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DINASTIA GIULIO CLAUDIA E DEI FLAVI, Dispense di Latino

Appunti e quadro storico sulla dinastia Giulio Claudia e dei flavi, con approfondimento su autori come Tito Livio, Fedro, Seneca, Lucano, Perseo, Plinio il vecchio, Marziale, Quintilliano, Svetonio.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 16/10/2023

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Scarica DINASTIA GIULIO CLAUDIA E DEI FLAVI e più Dispense in PDF di Latino solo su Docsity! Letteratura Listina LATINO e STORA E' l'ultimo autore importante dell'età Agustea. Autore di ab urbe condita- dalla città fondata. La città di Roma. L'opera è costituita da 142 libri. A noi sono pervenuti soltanto 35 libri quindi abbiamo una visione parziale ma abbiamo i sommari delle parti mancanti e si è ricostruita la trama. Parte dal 759 data della fondazione di Roma e si ferma al 9 a.c., data di morte di Druso, figlio di Livia. Egli era Padovano, provincia ricca dei possedimenti romani. Siamo nel 59.a.c. Quando nasce. La città era legata a Roma, perchè la leggenda raccontava perche' cosi' come Roma era stata fondata da Enea, anche Padova era stata fondata da Antenore. I Padovani rispetto alle altre province di Roma erano rimasti molto conservatori. Arsenio Goglione, lo racconta Quintiliano, attribuiva a Tito Livio la caratteristica della Patavinitas: padovanità, tipico di Padova oppure cadenza padovana. EGLI proveniva da una famiglia benestante, ma lui condusse una vita molto libera al di fuori della politica. Dedico' la sua vita alla scrittura perche' poteva permettersi di non lavorare. Intorno al 29 a.c. Si reca a Roma per cominciare il suo lavoro di ricerca di tutti quei documenti che gli fossero utili per la stesura della sua opera, il primo libro lui lo pubblicò tra il 27 e il 25 a.c. E in quel periodo a Roma c'era la politica di Augusto, che fu colpito dall'opera e si complimentò con Tito. Nonostante ciò fin da subito fu chiaro che Tito era simpatizzante della repubblica. Augusto lo chiamò Pompeiano perchè era grande sostenitore di Pompeo. Perché Augusto non se la prese che era repubblicano? Perchè Tito non mostrò mai segnali di additazione nei confronti del suo regime e del principato. Per pubblicare i suoi libri, si dice che li pubblicava ogni decade, 10 a 10. Si dice che assunse la consuetudine di leggerli in pubblico. Si narra che Augusto fece seguire il futuro imperatore Claudio, nonchè suo nipote da Livio. Lui ebbe interessi filosofici e retorici, ma l'unica opera è quella nominata in precedenza. Muore nel 17 d.c. a Padova AB URBE CONDITA Man mano che scriveva i libri, lui scriveva una sintesi di ogni capitolo. 142 libri sono difficili da gestire e da gestire il contenuto, quindi grazie a ciò si è ricostruita l'intera storia. Questi sommari si chiamano Periochae - termine greco. Questi libri hanno una narrazione annalistica. Solo 35 sono stati rinvenuti. 1-10 libri: ritrovati 11-20: perduta 21-45: ritrovati 46-142: tutto perduto 1 libro: incipit o prefazione Già racconta anche in termini epici la fondazione di Roma. Con un certo gusto per l'antico. Parla della fondazione fino al 509 a.c. Che segna la fine della monarchia, la cacciata di Tarquinio il superbo e la fase iniziale della repubblica. Ciò che interessa a Tito Livio, non sono tanto le vicende storiche, ma lui mette in evidenza come questo piccolo villaggio di pastori, cominciò a crescere e farsi strada. Perché così capiamo come a lui interessi mettere al centro alcuni aspetti della monarchia, e come essa, potesse degenerare in prese di potere eccessivo. 2-10 libri: Tito Livio 1 LA DINASTIA GIULIO CLAUDIA Storia: 14 d.c. muore Ottaviano Augusto. Egli aveva istituito il principato ed era stato un vero e proprio impero. Augusto si era comportato da monarca. Pero' lui prima di morire non aveva istituito nessun nome per il futuro principato. Questa era stata una scelta strategica poiche' cosi' non dimostrava come si fosse di fronte ad una monarchia. Lui pero' designa Tiberio come erede dei suoi patrimoni e del suo testamento, figlio adottivo. Augusto si sposo diverse volte, e da una delle moglie Scribonia aveva avuto Giulia. Giulia a sua volta aveva 2 figli: GAIO e LUCIO morti prematuramente. Una delle altre mogli era stata Livia Drusilla che aveva gia' avuto 2 figli da Tiberio Claudio Nerone e Druso Maggiore. Quando si sposa con lei, dopo Druso muore nel 9 d.c. prematuramente. L'unico erede possibile era Tiberio. Quando il senato si trovo' di fronte la scelta dell'erede al principato fu designato Tiberio. Inizio' la dinastia Tiberio- Claudia. Claudia perche' suo padre biologico apparteneva alla dinastia Claudia. Questa dinastia prevede 4 imperatori. 1. Tiberio 14-37 d.c. 2. Caligola 37-41 d.c. 3. Claudio 41-54 d.c. 4. Nerone 54-68 d.c. Il principato di tiberio puo' essere diviso in 2 momenti. Uno equilibrato poiche' voleva tenere buoni rapporti con il senato, non voleva alterare il potere della classe senatoria. Sostenuto dal senato intraprese una serie di iniziative in ambito economico, infatti fu molto contenuto nelle spese, che creo' una politica equilibrata. Tiberio pero' aveva un nipote Germanico che era molto bravo con le armi e si fece molto apprezzare da un certo ambiente romano e cominncio' ad essere un disturbo con la politica di Tiberio. A un certo punto il giovane fu ucciso. Si inizio' a vociferare che era stato proprio lo zio. Inizia il periodo piu' nero del regno di Tiberio. Egli diventa molto sospettoso, fa una serie di processi per L'esamaiestatis che era un reato che consisteva nel recare danno all'altro, in questo caso all'imperatore. Inizia a perseguitare i suoi nemici. Lui poi si sposto' da Roma a Capri. Quando egli muore nel 37 d.c. si pose lo stesso problema della successione e il principe divenne Caligola, nonche' figlio di Germanico. Caligola e' un soprannome: calzare che usano i soldati perche' anche lui da giovane faceva parte dell'esercito romano. Questo personaggio era molto imbarazzante, e il suo regno pieno di stravaganze. Lui era molto appassionato dell'oriente quindi introdusse a Roma culti orientali che prevedevano la divinizzazione dell'imperatore. Lui impose ai sudditi romani di essere considerato una divinita'. Egli nomino' per esempio come senatore il suo cavallo, sperpero' i denari del popolo romano fin quando lui si inimico' tutta Roma e viene ucciso dai pretoriani. Che nominarono imperatore Claudio. Adesso sale al trono Claudio- fratello di Germanico. Era 51enne. Non aveva mai fatto politica, era un uomo colto e pacato. Claudio ripristina una situazione economica favorevole, riporta le casse dello stato romano completamente, espande i confini con l'annessione di stati come la Tracia e la Licia, e comincia ad inserire nell'apparato amministrativo statale anche i liberti imperiali. Potevano fare parte dello stato anche quindi questi schiavi affrancati diventati liberti. Diede la cittadinanza romana ad abitanti delle varie province, fu molto democratico. Questo disturbo' la parte aristocratica di Roma che si vide sostituita da queste nuove personalita'. Ci furono una serie di intrighi: Agrippina che era stata una delle mogli di Claudio che aveva come figlio Nerone, avveleno' lei stessa Claudio per dare spazio al figlio. Siamo di fronte all'ultimo momento della dinastia Giulio Claudia. Quando Nerone sale, aveva solo 17 anni quindi doveva essere guidato da funzionari. Questi primi 5 anni furono felici e dietro l'amministrazione c'era sua madre, Afranio Burro (prefetto del pretorio), Seneca (filosofo che fu un mentore importante). Presto Nerone manifesto' le sue stravaganze e diede segni di sfrenatezza e insanita' mentale. Pianifico' l'uccisione di personaggi che erano sempre stati a suo fianco come la madre, il fratellastro, la moglie Ottavia, Afranio Burro. Seneca venne allontanato dalla corte. Periodo sanguinario e pieno di paura. Si parla di una politica militare ed economica efficiente- riforma monetaria. ma c'era paura tra i cittadini. A Roma nel 64 ci fu un incendio e si racconta che fu Nerone poiche'voleva costruire la sua reggia proprio in quella parte di citta'. Pero' presto egli fece girare la voce che furono i cristiani, perseguitandoli. L'odio per Nerone era al massimo, veniva odiato ovunque. Ci fu la congiura di Pisone dove l'opposizione voleva far salire al governo Gaio Calpurnio Pisone e uccidere Nerone. Il complotto fu svelato, cosi' egli condanno' a morte tutti quelli che presero parte a questa congiura tra cui forse Pretonio e Seneca. Qualche anno dopo Nerone ormai ha tutti contro, ci furono ribellioni da parte degli eserciti, delle province (Servio Galba fu acclamato imperatore dalle truppe). Il senato destitui' nerone- nemico pubblico. Allora si fece uccidere da uno schiavo. CULTURA Il periodo di Augusto, dove ci fu una fioritura delle arti e della letteratura e la nascita di diversi circoli come quello di Mecenate fu l'unico che permise l'espansione di cultura poiche' I margini di liberta' di espressione man mano della politica Romana, si assottigliano e il potere si fa sempre piu' assoluto. Anche se tutti gli imperatori avevano una formazione completa ed erano uomini di cultura, mancarono di attivita' pianificata di politica culturale rispetto ad Augusto. Per esempio certe volte la cultura veniva oppressa: Cremunzio Cordo ed Emilio Scaudo sono due poeti che nelle loro opere raccontano il loro dissenso per il regime di Tiberio e furono condannati dallo stesso. L'unico periodo in cui si assiste ad una maggiore fioritura della letteratura e' quello di Nerone, che era un uomo colto e amava l'arte e la musica. Organizzava spesso delle gare di poesia Neronia, che erano dentro dei giochi sportivi. Sembra che ci sia una contraddizione perche' a confronto di questo dispotico personaggio di Nerone, ci fu quest'espansione di cultura. Non si sa se i letterati avevano bisogno di esprimere fortemente se stessi o se Nerone li aiuto' in questo organizzando sempre incontri e giochi. FEDRO E' l'esponente della favola latina. Vive dal 15 a.c. Al 50 d.c. nato in Macedonia. Non abbiamo molte notizie autobiografiche ma le possiamo estrapolare dalle stesse opere. Era uno schiavo che dalla Tracia o macedonia fu portato a Roma e fece parte del gruppo di schiavi di Augusto. Piu' tardi egli stesso lo rese libero. Libertus augusti. FEDRO conosceva il greco e si distinse per le sue doti. Inizia a dedicarsi all'insegnamento. Alcuni raccontano che fu insegnante dei nipoti di augusto. C'e' un momento in cui visse un momento di difficolta' a causa di un'accusa da parte di Seiano, prefetto del pretorio di Tiberio. Egli lo accuso' si aver fatto delle sue favole delle allusioni troppo esplicite del governo di Tiberio. Si dice che lui riusci' a salvarsi da queste accuse grazie all'intervento di qualche uomo potente. Muore nel 50 d.c. durante il regno di Claudio. Non lascio' un segno grande per i suoi contemporanei. Non divenne famoso. Infatti piu' tardi Seneca nella sua Consulatio ad Polynium afferma che a Roma mancava questo genere fiabesco. Quindi evidentemente a Roma non si parlava di FEDRO. Viene considerato in eta' medievale, nel 600 con la fountain e dall'800 in poi. Egli ci ha lasciato una raccolta di 5 libri che contengono 94 favole. LA FAVOLA: e' un genere molto antico della tradizione popolare. Le prime formule di favola vengono dall'oriente e si spostano in Grecia. Inizialmente non era un genere a se stante ma si riscontrano esempi di. Favole in opere di altro genere come nell'opera di Esiodo: “le opere e i giorni” e in alcune liriche di Archiloco. A ROMA la favola comparse inizialmente nella satira da Ennio e Lucilio. Poi dai Sermones di Orazio (topo di campagna e topo di citta'). Il maestro della favola greca fu Esopo ( vissuto nel VI secolo). Egli scrisse in prosa, favole- brevi racconti di fantasia- con protagonisti gli animali- apologo animalesco- che incarnavano un vizio e una virtu' dell'uomo. E ognuno di questi simboleggiava o un difetto, vizio o un comportamento edificante, forma di virtu' degli uomini. Egli mirava a un significato pedagogico e morale. Le sue favole esemplificano massime e proverbi, esprimendo una visione di vita ispirata a una saggezza tipicamente popolare, non senza spunti di critica sociale e di protesta dei deboli contro i potenti. FEDRO in diversi prologhi delle sue favole dice di essere debitore del modello greco. 32 Oltre ai 5 libri di favole in versi per un totale di un centinaio di componimenti, abbiamo l' Appendix perotina con altre 31 favole. Niccolo' Perotti, umanista, filologo (1400), trova queste favole e le attribuisce a FEDRO. Fedro ribadisce di aver emulato (ispirato da) Esopo non imitato (scimiottare, copiare). Il risultato delle favole di Esopo e' molto originale poiche': - le scrive in senari giambici- parti dialogate della commedia- a differenza della prosa di Esopo. Infatti Fedro specifica di essere legato al genere della commedia. Infatti ne riprende molti aspetti: aver trattato argomenti bassi, stile drammatico e l'approccio divertente. -lo scopo per fedro e' di raccontare queste favole per ammaestrare e divertire. - brevitas: sono brevi, moli limitata di libri. Condensa i contenuti narrativi e morali. Non stancano e sono diversificate. Vuole ottenere il consenso dei lettori grazie alla stringatezza e tensione stilistica. - varietas: nasce dall'intento di superare l'apologo animalesco. le favole di Fedro erano un modo per parlare della societa' di quel tempo dove da una parte ci sono i deboli, oppressi e dall'altra i potenti. La visione di Fedro e' molto pessimistica poiche' voleva far capire quanto fosse difficile per un umile far sentire la sua voce. Non si poteva cambiare lo stato delle cose. Nelle sue favole compaiono elementi umani e mitologici e qualche aneddoti storici d'ambientazione romana. FAVOLA trovata nel satyricon di Petronio Novella gia' trattata da Esopo, la riprende Fedro. E' inclusa nell'Appendix Perottina. LA VEDOVA E IL SOLDATO. Questa donna veglia giorno e notte nel corpo del marito ormai morto, piangendo e rattristandosi nel tempio di Giove. Un giorno una guardia arriva per vegliare alle tombe ma inizia a parlare con la donna. I due si innamorarono, cosi' il soldato inizio' a vedere la donna e a non vegliare al tempio. Una delle tombe viene rubata a causa di cio'. La morale e' che la denuncia dell'incoerenza e della volubilita' della donna che apparentemente sembrava nobile virtuosa e fedele al marito. ⑬ Fear I TRATTATI Caratteristiche simili ai dialoghi Questi libri hanno dei proemi ed epiloghi. Per esempio nella terza prefazione lui si rammarica nell'essersi appassionato tardivamente alle scienze naturali perche' sarebbe stato un modo per conoscere meglio se stesso e il mondo che lo circonda. L'autore parla sempre in prima persona rivolgendosi a un dedicatario con cui discute. Si crea un impianto dialettico e argomentativo. -De clementia 55-56 d.c. (attivo politicamente). Seneca aveva l'esigenza di trattare di questioni politiche. Pero' lui non riusciva a parlare di argomenti senza utilizzare la filosofia. E' un'opera di filosofia politica. Egli parla del concetto di monarchia illuminata, gestione del potere, monarchia assoluta, caratteristiche di un monarca ecc.. L'opera e' divisa in 3 libri (forma diatribica: forma dialettica dove l'autore affronta la questione in prima persona interloquendo con un destinatario fittizio per dare dei consigli). L'interlocutore e' Nerone. Noi abbiamo conservato solo il primo libro e una parte del secondo. Seneca frequenta Nerone quando ancora si pensa sia un principe promettente e trova l'ispirazione giusta per realizzare il suo sogno: avere un filosofo monarca. Conciliare la figura del sapiente con la figura che gestisce il potere come il monarca. Elogia Nerone vedendo in lui la clementia che un sovrano deve avere. Seneca parte dall'idea che la forma perfetta di governo e' quella del principato. Seneca e' realista e molto concreto, non fa valutazioni astratte. Sa che ormai il tempo della repubblica e' passato e quindi il desiderio di ritorno della repubblica e' anacronistico (impensabile), augusto aveva segnato la fine della repubblica. Quindi riprende la concezione filosofica Stoica. Dice all'inizio dell'opera che cosi' come tutto l'universo e' governato dal logos, ragione, e tutto trova un suo raziocinio, anche un popolo ha bisogno di qualcuno che porti l'ordine e stia al di sopra dei sudditi. Pero' il principe si deve autoregolare in dipendenza dalla sua coscienza e della sua clemenza (mitezza del principe nel non essere troppo punitivo). Deve avere le caratteristiche del medico che solo dopo tutte le verifiche e prove possibile ricorre all'ultima onda di amputare il braccio, quindi di prendere una decisione dura. La clementia distingue il re giusto dal tiranno, e garantisce stabilita' all'impero. Il re clemente instaura con i sudditi un rapporto paterno. La formazione del principe dev'essere di tipo filosofica, egli deve coltivare le virtu'. A questo punto la figura del principe sembra identificarsi nella figura del sapiente. E' un progetto utopistico (Nerone si rivela quello che e'). -De beneficis 62-64 d.c. (vita anziana e privata o oppure quando era funzionario di Nerone). De beneficis consta di 7 libri ed e' dedicata ad un amico di Seneca Ebuzio Liberale (ordine equestre) uomo molto generoso, e quindi Seneca spiega come ci si deve comportare quando si fa o riceve beneficenza. Seneca dice che chi ha i mezzi deve fare beneficenza ( ricco da al povero) senza esagerare. Dice che prima si dona cio' che e' necessario, poi cio' che e' utile e poi cio' che da piacere. Il dare a qualcuno deve accadere a prescindere dal riconoscimento di averlo fatto. La beneficenza non deve mai essere pubblicizzata ma dev'essere riservata perche' non si fa per mostrarsi. C'e' una parte che parla della schiavitu'. Seneca affronta quale dev'essere l'atteggiamento dei padrone nei confronti dei propri schiavi e dice che devono essere trattati bene e con amore. Questo tema lo trattera' nelle epistole ad Lucilium. -Naturales Quaestiones trattato filosofico 62-63 d.c. Dedicato a Lucilio, dove la filosofia viene accompagnata dalle scienze naturali. Queste due cose per gli antichi erano unite. Egli tratta di vari fenomeni naturali come le piogge, i lampi, i tuoni, l'arcobaleno.. Sono 7 libri ma da sempre un significato di carattere filosofico. Il principio che da senso a questa riflessione filosofica e' che la natura e' l'intervento del logos divino per l'ordine. Di fronte a questa grandezza degli dei l'uomo appare mediocre. Dice anche che l'uomo vive con la paura dei fenomeni naturali e in qualche modo appropriarsi di questa forma di conoscenza e' un mezzo che conduce alla sapienza (Non avere paura e consocere i fenomeni naturali aiuta ad ampliare la propria conoscenza e avvicinarsi agli dei). E' una visione moderna delle scienze naturali, perche' in quel periodo gli uomini non erano interessati a conoscere la natura. Seneca elogia la scienza e il progresso scientifico perche' pensa che in futuro potranno esserci scoperte scientifiche che racconteranno verita' ignote. Tratta anche di come gli uomini hanno mancanza di rispetto per la natura. I critici dicono che di scienze naturali ci sia ben poco perche' e' piu' scritto da un filosofo. Il suo metodo non e' scientifico ma la sua conoscenza si basa su cose dette da altri. ⑱ ·S LE EPISTULAE MORALES AD LUCILIUM Questa raccolta di epistole e' un'opera che lui scrisse durante il ritiro politico 62,65 d.c. in poi. Alcune sono state perse ma abbiamo un totale di 20 libri che contengono 124 lettere. Lucilio Iuniore e' il dedicatario a cui sono state dedicate altre due opere: de providenzia e de naturales questiones. Era un giovane di origini modeste assunto pero' all'ordine equestre e aveva rivestito diverse cariche politiche e amministrative. Era molto colto di buona cultura e si dilettava a scrivere. Uno dei primi dubbi dei critici e' capire se le lettere sono state tutte scritte da Seneca o si tratta di un epistolario fittizio. Sicuramente siamo certi che queste siano lettere reali scritte al suo amico grazie a elementi e dati biografici presenti nelle lettere. Pero' non e' improbabile ipotizzare che alcune di queste lettere fossero state scritte per esigenze letterarie, quindi lettere inserite per dare maggiore armonia e coerenza all'epistolario. L'epistola viene usata perche' Seneca vuole dare una serie di consigli e precetti all'amico e portarlo ad un percorso crescente verso il perfezionamento interiore. L'epistola viene usata perche' egli si rifa molto ad Epicuro che era solito a inviare lettere ai suoi amici parenti e discepoli per dare consigli. La lettera serve per stabilire un rapporto confidenziale tra chi scrive e il destinatario. E' il modo ideale per poter avvicinare meglio il destinatario e poterlo ammaestrare senza quella distanza incolmabile tra maestro e discepolo. I temi sono molteplici: morte, dolore, fugacita' del tempo.. L'obiettivo e' quello di rivolgersi a un giovane ancora inesperto e spiegarli qual e' la via per raggiungere consapevolezza nella vita. Le lettere dei primi 3 libri sono lettere molto semplici, e alla fine di ogni lettera inserisce una sentencia (perla di saggezza, massima). A partire dal 4 libro Seneca comincia a cambiare il suo modo di scrivere complicando le lettere, perche' capisce che il suo discepoli e' piu' sicuro e ha piu' consapevolezza grazie al suo arricchimento dottrinale. I temi vengono trattati con piu' difficolta' e alcune lettere sembrano dei veri trattati filosofici. Le lettere sono di varia estensione (corte e lunghe). L'intento di Seneca e' quello di non fare teoria filosofica ma di trattare la filosofia con praticita'. Infatti Seneca parte sempre da un fatto concreto, della vita di tutti i giorni, e dandone un carattere morale traendone un insegnamento. La filosofia parte dalle res (fatti) da cui ricavare utili ammaestramenti. Un esempio e' il racconto di una traversata da Napoli a Pozzuoli durante la quale Seneca era tormentato dal mal di mare che viene usato per spiegare la differenza tra le malattie del corpo e dell'anima. Una delle finalita' di queste lettere e' quella parementica. Il senso e' dire cosa deve fare il saggio - comportamenti che Lucilio deve assumere - come: essere indifferente alle passioni umane, distinguersi dalla massa, liberta' interiore, praticare l'otium. Il tono e' pacato perche' lui non vuole mostrarsi come un maestro severo che vuole richiamare all'ordine. Infatti Seneca dando queste indicazioni, riflette su se stesso, quindi e' utile pure per lui. La morte e' un tema importante all'interno delle epistole perche' dice che la morte dev'essere accettata e non e' niente di spaventoso e da temere. Queste lettere si prestano per una trattazione non sistematica delle tematiche che vuol trattare Seneca. Infatti lui non crea un trattato con l'unione delle lettere, ma al contrario inizia a raccontare un tema per poi spostarsi su altri temi, e poi utilizza punti di vista parziali. Quindi non forma trattati con piene spiegazioni ampie di un argomento specifico. Lucilio grazie a queste lettere inizia il suo cammino verso la strada della conoscenza filosofica. Per Seneca, la cosa che conta e' il perfezionamento morale dell'alunno. Seneca sostiene che solo nella sapienza risiedono la vera gioia e i veri valori, per raggiungerli bisogna attuare una lotta contro le passioni. A Lucilio spiega di astenersi da ogni occupazione frivola e moralmente inutile. Anche se e' sostenitore della dottrina stoica, ne critica alcune caratteristiche, ad esempio riveditca la propria autonomia di giudizio. Cita molte massime di Epicuro con temi epicureani come il disimpegno, l'amicizia, la morte e la divinita' come intelligenza dell'universo. I temi dominanti, insieme a quello dell'otium, sono il tempo e la morte. Con la morte Seneca e' convinto che bisogna liberarsi della paura di essa. Chi ha realizzato la virtu' e' pronto a morire in qualsiasi momento senza rimpianti. Stolto e' chi teme la morte perche' si ribella a una necessita' di natura. Pero' la morte non dovrebbe essere temibile per nessuno poiche' e' la liberazione dai mali dell'esistenza. Uno dei temi affrontati nelle epistole e' la ricerca della divinita' nella natura we nell'uomo. Seneca infatti percepisce la divinita' come intelligenza dell'universo. STILE Nelle epistolae ad Lucilium Seneca utilizza un linguaggio e un tono strettamente colloquiale, ed in effetti questo stile non e' diverso dalle altre sue opere. Per Seneca la filosofia dev'essere fatta da fatti concreti, e questo porta a modelli da seguire o da non seguire. Dice Seneca nella 75 epistola del 1 libro, Se la filosofia e' res, il filosofo non deve necessariamente ricorrere a uno stile selezionato e curato perche' la sua importanza e' messa in seconda posizione rispetto all'argomento stesso, ma ad uno stile colloquiale e confideniale. Pero' se uno stile piu' elaborato puo' essere piu' utile per rendere piu' di effetto l'insegnamento allora ben venga. Non utilizzare mai lo stile per uno sfoggio di capacita' linguistica. L'esposizione e' libera e disinvolta con uno stile informale e familiare. Il dialogo e' vivace e appassionato con l'intento di coinvolgere il destinatario emotivamente. Pero' c'e' da dire che il suo stile e' il contrario di uno stile semplice e lineare. Il suo stile e' emblema di uno stile curato. E' antitetico alla Concinnitas di Cicerone (ipotassi, periodi sintetici, uso di subordinate, gerarchia di frasi, figure retoriche armoniche), perche' lo stile di Seneca e' quello dell'Inconcinnitas (paratassi, coordinazione, periodi molto brevi, stile aguzzo, unione di sentenze brevi, minutissime sentenze le chiama Quintilliano), perche' egli vuole raccontare un'idea sfaccettandola in tante frasi. Questo non piaceva a tutti, per esempio Caligola definiva lo stile di Seneca Sabbia senza Calce cioe' uso di una lingua fumosa che pero' era destinata ad essere vacante. Questo stile rientrava nello stile Asiano (tendenze tipiche delle scuole retoriche ai tempi di Cicerone): stile concettoso, Rico di figure, frasi ad effetto e retorica. E' quello stile incentrato sulla sentencia o frase d'effetto. La prosa Senecana si differenzia per l'organizzazione sintattica e fonico-ritmica del discorso, il cui nucleo centrale non e' piu' il periodo ma la frase. Il linguaggio alternate momenti tipici della narrazione filosofica con stile pacato, a momenti piu' concitati tipici della predicazione. ce chewe Egerat congiuntivo presente= e+gero= estromettere Ingessit perfetto indicativo=in+gero=inserire Poliptoto di ventrem, ventris Maiore opera= complemento di modo Ut...=proposizione consecutiva EPISTOLA N. 47 (PAG 104) Nella società in cui viveva Seneca lo schiavo si vedeva come un essere inferiore e maltrattato. Allora Seneca pone la questione: perche' trattiamo un uomo con le nostre caratteristiche come fosse un animale? Compie un discorso illuminante, in quanto dice che se ci sono uomini liberi e schiavi e' la pura sorte che ha deciso così. Interiorizza il concetto di schiavitù: si può essere liberi da un punto di vista sociale, ma essere schiavo dalle proprie passioni, così come il contrario, quindi un uomo schiavo può essere tanto in pace con sé stesso da potersi definire libero. All'inizio si compiace con Lucilio, il quale tratta bene i suoi schiavi. 1) 1° O Lucilio ho saputo con piacere da coloro che vengono da casa tua 2° che tu ti comporti con familiarità con i tuoi schiavi: questo si addice alla 3° tua saggezza e alla tua istruzione. "Sono schiavi" Dal 3 verso in poi comincia la Sermocinatio, uno stile tipico delle diatribe con impostazione cinico-diatribica: si immagina che ci siano due interlocutori, ma ad un certo punto interviene un terzo, che continua a dire "Servi sunt". Anafora hoc, servi sunt, immo. Climax homines, contubernales, humiles amici. 4° Anzi uomini. "Sono schiavi". Anzi compagni di vita. 5° "Sono schiavi". Anzi umili amici. "Sono schiavi". 6° Anzi compagni di schiavitù se pensi che 7° la fortuna ha uguale potere su entrambi. (letteralmente "che alla fortuna è lecito la stessa cosa in egual modo su entrambi" ) Si cogitaveris= protasi di un periodo ipotetico della realtà. 2) 7° Pertanto io rido di questi 8° i quali reputano vergognoso cenare con il proprio schiavo (tono ironico e critico): 9° per quale motivo è vergognoso, se non perché una consuetudine superba 10° ha messo intorno al padrone che cena la folla di servi che stanno all'impiedi? 11° Egli mangia (est= edit) mangia più di quanto potrebbe, e riempie con ingente avidità 12° il ventre dilatato e disabituato ormai 13° al compito di un ventre, al punto che vomita tutto con fatica maggiore di 14° quanto ce ne voglia per ingerirla. ‘ ; : è spiato omnia egerat quam ingessit. At infelicibus servis movere labra È cio SCIVÌ dieniaretva, ne dai ‘hoc quidem ut loquantur licet urna murmur omne — — Tiwaroca comiescitu et ne fortuita quidem verberibus veiberibus excepta sunt, enumerazione. palisundeto de aiumeple tussis, sternumenta, singultus; cbagno alo ulla voce interpellatum silentium luitur; nocte oa ieiuni mutique argomento dichiarati perstant. Sic fit utisti de domino ioquantur quibus coram domino non licet. At illi quibus non tantum coram cu. o. tiv, tomesso dominis sed cum 1psls erat sermo, quorum os non consuebatur, z ._ A verso — B sostodivo .B. parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum chiasmo lin conviviis loquebantur, ” e sentenzione Ged)în tormentis tacebant! {© Ai imminens in caput suum avertere; COASI Ma agli infelici servi (infelicibus servis dativo) non è consentito (licet) muovere le labbra neppure in questo/per questi (nequidem) cioè per parlare Iperbato “ne quidem” dovrebbe stare vicino. Ut introduce una dichiarativa con il verbo deponente loquor e il tempo congiuntivo presente. Ogni rumore è punito (conpescitur) con la verga e neppure i rumori fortuiti (accidentali) sono risparmiati dalle bastonate (verberibus, complemento di causa efficiente), la tosse, lo starnuto, il singhiozzo. Anafora ne quidem di nuovo con l'iperbato. Il silenzio interrotto da una qualche voce è punito con una grande pena, resistono per tuta la notte digiuni e muti Così accade che parlino del padrone (complemento di argomento) questi ai quali non è consentito parlare davanti ai padroni. Fit derivasse da fio, fa parte di quei verbi che significano accade che, succede che, che sono sempre seguiti da una dichiarativa Seguito da una preposizione dichiarativa introdotta da ut e retta dal verbo congiuntivo presente verbo loquor deponente. (Letterale) ma a coloro ai quali non era discorso non solo davanti (coram) ai padroni ma con gli stessi. (Più libera) ma coloro che potevano parlare non solo davanti ai padroni ma anche con gli stessi e la bocca dei quali non era cucita (consuebatur) quelli (illi che c'era all’inizio) erano pronti a porgere la testa in favore del padrone (metafora: immolarsi per il padrone) e a stornare sul loro capo il pericolo imminente, nei banchetti parlavano, sotto tortura tacevano (non parlavano male dei padroni). Quegli schiavi che potevano parlare non solo davanti al padrone, ma anche con lui, colloquiare, erano pi quelli che si immolavano per lui. Il senso è che se noi lasciamo qualcuno libero magari ci rispetterà, avrà una riverenza, non per paura, ma in maniera spontanea, al punto di volersi sacrificare per lui DATIVO DI POSSESSO: Dativo quibus che diventa soggetto verbo erat diventa avere A quelli era il discorso —-> quelli avevano il discorso —> potevano parlare Un sacco di anastrofi. Questa lettera è in parte esempio dello stile sentenzioso di Seneca fatto di minutissime frasi e uso di sentenze. Frasi minute “servi sunt Frasi d'effetto, come se fossero delle massime, sopratutto l’ultima parte. “In conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant”. SENECA LUCILIO SUO SALUTEM Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere: hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. 'Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt.' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae. Itaque rideo istos qui turpe existimant cum servo suo cenare: quare, nisi quia superbissima consuetudo cenanti domino stantium servorum turbam circumdedit? Est ille plus quam capit, et ingenti aviditate onerat distentum ventrem ac desuetum iam ventris officio, ut maiore operā omnia egerat quam ingessit. At infelicibus servis movere labra ne in hoc quidem ut loquantur, licet; virgā murmur omne compescitur, et ne fortuita quidem verberibus excepta sunt, tussis, sternumenta, singultus; magno malo ullā voce interpellatum silentium luitur; nocte totā ieiuni mutique perstant. Sic fit ut isti de domino loquantur quibus coram domino loqui non licet. At illi quibus non tantum coram dominis sed cum ipsis erat sermo, quorum os non consuebatur, parati erant pro domino porrigere cervicem, periculum imminens in caput suum avertere; in conviviis loquebantur, sed in tormentis tacebant. Lucano Lucano e Persio furono poeti e vissero entrambi nel periodo di Nerone, entrambi legati a lui, autori di generi diversi (Lucano autore di un poema epico-storico, modello: Virgilio; Persio esponente satira, modello: Orazio). Entrambi sono accomunati dall'interesse per la filosofia stoica e dal guardare con sguardo molto critico il loro tempo, la loro epoca. Anche se con spunti diversi attaccano quello che era il loro tempo e guardano a quale fu il tempo della repubblica. La vita Marco Anneo Lucano era nipote di Seneca, figlio del fratello di Seneca, Anneo Mela. Proveniva da una famiglia benestante, illustre, coltissima. Nasce a Cordova nel 39 d.C. Provincia romana nel territorio spagnolo. Nel 40 d.C. I genitori si trasferiscono a Roma, lì inizia la sua formazione, quella che avrà più influenza nell'ideologia del suo poema sarà la formazione nella scuola di Anneo Cornuto maestro dello stoicismo, in questa scuola conobbe Persio. Siccome era un ragazzo che prometteva bene Nerone lo ospitò presso la sua corte e lo incluse presso quella cerchia di amici che lo attorniavano. Si dice che inizialmente Nerone simpatizzò così tanto per Lucano che gli permise di rivestire la carica di questore, anche se non ne aveva l'età (si doveva avere almeno 25 anni). Si dice che Lucano ricambiasse l'ammirazione per Nerone, riconoscesse in lui doti di grande principe, promettente e capace. Uno degli episodi fu quello durante il quale nei giochi Neronia (60 d.C.) Lucano intonò delle lodi “laudes neronis” probabilmente scritto dallo stesso Nerone. Questi Neronia erano dei giochi, c'erano gare sportive, gare di poesia, indetti ogni 5 anni per celebrare le gesta, la personalità del principe. Ad un certo punto Lucano cade in disgrazia, cominciano ad allentarsi i rapporti tra i due. Le ipotesi sono tante, sicuramente perchè Lucano era molto più bravo di Nerone dal punto di vista della poesia. Dopo il 60 si dice che Nerone avesse scritto un poema epico “Troica”, dedicato a Troia, Lucano pure scrisse un'opera “Iliacon”, sempre sulla storia di Troia. Forse gareggiarono per quest'opera, forse Nerone iniziò a provare invidia nei suoi confronti, quindi forse fu questo uno dei motivi per cui Nerone volle allontanare Lucano dalla corte. Un'altra ipotesi e' che siccome Lucano quando viveva nella corte di Nerone iniziò a pubblicare e leggere in pubblico i primi tre libri della Farsalia (poema che conteneva in maniera più o meno esplicita le tendenze e ideologie filo-repubblicane di Lucano) questo infastidì Nerone, che lo vedeva anche come una minaccia, fastidio. Tra le tante cose anche il fatto che Seneca fu allontanato dalla corte di Nerone (nel 62 si ritira, di sua spontanea volontà ma sicuramente una scelta quasi obbligata), come lui anche Lucano probabilmente. Siccome ormai probabilmente Lucano nutriva un sentimento di avversione e ostilità nei confronti di Nerone, si dice che fece parte o che addirittura fu tra i promotori della congiura dei Pisoni. Si racconta che Lucano cercò di discolparsi, dimostrare la sua innocenza, al punto da accusare la madre di essere colpevole, non riuscì e ricevette la condanna a morte da parte di Nerone. A 26 anni fu costretto a darsi la morte recidendosi le vene, sempre con la concezione stoica del suicidio. FARSALIA E' un'opera in 10 libri probabilmente l'avrebbe realizzata in 12 se solo fosse vissuto di piu'. Siamo nel pieno inizio della guerra civile tra cesare e pompeo, che porto' al declino della repubblica romana. Il modello e' indubbiamente Virgilio, ma poi viene ripreso e riformulato. Lucano racconta la fine della grande citta' di Roma (antitetico al racconto di Virgilio che racconta l'ascesa di roma e la sua potenza). La visione di Lucano e' fortemente pessimista. Le fonti sono tante: Tito Livio, Seneca il padre, Asignio Goglione.. Tutte queste fonti sono trattate in maniera molto libera e originale, prende spunto da qualche aspetto delle altre opere ma distorce molto i fatti storici per esigenze letterarie e artistiche. L'impostazione ideologia della FARSALIA era filo-repubblicana. (Questo fece si che Nerone lo guardasse con sguardo negativo). I libri: 1. Si parte da un elogio di Nerone. I primi 3 libri furono pubblicati da Lucano quando i rapporti con Nerone erano positivi. Sembra che lui in quest'opera non abbia tendenze filo-repubblicane e dia totale fiducia a Nerone. Nerone visto come un ragazzo promettente dalle grandi abilita', doti politiche e umane. Si raccontano le cause della guerra civile: Cesare grande conquistatore della Gallia si appresta ad entrare a Roma e si parlava della grandezza di questo personaggio e dei suoi grandi progetti. Li' ultimatum di Pompeo, di non varcare il rubicone con l'esercito. Cesare scavalca qualsiasi richiesta e inizia la guerra civile. 2. Lucano fa un flashback e ritorna a rievocare altri disastri evocati dalle guerre civili, come quella tra Mario e Silla. Poi si parla do Bruto e Catone Luticense, giovani interessati alla politica che di fronte alle scorrere degli eventi non sanno quale decisione prendere, si rendono conto che bisogna scegliere da che parte stare. Si incontrano e confrontano e decidono che l'unica scelta possibile e' quella di sostenere la causa di pompeo, per non scaturire nella dittatura. Si raccontera' fino alla fuga di Pompeo in Tessaglia. 3. Pompeo sogna la moglie Giulia, figlia di Cesare. Giulia addita Pompeo di essere infedele perche' la abbandona preferendo un'altra donna a lei. Lucano approfondisce questa parentela dicendo che i parenti dovrebbero combattere nello stesso lato e non stare contro. Si racconta inoltre che molte genti sosterranno la causa di Pompeo che agli occhi di tutti e' il difensore della repubblica. 4. Operazioni militari in Spagna e in Africa con la guerra tra Cesare e Pompeo dove i Cesariani combattevano con i Pompeiani. 5.Si racconta un episodio leggendario che vede Cesare raggiungere Pompeo in Tessaglia, dicendo che Cesare fu travolto da una tempesta ma riusci' attraverso un prodigio, una sorta di miracolo a raggiungere Pompeo. 6. Richiama il 6 libro dell'Eneide dove Enea scende negli inferi per incontrare il padre Anchise che gli deve raccontare il suo futuro e le sue imprese. In questo caso il figlio di Pompeo, Sesto, consulta una maga Editto, per sapere come si svolgera' il conflitto e lei preannuncia una catastrofe per Roma e per Pompeo. Da enea racconta le imprese positive di Roma e del futuro Da Lucano parla della distruzione di Roma 7. Battaglia di Farsalo 48 a.c. Dove Pompeo viene sconfitto e poi c'e' il discorso che Pompeo e Cesare fanno ai loro eserciti il giorno dopo. 8.Pompeo fugge in Egitto ospite del re Tolomeo e viene ucciso. 9. Catone assume un ruolo fondamentale nella guerra. Egli fa un lungo viaggio in Africa con molte difficolta' perche' deve raggiungere Cesare che si trova in Egitto. 10.Storia d'amore tra Cleopatra e Cesare, e si interrompe la narrazione quando si racconta che ci fu una congiura contro Cesare di alcune popolazioni africane. La FARSALIA non ha un eroe che si pone al centro di tutta l'azione, non ha eroi. Cesare viene descritto come un personaggio spietatissimo senza cuore, malvagio, criminale, con l'obiettivo di distruggere. Pompeo all'inizio viene raccontato come un personaggio probabilmente positivo ma gli manca il carattere, non ha carisma, e' incerto e dubbioso. Alla fine anche Pompeo non ha le doti per essere un eroe. L'unico personaggio che sembra essere meglio rappresentato e' Catone Luticense che assume un ruolo fondamentale. Sembra essere lui l'eroe, con grande e levatura morale e politica, ma in realta' non lo e' del tutto perche' lucano muore prima di molti fatti storici come per esempio il suo suicidio. Qui le azioni umane non sono influenzate dagli dei, non c'e' intervento della presenza divina. Quindi Lucano deve rendere interessante la storia in altri modi. Aggiunge la componente del meraviglioso, in termini di visioni, prodigi, episodio di negromanzia. E' un opera con fondamento stoico ma manca la visione positiva dello stoicismo, perche' c'e' l'idea della morte e della distruzione. C'e' un gusto per l'orrido, che andava di moda nel tempo, per il truculento. Lo stile e' concettoso e sentenzioso, non facile perche' Lucano vuole creare la sorpresa. Usa molte sentenze e massime e frasi ad effetto. PERSEO Le notizie biografiche ci sono pervenute grazie a Valerio Probo. Aulo Persio Flacco nasce a Volterra nel 34 d.c. e muore nel 62 d.c. a 28 anni ed e' uno dei pochi intellettuali che muore per cause naturali a Volterra. La sua famiglia era di ordine equestre, molto benestante. Pero' lui non si interessa della politica e visse una vita molto appartata lontani da interessi politici. A 6 anni gli muore il padre e quindi lui fu educato in un ambiente prevalentemente femminili (madre,zia,nonna..). L0educazione era molto severa e rigorosa e il suo carattere divenne molto schivo e introverso, di grande sensibilita' d'animo. Poi la madre si trasferisce a Roma e Perseo viene educato presso le scuole di retorica di Virgilio Flavio e presso la scuola di Remmio Palemone, il grammatico. Ma lo studio presso la scuola del filosofo storico di Anneo Cornuto defini' piu' degli altri la sua poetica. Qui conobbe una serie di personaggi, ma ebbe rivalita' con Lucano e Seneca e a differenza di molti giovani che ne subivano il fascino Perseo ne rimase indifferente. Pero' fu molto amico sia con Arneo Cornuto che del senatore Trasea Peto (uno dei maggiori avversari di Nerone) e di Ceseo Basso. La sua opera maggiore sono le 6 satire. A parte quello scrive una Pretexta, un libro sul tema del viaggio, versi dedicati alla suocera.. che sono andati perduti. Lui muore prematuramente e queste opere furono valutate da Ceseo Basso che prende le opere di Perseo e insieme ad Anneo Cornuto decide di rivederle. SATIRE Sono 6 satire per un totale di 650 esametri ma queste 6 satire sono precedute da un prologo di 14 versi di una premessa in coliambi (variante del trimetro giambico) dove spiega cosa e' la satira e il senso di questo genere e dice che i modelli sono Lucilio ed Orazio e dice che la poesia deve fondarsi sul vero. Fa una critica molto forte di tanta produzione poetica del suo tempo. Satira 1: e' una satira che si basa su un dialogo immaginario con Romolo poeta esponente dell'ellenismo. Perseo critica alla poesia del suo tempo, dicendo che si tratta di una poesia priva di contenuti, futile, sterile, attenta alla forma ma non al contenuto e che cercava l'attenzione del pubblico per guadagnare. C'e' una critica alla pratica delle recitaziones (pratica che riguardava la tendenza di molti poeti del recitare i loro versi nei palazzi pubblici). Questa pratica pero' aveva indotto i poeti a creare una poesia molto fumosa e artificiosa. Perseo usa termini di carattere sessuale e del corpo, termini crudi. Definisce i poeti dei vecchi perche' non hanno piu' ispirazione e parlano sempre delle stesse cose. Riflette sulla perdita del mos maiorum e delle virtu' antiche, con la nostalgia della repubblica, anche lui e' un filo-repubblicano. Conclude con un richiamo ai lettori che possano ambire al vero e possano emendarsi. Satira 2: lui si rivolge all'amico macrino dove affronta il difficile rapporto tra gli uomini e gli dei nella religione. Lui dice che gli uomini pregano solo per il proprio utile, per ottenere qualcosa che e' sempre materiale. Satira 3: si rivolge a tutti quegli uomini che dedicano il loro tempo alle attivita' futili dimenticando quale debba essere l'insegnamento della propria vita, seguire lo stoicismo. Parla anche delle malattie dello spirito dicendo che sono molto piu' gravi di quelle fisiche. Satira 4: “conosci te stesso” dove lui immagina quanto sia importanti conoscere se stessi attraverso un dialogo tra Socrate e Alcibiade. Quest'ultimo vuole far politica senza avere una vera e propria passione e quindi Socrate dice che bisogna essere interessanti per fare qualcosa e non si deve sempre cercare successo. Satira 5: si rivolge ad Anneo Cornuto esaltando i suoi insegnamenti e precetti e dice che uno dei primi obiettivi che l'uomo dovrebbe raggiungere e' quello della libertas(vivere senza lasciarsi asservire dalle passioni esterne, usando sempre un certo raziocinio o ragione). C'e' una ripresa della sua poetica (ne aveva parlato nei versi coliambi e nella 1 satira) dove precisa quale sia l'oggetto della sua poetica. Nella 1 dice che lui vuole trattare il vero e denunciare il falso, nella 5 dice cosa sia il falso, cioe' denunciare i costumi sbiaditi (i costumi corrotti dalla degenerazione degli uomini del suo tempo e dalle loro cattive abitudini che definisce mores sbiadentes). Satira 6: dedicata a Cesio Basso dove riprende la libertas dicendo che non e' una cosa gia' esistente ma si deve coltivare nell'anima. In questa satira esalta l'amico generoso e buono ma esalta anche se stesso dicendo che lui ha sempre vissuto secondo il principio della libertas, liberta' di pensiero e di non essere condizionato da nessuno. messumo siaura de Analazzimate so tests perche panto a crificene is pastime -emna dazional del senzo della misura (riprende Orazio) Domiziano era il fratello di Tito. Sotto il suo governo emersero tendenze autocratiche. Il suo governo si ispirava alle monarchie orientali tanto che si faceva chiamare signore e Dio. Regnò tanto ma finì quindi per inimicarsi una gran parte della popolazione romana: il senato lo pensava bizzarro e pazzo. Infatti lui pretese come Caligola la divinizzazione. Al suo principato non mancarono tuttavia aspetti positivi: istituì misure protezionistiche a favore dell’agricoltura italica e in politica estera mirava all’espansione dell’impero. Ben presto fu ucciso da una congiura organizzata dall’ambiente senatorio. NUOVO CLIMA DI COLLABORAZIONE TRA PRINCEPS E SENATO Nerva (96- 117 d.c.) viene scelto come successore un anziano senatore (Domiziano non aveva eredi)ed era discendente di una famiglia di nobili senatori. Egli cercò di riassestare gli equilibri sociali a Roma e si riassicurò il favore del popolo e del senato. Avviò anche un austero programma economico per rimediare le scombussolate finanze statali. Attua il principio del principato adottivo: l’imperatore avrebbe potuto adottare il suo successore su un principio meritocratico. Individuare qualcuno che fosse all’altezza e che potesse essere bravo per il principato. Nerva nel 97 adottò Traiano, comandante militare dell’ambiente spagnolo. Egli governò per quasi 20anni. Ebbe una formazione militare ma per la tradizione familiare vicino al senato, riuscì a conciliare i loro desideri con quelli dell’esercito. Con Traiano assistiamo alla massima espansione dei confini imperiali. Conquistò la Dacia (Romania) e questo portò ricchezza alle casse dello stato (oro), che servì per realizzare iniziative statali e molti lavori pubblici. Si spinse fino all’Arabia settentrionale. Istituì anche gli alimenta (programma che prevedeva la concessione di prestiti di denaro agli agricoltori italici). Occupò anche l’Armenia, l’Assiria e la Mesopotamia e qui l’impero romano raggiunse la massima espansione territoriale. Venne chiamato “Optimus princeps” perchè la sua epoca fu un periodo di grande benessere economico, sociale e politico e lui fu garante della giustizia e sostenitore delle tradizioni romane. Adriano ( 117-138 d.c.), spagnolo di origini, era governatore della provincia di Siria ed era imparentato lontanamente con Nerva. Egli fu il più colto tra tutti, amante della cultura greca e antica. La sua politica è antitetica a quella di Traiano. Se quest’ultimo aveva dato una politica estera aggressiva, Adriano punta a una politica difensiva. Fece realizzare enormi opere di fortificazione in muratura lungo i confini del Reno e del Danubio. Durante questo governo vengono costruiti i limes (confini). Fu costruito il vallum adriani (confine con la scozia) a causa di una minaccia dei Caledoni. Il suo impero fu uno di pace, se non parliamo della rivolta dei Giudei. Stroncata la rivolta Gerusalemme viene distrutta e chiamata Aelia Capitolina. Adriano compì viaggi di ispezione delle province dando impulso allo sviluppo urbanistico. Promosse la rifioritura d’Atene e costrì grandi complessi architettonici come il pantheon. Alla fine Adriano fu poco gradito sia al popolo che al senato. Adottò dopo molte incertezze Antonino. CLIMA CULTURALE Quasi tutti gli imperatori si interessano alla cultura e all’arte come quelli dell’età Giulio Claudia, purchè fosse conforme al regime. Infatti essi controllavano la vita intellettuale a i fini di risanare il loro potere e di reprimere le manifestazioni di pensiero che producevano opposizione politica. Domiziano sarà quello più intollerante al pensiero autonomo degli intellettuali. Vespasiano scrisse dei Commentarii dove raccontava le sue gesta culturali, promuovendo la scuola pubblica finanziata dallo stato (Bisognava formare gli alunni in conformità con le ideologie del principato. Chi ci studiava sarebbe diventato funzionario dello stato), aprendo una nuova biblioteca e costruendo l’Anfiteatro Flavio. La scuola di retorica era diventata il luogo di formazione del funzionari imperiali. Anche Tito diede grande importanza alla cultura e alle arti. Domiziano fu ancora più interessato alle lettere, infatti compose molti poemi lui stesso. Come Nerone, fece opera di promozione delle arti con i ludi e concorsi letterari. La tradizione storiografica, ha additato Domiziano come un princeps solo negativo presentandolo smanioso di adulazione di scrittori e filosofi. Con due editti egli infatti decretò l’espulsione dei filosofi, retori e astrologi. Nel complesso, l’età dei Flavi è dominata dal ritorno a un gusto classico, dopo il tentativo di innovazione attuato nel periodo di nerone. Si cercò di ritornare un pò indietro e si guardò ai tempi della politica di Augusto (autori come Virgilio). Il 2 secolo fu positivo per la cultura: la diffusione dell’istruzione e l’apertura di centri culturali permise ciò. ESPONENTI VARI: Gli esponenti di questo periodo sono • Silio Italico: Brillante avvocato e uomo politico, scrive I punica, poema epico-storico in 17 libri sulla seconda guerra punica. Prende come modello qualcosa di Titio Livio, del bellum civilum di lucano (centralità di un evento catastrofico e assenza di una figura eroica), di Omero e Virgilio (imita lo stile). • Valerio Flacco: autore di un poema epico-mitologico “Argonautica” incentrato sulla conquista del velo d’oro. Il personaggio meglio riuscito è Medea che viene analizzato dal poeta con una sensibilità nuova. • Stazio: Tebaide racconta il ciclo di Tebe (storia dei 2 gemelli). Stazio scrive un poema epico mitologico in 12 libri dal titolo Tebaide, e tratta della guerra tra i figli di Edipo, Eteocle e Polinice. Il modello a cui si ispira è l’Eneide ma c’è influenza anche del Bellum civile di Lucano. PLINIO IL VECCHIO Studioso di materie scientifiche. Dedica tutta la sua vita allo studio dell’ astrologia, la metallurgia, la cosmologia… Ci ha lasciato la “naturalis historia”, opera enciclopedica di nozioni scientifiche. Lui nasce a Como (anticamente chiamata nobum comum) tra il 23/24 d.c. Siamo in ambito della dinastia Giulio claudia, quindi lui percorre entrambe le dinastie (pure quella dei Flavi). Si forma a Roma, intraprende la carriera militare e diventa parte dell’esercito romano. Si racconta che fu in servizio in Germania e partecipò alla ribellione contro il popolo degli ebrei. Solo sotto Vespasiano, la sua figura prese importanza. Egli infatti fu un collaboratore e uomo di fiducia dell’imperatore. Ricevette l’incarico di capo della flotta navale stanziata a Capomiseno (in Campania). Proprio li, data la sua passione per la scienza e per dare un’auto alle popolazioni distrutte dal Vesuvio, andò a Pompei ed Ercolano. Muore nel 79 d.c. proprio in quei luoghi, ma non si sa la causa della morte, probabilmente a causa dei fumi e della lava. Per i posteri egli è “il martire della scienza”. Calvino lo definisce il “protomartire della scienza”. Naturalis Historia Scrisse opere storiografiche, ma la sua opera più importante è la naturalis historia. Sono 37 libri che spaziano tutte le scienze: antropologia, medicina, geografia, cosmologia… Egli da delle informazioni molto dettagliate per ogni scienza dopo essersi documentato su tantissimi altri testi. Nell’ epistola dedicatoria a Tito l’autore sottolinea la novità della sua impresa, senza precedenti nella letteratura latina. Plinio poi parla anche agli innumerevoli termini tecnici che rendono il vocabolario eccezionalmente ricco. Egli sottolinea ii carattere tecnico-scientifico dell’opera e gli scopi pratici. Possiamo definirla un’opera compilativa perchè è il frutto di una raccolta di 20000 informazioni (lui dice che consultò 2000 volumi di autori principali). Ovviamente egli da anche un contributo, un valore aggiunto perchè era studioso. E’ un opera per noi preziosa perchè cu ha dato una quantità enorme di dati e informazioni da testi perduti. L’opera è dedicata a Tito. Nella dedica Plinio dice che dal punto di vista letterario lui non riuscì a dare una veste completamente formale all’opera perchè essa non lo consentiva. Essa però divenne una vera e propria enciclopedia da consultare. Nell’opera Plinio ammassa informazioni e enumerazioni per redigere un vero e proprio “inventario del mondo” ma non per indagare le cause dei fenomeni. Il suo atteggiamento non è del tutto acritico perchè egli si trova spesso a discutere le informazioni dei fenomeni naturali che trova esprimendo dubbi e perplessità. Rifiuta ciò che non è accettabile per il buon senso. Nel curare l’epigrammata, alcuni studiosi hanno deciso di mettere Xenia e Apophoreta come 13esimo e 14esimo libro. EPIGRAMMA L’epigramma ha una lunga tradizione nell’ambito della lirica greca. Un autore di epigrammi era stato Catullo. Infatti Catullo diventa il suo modello per grandi aspetti: nelle sue poesie aveva interpretato i casi della vita quotidiana in modo giocoso, beffardo, mordace e osceno. La sua influenza è evidente anche dalla scelta di Marziale di usare altri metri accentro al tradizionale distico elegiaco. L’epigramma ellenistico aveva mostrato la tendenza a concentrare gli elementi comici nella parte finale dei componimenti, conclusi da una battuta inaspettata. Tale tecnica viene ripresa dall’autore in modo da formare il momento di attesa e la conclusione - fulmen in clausula. Nel 3 epigramma dell’8 libro degli epigrammata egli dichiara qual è l’oggetto di interesse della sua poesia, e dice che la sua poesia parla del vero attraverso l’arbuzia (il sale) io tratto degli uomini, dei loro costumi e della vita, dei loro difetti e vizi. Alla base della sua poesia ci sta il Verum (un pò come aveva fatto Perseo, però a differenza sua non vuole fare il moralista). Marziale non vuole fare la morale a nessuno, vuole solamente far divertire al lettore. Spesso molti dei suoi versi sono osceni con termini turpi e volgari, soprattutto quando si parla di Eros. EPIGRAMMATA Gli epigrammi greci erano costituiti da una struttura bipartita: -Una prima parte di esposizione dell’argomento. Avviene con la voce narrante dell’autore e un interlocutore fittizio con cui tratta un argomento. -La parte finale con una battuta ad affetto chiamata fulmen in clausula. Molti di questi epigrammi sono ricchi di numerazioni ed elencazioni. Siccome il tema principale sono i difetti degli uomini e i loro problemi, ne deve descrive i particolari e i dettagli. OPERE 1) Il liber de spectaculis comprende una 30ina di carmi dedicati ai giochi che nell’80 d.c. inaugurarono l’anfiteatro Flavio. In quest’opera la vita di Roma viene colta nell’aspetto del divertimento e dei giochi del circo. Manca il momento adulatorio (verso il principe) e si analizzano di più gli aspetti strani e inconsueti magnificandoli. 2) Le raccolte degli Xenia e Apophoreta sono legate alla festa dei saturnali durante la quale i romani si scambiavano doni dal 17 al 23 dicembre. I componimenti di queste opere sono dei biglietti che accompagnavano questi regali. Xenia: doni di cibi e bevande. Apophoreta : doni di oggetti. Questo tipo di epigrammi hanno un linguaggio elegante ma ancora l’attenzione è esclusiva dei singoli oggetti, presentati nelle loro caratteristiche e uso, in una sorta di inventario vivace e spiritoso delle cose della vita. Questa raccolta funge da poesia di consumo e d’occasione 3) Epigrammata Tra l’86 e il 98 d.c. scrive la maggior parte dei suoi epigrammi: 11 libri della raccolta “epigrammata”. E’ la sua opera più matura e consta di 12 libri dove affronta il mondo nella sua ricchezza e complessità. Il modello a cui si ispira è Catullo. Era una poesia “legata alla realtà”. Tematiche: temi di argomento realistico attinti da situazioni semplici e quotidiane che spesso tratta enfatizzandoli sotto una veste comica. Il tema dell’eros si prestava più frequentemente a questo gioco di comicità. Gioca spesso sugli organi sessuali dell’uomo con una certa oscenità. Il mondo reale non dev’essere rappresentato obiettivamewnte ma viene reinterpretato in modo brillante e spiritoso. Molti epigrammi sono con tono encomiastico e celebrativo dedicati a princeps e personaggi potenti. Altri sono di argomento funerario, con tono pacato e triste. Spesso si rievocano immagini del passato con oggetti e luoghi. Altri dedicati all’amore che viene trattato sempre più dell’aspetto fisico e non spirituale. Altri sono autobiografici, dove spiega che lui clients non sta vivendo una vita agiata e vuole tornare a Bilbines. Quindi riprendono le idee e convinzioni dll’autore. Un pò riprende alcuni ideali tipici del rapporto tra Virgilio e la campagna o Orazio. Alcuni di critica letteraria, perchè attacca tanta poesia contemporanea che non era condivisa da lui. Parla anche dei matrimoni di interesse a Roma che venivano fatti da parte di giovani squattrinati e signore brutte ma facoltose o viceversa. Viene infatti assunta l’esperienza quotidiana ai suoi livelli più semplici e bassi. Altrettanto importanti sono i componimenti pieni di carica aggressiva con tono mordace, satirico, beffardo. In questo contesto acquista spicco l’istituto della clientela. STILE Lo stile è molto vario proprio come le tipologie di epigrammi. Siccome i temi sono variegati, passa da una scelta lessicale variegata ad uno stile più basso. Marziale dice nel primo libro degli epigrammata che la sua lingua e il suo stile tende a parlar chiaro, usando l’espressione latine loqui. Poi dice che la sua lingua è schietta usando l’espressione lascivam verborum veritatem. Ci sono le poesie encomiastiche composte in lingua e stile sostenuti e i componimenti comico-realistici nel quale il lessico è colloquiale. Il materiale linguistico viene trattato con abilità nella studiata collocazione delle parole e nell’uso di figure retoriche. IL TEMA E LO STILE La tematica della vita quotidiana si trova nella maggior parte degli epigrammi. Il mondo reale viene reinterpretato da Marziale in modo spiritoso e brillante. Altrettanto caratteristici sono gli epigrammi con una carica aggressiva che conferisce loro un tono mordace e beffardo. In questo contesto spicca l’argomento della clientela. Veniva spiegato che essi dovevano essere sempre a disposizione dei padroni ed essere dalla loro parte. • clients • Scrisse anche carmi rivolti ad amici e fanciulle, artisti e gladiatori. • componimenti encomiastici dedicati a personaggi potenti e a princeps. • Epigrammi funerari in cui l’autore traccia vivacemente luoghi e oggetti accanto alle rievocazioni del passato o di fatti curiosi • Epigrammi erotici in cui l’amore è solo un desiderio fisico • Carmi dedicati alle espressioni d’ideale, convinzioni e gusti dell’autore. • Argomenti letterari come polemiche contro i critici e riflessioni sulla letteratura L’EREDITÀ’ DI MARZIALE I suoi epigrammi ebbero un immediato successo con un grande numero di stimatori della sua poesia. Ci furono anche lamentele agli imitatori del suoi modi di scrivere e questo testimonia la sua unicità. Marziale influenzò Giovenale che riprende e sviluppa diversi motivi. Anche Giovanni Boccaccio, Oscar Wilde, Jean de La Fontaine, Voltaire, Montale lo apprezzarono particolarmente. Oggi è particolarmente apprezzato per la brevità icastica con cui rappresenta la realtà, deformandola in chiave grottesca e la battuta fulminante. POESIA CHE SA DI UOMO L’autore si sente in dovere di difendere la scelta dell’ epigramma dicendo che a fronte di contenuti delle tragedie e commedie greche che avevano come argomenti avventure e elementi tragici, quindi poco rappresentativi di una realtà vicina a noi, gli epigrammi servivano per parlare della quotidianità dell’uomo. Però questo comporta un rischio perchè chi legge le sue opere potrebbe sentirsi colpito e accusato dai suoi versi o potesse paragonarli al carattere di marziale e quindi dubitare sulla sua moralità. In quest’opera lui si rivolge a Mamurra con una sorta di recusatio, preso come bersaglio perchè amava la letteratura epica e tragica e lo invita a interessarsi a una letteratura che parlasse del vero. L’autore inizia l’opera dicendo a Mamurra in modo ironico di continuare a leggere Edipo, miti di Icaro, centauri, gorgoni e arpie… Poi chiede che giovamento può trarre da opere di fantasia. Dice di leggere gli Aitia di Callimaco ( modello di marziale in ambito della produzione alessandrina a cui si rifà lo stesso Catullo). maestro in alcune lettere dicendo che era morto prima del 98 d.c. INSTITUTIO ORATORIA E’ un trattato in 12 libri , dedicato a Vitorio Marcello funzionario di Vespasiano e Domiziano , ma in realtà in alcuni libri come il 4 e il 10 lui elogia Domiziano. Quando Quintilliano delinea la figura del retore perfetto si ispira a modelli precedenti: Catone il censore che aveva utilizzato un’espressione per definire i caratteri del retore e oratore ideale, bonus dicendi peritus (uomo buono esperto della parola); Cicerone. L’oratore prima di essere un maestro di eloquenza dev’essere impegnato politicamente e civilmente, un buon cittadino, con ideali etici e morali. Egli tratta anche della formazione. Anche Cicerone nel De Oratore aveva parlato quale doveva essere la formazione per l’oratore. La preparazione doveva essere onnicomprensiva: doveva comprendere tutto. La retorica deve essere concessa come scienza che non si limita a dormire competenze tecniche ma si propone di formare insieme con il perfetto oratore, il cittadino esemplare. All’interno di questa preparazione ha un posto anche la filosofia. A quei tempi i filosofi avevano la pretesa di rivendicare la formazione filosofica dei giovani (tutti i giovani dovevano studiare filosofia). Per Quintilliano la filosifia deve avere un piccolo spazio non grande ma neanche inesistente. La filosofia dev’essere funzionale a retore e egli deve studiarne solo il necessario. La sua posizione corrisponde a quelle sostenute da Cicerone nel De oratore. Egli guarda con un certo distacco l’attività dei filosofi perchè sono i corruttori delle menti giovanili. Queste idee vengono riprese dagli imperatori flavi come Domiziano. Struttura libri: 1 libro: Da delle nozioni di pedagogia. Egli anticipa la pedagogia moderna: dice che tra una formazione privata e una pubblica, i genitori devono preferire la formazione in una scuola statale perchè la il bambino viene a contatto con altri bambini e sviluppa delle amicizie e relazioni durature. Dice anche che un buon alunno deve avere un maestro onesto, buono e dall’alta moralità. Dice che le produzioni corporali non producono niente a livello curativo e invece spesso il gioco può essere la dimensione più stimolante per la creatività. L’atteggiamento paternalistico è quello prediletto per comprendere meglio le inclinazioni e idee del fanciullo. PARLA DELLA FORMAZIONE NELLA SCUOLA DELLA GRAMMATICA 2 libro: PARLA DEL RETORE IDEALE. 3 libro: excursus sulla storia della retorica puntando al mondo greco e analizza le varie parti che compongono un’orazione: l’inventio (reperire la documentazioni e fonti per un caso di orazione), la dispositio (disposizione degli argomenti), la elocutio (momento di esposizione), la memoria e l’atio (momento dell’azione). Ricorda i 3 tipi di orazione: giudiziario, epidittico e deliberativo. Finalità oratoria: docere, movere e delectare. 4 libro: ritratta l’inventio. 5 libro: parla dell’inventio 6 libro: si parla dell’inventio 7 libro: parla della dispositio. 8-9 libri: parlano della elocutio. Quintilliano prediligie l’ atticismo (stile sobrio meno ricco di retorica) e Asianesimo (stile artificioso, periodare ben complesso). 10 libro: lo stile oratorio deve avere la caratteristica della facilitas: dev’essere comprensibile. In questo libro inserisce una serie di opere e autori della retorica latina e esprime giudizi su di essi. Questo potrebbe essere un’anticipazione di letteratura greca e latina. Lui critica lo stile di Seneca che puntava all’asianesimo, all’uso delle minutissime sentenzie, spezzettato, poco scorrevole e lineare, dice che è corrotto. Critica Lucano con uno stile troppo retorico. Ammira gli autori classici come Virgilio, Orazio, Ovidio, Cicerone. 11 libro: parla dell’atio e della pronuntiatio ma anche dell’optum (necessità di adattare un discorso alle circostanze). 12 libro: si riprende l’idea dell’ oratore ideale e viene ripreso il modello di Cicerone e Catone il Censore. DECADENZA DELL’ORATORIA SECONDO QUINTILLIANO L’istitutio oratoria può essere considerata la somma delle teorie di retorica antica. L’autore cita numerosi fonti greche e latine discutendo le posizioni dei predecessori con equilibrio e pacatezza. L’opera però è in antitesi rispetto al periodo in cui è stata scritta: l’ oratore aveva una funzione diversa rispetto al passato. Quintilliano imposta entrambi i problemi in termini di “corruzione” e le cause delle decadenza dell’eloquenza erano di ordine tecnico (mancanza di buoni maestri ecc…) e morale. Egli individua in Cicerone il culmine dell’oratoria romana. Stupisce in uno studioso intelligente come Quintilliano, l’assoluta mancanza di prospettiva storica che lo induce a proporre modelli di eloquenza del passato repubblicano come se fossero attuabili sotto il principato. Sotto le orme di Catone, quintilliano definisce il perfetto oratore con vir bonus dice di peritus. Infatti egli non si stanca di raccomandare all’oratore moderazione e disciplina. STILE Aveva criticato aspramente lo stile di seneca e lucano: stile anticlassico e l’atticismo, per la sua semplicità spoglia. Aveva guardato con ammirazione altri esempi: cicerone. Lui critica a Seneca di utilizzare uno stile sentenzioso, spezzettato, frasi brevi, troppe figure retoriche, nervoso; di fatto il suo stile scade tra classicismo e anticlassicismo perchè prova a seguire lo stile di cicerone ma alla fine anche lui utilizza spesso delle sentenze dello stile Senecano. Aveva criticato a Seneca di appuntarsi sulla forma piuttosto che sul contenuto. Il periodare di quintilliano è meno disteso e più concentrato rispetto a Seneca. Alla fine il suo stile finisce per essere più incisivo e sintetico. Critica allo stile di Seneca di ricercare sempre il consenso del pubblico. L’obiettivo di quintilliano è di evitare una trasmissione di nozioni aride e disadorne ma di creare una certa eleganza che renda la sua espoosizione piacevole e attraente. La differenza rispetto a Cicerone si nota nella sintassi meno ampia e difesa e nella ricerca di una maggiore concentrazione di pensiero, rapidità e incisività. BRANO E’ un esempio delle idee di pedagogia di Quintilliano. Egli si pone il problema, è preferibile l’insegnamento domestico o quello della scuola pubblica? Quintilliano preferisce quello pubblico perchè gli permette di stare bene con altri scolari. Frequentare una classe stimola i ragazzi alla vita sociale. E se è vero che un buon oratore deve sapere interloquire e rivolgersi al pubblico deve avere buone capacità di socializzazione. Stimola il confronto e la sana competizione. Rispetto al pensiero comune secondo il quale la scuola pubblica poteva indurre fanciulli a frequentare ragazzi corrotti e conoscere cattivi maestri, anche l’insegnamento domestico può avere un insegnante corrotto e vizioso che non è un buon esempio. Anche la servitù può essere cattivo esempio, anche i genitori. Questi paragrafi si trovano sul primo libro. Prima aveva parlato dell’educazione destinata ai bambini dai 4 ai 7 anni. Era una scuola rudica dove si impartivano le prime nozioni per l’alfabetizzazione. Ora parla dai 7 in poi. Ma (sed: continua un discorso già intrapreso. Non è un’avversativa), (nobis: dativo etico, che vede il coinvolgimento del pronome noi. Non si traduce con un complemento di termine. Nella traduzione si traduce come noster, aggettivo possessivo di 1 pers, plu). SVETONIO Nasce nel 70 d.c. da una famiglia equestre si pensa ad Ostia, dove rivestì la carica di Pontifex del Dio Vulcano. Dalle sue biografie noi attingiamo informazioni su personaggi importanti come sugli imperatori dell’età Giulio Claudia e Flavia. Siamo nel pieno dell’età dei Flavi, governa Vespasiano. A Roma sotto l’imperatore Adriano fa il funzionario, potremmo chiamarlo sovraintendente della cultura. Fece parte dell’apparato amministrativo burocratico. Si occupò di 3 attività: • a studis: controllava la documentazione e gli archivi imperiali, questo gli consentì di poter accedere a tante informazioni. Tutta questa documentazione è una fonte molto preziosa per scrivere le biografie • ab epistulis: curava la corrispondenza di lettere che l’imperatore riceveva e inviava • A bibliothecis: cominciano a nascere le prime biblioteche e si occupava di quest’attività. • Nel 121 d.c. Adriano lo espelle dalla corte e non si sa il motivo. Ai tempi il prefetto del pretorio era Setticio Claro che aveva inserito Svetonio nella corte, ed era stato accusato di non aver trattato bene la moglie di Adriano, Sabina ed era stato allontanato dalla corte. Non si sa se anche Svetonio fu accusato della stessa cosa. Muore nel 126 d.c. o 140 d.c. scrisse diverse cose, l’opera più importante è il “de vita cesarum” e conserviamo anche alcuni frammenti del de “viris illustribus”. Si occupò di tantissimi argomenti ed ebbe tanti interessi che quasi sicuramente scrisse altro. DE VIRIS ILLUSTRIBUS L’opera ci è pervenuta solo in parte e si parlava di biografie di diverse autori ed era suddivisa in 5t categorie (vita di poeti, oratori, personaggi della storia, filosofi e grammatici e retori). Essa riprende il titolo ella raccolta di biografie di Cornelio Nepote. Ogni sezione aveva un indice e una parte introduttiva. Nella sezione che ci è pervenuta sappiamo che ci fu una parte che affrontava la grammatica e la retorica latina. Nel raccontare le biografie si diceva l’essenziale per definire il profilo di ogni autore. Ci sono pervenute 3 biografie nella sezione dei poeti: Terenzio, Orazio e Lucano. Inoltre tramite Donato,autore dell’età cristiana, sappiamo la biografia della vita di Virgilio probabilmente ripresa da Svetonio. DE VITA CAESARUM L’opera più importante è il de vita cesarum che abbiamo per intero. Racconta le vite dei 12 imperatori cesari. Si inizia con Giulio cesare e si finisce con l’ultimo esponente dell’età dei flavi, Domiziano. In realtà cesare ed augusto erano princeps, perchè regnava il principato. Però nell’idea di molti del tempo quei due avevano dettato organizzazione del potere tale da poter essere accostato ad un imperatore. Svetonio propone di far conoscere il personaggio protagonista illustrandone le azioni pubbliche ma anche le vicende, il carattere e l’aspetto. Il contenuto biografico è suddiviso in 2 parti: 1 parte: impostazione di carattere narrativo secondo un ordine cronologico (per tempora) della vita dell’imperatore. 2 parte: organizzata per sezioni (per species), raccontava i fatti e gli aneddoti dividendoli per categorie. In certi casi suddivide la descrizione in due momenti successivi. Esempio: quando parla di Domiziano o di caligola, siccome si parla di personaggi ambigui, c’è una prima fase positiva dove spiccano le qualità del princeps e una seconda parte dove si vede la pazzia dei personaggi, le scelleratezze e l’aspetto del monstrum. Quando lui si sofferma a descrivere alcuni aneddoti spesso gli piace esagerare, raccontando dei vizi e delle abitudini degli imperatori, si aggiunge il contenuto fantastico e mistico, le battute piccanti Ad esempio si narra di Domiziano che cacciava le mosche o Augusto che con l’età cercava le fanciulle vergini. Spesso si interpellavano oracoli e prodigi. Svetonio si sofferma a raccontare anche la formazione e la cultura degli imperatori: che formazione avesse, se avesse scritto poesie, la loro attività culturale e letteraria. Analizza anche aspetti giuridici e amministrativi e ci sono notizie utili per capire come funzionava lo stato a quel tempo. Non c’è da aspettarsi una biografia di grande spessore, lui racconta un po’ di tutto ma l’effetto è molto frammentario e dispersivo. Nella prima parte è molto cronachistico. La biografia presenta tecnicismi, la lingua è corretta e chiara e lo stile è asciutto senza troppa retorica e ornamenti.