Scarica Diritto della previdenza sociale e più Appunti in PDF di Diritto della Previdenza Sociale solo su Docsity! Pagina di 1 102 Diritto della previdenza sociale 2019/2020 3/03 INTRODUZIONE Il termine “diritto della previdenza sociale” può anche essere tradotto come “diritto della sicurezza sociale”, perché in generale le tutele rientrano in questo termine, cioè quell’attività dello stato che è finalizzata a proteggere non solo i lavoratori, ma anche i cittadini in generale. Ricoprendo sia la previdenza sociale che l’assistenza sociale. Sicurezza sociale: esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà da una determinata situazione di bisogno/stato di bisogno, e per questo si richiede l’intervento dello stato per la realizzazione della tutela. La sicurezza sociale si divide in due forme di tutela: • Diritto della previdenza sociale: è rivolta ai lavoratori, che attraverso lo svolgimento della propria attività lavorativa maturano nel tempo i requisiti contributivi per accedere alla tutela previdenziale • Diritto dell’assistenza sociale: è una forma generica di intervento a tutela della collettività, quindi dei cittadini, che si rivolge a coloro che si trovano in una situazione di bisogno e proprio per questo l’assistenza sociale è finanziata dal finanziamento pubblico. È una tutela gratuita, universale e che non si limita ai lavoratori in senso stretto ma riguarda tutti i cittadini. La norma su cui si sofferma il diritto della previdenza sociale è l’articolo 38 della costituzione, che è il fondamento del nostro sistema di sicurezza sociale. Al primo comma si trova il significato di assistenza sociale e al secondo comma il significato di previdenza sociale. IL RAPPORTO CONTRIBUT IVO E IL RAPPORTO GIURIDICO PREVIDENZIALE Sono racchiusi in questi due rapporti, le relazioni e i legami tra i soggetti del diritto della previdenza sociale: datore e lavoratore, ma anche l’ente/enti previdenziali. Questi tre soggetti instaurano tra di loro rapporti e vengono in rilievo delle relazioni, con relativi obblighi e responsabilità. Questi due rapporti, racchiudono obblighi e responsabilità reciproche dei soggetti menzionati. Rapporto previdenziale: sorge tra lavoratore beneficiario delle prestazioni economiche e l’ente previdenziale che è tenuto ad erogare le prestazioni previdenziali. Il lavoratore, nel diritto della previdenza sociale, si trova in una situazione di bisogno e dunque matura il diritto di ricevere dall’ente previdenziale la prestazione previdenziale. INPS e INAIL sono i più importanti enti previdenziali. Rapporto contributivo: finalizzato al finanziamento del sistema previdenziale, con questo sorge l’imposizione dell’obbligo contributivo che verte sul datore di lavoro. Quindi, regolamenta l’obbligo del datore di versare i contributi previdenziali. Dietro a questi rapporti, vi è un principio: automaticità delle prestazioni previdenziali. Questo, costituisce il fondamento del diritto della previdenza sociale e la base di tutte le riflessioni. Introduce una tutela speciale che si ritrova solo nel sistema assicurativo della Pagina di 2 102 4/03 COS’É IL DIRIT TO DELL A PREVIDENZA SOCIALE? Previdenza sociale: vasto complesso di istituti che sono volti a realizzare finalità di solidarietà sociale, a favore di lavoratori che si trovano in situazioni di bisogno: • Infortuni • Malattie • Vecchiaia • Povertà • Maternità La previdenza sociale è una materia rivolta in primo luogo ai lavoratori. A differenza del concetto di assistenza sociale, che corrisponde ad una forma generica di intervento a tutela della collettività, quindi cittadini, sempre in una situazione di bisogno, la sicurezza sociale comprende sia il termine di previdenza sociale, che l’assistenza sociale. EVOLUZIONE DEL SISTEMA PREVIDENZIALE La prima forma di assicurazione sociale è stata introdotta in Germania alla fine del 1800, e il modello di protezione sociale fu quello del cancelliere Bismark. In Italia l’intervento dello stato è necessario secondo il criterio di sussidiarietà in via complementare rispetto all’iniziativa privata. La prima esperienza di tutela italiana, fu quella affidata alle società di mutuo soccorso (volontari), che avevano adottato un sistema assicurativo che provvedeva a ripartire nella collettività degli associati, i rischi comuni. La prima legge italiana che ha reso obbligatoria per i datori di lavoro, l’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali, è la numero 80 della fine del ‘800, basata sul principio del rischio professionale. Sicurezza sociale: forma di tutela in senso ampio che garantisce la libertà dal bisogno, cioè una protezione rivolta alla libertà dalla situazione di bisogno. Questo termine, indica un concetto ampio che ricomprende sia la previdenza sociale che l’assistenza sociale, ed è legato alla libertà dalle varie situazioni di bisogno, con il fine di garantire la tutela della persona, la sua dignità ecc. Il diritto della previdenza sociale è tra le funzioni primarie dello stato. La tutela dal bisogno intesa come libertà, è un interesse pubblico che deve essere soddisfatto attraverso un servizio pubblico, che è quello garantito dal nostro ordinamento. Il diritto della previdenza sociale è nato per garantire i lavoratori subordinati, ma non solo questi sono i destinatari di questo diritto. Infatti, il nostro mercato del lavoro, si compone di diverse tipologie contrattuali e da molto tempo si rivolge più che altro a lavoratori flessibili, temporanei, somministrati, apprendisti, intermittenti ecc. Dunque, ad una serie di lavoratori che non fanno parte del classico rapporto a tempo pieno e a tempo indeterminato. Questo è un aspetto critico del diritto della previdenza sociale proprio perché deve adeguarsi al mercato del lavoro e quindi fornire tutele a lavoratori che non sono solo “standard”. Pagina di 5 102 La nostra costituzione, vincola il nostro stato al rispetto degli obblighi internazionali, e quindi alle norme generalmente riconosciute nel diritto internazionale. La nostra normativa nazionale, anche per il diritto della previdenza sociale, non può ostacolare l’applicazione nell’ordinamento interno della normativa comunitaria. La costituzione, considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini. È necessario quindi l’intervento dello stato che corrisponde a realizzare una tutela previdenziale e una progressiva estensione di questa tutela a nuove situazioni di bisogno e nuove categorie di soggetti, anche oltre l’ambito tradizionale del lavoro subordinato. Fonti: • Costituzione • Fonti comunitarie: trattati istitutivi e carta di Nizza • Atti normativi OIL L’accordo interconfederale di due anni fa, segnala la difficile tenuta del welfare universale . Il welfare privato si sta affiancando a quello pubblico, ed è una tendenza che si è verificata a causa delle problematiche legate al welfare universale. Questo, è stato messo in risalto in questo documento dove si sottolinea la difficile tenuta del welfare universale a causa dell’andamento demografico, e dunque uno di quei fattori che contribuiscono alla crisi del diritto della previdenza sociale. È emersa quindi la necessità di migliorare la qualità del welfare pubblico, ma anche di sviluppare un welfare e integrativo volontario e privato. COMPETENZA LEGISL AT IVA: RIPART IZIONE TRA STATO E REGIONI La legge n° 3 del 2001 ha introdotto una riforma costituzionale e che è intervenuta a ripartire tra stato e regioni le materie, che sono anche della previdenza sociale. La previdenza sociale, è una materia attribuita alla competenza esclusiva dello stato. È una competenza che non può subire disuguaglianze tra regione e regione. L’articolo 117 fa riferimento alla competenza esclusiva dello stato. È però anche vero che ci sono altre materie, che non sono affidate alla competenza esclusiva dello stato, ad esempio la previdenza complementare è affidata alla competenza concorrente della regione. Competenza concorrente: nelle mani delle regioni, ma nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti dallo stato. L’assistenza sociale, è una materia che rimane di competenza residuale delle regioni. Questo significa che potrebbero esserci dei problemi, nel senso che occorre garantire unitarietà e omogeneità nel complessivo sistema di sicurezza sociale. In che modo questa omogeneità e unitarietà viene comunque garantita? Secondo l’articolo 117: c’è una competenza dello stato anche su materi che rimangono di competenza residuale delle regioni, perché è lo stato che deve fissare dei livelli minimi di tutela, senza che vi sia una diversità di trattamento da regione e regione. Pagina di 6 102 Per la previdenza sociale, la costituzione considera la tutela previdenziale come espressione di una solidarietà estesa a tutti i cittadini. Quindi, una soddisfazione di un interesse di tutta la collettività. La sicurezza sociale invece, esprime l’esigenza che venga garantita a tutti i cittadini la libertà dal bisogno. L’intervento dello stato è fondamentale per la realizzazione della tutela previdenziale e progressiva estensione di questa tutela a nuove situazioni di bisogno e categorie di soggetti, anche oltre l’ambito tradizionale del lavoro subordinato. Nel tempo si sono verificate nuove situazione di bisogno, per questo è cambiata la materia della previdenza sociale, per fronteggiare nuove categorie di soggetti bisognosi di protezione, anche oltre l’ambito tradizionale del lavoro subordinato. Articolo 3, comma 2: principio di uguaglianza “É compito dello stato rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. Articolo 4, 32, 38 costituzione Sono tutte norme centrali, richiamate dalla giurisprudenza, laddove di fa riferimento a diritti riguardanti la materia della previdenza sociale. La liberazione dal bisogno corrisponde ad un interesse riferibile a tutta la collettività. Articolo 38 Primo comma “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale”. Riprende ed enuncia il concetto di assistenza sociale. In questo comma si ritrovano le tutele assistenziali. Molti hanno sostenuto che questo articolo debba essere riletta alla luce della storia di questo diritto, se non riscritta, perché si fa riferimento alla tutela nei confronti di ogni cittadino considerato inabile al lavoro: Perché dovrebbe quindi essere aggiornata? Se è vero che si riferisce all’assistenza sociale, è anche vero come si siano verificate nel nostro ordinamento, delle situazioni di bisogno come la povertà, che richiedono un’adeguata protezione sociale nei confronti di tutti i cittadini che siano sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, ma cittadini che non necessariamente sono inabili al lavoro. Per esempio, la povertà riguarda cittadini che sono abili al lavoro, ma che sono sprovvisti dei mezzi necessari. Secondo comma “I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità è vecchiaia, disoccupazione involontaria”. Si riferisce al concetto di previdenza sociale includendo nella tutela non i cittadini in generale, ma i lavoratori. Pagina di 7 102 Ciò che differenzia il sistema previdenziale (pubblicistico) da quello privatistico è il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali. Questo principio è alla base del sistema previdenziale, ed è spiegato nella sentenza n° 160 (punto 4), precisa come nell’assicurazione sociale e nel sistema pubblicistico, il pagamento dei contributi previdenziali nell’assicurazione sociale, non condiziona il diritto alla prestazione previdenziale. Non c’è quindi un principio di corrispettività tra versamento dei contributi previdenziali e il diritto a ricevere le prestazioni previdenziali. Cosa significa quindi questo principio? È il principio che governa il diritto della previdenza sociale ed è regolato dall’articolo 2116 del codice civile, ed è un principio in base al quale le prestazioni non vengono erogate in base al versamento dei contributi a differenza del sistema privato. A differenza delle assicurazioni private, quelle previdenziali sono dovute al lavoratore anche quando il datore non ha versato regolarmente i contributi. Questo sistema garantisce ai lavoratori, il diritto alla previdenza sociale anche dove il datore sia inadempiente, in modo che la garanzia ad ottenere la prestazioni previdenziali ci sia sempre. Un principio che non può funzionare in un sistema privato perché qui all’assicurato compete l’onere del pagamento del premio e vi è un principio di corrispettività. Questo principio trova applicazione nell’assicurazione per infortuni e malattie professionali (garantita dall’INAIL). È un principio con dei limiti e trova attuazione unicamente nei confronti dei lavoratori subordinati non di tutti i lavoratori: non trova attuazione per i lavoratori autonomi ed è limitato anche dal fatto che trova attuazione solo nell’arco di tempo di prescrizione dei contributi. Non possono esser versati i contributi prescritti: principio di irricevibilità dei contributi prescritti. La norma costituzionale lascia piena libertà allo stato di scegliere le modalità per garantire questi strumenti, ma deve essere tale da garantire una piena garanzia alla previdenza sociale per i lavoratori che sono i destinatari del sistema previdenziale. I lavoratori hanno diritto a conseguire le prestazioni senza che ci siano squilibri o sperequazioni, o senza differenze tra categorie. Lo stato, ha scelto un criterio tecnico organizzativo che corrisponde alla forma assicurativa dell’assicurazione sociale. Ma, l’assicurazione sociale, per poter garantire il suo fine non può sottostare ai limiti e criteri che sono propri delle assicurazioni private, in quanto il suo è un fine pubblico. Se ciò fosse, verrebbe meno la collocazione costituzionale della previdenza sociale e si snaturerebbe il fine pubblicistico delle assicurazioni sociali. Il datore che non versa i contributi avrà sanzioni che studieremo più avanti. Il principio di automaticità è un principio che trova un limite nel lavoro subordinato. Si rivolge unicamente a questi ultimi quindi dobbiamo partire dal classico contratto di lavoro subordinato. Lo stesso non vale per il lavoro autonomo. I lavoratori liberi professionisti è un lavoratore che provvede per se stesso a versare i contributi previdenziali e i premi assicurativi, provvede per se stesso nei confronti delle proprie casse previdenziali. Per questo non ha diritto al principio di automaticità in quanto ricade su se stesso la responsabilità se non versa contributi. Pagina di 10 102 Per i lavoratori para subordinati (COCOCO), nell’ambito del diritto della previdenza sono equiparati ai lavoratori subordinati perché nell’ambito del contratto di lavoro, per il lavoratore para è il committente a versare i contributi previdenziali e quindi il contratto di lavoro delle COCOCO è equiparato al contratto di lavoro subordinato. Il committente come il datore è tenuto nei confronti dei lavoratori para al versamento dei contributi. Quindi il principio di automaticità si ritiene che valga anche per questi soggetti. DECISIONE 132 DEL 1984 DELL A CORTE COST ITUZIONALE (riflessioni punto 6) Sempre nella assicurazione sociale il tipo di previdenza solidaristico è caratterizzato dalla riferibili dell’assunzione dei fini e oneri previdenziali a principi di solidarietà. Si precisa come nel sistema di assicurazione sociale vi è una non corrispondenza fra rischio e contribuzione e una irrilevanza della proporzionalità tra contributi e prestazioni previdenziali. Il sistema assicurativo è pubblico e basato su un principio di solidarietà. Non vi è un principio di corrispettività perché i contributi vengono in rilievo come strumento finanziario della previdenza sociale, le prestazioni previdenziali sono proporzionate non ai contributi ma allo stato di bisogno. DECISIONE 31 DEL 1986 (punto 3) Si fa riferimento alle ipotesi di cui al I e II comma dell’art 38, che vengono messi a confronto in questa decisione. I commi si differenziano per: • Soggetti • Intensità della tutela La corte interviene sul dibattito degli studiosi, sulle differenze tra i primi commi dell’articolo 38 e ci si chiedeva se dovessero essere o meno contrapposte. Si precisa che, anche in funzione dell’intensità della tutela garantita nell’assistenza sociale rispetto alla previdenza sociale, le ipotesi di cui al I e II comma rimangono distinte. L’assistenza è contrapposta alla previdenza in forza dell’intensità della tutela. Il primo aspetto strutturale attiene ai soggetti: nel primo comma si fa riferimento a soggetti non particolarmente qualificati perché il primo comma si riferisce ai cittadini, dunque la prima differenza è che nel primo comma si fa riferimento a soggetti non particolarmente qualificati. Nel secondo comma invece, si ipotizzano fatti giuridici a soggetti qualificati e propri che sono i lavoratori. Questa previsione di fatti giuridici attribuibile ai cittadini e lavoratori, fa si che ci sia un rinvio alle norme che impongono le contribuzioni previdenziali dei lavoratori o che riguardano il lavoro prestato. La distinzione non verte solo nei soggetti quindi destinatari della tutela, ma anche nell’intensità della tutela. La corte costituzionale precisa come l’articolo 38 fa riferimento ai mezzi necessari per vivere ai sensi del comma I, in cui il lavoratore ha diritto al mantenimento e assistenza sociale. Secondo la corte i mezzi necessari per vivere non possono identificarsi con i mezzi adeguati alle esigenze di vita, che invece è il criterio individuato nel comma II per la Pagina di 11 102 previdenza sociale. Il secondo comma usa come criterio l’adeguatezza. Questi ultimi mezzi, comprendono i primi. Il costituente dell’articolo 38, ha privilegiato la posizione dei lavoratori dal punto di vista dell’intensità della tutela, perché nel primo comma viene garantito il minimo esistenziale e la mera sufficienza che corrisponde alla tutela assistenziale.Invece, nel secondo comma, laddove ci si riferisce alla presidenza, ma viene garantito non solo che vengano soddisfatti i bisogni alimentari o di pura sussistenza materiale, ma anche esigenze che riguardano il tenore di vita dei lavoratori. Allora il criterio dell’adeguatezza, dovrebbe soddisfare le esigenze relative al tenore di vita dei lavoratori. Nel primo comma, la corte precisa che è legittimo richiedere una uniformità e determinazione quantitativa unica per tutti i cittadini, invece nel secondo comma non è più legittimo richiedere una determinazione quantitativa unica e uniforme per tutti i lavoratori in quanto l’oggetto della valutazione che conduce al giudizio di adeguatezza dei mezzi rispetto alle esigenze di vita, può riguardare anche la posizione economico - sociale delle diverse categorie di lavoratori (es. i redditi conseguiti durante l’attività lavorativa). Riflessione della corte: la valutazione che riguarda l’adeguatezza dei mezzi rispetto alle esigenze di vita, può condurre a determinazioni quantitativamente diverse delle prestazioni previdenziali stesse. L’ulteriore precisazione è che mentre le prestazioni di cui al primo comma, fanno si che ci debba essere una uniformità, una determinazione quantitativa unica per tutti i cittadini, nel secondo comma al contrario, non è legittimo richiedere una determinazione quantitativa unica ed uniforme per tutti i lavoratori perché l’oggetto della valutazione conduce ad un giudizio di adeguatezza dei mezzi rispetto alle esigenze di vita e può riguardare posizioni economico - sociali differenti, rispetto alle differenti categorie di lavoratori. I SOGGET T I DEL SISTEMA PREVIDENZIALE E LE REL AZIONI TRA QUEST I Chi sono i soggetti protetti? Articolo 35 “Il lavoro deve essere tutelato in tutte le sue forme e applicazioni” Se ciò che dice l’articolo è vero, allora anche il nostro sistema previdenziale dovrebbe provvedere a fornire adeguate garanzie nei confronti di tutti i lavoratori e delle diverse tipologie contrattuale regolate nel nostro mercato del lavoro. A dire la verità il sistema delle assicurazioni sociali ha fatto fatica a diffondersi oltre i confini del lavoro subordinato. Il diritto della previdenza sociale, è nato a tutela e a garanzia del lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato e ha faticato ad andare oltre questo confine e ci sono state riforme e adeguamenti per allargare i confini e ha esteso le tutele e garanzie anche ad altri lavoratori, come gli autonomi o subordinati ma che si differenziano dal classico lavoro a tempo pieno e indeterminato. Pagina di 12 102 La realizzazione della tutela previdenziale è compito dello stato. L’erogazione delle prestazioni previdenziali è affidata ad enti previdenziali (compito di erogare le tutele previdenziali nei confronti dei lavoratori), i quali reperiscono i mezzi necessari (per la realizzazione del loro fine istituzionale) dalla contribuzione obbligatoria posta a carico dei soggetti protetti. Questa è la relazione che lega i soggetti, quindi la modalità con la quale si realizza questa tutela previdenziale, compito dello stato. PREVIDENZA SOCIALE COME PUBBLICO SERVIZIO La tutela previdenziale, è realizzata attraverso l’attività degli enti previdenziali, intesa come pubblico servizio. L’attività degli enti è rivolta alla realizzazione di interessi pubblici ed individuali: questo significa che l’ente deve apprestare una tutela seguendo il fine pubblico, di erogare la tutela previdenziale, ma che corrisponde anche ad un interesse individuale del singolo beneficiario della tutela previdenziale, che ha diritto a ricevere determinate garanzie, in corrispondenza dell’aver maturato requisiti e trovarsi in una determinata situazione di bisogno. L’attività degli enti previdenziali è rivolta alla realizzazione di interessi pubblici e individuali insieme e l’erogazione delle prestazioni previdenziali tende al soddisfacimento di bisogno individuali considerati, al tempo stesso, come bisogni della collettività. Il ruolo dello stato nel sistema giuridico della previdenza sociale, è finalizzato alla realizzazione della tutela anche se lo stato non interviene direttamente, ma lo fa attraverso enti previdenziali: istituti che sono strumentali, in quanto fungono da strumenti per la realizzazione, della tutela previdenziale che è il fine fondamentale dello stato. RAPPORTO TRA STATO ED ENT I PREVIDENZIALI Lo stato provvede ad istituire gli enti previdenziali, ne determina l’ordinamento, e prevede gli organi, precisa i modi ed i limiti in cui deve essere realizzata la tutela previdenziale. Gli enti previdenziali sono enti pubblici strumentali: • Coincidenza tra l’interesse dello stato e dell’ente previdenziale: l’interesse è la realizzazione e il perseguimento della tutela come fine dello stato, inserito in una finalità pubblica. • Ingerenza dello stato nella costituzione ed organizzazione degli enti • Sottoposizione degli enti al controllo statale I PRINCIPALI ENT I PUBBLICI PREVIDENZIALI • INPS: Istituto nazionale della previdenza sociale. Provvede alla tutela previdenziale per diversi casi: invalidità, vecchiaia, disoccupazione ecc. • INAIL: Istituto nazionale per le assicurazioni controlli infortuni e le malattie professionali. Le controversie previdenziali sottoposte al giudizio, attengono per la maggior parte a questioni di assicurazione contro infortunio e malattie professionali: riguardano quindi l’indennizzo del danno biologico derivante da questi due. Riguardano per esempio il caso di infortunio itinere. • INPDAP: istituto nazionale di previdenza per i dipendenti delle amministrazioni pubbliche. È stato istituito nel 1994, si poneva sul versante dell’impiego pubblico come Pagina di 15 102 omologo dell’INPS. Soppresso nel 2012 è confluito nell’INPS, nell’ambito di iniziative dirette a migliorare l’efficenza ed efficacia dell’azione amministrativa nel settore previdenziale ed assistenziale. I principali nei pubblici sono dunque INPS e INAIL. INAIL Provvede a questo tipo di assicurazione obbligatoria e lo fa nel senso essere tenuto ad erogare le tutele previdenziali nei confronti dei lavoratori che si vengano a trovare nelle situazioni di bisogno riguardo infortunio sul lavoro e le malattie professionali. Provvede, inoltre, alla tutela antinfortunistica dei soggetti che prestano la propria attività nell’ambito domestico. La competenza dll’INAIL è generale: sia per il settore privato sia per il settore pubblico. T.U. d.p.r. n. 1124 del 1965 È stato modificato in tempi recenti e la più importante modifica, è quella portata dal decreto 38/2000 che ha preso in considerazione due profili: • Inclusione del danno biologico nell’area dell’indennizzabilità: l’indennizzo viene rogato dall’età previdenziale, consistente in erogazione economica, sotto forma di danno c.d “biologico” e che a partire dal 2000, è stato inserito nell’area dell’indennizzabilità, ovvero viene definito come danno alla salute del lavoratore nell’ambito di parametri quantitativi, temporali ecc, individuati dalla stessa legge. Fino al 2000, era un danno alla salute del lavoratore, risarcibile da parte del datore di lavoro, successivamente viene inserito come danno indennizzabile a carico dell’INAIL nell’ambito della tutela assicurativa per infortunio e malattia professionale. • Introduzione della nuova disciplina dell’infortunio in itinere: è una specie peculiare di infortunio. È disciplinato dalla legge partire dal 2000. Nel tempo si sono avute situazioni concrete nelle quali vi era l’incertezza sulla possibilità di indennizzare quell’infortunio accaduto in itinere: accaduto nello svolgimento di quel tragitto che va dal luogo di abitazione al luogo di lavoro e viceversa. Possono essere diversi i mezzi con cui si percorre il tragitto. Le sentenze ancora oggi, chiariscono quale mezzo rientra in questa tutela. Danno biologico: danno definito dalla legge come danno alla salute suscettibile di valutazione medico - legale. La legge prevede il quantum dell’indennizzo (articolo 13 del decreto 38/2000). Accanto al danno biologico, abbiamo la nozione di danno differenziale. INPS Tale istituto provvede tramite distinte assicurazioni alla tutela per i casi di invalidità, vecchiaia (queste due per i lavoratori subordinati, nonché con distinte gestioni per quelli autonomi), disoccupazione involontaria. Provvede, inoltre, all’integrazione dei guadagni (CIG) e anche all’assegno per il nucleo familiare (per le famiglie che hanno figli minori e che dispongono di patrimoni e redditi limitati). Provvede a garantire permessi e congedi a tutela della maternità e della paternità ai Pagina di 16 102 sensi del d.lgs. n°151/2001, cd. Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. È una tutela che rimane incardinata in questo decreto, che però ha subito modifiche recenti: si è intervenuto sull’aspetto dei congedi, che rimane un aspetto critico in quanto la tutela della paternità, confrontandolo con altri paesi, nel nostro ordinamento rimane una tutela residuale. L’INPS gestisce per la quasi totalità della previdenza italiana: sono assicurati presso l’INPS la maggior parte dei lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato. Accanto a questi enti previdenziali (INPS e INAIL), vi sono poi enti che gestiscono specifici regimi di categoria, anche detti casse nazionali di previdenza ed assistenza dei professionisti. Ad esempio: • ENPACL: ente nazionale di previdenza e assistenza consulenti del lavoro • ENPAF • Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense • ENASARCO Questi sono detti enti “privatizzati”: gestiscono specifici regimi di categoria, che riguardano i liberi professionisti. Le casse di previdenza a cui sono iscritti coloro che esercitano attività professionali e sono state privatizzate a partire dal 1 Gennaio del 1995. Questi enti, godono di autonomia normativa, ma il carattere dell’attività che esercitano, rimane pubblicistico: ossia, la realizzazione della tutela previdenziale Quale è la natura degli enti di categoria? La sentenza del consiglio di stato 28.11.2012 n° 6014 ha chiarito come “la privatizzazione degli enti previdenziali operata dal d.lgs 30 Giugno del 1994 n°509, ha riguardato il solo regime della loro personalità giuridica, ma ha lasciato ferma l’obbligatoria dell’iscrizione e della contribuzione”. Questa privatizzazione, ha riguardato il regime della loro personalità giuridica. “È rimasta altresì ferma la natura di pubblico servizio dell’attività da essi svolte, in coerenza con l’articolo 38”. Il fine perseguito è quindi quello pubblico. Permane, inoltre, il controllo della corte dei conti sulla gestione per assicurarne la legalità e l’efficacia. ENT I PREVIDENZIALI “PRIVAT IZZAT I” Il consiglio di stato ha rilevato che “la trasformazione operata da questo decreto 509/1994 ha lasciato immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dagli enti in esame, i quali conservano una funzione strettamente correlata all’interesse pubblico. La privatizzazione costituisce una innovazione di carattere essenzialmente organizzativo. Chiarisce la natura degli enti previdenziali privatizzati. Pagina di 17 102 RAPPORT I PRELIMINARI A QUELLO PREVIDENZIALE Sussiste un obbligo dell’ente previdenziale di cooperare all’adempimento degli obblighi imposti a datori di lavoro e a lavoratori. Ad esempio l’invio ai lavoratori di estratti conto della retribuzione denunciata dai datori di lavoro (presso l’INPS è istituito un “casellario delle posizioni previdenziali attive “per la raccolta e la conservazione dei dati relativi ai lavoratori iscritti ad ogni regime previdenziale obbligatorio”). OBBLIGAZIONI PRELIMINARI Obbligazioni preliminari: il lavoratore ha diritto a che siano adempiute delle obbligazioni preliminari prima che riceva la prestazione: • Da parte del datore di lavoro: questo deve aver versato i contributi previdenziali prima che il lavoratore riceva le prestazioni previdenziali. In realtà il primo adempimento di ogni datore è quello di denunciare all’INPS la propria esistenza, presso il registro delle imprese con una comunicazione unica, con il quale si da inizio all’attività. Poi, l’ente INPS, ricevuta la comunicazione, identifica il settore lavorativo di cui fa parte il datore e l’azienda, per poi individuare la retribuzione che sta alla base del calcolo dei contributi previdenziali. Vi è un obbligo del datore di comunicare al centro per l’impiego, l’instaurazione del rapporto lavorativo, di comunicare i dati del lavoratore, qualifica professionale ecc. Il datore ha inoltre l’obbligo, di tenere presso la sede legale dell’impresa, o presso il consulente del lavoro, un libro unico del lavoro perché costituisce un unico registro, nel quale sono raccolti i dati relativi ai singoli lavoratori. • Da parte dell’ente previdenziale: deve comunicare informazioni corrette da dare al lavoratore, sulla propria posizione previdenziale, sempre prima che il lavoratore riceva la prestazione. Per esempio, sussiste un obbligo per l’ente che è l’obbligo di cooperare all’adempimento degli obblighi imposti i datori e lavoratori ed è l’obbligo di invio ai lavoratori di alcuni estratti conto della retribuzione denunciata dai datori di lavoro (presso l’INPS c’è un casellario delle posizioni previdenziali attive per la raccolta e conservazione dei dati relativi ai lavoratori iscritti ad ogni regime previdenziale obbligatoria). Queste obbligazioni non danno luogo al rapporto giuridico previdenziale, pecche non è ancora realizzata la tutela previdenziale in quanto non è ancora instaurato il rapporto di lavoro. Il momento di avvio avviene con l’atto di ammissione al godimento delle prestazioni previdenziali. AT TO DI AMMISSIONE AL. GODIMENTO DELLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Atto dell’ente previdenziale che accerta l’esistenza di tutte le condizioni richieste dalla legge e ammette il richiedente al godimento delle prestazioni previdenziali, attribuendo il diritto. Ha efficacia costitutiva. Se è vero che vi sono queste tutte obbligazioni e che non danno luogo al rapporto giuridico previdenziale (perché sono rivolte ad esigenze amministrative burocratiche), è anche vero che dobbiamo individuare l’atto a partire dal quale sorge il diritto al godimento delle prestazioni previdenziali: ed è proprio questo. Pagina di 20 102 La domanda di ammissione è un onere per il soggetto protetto. Vige la presentazione telematica in via esclusiva di tutte le istanze e le richieste di servizio. L’atto di ammissione può avere una forma particolare (es: certificato di pensione) o essere implicito nell’erogazione delle prestazioni previdenziale. Questo è il momento di avvio. L’ente previdenziale potrebbe non provvedere all’ammissione perché magari, ci sono situazioni di inadempimento da parte del datore. Il soggetto protetto a questo punto, ha il diritto di rivolgersi al giudice ordinario, il quale accertato che si siano verificate tutte le condizioni richieste dalla legge, condanna l’ente previdenziale all’erogazione delle prestazioni, e lo fa con sentenza che ha gli effetti del provvedimento di ammissione. Il diritto alle prestazioni previdenziali è un diritto soggettivo pubblico. Sappiamo che, la tutela costituzionale delle prestazioni, è una tutela che non può venire meno in quanto vi è una garanzia costituzionale, dunque i soggetti protetti sono titolari di un vero e proprio diritto soggettivo alle prestazioni previdenziali. Proprio perché il soggetto protetto è titolare di un diritto alla prestazione previdenziale, vi è la possibilità di adire i giudizio il giudice laddove vi sia un comportamento illegittimo da parte degli enti previdenziali. Se è vero che il diritto alle prestazioni previdenziali è soggettivo, è anche vero che il sistema previdenziale si basa su risorse finanziarie pubbliche e quindi di poter disporre di risorse per poter erogare queste prestazioni. Quindi è anche vero, come il legislatore nel corso del tempo è intervenuto con dei provvedimenti legislativi restrittivi, al fine di poter utilizzare nel modo più efficace le risorse per poter dare queste prestazioni. Ad esempio, il legislatore è dovuto intervenire in materia pensionistica, in particolare sul significato di perequazione automatica, ovvero adeguamento costante dei livelli delle pensioni all’aumento del costo della vita. Nel tempo la corte costituzionale si è pronunciata ritenendo ammissibile l’intervento del legislatore che modifichi l’ordinamento delle pensioni in modo restrittivo, ma non è concepibile che sia discrezionale, dunque è ammissibile un intervento legislativo restrittivo unicamente se giustificato. Prestazioni previdenziali: sono determinate dalla legge in relazione ad ogni singolo evento protetto. Possono consistere in prestazioni economiche, oppure sanitarie (ad es. l’assistenza medico chirurgica in seguito ad un infortunio sul lavoro). Le prestazioni previdenziali hanno natura retributiva o risarcitoria? No, nessuna delle due. Questo perché è esclusa la natura retributiva, che può esser riconosciuta solo alle attribuzioni patrimoniale, che è il corrispettivo dell’attività lavorativa. Non ha neanche natura risarcitoria. Dunque, si devono distinguere le prestazioni previdenziali che costituiscono un indennizzo dal vero e proprio risarcimento del danno. Le prestazioni previdenziali non hanno natura di risarcimento del danno. Il ristoro del danno coperto dall’assicurazione non è integrale. Pagina di 21 102 12/03 NATURA GIURIDICA DELLE PRESTAZIONI PREVIDENZIALI Le prestazioni previdenziali sono determinate dalla legge in relazione ad ogni singolo evento protetto. Che natura giuridica hanno le prestazioni previdenziali? Natura retributiva: può essere riconosciuta solo a quelle attribuzioni patrimoniali che siano il corrispettivo dell’attività lavorativa. Natura risarcitoria: anche questa non è riconosciuta. Esempio per la natura risarcitoria: le prestazioni previdenziali non possono avere questa natura, perché se si fa riferimento ad un’ipotesi di prestazioni economica come quelle erogate dell’INAIL nei casi di infortunio sul lavoro o malattia professionale, ci si riferisce a prestazioni contraddistinte dall’indennizzo. L’ente INAIL deve versare un indennizzo in occasione di infortunio/malattia professionale, considerando i parametri oggettivi stabiliti dalla legge, che servono a determinare quantitativamente l’indennizzo che l’ente deve erogare ai lavoratori assicurati. L’indennizzo erogato dall’INAIL, è differente dal risarcimento del danno, perché la funzione delle prestazioni previdenziali, è quella di fronteggiare le situazioni di bisogno andando ad erogare una prestazione economica, che non è integrale: il ristoro del danno biologico coperto dall’assicurazione INAIL non è integrale, la finalità no è quella di ristorare un danno integralmente, ma quella di reintegrare le perdute energie lavorative e fronteggiare situazioni di bisogno andando a realizzare la tutela previdenziale che corrisponde alla funzione di liberare dalla situazione di bisogno, e non di risarcire integralmente il danno. Il risarcimento del danno quindi, prescinde dal bisogno, e mira a restaurare il pregiudizio del lavoratore in forma integrale. Quello che accade nell’ipotesi di indennizzo da parte dell’INAIL è quello di andare a versare un indennizzo del danno biologico (il quale è definito dalla legge ai sensi del decreto del 2000, ed è definito come lesione all’integrità psico-fisica del lavoratore suscettibile di valutazione medico legale) erogato, sotto forma di capitali per danni al 15%, e per danni maggiori superiore al 15% sotto forma di rendita, in base ad una tabella individuata dal legislatore. Dunque, si tratta di una prestazione previdenziale che realizza la tutela, senza l’ambizione di ristorare il danno che integralmente il lavoratore ha subito, perché in modo differente, questa funzione è realizzata dal risarcimento del danno. Le prestazioni previdenziali non possono essere qualificate come risarcimento del danno. La funzione è, invece, quella di reintegrare le perdute energie lavorative e fronteggiare situazioni di bisogno. La liberazione dal bisogno non corrisponde al risarcimento del danno: il danno risarcibile infatti può guardare beni che eccedono i beni necessari alla vita del soggetto protetto. Il bisogno deve essere “socialmente rilevante “ e va inteso come stato di carenza di beni essenziali della vita. Pagina di 22 102 retribuzione che viene erogata ogni mese, una quota che corrisponde alla quota dei contributi che sono a carico del lavoratore e di conseguenza che egli versa agli enti previdenziali. UNICITA E PLURALITÁ DEI RAPPORT I CONTRIBUT IVI A fronte di un’attività lavorativa possono sorgere rapporti contributivi con più enti contemporaneamente (INPS, INAIL ecc.). Il rapporto con ogni ente può avere ad oggetto una pluralità di distinte obbligazioni contributive soggette ad autonoma disciplina. Per esempio il rapporto con l’INPS comprende molteplici obbligazioni contributive: per la tutela della vecchiaia, disoccupazione, assegno per il nucleo familiare ecc. La caratteristica della contribuzione è quella dell’obbligatorietà: obbligo di versare una somma parametrica alla retribuzione nei confronti degli enti previdenziali. Nel sistema obbligatorio di assicurazioni previdenziali, l'INPS è l'ente che nel tempo, secondo un percorso ben definito dalla legge, ha acquisito su di sé una molteplicità di forme di tutela assicurative. A fronte di un'attività lavorativa possono sorgere rapporti contributivi con diversi enti contemporaneamente. Più forme assicurative più tutele di carattere previdenziale che oggi fa fronte l'unico ente previdenziale INPS. Altra forma assicurativa è quella riguardante gli infortuni e malattie professionali per le quali vige un'assicurazione obbligatoria ed una gestione a carico dall'INAIL. Il rapporto con ogni ente può avere ad oggetto una pluralità distinta di obbligazioni contributive che sono soggette ad autonoma disciplina es. caso dell'INPS. Noi se facciamo riferimento al classico rapporto di lavoro subordinato e altri rapporti di lavoro autonomo, o a rapporti di lavoro para subordinati, l'ente di riferimento è l’INPS, ma lo è per una molteplicità di obbligazioni contributive quindi tutele previdenziali di cui quel soggetto lavoratore può avere bisogno. La contribuzione è obbligatoria e stabilita per legge. Aliquota contributiva: viene calcolata e varia a seconda di vari elementi (es. tipologia del lavoro svolto, l’attività svolta, dimensioni società ecc). Percentuale (24.23%) da applicare alla retribuzione: percentuale che viene applicata alla retribuzione annua percepita dal lavoratore e che serve a determinare i contributi previdenziali, la quota di contributi previdenziali che il datore di lavoro deve versare agli enti previdenziali. Quindi la definizione, è quella di una percentuale da applicare alla retribuzione percepita dal lavoratore che serve ad individuare la quota di contributi, che il datore di lavoro è tenuto a versare agli enti previdenziali al fine di finanziare il sistema previdenziale. Tutto è individuato a monte dalla legge e questo concetto di aliquota contributiva varia a seconda di tantissimi elementi. Bisogna tenere conto: • Della tipologia di lavoro, ad esempio che differisce a seconda che si tratti di lavoro subordinato para subordinato o autonomo. • All'attività che viene svolta (agricola, industriale) • Dimensione dell’azienda • Configurazione dell'azienda ad esempio se si tratta di una società di persone o di una società cooperativa. Pagina di 25 102 • Rileva anche la qualifica del lavoratore a seconda che si tratti di un operaio di un dirigente, di un quadro, di un impiegato ecc.. La contribuzione dell'imprese artigiane è inferiore alle imprese industriali. Per individuare l’ammontare dei contributi, che si deve versare ogni mese all’ente, occorre conoscere prima su cosa viene calcolata la contribuzione previdenziale: sull'ammontare del reddito del lavoratore o retribuzione imponibile cioè soggetta a contribuzione previdenziale. Per capire quale esattamente è l'importo dei contributi che il datore ha l'obbligo di versare all'ente previdenziale occorre conoscere ed è determinante, oltre alla retribuzione imponibile, anche eventuali benefici in termini di esonero contributivo che spettano, e che possono spettare in determinati momenti storici (es. individuati dalla stesso legislatore). La circolare che viene menzionata è molto di dettaglio, (n° 19 del 6 febbraio) si ribadiscono le aliquote contributive che sono dovute nell'anno 2019 con riferimento alla gestione separata. Si fa riferimento innanzitutto ai COCOCO iscritti alla gestione separata, ma si fa riferimento anche ai professionisti iscritti alla gestione separata, cioè quei professionisti che non risultano iscritti ad altre gestioni di previdenza obbligatoria che confluiscono anch'essi nella gestione separata dell'INPS che raccoglie i lavoratori autonomi che non sono iscritti a nessun'altra gestione obbligatoria. Per i lavoratori autonomi e liberi professionisti che sono obbligatoriamente iscritti a proprie casse o enti previdenziali privatizzati sono essi stessi a provvedervi. Il principio di automaticità delle prestazioni nasce per il rapporto di lavoro subordinato, ma si estende anche al lavoro para-subordinato, perché anche qui l’obbligo contributivo è ripartito. Discorso diverso vale per il lavoro autonomo in quanto è lo stesso libero professionista che ha l’obbligo di versare i contributi e quindi non vige su di lui il principio di automaticità. COCOCO: rientrano nell’area dell’autonomia, ma per la caratteristica dell’esecuzione della prestazione lavorativa hanno le stesse tutele previdenziali dei lavoratori subordinati. L AVORATORI OBBLIGAT I ALL’ISCRIZIONE ALL A GEST IONE SEPARATA INPS in seguito al d.lgs n°81/2015 Le COCOCO sono collaborazioni alle quali è stato esteso, dal 1995, l’obbligo di iscriversi presso l’INPS, o meglio una sezione separata di questa, al fine di poter garantire ad esse, una tutela dal punto di vista della vecchiaia. Quindi, vi è un obbligo di iscrizione separata presso l’INPS, che però in seguito alle recenti modifiche legislative, i lavoratori obbligati all’iscrizione e gestione separata sono: • I collaboratori coordinati e continuativi esclusi dall’applicazione della disciplina del lavoro subordinato, per legge o in quanto titolari di rapporti privi degli indici individuati dal decreto 81/2015, incentrati sulla etero-organizzazione a cui sono estese le tutele proprie del lavoro subordinato • I collaboratori coordinati e continuativi a progetto (è stato abrogato) titolari di contratti stipulati prima del 2015 ancora in essere • I lavoratori autonomi titolari di partita IVA, tenuti ad iscriversi alla gestione separata e non ad una cassa di previdenza professionale, quando esercitino attività il cui esercizio non sia subordinato all’iscrizione ad appositi albi Pagina di 26 102 L'INPS quindi raccoglie in apposite gestioni anche categorie di lavoratori autonomi. Se parliamo di lavoro autonomo nella tutela previdenziale dobbiamo distinguere che tipo di contratto di lavoro autonomo e a quale lavoratore ci riferiamo: es i lavoratori autonomi che sono tenuti a iscriversi a differenti gestioni previdenziali e che di conseguenza riceveranno differenti forme di tutela. All'interno dell'INPS vige una gestione di forme assicurative previdenziali che è rivolta anche ai COCOCO. La difficoltà che ci poniamo man mano è che la fattispecie delle COCOCO è stata distinta e in parte ricondotta alla subordinazione che devono avere determinati requisiti: soggetti la cui attività è soggetta ad una forma di organizzazione determinata dal committente quanto ai tempi e al luogo della prestazione (gestito e organizzato dal committente). Aliquota contributiva determinata dall’INPS e che di anno in anno individua una percentuale per ciascuna di queste categorie di lavoratori tendenzialmente alzandola. Per esempio i soggetti liberi professioni hanno un'aliquota contributiva del 25 per cento. Per esempio nella somministrazione di lavoro vi è un'obbligazione solidale cioè responsabilità solidale tra l'agenzia di somministrazione di lavoro e l'impresa utilizzatrice per quanto riguarda l'obbligo sia retributivo che contributivo: ricordiamoci come in questo caso è l'agenzia di somministrazione di lavoro il soggetto principalmente tenuto al versamento dei contributi previdenziali ma rimane una solidarietà per l'impresa utilizzatrice laddove l'agenzia non provveda. Diritto di rivalsa dell'utilizzatore sull'amministratore. l'obbligazione contributiva quindi a seconda della tipologia contrattuale può assumere delle sfumature diverse. SOGGET T I TENUT I AL PAGAMENTO DEI CONTRIBUT I L’imposizione dell’obbligo del pagamento di contributi previdenziali: tradizionalmente sono tenuti i datori di lavoro nei confronti dei lavoratori subordinati. Responsabile dell’adempimento dell’obbligo è il datore di lavoro, anche per la parte posta a carico di lavoratori: il datore di lavoro ha il diritto di rivalsa nei confronti dei lavoratori esercitato mediante la trattenuta sulle retribuzioni. NATURA GIURIDICA DEI CONTRIBUT I PREVIDENZIALI È stato un problema controverso e affrontato in vario modo dalla dottrina, attraverso alcune domande: Può essere inteso come corrispettivo delle prestazioni previdenziali, o meglio, i contributi vanno intesi come corrispettivo delle prestazioni previdenziali? Hanno la stessa natura del contributo erogato nell’ambito di un’assicurazione privata laddove il premio è pagato come corrispettivo di ciò che si riceve? Manca il nesso di corrispettività tra contributi e prestazioni previdenziali (vige il principio di automaticità delle prestazioni). I contributi previdenziali sono, invece, da intendersi come tributi imposti dalla legge a favore di un ente pubblico per la realizzazione di un pubblico interesse. La tutela previdenziale è una funzione sociale dello stato. Pagina di 27 102 17/03 FISCALIZZAZIONE DEGLI ONERI SOCIALI Rappresenta una misura di politica economica attraverso la quale una parte dei contributi obbligatori a carico delle imprese viene finanziata con risorse che provengono dal bilancio dello stato. Si tratta di una misura economica, attraverso la quale una parte dei contributi è a carico dello stato. Si precisa come l’accollo dell’onere contributivo da parte della finanza statale al fine del rilancio di settori in crisi o di alleggerire il peso della disoccupazione in aree tradizionalmente depresse. Gli oneri sociali e gli sgravi contributivi insieme, riducono il costo del lavoro per ogni lavoratore e contribuiscono a rendere le imprese più competitive favorendo l’occupazione. È una finalità perseguita con le leggi di bilancio che via via hanno promosso delle nuove misure, rivolte alla fiscalizzazione degli oneri sociali o oneri contributivi. ESEMPIO: utilizzo e promozione dell’apprendistato È stato incentivato il contratto di apprendistato con natura contributiva ridotta, con obbligo anche formativo per i datori e con cui si incentiva l’occupazione giovanile. Contratto che è definito a tempo indeterminato. Per la sua caratteristica di contratto incentivante, è sempre preso in considerazioni nelle leggi di bilancio, per esempio con le imprese che hanno un certo numero di dipendenti e che possono fare questo tipo di contratto: il legislatore ha previsto uno sgravio contributivo previdenziale del 100% nei primi 3 anni di contratto. Lo strumento dello sgravio contributivo sia utilizzato negli ultimi anni, proprio per incentivare l’occupazione di particolari categorie svantaggiate (giovani), o per incentivarla in determinate aree depresse dove la disoccupazione ha un tasso molto elevato rispetto per esempio al nord. Viene data la possibilità nelle zone ad alto tasso di disoccupazione, (es Campania) di esoneri contributivi a carico del datore fino ad un massimo importo. A volte anche a determinate categorie di lavoratori. Attraverso queste previsioni, si percorre questa via di ridurre il costo del lavoro e in modo mirato combattere la disoccupazione in determinate aree/categorie. Può essere modulata l’obbligazione contributiva con leggi statali, o con previsioni chiamati sgravi contributivi o fiscalizzazione degli oneri sociali. La finalità è di politica economica, realizzata attraverso queste previsioni. APPORTO DELL A FINANZA DELLO STATO È lo stato a farsi carico di una quota dei contributi previdenziali per incentivare determinate aziende in determinati momenti e si fa riferimento anche alla contribuzione figurativa: possibilità che in determinati casi di sospensione del rapporto di lavoro, il finanziamento pubblico si sostituisce al difetto di contribuzione da parte dei soggetti obbligati (in caso di disoccupazione, malattia, maternità, infortunio, intervento della CIG). Si evita che la vicenda sospensiva del rapporto di lavoro produca effetti pregiudizievoli per il soggetto protetto, quindi il lavoratore tutelato. Pagina di 30 102 Esempi: • Periodi di astensione obbligatoria o facoltativa per maternità o paternità • Periodi di malattia e inabilità temporanea dovuta ad infortunio sul lavoro • Periodi di godimento della cassa integrazione guadagni in tutte le sue forme e dell’indennità di disoccupazione La legge ha previsto come in questi casi, venga sostituito il finanziamento pubblico alla contribuzione che invece è a carico del datore e lavoratore, per evitare un pregiudizio nei confronti dei lavoratori stessi. Ci sono quindi 3 tipi di contribuzione: 1. Effettiva: quella normale del datore 2. Figurativa 3. Volontaria: in mancanza di retribuzione, ossia di lavoro, l’assicurato e quindi il lavoratore assicurato (beneficiario in futuro delle prestazioni previdenziali) , può fare domanda per versare volontariamente i contributi che sono a proprio carico e che sono utili al perseguimento del diritto della prestazione previdenziale. (es. possibilità data al lavoratore che ha cessato l’attività di lavoro o l’ha interrotta e quindi può subire un danno in periodi di non lavoro, per il mancato versamento di contributi e quindi l’ordinamento fa si che si possano versare i contributi volontariamente anche nei momenti di non lavoro). Servono per coprire periodi in cui il lavoratore non sta svolgendo l'attività lavorativa o l’ha interrotta. Il diritto alla maternità è stato riconosciuto fin dai primi anni del 1900, da qui ci sono stati diversi istituti di protezione economica per fornire alla lavoratrice madre i mezzi necessari economici per far fronte al bisogno e alle esigenze di vita nel periodo di incapacità lavorativa connessa alla nascita del figlio. Le lavoratrici beneficiarie sono le lavoratrici subordinate comprese quelle a domicilio e, entro alcuni limiti, anche i lavoratori padri nella logica di soddisfare l’interesse del minore alla presenza di entrambi i genitori. L’ambito della tutela è poi stato esteso anche al lavoro autonomo e ai liberi professionisti e alle cococo. La tutela è garantita anche in caso di affidamento e adozione. Le speciali forme di tutela consistono in periodi di astensione obbligatoria (congedo di maternità e paternità che si ha nei 2 mesi prima del parto e 3 mesi dopo il parto a parte per le lavoratrici professioniste che non vi è l’obbligo) e periodi di astensione facoltativa (congedi parentali entro i 12 anni di età del bambino per un massimo di 10 mesi). Anche il padre può astenersi dal lavoro in caso di morte della madre o abbandono del bambino, in più ha 5 giorni di astensione obbligatoria dal lavoro nei 5 mesi successivi al parto. La legge prevede per i soli lavoratori subordinati e nel primo anno di vita del bambino, due ore di permesso giornaliero chiamato riposo per allattamento che può essere usufruito da uno dei due genitori ed è retribuito dal datore. Inoltre, entrambi i genitori, alternativamente, hanno il diritto di astenersi dal lavoro nel caso di malattia del figlio attestata con certificato medico in misura illimitata fino a 3 anni di età e fino ad un massimo di 5 giorni lavorativi all’anno. Se il bambino è portatore di handicap, uno dei due genitori può usufruire, entro i 12 anni di età del bambino, del prolungamento del congedo parentale o in via continuativa o in via frazionata per un periodo massimo di 3 anni. Pagina di 31 102 Per tutto il periodo di congedo di maternità e paternità le lavoratrici e lavoratori hanno diritto ad una indennità giornaliera erogata dall’inps pari all’80% della retribuzione. Per i periodi di congedi parentali spetta una indennità pari al 30% della retribuzione per 6 mesi fino al sesto anno del bambino. TUTEL A PREVIDENZIALE DEI L AVORATORI ITALIANI ALL’ESTERO L’articolo 38, comma 2, non opera distinzioni sulla base della cittadinanza, dunque, i diritti previdenziali spettano ai lavoratori a prescindere dalla nazionalità. Vale lo status di lavoratore. C’è la possibilità di garantire una contribuzione per i lavoratori che si recano in altri paesi comunitari. La posizione maggiormente tu • Tutela nei paesi comunitari: è garantita la tutela dei lavoratori attraverso convenzioni internazionali e attraverso il principio della libera circolazione della manodopera contenuto nei regolamenti comunitari. • Tutela nei paesi extracomunitari: non essendo nell’UE, non vigono i principi del trattato del TFUE. La tutela previdenziale del lavoratore italiano all’estero, era condizionata dall’esistenza di una convenzione internazionale (specifica intesa tra gli stati). Questa situazione è stata presa in considerazione con una sentenza della corte costituzionale: ha considerato non legittime quelle norme di legge che limitavano al territorio nazionale, le tutele previdenziali. La corte, in attuazione di ciò, la tutela previdenziale deve essere garantita anche ai lavoratori italiani che si trovino a lavoratore all’estero, pur in mancanza di convenzioni internazionali. La vicenda della tutela di lavoratori italiani all’estero impiegati in paesi extracomunitari, con i quali non vi siano accordi di sicurezza sociale, si è risolta con la legge 398 del 1987 che ha stabilito che i lavoratori italiani all’estero, siano obbligatoriamente iscritti alle gestioni previdenziali italiane: dunque iscrizione obbligatoria in Italia per vecchiaia, invalidità, maternità ecc. La contribuzione previdenziale inoltre, non è commisurata alla retribuzione percepita all’estero, ma ad una retribuzione convenzionale determinata sulla base di un accertamento annuo, del valore medio delle retribuzioni sindacali italiane (principio della retribuzione convenzionale). L’accertamento viene fatto dal ministero del lavoro. TUTEL A L AVORATORI STRANIERI I lavoratori stranieri che soggiornano regolarmente in Italia, subordinati/autonomi/para subordinati, sono soggetti protetti e sono assoggettati all’obbligo di pagamento dei contributi previdenziali ai loro datori o committenti. Vige poi la regola del principio di territorialità per cui i lavoratori sono soggetti alla legislazione previdenziale del paese in cui svolgono l’attività lavorativa. Vale anche un principio di parità di trattamento per cui ad essi sono garantite le prestazioni riconosciute al lavoratore italiano, proprio perché l’articolo 38 comma 2 si riferisce a tutti i lavoratori, indipendentemente dalla nazionalità. Per quest’ultimo ci sono però due eccezioni: chi ha il permesso di soggiorno stagionale gode solo di alcune prestazioni e sicurezze sociali, e come secondo punto chi decide di tornare nel suo paese d’origine, non può godere dei contributi versati in Italia a titolo previdenziale ma solo dei diritti previdenziali e sicurezza sociale di cui ha goduto in Italia. gli stranieri con permesso di soggiorno stagionale si applichino solo ad alcune forme di previdenza e Pagina di 32 102 PRINCIPIO DI AUTOMAT ICITÀ DELLE PRESTAZIONI (art. 2116 c.c.) Nelle assicurazioni sociali (a differenza di quelle private), le prestazioni previdenziali sono dovute al lavoratore anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi: le prestazioni previdenziali non vengono erogate in funzione del versamento dei contributi. Articolo 2116 “Le prestazioni indicate nell’articolo 2114 sono dovute al prestatore di lavoro (lavoratore), anche quando l’imprenditore non ha versato regolarmente i contributi dovuti alle istituzioni di previdenza e di assistenza, salvo diverse disposizioni di leggi speciali. Nei casi in cui, secondo le disposizioni di legge diverse e speciali, le istituzioni di previdenza e di assistenza, per mancata o irregolare contribuzione, non sono tenute a corrispondere in tutto o in parte le prestazioni dovute, l’imprenditore è responsabile del danno che ne deriva al lavoratore.” Questo articolo, contempla “salvo diverse disposizioni di leggi speciali”, ci sono quindi limiti di applicazione che stabiliscono una non compiuta attuazione del principio in alcune situazioni, e vi sono limiti riguardanti determinate categorie di lavoratori. Se il principio non trova compiuta applicazione, il datore è responsabile nei confronti del lavoratore per i danni che ad esso può arrecare e viene violato il diritto soggettivo del lavoratore alla posizione contributiva. Problematiche e limiti del principio: 1. In materia di assicurazione contro gli infortunio sul lavoro e le malattie professionali il principio trova integrale applicazione. Il problema potrebbe essere che l’ambito soggettivo è limitato perché i destinatari della norma rimangono i lavoratori subordinati: “Gli assicurati hanno diritto alle prestazioni da parte dell’istituto assicuratore (INAIL) anche nel caso in cui il datore non abbia adempiuto agli obblighi stabiliti nel presente titolo” (il titolo è l’articolo 67 d.p.r n° 1124/1965) Si precisa come in questo ambito, il principio di automaticità trova integrale applicazione. 2. Nell’assicurazione generale per invalidità, vecchiaia e superstiti, il principio riceve una applicazione attenuata: questo perché, in questo caso, il requisito contributivo stabilito per il diritto alle prestazioni previdenziali, si intende verificato anche quando i contributi non siano stati versati, ma risultino dovuti nei limiti della prescrizione. Ossia, è assegnata importanza non a tutti i contributi, ma a quelli che non siano stati prescritti e quindi dovuti ancora in limiti della prescrizione. L’obbligo contributivo si estingue per prescrizione in 5 anni. Quindi, questo è soggetto a prescrizione, i diritti si estinguono per prescrizione e per legge non possono essere versati i contributi prescritti. La prescrizione cioè, porta all’estinzione di un diritto soggettivo. È parziale il principio perché non è segnata rilevanza a tutti i contributi non versati ma solo a quei contributi che non sono prescritti. (principio di irricevibilità dei contributi prescritti). La tutela INAIL non indica limiti ed è caratterizzata da un principio di automaticità integrale. Pagina di 35 102 L’applicazione del principio di automaticità alle assicurazioni invece di invalidità, vecchiaia ecc trova applicazione solo parziale e ha appunto un limite. L’applicazione parziale sta proprio nel fatto che nell’ambito del principio di automaticità non è assegnata importanza giuridica a tutti i contributi che il datore non abbia versato ma solo a quei contributi che non siano prescritti e il termine di prescrizione è di 5 anni. Cioè, il principio che pone una tutela nei confronti dei lavoratori , anche dove non sono stati versati i contributi, vale nell’arco temporale di 5 anni entro i quali contributi possono prescriversi. Dopo i 5 anni, si estingue il diritto dell’ente a ricevere i contributi previdenziali e vige il principio di irricevibilità dei contributi prescritti. Non possono essere versati i contributi prescritti. L’ente quindi non può richiederne il pagamento, essendo prescritti, e qualora il datore vi provveda spontaneamente ma la prescrizione è scaduta, allora l’ente deve provvedere d’ufficio al suo rimborso. Nell’ambito del principio di automaticità delle prestazioni previdenziali, non assegnata importanza a tutti i contributi non versati dal datore di lavoro, ma unicamente ai contributi che non siano ancora prescritti. Se non sono ancora prescritti, opera il diritto incappo all’ente di ricevere i contributi previdenziale, dovere di erogare le prestazioni nei confronti del lavoratore. 18/03 PRINCIPIO DI IRRICEVIBILITÀ DEI CONTRIBUT I PRESCRIT T I L’ente previdenziale non può i generale opporre al lavoratore l’inadempimento contributivo del rispettivo datore di lavoro, ma può opporre gli effetti di quell’inadempimento in relazione alle singole obbligazioni contributive per le quali sia nel frattempo decorso il termine di prescrizione (5 anni). Vi sono di conseguenza effetti pregiudizievoli per il lavoratore, dovuti all’inadempimento da parte del datore di lavoro, in relazione a singoli obbligazioni contributive, per le quali sia decorso il termine di 5 anni di prescrizione. Il termine dei 5 anni, inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, quindi la prescrizione inizia a decorrere dalla data di scadenza del pagamento dei contributi, e da qua partono i 5 anni. L’ente, non può opporre al lavoratore, l’inadempimento del datore, in relazione a singole obbligazioni per le quali il termine di prescrizione sia decorso. È anche vero che l’ente può opporre al lavoratore e quindi sancire come l’inadempimento della contribuzione del datore, è un inadempimento che ha riguardato contributi nei confronti dei quali nel frattempo è decorso il termine e dunque sono contributi prescritti e non più ricevibili da parte dell’ente previdenziale. Che tipo di responsabilità è rinvenibile in capo al datore di lavoro? Il datore obbligato al versamento della corruzione è anche responsabile per la quota che la legge pone a carico del lavoratore stesso. Pagina di 36 102 Il datore però ha diritto di rivalsa verso il lavoratore, diritto che esercita trattenendo il relativo importo sulla retribuzione. Le conseguenze di una omessa o irregolare contribuzione previdenziale da parte del datore sono: 1. Può dare luogo a responsabilità penale e o civile del datore nei confronti dell’ente previdenziale. 2. Inoltre, il datore può essere civilmente responsabile nei confronti del lavoratore per i danni creati ad egli. (per esempio la pensione che non viene ricevuta). L’esempio di ha appunto nell’assicurazione per vecchiaia e invalidità. Se il datore civilmente responsabile nei confronti del lavoratore: I danni subiti dal lavoratore possono essere il mancato accreditamento a favore del lavoratore di contributi importanti per il perfezionamento del diritto alla pensione. Le azioni esercitabili dal lavoratore sono: A. Azione di risarcimento del danno: esercitabile quando non vige più il principio di automaticità delle prestazioni previdenziali. Il risarcimento avviene condannando il datore di lavoro al pagamento di una somma o forma di risarcimento in forma specifica. Per esempio in questo ultimo caso, può essere liquidata in forma specifica un danno, come ad esempio, il datore può costituire una rendita vitalizia pari alla pensione che spetterebbe al lavoratore. B. Azione derivante dalla lesione del diritto del lavoratore alla sua posizione contributiva: nel caso in cui, i contributi non siano ancora prescritti, il lavoratore ha la possibilità di agire e l’azione ha ad oggetto la condanna del datore, ad adempiere la contribuzione perché non è ancora prescritta. La lettera A e B attengono due possibilità differenti, per il lavoratore, ad agire in giudizio contro il datore di lavoro e di ottenere il proprio diritto alle prestazioni previdenziali. Questo appena descritto corrisponde al primo limite. I limiti al principio di automaticità sono anche altri: i limiti che riguardano i beneficiari della tutela previdenziale. Infatti il principio di automaticità non vale per tutti i lavoratori. Chi sono i soggetti beneficiari della tutela? Quali rapporti di lavoro rientrano nel principio di automaticità? In origine, i soggetti beneficiari della tutela erano solo i lavoratori subordinati. Il lavoratore autonomo non ne ha diritto, perché è egli stesso responsabile. Se ciò è vero, può il lavoratore para - subordinate, COCOCO vedersi estese questo principio? Si, però non è una disposizione legislativa perché il principio trova il suo ambito nel classico rapporto di lavoro subordinato. Ma se si riflette, perché invece il principio è estensibile? Perché il committente ha l’obbligo contributivo. È il committente, al pari del datore, ad avere su di sé l’obbligo contributivo. Questa ripartizione, fa si che ci sia una similitudine, cioè un’analogia nell’articolazione dell’obbligo contributivo tra subordinazione e para - subordinazione. Questo è l’elemento che fa si che il principio di automaticità delle prestazioni, possa essere esteso al di la dell’area stretta della subordinazione dentro la quale è pensato. Pagina di 37 102 TUTEL A ASSICURAT IVA CONTRO L’INFORTUNIO SUL L AVORO E MAL AT T IA PROFESSIONALE Prima situazione che costituisce un evento considerato all’articolo 38, come una situazione di bisogno che meritano garanzie previdenziali. La legge è la numero 1124/1965 che costituisce un insieme di norme, che poi sono state modificate e integrate dal d.lgs n° 38/2000. La modifica più significativa è intervenuto su due aspetti: 1. Definizione del danno biologico: viene definito per leggere diviene danno alla salute indennizzabile all’ente previdenziale INAIL 2. Indennizzo in itinere: accaduto nello spostamento dal luogo di lavoro Questa tutela assicurativa ha dei tratti pubblicistici: è affidata all’ente INAIL ed è garantita dal testo unico (d.p.r 1124/1995). Facciamo riferimento a un’assicurazione obbligatoria finanziata con il versamento di contributi che assumono il nome di premi, che sono a carico del datore di lavoro. Il concetto che sta alla base di questa assicurazione obbligatoria INAIL è quello di rischio professionale: se è vero che questa assicurazione obbligatoria è nata ed è giustificata almeno nella sua origine, sul concetto di rischi professionale, ora non è più tanto così. Il datore di lavoro espone, nell’ambito del classico lavoro subordinato, i propri dipendenti a un rischio sul lavoro, e quel datore di lavoro trae un utilità da quel lavoro prestato dai dipendenti e per questo il datore di lavoro dovrà anche sopportare le conseguenze negative di quel rischio. Quindi quel datore di lavoro avrà l’obbligo di pagare e di versare i premi nei confronti dell’ente previdenziale Inail che è l’Ente deputato a prestare, ad erogare le prestazioni previdenziali, laddove si verifichi la situazione di bisogno: ecco cosa vuol dire quando un sistema del genere nasce sul concetto di rischio professionale. Si giustifica cioè dal fatto che nell’esecuzione del lavoro c’è un rischio al quale i dipendenti sono esposti, e il datore di lavoro ha l’obbligo di farsi carico delle conseguenze negative che ne possono derivare. Tuttavia, è anche vero che nelle riflessioni più recenti, il concetto di rischio professionale è sostituito da un concetto diverso: il significato che assimila tutte le assicurazioni obbligatorie = SITUAZIONE DI BISOGNO, e allora ciò significa richiamare la definizione di diritto della previdenza sociale: liberare dalla situazione di bisogno. Rimane un obbiettivo diverso da quello del risarcimento del danno. La finalità del sistema previdenziale non è quella di risarcire un danno ma è quella invece di liberare da una situazione di bisogno. Ci renderemo conto come un conto è l’indennizzo (termine tecnico della prestazione previdenziale a carico dell’Inail) , e diverso è il risarcimento del danno che può essere eventuale, che rimane a carico del datore di lavoro solo e se il lavoratore voglia agire in giudizio per un’altra via. La tutela previdenziale non ha l’obiettivo di coprire interamente il danno che il lavoratore a subito a seguito di un infortunio o malattia professionale. Quindi ciò che è il fondamento quindi di questo sistema assicurativo (richiamo art. 38 comma due)sono i mezzi adeguati alle esigenze di vita come prestazioni Pagina di 40 102 previdenziali che debbono sopperire a determinate situazioni di bisogno come l’infortunio sul lavoro e la malattia professionale. Ci renderemo conto di come si tratta tutt’oggi di una tutela limitata, si tratta di una tutela selettiva, in quanto è la legge stessa a selezionare le tipologie di lavori pericolosi, lavoratori assicurati: estensioni che nel tempo si sono avute rispetto alla disciplina iniziale ma dato che continua a contemplare una forma di protezione selettiva è criticato da studiosi o avvocati che hanno sostenuto che è vero che il fondamento normativo costituzionale anche di questa tutela è proprio l’art. 38, ma questo articolo riconosce il diritto alle prestazioni previdenziali senza subordinarlo a determinati lavoratori o meglio a determinate situazioni più rischiose rispetto ad altre. L’art. 38 riconosce il diritto dei lavoratori che siano assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, e non subordina questo diritto previdenziale ad alcuna valutazione di maggiore o minore rischiosità dell’attività lavorativa: lo riconosce in termini assoluti e per tutti i tipi di infortuni e malattie professionali che sono conseguenza del lavoro. Il lavoratore ai sensi dell’art. 38 è chiunque presti attività di lavoro a causa della propria prestazione lavorativa e la selettività del Testo Unico dovrebbe essere rivista decisamente. Si tratta di una tutela delle possibili conseguenze lesive dei lavoratori, derivanti da un rischio: che è connaturato allo svolgimento di una data attività lavorativa. Il lavoratore si trova in una situazione di bisogno a causa del suo lavoro, e per questo merita una tutela intensa ed effettiva. Il fondamento della tutela è sempre stato considerato il rischio professionale. Il datore, espone propri dipendenti a questo rischio (di infortuni/malattia professionale), trae anche un’utilità dallo svolgimento dell’attività lavorativa e facendo ciò deve però sopportare anche le conseguenze pregiudizievoli e negative del verificarsi di quel rischio. Ha quindi l’obbligo di versare i premi (contributi) all’ente previdenziale. Il rischio è legato alla pericolosità dell’attività lavorativa. Nell’ambito della tutela INAIL, la tutela ha una funzione anche selettiva: si rivolge ad alcuni soggetti protetti e riguarda alcune attività pericolose. È una tutela volta alla finalità sottesa alla previdenza sociale in generale. Qual è la funzione della tutela previdenziale? Liberare il lavoratore dalla situazione di bisogno che però, rispetto alle altre forme, i questa situazione il lavoratore si trova in un evento di bisogno a causa del proprio lavoro. Fine perseguito nell’ambito della tutela INAIL: erogare un indennizzo nei confronti dei lavoratori che si trovino in una situazione di bisogno. La prestazione previdenziale assume la forma di un mero indennizzo, e non ha la funzione di andare a ricoprire integralmente il danno subito dal lavoratore. In quel caso per ottenere una tutela completa, il lavoratore ha la possibilità di agire in giudizio con un’azione apposita contro il datore, al quale chiederà il risarcimento di un danno ed il danno risarcito da parte del giudice, dovrà tenere presente anche la quota di indennizzo, che l’ente INAIL, ha già provveduto a versare. Ecco perché, il risarcimento che il lavoratore può chiedere, prende il nome di “risarcimento del danno differenziale”. Pagina di 41 102 A quali lavoratori si rivolge la tutela INAIL? L’impostazione della tutela per infortuni e malattie professionali, è selettiva: limitata a quelle attività che presentano un maggior rischio. Questa impostazione, rimane tale quando il testo unico, si rivolge ad alcune attività particolarmente pericolose. La logica sottesa alla normativa, è una logica che segue il concetto di rischio professionale. Si rivolge a due requisiti, considerando da un lato: • Requisiti oggettivi: attività rischiose (art. 1 del testo unico) • Requisiti soggettivi: soggetti assicurati, richiamati nell’articolo 4 del testo unico Se ci riferiamo ai requisiti soggettivi, all’articolo 4, parliamo di lavoratori che svolgono l’attività in particolari posizioni, ma non rileva né il sesso né l’età e opera il principio di automaticità delle prestazioni, lo fa senza eccezioni. L AVORAZIONI PERICOLOSE La legge le suddivide in due categorie: 1. Le attività con apparecchi, impianti 2. Le attività che per loro natura presentano un alto grado di pericolosità, anche se si svolgono senza l’ausilio di macchine Quali i settori lavorativi? In origine, la tutela INAIL, era limitata al settore industriale., con un successiva modifica (decreto 38/2000), che ha individuato ai fini della tutela, alcuni gestioni separate: industria, artigianato, terziario ecc. In sostanza, pur essendo una tutela rimodellata, è anche vero che sono stati mantenuti dei limiti, indicati nell’articolo 1 del decreto. Articolo 1, comma 1, d.p.r n° 1124/1965 “È obbligatorio l’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro delle persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, siano addette a macchine mosse non direttamente dalla persona che le usa, ad apparecchi a pressione, ad apparecchi e impianti elettrici o termici” (la pericolosità della macchina è dovuta al fatto che il suo funzionamento sfugge al controllo dell’operatore) nonché “delle persone comunque occupate in opifici, laboratori o in ambienti organizzati per lavori, opere o servizi, i quali comportino l’impiego di tali macchine, apparecchi o impianti (es: rischio ambientale) Lo stesso articolo 1, commi 4 e 5, fa riferimento a: Pericolosità per gli addetti a lavori complementari a quelli che comportano l’uso della macchina “Sono considerati come addetti a macchine, apparecchi o impianti tutti coloro che compiono funzioni in dipendenza e per effetto delle quali sono esposti al pericolo di infortunio direttamente prodotto dalle macchine, apparecchi o impianti suddetti” “Sono pure considerate addette ai lavori di cui al primo comma del presente articolo le persone le quali, nelle condizioni previste dal presente titolo, sono comunque occupate dal datore di lavoro in lavori complementari o sussidiari, anche quando lavorino in locali diversi e separati da quelli in cui si svolge la lavorazione principale” Pagina di 42 102 24/03 La tutela assicurativa INAIL, si estende anche al lavoro agile (smart-working). Ovvero, una modalità del lavoro subordinato, stabilita mediante un accordo tra le parti e il contenuto di questo accordo è che la prestazione venga eseguita, in parte all’interno di locali aziendali, e in parte all’esterno, senza postazione fissa. Questa modalità, ha posto inizialmente delle problematiche in modo abbastanza analogo. Il lavoro agile, regolato dalla legge 81/2017, prevede un’estensione della copertura assicurativa INAIL per gli infortuni e malattie, che sono dipendenti da rischi, connessi alla prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. La modalità agile, necessita però, di una copertura assicurativa. La legge, inoltre, prevede la possibilità degli infortuni in itinere e su questo punto è intervenuta anche una circolare INAIL. Oltre a varie categorie di lavoro subordinato, l’articolo 4 include anche persone diverse dai lavori subordinati. Lavoro autonomo: para - subordinato. Nel tempo, le COCOCO, è stata equiparata al lavoro subordinato dal punto di vista di certe tutele, come quella dell’INAIL. Ora, si passa a considerare un altro tipo di organizzazione, cosiddetta “etero - organizzata” (articolo 2 decreto 81/2015): la tutela del lavoro tramite piattaforma digitale. È anche vero, come, se parliamo di lavoro attraverso la piattaforma digitale (riders, fattorini ecc.), dal punto di vista della previdenza sociale, è considerato dalla legge ed è stato inserito un capo per questo lavoro, i cui si regola la tutela stessa di questo lavoro. L’oggetto di questa tutela è quello di fornire dei livelli minimi di protezione, per lavoratori che la legge individua come autonomi che svolgono attività di consegna di beni, attraverso le piattaforme digitali. Sono questi lavoratori, riconosciuti sia come autonomi, sia come lavoratori destinatari di determinate forme di tutele e divieto di discriminazione in quanto alla loro libertà e dignità rispetto ai lavoratori subordinati. L’articolo 47-septies: comprende una copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Questo è volto a capire come ci sia un’evoluta tutela INAIL, nell’ambito di modalità di svolgimento di lavoro nuove, ma che sono fortemente utilizzate, e vengono considerate dalla legge di lavoro autonomo e non subordinato. Vi è un’estensione della tutela, oltre il lavoro subordinato. Prestazione occasionale: la possibilità di svolgere attività di lavoro occasionali. È regolamentato da un decreto del 2017, poi convertito in legge, e disciplina queste prestazioni, ricondotte a due tipologie: • Utilizzabili da persone fisiche mediante libretto di famiglia • Utilizzabili da altre persone per l’acquisizione di prestazioni di lavoro mediante un vero e proprio contratto di prestazione occasionale In entrambi i casi si fa riferimento all’attività di prestazione occasionale, e la tutela assicurativa INAIL si applica anche ai soggetti che svolgono la prestazione sia mediante il libretto di famiglia, sia contratto di prestazione occasionale. Dunque, una copertura Pagina di 45 102 assicurativa INAIL, ricompera anche nell’ambito di questa modalità di lavoro, il cui inquadramento giuridico non è definito né è definibile, cioè non si parla né di subordinazione né di autonomia, ma si fa riferimento unicamente a caratteristiche di occasionalità. Qual’è l’oggetto dell’assicurazione INAIL? • Infortunio sul lavoro: Articolo 2, T.U L’assicurazione comprende tutti i casi di infortunio avvenuti “per causa violenta in occasione di lavoro, da cui sia derivata la morte un’inabilità permanete al lavoro, assoluta o parziale, ovvero un’inabilità temporanea assoluta che importi l’astensione del lavoro per più di tre giorni” Questa è la definizione di infortunio sul lavoro. Causa violenta e occasione di lavoro, sono i due requisiti che caratterizzano l’infortunio sul lavoro. L’aspetto più importante, è quello della occasione di lavoro: permette di distinguere l’infortunio dalla malattia professionale. Solo l’infortunio sul lavoro avviene in occasione di lavoro, mentre la malattia professionale, avviene a causa del lavoro. L’occasione di lavoro è un significato, oggetto di interventi da parte della giurisprudenza, e significa la relazione che intercorre tra il lavoro e l’infortunio. Va distinta dalla causa, o meglio, dal nesso di casualità diretta che determina la malattia professionale. L’occasione di lavoro, si realizza quando il lavoro, è l’occasione dell’infortunio, perché ha determinato l’esposizione del soggetto al rischio del suo verificarsi. Quindi, è una situazione che si verifica ogni volta che lo svolgimento di un’attività lavorativa che non è la causa, ma è l’occasione dell’infortunio che ha determinato l’esposizione del soggetto protetto, al rischio del verificarsi dell’infortunio. Questo rischio, non è solo specifico, ma può essere anche generico: l’occasione di lavoro sussiste anche quando il lavoro espone il lavoratore protetto ad un rischio che sia generico, come per esempio il rischio della strada (legge del 2000: infortunio in itinere). L’occasione di lavoro che intercorre tra il lavoro e l’infortunio, non è un legame interrotto dalla colpa del lavoratore, se per colpa intendiamo la negligenza del lavoratore che svolge la sua attività di lavoro. Quindi, laddove il lavoratore, svolga la prestazione di lavoro con la colpa, questo non esclude l’indennizzabilità dell’infortunio sul lavoro, perché è inclusala colpa del lavoratore mentre la legge esclude il diritto all’indennizzo INAIL quando l’infortunio, sia la conseguenza di u comportamento doloso del lavoratore protetto. Il dolo, porta quindi all’esclusione dell’indennizzo INAIL. Cosa significa dolo e quali sono le situazioni? Dolo: comportamenti di autolesionismo del lavoratore, ovvero intenzionalmente si è fatto male. Se si accerta questa intenzione del lavoratore, il dolo è un elemento deputato ad interrompere quel nesso di occasionalità tra lavoro e infortunio. Se il concetto di colpa, non interrompe il nesso tra il lavoro e l’infortunio, ciò che invece esclude il diritto a ricevere le prestazioni dall’INAIL, è il comportamento doloso del lavoratore. Pagina di 46 102 Causa violenza: violenza intesa come intensità e rapidità con la quale sorge l’infortunio. È immediato. Questo distingue l’infortunio dalla malattia professionale, che al contrario, ha invece una lentezza nell’insorgere. Ciò influisce anche nella denuncia, l’iter seguito per ricevere l’indennizzo a seconda che l’infortunio sia caratterizzato da un impatto violento, e invece lento è il sorgere della malattia professionale. • Malattie professionali: contratte nell’esercizio ed a causa del lavoro svolto La tutela assicurativa riguarda le malattie professionali contratte nell’esercizio e a causa delle lavorazioni ritenute fonte di rischio per il lavoratore: è necessario il rapporto di casualità. Non è sufficiente che esista un rapporto di occasionalità tra lavoro ed evento. La malattia contratta dal lavoratore deve avere origine nello svolgimento della specifica attività di lavoro esercitata. La malattia professionale, può essere: • Tabellata: ritenute dalla legge indennizzabili perché di sicura origine lavorative. Sono malattie inserite in elenchi come si sicura origine lavorative. Le tabelle, vengono aggiornate periodicamente dal legislatore e comprendono un elenco o una lista, di malattia considerate di ordine lavorativa. • Non tabellata: sono state aggiunte con modifica del legislatore. La legge pone a carico del lavoratore interessato l’onere di dimostrare l’origine lavorativa (la prova consiste nella produzione della documentazione sanitaria che permetta di evidenziare il nesso intercorrente tra la malattia denunciata e l’attività lavorativa svolta). Prima di questo intervento, le malattie professionali tabellate, erano malattie professionali meritevoli di protezione nell’ambito della tutela INAIL. Ma, la corte è intervenuta con la sentenza 179 del 1988, proprio dichiarando la non costituzionalità di un sistema di indennizzo delle malattie, che era tassativo nell’includere nell’assicurazione obbligatoria, solo le malattie tabellate. La tassatività del sistema tabellare, implicava, che solo le malattie tipiche (connesse a determinate lavorazioni/coperte da tutela in quanto già conosciute) erano indennizzabili, quindi i lavoratori assicurati fruiscono di un beneficio perché l’indennizzabilità della malattia professionale è agevole. Prima di questo sistema, i lavoratori scontavano la conseguenza del sistema tabellare: non era consentito a tutti i lavoratori di dimostrare l’origine professionale delle malattie non tabellate. Il sistema tabellare che vigeva prima della sentenza della corte, era un sistema che da un lato rendeva molto agevole per i lavoratori il riconoscimento di una tutela assicurativa nei conforti di malattie tabellate, ma dall’altro escludeva per i lavoratori la possibilità di ricevere un indennizzo da parte dell’INAIL nei confronti di malattie non incise nelle tabelle, ma che potevano derivare da cause professionali. Ha quindi colmato i vuoti di tutela, segnalando governo e al parlamento, l’opportunità e l’urgenza di adottare un sistema misto: quindi da una parte materie tabellate e dimostrare per i lavoratori le malattie non tabellate. Pagina di 47 102 …L’interruzione e la deviazione si intendono necessitate quando sono dovute a cause di forza maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all’adempimento di obblighi penalmente rilevanti.. È la legge stessa che da queste indicazioni ulteriori. Sono necessitate unicamente l’interruzione o la deviazione quando sono dovute a causa dei motivi quelle elencati. L’assicurazione opera anche nel caso di utilizzo del mezzo di trasporto privato, purché necessitato. Significa che normalmente l’infortunio in itinere, si deve verificare con l’utilizzo ordinario delle modalità di spostamento: mezzi pubblici o piedi. L’infortunio a questo punto, è coperto dall’INAIL. Quindi il giudice dovrà valutare molti fattori, come per esempio l’orario in cui esco di casa. Se però, si utilizza il mezzo privato, l’assicurazione INAIL, opera, ma unicamente se questo è necessitato: il fatto che sia coperto da mezzi pubblici o a piedi, è perché espone a meno rischi, a differenza del mezzo di trasporto privato. Ma, l’essere necessitato può essere causato dal fatto che non ci siano mezzi pubblici che garantiscano il trasporto da casa a lavoro, oppure porterebbe a perdere troppo tempo rispetto all’utilizzo di mezzo privato. Queste sono considerazioni che si devono guardare, quando si fa riferimento al mezzo privato. L’uso per i velocipedi, deve essere considerato, sempre necessitato (bicicletta). …Restano, in questo caso, esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e psicofarmaci, o dall’uso non terapeutico di stupefacenti ed allucinogeni, l’assicurazione, inoltre, non opera nei confronti del consulente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida. Contempla molte ipotesi di esclusione di indennizzo, ma è anche vero che la definizione non può considerare le tante sfaccettature che possono accadere durante un infortunio in itinere. Riportano a rischi volontariamente assunti dal lavoratore, per questo motivo non sono coperti. Per esempio, la circolare INAIL del 62/2014, è intervenuto sulla possibilità di deviazione per ragioni personali. Si dettano chiarimenti precisando come la deviazione e l’interruzione sono necessitate, quando sono dovute ad esigenze essenziali. Un altro chiarimento, è stato dato nell’individuazione negli spazi nel percorso tutelato: dalla legge, non si evince se il rischio in itinere e protetto, includa anche le pertinenze e le aree comuni (cortili, strade interne ecc). Per quanto attiene agli infortuni occorsi, l’evento vada inquadrato come infortunio accaduto in attualità di lavoro. La giurisprudenza ha chiarito il significato di infortunio accaduto in pertinenze e nelle aree comuni di lavoro, sia tutelabile non come infortunio in itinere, ma i attualità di lavoro. Non rientra quindi nella copertura assicurativa. È una definizione abbastanza articolata, che tenta di contemplare i casi senza che ci siano margini di dubbio e anche i casi di esclusione dell’indennizzo, e nonostante ciò, residuano moltissime e incessanti problematiche quotidiane, che sono dubbi se è indennizzabili o meno. Ci sono altrettante circostanze che sono state decise dalla giurisprudenza. Pagina di 50 102 Vediamo pezzo per pezzo come la giurisprudenza ha dovuto integrare questa definizione. Il tragitto è individuato e stabilito dalla legge che però precisa salvo caso di interruzione o deviazione del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate → si vede un’ipotesi nella quale la legge esclude l’indennizzo dell’infortunio in itinere, tragitto che ha subito un’interruzione e una deviazione, che non sono necessitate o legate al lavoro. Si interrompe quella occasionalità che è necessaria perché si possa avere un indennizzo dell’infortunio in itinere. Necessità che deve sussistere, e questo nesso di occasionalità di lavoro che non può mancare, altrimenti l’infortunio in itinere non è considerato indennizzabile dall’istituto INAIL. Ogni caso va valutato singolarmente e integrato da principi e chiarimenti, ogni singolo caso può rappresentare caratteristiche proprie e peculiari. Si prosegue precisando la prima esclusione che ha individuato interruzione o deviazioni del percorso del tutto indipendenti dal lavoro o comunque non necessitate. Ma cosa significa necessitata o non necessitata? È la legge che detta questo criterio. Infatti, l’interruzione del percorso o la sua deviazione si intendono necessitate, quando sono dovute a cause di forza maggiore, non dipendono dal lavoratore. Dovute a cause di forze maggiore, ad esigenze essenziali ed improrogabili o all'adempimento di obblighi penalmente rilevanti. La legge si premura di definire quando un’interruzione o deviazione può considerarsi necessitata, perché se non necessitata si interrompe quel legame con l’occasione di lavoro che permette all’INAIL di indennizzare il soggetto lavoratore. L’assicurazione opera anche nel caso dell’utilizzo nel mezzo di trasporto privato purché necessitato: non è l’uso del mezzo privato la modalità corretta che il lavoratore deve utilizzare perché si rientri nell’infortunio in itinere, non è il mezzo privato il mezzo secondo la legge per recarsi a lavoro, ma il mezzo pubblico. Mezzo di trasporto privato, ricomprendendo la possibilità di indennizzarlo. Ricomprendente tutti gli infortuni che sono subiti dagli assicurati nel normale percorso che lega l’abitazione e il lavoro andata e ritorno secondo percorsi a piedi o con mezzi pubblici e nella definizione corretta si intende per infortunio in itinere quello accaduto nel percorso individuato dalla legge o a piedi o compiuta attraverso l’utilizzo di mezzi pubblici tenendo conto della problematica della deviazione o dell’interruzione che se sussistono devono essere solo necessitate. Per quanto riguarda l’uso del mezzo privato la norma non pone un divieto assoluto perché può accadere la necessità di utilizzare un mezzo privato, allora l’eventuale infortunio è ricompreso nell’infortunio in itinere dunque indennizzabile a carico dell’INAIL. Necessitato: è la giurisprudenza che chiarisce tale termine (es. mancanza di mezzi pubblici, oppure esistenza di mezzi pubblici che non vanno a ricoprire l’intero percorso dal luogo di abitazione a quello di lavoro, oppure gli orari non coincidono quindi in queste ipotesi la legge ricomprende anche l’infortunio in itinere). Ultimo punto della norma esclude determinate circostanze e contempla i casi di esclusione di infortunio in itinere. Le ipotesi direttamente contemplate dalla legge che devono essere assolutamente escluse dalla indennizzabilità e restano esclusi gli infortuni direttamente cagionati dall’abuso di alcolici e psicofarmaci, dall’uso non terapeutico di stupefacenti e allucinogeni ed inoltre l’assicurazione non opera nei confronti del conducente sprovvisto della prescritta abilitazione di guida. Trattasi di un infortunio stradale: se la legge lo deve Pagina di 51 102 regolamentare deve a priori individuare le ipotesi di esclusione che sono dovute in sostanza a situazioni che il lavoratore ha volutamente cagionato, comportamenti illeciti posti in essere dal lavoratore che se condizione l’infortunio in itinere sono ipotesi che la legge individua come di non indennizzabilità. Rischio elettivo → infortunio sul lavoro non c’è dubbio come ci sia o ci possa essere un rischio elettivo, termine coniato dalla giurisprudenza, che va ad escludere l’indennizzo dell’infortunio e elettivo, termine coniato dalla giurisprudenza, che va ad escludere l’indennizzo dell’infortunio e questo perché si intende per rischio elettivo un comportamento voluto dal lavoratore, riconducibile a una sua scelta che con intenzione o dolo si è provocato un infortunio, comportamento folle e imprevedibile del lavoratore. Il lavoratore in mala fede si procuri da solo l’infortunio. L’ipotesi del rischio elettivo va calato nella specifica circostanza dell’infortunio in itinere. Il lavoratore ha il dovere di conoscere le leggi e il codice della strada e quindi il dovere per la sicurezza propria e altrui di rispettarla, c’è quindi un’esclusione dell’ipotesi di indennizzabilità. (Quello che può indurre a una deviazione o a una scelta che può andare a interrompere il nesso con l’occasionalità con il lavoro è il mezzo privato.) Come è intervenuta la giurisprudenza tentando di integrare la stessa definizione? È intervenuta su questi singoli punti specificandoli, con una disciplina ampia di istituto dell’infortunio in itinere. Una prima sentenza della corte costituzionale n°1 del 2005: Intervenuta brevemente sul concetto di interruzione del percorso, cosa si intende per interruzione del percorso: se la breve sosta durante il percorso dal luogo di abitazione a quello di lavoro, sia da equiparare all’interruzione del percorso dunque se anche una breve sosta altera le condizioni che permettono l’indennizzo dell’infortunio in itinere. L’assicurato si era fermato per 5 minuti presso un ristoro situato sul tragitto lavoro casa senza alcuna deviazione del percorso, c’era stata solo una breve sosta di 5 minuti, e ripreso il percorso verso la propria abitazione con la propria autovettura era uscito di strada e rimasto vittima di un incidente mortale. Quindi ci si interroga se è un infortunio indennizzabile dato che c’è stata una breve sosta? La corte costituzionale opera una distinzione netta tra interruzione del percorso e breve sosta e ritiene come sia erroneo comparare la breve sosta e l’interruzione del percorso e si precisa come la breve sosta non altera le condizioni di rischio per l’assicurato. La breve sosta non integra l’ipotesi dell’interruzione di percorso quindi è erroneo il presupposto interpretativo dell’assoluta equiparazione tra breve sosta e interruzione, equiparazione che deve essere esclusa alla luce delle regole di indennizzabilità dell’infortunio in itinere. Una breve sosta non altera le condizioni di rischio per l’assicurato, non integra l’ipotesi dell’interruzione di percorso ed è erroneo il presupposto interpretativa dell’assoluta equiparazione tra breve sosta e interruzione del percorso che deve essere esclusa alla luce della nuova normativa entrata in vigore. Dunque, perché l’infortunio non sia indennizzabile occorre che la nozione di continuità nel tragitto compiuto dal lavoratore abbia la connotazione di una vera e propria interruzione, di conseguenza questa precisazione va a integrare la nostra nozione legislativa e verificandosi nella prassi tante circostanze che sono riconducibili a una breve sosta si è resa la necessità di intervenire completando la legge. Pagina di 52 102 26/03 PRONUNCIA CORTE DI CASSAZIONE Il lavoratore, aveva svolto per 19 anni, un tragitto giornaliero con il proprio autoveicolo, senza riportare un incidente stradale, ma una patologia (ernia) a causa (ritiene il lavoratore) nel tragitto tra casa e lavoro. La corte d’appello ha condannato, l’ente previdenziale, al pagamento di un indennizzo per il lavoratore e l’INAIL, facendo ricorso, sostiene a propria difesa delle motivazioni: lamenta la falsa applicazione degli articoli 2 e 3 del decreto 1124/1965. La peculiarità è quella per cui si chiede l’indennizzo all’ente previdenziale, per una patologa del lavoratore, dopo aver percorso questo tragitto per 19 anni e l’INAIL lamenta la violazione. Sostiene che la sentenza della corte d’appello che l’ha condannata, è palesemente errata, in quanto il rischio connesso all’uso prolungato al proprio veicolo nel tragitto da casa a lavoro e viceversa, sia oggetto di una tutela non solo nel caso di infortunio, ma anche di malattia, contrariamente a quanto previsto dalla normativa. La tutela dei rischi connessi al percorso è limitata alla fattispecie di infortunio in itinere e non svestendo alle malattie professionali. Questa affermazione viene accolto dalla cassazione, quindi accoglie il ricorso dell’INAIL. La cassazione richiama l’orientamento espresso della giurisprudenza che ha statuito che la rendita per malattia professionale, richiede che questa sia contratta nell’esercizio o a causa della lavorazione svolta. Secondo un indirizzo giurisprudenziale, la copertura INAIL va estesa anche agli eventi verificati al di fuori del luogo di lavoro e dunque non solo nel corso della prestazione lavorativa, nonché accadimenti legati allo svolgimento dell’attività lavorativa. Il decreto del 65distingue due orientamenti lesivi: • Infortunio sul lavoro • Malattia professionale GIURISPRUDENZA CASSAZIONE 2014 Non rientra nella nozione di infortunio in itinere quello occorso al lavoratore indietro dalle ferie o lavoro notturno, perché accaduto in orari non collegabili con l’orario di lavoro e non rientranti nello spostamento casa-lavoro. Nel caso di specie questo sinistro fu accaduto a mezzanotte, e il lavoratore sarebbe dovuto essere a lavoro alle ore 8 del giorno dopo. CASSAZIONE 2008 Aggressione subita per rapina del lavoratore che si recava al lavoro con il proprio motoveicolo, a causa dello sciopero dei mezzi pubblici. Il mezzo è necessitato, quindi ricompreso nell’indennizzo dell’infortunio in itinere. La peculiarità è la rapina in caso di infortunio in itinere. In un’altra pronuncia, la corte ha affermato che non ha diritto all’indennizzo, chi utilizza la propria macchina, per raggiungere il posto di lavoro che giunge solo ad 1 km. In questo caso considerato NON necessitato. Pagina di 55 102 Rischio elettivo: rischio che costituisce una scelta voluta dal lavoratore, dove accade un infortunio per questo rischio, significa che il lavoratore si è intenzionalmente procurato quell’infortunio. Si intende una condotta personalistica del lavoratore che è idonea a interrompere il nesso di occasionalità tra la prestazione e l’attività assicurata. L’infortunio che sia occorso nel tragitto prescelto dal lavoratore, non è escluso dalla copertura assicurativa, per il solo fatto che non fosse il più breve. Posto che il rischio elettivo corrisponde a questa scelta personale del lavoratore, la cassazione ha precisato che non costituisce rischio elettivo, la mera scelta da parte del lavoratore di un percorso tra casa e lavoro, che non corrisponda alla più breva. Questa non è idonea a interrompere il nesso di occasionalità, quindi il giudice valuterà la normalità del percorso seguito e se questa decisione del lavoratore, corrisponde o meno a ragioni personali. Il rischio elettivo corrisponde all’unico limite della copertura assicurativa, questo per qualsiasi infortunio. Questo rischio, assume, con riferimento ad un infortunio in itinere, una nozione più ampia, in quanto comprende comportamenti del lavoratore infortunato che di per sé non sono abnormi, ma contrari a norme di legge. La cassazione recentemente ha riconosciuto l’indennizzo per infortunino in itinere, anche ad un dipendente che si era infortunato entrando dall’ingresso aziendale più pericoloso. Era comunque legato a finalità aziendale, e non a ragioni personali. Secondo la giurisprudenza non corrispondeva solo ad esigenze meramente personali. Il rischio elettivo, esclude l’indennizzabilità dell’infortunio in itinere e deve essere valutato con maggior rigore rispetto all’attività lavorativa diretta. Ne consegue che la violazione di norme della strada, può integrare il rischio elettivo che esclude il nesso di occasionalità tra l’attività protetta e l’evento. Quali sono le lesioni che possono verificarsi nei confronti del soggetto infortunato? Il lavoratore può riportare, un’inabilità al lavoro. Può essere di diverso grado: • Temporanea: le conseguenze dell’infortunio sono sanabili nel tempo. Il diritto alle prestazioni INAIL sorge unicamente quando si tratti di un’inabilità temporanea ma assoluta, quindi impedisce all’infortunato di attendere al lavoro. • Permanente: le conseguenze sono destinate a durare per un tempo ragionevole. È o assoluta o parziale. Nel primo caso toglie completamente le attitudini al lavoro, nel secondo invece, è individuata entro determinati limiti. Quali sono le prestazioni che possono verificarsi? Al verificarsi degli eventi (infortunio sul lavoro o malattia professionale) sono riconosciuti al lavoratore, al quale sia derivata un’inabilità temporanea assoluta o un’inabilità permanente e/o un danno biologico (in misura superiore al 6%) o in caso di morte ai suoi eredi, le prestazioni assicurative. • Indennità giornaliera per inabilità temporanea (che però deve essere assoluta e decorre dal quarto giorno, per i primi 3 provvede il datore con la retribuzione) Pagina di 56 102 • Rendita per inabilità permanente (assoluta: compresa fra il 65% e il 100%, la rendita è pari alla retribuzione già goduta. Parziale: compresa tra l’11% e il 64%, la rendita è variabile, rapportata sempre alla retribuzione) • Assegno per assistenza personale continuativa • Rendita ai superstiti • Cure mediche e chirurgiche, compresi gli accertamenti clinici • Fornitura degli apparecchi di protesi Decreto del ministero del lavoro 12 Luglio del 2000 Il danno è determinato sulla base di apposite tabelle (tabella della menomazioni; tabella indennizzo danno biologico; tabella dei coefficienti). La prestazione economica consiste in un indennizzo non in un risarcimento. Dal 2000, il legislatore ha individuato, nel testo unico del 1965, la categoria di indennizzo per danno biologico. È significativo perché prima del 2000, il danno biologico era un danno alla salute del lavoratore, risarcito davanti al tribunale. Articolo 13 Il presente articolo definisce: “Ai fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, il danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica, suscettibile di valutazione medico legale, della persona” vi è la lesione di un diritto alla salute, che è un diritto primario. Riceve una forma di indennizzo nel senso che l’assicurazione garantisce ai lavoratori, l’indennizzo per questo danno psicofisico, attraverso l’erogazione di prestazioni economiche. Da questo momento in poi il discorso si complica dal punto di vista dell’interazione fra indennizzo a carico dell’INAIL e risarcimento del danno. In che senso? Devono essere contemperate queste due prestazioni. Dobbiamo perciò tenere conto dello scopo della previdenza sociale, ovvero quello di perseguire la liberazione dalla singola situazione di bisogno, fornire al lavoratore un importo chiamato indennizzo, volta a liberare il lavoratore da quella situazione, ma non risarcendo il danno patito dal lavoratore. Se ciò è vero, è vero anche come il lavoratore possa ricevere dall’ente previdenziale una forma di indennizzo per il danno biologico. Può anche, dove si ravvisino le condizioni di legge, una forma di azione diretta nei confronti del datore, ovvero il risarcimento per l’intero danno patito. Questo risarcimento dovrà essere calcolato, escludendo la quota di indennizzo, che già l’INAIL ha erogato. Questo viene chiamato danno differenziale. (esame, definizioni: malattie, infortuni, differenze tra i due, giurisprudenza in tema di infortuno in itinere. Non gli articoli). Data la definizione il secondo comma dell‘art. 13 ci definisce il quadro di riferimento di questa norma e lo fa con un meccanismo che tutto sommato ha una sua logica e facile Pagina di 57 102 all’epoca il legislatore stabiliva che ci doveva essere una possibilità in questo esonero lavoro. Già all’epoca il legislatore stabiliva che ci doveva essere una possibilità in questo esonero potesse venire meno: nel momento in cui venne varata il Testo unico la regola generale era l’esonero e la corte costituzionale comincia a erodere la portata dell’art. 10. Corte costituzionale così pronuncia 22 del 1967 dichiara parzialmente illegittima questa norma su due punti: • Limitazione delle categorie che se condannate in sede penale possono far cadere l’accusa: i soggetti incaricati dal datore di lavoro della direzione o sorveglianza del lavoro ma questa limitazione fu ritenuta incostituzionale e quindi qualsiasi soggetto che lavora alle dipendenze del datore di lavoro se è condannato in sede penale determina l’inapplicabilità dell’esonero così si torna ad applicare il codice civile. • Dichiara incostituzionale questa norma perché non prevede l’estinzione del reato per prescrizione Si stabilisce successivamente con altre sentenze che l’esonero sostanzialmente non operi laddove l’azione penale si sia fermata con il decreto di archiviazione. Anche in questo caso quindi si possono determinare due effetti importanti: quando INAIL ha pagato prestazioni importanti, ha costituito una rendita , ha liquidato delle somme se avviene l’esonero non può agire in via di regresso → art. 11 se esiste questa responsabilità di natura penale per un reato perseguibile d’ufficio, quindi per le lesioni colpose aggravate o per omicidio colposo aggravato, quando questa responsabilità penale si configura l’istituto agisce per via di regresso. L’articolo 10 certamente è una norma peculiare, hanno qualcosa di simile l’ordinamento francese e spagnolo. Per la corte costituzionale l’azione di regresso assolve a una finalità costituzionalmente di rango superiore: garantire la sicurezza e la prevenzione sul luogo di lavoro. Se non rispetta le norme cautelari oltre a un rischio di natura penale, si trova di fronte alla possibilità di essere chiamato in giudizio ogni volta che questo esonero non sia applicabile. Quando un determinato accadimento ha generato un processo penale che si conclude con una sentenza di condanna (situazione remota→ richiesta del patteggiamento per chiedere la riduzione della pena ). Noi dobbiamo capire cosa succede quando non c’è una sentenza penale di condanna oltre a ciò che è passato in giudicato. Se non c’è un giudice che non si è già pronunciato, questo esonero ha una sua portata concreta o lo dobbiamo mettere in disparte? Bisogna tener presente che le giurisdizioni superiori hanno da tempo affermato che la responsabilità di rango penale può essere accertata quindi in via accidentale dal giudice civile, non c’è stata prima pronuncia del giudice penale , questo non significa che l’esonero possa venire meno quando INAIL agisce in via di regresso, ma anche il lavoratore infortunato richiede il danno differenziale, va davanti al giudice del lavoro non può depositare una sentenza penale di condanna: Può superare l’esonero? Certamente sì, perché con l’assetto che si è introdotto in Italia si può arrivare addirittura che il giudice penale si esprime in un senso e quello civile nel senso opposto. Su questa norma andiamo a toccare con mano la distinzione dei due sistemi. Se questo esonero viene meno cosa succede? INAIL agisce in via di regresso e va a chiedere al datore di lavoro, ma anche coloro che rientrano nella catena logica della sicurezza (es. il consulente che dà apporti al datore di Pagina di 60 102 lavoro in materia di edilizia) e questi soggetti sono astrattamente tenuti a rimborsare INAIL con regresso , e a risarcire all’infortunato o agli eredi, risarcire quindi il lavoratore del danno differenziale. Il risarcimento civile segue il sistema bipolare per cui contempla un danno patrimoniale e un danno non patrimoniale (danno comunque ingiusto) quindi provocato con colpa o dolo da un determinato soggetto che ha effetti negativi sulla persona (danno biologico), oppure sulla capacità di guadagno (posto che le voci che INAIL indennizza sono diverse e inferiori rispetto al danno civile). Nel caso dell’infortunio sul lavoro c’è una parziale parte economica che il lavoratore può richiedere oltre all’indennizzo. Come può farlo? Se c’è l’esonero cioè se non viene dimostrata una responsabilità di rango penale del datore di lavoro, la pretesa risarcitoria si limita soltanto a quello che viene definito danno complementare che contraddistingue quelle tipologie di danno che la responsabilità civile conosce , mentre il sistema INAIL non prende in considerazione. Tutto questo apparato definitorio è destinato a essere sensibilmente modificato dalla legge 145 del 2008. Se c’è responsabilità di rango penale la differenza (danno differenziale) deve essere liquidata al lavoratore, se invece c’è una responsabilità di rango inferiore allora il lavoratore potrà chiedere e ottenere i danni complementari, perché dato che sono al di fuori dell’ambito applicativo dell’art. 10 , qua non si tratta più di esonero e ci si sposta sul terreno più agevole codicistico che comprende norme di assoluta centralità: Art. 2087 del cod.civ. (obbligo generale di sicurezza del datore di lavoro) Contraddistingue una serie di obblighi e doveri finalizzati a garantire la sicurezza fisica e l’incolumità psichica del lavoratore. E lo si realizza rispettando le varie disposizioni che ci sono in tema di sicurezza del lavoro. Bisogna prestare un ambiente di lavoro sicuro e bisogna vigilare e controllare che le norme di sicurezza vengano rispettate: il lavoratore deve essere seguito e controllato. È una norma che ha avuto una strana storia infatti è poco considerata fino agli anni ’90 poi è stata posta a fondamento di una serie di controversie e adesso è di fondamentale importanza. Corte di cassazione → obbligo di massima sicurezza inserito automaticamente in contratto di lavoro subordinato anche se non vie è menzione. Se è stato applicato il datore di lavoro è esonerato, ma dato che spesso volentieri non vieni mai applicato è la spina nel fianco sulla quale puntare un risarcimento del danno. Altra azione di rivalsa che è l’azione surrogatoria si propone nei confronti di un soggetto terzo che ha causato l’infortunio (caso più frequente è quello dell’infortunio in itinere) ha trovato definizione normativa con l’articolo 12 del decreto legislativo 38 del 2000 (esisteva anche prima)→ utilizzo necessario dell’auto privata (mancanza di servizi pubblici idonei) comporta la tutela del lavoratore nel tragitto che deve percorre (tragitto indispensabile) subisce un incidente stradale (che non si trovi in stato inabile), allora c’è la tutela INAIL che eroga delle risorse economiche → a quel punto insorgono i requisiti per l’azione di surroga , che si indirizza nei confronti di un soggetto terzo che non ha nulla a che vedere con il datore di lavoro. La surroga segue procedure sostanziali diverse. Non viene in rilievo l’articolo 10 del Testo unico INAIL, si esperisce se è infortunio in itinere contro il soggetto responsabile dell’incidente e la sua compagnia assicurativa. Anche in quell’ambito vengono sempre in campo le questioni di danno differenziale → es. Pagina di 61 102 l’operario Mario Rossi rimane vittima di un infortunio in itinere, viene indennizzato da INAIL con una rendita del 16% che viene capitalizzata e vale una cifra x. Secondo voi il lavoratore si accontenta (non può rinunziare alla prestazione INAIL)? quando l’istituto recupera delle somme o con il regresso o con la surroga, ne tiene conto nel calcolo del premio di assicurazione obbligatoria INAIL con un meccanismo abbastanza complicato, se recupera tot, il sistema di calcolo del tasso specifico aziendale (TSA) tiene conto in riduzione delle somme recuperate. L’articolo 10 del testo unico esonera il datore dalla responsabilità civile in caso di infortunio sul lavoro del lavoratore per colpa del datore (negligenza, non fatto apposta), in questo caso il datore è esonerato dalla responsabilità civile e non deve risarcire il danno. Se il danno che ha subito il lavoratore è stato fatto per un reato da parte del datore, in quel caso c’è una sentenza penale che condannerà il datore al risarcimento del danno. La corte è intervenuta sui dubbi dell’illegittimità di questo articolo: - Non viola l’articolo 3 sul principio di parità di trattamento proprio perché da un lato il datore è esonerato dalla responsabilità civile, ma dall’altro il lavoratore comunque riceve un indennizzo da parte dell’INAIL. Opera anche il principio di liquidità dell’indennizzo ovvero fa si che il lavoratore debba evitare di provare che quel danno sia stata colpa, non dolo, del datore per evitare procedimenti giudiziari con giudice e tempistiche lunghe - Anche per quanto riguarda l’articolo 38, non vi è alcuna illegittimità proprio perché la garanzia di questo articolo parla di mezzi adeguati in base al tenore di vita dei lavoratori. Questa garanzia deve essere realizzata tramite le prestazioni previdenziali (INPS, INAIL) e non con il risarcimento del danno da parte del datore Pagina di 62 102 L A TUTEL A CONTRO L A DISOCCUPAZIONE Questa problematica molto attuale, è stato oggetto di molti interventi del legislatore, ma anche tra stato e regioni proprio perché in situazioni di così grave difficoltà economica, il legislatore è dovuto intervenire in via anche del tutto eccezionale. L’articolo 38, comma 2, è una norma che si riferisce a diverse situazioni di bisogno, tra cui la disoccupazione involontaria: il nostro sistema previdenziale non appresta delle tutele nei confronti di qualsiasi situazione di disoccupazione, ma unicamente laddove sia uno stato di disoccupazione volontaria, quindi determinata dal datore e non dal lavoratore. Rientrando in questa, tutte le situazioni nelle quali il rapporto di lavoro sia estinto per decisione del datore di lavoro. È anche vero come, determinate situazioni di dimissioni finite “per giusta causa” (evento causato dal datore di lavoro e che non consente la prosecuzione del rapporto di lavoro), sono situazioni che giustificano una modalità di disoccupazione involontaria. La tutela della disoccupazione involontaria, non spetta nei periodi di non lavoro del lavoratore assunto con un contratto a tempo parziale di tipo verticale. Questa esclusione è considerata legittima: il rapporto continua anche nei periodi di sosta, quindi quando non svolge l’attività lavorativa. Nell’ambito di questa tipologia contrattuale, permane una garanzia del lavoratore alla stabilita e una sicurezza dal punto di vista economica. T IPI DI PRESTAZIONI ECONOMICHE CIG: ammortizzatore sociale che viene autorizzato in determinate difficoltà economica dell’azienda, volto ad evitare il ricorso ai licenziamenti collettivi e perdita dei posti di lavoro. Determinano una mera sospensione del rapporto di lavoro. La situazione tutelata, non è propriamente una disoccupazione involontaria, ma parziale. vi sono anche strumenti di lotta contro la disoccupazione involontaria, rientranti nell’assistenza sociale, come il reddito di cittadinanza: strumenti assistenziale rivolto ad alcune categorie di cittadini e in parte anche ai lavoratori poveri pur rientranti in una categoria di soggetti che abbiano i requisiti di legge (soggettivi ed economici). Pagina di 65 102 1/04 STRUMENT I DI LOT TA CONTRO L A DISOCCUPAZIONE INVOLONTARIA Sono ammortizzatori sociali pubblici erogati dallo stato, tramite l’ente previdenziale INPS. Se ci riferiamo alla CIG ordinaria o straordinaria, parliamo di strumenti che intervengono in situazioni in cui il rapporto di lavoro non è cessato, ma è ancora in essere. A differenza delle vere indennità di disoccupazione (NASPI), le casse integrazioni intervengono nel momento in cui il rapporto di lavoro è momentaneamente sospeso e non cessato, proprio per evitare licenziamenti collettivi e quindi cessare il rapporto di lavoro. Quindi si è creata questa per i lavoratori di imprese in difficoltà economica per riuscire a superarla e continuare i rapporti di lavoro ancora in essere. Sono ammortizzatori sociali che intervengono per sostenere il reddito dei lavoratori momentaneamente sospesi dal rapporto. Esistono anche altri ammortizzatori sociali, come la NASPI, che invece intervengono nei casi in cui il lavoratore ha perso definitivamente il lavoro ed è cessato il rapporto di lavoro. Il lavoratore si trova quindi in una situazione di disoccupazione di tipo involontario. Ammortizzatori sociali fino alla riforma Fornero (l. 92/2012): • Cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) e straordinaria (CIGS) • Contratti di solidarietà • Indennità di mobilità • Indennità di disoccupazione Le ultime due sono state abolite con il jobs act. È successo che sono intervenute riforme più significative: il nostro sistema di ammortizzatori sociali, fino alla riforma Fornero, era un insieme di ammortizzatori non adeguati ad apprestare tutele nei confronti dei lavoratori e non era un sistema adeguato a prestare tutele necessarie, in un momento storico di crisi economica e finanziaria. Il nostro sistema di ammortizzatori era supportato da leggi che risalivano agli anni 80/90, che non erano più utili e non potevano sostenere i lavoratori oggi impiegati nel mercato del lavoro, che vengono assunti con contratti a carattere discontinuo e intermittente, ma soprattutto in un momento di grave crisi. Dal 2008/2009, quando inizia questa crisi, il nostro ordinamento ha fronteggiato questa situazione di crisi, con un sistema di ammortizzatori sociali in deroga alla legge che non fanno più parte del passato, ma sono tornati nella nostra attualità. Vengono utilizzati strumenti che danno un aiuto ulteriore ad aziende e lavoratori e che vada anche in deroga alle previsioni normative. La deroga alla legge è stata consentita anche in anni passati: Nel 2008/2009 si è reso necessario intervenire con stanziamenti ad hoc ad opera delle varie leggi di stabilità, che hanno iniziato a contemplare degli interventi economici aggiuntivi, per sostenere forme di ammortizzatori sociali che andassero anche in deroga alla legge a supportare la crisi. In deroga alla legge, in quegli anni (quindi antecedenti ala riforma Fornero e jobs act), voleva dire prevedere una forma di finanziamento ulteriore che potesse sostenere una CIG straordinaria o altre forme, che potessero durare di più nel tempo e quindi questi ammortizzatori in deroga avevano la finalità di sostenere aziende e lavoratori per un periodo superiore, a quello previsto dalla legge. Pagina di 66 102 La previsione in deroga alla legge consisteva anche, nell’includere anche lavoratori non stabilmente assunti dalle imprese, ma anche lavoratori, a termine, somministrati, a progetto ecc. cioè con tipologie di contratti non stabili nel tempo. Le leggi di stabilità hanno iniziato a contemplare forme di finanziamento, strumenti in deroga alla legge, che dovevano essere previsti in accordo con le regioni. Perché, lo stato attraverso questi accordi con le regioni, doveva contemplare previsioni in base alle singole situazioni regionali. Dunque nel tempo abbiamo avuto, singoli accordi regionali a seconda della singola esigenza regionali, contemplavano ammortizzatori sociali (come la CIG straordinaria) e il contenuto della deroga prevedeva il prolungamento della CIG straordinaria e, di includere tra i beneficiari degli ammortizzatori anche i lavoratori che altrimenti sarebbero stati esclusi dall’ambito di applicazione come a termine, a progetto e quindi temporanei. Questo è ciò che ha contraddistinto l’iter dell’utilizzo degli ammortizzatori sociali in deroga alla legge. Negli ultimi anni (vicini al 2005) la deroga alla legge era stata prorogata nel tempo, ma era anche intervenuta la riforma del jobs act per riformare il sistema degli ammortizzatori sociali, e hanno reso non più immediato l’intervento della CIG in deroga alla legge. Gli strumenti in deroga alla legge hanno perso urgenza negli ultimi anni, è anche vero che la legge di bilancio del 2018 continuava a prevedere il prolungamento della CIG in deroga alla legge e la deroga consisteva nel prolungare il limite massimo della CIG anche per il 2019 e 2020. Le varie leggi di stabilità degli ultimi anni, hanno continuato a contemplare la possibilità di utilizzare questi ammortizzatori sociali in deroga alla legge. Si sono adattati questi strumenti ai tempi moderni e alla attualità del nostro mercato del lavoro. Oggi, la storia degli ammortizzatori sociali in deroga è tornata di attualità a causa dell’epidemia del COVID, dovuta ad un evento che sovrasta tutto e che porterà ad una nuova ondata di crisi. Tra i decreti che il governo ha emanato abbiamo: • Decreto legge 2 marzo 2020 • Decreto legge 17 marzo 2020 n. 18 Hanno il contenuto di norme che riguardano la CIG ordinaria e CIG in deroga. Sono strumenti eccezionali perché con le norme contenute, sono contemplate misure eccezionali previste dal governo in deroga: cioè si supera la disciplina normativa e si supera la rigida disciplina e si attua l’intervento soprattutto in determinate ragioni più colpite, considerati eccezionali. La legge Fornero è intervenuta con una parziale riforma degli ammortizzatori sociali. La complessiva riforma, si è avuta con la riforma Renzi del jobs act nel 2015: • Piccole sono state le modifiche alla CIG straordinaria • Introduzione di una nuova indennità denominata assicurazione sociale per l’impiego (ASPI). Sostituita con il jobs act dalla NASPI Pagina di 67 102 reddito e dell’occupazione dei lavoratori dovendo fronteggiare situazioni di tipo strutturale e durevole di eccedenza di personale. Quindi, situazioni che richiedono da parte dell’impresa una vera e propria riorganizzazione e risanamento dell’impresa stessa. Per poter avere al termine della CIGS, recuperare la regolarità nell’attività produttiva. Questa è la differenza maggiore tra CIG e CIGS. Il decreto 148/2015, contempla alcune norme che sono comuni alle due e riguardano: • Lavoratori beneficiari: “Sono in entrambi casi, lavoratori assunti con contratto subordinato, compresi gli apprendisti. I lavoratori destinatari devono possedere presso l’unità produttiva per la quale è richiesto il trattamento, un’anzianità di effettivo lavoro di almeno novanta giorni alla data di presentazione della relativa domanda di concessione.” • Misura del trattamento: La misura del trattamento delle prestazioni previdenziali corrisponde sempre ad una data percentuale della retribuzione. Il trattamento di integrazione salariale ammonta all'’80% della retribuzione. • Durata massima complessiva: Per ciascuna unità produttiva con riguardo alla CIGO o CIGS, non possono superare la durata complessiva di 24 mesi in un quinquennio. Ci sono regole però che riguardano solo l’una o l’altra. La modalità di erogazione, avviene attraverso il pagamento dell’integrazione salariale è effettuato prima dall’impresa ai dipendenti che ne hanno diritto. L’importo viene poi rimborsato dall’INPS all’impresa. Questo, a meno che, non ci sia una seria e documentata difficoltà finanziaria dell’impresa e dunque che chieda all’ente di anticipare il trattamento. CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI ORDINARIA (CIGO) D’ora in poi, faremo riferimento al trattamento ordinario. Il campo di applicazione dell’integrazione salariale fa riferimento a vari settori, alcuni sono stati aggiunti negli ultimi tempi. Le causali che giustificano l’intervento ordinario: L’articolo 11 del decreto 148/2015, che contempla le situazioni e ragioni che possono giustificare la richiesta della CIGO. “I lavoratori che rientrano nell’ambito di applicazione e che siano sospesi dal lavoro o che effettuino prestazioni a orario diretto, è corrisposta integrazione salariale ordinaria nei seguenti casi: a. Situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali b. Situazioni temporanee di mercato" L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo (COVID) giustifica questo tipo di intervento ordinario. Si tratta di un ammortizzatore per crisi di breve durata e quindi un periodo transitorio. Sono nette le causali che giustificano questo intervento, e differiscono da quello straordinario. Pagina di 70 102 Le integrazioni salariali ordinarie sono corrisposte fino a un periodo massimo di 13 settimane continuative, prorogabile trimestralmente fino a un massimo complessivo di 52 settimane. La durata è uno dei primi argomenti che viene derogato alla legge. La procedura di intervento di CIGO: “La sospensione del rapporto di lavoro che è legata all’intervento della CIGO, deriva da un provvedimento amministrativo perché per concedere la cassa integrazione guadagni il rapporto di lavoro è sospeso attraverso questo provvedimento che deve essere preceduto da una fase di consultazione sindacale.” I momenti sono quindi due: 1. Primo momento di consultazione con le organizzazioni sindacali 2. Secondo momento di vera e propria autorizzazione in sede amministrativa Gli articoli 14 e 15 del decreto 148/2015 fanno riferimento alla richiesta di CIGO. L’articolo 14 dice che la CIGO che la richiesta deve essere preceduta da una consultazione con le organizzazioni sindacali. Si precisa nei casi di sospensione o riduzione dell’attività produttiva, l’impresa è tenuta a comunicare alle rappresentanze sindacali aziendali o unitarie le cause di sospensione o di riduzione dell’orario di lavoro, l’entità e la durata prevedibile, il numero dei lavoratori interessati. Segue poi, su richiesta delle parti, un esame congiunto con alle organizzazioni sindacali che ha ad oggetto la tutela degli interessi dei lavoratori. L’intera procedura ha una durata pre-stabilità dalla legge, cioè deve esaurirsi entro 25 giorni dall’inizio della procedura. La vera fase di richiesta è regolata nell’articolo 15 che, richiede per l’ammissione al trattamenti ordinario, che l’impresa presenti in via telematica all’INPS domanda di concessione nella quale devono essere indicati la causa della sospensione o riduzione dell’orario di lavoro, la presumibile durata, i nominativi dei lavoratori interessati e le ore richieste. Queste informazioni sono inviate poi dall’INPS alle regioni tramite il sistema informativo unitario delle politiche del lavoro, ai fini delle attività e degli obblighi per l’attivazione di strumenti di politica attiva. CASSA INTEGRAZIONE GUADAGNI STRAORDINARIA (CIGS) Le causali che giustificano l’intervento straordinario: La CIGS deve fronteggiare situazioni di tipo strutturale e durevole di eccedenza di personale, evitando il ricorso ai licenziamenti collettivi. Si tratta di un vero e proprio strumento di politica economica. Campo di applicazione: la disciplina in materia di intervento straordinario di integrazione salariale e i relativi obblighi contributivi trovano applicazione in relazione a quelle imprese che nei 6 mesi precedenti la data di richiesta della domanda, abbiano occupato mediamente più di 15 dipendenti, inclusi gli apprendisti e i dirigenti. È un requisito vincolante solo della CIGS. Le causali di intervento che hanno subito una modifica sostanziale nel jobs act nel 2015. “L’intervento straordinario di integrazione salariale può essere richiesto quando la sospensione o la riduzione dell’attività lavorativa sia determinata da una delle seguenti causali: Pagina di 71 102 A. Riorganizzazione aziendale Deve presentare un piano di interventi volto a fronteggiare le inefficienze della struttura gestionale e produttiva, e deve contenere indicazioni sugli investimenti e sull’eventuale attività di formazione dei lavoratori. Tale programma deve essere finalizzato a un consistente recupero occupazionale del personale interessato, alle sospensioni o alle riduzione dell’orario di lavoro. (**) B. Crisi aziendale, ad esclusione, a decorrere dal 1 gennaio 2016, dei casi di cessazione dell’attività produttiva dell’azienda o di un ramo di essa: Negli anni di crisi l’intervento della CIGS, è stato autorizzato moltissimo, anche in situazioni di crisi aziendale che poi hanno portato alla cessazione definitiva dell’attività produttiva, quindi ai licenziamenti collettivi. L’obiettivo della CIGS è proprio quello di evitare ciò, per poter risanare l’azienda e far si che questa riesca a fronteggiare la crisi. Posta questa situazione, siccome molte imprese volevano ricorrere alla CIGS, la legge dal 2015 ha voluto restringere questo campo di applicazione, chiarendo che la CIGS può essere utilizzata, solo se l’azienda riuscirà a non cessare l’attività. Anche in questo punto l’azienda deve presentare un piano di risanamento volto a fronteggiare gli squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni. Il piano deve indicare gli interventi correttivi da affrontare e gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione dell’attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale. Per avere la CIGS ci deve essere la concreta possibilità di continuare l’attività produttiva e di proteggere l’occupazione. C. Contratto di solidarietà” Il punto 3 di questo articolo stabilisce (**): Il programma di crisi aziendale di cui al comma 1, lettera b), deve contenere un piano di risanamento volto a fronteggiare gli squilibri di natura produttiva, finanziaria, gestionale o derivanti da condizionamenti esterni. Il piano deve indicare gli interventi correttivi da affrontare e gli obiettivi concretamente raggiungibili finalizzati alla continuazione dell’attività aziendale e alla salvaguardia occupazionale. La legge prevede che, l’impresa non può richiedere l’intervento straordinario di integrazione salariale per le unità produttive per le quali abbia richiesto, con riferimenti agli stessi periodi e per causali coincidenti, l’intervento ordinario. A seconda della causale di riferimento si hanno durate pre-stabilite differenti: • Riorganizzazione aziendale: il trattamento di CIGS può avere durata massima di 24 mesi in un quinquennio • Crisi aziendale: il trattamento straordinario di CIGS può avere una durata massima di 12 mesi • Contratto di solidarietà: il trattamento salariale di CIGS può avere durata massima di 24 mesi in un quinquennio La procedura di intervento della CIGS: si compone anche questa di due fasi. Facendo riferimento ad uno strumento di politica economica per evitare licenziamenti collettivi vedrà coinvolto direttamente il ministero. I due momenti per poter accedere al CIGS sono molto simili a quelli del CIGO. Pagina di 72 102 Ci sono differenze a seconda dell’importo della retribuzione mensile percepita dallo stesso lavoratore. A seconda di questo importo, si avrà diritto ad una determinata misura di indennità di disoccupazione: • Nei casi in cui la retribuzione sia pari o inferiore a 1195€, la NASPI è pari al 75% della retribuzione mensile • Nei casi in cui la retribuzione sia superiore all’importo precedente, la NASPI è pari al 75% del predetto importo incrementato ad una somma pari al 25% della differenza tra la retribuzione mensile e il predetto importo • La NASPI non può comunque superare l’importo mensile massimo di 1300€ Durata (articolo 5): Questa norma è stata oggetto di molte critiche perché, rispetto alla normativa previgente, erano regole che individuavano una determinata durata e a seconda dell’età del lavoratore, potevano esserci agevolazioni che tenevano conto della condizione di chi era in stato di maggiore bisogno. Mentre invece, questo articolo contempla non solo una durata prestabilita, ma anche questa regola: “La NASPI è corrisposta mensilmente, per un numero di settimane pari alla metà delle settimane di contribuzione del singolo lavoratore degli ultimi quattro anni.” Viene realmente realizzata, la finalità di apprestare delle tutele previdenziali, che tengano conto della storia contributiva del singolo lavoratore. Che effetto di produce? L’effetto, è quello di creare un meccanismo che abbandona la finalità della vecchia disciplina in tema di disoccupazione e di salvaguardare i soggetti in situazione di maggiore bisogno. La logica sottesa all’indennità di mobilità e disoccupazione, era quella di assicurare delle prestazioni previdenziali, che avessero maggiore durata, per soggetti con maggiore bisogno. Con il crescere dell’età poteva crescere la durata della tutela. Ma se rapportiamo la durata alla pregressa storia contributiva del singolo individuo, si persegue una diversa logica che è quella di far beneficiare di prestazioni previdenziali a seconda delle caratteristiche del proprio percorso lavorativo e assicurativo, con la conseguenza che le nuove regole arrivano a garantire una più lunga prestazione non a chi è in maggior stato di bisogno, ma a chi ha versato più contributi non a chi ha più bisogno. La NASPI, garantisce durata maggiore solo ai lavoratori che hanno versato più contributi che hanno potuto lavorare in maniera continuativa nei 4 anni precedenti e che abbiano avuto rapporti di lavoro stabile nel tempo. Viene valorizzata una logica più individualista, perdendo però una logica egualitaria. Il meccanismo di condizionalità regola la tutela della NASPI in modo più dettagliato, rispetto alla tutela del reddito di cittadinanza. L’erogazione della NASPI è condizionata alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa nonché ai percorsi di riqualificazione professionale proposti dai servizi competenti. La legge contempla anche delle sanzioni laddove il beneficiario non partecipi alle iniziative messe in campo. Pagina di 75 102 Il beneficiario, il disoccupato, sia tenuto a rispettare determinati comportamenti privati dal patto di servizio personalizzato che il singolo beneficiario stipula con i servizi per l’impiego. Il beneficiario inadempiente incorre in alcune sanzioni indicate nel decreto 150/2015. Queste sanzioni consistono nella decurtazione di parte della prestazione fino alla decadenza della stessa, laddove il beneficiario non partecipi alle convocazioni e appuntamenti presso i centri per l’impiego, o alle iniziative di orientamento. Se nel comportamento attivo vi è anche quella di accettare una nuova occupazione, il destinatario della tutela non è obbligato ad accettare ogni occupazione in qualsiasi caso in ogni parte d’Italia. L’articolo 25 del decreto 150/2015, individua le offerte di lavoro congrue e precisa come il ministero del lavoro, provvede alla definizione di offerta di lavoro congrua sulla base di una serie di principi. Questi principi sono: • Coerenza con le competenze e esperienze maturate dal lavoratore • Distanza dal domicilio • Durata disoccupazione • Retribuzione (deve essere 20% superiore a quella del mese precedente) Sono diversi i requisiti della congruità: è bene che l’offerta lavorativa tenga conto di tutti questi requisiti, sia di tipo soggettivo come le esperienze, ma anche oggettivi quindi che non sia gravosa per il lavoratore come distanza dal domicilio. Fermo restando le misure conseguenti all’inottemperanza agli obblighi di partecipazione attiva alle azioni di politica attiva, il lavoratore decade dalla fruizione della NASPI nei seguenti casi: • Perdita dello stato di disoccupazione • Inizio di una attività subordinata: il lavoratore che abbia un rapporto subordinato limitatamente ad un certo importo annuale può godere comunque della NASPI • Inizio di una attività lavorativa autonoma • Raggiungimento dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia o anticipato Pagina di 76 102 7/04 DISCOLL (indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa) Il jobs act ha introdotto una indennità di disoccupazione specifica per le COCOCO. Questo ha colmato una lacuna, nel senso che i COCOCO, rimanevano una delle figure escluse dalla tutela della disoccupazione involontaria. La lacuna è stata colmata con l’articolo 15 con il decreto 22/2015, che ha introdotto per i lavoratori di COCOCO che siano iscritti alla gestione separata dell’INPS, questa indennità di disoccupazione riconosciuta ai COCOCO, e che inizialmente nella disciplina prevista nel 2015 era contemplata in via sperimentale e dunque con un carattere provvisorio in attesa che venga introdotta una normativa, che stabilizzi la prestazione previdenziale. La legge successiva 81/2017 (sul lavoro autonomo) ha esteso la DISCOLL anche ai dottorandi di ricerca e ha stabilizzato, nel senso che la DISCOLL, facendola diventare strutturale. La legge prevede delle regole in modo similare alla NASPI, perché per esempio la DISCOLL è corrisposta mensilmente per un numero di mesi pari alla metà dei mesi di contribuzione, presenti in un determinato periodo: Dal 1°Gennaio dell’anno civile precedente la cessazione del rapporto di collaborazione ed evento stesso. Non può mai superate la durata massima di 6 mesi. Per la DISCOLL vi è una % di retribuzione, che come per la NASPI corrisponde al 75% del reddito medio mensile e ad un valore che viene poi rivalutato dall’Istat. Vi sono regole riguardanti anche la decadenza. Il beneficiario decade dall’indennità nei seguenti casi: • Perdita dello stato di disoccupazione • Altri casi come l’inizio di attività di lavoro autonomo L’erogazione della DISCOLL è condizionata alla permanenza dello stato di disoccupazione, nonché alla regolare partecipazione alle iniziative di attivazione lavorativa e ai percorsi di riqualificazione professionale. Con il decreto 183/2014 sono state introdotte ulteriori misure volte a condizionare la fruizione della DISCOLL alla ricerca attiva di un’occupazione e al reinserimento nel tessuto produttivo. In caso di nuova occupazione con contratto di lavoro subordinato di durata superiore a cinque giorni il lavoratore decade dal diritto della DISCOLL. ASSEGNO DI DISOCCUPAZIONE L’ assegno di disoccupazione è volto a coprire quel periodo immediatamente successivo alla Naspi e che precede il proprio stato di povertà. Misura introdotta con il Job's act. Funzione di fornire una tutela per i lavoratori che avessero beneficiato della Naspi per tutta la sua durata massima, non possano più usufruire della Naspi e quindi che si trovino ancora privi di disoccupazione. In questo momento storico il legislatore ha voluto fornire un periodo ulteriore di tutela per quei lavoratori che abbiano già goduto della Naspi, e che non possano più accedervi. Stiamo parlando di disoccupazione involontaria e fino ad adesso facciamo riferimento a forme di carattere previdenziale, e che per accedervi è necessario avere determinati requisiti. Pagina di 77 102 Requisiti di residenza e soggiorno: la legge può calibrare come vuole questi requisiti, limitando sempre più i soggetti beneficiari, con riferimento soprattutto ai cittadini di Paesi terzi, sempre più ristretto nel reddito di cittadinanza. Si tratta di un importo a carico della fiscalità sociale. (Il reddito di cittadinanza si tratta in effetti di un reddito tra i più cospicui.) C'è un restringimento a livello del requisito di soggiorno e residenza il reddito di cittadinanza restringe la cerchia. 1. Nel reddito di inclusione il componente che richiede la misura deve essere congiuntamente: cittadino dell'Unione o suo familiare che sia titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo; 2. Residente in Italia, in via continuativa, da almeno due anni al momento di presentazione della domanda; Poi si passa a un ulteriore requisito: con riferimento alla condizione economica, il nucleo familiare del richiedente deve essere in possesso congiuntamente di: I. Un valore dell'ISEE, in corso di validità, non superiore ad euro 6.000; II. Un valore dell'ISRE non superiore ad euro 3.000; III. Un valore del patrimonio immobiliare, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad euro 20.000; IV. Un valore del patrimonio mobiliare, non superiore ad una soglia di euro 6.000, accresciuta di euro 2.000 per ogni componente il nucleo familiare successivo al primo, fino ad un massimo di euro 10.000. Facciamo riferimento a dei valori economici che individuano la condizione della povertà a seconda dell'ammontare. Poi si fa riferimento al valore patrimoniale mobiliare e immobiliare. Questi elementi sono stati modificati dal reddito di cittadinanza dove c’è stato un ampliamento da questo punto di vista dei soggetti beneficiari. Il valore secondo le nuove disposizioni per quanto riguarda l'ISEE deve essere inferiore a 9.000 euro REDDITO DI CIT TADINANZA È una misura di carattere assistenziale, rispetto alle altre forme come CIG e NASPI che sono misure di carattere previdenziale e quindi legate alla contribuzione. Il reddito di cittadinanza invece, è una misura che va a sostituire il reddito di inclusione sociale e poi viene ad inserirsi in un diverso ambito che è l’assistenza sociale. L’assistenza sociale è di competenza residuale delle regioni. Il reddito di cittadinanza è impropriamente definito così perché corrisponde in realtà ad un reddito minimo garantito. Essendo un reddito minimo è un reddito condizionato e corrisponde ad una prestazione economica condizionata, cioè rivolta ad una platea selezionata di persone a disagio economico e sociale. Il reddito di cittadinanza non corrisponde ad un vero reddito di cittadinanza, perché negli studi che hanno preceduto queste misure, il reddito di cittadinanza in realtà dovrebbe riferirsi a tutti, anche a coloro che si trovano in una situazione di ricchezza. Mentre, il nostro reddito di cittadinanza introdotto dal nostro governo, è condizionato e rivolto solo ad una platea selezionata di individui, che si trovino in situazioni di disagio economico e sociale: il decreto 4/2019 che va a selezionare gli aventi diritto sulla base di Pagina di 80 102 alcuni requisiti economici, (sotto un certo livello di reddito) che si basano anche sulla cittadinanza e il luogo di residenza degli individui. Uno strumento che racchiude da un lato carattere assistenziale di lotta alla povertà, ma nello stesso tempo è anche una misura di politica attiva di lavoro perché vi è la pressione di un apposito percorso di ricerca di nuova occupazione lavorativa, di qualificazione e riqualificazione professionale del lavoro. Al beneficiario del reddito è richiesto un intervento attivo e una partecipazione attiva, attraverso delle previsioni di legge che introducono per ciascun beneficiario della tutela, dei percorsi di ricerca attiva del lavoro e qualificazione e riqualificazione del lavoro che accompagnano il beneficiario in un percorso che è di nuova occupazione e quindi di politica attiva. Il reddito di cittadinanza nel nostro ordinamento non è una novità. Prima vi era il reddito di inclusione sociale (introdotto nel 2017) che corrisponde al vero reddito minimo garantito che ha colmato una lacuna, cioè quella di non aver previsto una misura di carattere assistenziale di contrasto alla povertà. Prima del 2017, i tentativi intrapresi sono stati quelli del reddito minimo di inserimento, adottato in via sperimentale nel ’98 come strumento di sostegno al reddito per le persone esposte al rischio di marginalità sociale, cioè impossibilitate a provvedere al proprio mantenimento e quello dei figli. Fu una sperimentazione dedicata a soggetti privi di reddito, o in possesso di un reddito che non era superiore ad una determinata soglia di povertà. Tra i requisiti, era contemplata la disponibilità al lavoro e a frequentare corsi di formazione professionale. Il nostro reddito minimo garantito, è stato sperimentato già in epoca risalente nel tempo, ma già allora prevedeva un impegno in capo ai beneficiari della tutela, cioè la disponibilità al lavoro e frequentare corsi di formazione professionale. Tutto ciò rientra nella regola della condizionalità, già contemplata fin dal ’98. Nel 2003, il legislatore ha sperimentato il reddito di ultima istanza, destinato ad alcuni nuclei familiari che rischiavano la marginalità sociale. Il reddito minimo garantito, che corrisponde ad una prestazione di carattere assistenziale, rientra nella categoria di competenza dello stato o delle regioni? Tutti i tentativi oltre che il reddito minimo garantito assicurato oggi, siccome sono forme di assistenza sociale, rientrano nella competenza residuale delle regioni, permanendo allo stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni, concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale (articolo 117, comma 2 lettera M). Ci sono stati quindi varie controversie e la nostra corte è intervenuta e abbia ricondotto per esempio, lo strumento di ultima istanza, tra gli strumenti di assistenza sociale. La corte, ha chiarito questa problematica e ha precisato come lo strumento di reddito minimo garantito è da collocare nella materia di assistenza sociale, se è una materia che rientra nella competenza residuale delle regioni ma comunque è da aprire uno spiraglio alla competenza legislativa statale a cui permane l’assicurare le norme per assicurare a tutti su tutto il territorio nazionale le prestazioni garantite senza che le regioni vadano a condizionare il pieno godimento delle prestazioni. Le norme costituzionali che sono l’articolo 2 e 3 (secondo comma), articolo 38, articolo 117 (comma 2 lettera M), vanno lette insieme e il complesso di queste norme, consente di ricondurre tra i diritti sociali di cui deve farsi carico lo stato e quindi il legislatore nazionale anche il diritto di Pagina di 81 102 assicurare le prestazioni assistenziali. La corte ha affermato il dovere dello stato di stabilire le caratteristiche delle prestazioni assistenziali, quindi del reddito minimo garantito. Quindi è legittimato l’intervento dello stato per il reddito minimo garantito, in virtù della lettura di queste norme insieme. Il primo aspetto del reddito di cittadinanza è la competenza legislativa. Articolo 1 Decreto 4/2019 “Misura fondamentale di politica attiva del lavoro a garanzia del diritto al lavoro, misura di contrasto alla povertà, alla disuguaglianza e all’esclusione sociale, nonché diretta a favorire il diritto all’informazione, all’istruzione, alla formazione e alla cultura attraverso politiche volte al sostegno economico e all’inserimento sociale dei soggetti a rischio di emarginazione nella società e nel mondo del lavoro”. Il reddito di cittadinanza, prevede un percorso di ricerca individuale calibrato sulla singola persona, una ricerca attiva di una nuova occupazione, di qualificazione professionale e formazione. Comprende quindi una misura di politica attiva del lavoro. Accanto alle misure di erogazione in denaro, ciò che più rileva è la pressione di misure di politiche attive del lavoro che accompagnano l’erogazione del reddito di cittadinanza. In questi provvedimenti, il legislatore va a delimitare la platea dei poveri, che possono essere i destinatari della misura. La legge parla anche di una misura, che va a ricomprendere l’area lavorativa e l’inserimento sociale. Ecco perché i due aspetti, che si tenta di realizzare, sono da un lato il profilo lavorativo (percorso lavorativo - patto per il lavoro) e dall’altro quello dell’inclusione sociale (percorso dell’inclusione - patto per l’inclusione sociale). Sono quindi due le strade che il reddito di cittadinanza può perseguire, a seconda delle caratteristiche dei destinatari della misura e quindi dei bisogni dei poveri, il provvedimento normativo ha contemplato due appositi percorsi, in cui inserire i destinatari (patto per il lavoro e patto dell’inclusione sociale). Quindi per il reddito di cittadinanza facciamo riferimento a due distinte misure: • Patto per il lavoro • Patto per l’inclusione sociale Il RDC è erogato in modo differente a seconda dei bisogni del nucleo familiare, a seconda dei bisogni da soddisfare. L’erogazione del beneficio è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro. È condizionata all’adesione ad un percorso personalizzato all’accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale. Si parla di obblighi a cui tutti i componenti del nucleo familiare sono tenuti. Sono previste anche specificazioni alle caratteristiche che devono possedere quelli del nucleo familiare come l’assenza di occupazione da non più di due anni e si può essere anche beneficiari della Naspi. Il profilo del percorso personalizzato e molto complesso. L’erogazione del beneficio è condizionata alla dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro da parte dei componenti il nucleo familiare maggiorenni, nelle modalità di cui al presente articolo, nonché all’adesione ad un percorso personalizzato di accompagnamento all’inserimento lavorativo e all’inclusione sociale che prevede attività al servizio della comunità, di riqualificazione professionale, di completamento degli studi, nonché altri Pagina di 82 102 8/04 Come già precisato il reddito di inclusione sociale era stato introdotto con il d.lgs, n° 147/2018. Ai sensi del decreto 4/2019, convertito poi in legge 26/2019, a decorrere dal 1° Marzo 2019, il reddito di inclusione non può più essere richiesto e a decorrere dal mese di aprile non è più riconosciuto, né rinnovato. Il reddito di inclusione sociale, era stato istituito come misura unica a livello nazionale di contrasto alla povertà e all’esclusione sociale. Era una misura a carattere universale, condizionata alla prova dei mezzi e all’adozione ad un progetto personalizzato di attivazione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condizione di povertà. Il testo di legge è molto complesso, le norme non sempre sono legate le une con le altre. La finalità di questo è molto ambiziosa, a causa dello stretto legame fra politica passiva e attiva del lavoro, racchiuse nel reddito di cittadinanza. Consiste in una misura di erogazione economica di tipo assistenziale, rivolta a soggetti in situazioni di bisogni e povertà. Ma perché questo misura funzioni, il decreto ha contemplato misure di politiche attive del lavoro che devono accompagnare questa erogazione. È affidato ai centri per l’impiego e alle piattaforme digitali, il compito importante di dare efficacia alo strumento del reddito di cittadinanza. AMBITO DI APPLICAZIONE SOGGET T IVO La sentenza 50/2019, è tutt’ora oggetto di discussione. Non interviene direttamente sul reddito di cittadinanza, ma si tratta di una pronuncia che interviene sull’assegno social, quindi un’altra misura contemplata nel nostro ordinamento, erogata su domanda dell’interessato. Assegno sociale: strumento di assistenza sociale per cittadini italiani o stranieri per persone che si trovano in una situazione di difficoltà e anche dopo una certa soglia di età. I requisiti soggettivi che riguardano la possibilità di richiedere il reddito di cittadinanza e l’assegno sociale sono i medesimi. Beneficiari: Articolo 2 decreto 4/2019 Rispetto al reddito di inclusione sociale, alcuni requisiti soggettivi permangono, altri invece cambiano e sono più rigorosi e severi per richiedere il reddito. Se il legislatore, ha ampliato la platea dei beneficiari dal punto di vista dei criteri economici, il legislatore ha anche introdotto un criterio maggiormente selettivo per distinguere i cittadini che possono accedere al reddito di cittadinanza, rispetto ai criteri che vigevano per il reddito di inclusione sociali. Infatti il criterio soggetti di selezione degli aventi diritto al reddito molto limitativo. “Il RDC è riconosciuto ai nuclei familiari che al momento della presentazione della domanda e per tutto il momento della erogazione presenta i seguenti requisiti soggettivi: 1. Il componente richiedente il beneficio, deve essere in possesso di una cittadinanza italiana o di paesi dell’UE, ovvero cittadino di paesi terzi in possesso del permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Quest’ultimo, ai sensi dell’articolo 9 del decreto 286/298, il permesso di soggiorno UE, è concesso in presenza di un soggiorno regolare nel territorio italiano per almeno 5 anni, e di un reddito non inferiore all’importo annuo dell’assegno sociale e un alloggio idoneo. Questa caratteristica di Pagina di 85 102 essere cittadini italiani o UE o cittadini terzi con permesso di soggiorno, corrispondeva al requisito anche per il reddito di inclusione 2. Il requisito della residenza in Italia, che il soggetto richiedente il reddito deve possedere è un requisito, che deve corrispondere a 10 anni di cui gli ultimi 2 considerati in modo continuativo“. Questa è una novità come requisito. Con riferimento invece ai requisiti reddituali e patrimoniali, il nucleo familiare deve possedere: 1. un valore dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, inferiore a 9.360 euro ; nel caso di nuclei familiari con minorenni, l’ISEE è calcolato ai sensi dell’articolo 7 del medesimo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013 ; 2. un valore del patrimonio immobiliare, in Italia e all’estero, come definito a fini ISEE, diverso dalla casa di abitazione, non superiore ad una soglia di euro 30.000”. Il valore dell'indicatore ISEE è inferiore a 9.360 euro e quindi viene ampliata la platea dei beneficiari, includendo più soggetti in condizione di povertà. Questi requisiti, possono generare forme di discriminazione nei confronti dei cittadini stranieri. La disciplina che condiziona il diritto in capo agli stranieri (extracomunitari), di poter accedere alle prestazioni di carattere assistenziale, alle medesime condizioni rispetto ai cittadini italiani, è stata oggetto di molte discussioni da parte della corte costituzionali. Una forte critica nel diritto previdenziale, è stata quella di equiparare i cittadini stranieri, nell’accesso ad alcune prestazioni assistenziali, quindi la possibilità di equipararli dal punto di vista della legittimità costituzionali. La corte si è pronunciata nel tempo, a favore di questa equiparazione. Sono requisiti rigorosi, severi e riformulati rispetto al reddito di inclusione e che più difficilmente il cittadino extracomunitario può raggiungere. Sentenza corte costituzionale 50/2019 La corte va in controtendenza rispetto all’orientamento maggioritario fino a quel momento espresso, che era un orientamento di equiparazione tra cittadini e stranieri nell’accesso alle prestazioni di carattere assistenziale. Con questa sentenza, la corte si è pronunciata diversamente rispetto all’orientamento pregresso che però atteneva ad altre prestazioni assistenziali. È una sentenza che riguarda l’istituto dell’assegno sociale. L’assegno sociale, è uno strumento di carattere assistenziale rivolto a cittadini con requisiti reddituali e che abbiano una certa soglia di età (>67) e per potervi accedere, debbano avere dei requisiti soggettivi che sono i medesimi richiesti dalla legge per il RDC. Se è vero che i requisiti che la legge pone in capo ai destinatari sono i medesimi e quindi rigorosi e severi che possono portare a forme di discriminazioni tra cittadini italiani e stranieri, la sentenza della corte 50/2019, interviene sull’assegno sociale, ma interviene con una sentenza così rigorosa che la domanda che ci si pone è: “Ma questa affermazioni della corte possono essere fatte valere anche per il RDC?” La sentenza in esame, riguarda la possibilità di condizionare la fruizione dell’assegno sociale, alla titolarità dl permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo. Pagina di 86 102 Sempre per l’assegno sociale, vi è la necessita che l’assegno sia corrisposto a condizione che i soggetti richiedenti abbiano soggiornato legalmente, in via continuativa per almeno 10 anni, nel territorio nazionale. Sono quindi due i requisiti, e sono gli stessi richiesti per il RDC. La corte, ha dichiarato “non fondata”, la questione di legittimità costituzionale della norma che contempla i requisiti di accesso all’assegno sociale, che era stata sollevata in ordine al rispetto del principio di uguaglianza fra cittadini e stranieri, nel diritto al percepimento dell’assegno sociale. La corte ha quindi confermato la legittimità della normativa che in materia di assegno sociale, richiede dei requisiti per potervi accedere. Non è né discriminatorio, né irragionevole, che il permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo, sia il presupposto per godere di una provvidenza economica, quale quella dell’assegno sociale, che si rivolge a determinati lavoratori che abbiano raggiunto una certa soglia di età. Questo perché si tratta di un sostengo economico, per persone che si trovano alle soglie dell’uscita del mondo del lavoro, che non devono rientrarci. È un corrispettivo solidaristico, per quanto offerta progresso materiale o spirituale della società. La corte esclude che ci siano dei profili di incostituzionalità come invece erano stati solidati (dal punto di vista dell’articolo 3, 38, convenzione dei diritti dell’uomo ecc). Ha precisato come il legislatore, possa riservare alcune prestazioni di carattere assistenziale, ai soli cittadini e alle persone ad essi equiparate soggiornanti in Italia, il cui status vale a generare un adeguato nesso tra la partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale della repubblica, e l’erogazione della provvidenza. La corte precisa anche come bisogna distinguere, a seconda della misura di carattere assistenziale, nel valutare se c’è o meno, disparità di trattamento fra cittadini italiani e stranieri, proprio perché bisogna preservare il principio di uguaglianza nell’accesso all’assistenza sociale solo con riguarda alle prestazioni volte a soddisfare un bisogno primario dell’individuo che non tollera distinzione legata al radicamento. territoriale, ma solo con riguardo alle prestazioni riguardanti i diritti inviolabili della persona. In considerazione della limitatezza delle risorse disponibili di cui lo stato e l’ordinamento può disporre, rientra nella discrezionalità del legislatore quella di introdurre dei criteri restrittivi per far accedere a determinate misure assistenziali/previdenziale, distinguendo tra cittadini italiani e stranieri. Dunque la corte motiva il proprio intervento a conferma della legittimità costituzionale sull’assegno sociale, anche da questo ultimo punto. Il RDC può essere accostato all’assegno sociale? La finalità del RDC non è la stessa dell’assegno sociale. Il RDC ha una finalità più complessa ed include un inserimento anche sociale: mira a contrastare la povertà ma devono operare le politiche attive. La natura del RDC è polivalente perché è orientato al lavoro e in più è caratterizzato da questo meccanismo di ricerca attiva di un’occupazione lavorativa. Le criticità riguardanti i requisiti di cittadinanza, residenza per i cittadini stranieri per l’accesso alle misure, permangano sopratutto facendo riferimento al RDC, che non può essere accostato all’assegno sociale a causa della natura differenti. Pagina di 87 102 15/04 TUTEL A DELL A VECCHIAIA Il legislatore è intervenuto spesso per eventuali interventi di modifiche e l’ultima riforma che ha introdotto diverse modifiche al complessivo sistema pensionistico (riguardante i sistemi di calcolo e tipologie di pensione) è la legge 214/2011. Fino ai tempi recenti, ci sono state ulteriori modifiche che attengono ad alcuni settoriali profili, quindi non generali. Questa riforma, è stata considerata in parte illegittima dal punto di vista costituzionale, che intervenuta sul profilo della perequazione automatica (pronuncia della corte costituzionale 70/2015). Bisogna fare riferimento ad alcuni elementi che già da diversi anni, pongono in crisi il nostro sistema pensionistico. È un periodo critico quello che attraversa il nostro sistema previdenziale, con peculiare riferimento al sistema pensionistico e bisogna quindi far riferimento alle problematiche della tutela della vecchiaia (assicurazione obbligatoria INPS e previdenza complementare cioè ad un forma di tutela privatistica, che si fonda su un diverso sistema di erogazione della tutela). La diminuzione del numero di lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno, ha influito e continua ad influire sul sistema previdenziale italiano e in particolare sulla tutela della vecchiaia. Dobbiamo considerare oltre all’aumento dei pensionati, anche l’allungamento della durata della vita. Questi tre fattori, hanno creato degli squilibri finanziari e il nostro sistema pensionistico continua a fare i conti con questi squilibri e la spesa pubblica. È attribuito a questo l’intervento incessante del nostro legislatore, volti a equilibrare il nostro sistema e contemperar la problematica legata alla spesa pubblica con l’effettiva tutela che l’ordinamento deve apprestare nei confronti dei lavoratori. Il fondamento costituzionale è l’articolo 38, principalmente al comma 2. Con riferimento al principio dell’adeguatezza, il legislatore continua ad intervenire ma si pongono molti elementi critici: Sono realmente erogate nei confronti dei nostri lavoratori che arrivano a maturare i requisiti contributivi e assicurativi per il diritto alla pensione? Questa è una domanda a cui l’ordinamento cerca da molto tempo di rispondere: l’inadeguatezza delle prestazioni previdenziali, viene contrastata con un’altra forma di tutela chiamata previdenza complementare di tipo privato e volontario, che si può affiancare alla previdenza pubblica, nel supportare il sistema stesso e quindi contribuire al raggiungimento di quel criterio dell’adeguatezza che deve connotare le prestazioni previdenziali economiche di tutela per la vecchiaia. Le riflessioni da fare, attengono anche a sistemi privatistici che da tempo affianca quella pubblica, supportata dall’articolo 38 comma 5 della costituzione, che sancisce una libertà di previdenza e assistenza privata. La prima distinzione da porre è questa: mentre la nostra previdenza pubblica, è un sistema contraddistinto da un finanziamento chiamato a “ripartizione”, la previdenza complementare è contraddistinta da un sistema chiamato “a capitalizzazione”. Il sistema a ripartizione viene gestito attraverso una contribuzione che nel momento stesso in cui vengono erogate le prestazioni, è la contribuzione versata dai lavoratori che stanno lavorando. Pagina di 90 102 A differenza di questo sistema, è previsto un sistema definito a capitalizzazione, che fa riferimento ad un sistema finanziario per cui i versamenti dello stesso lavoratore, saranno quelli destinati a finanziare, per lo stesso lavoratore, la propria tutela previdenziale. Non vi è quindi una autosufficienza del nostro sistema pubblico, infatti viene affiancato da quello privato. Il dibattito sulla possibilità di ampliare l’area della previdenza complementare in alcuni ordinamenti, riguarda le criticità delle prestazioni previdenziali che riguardano la vecchiaia, alla necessità di affiancamento del regime pubblico di un sistema di capitalizzazione diversificato per il finanziamento. La previdenza complementare, segue la finalità dell’articolo 38 comma 2 della costituzione, cioè erogare mezzi adeguati per le esigenze di vita, tenta di aggiustare gli squilibri che contraddistinguono il nostro sistema pubblico. Si tratta di interessi privati quelli sottesi al sistema complementari, ma lo scopo rimane lo stesso di quella generale. Le criticità insite nel nostro sistema previdenziale pubblico, che sono legate agli squilibri finanziari del sistema: il problema è quello di adeguata distribuzione delle risorse finanziarie disponibili. Con questa problematica, il legislatore è intervenuto con modifiche in questa direzione: cercando di riequilibrare il sistema finanziario, distribuendo le risorse finanziarie disponibili in modo equilibrato. EVOLUZIONE NORMAT IVA La più importante è stata quella del 2011 (legge Fornero), con la finalità di garantire la sostenibilità finanziaria attraverso la progressiva elevazione dell’età pensionabile ed una più stretta correlazione tra prestazione dovuta e contribuzione versata. Gli interventi, sono stati letti come “severi” perché hanno portata ad un progressivo aumento dell’età pensionabile, ma la legge Fornero è intervenuta anche sul sistema di calcolo delle pensioni, con un sistema meno vantaggioso dal punto di vista dei trattamenti economici per i lavoratori, in più è intervenuta anche nel semplificare le tipologie di pensione ridotte a due. Negli ultimi due decenni il nostro sistema pensionistico ha ricevuto molte modifiche, con l’intento di garantire la sostenibilità finanziaria, attraverso una progressiva elevazione dell’età pensionabile, perché se è vero che è stata rimarcata nella più recente Fornero, è anche vero che ha connotato gli interventi precedenti, quindi ha seguito la linea degli interventi precedenti. La caratteristica del meccanismo di finanziamento della tutela pubblica e obbligatoria, è organizzato secondo il sistema a ripartizione, con il risultato che le prestazioni non sono finanziate dalla contribuzione degli stessi beneficiari, ma sono risorse alimentate dai lavoratori attivi e non da quelli che hanno maturato la pensione. Questo meccanismo di solidarietà generazionale è da diversi anni in crisi e discusso, oggetto di dibattito. Secondo molti dovrebbe essere rivisto, per affiancare un meccanismo a capitalizzazione che in altri ordinamenti è diventato obbligatorio La legge Fornero interviene sul metodo che va a calcolare l’importo delle pensioni. Da quale punto di vista? La riforma più recente è intervenuta generalizzando un criterio di calcolo, chiamato criterio di calcolo contributivo: va a sostituire definitivamente, il sistema più favorevole chiamato “retributivo” introdotto già in epoca risalente, favorevole per il lavoratore, che prevedeva la Pagina di 91 102 commisurazione della pensione all’anzianità di lavoro e alle ultime retribuzioni percepite dal lavoratore stesso. Era un criterio che perseguiva l’adeguatezza, che in questo momento non è più assicurata dal nostro sistema attuale. Il sistema contributivo è però più svantaggioso per il lavoratore, introdotto con la riforma 335/1995 ma solo in modo parziale. È solo con la riforma Fornero che si calcola la prestazione previdenziale pensionistica esclusivamente, con il sistema di calcolo contributivo. Anche questo ha inciso nel considerare la riforma sfavorevole per il lavoratore. È necessario riflettere sulle norme in vigore e gli interventi più criticato da parte del legislatore. Nel settore pubblico, in passato per i dipendenti delle PA, la gestione era riservata all’INPDAP e ora affidata all’INPS. I regimi speciali sono quelli gestiti dall’INPS con ad esempio la gestione separata dedicata ai COCOCO. Discorso diverso per i liberi professionisti, gestiti dagli enti previdenziali privatizzati. Tradizionalmente la tutela era distinta a seconda dell’anzianità di lavoro, rispetto all’anzianità di età. • Anzianità di lavoro: prestazioni pensionistiche di anzianità, il diritto matura dopo un certo numero di anni di servizio, indipendentemente dall’età. • Anzianità di età: prestazioni pensionistiche di vecchiaia. Il godimento è subordinato al raggiungimento dell’età pensionabile, ma comunque condizionato da requisiti di anzianità assicurativa. Le tipologie di pensione, hanno sempre ruotato attorno a questi due, a volte accumulandoli e a volte distinguendoli. L’evento protetto è la vecchiaia. C’è stata una progressiva elevazione dell’età pensionabile, dovuta alla necessità di adeguamento alla media europea e crisi degli equilibri della finanza previdenziale. Si è verificato allora un allungamento medio della vita, aumento del costo delle pensioni. Ciò ha contribuito al disequilibrio finanziario ed è stato questo il motivo, non solo recente ma presente già da tempo, che ha portato agli interventi citati sinora tutti contraddistinti da questa necessità. Tutte le pensioni, anche se erogate a diverse condizioni, sono prestazioni che adempiono la realizzazione della medesima funzione: liberalizzazione dalla situazione di bisogno, vecchiaia. Il sistema di calcolo è stato sostituito dalla riforma del ’95, si è passati dal sistema retributivo a quello contributivo a decorrere dal ’96. La riforma della previdenza obbligatoria, si è incentrata sul nuovo sistema contributivo ed è finalizzata a garantire un trattamento pensionistico rapportato ai contributi versati in tutta la vita assicurativa. La quota di pensione che corrisponde all’anzianità contributiva maturata dal 2012, deve essere calcolata con il solo sistema contributivo, che è più penalizzante: il trattamento pensionistico sarà tanto più elevato quanto più elevata sarà l’età del pensionando. Il fatto di essere passati da un sistema all’altro significa ridurre la quota di immissione, questo sistema è più sfavorevole per i pensionati. Il sistema retributivo cercava di eguagliare l’importo fra trattamento previdenziale pensionistico alle ultime retribuzioni ricevute dal Pagina di 92 102 superiore, non tre volte il trattamento minimo INPS, ma riferendosi alle prestazioni 5/6 volte superiori a questa soglia. Erano interventi più limitati e circoscritti proprio poche il blocco era di un anno e per prestazioni molto più alte, proprio per questo viene dichiarata l’illegittimità di questo provvedimento. Il merito di questa pronuncia, è quello di sollevare il problema del sistema pensionistico italiano, ossia il meccanismo di finanziamento sotteso al nostro sistema pensionistico italiano: il sistema a ripartizione, è un sistema di finanziamento che ora mai è problematico e affiancato da interventi del legislatore come questo, perché non riesce più a gestire una equilibrata gestione delle risorse finanziarie. Il pregio di questa pronuncia, è quello di aver avvertito il problema e ha richiamato l’attenzione sui diritti ed esigenze di un bilanciamento equilibrato fra due valori: • Sostenibilità economica • Sostenibilità sociale Non possono essere visti antagonisti, entrambi devono poter convivere. La legge di bilancio del 2019, ha rivisto il sistema di perequazione automatica e al fine di contenere gli importi alti. Il legislatore è poi intervenuto nel tempo, con una sorta di contributo di solidarietà, ovvero un’imposizione delle pensioni ritenute più alte, al fine del contenimento della spesa pubblica per garantire solidarietà generazionale, che può esser perseguita attraverso questi contributi. Sul contributo di solidarietà è intervenuta la corte costituzionale (pronuncia 173/2016). In questo caso è stato ritenuto legittimo proprio poche è un prelievo sostenibile e rispettoso del principio di proporzionalità. Aldilà dell’intervento del 2011, sia la revisione del meccanismo di perequazione, sia la previsione del contributo di solidarietà, sono stati contemplati dalla legge di bilancio, introducendo un nuovo contributo (per il periodo dal 2019 al 2023) di solidarietà da applicare solo sulle pensioni INPS i cui importi superino 100 mila euro lordi su base annua. Da un lato vige un diritto soggettivo all prestazioni previdenziali ai sensi dell’articolo 38, dall’altro gli interventi che il legislatore ha effettuato, motivati da ragioni di carattere finanziario. Perseguendo questo fine, sono interventi che se hanno carattere eccezionale sono giustificati, mentre la sentenza 70/2015 ha ritenuti illegittimi gli interventi della legge che avevano bloccato dal 2012 al 2013, il sistema della perequazione non giustamente motivato. Pagina di 95 102 16/04 La nuova riforma (l. 2011) ha radicalmente modificato anche le tipologie di prestazioni pensionistiche, erogate dal nostro sistema. È intervenuta sui requisiti contributivi e anagrafici richiesti da parte del soggetto assicurato. Dal 1° Gennaio 2012, per coloro che maturano i requisiti, vi sono due tipologie di pensioni: • La pensione di vecchiaia: il diritto alla pensione di vecchiaia si consegue al raggiungimento di un’anzianità contributiva di almeno 20 anni. Dal 2018 è raggiunta la parità di trattamento tra uomini e donne (66 anni e 7 mesi). Ci sono sempre state delle differenze, quanto all’età anagrafica tra uomini e donne come requisiti di accesso al trattamento pensionistico: prima è stata risolta dal settore pubblico in seguito a molte pronunce della corte di giustizia e dal 2018 questa partita stata raggiunta anche nell’ambito del settore privato. Il requisito anagrafico deve essere affiancato a quello contributivo. • La pensione anticipata: è una tipologia di prestazione che sostituisce la vecchia pensione di anzianità e si consegue a prescindere dall’età: è liquidata prima del compimento dell’eta necessaria per il conseguimento della pensione di vecchiai solo per gli uomini con 42 anni e 10 mesi di contribuzione e per le donne con 41 anni e 10 mesi di contribuzione. Tutti i requisiti, dovrebbero variare dagli ani successivi, adeguandosi alla speranza di vita. È anche vero che una recente legge del 2019, ha bloccato questo adeguamento fino ad anni successivi, in particolare al 2016. Aldilà della riforma del 2011, che rimane l’intervento significativo attuato dal legislatore, è intervenuto anche successivamente: le leggi di bilancio prevedono misure ad hoc, di carattere contributivo, previdenziale, intervenendo anche dei meccanismi riguardanti anche l’erogazione del trattamento pensionistico. Tra questi meccanismi, vi sono anche dei trattamenti pensionistici anticipati. Vi è l’intenzione di rendere più flessibile l’età del lavoratore per accedere al trattamento pensionistico. Sempre attraverso la legge di bilancio (l. n° 232/2016) , ha introdotto un “anticipo pensionistico”, chiamato APE e articolato in diverse sue forme. Consiste nell’abbandonare la propria attività lavorativa, alcuni anni prima rispetto a quanto previsto per l’accesso alla pensione di vecchiaia. La stessa possibilità di questo anticipo, quando è stata prevista dal legislatore, ha dato luogo a molti dibattiti. I più recenti interventi, sono stati interpretati anche come una risposta, alla severità della legge Fornero e dunque la legge del 2011 e si fa riferimento ad una previsione resa necessaria, proprio per dare una possibilità in più, rispetto a questa progressiva elevazione dell’età pensionabile, ad altri rigidi interventi previsti dalla legge Fornero. In cosa consiste questa forma per l’accesso all’APE? Vi sono alcuni lavoratori che possono accedere all’anticipo pensionistico, dipendenti pubblici privati e lavoratori autonomi, che però posseggano una determinata età anagrafica (63 anni) e che abbiano e possano dimostrare alcuni periodi di contributi e che rientrino nei requisiti a seconda dell’anticipo pensionistico richiesto, ossia lavoratori a cui non manchino più di un tot di anni e mesi per la pensione. Pagina di 96 102 In sostanza bisogna rientrare in rigorosi requisiti, per poter accedere ad una o l’altra, di queste forme di anticipo pensionistico. È una forma di anticipo, per quello volontario, a carico del soggetto richiedente: è su questo che si sono registrati molte critiche, perché l’aspetto dell’APE consiste in una somma che il lavoratore riceve in prestito e di cui il cui costo è sostenuto dallo stesso lavoratore che quando diviene pensionato, subisce delle trattenute sulla stessa pensione. I due requisiti sono: • APE volontario: prestito bancario garantito da un’assicurazione privata. È rivolto ai lavoratori con 63 anni di età e 20 anni di contributi, ove il lavoratore abbia raggiunto i requisiti per la pensione di vecchiaia il lavoratore restituisce il prestito tramite trattenute mensili sulla sua pensione per i successivi 20 anni. Ecco come questo può essere identificato in una somma che il lavoratore riceve in prestito, sostenuto dallo stesso lavoratore e quando ha ottenuto i requisiti per la pensione di vecchiaia, subisce, ai fini del rimborso, delle trattenute sulla propria pensione. Crea una sorta di “mutuo” che il lavoratore stesso deve accendere. È stato considerato come una scelta che il lavoratore non avrebbe fatto e che può porre penalità a carico del lavoratore, considerando il presupposto di dover rimborsare con trattenute sulla pensione, il prestito. Che il lavoratore ha ricevuto. • APE sociale: indennità totalmente a carico dello stato. La prestazione è erogata dall’INPS a soggetti in stato di bisogno (disoccupati, invalidi, addetti a mansioni gravose) che abbiano compiuto 63 anni di età e con 30 anni di contributi. L’indennità è corrisposta fino alla pensione di vecchiaia. Mentre l’APE sociale è rivolto a tutti i lavoratori, proprio perché si tratta di una scelta, l’APE sociale si rivolge solo a determinati soggetti, che si ritrovano in condizioni previste dalla legge. C’è un’altra forma di anticipo pensionistico, individuata nella cosiddetta quota 100: forma anticipata di pensionamento introdotta in via sperimentale per tre anni (fino al 2021), che da la possibilità di accedere al trattamento pensionistico, laddove si siano maturati determinati requisiti (anagrafici e contributivi) : 62 anni di età e 38 anni di contributi versati. Anche su questo si sono riversate determinate critiche. LE PRESTAZIONI A FAVORE DEI SUPERST IT I È un evento protetto che è la morte del lavoratore. La legge considera la morte del lavoratore assicurato o pensionato un evento protetto, generatore di bisogno socialmente rilevante. Viene nominato prestazioni previdenziale a favore dei superstiti, che può essere di due tipi, di reversibilità e indiretta: - Reversibilità: Il lavoratore al momento della sua morte, fosse già pensionato - Indiretta: il lavoratore non aveva ancora maturato i requisiti per la pensione In sostanza, sono prestazioni previdenziali che il nostro ordinamento riconosce e spettino ai superstiti, laddove accada un evento generatore di. bisogno, che è la morte del lavoratori, indipendentemente che fosse pensionato o no. L’evento morte costituisce la situazione di bisogno socialmente rilevante. Pagina di 97 102