuovo ambiente mediale e in particolare la diffusione dei social media favoriscono dinamiche molto differenti non solo da quelle della vecchia democrazia dei partiti, ma anche da quelle della democrazia del pubblico. La diffusione dei social media sembra segnare l’inizio del declino del pubblico. La diffusione dei nuovi media innesca una frammentazione del pubblico in una pluralità di segmenti tendenzialmente privi di radicamento in una sfera comunicativa comune. Nel 2011, Eli Pariser, organizzatore della prima campagna elettorale di Barack Obama, colse cosa stava avvenendo sul web. Segnala le conseguenze dirompenti che avrebbe prodotto la personalizzazione delle ricerche introdotta da Google il 4 dicembre 2009. Da quel momento l’algoritmo di ricerca Page Rank iniziò a restituire risultati più adatti al singolo utente, facendo cominciare l’era della personalizzazione della Rete. A scrutare i movimenti quotidiani degli utenti del web sono i cookies che si infilano nel browser di navigazione di ogni utente. Piccole cimici consentono ai vari siti di riconoscere i visitatori tutte le volte che ritornano ed entrano nell’intimità di ciascuno di noi, raccolgono informazioni sulle navigazioni passate e costruiscono un profilo con l’obiettivo di inserire ogni singolo utente in una specifica categoria e di confezionare messaggi pubblicitari personalizzati. Quando digitiamo un nome sulla maschera di Google, i risultati si avvicinano a quanto stavamo cercando, in molti casi è sufficiente digitare solo le prime lettere della parola per ottenere suggerimenti superiori alle nostre aspettative. Gli algoritmi tendono a creare attorno a ciascun utente una filare bubble: una bolla che filtra tutte le informazioni provenienti dal mondo esterno, facendo penetrare solo ciò che risulta coerente con le scelte precedenti del singolo, solo ciò che si conforma alle sue opinioni, orientamenti e idee politiche. Ognuno di noi tenderebbe a vivere dentro una bolla da cui può vedere un mondo personalizzato, ciò che non risulta conforme ai suoi orientamenti finisce per scomparire dalla visuale. Una differenza importante che distingue vecchi media dalle bolle contemporanee è il fatto che nelle bolle contemporanee tecnicamente non esiste un pubblico che assiste a uno spettacolo, legge un giornale o ascolta un programma radiofonico. All’interno della bolla, ogni individuo è solo, lo spettacolo che ha difronte è personalizzato. Il mondo delle bolle ha grandi vantaggi, ci rende molto spesso facili le cose. Un inconveniente consiste nella riduzione della finestra da cui osserviamo il mondo e nella modificazione degli stessi presupposti del pluralismo e della discussione pubblica, oltre che della stessa libertà individuale. Il rischio, come avverte Sunstein, è che un mondo di bolle, prive di esperienza condivisa, non sia più capace di alimentare le istituzioni democratiche e la segmentazione in nicchie sempre più piccole sia il presupposto di una polarizzazione destinata a erodere le regole della tolleranza. La bubble democracy intesa come un assetto alternativo al parlamentarismo, alla democrazia dei partiti e alla democrazia del pubblico, che, alla metà degli anni Novanta, Bernard Manin individuò nel suo classico lavoro sulle trasformazioni del principio rappresentativo. Per lo studioso il parlamentarismo era stato caratterizzato dalla centralità delle assemblee rappresentative, dalla sostanziale autonomia dei deputati, dalla prevalenza di relazioni di fiducia personali. Nella democrazia dei partiti la scelta elettorale risultava connessa alla fiducia risposta in un determinato partito e a legami di identificazione stabili. Nella democrazia del pubblico, proposto da Manin, le appartenenze partitiche apparivano sempre meno solide, le scelte elettorali tornavano a essere volatili. L’assetto della bubble democracy ha alcuni elementi in comune con la democrazia del pubblico, come l’indebolimento delle identificazioni con i partiti e un calo della fiducia riposta nella classe politica. Nel mondo delle bolle anche segmenti all’apparenza marginali possono essere mobilitati al voto, puntando su campagne polarizzanti, che non necessariamente richiedono l’elaborazione di un progetto generale. rapporto con i fatti al proprio individuale punto di vista, atteggiamento che induce a considerare irrilevante, falso, manipolato o inattendibile tutto ciò che non si allinea alle nostre convinzioni. Nel momento in cui la postverità si è intrecciata alle fake news e al ruolo dei social network, molte voci hanno preferito ricondurre la relativizzazione della verità a trasformazioni meno recenti. Lee McIntyre ne ha individuato la matrice originaria nel negazionismo scientifico che l'industria del tabacco incomincia a finanziare già negli anni Cinquanta: obiettivo neutralizzare i risultati delle ricerche che dimostravano i danni alla salute provocati dal catrame contenuto nelle sigarette, le principali compagnie del tabacco iniziarono a sostenere ricerche per mettere in discussione l'idea che fosse stato dimostrato un legame definitivo tra sigarette e cancro. La meta consisteva nel diffondere dubbi presso l'opinione pubblica intorno all'esistenza di una verità scientifica. Su ogni questione controversa, i media hanno iniziato a ospitare entrambi i lati della storia concedendo posizione condivisa dagli scienziati e posizioni eterodosse e minoritarie. • un primo risultato è stato quello di ingenerare il disorientamento del pubblico, privo delle competenze per valutare l’attendibilità. • un secondo risultato è stato rendere la faziosità il criterio principale di valutazione delle diverse posizioni, messa in dubbio la piena attendibilità dei dati relativi al cambiamento climatico, numero di omicidi o crescita del Pil, secondo McIntyre criterio con cui approcciarsi alle diverse versioni della verità ha iniziato a diventare quello dell'opinione soggettiva, vicinanza politica e simpatia personale. Un'altra spiegazione del successo della postverità ha radici nel dibattito filosofico novecentesco, nella decostruzione delle grandi narrazioni. Il trionfo contemporaneo della postverità sarebbe maturato gradualmente nelle critiche indirizzate ai pensieri forti. Michiko Kakutani sostiene che la causa profonda del disinteresse nei confronti della verità e dell'indifferenza per l'accordo tra le proprie convinzioni personali e i fatti andrebbe fatta risalire agli atteggiamenti maturati in Occidente a partire dagli anni Sessanta, che hanno gradualmente messo in discussione l'idea che possa esistere una realtà distinta dalle sue interpretazioni. La proliferazione di fake news, fake science e fake history rappresenterebbe solo l'esito di un relativismo legato con il narcisismo e il soggettivismo, i quali avrebbero reso un atteggiamento normale l'indifferenza alla verità. Ad aprire la strada alla postverità sarebbero stati il decostruzionismo e il post modernismo entrati nelle università americane, avrebbero messo in discussione le prospettive dominanti e consacrato il principio della soggettività destinato a congiungersi con la svalutazione della verità oggettiva. Per alcuni osservatori dell'esplosione populista il tema della postverità è legato alla denuncia della potenza dimostrata nelle campagne elettorali, da nuovi persuasori occulti, attori invisibili che inserendosi nei reticoli della comunicazione globale, si sono rivelati capaci di manipolare informazioni, diffondere menzogne e modificare le intenzioni di voto degli elettori. I social media hanno mutato il contesto comunicativo quanto la logica delle campagne elettorali in grado di accendere passioni e di mobilitare gli utenti in determinate direzioni e verso specifiche opzioni di voto. Le campagne elettorali diventano sempre più guerre tra software, schieramenti che si combattono con armi convenzionali come messaggi e informazioni e non convenzionali come fake news e manipolazioni, con lo scopo di ottenere due risultati: • moltiplicare in mobilitare i propri sostenitori; • smobilitare quelli degli altri. Sharp Power delle potenze non democratiche, cioè sull'utilizzo che dei nuovi media fanno alcuni attori, obiettivo di stabilizzare politicamente i paesi occidentali. Lo sharp power è il potere di penetrare l'arena dei paesi democratici, un potere che penetra o perfora il contesto mediatico e politico. Questo potere si muoverebbe lungo tre direttrici principali: • investire denaro per esportare le piattaforme mediatiche domestiche sottoposte a un rigido controllo governativo; • comparare aziende o partecipazioni senza temere eccessivo istruzioni da parte del mercato; • condurre campagne per delegittimare i sistemi democratici giungendo al paradosso di tracciarli come regimi illiberali. Timothy Snyder ha imputato e le principali responsabilità delle tensioni che nell'ultimo decennio hanno investito i sistemi democratici accidentali alla strategia di disinformazione adottata dalla Russia di Vladimir Putin. Nell'affresco dipinto sostiene che negli ultimi due decenni si sono confrontate e scontrate due opposte visioni del mondo e della storia: • da una parte la politica dell’inevitabilità ossia la convinzione che il futuro sia solo la prosecuzione del presente, la strada del progresso si è tracciata e che non siano possibili alternative; • dall'altra la politica dell'eternità che colloca una specifica nazione al centro del racconto di una ciclica vittimizzazione. Snyder individua una cesura nel 2010 dell'Unione Sovietica perché a suo avviso, proprio quell'anno la Russia divenne una cleptocrazia e cominciò ad agire per demolire la fattualità, diffondendo disinformazione e fake news con l'obiettivo di destabilizzare Ue e USA. Vi è stata l'influenza russa sulla campagna per le presidenziali negli Stati Uniti, Vittoria di Trump potrebbe preludere a un collasso delle istituzioni democratiche che renderebbe gli USA più simili alla Russia di Putin. Il ragionamento culturale di Kakutani tende a ricondurre tutto al rapporto problematico tra verità e politica. Hannah Arendt ricordava che le menzogne sono sempre state considerate dei necessari e legittimi strumenti non solo del mestiere del politico o del demagogo, ma anche di quello dello statista. Infatti nell'esperienza occidentale la riflessione filosofica sulla politica comincia dalla contaminazione tra politica e menzogna e dall'ambizione di conquistare la verità. L’interpretazione di Kakutani della decadenza della verità rischia di riprodurre una polarizzazione tra verità e menzogna. Snyder sottovaluta il fatto che il mutamento del contesto comunicativo, in cui operano tutti soggetti politici, sia in realtà strutturale: probabilmente nel nuovo contesto la Russia di Putin ha colto rapidamente possibili margini d'azione, ma i vincoli del nuovo assetto sono destinati a influire sulle logiche politiche di tutti gli attori. L'idea che i rischi per le democrazie occidentali giungano solo dall'insidiosa penetrazione di un nemico esterno finisce con l'replicare il medesimo limite della visione vittimista della storia attribuita da Snyder alla Russia di oggi. 3. Un nuovo ambiente Walter Lippmann contribuì a demolire l'immagine di un'opinione pubblica dotata di senso critico e in grado di vagliare le posizioni che la stampa le proponeva. La conoscenza dei fatti dei cittadini risultava condizionata da una serie di mediazioni. Lippmann chiama sostiene che al cittadino e all'opinione pubblica era stato affidato il compito di salvaguardare la libertà politica e la democrazia. Dopo il primo conflitto mondiale, la teoria politica e le scienze sociali statunitensi iniziarono a operare sulla figura dell’homo democraticus, metamorfosi che ne avrebbe alterato i tratti. John Dewey difesa e l'idea che la democrazia non era semplicemente una forma di regime, bensì quell'assetto che poteva consentire a ciascun individuo la propria completa realizzazione. Lippmann rappresentò un primo segnale del mutamento dell’immagine dell’homo democraticus, negli anni seguenti l'ascesa del nazionalsocialismo in Germania, l'impegno bellico, il clima della guerra fredda e il terrore di un'espansione comunista verso occidente avrebbero contribuito ulteriormente alla metamorfosi. In relazione a quelle trasformazioni iniziò a delinearsi la reinvenzione dell'immagine della democrazia operata dall'elitismo democratico ossia una rilettura realistica che ruppe con la tradizione del pensiero democratico per limitarsi a riconoscere i tratti distintivi della democrazia nel ricorso alle elezioni competitive come strumento per selezionare la leadership di governo. Situare la questione della postverità nel contesto del cambiamento dello scenario comunicativo che stiamo vivendo in prospettiva il rapporto con la verità viene ridimensionato, l'attenzione si rivolge alla trasformazione nelle relazioni tra cittadini e informazione. La proliferazione delle notizie false viene ricondotta alla modificazione strutturale dell'ambiente in cui gli individui si formano la loro percezione della realtà. Alcuni osservatori hanno attirato l'attenzione sulla novità del contesto in cui le opinioni e le identità dei soggetti si formano. Lo spazio di azione viene a configurarsi grazie la definizione di un nuovo ambiente. L'importanza del social network non è semplicemente un dato statistico, si innescano un processo di trasformazione sociale con un impatto diretto sui meccanismi di costruzione e condivisione della realtà sociale e della 2. La massa e il pubblico Nel 1920, con il romanzo Noi, Evgenij Zamjatin aprì la stagione delle grandi distonie del Novecento che avrebbe trovato i suoi pilastri nel Mondo nuovo di Aldous Huxley e in 1984 di George Orwell, oltre che in Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. La distopia di Zamjatin venne pubblicata poco dopo la Rivoluzione bolscevica, e nello Stato Unico che il romanziere collocava sullo sfondo del racconto non era difficile cogliere una prefigurazione di quello che sarebbe divenuto lo Stato sovietico. Lo Stato Unico era l’esito di una rivoluzione che assumeva la Tecnica e il sistema taylorista di organizzazione del lavoro come pilastri su cui organizzare scientificamente l’intera vita sociale. I cittadini dello Stato Unico sembravano smarrire la loro individualità e potevano essere così indicati non con nomi, ma con sigle alfanumeriche. Lo Stato unico immaginato da Zamjatin non riusciva ad annullare ogni traccia di resistenza e non era affatto in grado di annichilire totalmente l’unicità di ogni individuo dentro l’enorme macchina sociale. Noi era anche il resoconto del graduale distacco di D-503, il protagonista del romanzo, dallo Stato Unico, oltre che il racconto della sua travolgente passione per I-330, la donna che rappresentava la ribellione contro il Benefattore. Zamjatin nelle sue pagine si coglieva come la nuova stagione politica, aperta dalla Grande Guerra, fosse segnata dalla centralità di una massa molto diversa dalla folla di fine Ottocento. Il Novecento fu solo in misura marginale l’era delle folle. Il principale attore della vita politica fu la massa compatta, disciplinata nei grandi partiti ideologici. La psicologia collettiva di fine Ottocento si era riferita agli assembramenti di piazza, dinamiche che si innescavano quando grandi quantità di individui si trovavano radunati in uno stesso luogo. Tratti psicologici riconosciuti nella folla iniziarono a essere estesi alla massa organizzata cioè a gruppi di individui stabilmente organizzati all’interno di partiti, eserciti, chiese. Le masse del Ventesimo secolo si caratterizzavano per la loro salda adesione a una fede incrollabile e per la dedizione assoluta a bandiere, ideologie e leader. In molti individuarono nella massa compatta, disciplinata e manipolata dal leader la base più solida dei regimi totalitari. Wilhelm Reich cercava di delineare la psicologia di una massa statica coincidente con la popolazione di un paese: la spiegazione del comportamento di massa stava nella struttura psicologica prevalente in un determinato contesto. Al principio del Novecento Gabriel Tarde propose di riconoscere nel pubblico il soggetto destinato a conquistare un ruolo da protagonista. Tarde scrisse che la stagione che si stava aprendo era in realtà l’era del pubblico, inteso come una collettività puramente spirituale, costituita da individui sparsi, uniti da una coesione solo mentale. Il pubblico era la forma di collettività resa possibile dall’invenzione e dalla diffusione della stampa, consentiva la formazione di correnti d’opinione diverse dagli assembramenti di piazza. Il legame è rappresentato dalla coscienza di ciascuno che condivide l’idea o la volontà nel medesimo istante. La formazione di un pubblico presuppone un’evoluzione mentale e sociale più avanzata della formazione di una folla. Dopo il secondo conflitto mondiale il graduale ingresso dello schermo nelle case iniziò a consegnare progressivamente un’incontrastata centralità politica a quello che Tarde aveva riconosciuto essere il pubblico: individui che, pur essendo fisicamente separati, ritrovano esposti al medesimo flusso di comunicazione e alla stessa immagine del mondo reale. Il nuovo medium televisivo consentiva all’aspirante leader di rivolgersi direttamente agli elettori. Quegli apparati di comunicazione che i partiti di massa avevano costruito incominciavano a diventare obsoleti, non riuscivano a intercettare il pubblico, ma solo piccola enclave degli iscritti e simpatizzanti. Alcuni scienziati sociali iniziarono a comprendere che le trasformazioni comunicative stavano modificando le relazioni tra cittadini e politica. Per quanto ogni partito debba predisporre strategie di comunicazione, l’ambiente in cui si trova a operare impone vincoli che richiedono strategie di adattamento e di mutamento organizzativo. Secondo Jay Blumler e Dennis Kavanagh dalla fine della Seconda guerra mondiale, si possono individuare alcune grandi tendenze come: • la modernizzazione, ossia differenziazione sociale, specializzazione delle organizzazioni sociali, degli interessi e identità; • l’individualizzazione; • la secolarizzazione; • l’economizzazione, ossia importanza dei fattori e valori economici nell’agenda politica; • l’estetizzazione, ossia maggiore importanza nella cultura popolare all’immagine e dimensione estetica; • la razionalizzazione; • la mediatizzazione, ossia i media conquistano il centro del processo sociale. È possibile riconoscere tre distinte sequenze evolutive che scandiscono i mutamenti della comunicazione politica: 1. Tra il Dopoguerra e gli anni Cinquanta, segnata dalla centralità dei partiti di integrazione di massa, fratture socio-politiche, legami di identificazione robusti tra cittadini e forze politiche e centralità della carta stampata del sistema mediale. Il punto cruciale è quello che Stein Rokkan definì come il congelamento dello spazio politico. Le identificazioni partitiche solide, la scelta degli elettori in larga parte determinata dai legami di identificazione e dall’appartenenza ad areesubculturali. La componente di elettori fluttuanti è marginale anche per questo l’obiettivo dei partiti consiste nel rafforzamento delle fedi politiche. 2. Anni Sessanta, segnata dall’ingresso della televisione che contribuisce all’erosione delle identificazioni partitiche e allo scongelamento dello spazio politico. La centralità che conquistano le emittenti televisive implica conseguenze: 1. si riduce l’esposizione selettiva, appaiono leader di ogni partito; 2. la piattaforma della comunicazione diventa un medium neutrale e imparziale nel quale si trovano posizioni politiche differenti; 3. la televisione allarga il bacino del pubblico; la televisione modifica lo stile dell’informazione giornalistica, l’attenzione sulle questioni di breve periodo, spettacolarizzazione. 3. Anni Novanta, secondo Blumler e Kavanagh emergono tendenze che modificano il quadro precedente. Nell’ultimo decennio si affermano una consistente professionalizzazione del rapporto con l’opinione pubblica, maggiore competizione, la polarizzazione della comunicazione, tendenza dei flussi a seguire una logica centrifuga, mutamento da parte dei cittadini dello stile di consumo di informazione con carattere politico. La transizione dalla prima alla seconda fase può essere interpretata come effetto dello spostamento dalle masse al pubblico. Pippa Norris ha individuato nello svolgimento delle campagne elettorali tre stadi: 1. Campagne premoderne, i partiti di massa utilizzano un proprio apparato comunicativo per contattare gli elettori e per svolgere la propaganda. L’organizzazione si basa su forme dirette e attive di comunicazione interpersonale tra i candidati e i cittadini a livello locale. 2. Campagne moderne, i partiti iniziarono a fare ricorso a professionisti della comunicazione e consulenti esterni. La televisione inizia a essere il canale principale, luogo pubblico in cui si svolgono eventi della campagna. 3. Campagne postmoderne, aumentano sia la frammentazione dell’offerta informativa, sia il distacco dei cittadini dalle identificazione più stabili. Manin proponeva tre ideal-tipi che identificavano le tre tappe toccate a partire dalla fine dell’Ottocento dalla metamorfosi del governo rappresentativo: 1. Nel parlamentarismo, il rapporto fiduciario aveva carattere personale, il deputato eletto godeva di un’autonomia nella propria condotta politica, la discussione pubblica tra le parti politiche si svolgeva nel parlamento. 2. Nella democrazia dei partiti, i meccanismi della rappresentanza risultavano diversi. La scelta del singolo cittadino avveniva solo per effetto della fiducia riposta in un determinato partito, nell’ideologia o nell’identità subculturale di cui esso si faceva portatore. l’autonomia d0azione del rappresentante eletto era limitato dalle direttive dei vertici del partito, la discussione pubblica si svolgeva tra partiti. Tratto distintivo era la stabilità delle scelte elettorali, apparivano quasi del tutto impermeabili a considerazioni di breve periodo. Nella democrazia dei partiti il popolo vota per un partito piuttosto che per una persona. Le preferenze tramandate da generazioni. La stabilità elettorale elimina una delle basi del parlamentarismo. Le elezioni rimangono un’espressione di fiducia anziché la scelta di misure politiche specifiche. Diverso è solo l’oggetto di tale fiducia, non una persona, ma un’organizzazione, il partito. La democrazia dei partiti non prendeva in considerazione né la configurazione che il sistema dei partiti presentava nei vari contesti, né il tipo di relazione che i aprite intrattenevano con la stampa. Daniel C. Hallin e Paolo Mancini hanno individuato schemi di interazione differenti, hanno riconosciuto tre modelli distinti: 1. Mediterraneo o pluralista-polarizzato, accomunava l’Italia, Grecia, Spagna, Portogallo e Francia, scarsa circolazione della stampa, destinata a élite circoscritte, centralità della comunicazione televisiva, scarso sviluppo della professionalità giornalistica, elevato parallelismo politico, massiccio intervento dello Stato, marcata polarizzazione tra le forze politiche, presenza elevata distanza ideologica tra i diversi attori del sistema politico. 2. Nord-atlantico o liberale, nel Regno Unito, Irlanda, Canada, Stati Uniti, contraddistinto da elevata circolazione della stampa, diffusione della televisione, professionalizzazione giornalistica, scarso parallelismo politico, basso intervento statale, assenza di marcata polarizzazione. 3. Europeo centro-settentrionale o democratico corporativo, in Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Germania, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia e Svizzera, circolazione della stampa elevata, così come la professionalizzazione giornalistica, i rapporti tra carta stampata e televisione più equilibrati. 3. Nella democrazia del pubblico le scelte elettorali tornavano a esser volatili a cambiare da un’elezione all’altra. La fiducia tornava a rivolgersi a degli individui. Il motivo principale della trasformazione da imputare al ruolo della radio e della televisione consentivano un rapporto diretto tra leader e cittadini oltre che al mutamento del contesto economico-sociale. L’epoca degli attivisti politici e degli uomini di partito è finita. La televisione fa rivivere la natura faccia a faccia del legame rappresentativo. Ciò cui stiamo assistendo oggi è un cambiamento nel tipo di élite che viene selezionato, ha sostituito l’attivista politico e il burocrate di partito. La democrazia del pubblico è il governo dell’esperto dei media. Le leadership alternative si fronteggiano sulla ribalta elettorale avanzando proposte che hanno l’obiettivo di scatenare fra gli elettori reazioni, le identità politiche tendono a dissolversi e gli elettori sembrano rispondere relativamente alle proposte avanzate. L’autonomia dei politici è maggiore, ma devono continuamente identificare le divisioni giuste da sfruttare. Le divisioni politicamente più efficaci sono quelle che corrispondo alle preoccupazioni dell’elettorato, il processo tende a produrre convergenza fra i termini della scelta elettorale e le divisioni del pubblico. Nella democrazia del pubblico, la convergenza si realizza nel corso del tempo attraverso prove ed errori. Manin sembra sposare una visione positiva del pubblico, il quale deteneva la possibilità di premiare o censurare le proposte avanzate dagli aspiranti leader tra loro in competizione, risultava dotato di un’autonomia che gli elettori identificati dalla democrazia dei partiti non avevano. Hallin e Mancini riconoscevano come la trasformazione rendesse sempre meno netti i fattori di identificazioni dei modelli consolidati. Riconoscevano aspetto cruciale nella progressiva conquista della centralità dal mezzo onnicomprensivo della televisione che rivolgendosi a un pubblico omogeneo e utilizzando standard neutrali, contribuiva a dissolvere le subcultura ideologiche. L’espansione dei media nel XX secolo ha determinato un flusso di comunicazione che prescindeva dalle differenze di gruppo, riducendo la dipendenza dei cittadini da fonti d’informazione afferenti esclusivamente alle singole sottocomunità. Manin nel suo schema, la transizione alla democrazia del pubblico era innescata dalla crescente volatilità elettorale e dall’indebolimento dell’identificazione partitica, il punto cruciale era che Manin faceva discendere la stabilità elettorale della democrazia dei partiti dalla staticità di una struttura sociale contraddistinta dalla divisione di classe. Nella democrazia dei partiti le contrapposizioni elettorali riflettono le divisioni fra classi. Manin fondava l’ideal-tipo della democrazia dei partiti sul presupposto che la scelta elettorale fosse determinata da fattori socio-economici, dalla collocazione oggettiva del singolo nelle struttura sociale. Premessa problematica sotto un profilo empirico e teorico. Risulta in contrasto con i principali risultati della ricerca condotta sul comportamento elettorale, sulla fisionomia delle subcultura politico-territoriali. Inoltre, considerando la rappresentanza al tempo dei partiti di massa come un riflesso della struttura sociale, il ragionamento di Manin finiva col concepire la struttura sociale come dimensione in grado di determinare oggettivamente la posizione di ciascun individuo, la sua collocazione socio-politica, i suoi interessi. Non sembrava concedere alcun ruolo alla rappresentazione, ossia al processo di costruzione delle identità collettive compiuto dai partiti, alla loro capacità di fornire una rappresentazione della società, sua divisioni e interessi delle classi. Novità della democrazia del pubblico nel fatto che i politici proponessero delle divisioni politiche. Ciò che si stava delineando era la lenta metamorfosi del partito di integrazione di massa in un modello differente ricondotto al cartel party, al partito professionale-elettorale, al partito mediale o al partito personale. La figura della democrazia del pubblico può essere interpretata come la causa e il risultato dell’ascesa del nuovo partito professionale-elettorale o del cartel party incardinato nelle istituzioni o del partito personale. La democrazia del pubblico riconosceva l’esistenza di barriere all’ingresso elevate che rendevano difficoltoso per formazioni outsider sfidare i vecchi partiti. La centralità del pubblico implicava una spinta consistente verso la personalizzazione, anche una tendenziale convergenza verso il centro dei principali attori politici che scaturiva come conseguenza logica dalla stessa centralità della televisione nel gioco politico. Scontato che la battaglia si concentrasse sul tentativo di conquistare il voto dell’elettore mediano. Solo in alcuni casi la democrazia del pubblico si è davvero materializzata, in e alcuni contesti in particolare, come l’Italia della Seconda Repubblica, sono rimaste a lungo le tracce della democrazia dei partiti. La tendenza alla frammentazione ha iniziato a invertire spinta centripeta che dominava la democrazia del pubblico, creando nuovo ambiente, in cui forze radicali e populiste hanno potuto mettere successi imprevedibili solo alcuni anni fa. accordano con quella che abbiamo adottato nel passato. Pariser scrive che il problema politico più grave creato dalle bolle dei filtri consiste nel rendere più difficile il dibattito pubblico. L’adattamento del flusso di informazioni alla nostra identità può portare alla graduale scomparsa dell’esperienza comune e a frammentare il discorso politico. La democrazia funziona solo se noi cittadini siamo capaci di pensare andando al di là del nostro ristretto interesse personale. Per poterlo fare, dobbiamo entrare in contatto con la vita, i bisogni e desideri degli altri. La bolla dei filtri ci spinge nella direzione opposta, ci dà l’impressione che esista solo il nostro interesse personale. Caty O’Neil si è soffermata sulle conseguenze prodotte dalla scomparsa del pubblico e dal ricorso a campagne centrate su messaggi personalizzati. Il risultato di queste campagne è un forte squilibrio. Veniamo tenuti all’oscuro delle informazioni che vengono fornite ai nostri conoscenti. Questa asimmetria impedisce alle parti in causa di unire le loro forze, che invece è l’obiettivo di un governo democratico. Il nostro ingresso nel mondo della realtà aumentata ha osservato Adam Greenfield, potrebbe contribuire ulteriormente alla frammentazione dello spazio comune. Non sarebbero gli algoritmi a chiuderci dentro una bolla, saremmo noi stessi a farlo con le nostre quotidiane scelte di consumo mediale. La memoria tende ad essere sempre meno memoria umana e sempre più memoria informatica. 3. Sfiducia, polarizzazione, protesta Elemento che caratterizza la bubble democracy è il processo di disintermediazione che non riguarda solo la dimensione politica, ma i rapporti tra i cittadini e organizzazioni che erano considerate l’anello indispensabile per garantire la mediazione tra società e istituzioni. Disintermediazione incrinato dalle trasformazioni del web e dal ruolo che hanno assunto le grandi piattaforme nel dare forma alla Rete. Le trasformazioni del web hanno modificato le condizioni di accesso al mercato politico che ostacolavano l’emergere di nuovi sfidanti politici. Ruolo cruciale nell’innescare il deconsolidamento secondo Mounk sarebbe ricoperto da mutamenti comunicativi. Per effetto della disintermediazione il vantaggio tecnologico di cui potevano disporre l’élite politiche si è in gran parte dissolto. L’analista venezuelano Moisés Naím ha sostenuto che l’immagine di una pervasiva élite del potere capace di monopolizzare risorse economiche, politiche e militare, risulta oggi ancora meno realistica che in passato. Individua i contorni della trasformazione che sta modificando alla radice le modalità di esercizio del potere, procedendo nella progressiva dispersione del potere in precedenza concentrato nelle mani delle grandi organizzazioni. La novità più clamorosa prodotta dai social media è la crisi dell’autorevolezza scientifica e politica, ognuno si sentirebbe autorizzato a offrire una propria visione del mondo che si propone e pretende di essere vera. Il nesso tra disintermediazione e postverità: la disintermediazione, resa possibile dalla moltiplicazione delle fonti di informazione e dalla riduzione dei costi di produzione e distribuzione delle opinioni, consente di accorciare lo spazio tra alto e basso. La riduzione dei costi della produzione e distribuzione dell’informazione ha moltiplicato la forza corrosiva della critica indirizzata alle istituzioni. Anna Maria Lorusso sostiene che la verità si tratta di credere alla verità dei discorsi, molto più che di contestare, verificare la verità dei fatti. Manca la fiducia nelle istituzioni, ideologie che indicavano la verità. In crisi il contratto fiduciario che legava i cittadini ai politici, i cittadini ai media, i cittadini alla propria comunità religiosa, nazionale. E si sono moltiplicati altri patti fiduciari su base più emotiva e familistica. Ulteriore tratto della bubble democracy è la sfiducia nei confronti della classe politica. Christian Blasberg propone una schematizzazione generica che vede la logica degli elettori modificarsi gradualmente. Anni Cinquanta-Sessanta il voto influenzato dalla ricerca di sicurezza e protezione; anni Settanta subentra la componente dell’abitudine, resta elettore fedele anche se l’offerta politica in alcuni punti non corrisponde ai suoi interessi socio-economici e culturali. Anni Ottanta la sfiducia comincia ad aumentare, traducendosi in un incremento graduale dell’astensione in occasione delle consultazioni elettorali, per poi rivolgersi ai partiti radicali, protagonisti dell’ondata populista. Negli anni Dieci le cose cambiano, l’elettore riprende a votare e scegli un partito nuovo, i suoi leader non parlano il politichese, ma la lingua della gente. Elettore disilluso, apatico, alienato che nella democrazia del pubblico era del tutto periferico, nella logica della bubble democracy diventa politicamente cruciale. Tassello cruciale della bubble democracy la tendenza alla polarizzazione, presenza di forti spinte centrifughe. Il pubblico si frammenta in segmenti destini, ognuno può diventare oggetto di un flusso informativo orientato in senso partigiano. Grazie alla frammentazione del pubblico e alla personalizzazione dei suggerimenti, leader politici possono rivolgersi a una specifica nicchia, con un messaggio centrato su uno specifico tema. Il modo per conquistare una maggioranza non è più convergere verso il centro, ma sommare gli estremisti. La chiusura nelle bolle destinata a favorire un processo di crescente polarizzazione. Cass R. Sunstein si era soffermato sulle conseguenze negative che, per il dibattito pubblico, poteva avere il meccanismo della polarizzazione dei gruppi. Elaborato una sorta di legge relativa alla polarizzazione, secondo cui dopo aver sostenuto un dibattito, le persone tendono ad abbracciare le versioni estreme delle posizioni che avevano precedentemente. A giocare un ruolo rilevante, secondo Sunstein sono le cyber-cascate che favoriscono la diffusione di opinioni fondate su fatti accertati e di dicerie e fake news. Negli scambi comunicativi sarebbe sempre all’opera la biased assimilation una sorta di pregiudizio che induce inconsapevolmente a filtrare le informazioni sulla base delle convinzioni di partenza. Gli effetti di queste dinamiche sarebbero ben visibili sulla scena politica americana dell’ultimo decennio, in cui si è registrata un’esclusione del partitismo. Altri due problemi: le echo chambers (camere dell’eco) favoriscono la diffusione di menzogne sempre più difficili da smentire; un’opinione fortemente polarizzata e un sistema comunicativo frammentato favoriscono la paralisi politica e mettono in pericolo l’edificio democratico. Questione proposta da Sunstein sui rischi prodotti dall’ascesa dei social media riguarda lo stesso termine polarizzazione, che può essere utilizzato per indicare processi piuttosto differenti. Si può parlare di polarizzazione a proposito della tendenza degli individui che partecipano a discussioni di gruppo su un tema specifico ad aggregarsi attorno a posizioni e argomentazioni tra loro nettamente distinti. Ci si può riferire alla tendenza dei cittadini ad aggregarsi politicamente attorno a due poli ostili l’uno all’altro e a posizionarsi su una ciascuna singola questione in base alla propria collocazione politica. Si può intendere l’aumento della distanza ideologica tra le forze politiche che partecipano alla competizione elettorale. Ulteriore problema sollevato da Sunstein concerne la tendenza omofiliaca che i social media sembrerebbero favorire. Anche se alcune ricerche confermano che il comportamento omofilo degli utenti tenda a restringere gli spazi del dibattito tra individui che condividono le medesime posizioni, le opinioni in proposito non sono affatto unanimi. Paolo Mancini ha sostenuto che l’abbondanza informativa, consentita prima della commercializzazione del sistema televisivo e moltiplicata dall’avvento del web, ha contribuito a svuotare di funzioni politiche i partiti politici. L’abbondanza informativa ha indebolito le appartenenze ideologiche, per poi consentire a nuove strutture di interazione di sostituirsi a vecchie. La sfiducia nei confronti dei partiti registrata in tutte le democrazie occidentali non è per Revelli solo un dato congiunturale, ma il segnale della conclusione di una lunga vicenda storica che ha segnato il XX secolo. Paolo Gerbaudo, in relazione in particolare ai tre casi del M5S, di Podemos e dei Piraten tedeschi, ha individuato nel partito piattaforma la forma emergente, destinata a diventare egemone. La trasformazione avviene a due livelli: utilizza gli strumenti propri del capitalismo delle piattaforme, fa ricorso a social media per comunicare al proprio esterno; sviluppano piattaforme digitali volte a favorire la partecipazione degli aderenti a discussioni democratiche, che sostituiscono la struttura organizzativa tradizionale e il radicamento territoriale. Il partito piattaforma rappresenta una filiazione del partito leggero della stagione della democrazia del pubblico, non ha necessità di un apparato burocratico pesante, ha degli elementi in comune con il vecchio partito di massa, perché è in grado di mobilitare i propri aderenti e simpatizzanti con una comunicazione aggressiva e capillare. Il partito piattaforma è: partito digitale perché leggero, la comunicazione digitale diventa sostitutiva dell’infrastruttura fisica; partito start-up perché ha una forma di organizzazione crescita rapida e alta scalabilità e mortalità; partito forum perché organizzazione che deve la sua energia alle discussioni e alle deliberazioni condotte dai propri iscritti sulle piattaforme decisionali e sui canali social collegati al partito. La tendenza alla personalizzazione della leadership non può che intrattenere un rapporto conflittuale con la promessa di partecipazione diretta, disintermediazione e democrazia diretta che per molti versi contrassegna la fisionomia del partito piattaforma. La fisionomia del cartel party e la tendenza verso un partito più Stato-centrico possono essere interpretate come il risultato del progressivo adeguamento delle organizzazioni all’assetto delle istituzioni.