Scarica decisioni di policy, bruno dente e più Dispense in PDF di Scienza Politica solo su Docsity! DECISIONI DI POLICY- B.DENTE CAPITOLO 1 Nei regimi democratici “fare le riforme” è particolarmente arduo. Decidere è spesso difficile e gli argomenti avanzati per spiegare questo fenomeno hanno solitamente a che fare con il fatto che gli obiettivi non sono condivisi tra gli attori sociali, che vi è un crescente grado di frammentazione istituzionale, che i rapporti tra politica e amministrazione rappresentano spesso un ostacolo alla presa di decisioni e così via. Ciò che le spiegazioni correnti hanno in comune è il fatto di far ricorso ad argomenti a livello di sistema. Se è così difficile prendere le decisioni ci deve essere qualcosa che non va a livello generale, occorre modificare qualche caratteristica istituzionale o socio-politica che impedisce ciò di cui ci sarebbe bisogno. Si tratta dell’approccio macronegativo che cerca e trova le cause delle disfunzioni in caratteristiche generali del sistema politico-amministrativo. Questa natura generale, sistemica, delle ragioni dei fallimenti ha vari effetti. Da un lato essa, proprio perchè fa riferimento a caratteristiche che sono conosciute da tutti, appare plausibile ed in ultima analisi convincente: tutti noi tendiamo a preferire spiegazioni sintetiche dei fenomeni anziché trovare per ognuno di essi le cause specifiche. Vi sono due problemi: 1. Molte delle caratteristiche indicate come disfunzionali sono in realtà caratteri costitutivi delle moderne democrazia, dei sistemi politici cioè che cercano di governare società con un alto grado di differenziazione interna. Per esempio, la frammentazione istituzionale è l’altra faccia del decentramento e del federalismo. Sarebbe del tutto insensato attendersi che ad un aumento delle risorse e dei poteri dei livelli sub-nazionali di governo non corrisponda una trasformazione dei modi in cui si prendono le decisioni che probabilmente aumenterà la complessità del processo. Ciò significa che le riforme, le decisioni davvero importanti sono precluse agli stati federali? Molti osservatori sono tentati di dare una risposta affermativa, mettendo in luce i costi decisionali impliciti nei processi di decentramento che quasi tutti i paesi sviluppati hanno conosciuto nella seconda metà del XX secolo. In italia questa tendenza si è incarnata nella nascita delle regioni nel 1970 con una accelarazione con la riforma del titolo V della Costituzione nel 2001. Quindi si può dire che il decentramento delle competenze, la separazione dei poteri, le garanzie per i cittadini, le possibilità stessi di democrazia diretta e comunque il ricorso all’ordine giudiziario contro una decisione delle autorità pubbliche, rappresentano alcuni dei caratteri fondamentali delle moderne democrazie. Lindblom afferma che una società e un sistema politico basato sulle preferenze e sulle interazioni tra soggetti tende a funzionare meglio di una basata sull’inntelletto: esse riconosce la fallibilità dell’agire umano, si basa sulla necessità di fornire risposte adeguate alle preferenze espresse dai cittadini. 2. Il secondo problema fa riferimento al fatto che le spiegazioni “macro negative” a dispetto della loro palusibilità, spesso non funzionano. Occorre un approccio “ micro positivo” che cerca quali sono le circostanze specifiche nelle quali le cose funzionano anche per verificare quale sia la loro trasferibilità ad altri contesti. Il fatto è che, se le caratteristiche sistemiche indicate come causa dell’inefficienza decisionale sono spesso l’altra faccia della democrazie e se comunque non riescono a dare conto di ciò che accade veramente nella realtà, dal momento che decisioni anche importanti si prendono e si attuano, ne consegue che anche le terapie indicate per curare le sindromi del blocco decisionale, dei ritardi e dei costi delle non decisioni forse non sono per nulla adeguate. -Attraverso lo studio dei processi di formulazione delle politiche pubbliche è possibile valutare se e quando sono validi il modello del “ governo di partito” ( party government) secondo il quale gli attori politici dominanti sono i partiti politici oppure quello del neo-corporativismo, secondo il quale le più importanti decisioni sono prese attraverso accordi, formali o informali, tra i rappresentanti delle grandi imprese, i sindacati dei lavoratori e il governo nazionale. Lo studio delle decisioni ha probabilmente conosciuto il suo massimo splendore nel ventennio 1960-1980. Successivamente, mentre da un lato i progressi compiuti a livello teorico ed analitico venivano utilizzati per approfondire una serie di differenti fenomeni, le critiche ai presunti presupposti teorici di quel dibattito hanno preso sempre più il sopravvento e poco per volta l’attenzione degli studiosi è calata. L’interesse in quel ventennio ha delle ragioni fondate: a fronte di progressi teorici, su come era possibile rappresentare il processo di scelta nei contesti pubblici, l’analisi delle decisioni è emersa come uno degli strumenti privilegiati per lo studio della politica e delle distribuzione del potere politico. Il riferimento è al volume di Dahl “ Who Governs?” che rappresenta una tappa fondamentale nell’affermazione di uno specifico paradigma nella scienza politica del Novecento, il paradigma Pluralista. Nella logica di Dahl, il potere politico è potere decisionale, la capacità di far assumere dalle istituzioni pubbliche le scelte desiderate. Egli metteva in discussione il valore, sul piano empirico, della teoria delle èlite. Tra le domande che si poneva, 2 sono rilevanti: -come si prendono davvero le decisioni politiche importanti? CAPITOLO 2 Guardando solamente all’etimologia della parola “decisione”, il problema sarebbe solamente quello di “decidere”, dal latino de-caedere- significa tagliare, scartare le opzioni disponibili sino a che non resta una sola. Quindi decidere sarebbe sinonimo di scegliere e decisione sinonimo di scelta. La decisione implica un atto di volontà e l’esistenza di alternative. Se mancano l’uno o le altre non c’è alcune decisione. Un terzo elemento fondamentale è rappresentato dal “processo” attraverso il quale è venuta alla luce la scelta finale, la sequenza di azioni e di decisioni elementari che ne hanno determinato il contenuto. Studiare la decisione significa studiare i processi decisionali, i meccanismi attraverso i quali si decide di decidere, si analizzano e si scartano le possibili alternative e si giunge all’esito finale che puo essere anche quello di non decidere. Da questo ne consegue un quarto elemento: una decisione deve comportare una almeno potenziale trasformazione del mondo. Quindi una decisione deve avere un contenuto, un oggetto, e tali contenuti possono essere differenti. Ad un primo livello la decisione può riguardare la scelta dei mezzi che abbiamo a disposizione per raggiungere uno scopo, un obiettivo. Ma spesso per comprendere le ragioni di una scelta dobbiamo risalire più indietro, dato che la vera decisione riguarda quali obiettivi vogliamo perseguire e non quali mezzi scegliere per farlo. Il problema se la scelta è quella dei mezzi o quella dei fini, è cruciale nelle decisioni politiche in senso stretto. Le decisioni prese singolarmente possono avere conseguenze per più soggetti. Per le decisioni prese nella sfera pubblica, che possono avere conseguenze dirette o indirette su una intera collettività, particolare rilevanza hanno quelle che riguardano le politiche pubbliche, le decisioni di policy. Una delle più diffuse definizioni è quella proposta da Dye (1987) che afferma che una politica pubblica è “tutto ciò che i governi decidono di fare o non fare”. Meny e Thoenig ( 1989) propongono questa definizione “una politica pubblica è il frutto di una attività di una autorità dotata di potere pubblico e legittimità a governare”. Più articolata è la definizione trovata in un manuale che afferma che una politica pubblica è “ un concatenamento di decisioni e di attività, intenzionalmente coerenti, prese da diversi attori pubblici e talvolta privati al fine di risolvere in maniera mirata un problema definito politicamente come collettivo” Knoepfel, Larrue e Varone ( 2001) Mentre Dye, Meny e Thoenig affermano che le politiche pubbliche sono solo le attività svolte dalle istituzioni pubbliche, Knoepfel e company, pur affermando la necessità delle partecipazione di esse, ammettono che gli attori possono essere anche privati,ma introducono due ulteriorio qualificazioni: la prima è che l’insieme delle azioni deve essere, almeno nelle intenzioni coerente e la seconda che esse debbono essere riferite all’esistenza di un problema collettivo. Ad un maggiore livelli di astrazione possono definire una politica pubblica come “un insieme di decisioni ed attività che sono collegate alla soluzione di un problema collettivo ovvero “una qualsiasi insoddisfazione relativa ad un bisogno, domanda o opportunità di intervento pubblico” ( Dunn 1981) dentro questa definizione non vi sono limitazioni relative alla coerenza delle azioni (perchè sono considerati attori del processo anche coloro che si oppongono alla soluzione del problema), né alla necessaria presenza di istituzioni pubbliche. È centrale invece l’esistenza di un Problema Collettivo. Dente preferisce questa definizione più ampia è perchè si prende in considerazione ( nel libro) il punto di vista dell’innovatore che non è detto che sia un attore pubblico. Quindi con questa definizione si intende che non è detto che le decisioni pubbliche si riferiscano solo alle attività dei governi. Di conseguenza, ricordando che una decisione comporta un atto di volontà, che può riguardare sia i fini sia i mezzi e che con ogni probabilità essa vedrà l’intervento di una pluralità di soggetti, possiamo definire come decisioni di policy i processi di scelta tra più alternative di soluzione di un problema collettivo e quindi di trasformazione dei modi attraverso i quali esso viene trattato. 1. I Caratteri tipici delle politiche pubbliche contemporanee Evoluzione delle politiche pubbliche: il punto di partenza è rappresentato dalle rivoluzioni americana e francese e dall’affermazione generalizzata del modello dello stato liberale. È in questa fase che nascono alcune delle caratteristiche di base delle pubbliche amministrazioni che Weber ha riassunto nella nozione di “ burocrazia legale-razionale”. Alla base di questo modello ci sono i compiti dello stato e gli strumenti di cui esso si avvale. I compiti propri dello stato liberale sono quelli di assicurare al suo interno l’ordine pubblico lasciando il più possibile liberi i cittadini di perseguire i propri interessi. Per questi motivi gli strumenti utilizzati sono essenzialmente di natura regolativa. L’attività amministrativa è interamente dominata dalla legge cosicché lo stato liberale diviene sinonimo di stato di diritto ovvero che gli apparati pubblici possono fare solo quello che è previsto dall’insieme delle norme. Però anche lo stato liberale del secolo XIX svolgeva attività che non erano propriamente regolative. Le cose cambiano con l’avvento del welfare state, e quindi con l’ampliamento dei compiti dei pubblici poteri. Questa trasformazione è consistita nell’attribuzione allo stato della responsabilità non solo di rimediare ai fallimenti del mercato nella produzione di beni pubblici ma anche e soprattutto di garantire la crescita economica e sociale, la piena occupazione. In questa fase le dimensioni delle amministrazioni aumentano. A questa trasformazione dei compiti e delle dimensioni si è accompagnata una profonda trasformazione degli strumenti di azione. Non solo gli interessi pubblci vengono tutelati attraverso un crescente ricorso ai trasferimenit finazniari, all’uso di incentivi ma soprattutto gli strumenti legislativi alla base dell’azione pubblica cambiano, si trasformano da “ programmi condizionali” in “ programmi di scopo” nei quali vengono stabiliti gli obiettivi da raggiungere e non solo le procedure da seguire. Quindi in questo periodo la forma fondamentale di azione dei poteri pubblici diventa la Programmazione che attribuisce al potere politico la definizione delle risorse disponibili, la loro ripartizione tra i differenti campi di attività pubblica e la definizione degli obiettivi di breve e medio termine da raggiungere da parte degli apparati. La conseguenza immediata è la necessità di ampliare la sfera di autonomia e di discrezionalità delle burocrazia, ma anche di rinunciare in larga misura all’uniformità che le aveva sino ad allora caratterizzate. L’espansione della produzione diretta di beni e servizi da parte delle pubbliche amministrazioni provoca un decentramento delle responsabilità alle amministrazioni territoriali sub-nazionali si aattraverso la creazione di nuovi livelli di governo sia attraverso il potenziamento dell’amministrazione periferica dello stato e con l’ampliamento dei compiti delle amministrazioni locali. L’enfasi sull’efficacia dell’azione, sul successo delle politiche pubbliche costituisce un tratto distintivo dello stato del benessere e diviene il nuovo modello di legittimazione del potere politico. Nell’ultima parte del XX secolo, il modello del welfare state entra in crisi e si avvia una ulteriore trasformazione che non è probabilmente giunta a compimento. Questa trasformazione è determinata da cause endogene, la fase di welfare state era stata caratterizzata da una crescita continua della spesa pubblica che in molti paesi era giunta a superare la metà del prodotto interno lordo. La ragione principale della trasformazione riguarda il mutamento dei problemi collettivi e quindi dei compiti affidati alle amministrazioni. La crescita del benessere economico ha ampliato il numero dei cittadini che attribuisce minore importanza alla provvista dei servizi pubblici tipici dello stato del benessere: il ricorso del settore privato per la fornitura di servizi sanitari e scolastici, è un chiaro indicatore del fatto che la domanda collettiva è almeno in parte cambiata. A questi modelli viene, implicitamente o esplicitamente, attribuito un valore descrittivo, prima ancora che esplicativo, ma spesso anche un valore prescrittivo, nel senso che essi vengono utilizzati per indicare come le decisioni dovrebbero essere prese se si vuole massimizzare efficacia ed efficienza nella soluzione del problema. 1. Il Modello RAZIONALE Prevede che chi deve prendere la decisione: - Ponga in un ordine di priorità i propri valori e gli obiettivi che ne derivano; - Conosca tutti i mezzi possibili per raggiungere tali obiettivi; - Valuti le conseguenze, relativamente agli obiettivi perseguiti prioritariamente, di ciascun mezzo alternativo; - Calcoli i costi associati alla scelta di tutte le alternative disponibili; - Scelga il mezzo alternativo in grado di massimizzare i benefici e di minimizzare i costi. Questo modello è soprattutto un modello prescrittivo, dato che assume che la decisione ottimale dal punto di vista del problema da risolvere sarà quella che verrà presa al termine di un processo il più possibile simile a quello schematizzato. A cosa si deve il successo del modello razionale? Un primo motivo è dovuto al fatto che, come nota Bobbio esso promette di “creare uno spazio sottratto alla politica”, dove le scelte concrete che rappresentano il cuore delle politiche pubbliche, possano essere prese in una sede esclusivamente tecnica senza bisogno di lunghi dibattiti. Basta definire la forma e i parametri di un’equazione e mettere i dati in un computer e la scelta giusta è gia presa. Un secondo motivo è che questo modello sembra in grado di spiegare tutto quello che succede nel mondo reale delle scelte di policy ed in particolare i fallimenti che le costellano. Infatti, esso assume che: 1. Sia possibile una netta separazione tra fini e mezzi e che i primi siano interamente determinati anteriormente alla scelta dei secondi; 2. Il processo decisionale possa essere effettuato da un unico decisore o da una entità capace di esprimere preferenza ordinate e non contradditorie; 3. L’analisi delle alternative e delle relative conseguenze possa dissipare le principali fonti di incertezza; 4. Esistano risorse sufficienti per l’analisi e che si abbia a disposizione tutto il tempo necessario per indagare le conseguenze di tutte le opzioni possibili. Poiché è abbastanza evidente come la compresenza di tutte queste condizioni sia altamente improbabile, ecco che si ha sempre a disposizione la spiegazione di un esito insoddisfacente. Il problema è che si tende ad utilizzare questo modello razionale in chiave descrittiva ed esplicativa, come modo semplice di comprendere gli obiettivi di qualcuno osservandone i comportamenti. Il sillogismo è il seguente: - Premessa Maggiore : Tutti coloro che vogliono A scelgono X - Premessa Minore: Mario ha scelto X - Conclusione : Mario voleva A Il sillogismo è basato su una premessa della cui verità non possiamo mai essere sicuri. Nel campo delle decisioni di policy, a causa delle caratteristiche di complessità decisionale, incertezza sugli esiti e conflittualità latente o aperta, basare l’interpretazione di quanto avviene su un modello di questo tipo può portare a non capire che cosa è successo e soprattutto perchè è successo. ( cfr. esempi pag.41) Il problema sta nelle condizioni postulate dal modello ed in particolare dall’assunzione che il decisore sia uno e che egli abbia un’informazione perfetta sugli obiettivi che si pone, sulle alternative a disposizione e sulle conseguenze in termini di costi e benefici di ciascuna alternativa. 2. Il Modello a RAZIONALITA LIMITATA Herbert Simon afferma che la razionalità di un attore, non sta nel fatto che esso sia onnisciente, cioè che esso conosca tutti gli obiettivi, tutte le alternative, le conseguenze, ma piuttosto nel fatto che il suo comportamento sia almeno potenzialmente purposive, volto cioè a conseguire un obiettivo, anche se ciò non è completamente definito sin dall’inizio del processo. Il decisore cercherà di comportarsi in maniera coerente, ma soffrirà inevitabilmente di una serie di limiti cognitivi: - Ha una conoscenza limitata delle alternative disponibili - Possiede una limitata capacità intellettuale - Può affidarsi ad una memoria limitata - Dispone di una capacità di attenzione limitata - È vincolato dalle abitudinine dalla routine Il modello a razionalità limitata è l’accettazione dei limiti cognitivi e l’assunzione esplicita di un criterio decisionale molto meno stringente di quello implicito nel modello razionale. Esso ha un valore Prescrittivo ovvero che propone di fermare il processo di ricerca delle alternative alla prima che appaia soddisfacente, ed un valore descrittivo ed esplicativo nel senso che assume che la scelta compiuta dal decisore possa non solo essere la migliore possibile in assoluto, ma essere basata su analisi fortemente incomplete o sbagliate. Questa posizione è anche più comprensibile se si tiene conto che Simon parla soprattutto di decisioni che non sono prese in assoluta solitudine da un decisore individuale, ma che vedono la luce all’interno di contesti organizzativi ed istituzionali complessi e che pertanto spesso necessitano la costruzione di coalizioni. Inoltre Simon mette in luce come il suo modello si applichi essenzialmente alle decisioni nuove, mentre per quelle di routine le organizzazioni debbano predisporre procedure operative standard volte a minimizzare la possibilità di errori. Questo modello con quello razionale, ha in comune l’idea che la decisione sia riferibile ad un individuo o comunque ad un soggetto che sia in grado di mettere le proprie preferene in un ordine di priorità transitivo( ovvero se la scelta A è preferita alla scelta B e la scelta B alla scelta C, ne consegue che la scelta A sarà preferita alla scelta C). Se la decisione è presa da un attore collettivo ciò non è sempre possibile. Si tratta del Paradosso di Condorcet, successivamente ampliato da Kenneth Arrow nel teorema dell’impossibilità, secondo il quale è impossibile creare un’unica funzione del benessere sociale attraverso l’aggregazione delle preferenze individuali in condizioni di democrazia. (cfr. box pag.43) 3. Il Modello INCREMENTALE Modello proposto da Charles Lindblom, il punto di partenza è un articolo del 1959 intitolato “ The Science of muddling through” ( la scienza di sfangarsela) nel quale egli scrive che un’osservazione ravvicinata dei processi di policy making mette in luce le seguenti caratteristiche ricorrenti: - I valori, gli obiettivi e l’analisi empirica dell’azione da svolgere non sono distinti ma strettamente intrecciati. - Dato che fini e mezzi non sono distinti, l’analisi dell’adeguatezza dei mezzi al raggiungimento dei fini è spesso inappropriata o limitata. - Il test di una “buona” policy è tipicamente il fatto che diversi analisti concordano sulla sua adozione, senza necessariamente concordare che sia il mezzo più appropriato per un obiettivo condiviso. - L’analisi è limitata nel senso che importanti possibili conseguenze sono trascurate, importanti politiche alternative sono trascurate e importanti valori sono trascurati. - Una serie di comparazioni successive riduce o elimina qualsiasi fiducia nella teoria. L’effetto combinato di queste caratteristiche è che l’esito di un processo di policy making che non finisca in stallo consiste in una decisione che si distacca poco dallo status quo è incrementale. La domanda che si pone Lindblom è allora se tutto ciò dipende solo dalla totale irrazionalità dei decisori, oppure corrisponde ad una qualche caratteristica specifica, dei sistemi politici contemporanei. La risposta verrà alla luce nel corso dei successivi 40 anni e si svolge su due piani. 4.IL MODELLO “BIDONE DELLA SPAZZATURA” Con questo modello si torna a parlare delle decisioni molto in generale in qualsiasi contesto organizzativo. Esso afferma che in tutte le situazioni decisionali nelle quali vi è ambiguità a livello degli obiettivi (che sono mal definiti dagli attori), della tecnologia utilizzabile (che è poco chiara) e della partecipazione degli attori ( che tende a variare nel corso del tempo) la decisione nasce dall'incontro casuale tra problemi, soluzioni, partecipanti ed opportunità di scelta. Questa è la sostanza del modello proposto da James March e Johann Olsen nel 1976 E che essi hanno chiamato “ garbage can model”. La metafora e stata spiegata dagli autori in questo modo: “supponiamo di considerare un'attività di scelta come un bidone della spazzatura nel quale diversi problemi e soluzioni sono gettati dai partecipanti. il mix di spazzatura nel singolo bidone dipende parzialmente dalle etichette che vi sono su di esso, ma dipende anche dal tipo di rifiuti che vengono prodotti in quel momento dal tipo di bidoni disponibili e dalla frequenza con la quale i rifiuti vengono raccolti e portati via.” Il punto di partenza della riflessione è stato rappresentato dalla considerazione che in un'impresa privata visto in una molteplicità di obiettivi in potenziale contrasto tra di loro: come l'aumento delle vendite, migliorare la quota di mercato, incrementare la produzione, aumentare i profitti. In altre parole persino in organizzazioni che la teoria economica assume essere monolitiche come appunto le imprese, in realtà il processo decisionale vede gruppi differenti di partecipanti contrattare per raggiungere un compromesso accettabile su quale decisione sia meglio prendere. questo è tanto più vero nei contesti politico- amministrativi nei quali le politiche pubbliche vengono decise. questa pluralità di fini possibili si traduce in un modello di scelta basato largamente sulla casualità essenzialmente per due motivi tra loro strettamente interconnessi. - Le preferenze degli attori non sono esogene ma si formano nel corso del processo. Esse dipendono da quelle espresse dagli altri attori, ma possono dipendere anche dal mutamento del contesto. - i processi decisionali spesso si svolgono in tempi molto lunghi quindi più è protatto un processo di scelta più probabile è che lo stesso corso di azione abbia in momenti differenti diverse conseguenze e significati e che soprattutto gli attori modificano i loro comportamenti. Ma il passare del tempo determina anche un'altro importantissimo effetto e cioè semplicemente che gli attori cambiano alcuni escono ed altri entrano nell'arena decisionale. Quindi è la stessa concettualizzazione del processo decisionale come l'insieme delle azioni finalizzate a trovare la soluzione ad un problema ad entrare in crisi: accanto a problemi che cercano un trattamento, troviamo soluzioni che cercano problemi e partecipanti che cercano problemi da risolvere, soddisfazione per interessi o alleanze da stipulare. l'elemento chiave per interpretare gli esiti diventa allora “l'allineamento temporale”, il fatto cioè che in uno dei bidoni si formi,in un momento preciso, un accoppiamento tra un problema e una soluzione. questo tende ad avvenire in un modo casuale ed è proprio il caso che si candida a ricoprire il ruolo di principale criterio di accadimento delle decisioni e dei loro esiti. Le principali assunzioni di questo modello stanno alla base dello schema concettuale elaborato da John Kingdon per dar conto di come le questioni di policy entrano sull'agenda politica e che va sotto il nome di “ multiple stream approach”. La sostanza è che esistono tre differenti flussi: 1. il flusso dei problemi composto da quelle questioni che qualcuno ritiene debbano essere risolte. 2. il flusso delle politiche pubbliche, una sorta di brodo primordiale nel quale le idee, le soluzioni talvolta tendono ad emergere talvolta spariscono dalla vista. 3. il flusso della politica che determina l'importanza e l'urgenza di una questione sull'agenda politica. di tanto in tanto, i tre flussi confluiscono e si apre la possibilità di trattare quella questione utilizzando quell'idea. Questo modello ha essenzialmente una valenza descrittiva e interpretativa, in grado di spiegare e di giustificare un amplissimo numero di situazioni. Tuttavia, sarebbe sbagliato ritenere che esso non contenga anche alcuni elementi prescrittivi. Ad un primo livello esso giustifica e consiglia, nel caso di situazioni di estrema confusione, l'idea che, piuttosto che intestardirsi a cercare di semplificare il problema per renderlo più trattabile, sia più opportuno effettuare una scelta a caso nella speranza che così facendo si stimoli una reazione a catena che conduca prima o poi ad una configurazione decisionale più maneggevole che al momento non sia in grado di prevedere. Più in generale la rappresentazione dei processi decisionali come bidoni della spazzatura stimola gli studiosi a mettere al centro della loro attenzione i modi attraverso i quali sia possibile costruire e sostenere le identità, le preferenze e le risorse che rendono possibile una comunità politica. Non c'è nulla di casuale che siano stati esattamente gli stessi studiosi che hanno elaborato questo modello ad aver proposto vent'anni dopo la riscoperta delle istituzioni come modo di dare ordine in un mondo riso caotico dall'aumento della complessità. - Un modello realistico del processo: - Il modello razionale sinottico attira l'attenzione di Dente sul fatto che di regola, gli individui cercano di scegliere la soluzione migliore per la realizzazione dei propri interessi. - il modello a razionalità limitata ci ricorda però che le nostre conoscenze sono imperfette che spesso ci accontentiamo della prima soluzione abbastanza buona che incontriamo. - Il modello incrementale pone in luce come la grande maggioranza delle scelte sia il frutto di compromessi tra soggetti con interessi in contrasto. - Il modello garbage can mostra come il passare del tempo non sia irrilevante, dal momento che può rendere possibile o impossibile la connessione tra problema e soluzione. si può immaginare che al crescere della complessità della decisione, intesa come pluralità dei punti di vista presenti tra i partecipanti, la comprensione migliore di quanto è accaduto si ottenga spostandosi progressivamente verso il basso della tabella. ciò significa, ipotizzare che nella maggior parte dei casi nè modello razionale sinottico e nemmeno quello proposto da Simon siano in grado di dar conto di quanto è accaduto davvero. Tuttavia sia l'analista sia il decisore hanno bisogno di un modello a cui fare esplicito riferimento, se non altro perché altrimenti, rischiano di non essere consapevoli delle assunzioni che formulano e quindi di proporre spiegazioni o di disegnare strategie, attribuendo agli stessi elementi importanza differente o tralasciandone del tutto alcuni. per questo motivo Dente fa una scelta netta a favore del modello incrementale, ipotizzando che la grande maggioranza delle decisioni di policy e prese ad attori che hanno interessi tra di loro in contrasto e comunque differenti e che hanno tutti bisogno per realizzare i propri obiettivi per raggiungere un accordo tra di loro. la ragione che porta a preferire questo modello è che esso appare quello più in grado di raffigurare le condizioni che normalmente si verificano nei contesti politici amministrativi. Ciò non significa che le riflessioni di Simon e quelle di March e Olsen non debbano essere tenute in considerazione. è importante anche capire che gli attori non sono solo quelli e tutti quelli che, secondo le regole legali che nei paesi contemporanei definiscono le modalità di assunzione delle decisioni di politica pubblica, dovrebbero intervenire nel processo. - Sotto il primo profilo è esperienza comune che le decisioni pubbliche vedono l'intervento di un'ampia serie di soggetti che in realtà non hanno nessun titolo legale a partecipare anzi in parecchi casi questi interventi sono assolutamente illegali e rappresentano reati sanzionabili dai tribunali. Per esempio la corruzione quindi il tentativo di influenzare le decisioni pubbliche attraverso la promessa di vantaggi. in ogni caso l'intervento di attori non previsti dalle norme può essere del tutto lecito: ex. il comitato che protesta contro la costruzione di un parcheggio o l'esperto che propone una specifica decisione di policy rappresentano entrambi arricchimenti del processo che di frequente sono in grado di migliorare la decisione finale nell'interesse collettivo. - sotto il secondo profilo è importante notare che l'obbligo per un'amministrazione pubblica, previsto per legge, di intervenire in un processo non significa affatto che ciò effettivamente si verifichi e/o che l'intervento sia rilevante nel senso che tale azione contribuisca ad influenzare gli esiti decisionali. La concessione per l'uso di un bene pubblico di regola spetta alla struttura amministrativa alla quale è affidata la gestione del patrimonio pubblico; tuttavia molto spesso questo ufficio non ha nessun particolare interesse a decidere se il bene verrà affidato ad un soggetto piuttosto che a un altro. è possibile allora che il processo decisionale che si apre veda il soggetto formalmente responsabile per la decisione Non svolgere in realtà alcun ruolo limitandosi come un notaio a redigere l'atto finale, mentre il vero processo decisionale si svolge tra gli altri soggetti, e recepisce la decisione presa da altri ad esempio autorevoli esponenti politici. si tratta di una precisazione importante dal momento che uno degli errori più comuni è quello di limitare l'analisi ai soggetti che secondo le norme dovrebbero svolgere un ruolo. alla domanda: come viene deciso l'uso dei suoli, troppo spesso si risponde parafrasando la legge urbanistica. si tratta dell'errore del costituzionalismo metodologico, la credenza cioè che i testi di legge rappresentino la descrizione di come si svolgono i processi di politica pubblica. in realtà le leggi si limitano a prescrivere i comportamenti dei soggetti attribuiscono certi vantaggi a determinati attori ma vi è tutta un'area di azioni nella quale non vogliono e non possono intervenire. da questo punto di vista l'analisi dei processi decisionali si configura come una forma di “costituzionalismo empirico” cioè come una modalità di ricostruzione di come processi indagati si svolgono davvero. La decisione di non intervenire in un processo decisionale spesso rappresenta un'azione rilevante per spiegarne gli esiti e quindi chi l'assume riveste a tutti gli effetti la qualifica di attore. Tuttavia l'inazione può essere anche spiegata da una serie di ragioni che non hanno niente a che fare con la decisione di non agire: la semplice ignoranza del fatto che in corso un processo decisionale, l'assenza di qualunque preferenza a riguardo. in tutti questi casi la figura dello stakeholder, di colui che in teoria potrebbe essere interessato agli esiti e quella dell'attore non coincidono. cio detto, e ricordando che l'azione razionale e quella rivolta ad uno scopo, purposive per usare il termine di Simon, è del tutto evidente che possono essere attori solo singoli individui che agiscono al fine di ottenere un risultato. tuttavia è esperienza comune che buona parte delle azioni individuali nei processi decisionali di politica pubblica sono svolte in nome per conto di altri soggetti. Occorre quindi comprendere quando l'azione può essere riferita ad un'insieme superiore rispetto all'individuo agente e cioè a quello che possiamo chiamare un attore composito. Un'insieme di soggetti può essere considerato un attore collettivo se i meccanismi di interazione tra gli individui che lo costituiscono hanno una stabilità ed una cogenza sufficiente ad assicurare che chiunque parli a suo nome sta effettivamente rappresentando l'interesse e gli obiettivi dell'unità superiore e non esclusivamente i propri. Ciò significa che non è possibile riferire scelte all'interno dei processi di policy a puri e semplici aggregati di individui ciascuno dei quali agisce autonomamente persegue esclusivamente i propri obiettivi individuali. tipicamente possiamo affermare che l'elettorato non è un attore e non lo sono nemmeno i contadini gli artisti e l'opinione pubblica. al contrario possono certamente essere attori di policy le organizzazioni, pubbliche o private, qualora siano rispettate due condizioni base: che vi sia una sufficiente coerenza interna e un controllo collettivo delle risorse utilizzate. in definitiva il problema è empirico: bisogna osservare se nella situazione data tutti coloro che agiscono per conto dell'attore collettivo adottano comportamenti riferibili ad un unico e non contraddittorio insieme di obiettivi. Ex. così se tutti gli assessorati di un comune che intervengono sulla medesima questione si comportano in maniera coerente e sinergica, è del tutto ragionevole assumere che l'attore sia il comune. Ma se al contrario, e se implicitamente o esplicitamente portano avanti posizioni contraddittorie è necessario assumere che gli attori siano i singoli assessorati e non il comune nel suo insieme. Il problema analitico più difficile si pone quando non si può ipotizzare che vi sia un controllo centrale sull'uso delle risorse di azione cioè quando i singoli componenti dell'attore collettivo mantengono la libertà di partecipare o non partecipare allo sforzo collettivo. ciò avviene ad esempio nelle coalizioni o nei movimenti sociali, dove pur essendoci certamente comunanza di intenti non è in discussione il fatto che ogni membro è libero di partecipare o no. - nel caso delle coalizioni pur essendo vero che i vantaggi di lungo termine di partecipare ad esse possono facilitare il raggiungimento degli accordi, e quindi introdurre in maniera indiretta un controllo collettivo sulle risorse, tutto sommato è più prudente nell'analisi delle decisioni trattare come attori singoli membri della coalizione stessa tra l'altro così facendosi si facilita la possibilità di comprendere sotto quali condizioni ognuno di essi potrà essere indotto alla definizione. - nel caso dei movimenti sociali invece, è ragionevole ipotizzare che la leadership del movimento sia o possa essere un attore di policy e che la partecipazione dei singoli individui possa essere considerata una risorsa che la leadership utilizza nell’interazione con gli altri partecipanti. In conclusione, possiamo dire che perché un'attore collettivo possa essere considerato tale è necessario che esso possa avere delle preferenze proprie distinte da quelle degli individui che lo costituiscono e ciò deriva dalle seguenti condizioni: 1. chi si è riconoscibile un self interest a livello dell'unità maggiore e cioè che siano chiare le condizioni per la sua sopravvivenza per la sua autonomia e per il suo sviluppo. 2. che vi siano delle regole che chi agisce per conto dell'attore collettivo è tenuto ad osservare. 3. che vi sia un grado anche minimo di identità collettiva condivisa all'interno e comunicata all'esterno. non è tuttavia possibile escludere a priori che pur in presenza di queste condizioni i rappresentanti dell'attore composito abbiano interessi obiettivi in contrasto con quelli dell'entità organizzativa. 2. GLI OBIETTIVI DEGLI ATTORI Gli attori dei processi decisionali sono razionali nel senso che interpretiamo le loro azioni come volte al raggiungimento di un fine, di uno scopo. era ragionevole assumere che tale scopo sia non solo coerente ma anche in una relazione diretta con i loro interessi. tuttavia dire che gli obiettivi sono definiti dagli interessi che influenzano le preferenze si limita a spostare il problema da dove vengono questi interessi. - Le preferenze di un soggetto che definiranno i suoi obiettivi in un'interazione e quindi anche in un processo decisionale dipendono da come esso percepisce i propri interessi. sono le percezioni dei propri interessi non i veri interessi che determinano le preferenze. - sia a livello macro sia a livello micro è difficile assumere che le preferenze siano esogene rispetto all'interazione sociale. tuttavia la maggior parte dei nostri gusti dipende da un processo di socializzazione cioè dal fatto che in una determinata società ed in un determinato momento le possibilità che ci sono collettivi che dipende da un lato dalla crisi delle ideologie politiche nate nel ventunesimo secolo e dall'altro dalla quasi totale sparizione della legittimazione tradizionale Che aumenta enormemente l'importanza di tutti quei soggetti che sono in grado di modificare il consenso, le risorse politiche di cui gode un attore di policy. Dall'ottica adottata in questo testo, quella dell'innovatore di policy che cerca di trasformare in modo non marginale le modalità di trattamento di un problema collettivo, la disponibilità di risorse politiche è essenziale. in qualche modo possiamo dire che tutti gli altri tipi di risorse sono importanti solo se e nella misura in cui sono in grado di trasformarsi nel percorso dello scambio politico in consenso, nel fatto cioè che gli altri partecipanti concordano sull'opportunità di assumere la decisione. ciò che conta è che alla fine del processo le risorse politiche dell'innovatore superino la soglia minima necessaria ad operare e ad attuare la scelta. Bisogna sempre ricordare che le risorse debbano essere importanti per chi le riceve: se un soggetto è già fortemente dotato di risorse di un certo tipo esso non sarà probabilmente interessato ad incrementarle ulteriormente. 2. Le risorse ECONOMICHE Le risorse economiche e le risorse finanziarie consistono nella capacità di mobilitare il denaro o qualunque ricchezza ai fini di modificare i comportamenti degli altri attori. Anche qui ciò che conta è l'importanza della ricchezza per chi la riceve. Il puro e semplice possesso di denaro non è una condizione sufficiente per predire l'importanza di uno specifico attore in uno specifico processo decisionale: la quasi limitata disponibilità di risorse economiche di un'impresa multinazionale non la rende particolarmente autorevole in un processo di policy che verta su aspetti di valore e-o di identità. Piuttosto è il fatto che un individuo sia divenuto molto ricco attraverso il suo lavoro che potrà aumentare la sua credibilità, le sue risorse politiche, ma può esservi anche una reazione opposta, nel senso che molti sono portati a guardare con sospetto chi si è arricchito troppo o troppo velocemente. Attraverso l'uso del denaro si possono comprare altre risorse utili per rendere migliori e più appetibili proposte di innovazione. il fatto di poter investire molto nell'elaborazione di un progetto può migliorarne la qualità e anche la sua comunicazione esterna tesa modificare gli atteggiamenti della pubblica opinione dipende dal tempo e dal denaro che ad essa si dedica. In questi casi l'efficacia delle risorse economiche è solo indiretta e cioè dipende dall'importanza delle altre risorse che attraverso di esse si possono acquisire. Le risorse economiche sono importanti perché esse possono essere usate direttamente per influenzare i comportamenti dei soggetti il cui accordo è utile per rendere possibile ed efficace la decisione che si vuole assumere. Esse cioè entrano a proprio titolo a far parte dello scambio politico. L'esempio è quello degli incentivi attraverso i quali si possono stimolare e rendere convenienti i comportamenti dei privati essenziali per il conseguimento degli obiettivi. e infine la pratica della corruzione rappresenta un classico caso in cui il denaro è utilizzato per influenzare i comportamenti delle autorità politiche amministrative. È in questo tipo di situazioni che la disponibilità di risorse economiche e finanziarie costituisce una condizione per l'assunzione e l'attuazione di decisioni di policy. ciò spiega perché spesso le riforme si realizzano in periodi storici nei quali il livello della spesa pubblica non rappresenta un vincolo assoluto per i governanti. in questo caso infatti è enormemente più agevole comprare il consenso di potenziali contro- interessati attraverso pagamenti laterali attraverso lunghi periodi transitori o altri simili costosi arrangiamenti. L'effetto di arricchimento almeno potenziale dei destinatari, che li induce a modificare il loro comportamento nella direzione desiderata, può essere ottenuto attraverso l'uso di risorse differenti dall'investimento di denaro. Ad esempio il supporto di soggetti politici autorevoli ad un'iniziativa imprenditoriale che genera pertanto prospettive di espansione del business può indurre un'impresa a fornire all'autorità pubblica il consenso necessario per la realizzazione di una trasformazione di policy: in questo caso sono le risorse politiche dell'autorità pubblica che determinano lo stesso effetto di un trasferimento finanziario. (cfr. i vari esempi pag.66,67). 3. Le risorse LEGALI Consistono nella potestà o posizioni di vantaggio che negli Stati contemporanei le norme giuridiche e in generale i pronunciamenti delle autorità legislative ed amministrative attribuiscono ad alcuni soggetti. Esempi di risorse legali sono: - Il fatto che un certo compito spetti, sulla base di una legge, ad un determinato ufficio( il principio d competenza). - Il fatto che certi comportamenti siano vietati che la violazione di tali regole sia sanzionata. - il fatto che qualsiasi individuo abbia la possibilità di impugnare davanti ad un giudice una decisione dell'autorità pubblica che violi i sui diritti. - Il fatto che le sequenze attraverso le quali si può giungere ad una decisione illegalmente valida siano predeterminate in maniera rigida. Queste situazioni contribuiscono a definire le modalità attraverso le quali vengono fatte le politiche a determinare di conseguenza gli esiti della maggior parte dei processi decisionali. per comprendere l'effettiva portata di questa tematica occorre introdurre una distinzione fondamentale tra diritto e legge. - la legge è un atto normativo e cioè che prescrive certi comportamenti approvato da un'autorità legittima. tali atti definiscono posizioni di vantaggio per qualche soggetto, definiscono quali sono i comportamenti proibiti e quantificano le sanzioni che si applicano e così via. - il diritto e invece non solo l'insieme delle leggi esistenti ma anche un corpus che contiene i principi secondo i quali le leggi vanno interpretate. Il diritto quindi non è di regola una risorsa a disposizione degli attori, esso definisce la cornice entro la quale si svolgono le interazioni, fa parte del contesto decisionale ecco contribuisce ad attribuire significato e valore alle leggi così come sopra definite. Al contrario la legge è a tutti gli effetti una risorsa degli attori che può essere utilizzata selettivamente e il cui uso dipende in ultima analisi dagli interessi e dagli obiettivi che si vogliono perseguire. L'errore del “costituzionalismo metodologico” è proprio quello di immaginare che quanto previsto dalla legge è la descrizione di come effettivamente funzionano i processi decisionali di politica pubblica. In realtà la legge va agita ed è il diritto in uso cioè l'utilizzazione delle risorse legali da parte dei singoli attori quello che davvero conta nei processi decisionali. in conclusione, si può dire che: - un attore può non utilizzare le risorse legali che pure ha a disposizione per il semplice motivo che non gli conviene: l'esempio di un soggetto che non presenta ricorso contro un comportamento illegale dell'amministrazione, che il tribunale con quasi assoluta certezza sanzionerà, sulla base del semplice calcolo che i costi, in termini di denaro e tempo, impliciti nel ricorso supererebbero di gran lunga i benefici di veder riconosciuto il proprio diritto. Ciò significa che spesso i soggetti pubblici e privati adottano comportamenti che violano la lettera della legge semplicemente perché sanno bene che non vi sono contro-interessati che potrebbero eccepire o cui effettivamente conviene utilizzare la legge per modificare o per sanzionare tali comportamenti. - La decisione sull'uso delle risorse legali dipende anche da una considerazione delle altre risorse che partecipanti possono mettere in campo. - La legge non è un set di regole inflessibili che vincolano i comportamenti di tutti i partecipanti. il diretto solitamente riconosce un potere discrezionale le pubbliche amministrazioni che può essere utilizzato per rendere flessibile l'applicazione delle norme, ad esempio estendere la tolleranza di comportamenti non consentiti oltre il termine in cambio della promessa di una migliore attuazione successiva. proporre una classificazione dei tipi di attori è necessario per stimare il livello di complessità del network decisionale. È necessario trovare un criterio il più possibile chiaro sulla base del quale operare questa classificazione. il criterio che appare più appropriato e quello che nasce dalla considerazione che negli Stati contemporanei i processi di politica pubblica sono codificati. ciò significa che è specificato spesso nelle normative, chi vive e chi può intervenire come la decisione va assunta. Lidia è che la soluzione di un problema collettivo non può essere affidata all'iniziativa spontanea del primo che passa per la strada ma deve essere al contrario un processo prevedibile. A tal fine è necessario che ogni intervento sia considerato legittimo e cioè che sia riconosciuta la validità rispetto a valori socialmente condivisi dei motivi che stanno alla base delle singole azioni. È a partire da questa considerazione che possiamo operare la classificazione degli attori. il criterio di base che opportuno adottare è quello relativo alla natura della pretesa di intervenire nel processo: tale pretesa è basata principalmente sul fatto che l'attore in questione è in possesso di risorse delle quali gli altri partecipanti non possono legittimamente fare a meno. una qualche rivendicazione della legittimità del proprio intervento è comunque necessaria e ha l'effetto di vincolare i successivi comportamenti di quell'attore. si afferma che la pretesa di intervento definisce lo stile, la razionalità e la logica di azione di quello specifico attore e quindi di tutti quelli che ricadono nella medesima categoria. La classificazione rappresenta uno strumento prezioso per l'analisi dal momento che essa consente di formulare ipotesi plausibili e le ragioni che spiegano i comportamenti osservati e soprattutto previsioni attendibili sul tipo di azioni che il soggetto stesso compirà nel corso del processo. Su questa base possiamo classificare gli attori in 5 categorie: attori politici, attori burocratici, portatori di interessi speciali, portatori di interessi generali ed esperti. 1. Gli Attori Politici: sono quei soggetti che basano la propria pretesa di intervenire nei processi decisionali sul fatto che essi rappresentano i cittadini, che godono cioè di un consenso significativo. L'ipotesi sottostante è che in un sistema politico democratico non si possa accettare che vengano prese decisioni senza il consenso popolare. Vi è quindi nella pretesa di intervento un legame chiarissimo con il tipo e la quantità di risorse che il soggetto possiede ed è in grado di mobilitare: ciò significa che esso rivendicherà un ruolo tanto maggiore quanto più ampia è la quota di consenso che esso si attribuisce e che gli altri partecipanti li riconoscono. Naturalmente questo legame con le risorse vale anche in senso inverso. La funzione di utilità di un attore politico soprattutto se deve periodicamente sottoporsi al test elettorale è quindi chiara ed è lecito ipotizzare che in ogni singola circostanza tenderà a scegliere l'alternativa che massimizza il consenso. Questa è la ragione principale per la quale della logica di azione di un attore politico fa parte la propensione a ricercare e raggiungere compromessi. infine lo stile decisionale di questa categoria attribuisce un'enorme importanza alla comunicazione ovvero la capacità di far recepire all'esterno l'importanza del ruolo svolto dall'attore stesso nel corso del processo. 2. Gli Attori Burocratici: sono quei soggetti che basano la loro pretesa di intervento sulla considerazione che le regole legali attribuiscono loro una specifica responsabilità nella procedura di assunzione della decisione, nel senso che essi possiedono la competenza formale ad intervenire. L'ipotesi sottostante è che nei sistemi politici-amministrativi ad alto tasso di differenziazione interna, le norme debbano predeterminare nel modo più chiaro possibile a chi spetta prendere la decisione attraverso quali sequenze procedurali essa debba essere assunte ed entro quali limiti il decisore pubblico debba muoversi nella definizione del contenuto. è questa l'essenza della legittimazione legale razionale che secondo Weber, ha sostituito la legittimazione tradizionale e almeno in parte quella carismatica. gli attori burocratici giustificheranno tutte le loro azioni sulla lettura di interpretazione delle norme, all'osservanza delle procedure predeterminate per legge e sul rispetto dei ruoli da queste definiti. il rifiuto di intervenire in un processo sarà in genere motivato dall'esistenza di vincoli non superabili alla loro azione, mentre il contenuto della decisione finale verrà probabilmente presentato come non discrezionale. Queste caratteristiche della razionalità d'azione burocratica, tendono ad entrare in una rotta di collisione con gli orientamenti degli altri partecipanti in particolare degli attori politici. se infatti si sostiene che tutte le scelte sono vincolati sia nella forma sia nel contenuto, diviene molto difficile accettare i compromessi e persino entrare nei processi negoziali che li generano. Questa contraddizione può rappresentare un elemento chiave dei processi di policy se solo si riflette sul fatto che negli Stati democratici rappresentativi è del tutto normale che a posizioni dotate di autorità legale e come tali vincolate dalla norma di legge, vengano nominati soggetti dotati di legittimazione politica. è naturale pensare che l'immagine del burocrate che abbiamo qui presentato sia in realtà legata alla fase dello Stato liberale, nella quale erano prevalenti le politiche regolative ed il rigoroso rispetto delle libertà e dei diritti individuali, mentre negli Stati contemporanei in cui l'enfasi è spostata sui servizi pubblici sulla soddisfazione dei bisogni e delle domande espresse, la figura si sia trasmutata in quella del manager. ciò è in parte certamente vero e tuttavia il fatto che buona parte dei meccanismi di soluzione dei problemi collettivi continui ad essere regolata per legge non è privo di conseguenze e prolunga il ruolo della razionalità burocratica anche ai giorni nostri nel prevedibile futuro. 3. I portatori di interessi sociali: sono quei soggetti che basano la loro pretesa di intervenire sul fatto che la scelta tra le alternative va ad incidere direttamente sui loro interessi, nel senso che essi ne sopportano in tutto o in parte i costi e/o che da essa possono trarre benefici. l'ipotesi su cui si basa la pretesa di intervento di questa categoria di attori è che nella società contemporanea chi occupa posizioni di autorità debba necessariamente, nell'esercizio delle proprie competenze, tenere in considerazione i legittimi interessi dei singoli cittadini e dei gruppi sociali e che pertanto quest'ultimi abbiano il diritto di rappresentare le loro posizioni in ambito pubblico e di difenderle con ogni mezzo lecito. in questo caso non c'è un legame biunivoco tra tipo di attori e tipo di risorse: a differenza di politici legati di necessità al consenso, e dei burocrati legati alla legge, l'interessi speciali possono utilizzare indifferentemente tutti i tipi di risorse che hanno a disposizione. La loro logica di azione consiste nel cercare in ogni modo di massimizzare i benefici e minimizzare i costi e quindi sceglieranno l'alternativa che consente il raggiungimento di questo obiettivo. 4. I portatori di interessi generali: sono quei soggetti non dotati di legittimazione politica o legale che basano la loro pretesa di intervenire nel processo decisionale sul fatto che rappresentano soggetti e interessi che non possono difendersi da soli che non sono strutturalmente in grado di agire in prima persona. Si tratta di alcuni soggetti organizzativi che assumono su di sé la tutela di quegli interessi e pertanto si candidano a rappresentarli tutte le sedi nelle quali si elaborano si implementano le politiche pubbliche. come sono le ONG o le CSO che si occupano di questioni riguardanti la povertà o la tutela della privacy così via. l'ipotesi sottostante è che da un lato, queste tematiche siano tutte accomunate dal fatto che si tratta di materie di scarso interesse per gli attori politici, dal momento che sono problemi risolvibili solo nel lungo periodo che faticano a tradursi in consenso elettorale e dall'altro che le politiche pubbliche correnti risentono eccessivamente degli interessi politici ed economici immediati perdendo così dimensioni di valore molto importanti. la pretesa di intervento riguarda proprio il fatto che al contrario è doveroso che qualcuno si erga a tutore e garante di questi valori. questo richiamo ai valori influenza in modo penetrante lo stile di azione di questa categoria di soggetti, in genere poco portati al compromesso anche perché spesso basano le loro interazioni su una pretesa di superiorità etica. In genere politici, burocrati o qualsiasi altro tipo di attore. quindi l'azione di un soggetto avrà due set distinti di vincoli, uno che gli proviene dalla categoria nella quale ricade e l'altro dal ruolo che esso ricopre, il che da un lato genera comportamenti più o meno appropriati al raggiungimento dei propri obiettivi e dall'altro dovrebbe aiutare a semplificare l'analisi relativamente a quali comportamenti attendersi nel corso dell'interazione. i ruoli riconoscibili sono: il promotore, il regista, l'oppositore, l'alleato, il mediatore, il gatekeeper e il filtro. 1. Il promotore o iniziatore: È quel soggetto che solleva il problema e cioè che afferma la necessità di intervenire per modificare le modalità di trattamento di un problema collettivo e che propone di adottare una specifica soluzione. le due caratteristiche salienti di questo ruolo sono la presenza di obiettivi di contenuto e la determinazione. Riguardo al primo profilo: è quasi inevitabile che le preferenze di chi decide di dare l'avvio ad una trasformazione siano essenzialmente legate al fatto che ritiene importante il problema e utile la soluzione proposta. sotto il secondo profilo, l'ostinazione la perseveranza sembrano essere condizioni necessarie. l'insieme di questi due elementi e cioè la quasi ossessiva concentrazione sul merito della propria proposta è un carattere comune a moltissimi esempi di trasformazione delle politiche pubbliche ed è uno dei maggiori elementi di somiglianza tra l'innovatore di policy e l'imprenditore privato. tuttavia questa attenzione maniacale alla necessità di condurre in porto alla trasformazione può anche essere un fattore che interferisce con il successo dell'iniziativa: proprio perché l'iniziatore ha essenzialmente obiettivi di contenuto, è possibile che esso sia legato alla sua idea iniziale sino al punto di non comprendere che solo attraverso qualche modificazione non marginale essa potrà diventare effettivamente realizzabile. 2. Il regista o fixer o pivot: possiamo definire questo ruolo come quel soggetto che ha la funzione di pilotare il processo a valle della proposta iniziale sino al suo esito. si tratta di una funzione essenziale dal momento che le trasformazioni significative delle politiche pubbliche incontrano sempre delle difficoltà. il ruolo del regista è importante quando non solo la decisione ma anche la sua attuazione dipende dal contributo di diversi soggetti con logiche di azione e interessi differenti. in questo caso la presenza di un attore con la missione di favorire l'interazione e comunque stimolare ciascuno di essi ad assumere le decisioni e di comportamenti necessari al successo dell'operazione è quasi sempre essenziale. La figura del regista e quella del promotore possono coincidere, tuttavia ciò non avviene sempre anche perché la qualità che si richiedono per ricoprire questo ruolo e le caratteristiche adesso legate sono diverse da quelle tipiche del promotore. La dotazione del regista deve necessariamente comprendere anche le risorse strategiche e cioè le conoscenze relative al processo decisionale ed agli attori che operano al suo interno. possibile che gli obiettivi del regista siano solo obiettivi di processo nel senso che non ha preferenze corti relativamente al problema alla soluzione ma in compenso è molto interessato ai propri rapporti con gli altri attori. il regista può cogliere l'importanza di una trasformazione di cui non si è fatto promotore in modo del tutto strumentale come occasione per aumentare il proprio prestigio e la propria visibilità oppure di indebolire i propri avversari politici o burocratici. ciò che in questo caso può avvenire e che al successo decisionale non corrisponda un analogo successo sostanziale, nel senso di contribuire a risolvere efficacemente il problema collettivo. al fine di ottenere l'approvazione della decisione il regista può accettare tali compromessi e mediazioni da svuotare di ogni portata innovativa alla proposta trasformandola in un modesto adattamento rispetto allo status quo. tuttavia, di un regista e di un promotore c'è sempre bisogno per generare una trasformazione significativa e spesso è proprio l'entrata in campo di un fixer che riesce a sbloccare un processo decisionale che sembra finito in un vicolo cieco o che non riesce a decollare. 3. L’oppositore: la difficoltà strutturale di introdurre innovazione di policy spiega perché ha un ruolo che si incontra con grande frequenza e quello dell'oppositore, vale a dire un soggetto che agisce impegna le sue risorse per impedire le trasformazioni. 4. L’alleato: l’attore che avendo obiettivi di contenuto di processo congruenti con quelli del promotore o del regista apporta le sue risorse alla coalizione innovatrice svolgendo alcune azioni anche semplicemente dichiarando il proprio supporto. l'unica differenza consiste nel fatto che, dato un problema e/o una soluzione mentre quasi sempre impossibile scegliere gli oppositori, il regista di un processo è spesso in condizione di selezionare i propri alleati. 5. Il mediatore: si può definire come quel tipo di regista che persegue esclusivamente obiettivi di processo e di in particolare solo interessato a favorire un accordo tra gli attori in presenza. l'efficacia di un mediatore legata all'esistenza di un conflitto tra interessi che sia effettivamente mediabile. questo ruolo è relativamente raro se incontriamo sempre il promotore regista e all'aumento della complessità del problema anche oppositore e alleati, lo stesso non vale per la figura del mediatore. la caratteristica essenziale è quella dell'assoluta assenza di obiettivi di contenuto, di preferenze per una particolare definizione del problema collettivo e per le caratteristiche della soluzione in discussione. il mediatore deve essere completamente imparziale e il suo unico obiettivo deve essere quello di portare a compimento il processo decisionale in modo soddisfacente per i protagonisti principali. 6. Il gatekeeper – usciere: questa figura è sempre tendenzialmente negativa. si indica un soggetto che pur senza avere obiettivi di contenuto, il fatto cioè che la soluzione di policy venga adottata o meno non comporta costi benefici di alcun genere, a causa delle risorse che controlla è in grado di esercitare un potere di veto bloccando l'avanzamento del processo decisionale. è un soggetto che usa le proprie risorse legali per impedire al promotore di acquisire risorse essenziali e lo fa per affermare la propria centralità nell'interazione. Ha esclusivamente obiettivi di processo. la sua presenza è sempre disfunzionale rispetto al successo decisionale e le strategie che il regista dovrà adottare andranno nella direzione di disinnescare i poteri di veto che esso possiede. 7. Il filtro: si tratta di un soggetto che entra nel processo rappresentando obiettivi e interessi altrui ed utilizzando quasi esclusivamente le risorse del rappresentato. si tratta di un non attore in quanto esso non ha reali obiettivi da perseguire e le azioni che esso compie non comportano se non in misura minima l'uso delle proprie risorse. la presenza di un soggetto con queste caratteristiche è quindi del tutto irrilevante nel determinare gli esiti di un processo decisionale a condizione che il regista del processo stesso non commetta l'errore di attribuire ad esso a un'importanza che essa in realtà non ha. 7.GLI ATTORI NELL’INTERAZIONE: LE PROPRIETA DEI NETWORK DECISIONALI: l'attenzione qui si sposta sul set degli attori che intervengono in un processo e la domanda è se vi sono delle caratteristiche di tale insieme che possono contribuire a gettare luce sulle dinamiche di soluzione dei problemi collettivi. è questo il principale oggetto di attenzione della network Analysis che ha generato metodologie per lo studio delle reti decisionali. la più ovvia proprietà di un'insieme e quindi di una rete di attori è la sua ampiezza. tuttavia classificare i network decisionali a partire dalla loro dimensione quantitativa non è utile ai fini dell'analisi per almeno due motivi differenti: 1. va osservato che empiricamente l'ampiezza di una rete decisionale tende a muoversi in un intervallo abbastanza ristretto almeno nei processi che formano oggetto della nostra attenzione. in genere non si trovano network con meno di 4-6 attori o con più di 12- 15 attori. la ragione è sostanzialmente la seguente: la difficoltà di introdurre intenzionalmente trasformazioni delle modalità di trattamento di un problema collettivo dipende dal fatto che le risorse sono disperse tra una pluralità di soggetti con diverse logiche di azioni e obiettivi spesso tra loro in contrasto. se tali soggetti sono pochi le possibilità alternative sono tre: o si dotano di regole decisionali tali da decidere in maniera istituzionalizzata, oppure lo scontro in cui inevitabilmente si trasformano il processo sarà risolto puramente e semplicemente attraverso la l'analisi dei network e in conclusione fornisce una serie di informazioni rilevanti e permette di quantificare i sia pure con la consueta imprecisione proprio delle scienze sociali una serie di dimensioni o proprietà dell'interazione che possono rappresentare elementi significativi nelle ipotesi formulabili per spiegare o predire gli esiti dei processi decisionali. Capitolo 5 Le modalità attraverso le quali gli attori entrano in relazione gli uni con gli altri possono svolgere un ruolo importante. Data la complessità dei processi di decisioni, anche la sequenza nella quale gli attori entrano in relazione possono avere degli effetti nella progressiva strutturazione del problema e nella determinazione degli esiti. Le norme che prescrivono come si devono prendere le decisioni hanno un impatto sugli esiti dei processi. Le regole seguite, che vanno sotto il nome di procedure decisionali, risultano essere estremamente rilevanti. Possono essere trattate come risorse di uno specifico attore, che diventano importanti se e solo se l’attore stesso decide di utilizzarle all’interno del processo. La ricerca della “procedura giusta” per la singola decisione di policy, rischia di occultare le ragioni essenziali per le quali le procedure sono importanti negli stati contemporanei. Il problema in realtà andrebbe posto come la costruzione dello stato di diritto , che consiste nell’adozione generalizzata del modello burocratico, che non era finalizzata tanto a migliorare l’efficienza e l’efficacia dell’azione pubblica, quindi delle decisioni, ma all’esigenza di garantire il cittadino nei confronti di un possibile uso arbitrario del potere politico-amministrativo. Caratteristiche del modello burocratico: Centralizzazione delle decisioni ed i controlli preventivi e successivi rappresentano le modalità di garantire la certezza del diritto (l’uniformità delle interpretazioni della legge); Predeterminazione dell’ufficio cui spetta la decisione e delle sequenze decisionali, la prescrizione di termini massimi e minimi, la previsione di pareri da parte di altri soggetti sono tutti elementi che dovrebbero costringere le autorità ad agire in modo prevedibile; La pubblicità degli atti ed i diritti di accesso alle informazioni che li riguardano servono ad assicurare la piena accountability nei confronti dell’opinione pubblica. Qualsiasi scostamento delle modalità predeterminate per legge rappresenta un possibile motivo di impugnazione da parte del cittadino interessato per ottenere l’annullamento della decisione da parte del giudice e il risarcimento dei danni subiti. Le procedure sono importanti, ossia ci devono essere, e rappresentano uno strumento di garanzia nei confronti delle autorità pubbliche. È estremamente difficile giudicare in astratto la “bontà” di una procedura. In differenti contesti la stessa sequenza può svolgere ruoli differenti, a seconda delle caratteristiche del network, della distribuzione delle risorse tra attori e della posta in gioco. Qualora le procedure formali prevedano catene decisionali particolarmente lunghe e complesse, il rischio di fallimento e di blocco decisionale è sempre dietro l’angolo. Tuttavia, escludere dal processo decisionale gli attori potenzialmente interessati all’esito degli stessi può essere controproducente, dal momento che essi possono reagire a tale esclusione sia in sede formale (attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria) sia informalmente (mobilitando i media, i gruppi politici a loro vicini ecc.), con l’effetto di deragliare il processo stesso. Alcune recenti tendenze mirano a generare procedure legali di tipo inclusivo, miranti a far partecipare al processo di presa delle decisioni, sin dalle prima fasi, tutti i potenziali interessati. Prescrizione di procedure formali consiste nella distribuzione di risorse legali ad attori specifici, pubblici o privati. Ha a che fare con obiettivi di garanzia e non con questioni attinenti all’efficienza decisionale; La sua forma non è quasi mai da sola in grado di spiegare gli esiti del processo decisionale, dal momento che possono esservi altri elementi del processo capaci di influenare maggiormente gli esiti stessi. Fritz Scharpf ha sistematizzato il contributo della teoria dei giochi alla ricerca delle politiche pubbliche, tra cui: DILEMMA DEL PRIGIONIEROMostra con chiarezza come comportamenti individuali perfettamente razionali possano portare a risultati negativi per l’attore che li adotta. Sono due banditi che vengono arrestati, essendo sospettati di una rapina in banca. A ciascuno di loro separatamente viene fatta una proposta, di indicare l’amico come complice, per essere liberato, mentre l’altro verrà condannato a 10 anni. Se confessa anche lui condannati entrambi a 5 e se lui non confessa e l’amico si prende lui 10 anni. Se entrambi non confessano entrambi verranno condannati per un anno. La strategia dominante per entrambi è quella di tradire,nel migliore dei casi si è liberi subito; al contrario, la fedeltà al proprio compagno contiene un rischio molto sociale delle comunità nasce da processi storici molto lunghi, anche un piccolo tradimento può modificare relazioni di collaborazione. Il coordinamento positivo è molto improbabile che possa generarsi all’interno di network vasti e complessi. Ulteriore elemento che bisogna tenere in considerazione quando si parla di modalità di interazione e che i tra attori dello stesso tipo tendono ad essere omogenee. È possibile che in network particolarmente complessi, si creino dei sotto-network (arene decisionali) più omogenei dal punto di vista degli attori coinvolti e all’interno delle quali sono all’opera differenti modi di comunicare e di discutere. CLASSIFICAZIONE: ARENE TECNICHEDove agiscono esperti e professionisti e il discorso è incentrato sugli aspetti sostanziali e tecnici della soluzione; ARENE POLITICHEDove i partecipanti sono attori politici prevalentemente che usano come risorsa il consenso che possono mobilitare; si divide nel supporto ai due gruppi socio-economici contrapposti; ARENE SOCIALIDove l’interazione coinvolge gruppi sociali ed economici e dove svolgono un ruolo cruciale i mass-media e l’opinione pubblica; si contrappongono al suo interno gli interessi dei lavoratori e quelli dei gruppi locali preoccupati delle conseguenze ambientali; ARENE ISTITUZIONALIDove sono soprattutto le burocrazie pubbliche ad interagire tra loro tenendo in considerazione la distribuzione delle competenze legali ad intervenire sul problema. Le diverse amministrazioni, centrali e poi di ferie, vanno alla ricerca di modalità di mediazione del conflitto stesso. Appare evidente come le relazioni tra gli attori ed in particolar modo attraverso il quale essi si rapportano tra loro è importante per determinare gli esiti del processo decisionale. È necessario fornire una classificazione che sia facilmente applicabile alle differenti tipologie di processi decisionali. Richardsonpropone una tripartizione in: CONTRAPPOSIZIONEquando le risorse vengono pesate all’interno di un gioco a somma zero e vince chi dispone di più risorse. CONTRATTAZIONEquando le risorse sono scambiate tra gli attori nell’interesse di tutti i partecipanti. COLLABORAZIONE (PROBLEM SOVING)quando le risorse sono messe in comune per il raggiungimento di un obiettivo condiviso da tutti gli attori. La scelta dello stile dipende dalla percezione della distribuzione delle risorse tra gli attori. Più esse sono viste come concentrate e più sarà probabile il ricorso alla contrapposizione, più esse sembrano essere distribuite, maggiore sarà la propensione alla collaborazione. La contrattazione, infine, dovrebbe prevalere nei casi intermedi. Capitolo 6 Contesto decisionaleinsieme dei fattori e delle condizioni, strutturali o contigenti, che influenzano i processi decisionali e contribuiscono a determinarne gli esiti, ma che non possono essere modificati dagli attori. Ogni contesto decisionale si svolge in uno spazio e tempo precisi. L’analisi dell’ambiente è stata resa abbastanza difficile dal fatto che la letteratura ha dedicato scarso interesse ad approfondire il concetto stesso. Tra i pochi tentativi di analizzare e classificare l’ambiente possiamo citare Janicke, che ha proposto uno schema analitico nel quale quello che chiama il contesto strutturale del policy making, viene distinto in tre differenti categorie: o Contesto cognitivo; o Contesto economico; o Contesto istituzionale; a) Il contesto cognitivo è rappresentato dalle condizioni sotto le quali la conoscenza è prodotta, distribuita, interpretata ed applicata. Esse definiscono la struttura delle opportunità cognitive che caratterizza una determinata società in un determinato momento. Possiamo collocare tali condizioni in una scala che va da quelle più strutturale a quelle più contingenti: la cultura, il patrimonio conoscitivo, le opinioni e la salienza. La cultura possiede un’influenza sulle politiche pubbliche, determinando che cosa si può fare e non. Opinione pubblica: orientamenti condivisi dalla maggioranza dei cittadini su determinate questioni e problemi, che possono riguardare la sfera individuale oppure quella pubblica, avendo in comune il fatto che essi rappresentano vincoli oppure opportunità dal punto di vista delle trasformazioni di policy, misurate attraverso i sondaggi di opinione. Salienza delle questioni: importanza di queste ultime nel dibattito pubblico, che vengono misurate attraverso un’analisi dello spazio che i mass-media dedicano a tale questione. Tra orientamenti della pubblica opinione e salienza vi è una correlazione, ma le due dimensioni non coincidono: una questione molto importante può vedere l'opinione pubblica fortemente divisa e ci può essere una quasi un animi ta di opinioni su problemi che però non riescono a sfondare il muro dell’attenzione perché sono considerate poco rilevanti. b) Il contesto economico e tecnologico può essere definito come l’insieme delle condizioni economiche che caratterizzano una società in un determinato momento. Il contesto decisionale va soprattutto misurato in termini di stabilità o mutamento, utilizzando una scala che va da un giudizio di assoluta immobilità ad un estremo, ad uno di totale imprevedibilità delle trasformazioni molto probabili, passando per uno stadio intermedio di riconoscibilità delle tendenze evolutive. Capitolo 7 Per successo decisionale si intende una trasformazione non incrementale dello status quo, indipendentemente dal successo sostanziale della policy. Ciò deriva dall’ipotesi che qualsiasi proposta di cambiamento non marginale si scontrerà con: La presenza di opposizioni da parte di attori contrari alla soluzione L'indifferenza degli attori, che pur possedendo le risorse necessarie per l’adozione della soluzione, non riescono per limiti cognitivi a comprendere i vantaggi a cui andrebbero incontro con l’adozione dell’innovazione. Dunque, il problema che è alla base dell’analisi decisionale è spiegare come è possibile prendere decisioni ‘importanti’ in un ambiente caratterizzato da elevata complessità. La grande maggioranza delle decisioni complesse vengono prese sulla base dell’impulso di una o di poche persone che sollevano il problema e formulano la proposta iniziale di soluzione. Poi sta all’innovatore cercare di comprendere le opzioni che egli ha per cercare di ‘portare a casa la’ la trasformazione. E' lecito attendersi che una trasformazione importante dello status quo sia associata ad elementi quali: - Grande disponibilità di risorse da parte del promotore; - Il fatto che si tratti qualcosa in grado di portare vantaggi alla maggioranza dei partecipanti; - Obiettivi comuni tra gli attori che portano a collaborazione; - La convinzione che non siano possibili shock esogeni tali da alterare significativamente il contesto; Può accadere che tali condizioni non siano presenti contemporaneamente, e dunque vengano replicate artificialmente dal regista del processo decisionale. Si può dire perciò che la ‘soluzione’ di un problema di policy complesso può essere concettualizzata come un problema di coordinamento, cioè la necessità di generare tutti i comportamenti necessari al fine di conseguire l’obiettivo (in questo caso l’adozione concreta della trasformazione). Tale coordinamento può essere raggiunto attraverso qualche tipo di procedura formale, anche se molto raro, come la regola di maggioranza o la discussione fino al raggiungimento dell’unanimità; anche se la via informale è la più adottata attraverso il meccanismo dell’adattamento e della manipolazione. Definiamo perciò strategia decisionale il tentativo intenzionale dell’innovatore di generare il necessario coordinamento attraverso la modifica degli elementi del processo decisionale che sono nella sua disponibilità. Certamente ciò che incide sull’adozione di scelte non incrementali è il contesto specifico. L'art and craft of policy analysis, Wildavsky, consiste proprio nella capacità di leggere i processi decisionali e di scegliere la strategia capace di portare a compimento la trasformazione desiderata. Ciò significa che se in determinante circostanze non si sa cosa sia necessario fare, in astratto e sulla base del modello presentato è possibile comprendere quali sono gli elementi del processo decisionale che sono manipolabili, cioè passabili di un tentativo intenzionale di trasformazione da parte del promotore o del regista dell’innovazione. Queste sono conoscenze importanti per gli attori, le cosiddette conoscenze strategiche, che si affiancano alle conoscenze sostantive o di base. In sostanza, l’utilità dell’analisi delle politiche pubbliche consiste nell’aumentare le conoscenze strategiche degli attori di policy al fine di costruire strategie decisionali adeguate. COSA SONO LE STRATEGIE La strategia è la trasformazione intenzionale di uno o più elementi del processo decisionale finalizzata a determinare una configurazione favorevole all’assunzione di una scelta non incrementale. E' rilevante sottolineare che in molti casi la linea di azione da adottare sia un mix di strategie, cioè intervenendo contemporaneamente su più elementi, anche se può capitare a volte che l’intervento su un elemento può avere conseguenze su altri livelli. Analizziamo i diversi tipi di strategie: La manipolazione delle risorse: cioè l’alterazione dell’equilibrio tra gli attori del processo; è una strategia logica ed intuitiva ed il suo grande vantaggio sta nel fatto che è perfettamente compatibile con la presenza di giochi a somma zero, in cui l’assunzione della decisione comporta svantaggi concentrati su una o più categorie di attori. Dunque, l’alterazione delle risorse: 1. permette di avere successo nel caso in cui le modalità di interazione sia la confrontation; 2. migliora comunque la posizione negoziale in caso di ricorso alla contrattazione; 3. può certamente essere utile a motivare gli altri partecipanti nel caso sia necessaria la loro collaborazione. In questa strategia viene lasciato intatto il rapporto tra problema e soluzione, viene ridotto al minimo la necessità di modificare le regole di interazione iniziali e anche il network degli attori rilevanti. La strategia si può muovere in 2 direzioni: 1.aumentare le risorse dell’innovatore 2.ridurre le risorse degli oppositori Nel primo caso la ricerca di alleati che abbiamo medesimi obiettivi di trasformazione o che abbiano anche un solo interesse a sconfiggere gli oppositori. Gli alleati, per essere utili, devono possedere risorse rilevanti al fine del compimento del processo decisionale. Le risorse possono essere legali, politiche (autorevolezza, consenso), economiche (copertura di una parte dell’investimento necessario), conoscitive (rafforzamento della qualità scientifica della proposta). Esempio pag.144 -145 ‘Vele di Scampia’: questo caso mostra un elevato grado di successo della strategia di manipolazione delle risorse e si riferisce all’esperienza di un gruppo di quartiere di Napoli che in parte è riuscito a realizzare i propri obiettivi attraverso il coinvolgimento di soggetti di grande autorevolezza. Nel secondo caso, si parla di dividere il nemico, indebolire la credibilità e neutralizzare le sue armi principali. Si tratta di tattiche principalmente usate da chi vuole mantenere lo status quo. Un esempio è rappresentato dall’uso di esperti contrapposti: quando gli oppositori di una trasformazione sono riusciti a diffondere e mobilitare risorse conoscitive valide, le reazioni dei promotori è quella di chiamare nuovi esperti per contestare le diagnosi catastrofiche e rafforzare nella popolazione l’idea che si verificheranno impatti significativi. Tuttavia, la conseguenza più conflitti ambientali, e poco in Europa. Questo perché ci sono differenze di natura istituzionale, negli USA esiste un sistema giudiziario che ha una forte propensione a riconoscere risarcimenti ingenti (attraverso i risarcimenti punitivi per coloro che hanno effettuato il danno) a coloro che riescono a dimostrare di aver subito danni a causa del comportamento di un soggetto privato (impatto industriale) o pubblico (la mancata vigilanza su un’attività inquinante). Ma le parti coinvolte vanno spesso al di là del danno subito dando vita a risarcimenti compensativi. Il successo di tale strumento risiede certamente nell’interesse di ridurre l’incertezza per chi deve pagare il danno. E’ uno strumento particolarmente efficace quando gli attori in gioco sono più di due, e quindi quando qualsiasi accordo parziale risulta essere inaccettabile per alcuni stakeholders. Certamente non è neanche semplice riuscire a superare gli ostacoli che portano all’adozione finale della mediazione come soluzione dei problemi di policy. In un paese come l’Italia ad esempio è complesso per i detentori dei poteri pubblici entrare in un processo che subordina l’esercizio dell’autorità per lasciare spazio al raggiungimento di un accordo. Ciò non significa che nel nostro paese non esistano casi di mediazione di fatto, ma non viene riconosciuta come attività professionalizzata. Nonostante ciò il vantaggio di questa strategia è che mette in campo interessi contrapposti e una pluralità di obiettivi tra loro in contrasto. Ovviamente questo può non piacere a chi attribuisce molta importanza agli elementi valoriali nella risoluzione di conflitti, ma consente però, di trovare in alcuni casi una soluzione che FUNZIONI. Il dibattito pubblico è un tipo di strategia ancora più soft, poiché non ha come obiettivo il raggiungimento di una soluzione, ma semplicemente fare in modo che prima della decisione finale ci sia una fase precedente caratterizzata dalla partecipazione di tutti gli interessati alla questione. Si tratta di un modello pragmatico nato in Francia e oggi diffuso anche in alcune regioni d’Italia, che prevede per i promotori di grandi opere di sottoporre i loro progetti al dibattito pubblico. In genere nei dibattiti si nomina una persona esterna come garante del processo e si preparano una serie di materiali necessari alla campagna informativa che avviene per aumentare l’interesse dei partecipanti, dopodiché si procede con il dibattito vero e proprio dove ognuno può esprime liberamente il proprio pensiero. I vantaggi del dibattito sono: 1)fa emergere le obiezioni e quindi consente di prepararsi per tempo per contrastarle; 2)genere apprendimento reciproco utile a tutti i partecipanti, ‘conoscenza dei luoghi’ che il progettista non può avere; 3)gli attori escono dall’esperienza diversi da come sono entrati; 4)rassicura le autorità dall’accusa ricorrente di non prestare ascolto ai cittadini, aumentando la trasparenza del processo. Esempio pag.158 ‘il resort di Castelfalfi’. E’ giunto il momento di capire quando è opportuno o utile, per introdurre innovazioni di policy, adottare questo tipo di azioni. Nel caso della modalità della contrapposizione, essa può produrre effetti positivi soprattutto accelerando l’assunzione della decisione formale, a condizione che: -la coalizione innovatrice disponga di risorse che superano nettamente quelle degli oppositori (es. Avere successo in un referendum) -sia legittimo attendersi che nella fase di implementazione non sorgeranno problemi rilevanti. Ad esempio, in tutti i casi in cui la politica sia meramente simbolica (e quindi non si pone nemmeno il problema dell’implementazione), oppure in molte politiche regolative in cui l’enforcement è automaticamente affidato alla vigilanza (es. Divieto di fumo nei locali), e infine quando l’amministrazione non ha bisogno di altri input per attuare la decisone (es. Concessione di un finanziamento) Questo modello ha spesso portato a successi anche se viene riconosciuta una superiorità incondizionata alle strategie inclusive come portatrici di soluzioni quasi volendo escludere la pratica della lotta politica come possibili modalità di risoluzione dei problemi. Nel caso delle strategie inclusive, come abbiamo detto esse vengono troppo spesso presentate come pratiche in grado di garantire la soluzione del problema di policy, affermandone la superiorità democratica. Anche se si tratta di strategie che portano al superamento di ostacoli presenti per l’assunzione della decisione, esse non portano necessariamente ne a decisioni più democratiche di altre ne tecnicamente migliori. Detto ciò, le circostanze nelle quali le strategie inclusive risultano utili e necessarie sono caratterizzate da: -assenza delle condizioni che risultano essere necessarie per il successo delle strategie esclusive -dal fatto che il promotore dell’innovazione non dispone di tutte le informazioni rilevanti -necessità di rimontare situazioni di sfiducia alimentate dalla memoria di episodi passati -capacità di coinvolgere tutti gli attori rilevanti per evitare ostacoli e opposizioni nella fase di chiusura del processo -possibilità di modificare la proposta iniziale La manipolazione della posta: questo tipo di strategie inclusive è probabilmente il più efficace e frequente modo di generare innovazioni di policy. Il promotore tenta di modificare il contenuto della decisione in modo da sviluppare l’interesse e superare le opposizioni degli attori. In termini analitici la manipolazione della posta significa alterare la distribuzione dei costi e dei benefici della decisione tra i partecipanti, cercando di trasformare il processo in un gioco a somma positiva. Ciò può avvenire operando in 2 direzioni: a. Allargando il contenuto della decisione in modo da prendere in carico gli obiettivi degli altri attori b. Andando nella direzione opposta e cioè scomponendo l’innovazione in una serie di decisioni più limitate, meno impegnative e per ciò stesso più accettabili. Partiamo da questa seconda strategia che definiamo segmentazione della posta, è stato dimostrato che sia in pratica che in teoria è possibile che strategie gradualiste, attraverso una serie di dimensioni incrementali, sono in grado di generare trasformazioni radicali. Sicuramente l’efficacia di tale approccio è condizionata dalla stabilità del contesto decisionale, dalla possibilità di dilazionare la soluzione nel tempo e soprattutto, dalla capacità di assicurare continuità dell’impulso e della regia strategica. (esempio p.163 ‘i fanghi di porto Marghera’). Si tratta certamente di una strategia che non sempre può essere utilizzata poiché non tutte le trasformazioni presentano la caratteristica della divisibilità nel tempo e nello spazio. Tornando alla prima strategia, invece, che definiamo dell’ampliamento della posta, va ovviamente in senso contrario e precisamente verso un arricchimento dei contenuti della decisione, perseguendo sia gli obiettivi del promotore che quelli degli attori. A questa categoria appartiene, ad esempio, la pratica dei package deals e cioè inserire in un testo normativo un insieme di decisioni in modo da facilitarne l’iter parlamentare. E' un fenomeno del processo legislativo negli stati uniti e conosciuto anche in Italia come ‘finanziarie omnibus’. E' uno strumento che a volte viene utilizzato da alcuni parlamentari per inserire disposizioni che stanno particolarmente a cuore alle loro ‘clientele’. Ma nonostante questi avvenimenti, la congiunzione di problemi differenti in un’unica soluzione può essere una modalità molto positiva di introdurre innovazioni importanti (strategie win-win). (esempio p.166 Teatro del Verne) Forse l’esempio che risulta essere più chiaro di trattamento congiunto di problemi come strategia decisionale riguarda la competizione tra le città per l’attribuzione dei cosiddetti ‘mega eventi’ (olimpiadi, expo ecc.). a prescindere dai beneficiari diretti e indiretti ditali eventi, ciò che le città si attendono dal fatto di essere ospiti di eventi di questa portata è una sostanziosa immissione di risorse finanziarie da parte dei rispettivi governi per migliorare le infrastrutture. (esempi p.169-171). La manipolazione del network: cioè della quantità e caratteristiche degli attori coinvolti e delle loro reciproche interazioni; bisogna segnalare che la trasformazione