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Difficoltà di apprendimento a scuola - Cornoldi , Prove d'esame di Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione

riassunto capitolo per capitolo del libro di Cornoldi

Tipologia: Prove d'esame

2016/2017
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Caricato il 10/02/2017

francescoand396
francescoand396 🇮🇹

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Scarica Difficoltà di apprendimento a scuola - Cornoldi e più Prove d'esame in PDF di Psicologia Dello Sviluppo E Dell'educazione solo su Docsity! Psicologia delle disabilità nello sviluppo – Cornoldi 1) L’Handicap mentale L’elemento che caratterizza principalmente questa condizione è costituito da un basso livello cognitivo esteso a una vastissima gamma di funzioni cognitive. Viene valutato in base a una stima complessiva delle potenzialità intellettive del soggetto accumunate attorno al termine discusso di intelligenza. Di solito si utilizza un criterio rappresentato da un punteggio molto al di sotto della media al test di intelligenza (due deviazioni standard, Q.I sotto i 70) che interesserebbe il 2 % della popolazione, criterio che viene talvolta spostato più in alto e più in basso grazie alla riluttanza di dare e ricevere una diagnosi di ritardo mentale. Si parla di: - ritardi mentali lievi: QI tra 69 e 55; - ritardi mentali medi: QI tra 55 e 40; - ritardi mentali gravi: QI tra 39 e 25; - ritardi mentali profondi o gravissimi: QI spesso non testabile. Un secondo criterio che ci consente di parlare di handicap mentale è rappresentato dalla difficoltà a vivere in maniera autonoma nel proprio ambiente. Il ritardo mentale è associato a un quasi sicuro disagio nell’apprendimento scolastico. Come definizione di handicap mentale prendiamo quella dell’AAMR: - American Association for Mental retardation (Aamr). Il ritardo mentale si riferisce a limitazioni sostanziali nel funzionamento di un individuo. È caratterizzato da un funzionamento intellettivo significativamente al di sotto della media, cui sono associate limitazioni in due o più fra le seguenti aree d’abilità adattiva. 2) I disturbi specifici di apprendimento 2.1) Il caso di Roberto: disturbo specifico o generale? Ragazzino, quinta elementare, famiglia socioculturale media, ha sempre incontrato grosse difficoltà in ogni area scolastica. Quando interrogato riesce solo a fornire risposte vaghe e poco coordinate e gli viene affiancato un insegnante di sostegno; ciò ha costituito un implicito riconoscimento della condizione di handicap del bambino. Roberto è un bambino simpatico, sorridente, vigile, che però perde il filo dei ragionamenti e incontra difficoltà a organizzarsi; ciò non corrisponde a quella offerta da bambini con disturbo con ritardo mentale mentre offre un indicatore associato al disturbo d’attenzione. Si procede con un esame clinico che non evidenzia alcun indicatore neurologico particolare e che mette in luce un livello intellettivo generale normale. 2.2) I disturbi specifici dell’apprendimento: definizione e caratteristiche generali Nella categoria di disturbi di apprendimento rientrano tipologie estremamente diverse di difficoltà, associate più da quello che non hanno che da quello che hanno in comune. Non possono essere definiti come disturbi specifici di apprendimento i casi in cui la difficoltà è dovuta essenzialmente a uno svantaggio socioculturale, cosa che non impedisce che lo svantaggio socioculturale finisca con l’aggravare il quadro di un disturbo. Una definizione sui disturbi specifici di apprendimento che ha trovato consenso è quella data da NJCLD: “disturbi specifici di apprendimento costituiscono un termine di carattere generale che si riferisce a un gruppo eterogeneo di disordini che si manifestano con significative difficoltà nell’acquisizione e uso di abilità di comprensione del linguaggio orale, espressione linguistica, lettura, scrittura, ragionamento o matematica. Questi disordini sono intrinseci all’individuo, presumibilmente legati a disfunzioni del sistema nervoso centrale e possono essere presenti lungo l’intero arco di vita. Problemi relativi all’autoregolazione del comportamento, alla percezione e interazione sociale possono essere associati al disturbo di apprendimento, ma non costituiscono, per sé stessi, dei disturbi specifici di apprendimento.” La definizione mette l’accento su tre caratteristiche associate alle difficoltà scolastiche: l’interazione sociale; la percezione sociale; l’autoregolazione. 2.3) La valutazione iniziale e i criteri di identificazione La diagnosi va assegnata quando vi è una difficoltà grave in importanti aree di apprendimento e non sono presenti i fattori di esclusione. Per questa ragione si accorda la preferenza all’uso di test standardizzati di apprendimento tali per cui la prestazione del bambino che presenta problemi può essere messa a confronto con quella di un campione di riferimento, cioè con quella di altri bambini della sua età. Il sistema richiede che vengano predefinite le variabili di apprendimento più importanti, le procedure idonee a valutarle e le prestazioni che fungono da criterio per stabilire se siamo in presenza di disturbo specifico di apprendimento. 2.4) Chi se ne occupa Solo casi di handicap e disturbi gravi di personalità possono godere di un aiuto diretto all’interno della scuola. La legge prevede che ad essi venga affiancato un insegnante di sostegno con il compito di favorire l’integrazione dell’alunno, promuovendo percorsi di apprendimento individualizzati e attività di mediazione fra le abilità dell’alunno e quelle dei compagni. Negli altri casi di difficoltà di apprendimento l’aiuto istituzionale offerto al bambino può essere modesto; anche se le possibilità di intervento e di miglioramento sono maggiori. Attualmente tre figure professionali possono offrire un aiuto alle famiglie e alle scuole: - pedagogista: dovrebbe provvedere a creare le premesse per la collaborazione con la scuola e con l’insegnante e a sintonizzare il percorso riabilitativo proposto per il bambino con quello didattico che sta seguendo la scuola; - lo psicologo: dovrebbe esaminale il profilo psicologico del bambino; - il neuropsichiatra infantile: dovrebbe curare soprattutto il versante neurologico. Esistono corsi specifici di perfezionamento e specializzazione che preparano i professionisti che vogliono lavorare con bambini con difficoltà di apprendimento ed è stata creata una Associazione che riunisce operatori esperti in questo settore (AIRIPA). 2.5) Le procedure diagnostiche I servizi prevedono una serie di esami di base di routine e quindi, di volta in volta, individuano le procedure più idonee per un approfondimento. Le principali fonti di informazione diagnostica utilizzate sono: - colloquio con genitori; - rapporto con la scuola e raccolta di materiale relativo all’apprendimento del bambino; - prove standardizzate di apprendimento; - prove di approfondimento degli apprendimenti; - colloquio con il bambino; - scale di osservazione; - questionari e test; - test di intelligenza; - test cognitivi; - esame neurologico. Per molti bambini sono già disponibili informazioni raccolte in precedenti esami svolti presso i servizi specialistici. 2.6) Procedure Prove standardizzate di apprendimento. Consentono di valutare, secondo una procedura standard ben consolidata, fino a che il bambino ha raggiunto gli apprendimenti che gli sono stati proposti. Le prove standardizzate in Italia non sono numerose perché richiedono un costoso lavoro di preparazione che si svolge in più seguenti fasi. voce in modo da fornire all’esaminatore indici di accuratezza e rapidità, l’altro da leggere nel modo e ritmo preferito per poi rispondere a domande di comprensione. Bisogna inoltre preoccuparsi che i brani non siano conosciuti e corrispondano, per contenuti, organizzazione linguistica e per le stesse caratteristiche tipografiche ai brani che a quell’ età il bambino è chiamato ad affrontare. Per ottenere un indice del tempo di lettura si calcola di solito il tempo medio di lettura per sillaba del testo, dividendo il tempo complessivo per il numero di sillabe letto. 3.4) La dislessia: caratteristiche generali e sottotipi Il bambino con disturbo di decodifica presenta molto frequentemente anche un problema linguistico, difficoltà di scrittura, e con discreta probabilità, anche qualche problema di comprensione del testo scritto, talvolta anche forme di discalculia. La dislessia è pertanto sia un disturbo altamente specifico, sia un disturbo legato ad altri come la capacità fonologica e la capacità di comprensione. Nel caso di Cristina il fattore biologico potrebbe aver contribuito in grande proporzione; ci sono invece altri casi, con il medesimo livello di abilità di lettura di Cristina, in cui il fattore biologico aveva minore peso ed invece hanno avuto un ruolo rilevante altri fattori. Per il riferimento ad una particolare tipologia, va precisato il tipo di classificazione scelto. Baker distingue dislessie di tipo I, legate all’uso del linguaggio dell’emisfero sinistro; e dislessie di tipo P legate alla elaborazione dell’informazione visiva e all’attività dell’emisfero cerebrale destro; per il modello standard della neuropsicologica cognitivista, il disturbo viene identificato in base al processo che non funziona bene nel soggetto e quindi alla serie di operazioni che non può essere svolta in maniera adeguata. Una distinzione fondamentale proposta riguarda la dislessia fonologica relativa al bambino che fatica ad usare la via fonologica che associa ogni grafema al fonema corrispondente e la dislessia detta superficiale associata a un cattivo funzionamento della via diretta per cui il bambino dovrebbe risalire immediatamente dalla parola scritta al suo suono. Dal punto di vista dello sviluppo del processo di apprendimento della lettura, possiamo pensare che l’uso della via fonologica preceda l’uso della via diretta, perché, per imparare a riconoscere le parole in modo immediato e automatico, occorre che uno le abbia lette più volte usando la via fonologica. 3.5) I disturbi della scrittura Cristina presenta qualche problema di competenza ortografica: commetteva errori quando scriveva, un tratto comune a molti bambini dislessici o disortografici. Molti errori di scrittura sembrano riflettere un’incapacità dell’individuo di analizzare bene i suoni della lingua e di scomporla nei fonemi costitutivi. Le difficoltà del bambino non riguarda l’analisi fonologica, ma la conoscenza precedentemente acquisita di come la parola si scrive o il ragionamento analogico adottato in base ad altre parole note: per questo motivo tali errori vengono chiamati non-fonologici. La capacità di scrivere correttamente è distinta dalla capacità di esprimersi per iscritto: un esame completo delle abilità di scrittura dovrebbe comprendere valutazioni distinte per grafismo, ortografia, velocità di scrittura, espressione scritta. La competenza ortografica è ovviamente valutabile all’interno di qualsiasi prodotto di scrittura, ma appare più opportuno valutarla per sé stessa e non quando il bambino è impegnato nel produrre un elaborato originale o nello scrivere più velocemente possibile. Quando viene proposto il dettato di un brano- standard vi sono vari problemi da affrontare perché la maniera in cui si detta incide fortemente sulla qualità della prestazione, ragione per cui è meglio usare dettati registrati. 3.6) Come si può intervenire sul bambino dislessico? Il lavoro sul bambino dislessico può essere avviato ancor prima che l’apprendimento di lettura e scrittura sia iniziato: se si identifica il profilo cognitivo del bambino a rischio, è anche possibile diversificare le attività propedeutiche proposte durante la scuola materna, in caso contrario il lavoro educativo sulle abilità fonologiche sembra essere quello che ha maggiori probabilità di incidere positivamente sul successivo apprendimento della lettura. Un’altra variabile per preparare il bambino di 4-6 anni ad apprendere a leggere è relativa alla motivazione alla lettura. Esiste un notevole rapporto tra abilità di lettura, desiderio manifestato dal bambino, all’inizio della scuola, di imparare a leggere e la sua effettiva esposizione al testo scritto e l’esposizione al testo scritto ha grande influenza sullo sviluppo delle capacità linguistiche, concettuali e di lettura. La lettura, inoltre, favorisce lo sviluppo linguistico e attraverso l’esercizio il bambino dislessico può migliorare la sua abilità. Infine, Nel lavoro riabilitativo coi bambini che presentano svariate difficoltà di lettura, l’uso del computer si sta rivelando di notevole utilità. Il computer offre vari vantaggi fra cui un controllo costante di quello che fa il bambino, la possibilità di impegnarlo anche in esercizi ad alta rapidità che consentano l’automatizzazione dei processi, nonché la riduzione dell’impegno richiesto al riabilitatore. Un altro problema di Cristina riguarda l’identificazione immediata delle parole: per alcuni esperti questa difficoltà va superata usando la procedura appena indicata e proponendo più volte la stessa parola in modo da favorirne la memorizzazione globale. Chi fa riferimento al concetto di dislessia superficiale insiste sulla proposta delle parole che pur scrivendosi diversamente si pronunciano in modo uguale di modo che il dislessico si abitui alla forma scritta delle parole prescindendo dal fatto che la loro pronuncia è identica. Alcuni studiosi hanno messo in luce l’utilità dei giochi enigmistici che esercitano il bambino sulla composizione delle parole. Altri invece hanno portato l’attenzione sugli esercizi visivi, con particolare riferimento alle operazioni di ricerca veloce di parole all’interno di configurazioni complesse. Altri ancora hanno insistito su situazioni accessibili e accattivanti che, senza che il ragazzo sia impegnato nei normali e più impegnativi compiti di lettura, lo esercitano comunque al leggere. 4) Le difficoltà in matematica Le due forme fondamentali di disturbo specifico di apprendimento riguardano la lettura e l’aritmetica. Linda Siegel ha avanzato l’idea che le difficoltà aritmetiche sarebbero molto più frequenti delle difficoltà di lettura: le difficoltà aritmetiche possono manifestarsi con errori, o con la lentezza tanto nel calcolo vero e proprio, quanto nelle attività cognitiva che richiede anche operazioni di calcolo. La proposta di test o di situazioni impegnative in classe evidenzia chiaramente come molti bambini abbiano grossi problemi nell’usare i numeri o le procedure ad essi associate. Secondo molti esperti, le difficoltà specifiche gravi relative al calcolo, le cosiddette discalculie specifiche evolutive, sono scarsamente frequenti mentre problemi di calcolo, o più in generale di matematica compaiono con maggiore frequenza associati ad una svariata gamma di difficoltà di apprendimento. 4.1) La valutazione delle abilità aritmetiche e matematiche L’apprendimento della matematica implica moltissimi aspetti per cui la valutazione difficilmente è esaustiva e noi consideriamo tre tipi di valutazione: - valutazione generale attraverso scale standardizzate che danno una stima del livello di apprendimento in aritmetica, soluzione di problemi, geometria, logica, informatica; - approfondimento degli apprendimenti matematici hanno messo a punto delle prove, parzialmente standardizzate, che permettono di approfondire l’apprendimento del calcolo e delle soluzioni dei problemi; - analisi qualitativa e personalizzata della prestazione del bambino. Anche la tipologia degli errori commessi in matematica è varia, ne citiamo quattro fondamentali: - uso incompleto delle procedure; - errori nel posizionamento delle cifre e in procedure di riporto; - errori nell’uso delle procedure per le varie operazioni; - cattiva comprensione dello zero. Vi sono bambini che hanno difficoltà altamente selettive, per esempio solo con una operazione o con una sua specificazione o che in relazione ad una determinata operazione tendono a commettere un tipo di errore. Se il tipo di difficoltà del bambino è relativo solo a un singolo particolarissimo aspetto, è relativamente facile aiutarlo, in caso contrario bisogna predisporre un piano più generale che interessi tutte le difficoltà ed eventualmente i fattori più a monte che sono comuni ad esse. 4.2) Le discalculie gravi Si possono trovare casi di disturbi molto seri e selettivi nell’uso dei numeri e nel calcolo. Il disturbo del calcolo può essere associato con altri disturbi specifici di apprendimento, in primo luogo la dislessia e in secondo luogo con le difficoltà spaziali che incontra il bambino con disturbo non- verbale dell’apprendimento. 4.3) Disturbi nella soluzione di problemi I bambini con difficoltà nella soluzione di problemi si bloccano anche con esercizi facili che la scuola propone in continuazione e che dovrebbero avere imparato ad affrontare senza intoppi. Per quanto il resto dei problemi sia breve, esso nasconde elementi di difficoltà legati alla stringatezza e alla formulazione sintattica. In effetti sembra che molti bambini falliscano nella soluzione di problemi perché non li hanno capiti completamente. Attualmente si tende ad assegnare sempre più importanza anche agli aspetti di controllo o metacognitivi. Gli aspetti metacognitivi si riferiscono alla capacità dell’allievo di tenere sotto controllo la propria attività cognitiva. Il bambino che ha già un’idea delle difficoltà, generali o personali, può subito intuire che le insidie che deve superare sono, per esempio, costituite dalla numerosità delle operazioni o dall’equivalenza da risolvere. Una buona pianificazione del processo di soluzione e un buon controllo dei vari passaggi (monitoraggio del processo di soluzione) sono necessari per arrivare alla soluzione esatta. La procedura di approfondimento delle difficoltà di soluzione di problemi elaborata da Lucangeli, Tressoldi e Cedron si concentra sugli aspetti cognitivi: - riesce il bambino a capire il problema? - riesca a prevederne gli elementi di difficoltà? - riesce a tenere sotto controllo le operazioni che compie? - riesce a valutare alla fine se ha eseguito correttamente un compito? Una difficoltà in uno di questi aspetti costituirà un ostacolo alla soluzione del problema; un modo efficace di intervenire sulle difficoltà metacognitive è quello di cercare un’impostazione adeguata. È stato osservato che in bambini con basse potenzialità intellettive, una fonte di difficoltà è costituita dalla rigidità cognitiva cioè dalla propensione a continuare a usare determinate procedure (che funzionano in alcuni contesti) anche quando non servono più. 4.4) Disturbi della memoria e dell’apprendimento Se il bambino ha difficoltà di memoria, necessariamente incontrerà problemi nel ricordare e nell’apprendere: si è spesso portati a credere che un disturbo di memoria consista nella mancanza di un’abilità a conservare le informazioni. Invece capita spesso che bambini con disturbo specifico di apprendimento dimostrino capacità notevoli di memoria, che purtroppo però non vengono applicate agli apprendimenti rilevanti. La memoria viene di solito distinta in sistema di memoria temporaneo (a breve termine, memoria di lavoro) e un sistema di memoria a lungo termine che conserva a lungo le informazioni. i bambini con disturbo specifico di apprendimento possono avere problemi in entrambi i sistemi, ma i loro problemi generalmente interagiscono col tipo di difficoltà di elaborazione dell’informazione che hanno. Ci sono comunque difficoltà di memoria che non sono strettamente legate alla capacità di elaborare un determinato tipo di informazioni. Ad esempio: “Ascolta la seguente lista di parole e non appena finito ho finito, ripetila nello stesso ordine: luna, treno, fiore, crisi, soldi”. La ripetizione corretta di una sequenza del genere che dovrebbe riuscire a un bambino di 9-10 anni di affrontare in maniera attiva e strategica un testo; - è più direttamente associato al disturbo di comprensione della lettura, secondo il logico principio che non si può assimilare un testo che non si è capito. Le cosiddette conoscenze del dominio ovvero il fatto che conoscenze preesistenti dell’alunno relativamente a un determinato argomento possono avere un peso notevole nel successo dello studio di un argomento che vi è associato. 5.4) Metacognizione e disturbo specifico di apprendimento I disturbi di apprendimento possono essere divisi in due grandi famiglie: - disturbi negli automatismi; - disturbi nelle abilità controllate. Dislessia e discalculia sono esempi di disturbi degli automatismi: si ha a che fare con abilità altamente specializzate che un individuo dovrebbe possedere in maniera altamente automatizzata. Disturbi della comprensione del testo, di studio, di soluzione di problemi riguardano processi complessi che almeno in parte sono sotto il controllo volontario del soggetto. È importante che questo controllo funzioni bene e sia guidato da processi consapevoli e adeguati, per spiegare questi concetti è stato introdotto il termine di metacognizione: ovvero, l’insieme dei processi mentali che riflettono sull’attività mentale e la controllano mettendo in luce i due aspetti principali, cioè la riflessione e il controllo. La riflessione riguarda le idee che il bambino sviluppa sulla mente, su sé stesso come soggetto che apprende sugli specifici apprendimenti. L’insieme di idee che l’individuo possiede sul funzionamento mentale influisce, in generale, sul modo con cui egli affronta l’apprendimento, specificatamente, sulle strategie che mette in atto. I processi di controllo riguardano invece tutte le attività più o meno sotto il controllo volontario dell’individuo, che presiedono allo svolgimento dell’attività cognitiva, processi che possono essere di carattere generale o specificatamente legati all’uso di particolari strategie. I processi di controllo sono in realtà messi in atto molto spesso in maniera semiautomatica. 5.5) Interventi riabilitativi L’intervento su abilità controllate è spesso più efficace di quello sulle abilità strumentali, per il fatto che non deve necessariamente incidere su uno specifico automatismo carente, ma può affrontare il problema da vari punti di vista. Per quanto riguarda l’abilità di comprensione, si è visto che programmi ben guidati possono ottenere cospicui miglioramenti. Una prova evidente di ciò è stata offerta da una sperimentazione guidata da Don Fontana e Garzari che ha interessato ragazzi svantaggiati e sotto-stimolati che avevano finito la scuola media e incontravano serie difficoltà nell’affrontare il testo scritto. È stata usata una metodologia ideata dal gruppo MT dell’università di Padova che prevede il lavoro sistematico e indipendente su dieci differenti componenti del processo di comprensione. 6) I disturbi non-verbali dell’apprendimento 6.1) Il caso di Denis Bambino di nove anni che fin da piccolo ha manifestato un ritardo nello sviluppo motorio. Sul piano scolastico è apparso un po' lento e indolente: era lento nella scrittura e negli apprendimenti aritmetici. Verso la fine della terza elementare ci si è accorti della difficoltà che il bambino aveva nello stare al passo con i compagni per questo gli venne affiancato un maestro di sostegno e fu sottoposto a dei test che hanno confermato difficoltà di apprendimento e sviluppo intellettivo anomali; in particolare gli venne diagnosticato un disturbo specifico di apprendimento di tipo non verbale. Byron Rouke ha studiato a lungo profili simili, ha formulato a questo proposito la denominazione di sindrome non verbale e ha ulteriormente accentuato l’attenzione sui problemi emotivi e sociali di questi bambini, che manifestano delle difficoltà cospicue di percezione sociale che possono rendere inadeguate le interazioni sociali. Elementi caratterizzanti la sindrome non verbale: - problemi tattili e percettivi al lato sx; - problemi di coordinazione; - deficit visuospaziali; - problemi in compiti cognitivi e non verbali; - buona memoria verbale meccanica; - difficoltà in aritmetica e discreto successo in lettura e scrittura; - difficoltà di adattamento a nuove situazioni; - verbosità; - discrepanza tra QI verbale e QI di performance. Fino ad una ventina di anni fa questi tipi di disturbo erano stati studiati con notevole attenzione per la loro frequente comparsa in associazione con danni neurologici minori e in difficoltà generalizzate dell’apprendimento. Il test, a lungo criticato per i suoi risultati scadenti, per misurare la percezione e memoria visuospaziale si basava sul copiare figure geometriche. 6.2) Memoria di lavoro visuospaziale e immagini mentali La ricerca recente è caratterizzata da uno sforzo di individuazione delle componenti nel sistema cognitivo che sono effettivamente carenti nel disturbo non-verbale ed entrano in gioco nelle attività che il bambino non riesce a svolgere. Attenzione è stata portata alla memoria di lavoro visuospaziale e alle immagini mentali. La memoria di lavoro è quel sistema di memoria temporaneo che ci sorregge in tutte le attività che svolgiamo, consentendoci di tenere a mente e manipolare le informazioni di cui abbiamo bisogno. All’interno della memoria di lavoro sono importanti le componenti che interessano l’elaborazione dell’informazione visuospaziale. La difficoltà di analisi dell’informazione visuospaziale è associata alla incapacità di tenere momentaneamente presente, nel sistema di memoria di lavoro visuospaziale, questo tipo di informazione: il bambino con disturbo non-verbale di apprendimento mostra spesso problemi di percezione visiva. 6.3) Le disprassie Per descrivere i comportamenti motori più complessi, che richiedono un processo di apprendimento, si usa il termine PRASSIA con riferimento al fatto che il problema non risiede nel movimento. Da un lato il movimento richiede l’uso di rappresentazioni visuospaziali, dall’altro una buona dose di conoscenza dello spazio richiede che ci si sappia muovere adeguatamente in esso. Vi sono tuttavia molti bambini con disturbi di sviluppo della coordinazione che non presentano quasi nessuno dei sintomi del disturbo non verbale. 6.4) Disturbo non-verbale e aree di apprendimento Il progetto sul disturbo non-verbale si è concentrato su alcune aree per le quali è lecito aspettarsi una difficoltà ed è opportuno prevedere un piano di lavoro riabilitativo. Le aree di tipo scolastico interessate dal programma sono: - disegno ed educazione artistica, aritmetica e geometria; - scienze, comprensione del testo, geografia, informatica. Tutte le aree coinvolgono tipicamente anche abilità linguistiche e quindi il bambino con disturbo non-verbale è per questi versi avvantaggiato o comunque in grado di sopperire alcune sue lacune. Quando è richiesta un’elaborazione specifica non verbale, il bambino entra in difficoltà. La prognosi di questo disturbo deve essere particolarmente cauta perché da un lato le complicazioni emotive che si sviluppano nel bambino e dall’altro il fatto che con il passare degli anni aumentano le richieste a cui il ragazzo non sa far fronte. 6.5) Il trattamento riabilitativo Se esiste un danno neurologico scarsamente reversibile, i benefici che si ottengono dall’esercitare aree deficitarie riguardano le specifiche attività proposte ma difficilmente saranno generalizzabili ad altri aspetti. In combinazione con training può diretti sugli apprendimenti, può avere benefici: Tressoldi ha mostrato che i ragazzi con disturbo non-verbale possono trovare giovamento dallo svolgimento di giochi visuospaziali al computer. Non sempre è però possibile costruire abilità nelle aree deficitarie; pertanto al bambino con disturbo non-verbale bisogna insegnare ad attrezzarsi per affrontare in maniera più adeguata le situazioni problematiche che incontra servendosi di strategie sempre diverse. 7) I disturbi di attenzione e iperattività 7.1) Il caso di Angelo Ragazzino di 11 anni, sempre in movimento, disturba insegnanti e compagni, di tanto in tanto abbandona senza permesso la classe e gira per la scuola. Alle scuole medie una prima impressione positiva per il sorriso aperto e l’intelligenza vivace, ma ha fornito prestazioni basse già dalle prime prove orali e scritte e ha iniziato a manifestare comportamenti irrequieti e disattenti che lo hanno portato ad una sospensione. 7.2) Il disturbo e le sue caratteristiche Angelo costituisce un caso evidente di iperattività i cui sintomi sono l’irrequietezza, l’incapacità di stare fermo o di svolgere a lungo una stessa attività. Gli aspetti comportamentali evidenti hanno portato spesso a trascurare gli aspetti cognitivi che sono associati al disturbo. Angelo benché intelligente, presenta difficoltà di apprendimento scolastico. Bambini come angelo presentano una grossa difficoltà nell’autocontrollo del proprio pensiero che è in associazione con due tipici problemi cioè: - incapacità di mantenere a lungo l’attenzione su qualche cosa; - l’impulsività. Le difficoltà di attenzione costituiscono un elemento tipico e significativo chiamato disturbo da deficit di attenzione per descrivere il nucleo del problema, osservando che esso compare sia in bambini iperattivi ma anche in bambini apparentemente tranquilli. 7.3) Attenzione e autoregolazione l Ddai viene definito come disturbo dell’attenzione, l’alunno è infatti sovente colto mentre è disattento e dimostra frequentemente una incapacità di concentrarsi. In realtà molte manifestazioni di disattenzione non sono associate a una mancanza di attenzione ma a una sintonizzazione dell’attenzione su stimoli diversi da quelli dell’insegnante. Il difetto attentivo che più colpisce questi bambini è la mancanza di concentrazione cioè l’incapacità di focalizzarsi su un contenuto e di mantenere l’attenzione su di esso. A questo proposito si parla di problema di attenzione sostenuta o attenzione mantenuta, quando è sotto pressione però il bambino riesce a mantenere l’attenzione per un tempo sufficientemente lungo. 7.4) La valutazione del disturbo l miglior giudice dei problemi del bambino è chi lo vede spesso nel contesto di vita di tutti i giorni, in primo luogo l’insegnante, in secondo il genitore o chi lo segue in attività extrascolastiche. Per ottenere le valutazioni si richiede di solito di indicare quali fra i comportamenti tipici del Ddai compaiono e con quale frequenza. Le valutazioni offerte da questi osservatori vengono integrate da un colloquio e da alcune prove diagnostiche. È prevista la proposta di una prova di attenzione visiva prolungata, una prova di controllo dell’impulsività, una prova di controllo della memoria e una prova di controllo esecutivo. 7.5) Modalità di intervento e ruolo della scuola e della famiglia Per curare il Ddai si cerca di agire sulle leve ambientali, educative e psicologiche, consapevoli che una sola leva potrà avere effetti modesti. l programma prevede 16 incontri che inducono il ragazzo