Scarica DIRITTO DEL LAVORO - Santoro Passarelli (RIASSUNTO) e più Sintesi del corso in PDF di Diritto del Lavoro solo su Docsity! 1 DIRITTO DEL LAVORO Riassunto del manuale Santoro-Passarelli edizione 2022 2 INTRODUZIONE 5 Art.39: L’organizzazione sindacale è libera. (2) Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge. (3) E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. (4) I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia collettiva obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. (attenzione: si tenga presente che i commi 2, 3 e 4 dell’art.39 non sono stati ancora attuati; ad ogni modo il manuale ne parla abbondantemente, e pertanto è fondamentali tenerli presente). Art.40: Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. Nell’ambito della legge ordinaria, le fonti principali sono: a) art.1 delle preleggi b) codice civile c) statuto dei lavoratori (legge 300/1970) Con particolare riferimento alla materia del licenziamento occorre citare: 1) legge 604/1966 2) art. 18 dello statuto dei lavoratori 3) artt. 2118-2119 del codice civile 4) legge 223/1991 5) Jobs Act 2015 Infine è opportuno distinguere tra: a) Usi normativi. Si tratta di comportamenti ripetuti nel tempo da parte di una collettività che, nell’applicarli, è convinta che siano obbligatori, costituendo quindi delle norme non scritte. b) Usi aziendali. Sono comportamenti ripetuti da parte del datore di lavoro che, spontaneamente, riconosce alla generalità dei lavoratori un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto dalla legge o dalla contrattazione collettiva. 6 IL DIRITTO SINDACALE 7 Storia del diritto sindacale Appare opportuno fornire una panoramica generale circa le origini del diritto sindacale, a partire dagli ultimi anni dell’Ottocento: 1) Il diritto sindacale nasce infatti alla fine del XIX secolo nella fabbrica di tipo fordista, cioè quella basata sulle catene di montaggio. I lavoratori iniziano ad aggregarsi occasionalmente e poi, in maniera progressiva, si aggregano in forma stabile, costituendo appunto i sindacati. 2) I primi accordi collettivi, antenati degli attuali contratti collettivi, sono i concordati di tariffa, che si limitano a determinare il salario minimo (detto, appunto, tariffa). Progressivamente, poi, gli accordi collettivi si sono estesi ad altre materie, quali ad esempio le mansioni, l’orario e le sanzioni disciplinari. 3) Nei primi anni non era prevista alcuna normativa in tema di diritto sindacale, ed eventuali controversie tra lavoratori ed impresa erano risolte, secondo equità, dalla magistratura dei probiviri. 4) Nel 1906 viene istituita la Commissione interna, organismo di tutela dei lavoratori all’interno della fabbrica: si tratta di una prima forma di rappresentanza dei lavoratori all’interno dell’unità produttiva. 5) Lo sciopero, nei primi anni dell’Unità d’Italia, è un illecito penale. Tuttavia, con l’entrata in vigore del codice Zanardelli (1889) lo sciopero non sarà più un illecito penale, ma continuerà ad essere considerato un inadempimento tale da giustificare il licenziamento; sostanzialmente, il lavoratore scioperante poteva essere licenziato ma non subiva conseguenze penali. Mutamenti radicali nel diritto sindacale si possono certamente osservare nel periodo della dittatura fascista: 1) Tutte le libertà, inclusa quella sindacale, vengono progressivamente limitate. Innanzitutto, nel 1925, con il patto di Palazzo Vidoni la Confindustria riconosce il monopolio della rappresentanza sindacale alle organizzazioni fasciste, in cambio dell’eliminazione della commissione interna. 2) La legge legittimava il governo ad attribuire personalità giuridica ad un solo sindacato, a condizione che rappresentasse almeno il 10 % dei lavoratori della categoria autoritativamente determinata dallo stesso governo. 10 b) La garanzia della libertà sindacale si estende anche al lavoratore che non aderisce ad alcuna organizzazione, e che non esercita attività sindacale: è la cosiddetta libertà sindacale negativa. L’art. 15 St. Lav., infatti, considera illecita la discriminazione nei confronti del lavoratore che non aderisce ad alcuna associazione sindacale. c) L’art. 16 St. Lav. vieta trattamenti economici aventi finalità discriminatorie nei confronti dei lavoratori che aderiscono ad un determinato sindacato oppure che partecipano ad uno sciopero. Dimensione collettiva della libertà sindacale: a) L’art. 39 Cost. riconosce la libertà sindacale anche nella sua dimensione collettiva, cioè riconosce ai sindacai il diritto di organizzarsi liberamente. Ad esempio, non esiste un esplicito divieto di costituire i cosiddetti sindacati di comodo (o sindacati gialli) cioè quelli sostenuti dai datori di lavoro: l’art. 17 St. Lav vieta solo il sostegno del datore di lavoro, non la costituzione del sindacato; cioè, una volta costituito, il sindacato non può essere sciolto, ma è sufficiente che cessi l’appoggio del datore. b) I sindacati possono scegliere sia il criterio di aggregazione (sindacato di mestiere o per ramo di industria), sia la forma giuridica (associativa o non associativa). In ogni caso i sindacati non hanno personalità giuridica, stante l’inattuazione dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 39 Cost: questi commi prevedono una procedura di registrazione presso appositi uffici, ma i sindacati hanno preferito preservare la loro libertà di azione; ne consegue che i contratti collettivi non hanno efficacia erga omnes, ma sono contratti di diritto comune. c) E’ fondamentale poi rilevare che, a differenza di quanto accadeva nel periodo fascista, sono gli stessi sindacati a determinare la categoria in cui operano; pertanto, non esiste una categoria autoritativamente determinata. La categoria è determinata dalle parti, è un posterius rispetto al sindacato. 11 Occorre chiedersi, a questo punto, chi sono i titolari della libertà sindacale: 1) Sono sicuramente titolari della libertà sindacale i lavoratori subordinati, sia privati che pubblici, ed i rispettivi sindacati. Alcune limitazioni sono previste nei confronti di militari e corpi di polizia, in ragione della particolare attività. 2) Non è facile riconoscere libertà sindacale ai lavoratori autonomi, trattandosi di una categoria eterogenea. Secondo il manuale, tuttavia, potrebbe riconoscersi libertà sindacale ai lavoratori autonomi economicamente deboli, cioè senza dipendenti. 2.1) Attenzione: non si deve confondere l’ordine professionale con un sindacato. In effetti gli ordini professionali assolvono ad una mera funzione di tutela del decoro della professione e non sono certo assimilabili ai sindacati. Ad esempio, l’avvocato è un lavoratore autonomo, quindi l’ordine degli avvocati non è un sindacato. 3) Titolari della libertà sindacale sono anche gli imprenditori e le rispettive associazioni. In effetti, le relazioni sindacali sono negoziali, e quindi bilaterali. Ad ogni modo la libertà sindacale degli imprenditori non si fonda sull’art. 39 Cost., ma sul combinato disposto degli artt. 18 e 41. Resta minoritario l’orientamento secondo cui l’associazione degli imprenditori non avrebbe natura sindacale. Tra i soggetti che operano nel diritto sindacale non vanno poi dimenticati: a) Associazioni degli imprenditori. Esse si organizzano a livello categoriale (locale o nazionale) ed intercategoriale (anche europeo). A livello intercategoriale, ad esempio, tali associazioni si aggregano secondo tre grandi settori economici: industriale, agricolo e terziario. b) Enti bilaterali. Sono enti di fatto, istituiti dai contratti collettivi e costituiti dai sindacati dei lavoratori e dalle associazioni degli imprenditori, che designano i rispettivi rappresentanti. Si curano diverse materie attraverso una composizione mista e paritetica dei membri. 12 L’organizzazione sindacale I lavoratori sono liberi di costituire: a) Strutture sindacali non associative. Sono tali quelle carenti del requisito della stabilità oppure quelle che vogliono mantenere la loro libertà di azione rispetto alle associazioni sindacali. b) Strutture sindacali associative. In tal caso si tratta comunque di associazioni non riconosciute, stante l’inattuazione dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 39. In ogni caso il sindacato-associazione mantiene una sua tipicità, in virtù della natura collettiva dell’interesse perseguito, che si differenza dall’interesse comune dell’associazione ordinaria (e dall’interesse generale). L’interesse del sindacato è collettivo, o eventualmente individuale a rilevanza collettiva: il sindacato, quindi, non sarà mai portatore di un mero interesse individuale, facente capo cioè ad un singolo. Occorre precisare poi che l’interesse collettivo si distingue dall’interesse pubblico perché non riguarda la generalità dei cittadini, ma solo i lavoratori iscritti al sindacato o che comunque si riconoscono in quel sindacato; ad ogni modo il sindacato contribuisce in un certo senso anche alla realizzazione dell’interesse pubblico, ad esempio concludendo il contratto collettivo nazionale. Infine va tenuto presente che la soddisfazione dell’interesse collettivo non determina sempre e comunque la soddisfazione degli interessi dei singoli: vi può essere il sacrificio di taluni interessi individuali al fine di tutelare l’interesse collettivo; si pensi all’accordo sul licenziamento di un certo numero di operai per evitare la chiusura della fabbrica. E’ opportuno a questo punto fare alcune precisazioni: - Il funzionamento interno dei sindacati è regolato dalle disposizioni contenute negli atti costitutivi e nei relativi statuti - Il lavoratore iscritto al sindacato si obbliga ad osservare lo statuto, a pagare i contributi e ad uniformarsi alle deliberazioni sindacali. - Il lavoratore esercita i suoi diritti di associato partecipando all’approvazione delle delibere assembleari ed all’elezione degli organismi dirigenti; ad ogni modo, in concreto il lavoratore iscritto si limita ad approvare quello che decidono i dirigenti. 15 L’attività sindacale L’art. 39 Cost. non assegna al sindacato una competenza specifica e non determina l’oggetto dell’attività sindacale: ne deriva quindi che ogni attività può essere considerata sindacale, se il sindacato ha la forza di farla valere come tale. In ogni caso, assumono rilievo fondamentale i diritti e le libertà di cui ai titoli II e III dello statuto dei lavoratori: in estrema sintesi possiamo dire che il titolo secondo riconosce libertà sindacali ai singoli, mentre il titolo terzo elenca una serie di diritti e libertà riferiti alle rappresentanze sindacali (eccezion fatta per il diritto di raccogliere i contributi, riconosciuto anche ai singoli lavoratori). Il titolo II dello statuto dei lavoratori riconosce a tutti i lavoratori: 1) libertà sindacale nei luoghi di lavoro 2) diritto di costituire associazioni sindacali 3) diritto di aderire ad associazioni sindacali 4) diritto di svolgere attività sindacale 5) divieto di discriminazione Il titolo III dello statuto dei lavoratori riconosce i seguenti diritti e libertà: 1) riunirsi in assemblea 2) indire referendum 3) usufruire di permessi sindacali 4) diritto di affissione 5) utilizzo di locali destinati alle attività delle RSA 6) diritti di informazione e consultazione 7) raccolta dei contributi Diritti di informazione e consultazione: - servono a conoscere preventivamente le scelte imprenditoriali ed a tentare di condizionare tali scelte mediante il ricorso allo sciopero - dopo aver ricevuto le informazioni necessarie, le rappresentanze sindacali possono procedere con una consultazione che può concludersi con accordi 16 Diritto di riunirsi in assemblea (art. 20 st. lav.): - Si tratta del diritto di riunirsi nell’unità produttiva, durante orario di lavoro e nel limite di 10 ore retribuite. E’ garantito l’accesso dei dirigenti del sindacato esterno e dei lavoratori sospesi. - per esercitare tale diritto è necessario comunicare al datore l’ordine del giorno, concernente una materia di interesse sindacale; ad ogni modo, le materie di interesse sindacale non sono tassative, e quindi si tratta di un ampio novero. Da segnalare, infine, è che alcuni contratti collettivi prevedono un termine minimo di preavviso da dare al datore. - Il diritto di convocare l’assemblea spetta alla RSU, ma si discute la titolarità spetti solo all’organo collegiale o anche al singolo rappresentante. Nell’ambito del lavoro pubblico è necessaria una richiesta collegiale, mentre nel lavoro privato è ammessa la convocazione da parte del singolo RSU. Diritto di indire un referendum (art.21 st. lav.): - Si tratta di uno strumento di consultazione dei lavoratori all’interno dell’unità produttiva, che si svolge all’interno dell’azienda, ma al di fuori dell’orario di lavoro - Deve concernere materie di interesse sindacale, ed occorre che sia indetto dalle RSA congiuntamente per evitare strumentalizzazioni da parte delle rappresentanze, e forme di concorrenza tra le stesse. Diritto di usufruire di permessi sindacali (artt.23-24 st. lav.): - Lo statuto dei lavoratori (artt. 23-24) prevede permessi retribuiti per l’espletamento del mandato e permessi non retribuiti per la partecipazione a convegni o trattative. In ogni caso occorre comunicare al datore di lavori l’intenzione di usufruire di tali permessi almeno 24 ore prima. - I permessi di cui agli artt. 23-24 riguardano i dirigenti RSA, quindi sindacalisti endo-aziendali. Lo statuto prevede poi altri permessi retribuiti all’art.30, ma riguardano i sindacalisti extra-aziendali 17 Diritto di affissione (art. 25 st. lav.): - Il datore di lavoro deve predisporre bacheche e spazi (anche telematici) dove sia possibile, per i lavoratori, affiggere comunicati, testi e pubblicazioni di interesse sindacale. - Il datore non ha potere di rimozione: qualora riscontri gli estremi di un reato dovrà farlo presente all’autorità giudiziaria, ma non potrà procedere autonomamente a rimuovere le affissioni. Diritto di utilizzare locali aziendali (art. 27 st. lav.): Il datore deve mettere stabilmente a disposizione delle RSA un locale comune per le loro attività; ad ogni modo se nell’unità produttiva vi sono meno di 200 dipendenti, il locale è fornito su richiesta Raccolta dei contributi (art. 26 st. lav.): - Si tratta di un diritto riconosciuto sia ai singoli lavoratori che alle rappresentanze sindacali; possiamo dire che è l’unico diritto del titolo III che può essere esercitato direttamente dai lavoratori. - E’ stato eliminato l’obbligo di trattenuta in busta paga; in precedenza, infatti, i contributi sindacali erano versati al sindacato dal datore di lavoro, che tratteneva la relativa somma dallo stipendio del lavoratore. - Si discute in dottrina ed in giurisprudenza circa il caso in cui il lavoratore, per pagare i contributi sindacali, ceda al sindacato una parte della sua retribuzione. In particolare, ci si chiede si tratti di una cessione del credito o di una delegazione di pagamento: nel primo caso non occorrerebbe il consenso del datore di lavoro (considerato come debitore ceduto) mentre nel secondo caso tale consenso sarebbe necessario (il datore verrebbe qui qualificato come terzo delegato). - Le SSUU hanno qualificato la cessione della retribuzione per il pagamento dei contributi sindacali come una cessione del credito, e pertanto il datore di lavoro non può opporsi. Ne deriva che, qualora si rifiuti di procedere al pagamento, tale comportamento sarà qualificato come condotta antisindacale. 20 - Sulla base della vecchia formulazione dell’art. 19 (prima della riforma del 1995) la giurisprudenza aveva elaborato alcuni indici da cui dedurre la maggiore rappresentatività, tra cui l’inter-categorialità ed il numero di lavoratori iscritti. - Un referendum del 1995 ha abrogato l’intera lettera a), nonché alcuni incisi della lettera b). Ne deriva che ad oggi l’unico indice di rappresentatività è la stipulazione del contratto collettivo applicato nell’unità produttiva. - La nuova formulazione è stata oggetto di critiche poiché il datore, stipulando il contratto con un sindacato anziché con un altro, finirebbe per impedire a quello escluso di costituire la rappresentanza. E’ chiaro infatti che se la rappresentatività è desunta dalla conclusione del contratto collettivo, ed essendo il contratto collettivo un contratto di diritto comune dominato dalle regole del diritto privato secondo cui nessuno può essere costretto a concludere un negozio, nel momento in cui il datore di lavoro decide di non stipulare il contratto collettivo con il sindacato X, tale sindacato perderà il requisito della rappresentatività e non potrà costituire la rappresentanza aziendale. - Ad ogni modo, con la sentenza 231/2013 è intervenuta la Corte Costituzionale che ha precisato che è legittimato a costituire RSA non soltanto il sindacato che sottoscrive il contratto collettivo ma anche quello che abbia partecipato alle trattative senza poi firmarlo. Quindi è sufficiente partecipare alle trattative per essere portatori di rappresentatività e per poter, di conseguenza, costituire le rappresentanze sindacali in azienda. - Occorre allora stabilire il significato di partecipazione alle trattative. Ci viene incontro il testo unico del 2014 secondo il quale si considerano partecipanti alle trattative le associazioni che presentano i seguenti tre requisiti: 1) media del 5 % tra dato associativo e dato elettorale, ossia tra numero degli iscritti e numero di voti ottenuti alle elezioni delle RSU; 2) aver contribuito alla definizione della piattaforma contrattuale; 3) aver fatto parte della delegazione trattante. La rappresentatività nel Testo Unico sulla Rappresentanza del 2014: - Come si diceva pocanzi, col TU 2014 si introduce un criterio di misurazione della rappresentatività che consiste in una soglia numerica: 5 % come media tra dato associativo (numero di iscritti) e dato elettorale (numero di voti conseguiti alle elezioni delle RSU). In sostanza, quindi, la rappresentatività è qui considerata un presupposto per poter partecipare alle trattative; si coglie facilmente la differenza con il concetto di rappresentatività di cui all’art. 19 St. Lav., in cui al contrario la rappresentatività è il risultato della partecipazione alle trattative, e non il presupposto. Come è possibile far convivere questi due aspetti della rappresentatività? A questa domanda ha risposto la corte costituzionale nella già citata sentenza 231/2013. 21 Analizziamo allora la sentenza 231/2013: - Tra quanto affermato nel dispositivo e quanto affermato nella motivazione sembra esserci contraddittorietà circa la considerazione della partecipazione alle trattative, elemento che viene in rilievo sia come presupposto sia come indice della rappresentatività. In realtà occorre semplicemente separare l’ambito dell’art. 19 St. Lav. da quello del Testo Unico. - Quanto all’art. 19, la partecipazione alle trattative è un indice di maggiore rappresentatività, legittimando l’associazione a costituire la rappresentanza sindacale aziendale. “Ho partecipato alle trattative quindi sono maggiormente rappresentativo, e posso costituire la rappresentanza sindacale”. - Nell’ambito del Testo Unico, invece, la rappresentatività diventa presupposto per accedere alle trattative. “Sono maggiormente rappresentativo quindi posso partecipare alle trattative”. In estrema sintesi: - Nell’ambito dell’art. 19 St. Lav. (quindi per quanto concerne cl’esercizio dei diritti sindacali in azienda) la partecipazione alle trattative è un presupposto della rappresentatività. - Nell’ambito della contrattazione nazionale, ossia del procedimento che conduce alla conclusione del contratto collettivo nazionale, la rappresentatività è un presupposto per accedere alle trattative. - Quindi il concetto di rappresentatività si atteggia diversamente a seconda dell’ambito preso in considerazione: contrattazione collettiva da una parte ed esercizio dei diritti sindacali in azienda dall’altra. Occorre poi affrontare lo speculare problema della rappresentatività datoriale ai fini soprattutto della legittimazione alla contrattazione. Una proposta di legge del 2018 aveva individuato alcuni criteri di misurazione, come il numero di imprese associate, il personale impiegato, e la diffusione territoriale. Ad ogni modo non vi è stata una definizione certa. Va infine considerata la nozione di sindacato comparativamente più rappresentativo. Essa impone di selezionare i sindacati attraverso una comparazione, misurando la rappresentatività secondo un criterio quantitativo. Tuttavia non è chiaro se occorre considerare solo il numero degli iscritti oppure anche i votanti; Santoro-Passarelli ritiene più corretta la seconda ipotesi. 22 Il contratto collettivo Il contratto collettivo corporativo, tipico dell’era fascista, era considerato un atto normativo, efficace erga omnes. Questa impostazione dell’efficacia generalizzata viene confermata con la Costituzione repubblicana: l’art. 39 comma 4 legittimerebbe infatti i sindacati a stipulare contratti con efficacia per tutti gli appartenenti alla categoria a cui il contratto di riferisce. Ad ogni modo, come abbiamo già ricordato diverse volte, l’art. 39 comma 4 non ha ancora trovato attuazione, e pertanto i contratti collettivi sono soggetti alla regolamentazione propria del diritto contrattuale: si tratta quindi di un contratto collettivo di diritto comune. Di conseguenza, la disciplina del contratto collettivo è da ricercarsi necessariamente nelle disposizioni del codice civile in materia di contratti in generale. Il contratto collettivo si colloca quindi nell’area dell’autonomia privata. La sua funzione principale è quella normativa, ossia quella di pre-determinare il contenuto dei contratti individuali e di stabilire i minimi del trattamento economico. Nonostante la disciplina privatistica, il contratto collettivo presenta alcune peculiarità: a) innanzitutto una delle due parti è necessariamente un soggetto collettivo, ossia una organizzazione sindacale; b) inoltre, a differenza di quanto avviene con una funzione normativa ordinaria, il contratto collettivo non predetermina solo il contenuto dei futuri contratti individuali ma anche il contenuto di quelli in corso. Quanto alla contrattazione va preliminarmente precisato che: 1) Corollario della ricostruzione privatistica è la libertà di scelta del contraente: il datore non può essere obbligato a stipulare il contratto con un determinato sindacato, né a sedersi al tavolo delle trattative. 1.1) Ad ogni modo questo principio va temperato considerando che la sentenza 231/2013 ha affermato che la partecipazione alle trattative è un presupposto per l’esercizio dei diritti sindacali in azienda, pertanto sembra difficile negare le trattative ad un sindacato effettivamente rappresentativo. 25 Alcune indicazioni normative le troviamo riguardo alla procedura di rinnovo del contratto collettivo, disciplinata dal Protocollo 23 Luglio 1993: 1) Le parti si incontrano, per avviare le trattative, tre mesi prima della scadenza del contratto; sono previsti meccanismi di raffreddamento volti a prevenire scioperi durante le trattative. 2) Le trattative si concludono con la sottoscrizione di ipotesi di accordo, il cui testo sintetizza le reciproche concessioni delle parti. 3) Le ipotesi di accordo sono sottoposte all’approvazione dei lavoratori tramite assemblea oppure referendum: l’approvazione non è una ratifica in senso tecnico, assumendo un valore più politico che strettamente giuridico. 4) Il contratto collettivo si conclude con la sottoscrizione delle parti. Successivamente possono sottoscriverlo per adesione anche i sindacati che non hanno partecipato alle trattative. Fondamentale è l’art. 2077 c.c. che disciplina il rapporto tra contratto collettivo e contratto individuale, in una ottica di protezione del lavoratore, considerato come parte debole del contratto: 1) Le clausole meno favorevoli del contratto individuale sono invalide e sono sostituite di diritto con quelle del contratto collettivo. 2) Le clausole più favorevoli del contratto individuale prevalgono su quelle meno favorevoli del contratto collettivo. Quello appena illustrato è il criterio del cumulo, secondo cui si applicano le clausole più favorevoli dei due contratti, sommando cioè le une e le altre. Tuttavia ciò spesso non è possibile a causa delle clausole di inscindibilità, secondo cui le clausole di ogni istituto sono inscindibili. Occorrerà allora applicare il criterio del conglobamento: si deve procedere ad un raffronto tra i trattamenti complessivi previsti dal contratto individuale e quelli previsti dal contratto collettivo. Nel caso in cui si succedano nel tempo contratti collettivi del medesimo livello, le clausole del nuovo contratto si sostituiscono completamente a quelle del vecchio, sia se sono più favorevoli, sia se sono meno favorevoli. 26 Quanto alla durata del contratto collettivo è necessario distinguere: 1) Contratto collettivo a tempo indeterminato. In tal caso il contratto è destinato a produrre effetti fino a quando una delle parti non decida di recedere dal contratto stesso; ricordiamo che il recesso è l’atto con il quale, in vigenza di un contratto, una delle parti fa venire meno il rapporto giuridico di cui quel contratto è fonte. 2) Contratto collettivo a tempo determinato. Alla scadenza del termine cessa di produrre effetti, a meno che non sia presente una clausola di ultrattività o una clausola di rinnovo automatico. 2.1) La clausola di rinnovo automatico rinnova tacitamente il contratto per una durata pari a quella originariamente stabilita. Il rinnovo può essere evitato dalla disdetta. 2.2) Con la clausola di ultrattività, alla scadenza del termine del contratto, questo si trasforma in un contratto a tempo indeterminato. Occorre poi chiarire che: - Tra contratto nazionale e contratto aziendale non esiste un rapporto gerarchico, ma un rapporto di pari-ordinazione. Il rapporto gerarchico è tuttavia presente nella contrattazione collettiva nell’ambito del lavoro pubblico: il contratto di comparto (equivalente del contratto collettivo nazionale) è infatti sovra-ordinato rispetto al contratto integrativo (equivalente del contratto aziendale). - Il contratto collettivo non può essere interpretato per analogia: l’art.13 delle preleggi, infatti, vieta l’applicazione analogica dei contratti collettivi corporativi, e quindi anche dei contratti di diritto comune. - Il contratto collettivo deve essere interpretato applicando i criteri in materia di interpretazione del contratto (artt. 1361 e ss.). Ad ogni modo va considerato che nella contrattazione collettiva assumono rilevanza precipua il testo contrattuale e le note a verbale, favorendo quindi una interpretazione letterale. - In effetti, ricostruire le intenzioni dei contraenti senza limitarsi al dato letterale, così come richiede l’art.1361 c.c., è particolarmente difficoltoso; trattandosi di contraenti collettivi e non di singole persone fisiche, la principale fonte a cui aggrapparsi per interpretare il contratto collettivo è proprio la lettera del contratto e ciò che si trova scritto sui verbali delle trattative. 27 Tra legge e contratto collettivo vi può essere, alternativamente: 1) Rapporto di gerarchia. 2) Rapporto di integrazione funzionale. Sul rapporto di gerarchia possiamo evidenziare che: - Il contratto collettivo non può peggiorare i livelli di trattamento e le condizioni stabilite direttamente dal legislatore; le clausole che si ponessero in contrasto con norme inderogabili sarebbero nulle ai sensi dell’art. 1418 c.c. - E’ normalmente ammessa la deroga in melius della disciplina legale da parte del contratto collettivo: è il cosiddetto principio del favor. Ad ogni modo anche la deroga in melius è vietata se la legge prevede una inderogabilità assoluta: si pensi ad esempio all’art. 2120 c.c. che stabilisce un divisore inderogabile di 13,5 per il calcolo del TFR. Sul rapporto di integrazione funzionale occorre ricordare che: Si tratta di rapporti incentrati su rinvii operati dalla legge alla disciplina pattizia: si pensi per esempio al rinvio alla contrattazione collettiva nell’individuazione delle prestazioni indispensabili nell’ambito dello sciopero nei servizi pubblici essenziali. In particolare possiamo distinguere: 1) Rinvii in funzione integrativa. La legge detta una regolamentazione ma affida al contratto collettivo il compito di integrarla: ad esempio ai contratti collettivi è rimessa la disciplina dell’apprendistato, rispetto alla quale la legge detta soltanto una regolamentazione di principio. 2) Rinvii in funzione autorizzatoria. La legge rimette al contratto collettivo una valutazione circa la percorribilità di determinate soluzione: si pensi, ad esempio, all’installazione di impianti audiovisivi che possono comportare il controllo a distanza dell’attività lavorativa. 3) Rinvii in funzione derogatoria. La legge detta una normativa ed al tempo stesso abilita il contratto a stabilire una disciplina peggiorativa. 30 -Chiaramente, in assenza di una delega espressa a disciplinare una determinata materia, il contratto aziendale non potrà dettare alcuna regolamentazione. Inoltre, secondo il principio del ne bis in idem, la contrattazione aziendale non può riproporre questioni che siano già state negoziate a più alti livelli di contrattazione. - La delega presuppone che la materia non sia regolata dalla contrattazione nazionale o dalla legge. La deroga, prevista dalla contrattazione di prossimità, riguarda invece materia già disciplinate dal contratto nazionale e dalla legge. Ecco che quindi non bisogna confondere le materie delegate da quelle derogate. - Il fatto che la contrattazione aziendale possa svolgersi solo sulle materie delegate non è sintomo di una sotto-ordinazione gerarchica rispetto al contratto nazionale. In effetti, non è prevista una nullità delle clausole difformi, in quanto le clausole contrattuali, sia nazionali che aziendali, non hanno efficacia reale. - In estrema sintesi, possiamo dire che tra contratto nazionale e contratto aziendale vi è una gerarchia solo apparente, perché le difformità delle clausole del secondo rispetto al primo non comportano una nullità, stante l’inefficacia reale di entrambe le clausole. - Come vedremo, nell’ambito del lavoro pubblico vi è invece una vera e propria gerarchia, tanto che se il contratto integrativo (equivalente del contratto aziendale) non rispetta quanto stabilito dal contratto di comparto (equivalente del contratto nazionale), le clausole difformi sono nulle ex art. 1418 c.c. 31 Lo sciopero Lo sciopero è una forma di lotta sindacale, elevata a rango di diritto costituzionale dall’art. 40 Cost., norma che rinvia al legislatore ordinario il compito di regolarne le modalità di esercizio. Tuttavia la norma costituzionale è considerata immediatamente precettiva, e non vi è alcuna norma di rango ordinario che regoli la materia: ne consegue che un ruolo fondamentale è stato svolto dalla giurisprudenza, soprattutto costituzionale, in funzione di supplenza del legislatore. Diamo innanzitutto un breve sguardo alla evoluzione storica dello sciopero: 1) Il codice penale sardo considerava lo sciopero un illecito penale 2) Il codice Zanardelli depenalizzò lo sciopero, che tuttavia restò un inadempimento 3) Il codice Rocco tornò a reprimere lo sciopero con gli artt. 502-505. 4) Con la Costituzione repubblicana lo sciopero viene elevato a rango di diritto 5) La giurisprudenza costituzionale interviene sulla legittimità degli artt. 502-505 In particolare, il Codice Rocco prevedeva: a) sciopero per fini contrattuali (502) b) sciopero per fine politico (503) c) sciopero per costringere la pubblica autorità ad emettere o omettere un provvedimento (504) d) sciopero di protesta o di solidarietà (505) Qualificazioni dello sciopero dolo la Costituzione repubblicana: 1) Inizialmente lo sciopero viene qualificato come astensione dal lavoro per la tutela di un interesse economico professionale. Pertanto il diritto di sciopero viene limitato all’ambito contrattuale, nell’area del rapporto tra lavoratore e datore di lavoro: in breve, è un diritto solo lo sciopero per fini contrattuali, con conseguente illegittimità dell’art. 502 c.p. 1.1) In particolare, negli anni ’60 lo sciopero viene qualificato da Francesco Santoro- Passarelli come diritto potestativo, collocando quindi il datore di lavoro in una posizione di soggezione. Ad ogni modo, secondo Giuseppe Santoro-Passarelli si tratta di una ricostruzione forzata, perché vi è da considerare che il datore, a fronte della sospensione dell’obbligazione di lavorate, è legittimato a sospendere la sua obbligazione retributiva. 2) Successivamente, lo sciopero viene qualificato come diritto assoluto della persona. In questa ottica, esso diviene uno strumento che garantisce l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Questa ricostruzione dottrinale viene confermata dalla giurisprudenza. 32 E’ necessario a questo punto analizzare qual è stata l’evoluzione della giurisprudenza costituzionale in materia di sciopero: 1) Nel 1959 la Cassazione riconosce la liceità penale dello sciopero per fini contrattuali. E nel 1960 la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità dell’art.502 c.p., per contrasto con l’art. 40 Cost. 1.1) In questo primo momento, la sola forma legittima di sciopero è quello economico, cioè quello posto in essere per la tutela di un interesse economico del lavoratore nei confronti del datore di lavoro. 2) Successivamente la Corte Costituzionale ha ricompreso nell’area di liceità segnata dall’art. 40 non solo lo sciopero economico, ma anche quello di imposizione politico-economica, posto in essere cioè per rivendicare diritti nei confronti dei pubblici poteri. Tale sciopero si inscrive sempre nell’ambito dello sciopero per fini contrattuali, perché riguarda comunque la tutela di un interesse economico del lavoratore. 3) Infine si arriva a riconoscere la legittimità dello sciopero politico in senso stretto, esercitato cioè contro atti politici del governo a prescindere dalla tutela di un interesse economico. La Corte Costituzionale afferma infatti che lo sciopero è uno strumento tipicamente democratico che consente al lavoratore un’attività di partecipazione alla vita nazionale. 3.1) Lo sciopero politico viene considerato lecito, ma non elevato a rango di diritto. Ne consegue che, ad una prima impressione, dovrebbe essere considerato una forma di inadempimento, tale da giustificare sanzioni disciplinari o addirittura il licenziamento. Ad ogni modo si deve tener presente che punire un lavoratore scioperante sarebbe un comportamento antisindacale ai sensi dell’art. 28 St. Lav., in quanto lo sciopero politico, pur non essendo qualificabile come diritto, costituisce comunque libero esercizio dell’attività sindacale. 3.2) Lo sciopero politico resta un illecito penale, ai sensi dell’art. 503, solo quando sia diretto a sovvertire l’ordinamento costituzionale o tenti di ostacolare il libero esercizio della sovranità popolare. La norma, pertanto, è stata dichiarata solo parzialmente illegittima (mentre l’art. 502 è oggi totalmente incostituzionale). 4) Stessa sorte dell’art. 503 (parziale illegittimità, e negli stessi termini) ha avuto l’art. 504. Resta invece pienamente operativo (o quasi) l’art. 505. 35 5) Sciopero del cottimo. Si verifica quando i lavoratori riducono il rendimento al minimo dovuto, senza violare l’obbligo di collaborazione. 6) Sciopero pignolo. Consiste nell’applicazione pedantesca e pretestuosa delle disposizioni regolamentari, con l’intento di rallentare i tempi dell’attività lavorativa. 7) Picchettaggio. Si tratta dell’azione di un gruppo di lavoratori scioperanti che, dinanzi al luogo di lavoro, impediscono l’accesso ai dipendenti che non aderiscono allo sciopero; tale forma di lotta sindacale è lecita purché ovviamente non integri ipotesi di violenza privata o minaccia. Sono forme illecite di lotta sindacale: 1) Occupazione d’azienda. Rientra nella previsione di cui all’art. 508 comma 1 del codice penale, giustificato dal fatto che l’esercizio del diritto di sciopero non necessita dell’occupazione fisica di un’azienda. 1.1) Va considerato tuttavia che la norma richiede un dolo specifico (“al solo scopo di impedire o turbare il normale svolgimento del lavoro”), pertanto il reato si configura solo quando l’occupazione è posta in essere nel momento in cui l’attività non è già stata sospesa dallo sciopero; viceversa, se lo sciopero è già in atto, l’occupazione non ha rilevanza penale. 2) Sabotaggio. Consiste nel danneggiamento di attrezzi, macchine o strumenti dell’azienda, e configura il reato di cui all’art. 508 comma 2. 3) Blocco delle merci. Può costituire il reato di violenza privata nel momento in cui si impedisce agli autotrasportatori di entrare in azienda. 4) Blocco stradale e disturbo della quiete pubblica. Alcune sentenze hanno considerato illeciti tali comportamenti, ad esempio nel caso dell’uso assordante di fischietti durante manifestazioni sindacali. 6) Boicottaggio. E’ penalmente sanzionato dall’art. 507 c.p. e si configura quando i lavoratori inducono altri soggetti a non avere rapporti lavorativi o commerciali con il datore. La corte costituzionale ha tuttavia precisato che non rientra nell’ambito della predetta norma penale il caso della mera cattiva propaganda dei lavoratori contro il datore. 36 Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali Lo sciopero nei servizi pubblici essenziali è espressamente regolato dalla legge (precisamente dalla l.146/1990) in quanto viene ad incidere su altri diritti costituzionalmente garantiti. In ogni caso, già prima della citata legge, la giurisprudenza della Corte Costituzionale era stata fondamentale nel chiarire alcuni aspetti della materia, in particolare nella definizione di “servizio pubblico essenziale”. Consolidata giurisprudenza ritiene che sono essenziali quei servizi di preminente interesse generale, diretti a garantire valori fondamentali legati all’integrità della vita e della sicurezza. E’ fondamentale quindi garantire alcune prestazioni indispensabili, che non possono essere compresse dal diritto di sciopero, il quale trova quindi una limitazione. Occorre preliminarmente chiarire che: - Le limitazioni valgono anche nell’ambito dei servizi strumentali a quelli essenziali, cioè funzionalmente collegati ad essi, la cui sospensione può pregiudicare l’erogazione del servizio: si pensi, per esempio, all’assistenza tecnica ai radar in aeroporto, che è un servizio strumentale a quello essenziale del traffico aereo, espressione della libertà di circolazione. - La regolamentazione della materia non riguarda solo i sindacati che indicono lo sciopero ed i lavoratori che vi aderiscono, ma anche le imprese erogatrici dei servizi essenziali, che sono ad esempio tenute ad una serie di comunicazioni nei confronti degli utenti e devono assicurare le prestazioni indispensabili. - La legge 146/1990 elenca i diritti che non possono essere compromessi dallo sciopero ed i servizi funzionali alla loro soddisfazione. La legge sottolinea poi che le norme si applicano non solo per i lavoratori subordinati, ma anche per lavoratori autonomi, professionisti e piccoli imprenditori. Insomma, qualunque sia la natura del rapporto, nell’ambito di un servizio pubblico essenziale occorre sempre garantire alcune prestazioni indispensabili. 37 Vi sono quindi alcune limitazioni all’esercizio del diritto di sciopero nell’ambito del servizi pubblici essenziali: 1) procedure di raffreddamento e conciliazione 2) obbligo di preavviso 3) obbligo di comunicare data, durata e modalità 4) divieto dell’effetto annuncio 5) rispetto di regole di rarefazione 6) divieto di concomitanza 7) eseguire le prestazioni indispensabili Procedure di raffreddamento e conciliazione: Si tratta di procedure che intervengono quando è già in essere uno stato di agitazione, e sono finalizzate a risolvere il conflitto prima di giungere allo sciopero, cercando di tutelare l’utenza del servizio che sarebbe sospeso. In sostanza si prova ad evitare lo sciopero. Obbligo di preavviso: Consente all’utente di organizzarsi in vista della sospensione del servizio, e permette all’erogatore di preparare le modalità di esecuzione delle prestazioni indispensabili. Si tratta quindi di un requisito che tutela sia i cittadini sia l’erogatore del servizio. Obbligo di comunicazione: Si deve comunicare per iscritto la data, le modalità e le motivazioni dello sciopero. La comunicazione è indirizzata al datore di lavoro ed al Presidente del Consiglio dei Ministri oppure al Prefetto, a seconda della rilevanza territoriale; questi poi a loro volta trasmettono la comunicazione alla Commissione di Garanzia. Inoltre occorre ricordare che le amministrazioni e le imprese erogatrici sono tenute ad una serie di comunicazioni nei confronti degli utenti. Divieto dell’effetto annuncio: Si tratta della revoca dello sciopero già proclamato, dopo che ne è stata data informazione all’utenza. Costituisce una forma sleale di condotta sindacale che può essere censurata dalla Commissione di garanzia, nonché in giudizio su iniziativa delle associazioni degli utenti. 40 - L’ordinanza può prevedere, alternativamente, un differimento o una riduzione dell’astensione; oppure l’introduzione di misure idonee a garantire livelli di prestazioni compatibili con la salvaguardia dei diritti fondamentali. - Contro l’ordinanza può essere proposto, entro 5 giorni, ricorso al TAR. Il ricorso non sospende automaticamente l’ordinanza: sarà eventualmente il Tribunale a disporre la sospensione alla prima udienza utile. - Qualora non rispettino l’ordinanza, sono previste sanzioni a carico sia dei soggetti individuali sia dei soggetti collettivi. Si tratta di sanzioni pecuniarie o interdittive. 41 La serrata La serrata è una forma di lotta sindacale dell’imprenditore, e consiste nella chiusura totale o parziale dei luoghi di lavoro e nella conseguente sospensione dell’attività lavorativa. Il lavoratore mantiene il proprio diritto alla retribuzione, pur non eseguendo la prestazione, in quanto la mancata esecuzione non è a lui imputabile. Ciò significa che, in ogni caso, la serrata non è equiparata allo sciopero, perché continua ad essere considerato un inadempimento, una ipotesi di mora del creditore; fa eccezione la serrata dei piccoli imprenditori senza dipendenti che, proprio per l’assenza di lavoratori, viene equiparata allo sciopero. Alcune forme di serrata sono tutt’ora considerate illeciti penali, come ad esempio la serrata di protesta o di solidarietà. In breve, come ha precisato la Corte Costituzionale, solo la serrata per fini contrattuali è penalmente lecita, rappresentando una manifestazione della libertà sindacale di cui all’art. 39 Cost. (restando, comunque, una ipotesi di inadempimento). La libertà costituzionale di serrata, quindi, opera solo nel quadro dei rapporti tra lavoratore e datore di lavoro: al di fuori di tale ambito la serrata, oltre ad essere ovviamente considerata un inadempimento, configura anche un illecito penale. In sintesi, la serrata che viene in rilievo come forma lecita di lotta sindacale è unicamente la serrata per fini contrattuali. Più precisamente, sono forme di serrata per fini contrattuali: 1) Serrata offensiva: vuole modificare condizioni contrattuali a danno dei lavoratori 2) Serrata difensiva: vuole scoraggiare i lavoratori a chiedere condizioni più favorevoli 3) Serrata di ritorsione: reazione a modi pretestuosi di lotta sindacale dei lavoratori La serrata può rilevare come comportamento antisindacale, qualora essa impedisca l’esercizio dell’attività sindacale. Si pensi, per esempio, alla chiusura dell’azienda proprio nel giorno in cui si sarebbe dovuta svolgere l’assemblea. E’ consentita invece la serrata durante le ipotesi di sciopero a singhiozzo e sciopero a scacchiera. Cioè il datore può rifiutare la prestazione dei lavoratori non scioperanti quando questa risulti oggettivamente inutile al datore di lavoro. 42 La condotta antisindacale L’art. 28 St. Lav. legittima il giudice a reprimere ogni comportamento del datore di lavoro volto ad impedire o a limitare l’esercizio dell’attività sindacale, incluso il diritto di sciopero. La norma è rilevante ed estremamente innovativa in quanto introduce una tutela giurisdizionale in un’area tradizionalmente dedicata ai rapporti tra privati. Si tratta di una norma in bianco perché non definisce una fattispecie specifica. I beni tutelati, in effetti, possono essere lesi da una varietà di condotte che mal si prestano ad una determinazione tassativa. Il legislatore ha quindi optato per una definizione aperta che vieta tutte le condotte oggettivamente idonee ad offendere il libero esercizio dell’attività sindacale. Non occorre neanche dimostrare l’intenzionalità di ledere l’attività sindacale. Leggendo la norma appare sufficiente che la condotta sia potenzialmente idonea a ledere parzialmente il bene protetto, senza che si verifichi necessariamente la lesione; un certo orientamento giurisprudenziale (confermato da una sentenza del 2021) ritiene però indispensabile la sussistenza di una lesione. In ogni caso, gli effetti della condotta devono essere attuali, cioè devono persistere al momento della presentazione della domanda giudiziale. Va precisato che la condotta antisindacale non si configura quando il datore semplicemente rifiuta le proposte del sindacato (ad esempio se non accetta una clausola da inserire nel contratto collettivo). La condotta è considerata antisindacale quando il datore si oppone al conflitto. Ma vediamo alcuni esempi di condotta antisindacale: 1) assunzione di altri lavoratori in luogo di quelli scioperanti (crumiraggio esterno) 2) sostituzione di scioperanti con personale di livello superiore in violazione delle disposizioni di cui all’art.2103 c.c. 3) omessa consultazione delle RSA in caso di trasferimento di azienda 4) serrata che impedisce l’esercizio dell’attività sindacale La tutela di cui all’art. 28 St. Lav. è al contempo: a) inibitoria: comporta la cessazione della condotta b) ripristinatoria: comporta la rimozione degli effetti 45 Il diritto sindacale nel lavoro pubblico Passiamo ora ad analizzare il diritto sindacale nel lavoro pubblico, in cui troviamo diverse peculiarità. Innanzitutto possiamo ricordare che la legge prevede che in ciascuna amministrazione siano costituite RSA su iniziativa delle organizzazioni sindacali ammesse alle trattative per la sottoscrizione dei contratti collettivi: è chiara quindi la differenza col settore privato, dove le RSA sono costituite su iniziativa dei lavoratori. Nelle amministrazioni con più di 15 dipendenti deve essere costituito, sempre su iniziativa delle organizzazioni sindacali, un organismo di rappresentanza unitaria, ossia un collegio RSU. Si noti innanzitutto come la costituzione della rappresentanza non sia una facoltà, bensì un obbligo. E’ necessario a questo punto dare uno sguardo alla contrattazione collettiva: - Alle trattative sono ammesse le organizzazioni sindacali che abbiano una rappresentatività non inferiore al 5 % nel comparto di contrattazione. Il contratto può essere legittimamente stipulato quando sia sottoscritto da sindacati che nel loro complesso realizzano un indice di rappresentatività del 51 % come media tra dato associativo e dato elettorale, oppure del 60 % se si assume il solo dato elettorale. - Il contratto collettivo nel settore pubblico ha un’efficacia generalizzata. Infatti la legge impone alle amministrazioni di adempiere agli obblighi assunti con i contratti nazionali o integrativi e di assicurarne l’osservanza nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti. Sostanzialmente, quindi, le amministrazioni sono tenute, tutte, al rispetto di quanto previsto dalla contrattazione collettiva. - Tale efficacia generalizzata discende dal fatto che la controparte dei sindacati dei lavoratori pubblici è l’ARAN, la quale rappresenta tutte le pubbliche amministrazioni agli effetti della contrattazione collettiva. L’ARAN è infatti un’agenzia che rappresenta legalmente le pubbliche amministrazioni agli effetti della contrattazione collettiva. Essa tuttavia non decide autonomamente ma è sottoposta al potere di indirizzo di comitati di settore (espressione delle diverse amministrazioni) che indicano all’ARAN gli obiettivi che deve perseguire. 46 Possiamo distinguere tre contratti gerarchicamente ordinati: 1) In primo luogo abbiamo i contratti collettivi nazionali quadro. Sono equivalenti agli accordi interconfederali, e definiscono i comparti di contrattazione. Tali comparti raggruppano le amministrazioni di settori omogenei o affini, equivalenti quindi alle categorie (esempio: comparto istruzione). 2) Una volta definiti i comparti, in ogni comparto i sindacati e l’ARAN concludono un contratto di comparto, equivalente al contratto collettivo nazionale. 3) Ogni amministrazione che rientra nel comparto, conclude poi un contratto integrativo, equivalente del contratto aziendale. Va subito rilevato che le pubbliche amministrazioni non possono sottoscrivere un contratto integrativo in contrasto con i vincoli e con i limiti imposti dal contratto di comparto o che disciplinano materie non espressamente delegate. In sintesi la legge rimette al contratto di comparto la determinazione delle materie in cui può intervenire la contrattazione integrativa. Andiamo ora ad analizzare quali sono le fasi della procedura di contrattazione: 1) Prima di tutto occorre verificare la copertura finanziaria. Il Ministro dell’Economia quantifica l’onere derivante dalla contrattazione con un’apposita norma da inserire nella legge di bilancio. 2) I comitati di settore formulano atti di indirizzo politico nei confronti dell’ARAN. Quest’ultima, a sua volta, trasmette ai comitati le ipotesi di accordo, al fine di ottenere una pronuncia favorevole. 3) La Corte dei Conti deve certificare la compatibilità dei costi con il bilancio dello Stato. Essa delibera entro 15 giorni e, se la pronuncia è positiva, l’ARAN potrà formalmente sottoscrivere il contratto. Il contratto può essere sottoscritto anche nel caso in cui la certificazione negativa è limitata ad alcune clausole, ferma restando ovviamente l’inefficacia di tali clausole non positivamente certificate. 47 E’ necessario ricordare che la contrattazione nel settore pubblico è tenuta a farsi carico anche di interessi diversi da quelli delle parti. Ma non si tratta di limiti funzionali, bensì esterni, che circoscrivono l’ambito di liceità della contrattazione: in sintesi il contratto collettivo non è chiamato a realizzare l’interesse pubblico, ma non può svolgersi in contrasto con esso. In conclusione occorre sintetizzare le differenze del diritto sindacale nella pubblica amministrazione rispetto a quello in ambito privato: 1) La procedura di contrattazione è espressamente prevista dalla legge 2) Il contratto integrativo deve uniformarsi al contratto di comparto, tanto che le clausole difformi sono sostituite di diritto ai sensi degli artt. 1339 e 1419 comma 2 c.c. 2) I contratti collettivi nel settore pubblico sono pubblicati in gazzetta ufficiale, e pertanto possiamo considerarli contratti nominati 3) Le RSA sono costituite su iniziativa delle organizzazioni sindacali 50 IL LAVORO SUBORDINATO 51 Il lavoro subordinato Oggi il rapporto di lavoro subordinato è governato dal cosiddetto sistema delle tutele crescenti (d.lgs. 23/2015), secondo cui, a seguito di un licenziamento illegittimo, non opera più il rimedio della reintegrazione, ma una tutela indennitaria la cui entità cresce in ragione dell’anzianità di servizio maturata dal lavoratore illegittimamente licenziato. La forma comune di lavoro subordinato è il rapporto a tempo pieno ed indeterminato. Tuttavia negli ultimi anni si sono moltiplicate altre tipologie contrattuali, basate su rapporti di lavoro più flessibili: tempo determinato, tempo parziale, lavoro agile, e così via. Il motivo del ricorso a tali forme flessibili va rintracciato soprattutto nei minori costi in termini di contribuzione. In controtendenza, rispetto agli ultimi anni, si pone il Decreto Dignità del 2018, che rende più difficile l’uso del contratto a tempo determinato oltre i 12 mesi (prevedendo specifiche causali), con l’obiettivo di contrastare la precarizzazione. Tale finalità, tuttavia, è stata raggiunta solo parzialmente, perché al termine dei 12 mesi il datore di lavoro, pur di non assumere il soggetto a tempo indeterminato, preferisce prendere alle proprie dipendenze un altro lavoratore per altri 12 mesi, e così via. Con il d.lgs. 81/2015 il legislatore ha deciso di ricondurre alla disciplina del lavoro subordinato anche quelle collaborazioni che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente (le cosiddette collaborazioni organizzate dal committente, di cui parleremo più avanti). Occorre innanzitutto tracciare una linea di confine tra lavoro subordinato e lavoro autonomo. Una prima distinzione è possibile ritrovarla nella risalente distinzione civilistica tra: a) Locatio operarum. Il prestatore soddisfa un interesse durevole del datore, mettendogli a disposizione le proprie energie lavorative; l’interesse del datore non è uno specifico risultato, ma la prestazione del lavoratore. (lavoro subordinato) b) Locatio operis. Il prestatore si obbliga a compiere un’opera; il datore è interessato al risultato, non alla prestazione in sé e per sé considerata. (lavoro autonomo) 52 Nel 1901 fu Barassi ad individuare il tratto identificativo della locatio operarum (lavoro subordinato) nella subordinazione del lavoratore rispetto al datore di lavoro; così il diritto del lavoro inizia a staccarsi dal diritto dei beni, prendendo atto che il lavoratore non impiega nel rapporto di lavoro il suo patrimonio, ma la sua persona. Tra le particolarità della disciplina va ricordato che, mentre il prestatore di lavoro è sempre una persona fisica, il datore di lavoro può essere anche una persona giuridica o comunque un ente dotato di soggettività. Le caratteristiche fondamentali del prestatore di lavoro subordinato sono efficacemente delineate dall’art. 2094 c.c.: - si obbliga, mediante retribuzione a collaborare nell’impresa - presta il proprio lavoro manuale o intellettuale… - …alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore Occorre chiarire il significato delle seguenti espressioni: a) Sotto la direzione: il datore ha il potere di determinare le modalità di esecuzione della prestazione (subordinazione tecnica). b) Alle dipendenze: idoneità del prestatore a soddisfare l’interesse del datore (subordinazione funzionale) c) Collaborare: soddisfa l’interesse del datore al coordinamento ed all’organizzazione dell’attività lavorativa; non si risolve nel mero svolgimento delle mansioni, ma nello svolgerle in modo tale ad essere utile al risultato perseguito. Non è sempre agevole accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro, soprattutto nella linea di confine rispetto al lavoro autonomo. La dottrina ha allora ideato vari criteri identificativi (indici di subordinazione), ma nessuno di essi è apparso da solo sufficiente; eppure, tutti insieme considerati, possono essere utili per accertare se il rapporto sia subordinato o meno. 55 Contratto e rapporto di lavoro Vediamo ora quali sono gli elementi essenziali del contratto di lavoro subordinato: a) Accordo delle parti. E’ un contratto consensuale, pur essendovi dei limiti posti dalla contrattazione collettiva. b) Causa. Si identifica nello scambio tra prestazione e retribuzione: è quindi un contratto a prestazioni corrispettive, dove però la corrispettività non è piena, in quanto la retribuzione deve essere proporzionata e sufficiente. c) Forma. Non si richiede una forma particolare ma occorre comunque comunicare al centro dell’impiego l’avvenuta stipulazione; pertanto lascerà sempre una traccia scritta. d) Oggetto. E’ costituito dalle mansioni e dalla retribuzione. e) Onerosità. Si tratta di un contratto oneroso, perché prevede una retribuzione; il lavoro gratuito non è illecito, ma costituisce un contratto innominato ai sensi dell’art. 1322 (quindi al di fuori dell’ambito dell’art. 2094). Età minima di accesso al lavoro: - Il lavoratore acquista la capacità di stipulare il contratto di lavoro al compimento del diciottesimo anno di età, fatte salve leggi speciali che prevedono deroghe. - L’età minima di accesso al lavoro non può essere comunque inferiore al sedicesimo anno di età, e coincide con la cessazione del periodo di istruzione obbligatoria. In ogni caso, è sempre vietato il lavoro notturno, e si prevede una disciplina particolare per orario, riposi e ferie. - Previa autorizzazione dell’Ispettorato del lavoro, ed assenso scritto degli esercenti la responsabilità genitoriale, è ammesso, in determinati settori (come quelli dello spettacolo), l’impiego di minori di 16 anni. 56 Il patto di prova: - E’ l’accordo mediante il quale un soggetto presta un’attività lavorativa per un tempo limitato, al fine di essere poi valutato per un’assunzione definitiva. L’assunzione diviene definitiva se nessuna delle parti esercita il recesso entro il termine (6 mesi); il periodo di lavoro già prestato è computato nell’anzianità di servizio. - Può avere durata massima di 6 mesi. In questo tempo è ammesso il recesso libero ex art. 2118, salvo che sia stata convenuta una durata minima; il recesso è illegittimo se il prestatore dimostra che la scarsità dei compiti assegnati ha reso impossibile una valutazione per l’assunzione. L’origine contrattuale del rapporto di lavoro non è messa in discussione neanche in caso di prestazione di fatto, in quanto si presuppone pur sempre un contratto invalido. In tal modo, si garantisce la tutela dei diritti che il lavoratore avrebbe maturato nel corso dell’esecuzione del rapporto qualora vi fosse stato un contratto valido. Il lavoratore non è tutelato solo nel caso in cui l’invalidità del contratto derivi dall’illiceità dell’oggetto della causa. 57 Il lavoro irregolare Una ipotesi di lavoro irregolare si configura quando un rapporto di lavoro viene instaurato in violazione degli obblighi vigenti in materia amministrativa, fiscale, previdenziale ed assicurativa. A vigilare su eventuali violazioni vi è un’apposita agenzia, istituita nel 2015, ossia l’Ispettorato Nazionale del lavoro. Ispettorato Nazionale del Lavoro: - E’ un’agenzia con personalità di diritto pubblico che gode di grande autonomia organizzativa e di bilancio, pur essendo posta sotto la vigilanza del Ministero del Lavoro. Tale organo coordina i servizi di ispezione del Ministero, dell’INPS e dell’INAIL. - Nell’esercizio della funzione di vigilanza, gli ispettori operano in qualità di ufficiali di polizia giudiziaria, avendo potere di accertamento di eventuali infrazioni compiute dal datore di lavoro. Sono previste, ad esempio, maxi-sanzioni per il lavoro nero, cioè per l’impiego di lavoratori senza comunicazione dell’instaurazione del rapporto. - L’attività di vigilanza dell’INL si effettua mediante: accesso ai luoghi; esame della documentazione dell’azienda; acquisizione di dichiarazioni di datore e lavoratori. L’Ispettorato ha competenza poi per quanto concerne due importanti istituti: 1) Diffida accertativa. Quando si accerta un’inosservanza derivante da una scorretta applicazione del contratto collettivo, e risulta un credito pecuniario a favore dei lavoratori, gli ispettori diffidano il datore a corrispondere gli importi dovuti. 2) Conciliazione monocratica. Consiste nella possibilità di transigere in via amministrativa su questioni di natura retributiva e contributiva. 60 Potere di attivare la sospensione cautelare: - La sospensione cautelare è una misura di carattere provvisorio e strumentale all’accertamento di possibili responsabilità penali o disciplinari di un dipendente; si tratta di un istituto a cui ricorrere con estrema cautela, in presenza di fatti tali da non consentire la prosecuzione del rapporto nemmeno provvisoriamente. - Tale misura viene infatti solitamente attivata in situazioni tali da comportare un licenziamento per giusta causa, estinguendo poi il rapporto in tronco. - L’istituto in esame produce effetti solo per il tempo necessario all’esaurimento del processo penale o disciplinare. Il lavoratore, tuttavia, non perde il diritto alla retribuzione e tutti gli altri diritti connessi all’anzianità di servizio. Potere di recesso: - La forma comune di recesso è l’art. 2118 c.c., il licenziamento libero, senza causali, con il solo obbligo di preavviso. Si tratta di un negozio unilaterale recettizio che acquista efficacia al momento della conoscenza da parte del destinatario. - Come vedremo meglio nella parte dedicata ai licenziamenti, oggi l’operatività dell’art.2118 è assai limitata. I licenziamenti sono infatti regolati soprattutto dalla legge 604/1966, dalla legge 300/1970 (St. Lav.) e dalla legge 223/1991. 61 Il potere di controllo Il potere di controllo si distingue dal potere direttivo perché mentre, mentre quest’ultimo è indirizzato a determinare termini e modi della prestazione, il potere di controllo è diretto a verificare l’esatto adempimento della prestazione o a tutelare il patrimonio aziendale, ed è limitato da norme dello St. Lav. Lo statuto dei lavoratori delimita il potere di controllo ai seguenti casi: 1) tutela del patrimonio aziendale mediante le guardie giurate o impianti tecnologici 2) controllo del corretto svolgimento della prestazione mediante personale di vigilanza o altri strumenti a distanza 3) verifica dell’effettivo stato di malattia del personale, effettuando controlli mediante medici del servizio sanitario nazionale; in tale ambito si prevede, in capo al prestatore, l’obbligo di repetibilità in determinate fasce orarie. Occorre sottolineare che l’installazione di impianti di controllo è consentita solo per determinate ragione (che tra poco illustreremo) ed è pertanto vietata quando la sua finalità esclusiva è il controllo diretto dell’attività dei lavoratori. Le ragioni giustificatrici dell’installazione di strumenti di controllo a distanza sono le seguenti: 1) esigenze organizzative e produttive 2) sicurezza del lavoro 3) tutela del patrimonio aziendale Per procedere all’installazione è necessario che venga verificata la sussistenza delle ragioni giustificatrici mediante (alternativamente): a) accordo collettivo b) autorizzazione amministrativa dell’INL L’autorizzazione o gli accordi non sono necessari per quegli strumenti messi a disposizione del lavoratore per rendere la prestazione (es: computer), nonché per quanto concerne gli strumenti di registrazione delle presenze. In ogni caso si deve fornire al lavoratore una preventiva ed adeguata informazione circa le modalità d’uso degli strumenti e l’effettuazione dei controlli, nonché del rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali. 62 Il potere disciplinare Il datore di lavoro è legittimato ad esercitare il potere disciplinare, riconosciuto dall’art. 2106 c.c. e procedimentalizzato dall’art. 7 St. Lav. Tale potere si attiva in occasione di violazioni, da parte del prestatore di lavoro, degli obblighi di osservanza e diligenza. Anche il licenziamento può configurarsi come sanzione disciplinare, sempre nel rispetto dell’art. 2106 che prevede la regola della proporzionalità della sanzione all’infrazione. Non è invece ammesso, quale sanzione disciplinare, il trasferimento. Occorre ricordare che la procedura di cui all’art. 7 va garantita ogni volta in cui al lavoratore viene imputato un comportamento “scorretto”, quindi anche nell’ambito del licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo. L’art. 7 prevede in particolare: 1) Principio di legalità: le sanzioni disciplinari devono essere espressamente previste nel codice disciplinare aziendale, il quale va esposto in luogo accessibile a tutti. b) Contraddittorio: il datore di lavoro ha il dovere di ascoltare, a sua difesa, il lavoratore, il quale può anche presentare memorie scritte. c) Assistenza. Il lavoratore può farsi assistere da un rappresentante sindacale. 65 L’obbligo di eseguire le mansioni Ai sensi dell’art. 2103, il lavoratore ha l’obbligo di eseguire: 1) mansioni per le quali è stato assunto 2) mansioni corrispondenti al livello di inquadramento superiore successivamente acquisito 3) mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime svolte 4) mansioni inferiori, nelle tassative ipotesi di cui ai commi 2 e 4 (+ 6). Poiché, come abbiamo visto, i livelli retributivi e le aree professionali sono determinate dalla contrattazione collettiva, ne consegue che l’ordinamento assegna al contratto collettivo il cruciale ruolo di definire lo spazio entro il quale può esercitarsi lo ius variandi. Il giudice si limita a verificare se le nuove mansioni rientrano nello stesso livello di inquadramento, a nulla rilevando l’eterogeneità tra le vecchie e nuove mansioni. Si amplia così il potere di mobilità orizzontale del datore, il quale potrà assegnare al prestatore una mansione totalmente differente, purché rientrante nello stesso livello di inquadramento. Sarà quindi necessario che la contrattazione collettiva dia un minimo di omogeneità ai vari livelli di inquadramento. E’ superato, pertanto, l’orientamento che richiedeva, per la mobilità orizzontale, lo svolgimento di mansioni equivalenti sotto il profilo della professionalità necessaria. Il demansionamento è consentito nelle seguenti ipotesi: a) modifica degli assetti organizzativi aziendali (comma 2) b) ulteriori ipotesi previste dai contratti collettivi (comma 4) c) patti individuali di demansionamento (comma 6) Occorre notare che: 1) Le ipotesi di cui al comma 2 ed al comma 4 riguardano un potere unilaterale di demansionamento. 2) L’ipotesi di cui al comma 6 è invece un’ipotesi pattizia di demansionamento 66 Patti individuali di demansionamento (art. 2103 comma 6): - Possono cambiare anche la categoria legale, non solo il livello di inquadramento - Devono essere validamente stipulati in una delle sedi protette individuate dall’art.2113 comma 4 c.c. In tal modo il legislatore si vuole assicurare che quella del lavoratore sia una scelta consapevole e non imposta dal datore. - Sono ammessi solo nell’interesse del lavoratore: a) alla conservazione dell’occupazione b) all’acquisizione di una diversa professionalità c) al miglioramento delle condizioni di vita. Infine va considerato che: 1) I demansionamenti di cui ai commi 2 e 4 si muovono all’interno della medesima categoria legale e dello stesso trattamento retributivo. Quello del comma 6, invece, può modificare la categoria. 1.1) Il fatto che il lavoratore, nelle ipotesi di demansionamento unilaterale, pur essendo adibito a mansioni inferiori conservi la categoria legale ed il trattamento retributivo, ha fatto sorgere il dubbio che il demansionamento debba ritenersi temporaneo e che il lavoratore abbia diritto alla riassegnazione alle mansioni precedenti una volta cessata la ragione alla base del demansionamento. Ad ogni modo secondo Santoro-Passarelli, salve le ipotesi di demansionamento per fatti contingenti, nulla sembra escludere che l’adibizione a mansioni inferiori possa diventare definitiva. 2) Fermi restando i commi 2, 4 e 6, ogni patto di demansionamento è nullo, e può essere fatto valere d’ufficio senza limiti di tempo. 3) In caso di demansionamento illegittimo, il lavoratore può far valere l’eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. oppure attivarsi per un ricorso straordinario ex art. 700 c.p.c. 3.1) Nelle ipotesi di demansionamento illegittimo (e solo in tali casi!) sono configurabili un danno alla professionalità, un danno alla perdita di chanches, o addirittura un danno biologico. Occorrerà in ogni caso dimostrare il nesso causale tra danno e demansionamento. 4) In caso di adibizione a mansioni superiori, il lavoratore ha diritto alla promozione nel caso in cui tale assegnazione perduri oltre il termine fissato dai contratti collettivi o, in mancanza, oltre i sei mesi. 67 Diritti ed obblighi del lavoratore Sono obblighi del lavoratore: -eseguire le mansioni -collaborare -eseguire la prestazione con diligenza -obbligo di osservanza -fedeltà Il lavoratore ha poi i seguenti diritti a contenuto economico: - retribuzione - trattamento economico minimo e complessivo - TFR - posizione contributiva - riconoscimento delle invenzioni Il lavoratore ha poi i seguenti diritti personali: - svolgimento delle mansioni - libertà di pensiero - riservatezza - non discriminazione - integrità psico-fisica - diritti connessi alla gestione del tempo Obbligo di collaborazione: - L’obbligo di collaborazione del lavoratore soddisfa l’interesse del datore di lavoro al coordinamento e quindi all’organizzazione dell’attività lavorativa del lavoratore. Esso, pertanto, non si risolve solamente nello svolgimento delle mansioni pattuite, ma nello svolgimento di tali mansioni in vista del risultato perseguito dall’impresa. - Così, il risultato produttivo dell’impresa diviene punto di riferimento per la determinazione del contenuto della prestazione dovuta dal lavoratore. Per esempio, il lavoratore non può rifiutarsi di svolgere, eccezionalmente e per ragioni urgenti, prestazioni estranee alle mansioni ordinarie o rifiutarsi di svolgere lo straordinario. 70 I contratti collettivi possono prevedere anche una retribuzione di risultato, legata cioè al raggiungimento di determinati obiettivi da parte del dipendente. Essa sostituisce la vecchia retribuzione di produttività, legata ai risultati dell’impresa. La retribuzione può essere: - A tempo: vi è un corrispettivo per ogni unità di tempo in cui viene eseguita la prestazione - A cottimo: il corrispettivo è commisurato al raggiungimento di determinati risultati (del singolo o del gruppo di lavoratori) all’interno dell’unità di tempo; in sostanza più si produce, più si guadagna; tale forma retributiva è vietata nell’apprendistato. - E’ prevista anche una retribuzione mista, in cui il compenso è commisurato sia al risultato sia al tempo. E’ ammessa anche la retribuzione in welfare. Consiste nella erogazione di opere e servizi da parte del datore di lavoro in favore del dipendente e dei suoi famigliari, per finalità di utilità sociale quali istruzione, assistenza sociale o assistenza sanitaria. E’ vantaggiosa sia per il lavoratore perché i servizi welfare sono esenti da imposizione fiscale, sia per il datore di lavoro che può dedurre i costi. I piani welfare possono essere stabiliti da: -datore di lavoro -regolamenti aziendali -contratti collettivi Il trattamento retributivo è, in sintesi, determinato da: - parti collettive -parti individuali -giudice 71 Le componenti essenziali della retribuzione sono: 1) Paga tabellare: prevista dal contratto collettivo con riferimento al livello retributivo in cui è inquadrato il lavoratore 2) Scatti di anzianità: aumenti collegati all’anzianità di servizio maturata 3) Indennità di contingenza: nasce per adeguare automaticamente la retribuzione al costo della vita ma, per evitare l’inflazione, oggi è congelata nel suo ammontare (contingenza congelata). 3.1) Perché si è arrivati alla contingenza congelata? L’aumento dei prezzi comportava un aumento dei salari, che a sua volta causava un nuovo aumento dei prezzi. Si è deciso allora di bloccare l’indennità di contingenza, proprio al fine di evitare tali fenomeni di inflazione. Il contratto collettivo può determinare anche: -mensilità aggiuntive -premio di produzione (di qualità o di rendimento) -indennità collegate a modalità rischiose o usuranti della prestazione -indennità di compensazione delle ferie non godute Non hanno invece natura retributiva (se corrisposti a titolo di liberalità): -rimborsi -premi -gratifiche Occorre poi distinguere: 1) Trattamento economico minimo (TEM): costituito dai minimi tabellari. 2) Trattamento economico complessivo (TEC): minimi tabellari + altri emolumenti ( es: piani welfare) I minimi del trattamento retributivo sono stabiliti dal contratto collettivo e non sono modificabili in pejus dalle parti individuali. Ci si chiede tuttavia se sia consentito al datore di lavoro riconoscere un trattamento economico complessivamente più favorevole ad un lavoratore piuttosto che ad un altro. 72 Il principio della parità di trattamento (da non confondersi con il divieto di discriminazione) è riconosciuto solo nell’ambito del lavoro pubblico. Nel privato non sembra sussistere, anche perché l’art. 41 comma 2 Cost. non introduce limiti funzionali all’iniziativa economica privata. In caso di malattia o maternità del lavoratore, vi è l’erogazione di prestazioni previdenziali quali l’indennità di malattia e di maternità, erogate direttamente dall’INPS a determinate categorie di lavoratori. Oltre ad un diritto di natura retributiva, il lavoratore matura anche quello ad una posizione contributiva. Si tratta in sostanza nel diritto, che sorge con la conclusione del contratto, al versamento da parte del datore di lavoro all’INPS dei contributi previdenziali calcolati sulle somme corrisposte al lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro. Da ricordare è infine che il prestatore di lavoro ha diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto di lavoro. Più precisamente, occorre distinguere: 1) Invenzione di servizio. E’ il risultato di un’attività inventiva prevista come oggetto del contratto; in tal caso, il lavoratore non ha diritto ad alcun compenso aggiuntivo, poiché l’invenzione è già oggetto del contratto. 2) Invenzione d’azienda. E’ il risultato dell’esecuzione della prestazione lavorativa; qualora poi il datore consegua il brevetto relativo all’invenzione, il lavoratore ha diritto ad un equo premio. 3) Invenzione occasionale. E’ realizzata dal dipendente per iniziativa propria, in via occasionale, al di fuori dallo svolgimento del contratto di lavoro ma sempre nell’ambito dell’attività dell’azienda; il datore ha un diritto di prelazione per l’uso dell’invenzione e per l’acquisto del brevetto, previo pagamento di un corrispettivo. 75 La tutela dell’integrità psicofisica e della personalità morale del lavoratore L’art. 2087 obbliga l’imprenditore ad adottare tutte le misure necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del prestatore di lavoro. Egli, in sostanza, deve predisporre tutte le misure di sicurezza possibili, sia tipiche che atipiche, adeguando continuamente le misure di prevenzione: è il cosiddetto principio della massima sicurezza tecnologicamente disponibile. L’obbligo generale di sicurezza va calibrato secondo tre parametri: 1) particolarità del lavoro 2) esperienza 3) tecnica La norma tutela in primo luogo i casi di: a) Infortunio: evento singolo e violento b) Malattia professionale: patologia contratta a causa delle mansioni svolte La norma tutela anche la personalità morale del lavoratore nei casi di: a) Mobbing: molteplici e reiterate condotte vessatorie poste in essere da colleghi, da superiori o sottoposti; occorre comunque provare l’intenzionalità e la reiterazione del comportamento. b) Straining: azione unica e non reiterata che provoca stress costante sul luogo di lavoro c) Bossing: condotta volta ad indurre il lavoratore alle dimissioni La responsabilità di cui all’art. 2087 è contrattuale: ne deriva che le prescrizioni in materia di sicurezza integrano l’accordo negoziale. Di conseguenza, se il datore di lavoro non rispetta gli obblighi di sicurezza, il lavoratore può rifiutarsi di eseguire la prestazione, sollevando eccezione di inadempimento. La responsabilità contrattuale è più vantaggiosa per il lavoratore, perché lo esonera dal dover provare il dolo o la colpa grave del datore, potendosi invece limitare a dimostrare l’esistenza del danno, la nocività dell’ambiente di lavoro ed il nesso causale. Di contro, il datore ha l’onere di provare di aver adottato tutte le misure necessarie per impedire il danno. 76 Il danno risarcibile può essere: -patrimoniale (danno emergente e lucro cessante) -non patrimoniale (danno biologico, danno psichico…). La Cassazione ha ricordato che sono considerati danni non patrimoniali tutti quei comportamenti che provocano una ingiusta lesione di un valore costituzionalmente garantito, dalla quale conseguano pregiudizi non suscettibili di valutazione economica. Per la quantificazione del danno non patrimoniale è possibile ricorre, secondo il metodo equitativo, all’applicazione dei criteri standardizzati dalle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano. La responsabilità del datore di lavoro può essere esclusa in caso di condotta concorsuale del lavoratore, ma solo quando tale condotta risulta abnorme, esorbitante ed imprevedibile rispetto al normale processo lavorativo, tanto da divenire unico elemento causale. Rilevante è poi Il Testo Unico sulla Sicurezza. Il testo unico si affianca all’art. 2087 e precisa innanzitutto che: a) Per lavoratore si intende la persona che svolge un’attività lavorativa a prescindere dalla retribuzione e dalla regolarità del rapporto; di conseguenza si tutelano anche i lavoratori irregolari. b) Per datore di lavoro non si intende solo il titolare del rapporto di lavoro, ma anche colui che ha la responsabilità dell’organizzazione di lavoro o dell’unità produttiva. Il testo unico si basa su due pilastri: 1) Prevenzione e riduzione dei rischi 2) Ripartizione a cascata dei doveri di sicurezza Il T.U. responsabilizza i lavoratori, considerandoli non più soggetti meramente passivi. Essi sono infatti interessati da diversi doveri nella tutela della propria persona e della propria salute. Per questo motivo è prevista la figura del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (che può avere rilievo aziendale o territoriale): le sue funzioni sono determinate dai contratti aziendali e gode delle stesse tutele riconosciute ai dirigenti delle RSA. In sintesi, il Rappresentante (RLS): a) promuove l’elaborazione e l’attuazione delle misure di prevenzione b) riceve informazioni inerenti la valutazione dei rischi c) avverte il datore di lavoro dei rischi individuati d) propone interventi in merito all’attività di protezione 77 Il T.U. prevede una serie di garanti della sicurezza sui quali, a cascata, gravano determinati doveri. La posizione di garanzia prescinde da una formale investitura, e quindi grava anche su coloro che esercitano di fatto poteri giuridici di sorveglianza. Le responsabilità sono anche penali, come ha dimostrato il processo Thyssen-Krupp in cui si era giunti addirittura ad una condanna di primo grado per omicidio volontario con dolo eventuale (anche se successivamente la Corte di Assise di Appello di Torino e le SSUU della Cassazione hanno riqualificato il fatto come omicidio colposo con colpa cosciente). Occorre distinguere: a) Garanti a titolo originario b) Garanti a titolo derivativo Sono garanti a titolo originario: 1) Datore di lavoro: è il garante per eccellenza; egli deve valutare tutti i rischi per la salute e predisporre un documento contenente le misure di protezione. 2) Dirigente: organizza l’attività lavorativa e vigila su essa 3) Preposto: sovraintende all’attività lavorativa garantendo l’attuazione delle direttive ricevute dal datore di lavoro e dal dirigente 4) Responsabile del servizio di prevenzione e protezione (RSPP): valuta i fattori di rischio ed individua le misure di protezione Il garante a titolo derivativo viene responsabilizzato mediante la delega di funzioni, cioè mediante un atto col quale il datore di lavoro (delegante) trasferisce ad un altro soggetto (delegato) gli obblighi e le responsabilità in tema di sicurezza. Il delegato può a sua volta sub-delegare le proprie funzioni. Da segnalare è che vi sono degli obblighi indelegabili e che, in ogni caso, la delega non esclude un dovere di vigilanza in capo al datore di lavoro. 80 Il tempo della prestazione La Costituzione (art. 36) stabilisce che la durata massima della giornata lavorativa deve essere stabilita dalla legge, e riconosce al prestatore di lavoro il diritto irrinunciabile al riposo settimanale ed alle ferie. Il d. lgs. 66/2003 ha introdotto una disciplina organica ed innovativa dedicata ai tempi del lavoro (orari, pause, riposi, ferie, lavoro notturno), disciplinando l’orario di lavoro per tutti i settori, incluso quello pubblico. Il decreto in esame determina i limiti dell’orario normale (40 ore) e dell’orario massimo (48 ore comprensive dello straordinario) esclusivamente su base settimanale, mediante l’indicazione dei cosiddetti limiti medi. Con l’espressione “limiti medi” si intende il fatto che: a) i contratti collettivi possono riferire l’orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all’anno b) il rispetto dell’orario massimo viene valutato con riferimento alla durata media dell’orario di lavoro, osservato entro un arco temporale di 4 mesi, elevato dai contratti collettivi sino a 6 mesi oppure, a fronte di specificate ragioni obiettive, a 12 mesi. La giornata lavorativa può quindi avere, alternativamente: a) Durata costante: entro le 40 ore b) Durata variabile: entro i limiti medi determinati dai contratti collettivi, in riferimento alla durata media delle prestazioni lavorative; in ogni caso, non si possono superare le 48 ore, straordinari inclusi. La durata massima giornaliera non viene espressamente regolata, ma, come vedremo nel dettaglio tra poco, si desume dalla fissazione di un numero minimo di ore di riposo per ogni giorno di lavoro. Le ore massime di straordinario, ossia della prestazione resa oltre l’orario normale, sono determinate dalla contrattazione collettiva. Tuttavia va ricordato che in assenza di accordi collettivi, il lavoro straordinario non può superare le 250 ore annue. Il legislatore si è quindi preoccupato di prevedere un tetto massimo. 81 La contrattazione collettiva ha un ruolo determinante: - Definisce le modalità di svolgimento e di remunerazione del lavoro straordinario; ad esempio può prevedere che lo straordinario sia retribuito mediante il godimento di equivalenti riposi compensativi. - Alla contrattazione collettiva aziendale e territoriale viene conferito un ampio potere di regolamentazione in materia di orario di lavoro, in presenza di determinati presupposti oggettivi. Il legislatore dedica specifica attenzione al lavoro notturno: - Sono previste infatti particolari tutele, in ragione della sua maggiore gravosità, svolgendosi tra la mezzanotte e le cinque del mattino; la tutela, più recisamente, è riservata chi svolge lavoro notturno per almeno tre ore al giorno oppure per almeno 80 giorni l’anno. -La tutela è garantita dalla contrattazione collettiva e riguarda: a) controlli medici preventivi b) aumenti retributivi c) condizioni di miglior favore - In caso di sopravvenuta inidoneità al lavoro notturno per ragioni di salute, si ammette quale extrema ratio il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Prima di procedere al licenziamento occorrerà quindi valutare se il lavoratore può essere adibito a mansioni equivalenti diurne, nei limiti della loro esistenza e disponibilità. - Sono previste limitazioni soggettive: vi è il divieto di lavoro notturno per lavoratrici gestanti o lavoratrici madri fino ad un anno di età del bambino e per gli adolescenti. Tornando alla disciplina generale occorre ricordare che il lavoratore ha diritto a: 1) riposo giornaliero di almeno 11 ore consecutive 2) intervallo nel caso in cui l’orario di lavoro supera le 6 ore 3) riposo settimanale di almeno 35 ore consecutive (24+11) 82 Quanto ai riposi è necessario evidenziare che: - Il lavoro domenicale, anche se bilanciato da un riposo infrasettimanale compensativo, deve avere un aumento retributivo o comunque un trattamento favorevole. - Nelle giornate corrispondenti a festività civili e religiose espressamente riconosciute dalla legge, si prevede il pagamento della normale retribuzione, anche in assenza della prestazione. Andiamo ora ad analizzare la disciplina delle ferie: - Il periodo minimo di ferie annue è di 4 settimane, salve le condizioni di miglior favore previste dai contratti collettivi. - Il diritto alle ferie matura gradualmente e progressivamente, in misura proporzionale alle prestazioni svolte (includendo comunque i periodi di malattia). - Il periodo feriale è individuato dal datore di lavoro, cercando comunque di tenere in considerazione le esigenze del richiedente. - L’insorgenza della malattia durante il periodo feriale ne determina la sospensione ed il differimento dopo la guarigione, purché la malattia abbia pregiudicato il godimento delle ferie e sia stata tempestivamente comunicata al datore di lavoro. - Si prevede oggi il particolare istituto delle ferie solidali, mediante il quale un lavoratore può cedere gratuitamente le proprie ferie ad un collega di pari livello e categoria per consentirgli l’assistenza a figli minori che necessitano di cure costanti. 85 Malattia ed infortunio L’art. 38 comma 2 Cost. afferma che i lavoratori hanno diritto a tutele economiche adeguate in caso di infortunio e malattia. L’art. 2110 c.c. stabilisce che in caso di infortunio e malattia il lavoratore ha diritto alla conservazione del posto di lavoro e alla tutela economica. Il periodo di assenza dal lavoro è computato nell’anzianità di servizio, e quindi anche ai fini del calcolo del TFR. Il periodo di conservazione del posto di lavoro durante la malattia viene definito periodo di comporto: la sua durata e la corrispondente tutela economica vengono determinate dal contratto collettivo oppure, in assenza, dal giudice (secondo equità). Occorre allora distinguere: a) Comporto a secco: malattia unica ed ininterrotta b) Comporto per sommatoria: somma di più episodi morbosi Quanto al licenziamento occorre ricordare che: - In caso di superamento del periodo di comporto, il codice riconosce al datore di lavoro la facoltà di recedere con preavviso ex art. 2118 c.c. - Qualora invece il lavoratore svolga un’attività incompatibile con lo stato di malattia o infortunio, il datore può licenziarlo senza preavviso: si tratta, come vedremo meglio più avanti, del licenziamento per giusta causa (art. 2119 c.c.), il cosiddetto licenziamento in tronco. 86 Le modificazioni del rapporto di lavoro Possiamo distinguere: 1) Modificazioni oggettive. Possono determinare la novazione del contratto, cioè l’estinzione del rapporto esistente e l’instaurazione di un nuovo rapporto, diverso dal primo. 1.1) Le modificazioni oggettive sono tuttavia poco frequenti: in effetti, i mutamenti riguardanti il contenuto delle obbligazioni, come le variazioni della retribuzione o delle mansioni, non determinano la novazione. Le modificazioni più frequenti sono invece quelle soggettive. 2) Modificazioni soggettive. Si tratta della cessione del contratto di lavoro da parte del datore di lavoro ad un cessionario che gli succede quindi nel rapporto di lavoro. 2.1) Di regola, tale cessione rientra nella fattispecie della cessione del contratto ex art. 1406 c.c. che richiede il consenso del debitore ceduto, ossia del lavoratore. In sostanza, se il datore di lavoro cede il contratto di lavoro ad un altro soggetto, occorre il consenso del lavoratore ceduto. 2.2) Va ricordato tuttavia che, ai sensi dell’art.2112 c.c., questo consenso non è necessario in caso di trasferimento d’azienda. In questa ipotesi, come vedremo nel dettaglio nel prossimo capitolo, il lavoratore non può opporsi: egli continua il proprio rapporto di lavoro presso il cessionario, conservando tutti i diritti che ne derivano. 87 Il trasferimento di azienda Il trasferimento di azienda integra una ipotesi cessione del contratto, dal quale però si differenzia per il fatto che non è necessario il consenso del debitore ceduto. Si tratta, in sintesi, del caso in cui un datore (cedente) ceda l’azienda ad un altro datore (cessionario), trasferendo quindi anche il rapporto di lavoro del dipendente-debitore (ceduto). Come detto, non è necessario il consenso del lavoratore, che quindi non può opporsi al trasferimento. Egli potrà eventualmente presentare le dimissioni per giusta causa, qualora in seguito al trasferimento si verifichi una sostanziale modifica delle condizioni di lavoro. Il rapporto di lavoro, dopo il trasferimento, continua presso il cessionario, ed il lavoratore conserva tutti i diritti. Si prevede la solidarietà fra cedente e cessionario per tutti i crediti vantati dal lavoratore: pertanto esso è legittimato a farli valere anche nei confronti del cessionario. L’art. 2112 comma 3 dispone che il cessionario debba applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi vigenti alla data del trasferimento, e fino alla loro scadenza. Non è chiaro, allora, se si debba applicare il contratto collettivo del cedente oppure quello normalmente applicato dall’acquirente. La Corte di Cassazione ha affermato che al momento del trasferimento si verifica una sostituzione automatica del contratto collettivo del cedente con quello normalmente applicato dal cessionario; in tal senso, il contratto collettivo del cedente si applicherebbe solo in assenza di quello del cessionario. Tuttavia il manuale predilige la tesi opposta: dovrebbe applicarsi quello del cedente. Occorre poi sottolineare che: - Occorre sottolineare che il trasferimento d’azienda non costituisce motivo di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. - Si prevede una procedura di informazione e consultazione sindacale sull’oggetto e sui motivi del trasferimento: tale procedura può concludersi con accordi finalizzati a stabile i criteri di scelta circa i lavoratori da non trasferire. Se il datore non adempie a questi obblighi, il suo comportamento è considerato come una condotta antisindacale punibile ex art. 28 St. Lav.. 90 Recesso ad nutum (art. 2118 c.c.): Si tratta di una facoltà di recesso libera e non motivata, con il solo obbligo di preavviso entro un termine solitamente stabilito dai contratti collettivi. In caso di mancato preavviso, comunque, il recesso è valido, ed all’altra parte è corrisposta una indennità di mancato preavviso. Recesso per giusta causa (art. 2119 c.c.): In presenza di una giusta causa, ossia di un qualsiasi fatto idoneo a far venir meno la fiducia delle parti, il rapporto si estingue in tronco: si tratta, pertanto, di casi in cui non è possibile neanche una prosecuzione provvisoria. Legge 604/ 1966: - Introduce per la prima volta l’obbligo di motivare il licenziamento: occorre un giustificato motivo oggettivo o soggettivo. - Il controllo del giudice si limita alla legittimità, non potendo entrare nel merito delle scelte dell’imprenditore; in sintesi, egli verifica se il giustificato motivo sussiste o meno. Evoluzione e giurisprudenza dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori (1970): - L’art. 18 St. Lav. nel 1970 introdusse la sanzione della reintegrazione per i dipendenti illegittimamente licenziati. Tuttavia, con una riforma del 2015, il legislatore ha ristretto l’ambito di operatività della reintegrazione introducendo la disciplina delle tutele crescenti. - Così, il licenziamento illegittimo viene oggi sanzionato con un’indennità commisurata all’anzianità di servizio: 2 mensilità pet ogni anno di retribuzione, fino ad un massimo di 24; il limite è stato innalzato a 36 con il Decreto Dignità. - La Corte Costituzionale, con la sentenza 194/2018 (e con successive pronunce nel 2020 e nel 2021), ha specificato che non è sufficiente il suddetto calcolo oggettivo parametrato all’anzianità retributiva. Il giudice, pertanto, nel determinare l’importo dell’indennità, deve tener conto anche di altri criteri, quali le dimensioni dell’impresa, il numero dei dipendenti e le circostanze concrete. 91 - In tal modo si lascia al giudice maggiore discrezione, e ciò, secondo Santoro- Passarelli, rischia di comportare disparità di trattamento tra lavoratori: può accadere, infatti, che in situazioni identiche, ad un lavoratore venga riconosciuta un’indennità più alta rispetto ad un altro. Intimazione ed impugnazione del licenziamento: - Il licenziamento deve essere intimato in forma scritta, con la precisazione dei motivi che lo hanno determinato. Quello intimato oralmente è inefficace, e comporta la reintegrazione. - Il licenziamento può essere impugnato entro 60 giorni con qualsiasi atto scritto idoneo a rendere nota la volontà del lavoratore. In questa fase non è necessaria l’assistenza di un legale. - Poi, entro 180 giorni, occorre presentare un ricorso presso la cancelleria del tribunale competente: il giudizio seguirà le regole del tradizionale rito del lavoro; solo i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 possono usufruire del più snello rito Fornero (di cui parleremo più avanti). Regime sanzionatorio per licenziamento intimato con vizi formali o procedurali: - Innanzitutto va chiarito che per vizio formale intendiamo ad esempio la mancanza di motivazione; mentre per vizio procedurale si intende per esempio la violazione della procedura di cui all’art. 7 St. Lav. - Una volta accertato il vizio, il giudice dichiara comunque estinto il rapporto di lavoro, e condanna il datore al pagamento di un’indennità di importo pari ad una mensilità per ogni anno di servizio, fino ad un massimo di 12 mensilità. Anche in questo caso la Corte Costituzionale (con sentenza del 2021) ha precisato che il giudice deve tener conto di altri criteri e non solo dell’anzianità di servizio. - E’ evidente che la tutela indennitaria è più lieve rispetto ai casi di vizi sostanziali (per esempio i casi di insussistenza della giusta causa). Pertanto il lavoratore cercherà innanzitutto di far valere l’ingiustificatezza sostanziale, e solo successivamente contesterà i vizi formali e procedurali. 92 Sono previsti due strumenti deflattivi del contenzioso: a) revoca b) procedura di conciliazione Revoca: Può essere effettuata entro 15 giorni dall’opposizione; il rapporto si intende ripristinato senza soluzione di continuità, con diritto del lavoratore alla retribuzione maturata nel periodo compreso tra il licenziamento e la revoca. Procedura di conciliazione: - Entro 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, il datore di lavoro può offrire al lavoratore un assegno circolare di importo pari ad una mensilità di retribuzione per ogni anno di servizio. - L’offerta deve avvenire in sede protetta (ossia in quelle sedi indicate dall’art.2113, come ad esempio la sede sindacale o la commissione di certificazione) al fine di garantire la genuina manifestazione di volontà da parte del lavoratore. - Si tratta di una procedura vantaggiosa per il lavoratore. Da un lato, non si può mai sapere se un eventuale contenzioso porterà ad una pronuncia favorevole; dall’altro, i tempi lunghi del contezioso, porterebbero comunque il riconoscimento delle proprie ragioni dopo diverso tempo. Invece l’assegno è immediato, garantendo una più celere tutela economica. 95 - Innanzitutto il giudice deve valutare se il fatto sussiste: qualora la verifica dia esito negativo (il fatto non sussiste), deve disporre la reintegrazione ed una indennità (fino a 12 mensilità) commisurata dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto percepito per lo svolgimento di altre attività lavorative. - Se invece il fatto sussiste, il giudice valuta se l’inadempimento sia notevole o gravissimo. Nel caso in cui non vi sia stato un inadempimento nemmeno notevole, il giudice dichiara illegittimo il licenziamento (precisamente, ingiustificato) e riconosce al lavoratore la tutela indennitaria. - La cessazione in tronco del rapporto sembra essere in contrasto con la procedura di cui all’art.7, perché non lascerebbe tempo e modo al lavoratore di difendersi. La questione viene superata ricorrendo alla sospensione cautelare: il lavoratore viene sospeso in attesa degli accertamenti necessari sulla eventuale giustificatezza della causa di licenziamento, e solo una volta esaurita la procedura di cui all’art.7 il datore potrà licenziare il lavoratore. E’ necessario quindi trattare brevemente la materia del licenziamento disciplinare, in quanto strettamente connesso ai licenziamenti per giusta causa e per giustificato motivo soggettivo: - Si tratta di ogni licenziamento intimato a seguito di un comportamento imputabile a titolo di colpa del lavoratore. Pertanto, come accennato pocanzi, la sua area di applicazione copre anche quella della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo, con conseguente applicazione della procedura di cui all’art. 7 St. Lav. - L’art. 7 St. Lav. prevede che le norme disciplinari siano portate a conoscenza dei lavoratori mediante affissione (principio di legalità); che il datore deve tempestivamente contestare l’addebito ed ascoltare il lavoratore a sua difesa (contraddittorio); che il lavoratore ha diritto di farsi assistere da un rappresentante sindacale. - In caso di violazione della procedura di cui all’art. 7 St. Lav. il licenziamento è illegittimo, ma non opera la reintegrazione: al lavoratore viene riconosciuta la sola tutela indennitaria. 96 Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è posto in essere per esigenze oggettive dell’azienda, cioè per ragioni economiche od organizzative. Anche in questo ambito, come avremo modo di approfondire, opera la mera tutela indennitaria e non la reintegrazione (eccezion fatta per un caso). Tali ragioni economiche ed organizzative possono riguardare: a) l’attività produttiva b) l’organizzazione del lavoro c) il regolare funzionamento dell’azienda. I requisiti per la legittimità del licenziamento in esame sono, oltre alla sussistenza delle ragioni economiche ed organizzative, il nesso causale tra le ragioni ed il licenziamento, e l’adempimento dell’obbligo di repechage. L’obbligo di repechage consiste nel dimostrare che il lavoratore non possa essere adibito a mansioni differenti, anche inferiori al suo inquadramento. Quindi, prima di procedere al licenziamento, il datore deve tentare di adibire il lavoratore ad altre mansioni rispetto a quelle previste dal contratto individuale. In passato si riteneva che il licenziamento per giustificato motivo oggettivo non potesse prescindere da ragioni economiche. La recente giurisprudenza ha invece riconosciuto autonomia alle ragioni organizzative, finalizzate ad una migliore efficienza gestionale, a prescindere da ragioni economiche. Va considerato che l’accertamento della causa organizzativa non è sempre agevole, perché si rischia di violare la libertà economica dell’imprenditore. Il giudice deve verificare la sussistenza delle ragioni organizzative senza entrare nel merito delle scelte imprenditoriali: le ragioni vanno quindi valutate in base a regole di normalità tecnico-organizzative. 97 Quanto alle sanzioni occorre ricordare che: 1) Nel caso in cui non ricorrano gli estremi del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un’indennità. 1.1) L’indennità è commisurata secondo il seguente criterio: 2 mensilità per ogni anno di servizio (con riferimento all’ultima retribuzione per il calcolo del TFR) da un mino di 4 fino ad un massimo di 36 mensilità. Ad ogni modo ricordiamo che la Corte Costituzionale ha precisato che il giudice deve tenere conto anche di altri criteri, lasciandogli quindi ampio margine discrezionale. 2) Nel caso in cui il datore occupi fino a 15 dipendenti, gli importi sono dimezzati e l’indennità non può superare al massimo le 6 mensilità: ne deriva si avrà un’indennità tra 2,5 e 6 mensilità. 3) La sanzione della reintegrazione è invece prevista soltanto nell’ipotesi di licenziamento intimato per inidoneità fisica o psichica allo svolgimento della mansione. Si tratta di un’ipotesi riconducibile al giustificato motivo oggettivo, ma che, stante la presenza di alcune particolarità, sarà opportuno trattare in un apposito capitolo (vedi prossima pagina).