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La Regolazione dello Stato nel Fenomeno Religioso: Principi e Criteri, Appunti di Diritto Ecclesiastico

Sulla regolazione dello Stato nel fenomeno religioso, partendo dai principi che minavano la struttura delle norme in vigore e passando alla creazione di un corpus di sentenze. Esploriamo il ruolo dello Stato, i criteri formali e sociologici, e la distinzione tra Stati separatisti e concordatari.

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 06/08/2018

eleonora_coppola1
eleonora_coppola1 🇮🇹

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Scarica La Regolazione dello Stato nel Fenomeno Religioso: Principi e Criteri e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! 04/10/2017 DIRITTO ECCLESIASTICO Il diritto canonico è un diritto confessionale; quello ecclesiastico è statale. Si tratta del diritto di una realtà esterna allo Stato, dei diritti che regolano una istituzione che non ha nulla a che fare con lo Stato. È una branca del diritto dello Stato, quindi si parlerà sempre di norme statali e non confessionali. Il diritto ecclesiastico regola l’atteggiamento dello Stato nei confronti del fenomeno religioso. Il diritto ecclesiastico riguarda una parte del diritto costituzionale, del diritto penale, il diritto del lavoro, il diritto amministrativo, l’arte processuale e così via. Copre moltissime materie perché la religione permea tutti i settori della vita. Oggetto del corso: Atteggiamento ordinamento italiano nei confronti del fenomeno religioso, partendo dalla Costituzione (artt. 7-8-19-20). Il corpus normae antecedente all’entrata in vigore della C. era improntato a principi che minavano nell’essenziale la struttura delle norme in vigore (troppo ricco e virato su principi confessionistici). La Corte c. a partire dagli anni ’50 ha cercato quindi di limare le storture più evidenti: ha creato un corpus di sentenze molto ricco, dal quale non si può prescindere. Perché lo Stato si deve occupare del fenomeno religioso? Può farlo o non può farlo? Partendo dal presupposto che nessun ordinamento se ne disinteressa, nemmeno quelli laici, lo Stato se ne deve occupare perché le confessioni religiose dettano norme di comportamento in tutti i campi dell’esistenza; hanno quindi fini generali. La spinta religiosa (o di coscienza) è infatti una delle spinte più forti che regola i comportamenti dell’uomo. Spesso le norme religiose sono in contrasto con quelle dell’ordinamento statale. 05/10/2017 Sono due i criteri che utilizzeremo quando parleremo dell’atteggiamento dello Stato nei confronti della religione: FORMALE e SOSTANZIALE. Il primo risponde a questo quesito: quale strumento giuridico utilizza l’ordinamento, o meglio, il legislatore, quando approccia al fenomeno religioso; con quale strumento giuridico lo Stato decide di regolare la religione, i rapporti con le religioni; il secondo, invece, risponde ad un quesito differente: indipendentemente dallo strumento giuridico utilizzato, quali sono i contenuti di questo atteggiamento, la sostanza di questo approccio: come viene approcciato. CRITERIO FORMALE Se guardiamo solo allo strumento giuridico, indipendentemente dai contenuti, possiamo definire gli Stati come Stati separatisti o Stati concordatari. I primi sono quelli che, per le ragioni più varie, tipicamente storiche e culturali, decidono di regolamentare il fenomeno religioso a tutti i livelli, sia in relazione alla libertà religiosa dei singoli, dei gruppi, dei rapporti con le confessioni religiose, tramite strumenti unilaterali, quindi le leggi dello Stato, che siano costituzionali, primarie o secondarie. Il secondo, invece, decide di utilizzare fonti bilaterali: decide di approcciarsi alla realtà del fenomeno religioso e alla regolamentazione della vita delle confessioni religiose tramite fonti bilaterali. Si chiamano in questo modo perché storicamente questi strumenti bilaterali hanno preso il nome di concordati, anche se tecnicamente il concordato regola i rapporti solo fra lo Stato e la Chiesa cattolica. Per sua natura, lo strumento concordatario è lo strumento tipico della Chiesa cattolica. Si chiama concordatario anche nel caso in cui utilizzi lo strumento pattizio nei confronti di altre confessioni religiose. È stato il primo ad essere utilizzato nei confronti delle stesse, questo perché la Chiesa cattolica ha da sempre preteso la stipulazione di concordati. È tipico della C.c., in forza della sua struttura gerarchica e capillare, porsi come un potere apicale, paragonabile a quello dello Stato, quindi non si è mai immaginata come una struttura subordinata a quella dello Stato. L’art.8 C., comma 3 ci dice che i rapporti con le confessioni religiose sono regolati da intese. Questo vuol dire che lo strumento pattizio è stato esteso anche ad altre confessioni religiose. Questa estensione, aprioristica, non è priva di conseguenze pregiudizievoli, perché quello strumento è stato pensato e voluto da una religione che aveva una struttura molto specifica: aveva un’organizzazione ampissima, e in quel caso può avere senso immaginare un accordo che per certi versi sia sottoscritto dal Papa nei confronti di tutti i fedeli cattolici. Una struttura di questo tipo appartiene solo alla Chiesa cattolica. In ragione di questa organizzazione la C.c. è l’unica ad avere una personalità di diritto internazionale. La maggior parte delle confessioni religiose di stampo cristiano si è organizzata al proprio interno, dando vita a strutture apicali. L’Islam non è riuscita a stipulare intese poiché ha una struttura completamente diversa. Quando noi ci troviamo davanti ad un ordinamento concordatario, ci troviamo davanti ad un ordinamento a grande prevalenza cattolica. Quasi mai si troverà un ordinamento con tutte le confessioni religioni. È stato pressoché impossibile trovare un ordinamento concordatario puro: al suo interno avrà sempre anche normative unilaterali, per regolare alcuni aspetti/rapporti che non possono e non sono regolati tramite lo strumento pattizio. Lo Stato separatista (es. Francia), invece, non utilizza lo strumento pattizio. Tutto ciò che riguarda la religione è regolato dalla legge, legge unilaterale. Per certi versi questa è una scelta pulita, appetibile. Tuttavia, anche questa scelta può presentare non pochi problemi: essa rischia di relegare la sfera religiosa in una sfera privata. Per lo Stato separatista puro (che non esiste, è solo un modello), la scelta della religione non riguarda lo Stato, ma i singoli. Quindi può limitarsi a garantire e riconoscere la libertà religiosa ma cercherà il più possibile di evitare che l’istanza religiosamente orientata possa trovare riconoscimento nello spazio pubblico. Questo spazio dovrebbe restare uno spazio neutro, privo di religiosità. Ad esempio, il legislatore separatista non riconoscerà mai un’ora di religione nella scuola pubblica; tenderà, al contrario, a non riconoscere finanziamenti alle confessioni religiose e a non prevedere particolari forme perché possa essere vissuta la propria scelta religiosa negli spazi pubblici. Può capitare che il legislatore separatista imponga un obbligo di neutralità dello spazio pubblico: non si possono veicolare messaggi a contenuto religioso. Una scelta rigorosamente separatista comporta un’istanza religiosa senza riconoscimento. PROBLEMA DELL’INTEGRAZIONE Esistono due visioni diverse sul tema. • Teoria assimilazionista: per integrarti ti devi conformare alla maggioranza, a ciò che impone lo Stato. • Essa può essere raggiunta solo con la coesistenza di tutti i generi diversi. Problema: creazione di “microcosmi” isolati. Entrambe le soluzioni risultano estreme,è necessaria la mediazione tra le due. Rischi sono di non tener conto delle differenze o, al contrario, di complicare eccessivamente il sistema creando “sacche” per le varie richieste. È necessario trovare il qualcosa in comune, ed è proprio questa Come faccio a salvaguardare la conformità a Costituzione di queste norme che prevedono una tutela così differenziata di questi beni? (secondo problema) La Corte deve decidere cosa fare di queste norme. Non le dichiarerà mai incostituzionali, semmai parificherà la tutela del sentimento religioso. Negli anni ’50 e ’60 la Corte dice due cose, rispondendo ai due quesiti sopra riportati: • Queste norme non tutelano più la religione dello Stato, ma quella cattolica; la Corte fa una trasposizione: anche prima queste norme tutelavano la religione cattolica, ma vi era pur sempre la qualificazione ‘religione dello Stato’. Il bene giuridico è salvo, non c’è un vuoto normativo; • Ha senso, è legittimo, tutelare la religione cattolica in maniera più forte rispetto alle altre religioni perché quella cattolica è la religione della quasi totalità dei cittadini. Si passa da una qualificazione formale (religione dello Stato) a una qualificazione sostanziale (religione del popolo). Siamo negli anni del c.d. confessionismo di fatto o di costume. Questo criterio (vi tutelo di più perché siete tanti, quasi tutti) viene utilizzato per molto tempo, in relazione ai reati in questione e avrà una grande fortuna. Però, dato che è necessario sforzarsi di trovare una legittimazione costituzionale al criterio utilizzato, non credo che in questo caso si possa trovare. Siamo di fronte ad un c.d. principio di rito. La Corte arriverà a dire basta al criterio statistico-quantitativo, in una sentenza (925/88) in tema di bestemmia. Lo fa in un momento storico delicato, quando il Concordato non c’è più, ma c’è l’Accordo dell’84 e quando la religione cattolica non viene più definita religione di Stato. La Corte inizierà a parlare di laicità come principio supremo e verranno stipulate le prime intese con confessioni diverse da quella cattolica. Per aqncora un po’ di tempo, la Corte utilizza un altro criterio, sempre in relazione alle norme penali, che è il criterio sociologico Era necessario punire con maggiore forza le offese nei confronti della religione cattolica perché suscitavano delle reazioni sociali ed indignazioni superiori rispetto a quelle alle offese nei confronti di altre confessioni religiose. Criterio sconfessato dalla Corte costituzionale nel 1997, con la sentenza n 329. Era necessario livellare la tutela penale. L’unico criterio che non è mai stato sconfessato apertamente da nessuno è quello storico-culturale. Esso è stato utilizzato dalla Corte almeno in 2-3 sentenze. Il legislatore l’ha scritto nell’art.9, comma 2 dell’Accordo e la Corte l’ha confermato (giusto stabilire l’ora di religione, dato che la rel. Cattolica era quella di maggioranza ). A questo punto, rimane aperto il problema primario: qual è il criterio? .........., lo hanno fatto dicendo: le confessioni non sono tutte uguali, così come le persone non sono tutte uguali. Scrivere che sono tutte uguali non darebbe ragione a nessuna di loro, perché si basano su principi diversi, hanno una organizzazione e una base diversa ecc... Quindi, in ragione................. 26/10/17 PRINCIPIO DI LAICITA’ Dal 1989 il principio di laicità è stato corredato di altri principi, corollari, detti riflessi. Una delle materie in cui la Corte ha applicato questo principio (art.8 e art.3) è proprio la materia penale. In che modo la Corte c. ha applicato il principio di laicità in relazione alla materia penale? Dal 1995, da quando ha deciso di metter mano alla normativa penale. Da quando ha deciso di cominciare ad incidere in questo impianto previsto dal Codice Rocco. Fino a quel momento la Corte aveva tentato di salvaguardare la legittimità costituzionale di queste norme, basandosi sull’eguale libertà. Non è un caso che la Corte abbia iniziato a metter mano a queste norme proprio negli anni ’90, in quanto periodo rilevante per quanto riguarda il passaggio dal vecchio al nuovo. Le parti avevano modificato il Concordato ed era entrato in vigore l’Accordo dell’84; era cominciato poi il periodo delle intese. Mutato quindi il clima sociale e politico, la Corte decide di metter mano a queste norme, al fine però non di dichiararne l’incostituzionalità, bensì di parificare la tutela. Per questo motivo la Corte pone come corollario del principio di laicità l’equidistanza dalle confessioni religiose, verso l’alto. Operazione non banale, trattandosi di materia penale, perché solo il legislatore poteva modificare delle norme penali. Caso di ortopedia giuridica: art.724 parificato verso l’alto. Nel 2000, con la sentenza 508, la Corte vorrebbe fare la stessa operazione con l’art. 402 Codice Rocco, che puniva il vilipendio generico contro la religione dello Stato. Purtroppo la formulazione della norma era laconica, non c’era una specificazione degli oggetti (divinità, singoli, persone); c’era scritto ‘CHIUNQUE’ e quindi era pressocché impossibile effettuare questa operazione. In questa sentenza la Corte dice: ‘mi trovo costretta a dichiarare l’incostituzionalità totale di questa norma, benché io voglia parificare la tutela’. In questo caso, al contrario del reato di bestemmia, la tutela viene raggiunta verso il basso. A questo punto la Corte si trova di fronte al problema della parificazione della tutela degli artt. 403-404-405-406. Con 3 sentenze, dal ’97 al 2005, la Corte interviene su queste norme, parificando la tutela verso il basso: diminuisce le pene per tutti i reati. L’esito di tutto ciò è una tutela parificata, sia in relazione ai fatti punibili, sia in relazione alle pene. Per curiosità, l’anno dopo (2006), il legislatore mette mano a queste norme, accoglie il monito che la Corte gli aveva mandato. Mette mano a queste norme nell’ambito di una novella che riguarda molti reati di opinione. Sostituisce religione dello Stato e culti ammessi con l’espressione confessioni religiose. In ossequio all’art. 21 C., il legislatore divide i comportamenti che costituiscono un’attività, da quelli che costituiscono una mera manifestazione del pensiero e prevede per i primi una pena detentiva, mentre per i secondi una pena pecuniaria. Il sentimento religioso riceve ancora una tutela penale paritaria in Italia. Questioni sulle quali la Corte ha applicato il principio di laicità: • Giuramento dei testimoni nei vari processi, o dei consulenti tecnici pochi anni fa coloro che venivano chiamati a testimoniare in un processo dovevano giurare di dire la verità. Era, questo, un atto dovuto. Se il testimone si rifiutava compiva un reato. Esisteva sia il problema della libertà di coscienza sia quello della libertà religiosa. Su di essi si è pronunciata la Corte e le decisioni si fondano un po’ sul principio della libertà religiosa, una in particolare si fonda sulla laicità (n. 334/96). La Corte dichiara l’incostituzionalità della norma. Il principio della distinzione degli ordini e della laicità dello Stato impediscono allo stesso di utilizzare degli strumenti che non appartengono al proprio ordine per rafforzare i propri istituti. • Edilizia di culto (in combinato disposto con l’art. 19 C.) Vi sono una serie di sentenze della Corte: la n. 52/2016 (Lombardia), una del 2002 (Lombardia) e la n. 195/1993 (Abruzzo), che si occupano di una questione molto importante: il diritto ad avere un luogo di culto, da parte di confessioni che non ce l’hanno. È la regione che deve decidere i criteri con i quali stabilire quali confessioni religiose possono accedere alla aree ed edificarle e alle risorse economiche. Possono accedere a contributi e aree solo le confessioni religiose che avevano stipulato intese. Ecco perché la Corte applica i principi di laicità e libertà religiosa. La Regione viola questi principi, se condiziona al possesso dell’intesa l’accedere ad aree e contributi, perché l’intesa non è uno strumento utilizzabile a questi fini. Anche le confessioni che non hanno un’intesa hanno diritto ad avere un luogo di culto, perché la disponibilità ad avere un luogo di culto appartiene a tutti. La Corte, quando si tratta di dichiarare l’incostituzionalità di una norma unilaterale, applica il principio di laicità. Impone al legislatore un atteggiamento non discriminatorio, ma ragionevole. Davanti ad una norma pattizia, cambia atteggiamento: il principio di laicità opera solo all’esterno dello ius speciale. L’art.8, comme 1 e comma 3 sono completamente sganciati l’uno dall’altro. Basta che una norma sia fatta rientrare in un’intesa perchè il principio di laicità non sia più applicabile. Forte contraddizione. 02/11/17 Art.8, comma 2 Quali sono le norme statutarie che non devono contrastare con l’ordinamento giuridico; cosa significa non contrasto con l’ordinamento giuridico; cosa succede se la norma statutaria contrasta con l’ordinamento giuridico e qual è la sanzione. [La Corte ci dice che è richiesto un contrasto forte in relazione ai soli principi fondamentali. (2 risposta). Norme statutarie/provvedimenti che hanno una qualche aspirazione ad avere effetti nell’ordine temporale non devono contrastano con l’ordinamento giuridico inteso come principi fondamentali. Ci sono provvedimenti in cui non è così banale capire se abbiano o meno l’aspirazione ad essere riconosciuti nella sfera temporale.] Risposta all’ultima domanda: Il Governo interpreta questo limite previsto dall’art 8, comma 2 come fosse una riproposizione dell’art.1 della legge sui culti ammessi (ammessi culti che non professassero principi o non esercitassero riti in contrasto con l’ordine pubblico ed il buon costume). Non c’è più un controllo preventivo sugli statuti però esiste un controllo preventivo, nel momento in cui si chiede un’intesa. Gli statuti non devono contrastare con l’ordinamento giuridico. Ma nel caso in cui contrastasse con l’ordinamento e se poi questa norma non ottenesse nessun riconoscimento nell’ambito dell’intesa, perché devo negare l’intesa solo perché esiste la regola statutaria abnorme? La norma statutaria è irrilevante, quindi non la applico. Io applico il mio ordinamento giuridico. Questa rilevanza tuttavia non risolve tutti i problemi. Due casi riguardanti gli insegnanti della Cattolica, prima nel vigore del Concordato e poi dell’Accordo. Se il gradimento viene revocato, il professore viene licenziato. I due professori sono stati licenziati. Cosa succede? Mettiamo il caso (non era così nella fattispecie concreta) che non erano sposati e avevano un figlio naturale. Ha efficacia nell’ordinamento. La CEDU ci dice che non si può condannare l’Italia per violazione della libertà religiosa e di coscienza, perché su questo punto davvero l’organizzazione di tendenza ha il sopravvento. Quindi sulle condizioni poste alla base del provvedimento la Corte non ha nessuna competenza. L’Italia non ha controllato che fosse stato rispettato il diritto del prof. Lombardi Vallauri di contraddire, di difendersi e valutare le motivazioni del provvedimento. È il processo che l’Italia doveva valutare e controllare. Stato. Questa conclusione già ci fa capire l’atteggiamento della Corte in relazione alle prime due questioni sottoposte. Essa le accoglie e dice, tramite sentenza manipolativa-additiva, che la Corte d’Appello nel momento in cui si trova a dover riconoscere gli effetti civili alla sentenza di nullità canonica dovrà effettuare questi due controlli: • ordine pubblico processuale: cioè che nel giudizio canonico alle parti si sia data la possibilità di agire e difendersi in giudizio nel rispetto del nucleo essenziale del diritto di difesa; • la Corte d’Appello dovrà accertare la non contrarietà della sentenza all’ordine pubblico internazionale. Internazionale perché questo limite (dell’ordine pubblico) è destinato ad operare all’esterno, anche se i contenuti dovrebbero essere molto interni. Queste 2 questioni di costituzionalità vengono accolte dalla Corte con una sentenza manipolativa e additiva. 4-La presa d’atto del diritto di difesa come principio supremo conduce all’accoglimento anche dell’ultima questione, cioè quella dei provvedimenti di scioglimento rato e non consumato. La Corte dice: questi provvedimenti sono presi all’esito di un procedimento non giurisdizionale, ma amministrativo perchè in fondo è il Papa che pronuncia questi provvedimenti di scioglimento del matrimonio in maniera molto discrezionale: la Santa Sede ha un’ampia discrezionalità nelvalutare tutte le circostanze del caso e nello scegliere se sciogliere o meno il matrimonio. Non abbiamo un giudice, quindi non si tratta di un procedimento giurisdizionale. Si tratta di un procedimento meramente amministrativo, quindi in forza del diritto di difesa come principio supremo, viene dichiarata l’incostituzionalità di questa previsione da oggi questi provvedimenti non verranno più riconosciuti agli effetti civili. Il diritto di difesa come principio supremo viene utilizzato sia per dichiarare l’incostituzionalità del riconoscimento automatico delle sentenze di nullità sia per dichiarare l’incostituzionalità del riconoscimento delle sentenze di scioglimento. Mentre il controllo sul rispetto dell’ordine pubblico resta solo in relazione alle sentenze di nullità. 3- Riserva di giurisdizione: in questa fase la Corte c. (’82) rigetta la questione di costituzionalità della riserva di giurisdizione. Dice che è compatibile con la nostra Carta perché essendo il matrimonio canonico regolato nei suoi requisiti di validità dal diritto canonico ed essendo un atto formato in un ordinamento diverso da quello dello Stato, a cui l’ord. riconnette solo gli effetti civili è un logico corollario che le nullità di questo atto esterno vengano dichiarate solo ed esclusivamente dai giudici canonici. La Corte c. fa ricorso alla teoria del c.d. logico corollario: se quell’atto nasce ed è regolato dal diritto canonico ed io posso lavorare solo sugli effetti civili, io riservo la mia giurisdizione ai giudici canonici. La strada è completamente aperta all’ingresso del nuovo Accordo, che sostituisce il Concordato, nell’84 (18 febbraio). È composto da 14 artt. e da un protocollo addizionale e il fatto che sia sostitutivo lo si capisce dall’art. 13 dell’Accordo, poiché esso afferma che tutte le norme non riproposte del Concordato sono considerate abrogate. È un accordo molto laconico e con una matrice compromissoria. Mentre il Concordato Lateranense aveva una natura molto meno compromissoria/confusa (i presupposti di fatto erano certi), nell’Accordo i presupposti di ordine politico e sociale erano totalmente diversi: non esisteva più il confessionismo di Stato; le parti tiravano ognuna dalla propria parte. L’art. 8 dell’Accordo rappresenta in maniera molto chiara tutto ciò: sono presenti moltissime contraddizioni e non detti e ciò che fa più specie è che non è assolutamente chiara la nuova natura del matrimonio concordatario. Mentre era chiaro nell’art. 34 che il matrimonio concordatario aveva una natura sacramentale e veniva recepito così nella sua unitarietà nell’ordinamento dello Stato, tutto ciò non è per nulla chiaro nell’art. 8 dell’Accordo. Anzi, nell’art. 8 la natura del matrimonio concordatario cambia completamente: esso non è più considerato sacramento, ma una speciale forma di celebrazione di un matrimonio alla fine regolato dal diritto civile. La visione chiave nell’art. 34 (matrimonio come sacramento a cui l’ordinamento statale riconnette solo effetti civili) non esiste più nell’art. 8. NUOVO MATRIMONIO CONCORDATARIO In primo luogo la trascrizione (dare effetti civili al matrimonio) non è più automatica: è necessaria un’espressa volontà delle parti (volontà che risulta da una serie di comportamenti concludenti svolti in una concatenazione temporale molto ristretta). In secondo luogo, non si trascrivono più matrimoni in presenza di impedimenti inderogabili. Vi sono importantissime novità in relazione alla giurisdizione (aspetto di maggiore novità dell’art. 8): in primo luogo non c’è più una riserva di giurisdizione: ciò significa che essa non è riprodotta (c’è un silenzio sul punto; l’art.34 punto 4 del Concordato che prevedeva una riserva di giurisdizione a favore dei tribunali canonici non è riprodotto e quindi a logica dovrebbe non essere presente, guardando all’art. 13 dell’Accordo); le altre novità riguardano il procedimento di riconoscimento delle sentenze di nullità: per certi versi recepiscono i contenuto della sentenza 18/82. La prima novità essenziale (non prevista nemmeno nella sentenza 18/82) è che la derivazione deve essere richiesta a istanza di parte. Il riconoscimento agli effetti civili della sentenza di nullità non è più ufficioso. Una o entrambe le parti (tramite atto di citazione o ricorso congiunto, rispettivamente) devono richiedere alla Corte d’Appello il riconoscimento agli effetti civili della sentenza di nullità. È un diritto personalissimo poiché non possono farlo nemmeno gli eredi. Se nessuno dei coniugi lo fa, questa pronuncia di nullità non avrà nessun effetto nell’ordinamento dello Stato. Novità che stravolge completamente il sistema, poiché è evidente che se io posso anche non chiedere il riconoscimento della nullità e tenermi il mio matrimonio, nullo per il diritto canonico ma valido per il diritto civile, si farà molta fatica a parlare di matrimonio canonico come atto unico, avente natura sacramentale. Come posso immaginare che un atto che nasce in un ordinamento esterno, possa essere dichiarato nullo in quell’ordinamento, con effetti irrilevanti nel MIO ordinamento? È chiaro che si deve parlare di due diversi atti, di una doppia natura del matrimonio concordatario, di un doppio atto. Il procedimento viene completamente riscritto, pur restando di competenza della Corte d’Appello. Si conclude con una sentenza della Corte d’Appello, impugnabile davanti alla Corte di Cassazione e non tramite ordinanza. Il procedimento può avere inizio o con un atto di citazione, oppure con un ricorso sottoscritto da entrambe le parti. Nell’ultimo caso, essendo le parti d’accordo, non ci sarà un vero e proprio contraddittorio. In entrambi i casi la pronuncia della Corte d’Appello finirà con una sentenza. Le parti dovranno essere munite di difensore (nel caso di ricorso il difensore può essere unico, dato che le parti sono d’accordo). L’esito di tutto ciò è una sentenza la cui pronuncia può essere dotata di effetti civili o meno (può avere esito positivo o negativo in relazione al riconoscimento degli effetti). La parte soccombente o parzialmente soccombente potrà adire la Corte di Cassazione avverso la pronuncia della Corte d’Appello. La Corte d’Appello dovrà realizzare un vero e proprio procedimento di derivazione che non è regolato nel dettaglio dell’art. 8, punto 2. Non lo regola nel dettaglio, poiché sceglie la strada del richiamo alle norme del c.p.c. (artt 796 e seguenti) che all’epoca regolavano il riconoscimento agli effetti civili delle sentenze straniere. Tali artt prevedevano una serie di controlli che la Corte d’Appello avrebbe dovuto effettuare prima di dare riconoscimento agli effetti civili delle sentenze straniere. Dovevano controllare il rispetto del diritto di difesa nel suo nucleo essenziale (da parte del giudice di provenienza della sentenza) e dovevano controllare che la sentenza non avesse effetti contrari all’ordine pubblico internazionale. Le parti scelgono di non richiamare espressamente nell’art. 8 i controlli che le parti dovevano effettuare, ma di richiamare agli artt. del c.p.c. Scelta molto pericolosa perché questi artt. sono stati abrogati, dalla legge 218/95 in materia di diritto internazionale privato, la quale prevede inoltre che il procedimento di riconoscimento alle sentenze straniere sia solo eventuale, avviene in alcuni casi. Nella maggior parte dei casi le sentenze straniere vengono riconosciute automaticamente. Per certi versi questo richiamo è stato molto pericoloso perché dopo l’entrata in vigore della legge 218, molte sentenze, anche della Corte di Cassazione, ma più quelle di merito, affermavano che anche le sentenze canoniche fossero riconosciute automaticamente, che non era necessario il procedimento. Il richiamo era materiale, non formale secondo la Cassazione. Ciò implicava che la successiva abrogazione non avrebbe influito. L’esito attuale è quindi che gli artt. 796 e seguenti si applicano ancora, non alle sentenze straniere, bensì alle sentenze ecclesiastiche. Esito paradossale: c’è stato un assoluto ribaltamento all’interno del nostro ordinamento. Si è passati da un assoluto favore alle sentenze di nullità ad un assoluto irrigidimento delle maglie. In relazione alle sentenze straniere, il percorso è stato di scioglimento dei vincoli, nell’ambito del diritto canonico si è passati da un’assoluta assenza di vincoli, ad un irrigidimento. Mentre in relazione al diritto di difesa, i casi di ‘non riconoscimento delle sentenze’ e le pronunce si nullità sono pochissimi, allo stato attuale, il limite dell’ordine pubblico è ciò che compromette davvero l’esito del giudizio. Se all’inizio questo limite era più formale che sostanziale, nel tempo ha assunto sempre più sostanza. Da ultimo, nel rispetto della sentenza 18/82, l’Accordo dell’84 non prevede più il riconoscimento dei provvedimenti di scioglimento del matrimonio rato e non consumato. Il riconoscimento agli effetti civili è previsto, ai sensi dell’art. 8, solo per le sentenze di nullità e solo quando lo chiedono una o entrambe le parti.
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