Scarica diritto ecclesiastico appunti e più Appunti in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! DIRITTO ECCLESIASTICO Il diritto ecclesiastico è quella parte dell’ordinamento giuridico che ha per oggetto la disciplina del fenomeno religioso, è l’insieme delle norme che si ispirano ai principi costituzionali di libertà e di uguaglianza religiosa, disciplinando quelli che sono i rapporti dello Stato con la Chiesa cattolica. CAP.1- RELIGIONI, DIRITTO, STATO 1) Religione del libro del medio oriente Le religioni del libro sono tre: cristianesimo, ebraismo, islam Sono dette religioni del libro in quanto esse si basano su un testo sacro: la Bibbia, per ebrei e cristiani e il Corano per i musulmani. Cristianesimo: con l’avvento del cristianesimo prendono il via due processi storici tra loro complementari: si universalizza il messaggio del dio ebraico estendendolo a tutte le genti si ha il superamento della religione naturale che si manifestava con il politeismo. Con il cristianesimo il rapporto dell’uomo con Dio cambia radicalmente. Grazie alla figura di Gesù Cristo, l’uomo si avvicina a Dio, instaura con lui un rapporto personale, di fiducia, perché Dio è padre e creatore. Si perde la paura verso la trascendenza. L’etica evangelica si fonda su tre punti: 1. Etica dell’azione (il cristiano deva gire e realizzarsi in base alle proprie doti naturali.) 2. Etica dell’intenzione (il cristiano non deve cadere nell’ipocrisia.) 3. Etica della Rinuncia (il cristiano deve fare dei sacrifici per arrivare alla perfezione.) Ebraismo: Riguardo gli ebrei, il loro testo sacro diventa, grazie al cristianesimo, il testo di riferimento di gran parte dell’umanità, ma diviene ANTICO testamento. Gli ebrei vengono visti dai cristiani come credenti minori, perché non vogliono accettare il compimento dell’opera di Dio nella storia. Il Nuovo testamento li condanna all’emarginazione e ad una diaspora che inizia già prima dell’affermazione del cristianesimo, con la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito nel 70 d.c. Islam: Anch’essa è religione del libro ma, a differenza del cristianesimo, quanto scritto nel corano va interpretato alla lettera, in quanto è parola di Dio messa per iscritto, è verità assoluta. Infatti Maometto dichiara di aver ricevuto il Corano direttamente dall’angelo Gabriele, perciò contiene la parola definitiva di Dio nella storia, mentre il vangelo è sempre parola di Dio, ma è scritta da uomini e quindi va interpretata. L’islam si caratterizza perché decreta la signoria di Allah sull’uomo, la sottomissione dell’uomo al suo creatore (mentre, come abbiamo visto prima, nel cristianesimo l’uomo instaura un rapporto di fiducia con Dio). La religione di Maometto si fonda su regole di culto e di comportamento: 1. la professione di fede 2. l’obbligo della preghiera quotidiana 3. il dovere della misericordia 4. il digiuno e i limiti dell’alimentazione 5. il pellegrinaggio al luogo di origine della rivelazione La nuova religione di Maometto ha alcuni aspetti in comune con l’ebraismo, in quanto anch’essa rifiuta le teologie investigative su Dio, NON bisogna investigare su Allah e sulla sua natura. L’islam esclude tutti coloro che non credono in Allah. I cristiani e gli ebrei non sono considerati dall’islam non credenti ma vengono definiti DHIMMI, termine che sta ad indicare credenti minori, seguaci di una religione imperfetta. La religione di Maometto nasce nel VII sec. e si diffonde con le armi, a differenza del cristianesimo che invece si è diffuso pacificamente. Mentre l’islam si afferma in un ambiente, quello del deserto, che riflette la divisione tra gli uomini in cui non ci sono regole, in cui non si conosce diritto, stato e istituzioni, il cristianesimo nasce all’interno dell’impero romano, uno stato che ha elevato al massimo il diritto. Quindi l’islam ha la necessità di fornire al suo popolo anche regole giuridiche, deve fornirgli anche una concezione e una prassi politica. Il califfo (successore del profeta) è capo religioso e politico, è il capo supremo dell’islam che deve custodire e promuovere la vera fede contro ogni nemico. La conquista della terra è per l’Islam un dovere religioso. 2) Diffusione missionaria del cristianesimo. L’unione con l’impero e influenze giuridicizzanti Il cristianesimo si diffonde utilizzando mezzi del tutto pacifici, subendo anche grandi persecuzioni. L’attività degli apostoli si svolge in primo luogo in Gerusalemme e in Palestina e poi si estende tra le popolazioni dell’impero romano. Paolo di Tarso realizza l’emancipazione dei cristiani, ad esempio abolisce la circoncisione, elimina i digiuni. La diffusione pacifica del cristianesimo, nei primi 3 secoli, ha spinto sempre più persone ad abbandonare i costumi e le abitudini pagane, per entrare a far parte delle comunità cristiane e iniziare a vivere la fede in una maniera del tutto nuova. Dopo la diffusione delle comunità all’interno dell’impero romano, si inizia a temere che il cristianesimo possa rappresentare un pericolo per l’unità dell’impero romano, possa costituire un punto debole; così hanno inizio una serie di persecuzioni. I vari imperatori combattono con violenza questa nuova religione, celebre è la persecuzione di Settimo Severo del 200-202. Con Diocleziano poi ha luogo l’ultima persecuzione cristiana nel 303. Roma inizia ad accorgersi che il cristianesimo è ormai troppo radicato e che l’obiettivo di eliminarlo è impossibile da realizzare. Nel 313 viene emanato l’Editto di Costantino, che pone fine alla persecuzione dei cristiani e con il quale si riconosce per la prima volta la piena libertà ai cristiani di praticare il loro culto. Costantino, il pontifex maximus, in quanto sommo sacerdote e capo della religione pagana, si mostra anche come difensore dell’unità della Chiesa cristiana, esercitando diritti e doveri ecclesiastici. Infatti con Costantino nasce uno Stato nuovo, fondato sì sull’imperatore, ma anche sul cristianesimo. I cristiani, con l’appoggio dell’imperatore, ottenevano la possibilità di estendere senza ostacoli la loro opera di proselitismo, inserendosi nella stessa struttura dell’impero e dando vita alla Chiesa cattolica universale. Costantino trovava nella Chiesa un valido alleato per sostenere il suo progetto di potere assoluto. Per questo, l’imperatore, per difendere l’unità della Chiesa, non esitò ad intervenire anche nelle controversie religiose. In effetti, nel momento in cui l’impero diventava cristiano, la situazione della Chiesa incideva fortemente anche sul piano politico, sociale, religioso. Le tensioni interne alla Chiesa finivano per avere ripercussioni all’interno dell’Impero. Costantino aveva bisogno di una Chiesa unita, per garantire la stabilità dell’Impero. Per questo, egli difese la fede cristiana dalle eresie, cioè dottrine che interpretavano la parola di Dio in un modo diverso da quello accettato dalla Chiesa. Nel 325 d.C, egli convocò a Nicea il primo concilio ecumenico, cioè un’assemblea universale a cui parteciparono tutti i vescovi della cristianità. Il concilio fu indetto per condannare l’arianesimo, un’eresia (diversa interpretazione della fede) sostenuta da un prete di Alessandria, di nome Ario, che negava la natura divina di Cristo, considerandolo solo un intermediario tra Dio e gli uomini. Lo stesso Costantino partecipò alla discussione e il concilio si concluse con la condanna di Ario. Nel concilio venne stabilito il cosiddetto simbolo Niceno, la professione di fede che ogni cristiano doveva far propria per far parte della Chiesa. Tale simbolo affermava che Cristo è della stessa natura del padre, Dio, cioè Cristo è allo stesso tempo vero Dio e vero uomo. Dunque, con Costantino la professione di fede cristiana entra a far parte delle leggi dell’impero. Nel 380 viene emanato l’editto di Teodosio che impone a tutti di professare il cristianesimo. L’impero torna ad avere una sola religione ufficiale. Posizione meno chiara è quella degli ebrei, in quanto essi non sono né pagani, perché riconoscono e adorano lo stesso Dio dei cristiani, né eretici, perché non abbracciano la fede alcun placet e senza subire veti. Niccolò II cancellò ogni forma di cesaropapismo e creò l'istituto del conclave per l’elezione del papa. • la definitiva affermazione del celibato ecclesiastico: A questo proposito Niccolò II dettò norme sul celibato ecclesiastico, che impedirono a qualunque ordinato in sacris di celebrare nozze valide. Tra le motivazioni che spingono alla castità c'è: -la motivazione ascetico-morale per il perfezionamento spirituale dell'individuo; -la motivazione pastorale-istituzionale per la quale il matrimonio impedirebbe al clero di costituirsi in personale ecclesiastico stabile e autonomo; -la motivazione economico-proprietaria in quanto un prete sposato deve far fronte alle esigenze economiche della famiglia e ad eventuali problemi ereditari nei confronti della proprietà ecclesiastica affidata al singolo sacerdote. • la rivendicazione dell'autonomia del corpo clericale attraverso la lotta delle investiture: Altro fondamento della riforma gregoriana è quello di procedere alle nomine (investiture) dei titolari degli uffici, senza interferenze civili. È così che s’innesca la lotta per le investiture, che si protrae per anni e che si conclude solo con il concordato di Worms del 1122, tra l’imperatore Enrico V e il papa Callisto II. Con tale accordo, la nomina dei vescovi viene assegnata ai papi, l'investitura temporale per l'eventuale conferimento dei feudi viene lasciata all'imperatore. A Gregorio VII si deve un documento, il dictatus papae, contenente 27 enunciazioni sui poteri dei pontefici. È un documento in cui il Papa prende coscienza di sé e si propone come potere unico, universale che non ha eguali nella Chiesa del mondo. Sono state introdotte le DECIME: tasse civili per cui un decimo della ricchezza che veniva prodotta andava alla Chiesa. Venivano effettuate VISITE PASTORALI: il parroco e il vescovo, attraverso visite alle proprie circoscrizioni, individuavano le colpe più gravi e frequenti dei propri fedeli e utilizzavano diversi metodi per correggere i comportamenti negativi. 8) La Chiesa, il denaro, l’accumulazione proprietaria. Il privilegio del foro e l’inquisizione La pressione della Chiesa e delle sue istituzioni si faceva sentire anche in materia economica e finanziaria. La chiesa iniziava ad accumulare sempre più beni, soprattutto immobiliari. Un esempio è il monastero di Cluny: i monaci stipulavano accordi con le famiglie regnanti europee e con i nobili, in base ai quali essi si impegnavano a PREGARE per i defunti di queste famiglie in cambio di denaro. Si affermava una regola, secondo cui tutto ciò che entrava a far parte del patrimonio ecclesiastico non poteva uscirne. Questo rendeva la Chiesa estremamente ricca. Sono state introdotte le decime ecclesiastiche: chiunque doveva versare un decimo di ciò che si produceva (come ricchezza) agli organi territoriali della Chiesa (parrocchie e diocesi); le decime papali, ossia imposte dal Papa per eventi straordinari. Un istituto importante è quello del patronato, mediante il quale si ottenevano fondi per la costruzione di edifici di culto, monasteri. Al patrono veniva chiesto di sostenere le spese per la costruzione dell’immobile, ottenendo in cambio diritti e privilegi. Il ruolo della chiesa si sviluppa anche nell’ambito repressivo, attraverso il PRIVILEGIO DEL FORO e la diffusione di TRIBUNALI PER L’INQUISIZIONE. Il privilegio del foro discende dalle AEPISCOPALIS AUDENTIAE ed ha come base il principio che i clerici non possano essere giudicati da un tribunale laico, il vescovo è il giudice dei clerici. L’inquisizione, invece, è lo strumento con il quale la chiesa persegue la sua crociata contro gli eretici. Viene esercitata per mezzo di delegati pontifici: vengono inviati nelle diverse nazioni per cercare e reprimere l'eresia L'inquisizione si fonda sul principio della ricerca degli eretici: per questo l'inquisitore viaggia e si sistema nelle diverse località di una regione e vi apre le sessioni del tribunale con l'editto di grazia e l'editto di fede. Con l'editto di grazia sollecita la confessione spontanea degli eretici, cui segue la remissione della colpa e l'irrogazione delle pene canoniche. L'editto di fede, invece, impone a chiunque di denunciare i casi evidenti o soltanto sospetti di eresia. La procedura si sviluppa contestando la colpa dell'interessato, ma senza la presenza di avvocati o assistenti e prosegue utilizzando lo strumento della tortura fisica. Il processo si conclude con una sentenza contro cui non è ammesso appello. Il diritto canonico prevede una serie di pene: è previsto il carcere, la confisca dei beni, la distruzione della casa, l'esclusione dei figli degli eretici dalle cariche ecclesiastiche. 9) Affermazione e declino della teocrazia da Gregorio VII a Bonifacio VIII. La vocazione temporalista della Chiesa Il termine Teocrazia indica un ordinamento politico, in cui il potere è esercitato in nome di Dio, da coloro che si definiscono suoi rappresentanti o incarnazioni della divinità. In una teocrazia, l’autorità religiosa controlla tutti gli aspetti della vita sociale. Base teorica della teocrazia è la dottrina secondo cui Dio è la fonte diretta di ogni potere, sia quello spirituale che temporale: perciò o la Chiesa deve coincidere con lo Stato, o lo Stato deve essere subordinato alla Chiesa. Gregorio VII mirava a realizzare un sistema teocratico, in cui il papato doveva spettare la sovranità assoluta (plenitudo potestatis) sull’impero e su tutti i regni. Gregorio VII afferma che il Papa può deporre l'imperatore quando egli incorre in qualche colpa grave, in quanto l’imperatore è sottoposto alla giurisdizione spirituale del Papa. Lo strumento della deposizione imperiale viene usato per la prima volta nei confronti di Enrico IV il quale, scomunicato, chiede al Papa la sua assoluzione con la sottomissione di Canossa del 1077. Nel corso dei secoli ci sono state numerose deposizioni di imperatori: ricordiamo Federico II che collezionò più scomuniche di ogni altro imperatore. Federico II, dopo l'ennesima scomunica, lanciò il primo avvertimento ai sovrani d'Europa che in ciascun paese stavano costituendo gli stati nazionali e li mise in guardia sul fatto che il potere reclamato dei pontefici era ormai senza confini. Il sogno teocratico fu spezzato da Filippo il Bello. Bonifacio VIII portò la teocrazia al massimo livello e nel 1296, con la Bolla innefabilis Amoris, dichiarò di voler fare da intermediario tra Inghilterra, Francia, Germania, dal momento che le controversie tra questi paesi coinvolgevano questioni di competenza della Santa Sede. Filippo il Bello non riconosceva alcuna autorità superiore, ribadiva che il governo del regno era a lui competente e aveva cominciato anche ad imporre tasse ai beni ecclesiastici. Il papa emanò due bolle: - la clericis laicos con la quale ordinava al clero di non pagare ai laici le tasse imposte. - L’ausculta fili che andava a rielaborare le più ardite tesi teocratiche. Filippo il bello convocò poi gli Stati generali di Francia, chiedendo se fosse lecito che il papa esercitasse potere temporale sul Re in terra Francese. La Francia rispose negativamente e respinse solennemente le ambizioni temporaliste romane. Un’ulteriore bolla, emanata da Bonifacio VIII, è l’Unam sanctam, nella quale si ribadiva che i due poteri, temporale e spirituale, erano nelle mani del papa e che il potere temporale veniva esercitato dall’imperatore per delega del papa ed era quindi subordinato a quello spirituale. Il re di Francia chiese poi una condanna Post – mortem per Bonifacio VIII e ottenne da Clemente V il trasferimento della sede papale ad Avignone. Terminato l’esilio avignonese nel 1377, il Papa tornò a Roma e si aprì per la Chiesa una crisi interna, che sfociò nel grande scisma d'Occidente, scisma provocato dalla divisione del collegio Cardinalizio, che elesse due pontefici, attorno ai quali si raccolsero cardinali di diversa obbedienza. La crisi venne risolta con il CONCILIO DI COSTANZA, dove si ebbe un ridimensionamento del ruolo del Pontefice. 10) La caduta di Costantinopoli, la reconquista della penisola iberica, il contenimento dell’Islam I rapporti tra Roma e Costantinopoli degradano quando la capitale dell'impero Bisanzio viene conquistata e saccheggiata e spogliata delle sue ricchezze dai protagonisti della quarta crociata del 1203. Nel 1453 Costantinopoli viene assediata e conquistata dall’impero ottomano. L'antica religione cristiana viene sostituita dall’Islam. Con il tempo, le chiese cristiane si trasformano in moschee, le conversioni si moltiplicano, la società viene governata dal Corano. Nello stesso periodo in cui l'Europa perde Costantinopoli, l'Islam perde la penisola iberica, la cui riconquista impegna le case regnanti del Portogallo e i re cattolici di Spagna. In Oriente l'impero ottomano aveva fatto emergere il profilo peggiore della dominazione musulmana, aveva accentuato pratiche di schiavizzazione di gruppi cristiani e metodi fondati sull'arbitrio dei sovrani. La fine della dominazione musulmana viene segnata dalla caduta di Granada nel 1492. L’intento era quello di rendere cattolica l'intera penisola. Per procedere alla cristianizzazione del paese, vengono emanati in Spagna i cosiddetti editti di espulsione, che offrivano agli ebrei e ai musulmani o l'abbandono del territorio spagnolo o la conversione mediante battesimo. Dopo la caduta di Costantinopoli e la riconquista della penisola iberica, inizia la resistenza cristiana contro i ricorrenti tentativi ottomani di espandere i propri domini in Europa, una resistenza che si conclude vittoriosa nelle battaglie di Lepanto del 1571 e di Vienna del 1683. 11) La riforma protestante e la nuova divisione religiosa dell’Europa Dopo la caduta di Costantinopoli e la riconquista della penisola iberica, Roma subisce un attacco più doloroso che provoca una nuova divisione religiosa e politica dell'Europa. Tale rottura viene prodotta dal monaco agostiniano, Martin Lutero, il quale non riconosce più la chiesa poiché ormai troppo corrotta. Secondo Lutero: - i cristiani devono in primo luogo tornare alla fonte della propria fede, ossia alla scrittura e quindi alla parola di Dio. I fedeli devono leggere direttamente le scritture e sentirsi tutti uguali. Cade in questo modo la distinzione tra ecclesiastici e laici. - sostiene anche che non è vero che il Papa non può mai sbagliare ed è necessario che il concilio punisca il Papa. - nega ogni validità ai sacramenti che non siano il battesimo, la penitenza e dell'eucaristia. In seguito vengono cancellati anche i voti religiosi di povertà, castità e obbedienza. - Lutero afferma la teoria dei due regni: il regno spirituale e il regno secolare. Entrambi sono voluti da Dio, ma agiscono in modo diverso. Il primo è governato da Dio attraverso la sua parola e il Vangelo. Il regno secolare si fonda su regole che derivano in buona sostanza dalla colpa e dal peccato che hanno corrotto nell'intimo la natura umana. - I due regni, Stato e Chiesa, restano uniti, ma per Lutero questa unione si risolve a tutto vantaggio del potere temporale. - Non ci sono più tribunali ecclesiastici o intromissioni ecclesiastiche. - La Chiesa nello stesso tempo chiede allo Stato di proteggerla: nasce la Chiesa territoriale di Stato, posta sotto la guida di un concistoro, che diviene un’assemblea composta da consiglieri del principe ed esperti di diritto e teologia, nominata e diretta dal sovrano territoriale. Con Lutero nascono movimenti e chiese nuove. Peculiare è la vicenda che coinvolge l'Inghilterra, dove Enrico VIII prende spunto da Lutero per fondare una Chiesa Nazionale. Egli si distacca da Roma, in quanto il Papa non gli concedeva il divorzio dalla moglie Caterina d’Aragona: per questo fa approvare dal Parlamento l’atto di supremazia, con il quale si vede riconosciuto il titolo di unico supremo capo della Chiesa d’Inghilterra. Nasce così la Chiesa anglicana, che mantiene molti tratti del cattolicesimo. 16) Fine del totalitarismo, seconda modernità, diritti umani Il secondo 900 è un’epoca di revisioni. Giovanni Paolo II procede ad una revisione della storia della chiesa: chiede perdono per l’inquisizione, per le condanne celebri nei confronti di eretici, per l’ostilità verso l’ebraismo. Si apre anche una fase nella quale si cerca di ridimensionare e trasfigurare il ruolo dello Stato. Il primo ridimensionamento si realizza a livello internazionale, dove si fa strada l'idea che il mondo intero debba essere governato da un’autorità mondiale dotata di una forza sufficiente per imporsi ai singoli Stati. Per questo viene creata la Carta delle Nazioni Unite nel 1945, che affermava il diritto-dovere di intervento della comunità internazionale nei casi di aggressione militare verso uno o più Stati, o nel caso in cui veniva messo a rischio il valore supremo della pace e della convivenza tra i popoli. I diritti umani diventano il nuovo paradigma delle relazioni internazionali e della trasformazione dello Stato. Verso la fine del 900 si afferma il principio di ingerenza umanitaria, in base al quale l'Onu poteva intervenire per porre fine a gravi violazioni dei diritti umani. Il frutto della seconda modernità è uno Stato democratico laico e pluralista. 17) Le tradizioni ortodossa, protestante, cattolica, nell’Europa dei diritti umani e del pluralismo. Nuovo confronto tra le Religioni del Libro La seconda modernità investe appieno la questione religiosa e le tradizioni confessionali Europee. Si diffonde il cristianesimo, a cui si aggiungono fasce di libero pensiero e di ateismo. Si affermano nuovi movimenti religiosi. Si verificano flussi migratori, che comportano l’inserimento di popolazioni e culture diverse. Si verificano cambiamenti anche nelle due forme classiche di separatismo: Nel separatismo statunitense si estingue quel favor religionis, che era alla base dell'ostilità verso il libero pensiero e verso l'ateismo. Nel separatismo francese, invece, si attenua l'impronta di ostilità nei confronti della religione e della Chiesa cattolica. CASO DELLO STATO D’ISRAELE: Nel dopoguerra, in Medio-oriente, nasce lo Stato d’ Israele, dopo che l’ONU si era pronunciata per la formazione di due Stati in terra Palestinese, uno ebraico e uno arabo. Gli arabi rifiutano lo stato ebraico e lo stato palestinese non viene realizzato. Questo provoca un conflitto permanente tra Israele e mondo arabo. 18)L’Islam in Europa. Laicità e libertà religiosa alla prova della terza Religione del Libro. Nell’Islam non esiste una gerarchia clericale organizzata o un potere centrale. Nelle Moschee la guida alla preghiera è affidata all’Imam, che può essere qualsiasi fedele idoneo a svolgere quella funzione, mentre al Muezzin è assegnato il compito di annunziare il tempo delle preghiere quotidiane; questi soggetti non appartengono ad alcun ceto clericale, ma sono dei funzionari nominati dall’autorità governativa o dal responsabile della moschea. Ai dottori della legge viene affidato l’onere di interpretare la legge coranica. Si tratta di teologi o giuristi, fedeli che approfondiscono lo studio del Corano e della scienza religiosa islamica. La legge coranica stabilisce le regole che disciplinano i principali aspetti della vita individuale e collettiva, dal punto di vista religioso, familiare, sociale. Per l’islam, il corano è legge per tutti gli uomini e regola la società nei suoi aspetti essenziali. CAP.2 - LAICITA’ E LIBERTA’ RELIGIOSA 1) Costituzione e laicità dello Stato La qualificazione di STATO SOCIALE LAICO, che può essere riconosciuto all’ordinamento italiano, deriva da 3 DIRETTRICI FONDAMENTALI, E GERARCHICAMENTE ORDINATE. La prima direttrice delle norme costituzione riguarda la laicità dello Stato e la libertà religiosa: L’art.2 riconosce i diritti inviolabili dell’uomo; l’art.3 afferma l’uguaglianza dei cittadini senza distinzione di religione; l'art.8 afferma che "tutte le confessioni sono ugualmente libere di fronte alla legge” ed esclude che lo Stato sia in qualche modo interessato a favorire l'espansionismo di una confessione rispetto alle altre; l’art. 19 afferma il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa. La Corte costituzionale considera la laicità come uno dei principi supremi dell’ordinamento costituzionale. La seconda direttrice riguarda il carattere sociale della religione e delle confessioni: Lo Stato riconosce le formazioni sociali, nelle quali si svolge la personalità dell’uomo; si impegna a rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, che impediscono il pieno sviluppo della persona umana; sancisce il diritto di organizzazione di tutte le confessioni religiose, proponendosi di entrare in rapporto con esse attraverso accordi. Lo Stato, inoltre, riconosce che è necessario intervenire a livello sociale, giuridico e finanziario per agevolare l’effettività del diritto di libertà religiosa, da parte dei cittadini e delle istituzioni confessionali. Il carattere sociale della religione provoca una divaricazione nel sistema delle fonti del diritto ecclesiastico, le quali vengono distinte tra fonti di derivazione unilaterale (il cui processo di formazione è tutto interno all’ordinamento) e fonti di derivazione bilaterale (il cui processo di formazione prevede la partecipazione delle singole confessioni per la stipulazione del Concordato e delle Intese). Questa seconda linea direttrice può entrare in contrasto con la prima, qualora la legislazione bilaterale giunga a riconoscere privilegi o prerogative contrastanti con i principi di libertà e di uguaglianza dei cittadini. La terza direttrice riguarda il rapporto pubblico e privato: lo Stato era il principale soggetto attivo e gestore dei servizi pubblici, mentre le iniziative private sono rimaste fortemente minoritarie nella costituzione. La dottrina ha cercato di attenuare lo squilibrio tra pubblico e privato, cercando di far guardare con favore la dimensione privatistica da parte dello Stato. 2) Stato laico sociale e fonti del diritto ecclesiastico Le fonti del diritto ecclesiastico si distinguono in: - Fonti di derivazione unilaterale statale che si distinguono in: Fonti Costituzionali: create dalla Costituzione liberale del 1948, che sono prevalenti su ogni altra fonte. Fonti ordinarie generiche: che disciplinano materie più ampie e diverse da quella ecclesiastica, ma contengono norme attinenti a qualche aspetto religioso o confessionale. Tra le principali fonti ordinarie generiche si ricordano i codici di merito e di procedura che regolano gli edifici di culto, il segreto dei ministri di culto, i delitti contro la religione, il divorzio. Fonti ordinarie specifiche: che disciplinano direttamente alcune materie ecclesiastiche o confessionali. Es. La principale fonte ordinaria specifica è la Legge sull’esercizio dei culti ammessi nello Stato, che disciplina le confessioni diverse dalla cattolica. Legislazione regionale: che ha agito principalmente sui temi dell'assistenza, dell'istruzione e dell'edilizia di culto. - Fonti di derivazione bilaterale che sono i Patti lateranensi e le intese. I Patti lateranensi: sono stati firmati l’11 febbraio del 1929 e riformati il 18 febbraio del 1984 e richiamati dall’articolo 7 della Costituzione. I Patti consistono in due distinti documenti: il Trattato del Lateranoche riconosceva l'indipendenza e la sovranità della Santa Sede, che fondava lo Stato della Città del Vaticano, e risolve la «questione romana» in via definitiva, ossia la controversia sul ruolo di Roma, che si trovava ad essere sia sede del potere temporale del pontefice, che nuova capitale del Regno d’Italia; il Concordato che definiva le relazioni civili e religiose in Italia tra la Chiesa e il Governo. Con la riforma del 1948 sono state modificate alcune norme del Trattato ed è stato abrogato l’art. 1, che definiva il carattere confessionale dello Stato italiano. Il Concordato è stato integralmente riscritto. A seguito di tale riforma sono stati elaborati dei testi pattizi. Il più importante testo pattizio è la Legge n 222 del 1985, che contiene disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero cattolico. Le Intese con i culti acattolici: affiancano il Concordato con la Chiesa cattolica, con l’intento di dettare una disciplina accettata e condivisa dai culti di minoranza e di realizzare una condizione quanto più paritaria per tutte le confessioni religiose. Le Intese subconcordatarie: elaborate per dare attuazione ai principi e alle disposizioni concordatarie in alcune materie specifiche. Es. Intesa per l’insegnamento della regione cattolica nelle scuole pubbliche, Intesa relativa ai beni culturali di interesse religioso. - Fonti internazionali dettano principi e disposizioni a tutela dei diritti umani. Una fonte di diritto internazionale molto importante è la Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo del 1948, che prevede all’articolo 18 che ogni individuo ha il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione. Tale diritto include la libertà di cambiare di religione o di credo, la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto. 3/4) Libertà religiosa e processi di integrazione europea. Corte di Strasburgo I processi d’integrazione europea sono sostanzialmente 2: - processo di unificazione dell’Europa - processo di integrazione, che ha come punto di riferimento la convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Un principio generale molto importante in ambito europeo è che le relazioni tra Stato e chiese e la disciplina delle materie ecclesiastiche sono di esclusiva competenza dei singoli stati membri. Tuttavia, gli organismi dell’UE e quelli collegati al Consiglio d’Europa sono in grado di incidere sulla legislazione ecclesiastica dei singoli Stati, sotto il profilo sostanziale e giurisdizionale. Dal punto di vista sostanziale l’UE si ispira ai “principi base della libertà, della democrazia e del rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali”. Esso si impegna al rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà fondamentali, come principi che sono comuni agli Stati membri. Ci sono anche DIRETTIVE e REGOLAMENTI che hanno ad oggetto materie che incidono su questioni confessionali e che condizionano le legislazioni nazionali. Dal punto di vista giurisdizionale la Corte di Giustizia di Lussemburgo giudica i ricorsi presentati da chi si senta leso dalle normative o da atti comunitari in relazione ai propri diritti. Esempio tipico d’intervento della Corte di Giustizia, in ambito religioso, è il caso di una cittadina britannica di religione ebraica che, volendo partecipare a un concorso di tipo “comunitario”, ha lamentato di essere stata discriminata per la propria appartenenza confessionale, perché il calendario delle per assolvere il gesuita, dovette distinguere la discussione dalla propaganda, ammettendo la prima e negando la seconda. Per la Corte d'appello, nelle discussioni si espongono le ragioni favorevoli e contrarie di un dato argomento, per giungere ad una conclusione e non si fa opera di propaganda, mentre la propaganda include sempre il concetto di propagare la religione propria, presso chi non ne ha alcuna o ne segue una diversa. Nella Costituzione, però, al posto del concetto di discussione, che non era sufficiente per garantire le attività missionarie di altri culti, si è preferito utilizzare il termine propaganda, che eliminava ogni possibile equivoco. Al fine di una libera formazione della coscienza, risulta importante che lo Stato garantisca ai propri cittadini: - Il diritto alla studio in quanto l’apprendimento è necessario per acquisire una libera coscienza in materia religiosa; - Il diritto all’informazione che si tratta non solo di garantire la libertà ad essere informato, ma soprattutto la qualità dell’informazione; - uguale libertà delle confessioni religiose , affinché possano diffondere il proprio messaggio religioso e fruire del sostegno economico e finanziario. 8) Ius poenitendi, appartenenza confessionale, tutela della privacy (8x1000) Parte integrante del diritto di libertà religiosa è il diritto di cambiare appartenenza confessionale, credenza e opinione in materia religiosa. Parliamo dello ius poenitendi. Esso è il diritto di ricredersi e cambiare orientamento. Per l'ordinamento italiano, le opinioni e le scelte dei cittadini, in materia religiosa, sono riservate e irrilevanti: di conseguenza ciascuno può cambiarle in ogni momento senza subire alcuna conseguenza. Applicazione della libertà religiosa e dello ius poenitendi si hanno per esempio nel matrimonio: non viene richiesto, infatti, per la celebrazione del matrimonio in forma religiosa, la comune appartenenza confessionale dei nubendi. Inoltre la riforma concordataria del 1984 ha previsto, per coloro che intendano chiedere la nullità del matrimonio celebrato secondo il rito cattolico, la possibilità di ricorrere ai tribunali civili, anziché quegli ecclesiastici. Un'altra applicazione della tutela di questo diritto si ha nel sistema di finanziamento agevolato delle chiese: che prevede la possibilità per i cittadini di versare delle oblazioni volontarie ad alcune confessioni religiose, deducendone l’importo dalla dichiarazione annuale dei redditi e prevede che i contribuenti possano, con la propria scelta annuale, contribuire a determinare la ripartizione (tra determinate confessioni) dell’8x1000. L’8×1000 è la percentuale dell’imposta fissa sui redditi delle persone fisiche (IRPEF), che è possibile destinare allo Stato o ad una confessione religiosa attraverso la dichiarazione dei redditi. Le somme raccolte attraverso l’otto per mille dovranno essere utilizzate dai beneficiari (Stato o confessioni religiose) per le finalità definite dalla legge. L’8 per mille nasce nel 1984, quando il Concordato tra la Repubblica Italiana e la Chiesa Cattolica termina i trasferimenti diretti a sostegno del clero e dell’edilizia di culto, introducendo questa nuova modalità di finanziamento. La legge di attuazione n 222 del 1985 prevede che i cittadini contribuenti possano scegliere di destinare l’8 per mille della propria IRPEF allo Stato o alla Chiesa Cattolica. Anche altre confessioni, con riconoscimento della personalità giuridica pubblica, stipulando un’intesa con lo Stato, hanno potuto accedere all’opzione dell’8 per mille. L’intesa, poiché è un atto avente forza di legge ordinaria, dispone anche la modalità di destinazione delle somme. Ad aver rifiutato l’8x1000 sono i mormoni. Ulteriori e particolari tutele sono disposte nei confronti del diritto alla riservatezza: non possono imporsi comportamenti confessionali ai cittadini e non possono farsi indagini sui loro orientamenti religiosi. Il diritto alla riservatezza ha trovato una più ampia tutela con il nuovo decreto legislativo n 196 del 2003, che subordina il trattamento dei dati personali dei dati sensibili al consenso dell'interessato e alla previa autorizzazione del garante. 9) Libertà religiosa, matrimonio, famiglia. La libertà di coscienza dei minori. Il matrimonio è riconosciuto civilmente se celebrato in forma religiosa con l'osservanza di determinati adempimenti. La celebrazione religiosa di un matrimonio è libera. È prevista una doppia giurisdizione, civile e canonica, per le cause di nullità dei matrimoni concordatari. Nel caso in cui la modifica di opinioni o scelte religiose da parte di un coniuge o di entrambi finisca con il provocare una crisi matrimoniale, non è possibile riconoscere l'addebito della separazione, proprio perché il mutamento di appartenenza confessionale e di opinioni religiose è parte integrante del diritto di libertà religiosa. All’addebito si potrà giungere soltanto se il mutamento ha come conseguenza l'inadempimento dei doveri coniugali e familiari, tale da “rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio per la prole”. Un diritto e dovere coniugale è l’educazione dei figli. Con il tempo, si è andata a ridurre la potestà dei genitori sui figli. Al minore è riconosciuta la libertà di pensiero, di coscienza e di religione e i genitori devono guidare i figli nell'esercizio del loro diritto. Inoltre i genitori hanno diritto di educare la prole in conformità alla propria fede, ma le pratiche della religione non devono recare pregiudizio alla salute fisica o mentale della personalità del minore. Nell'ordinamento italiano sono previsti anche dei limiti alla potestà dei genitori: - I coniugi hanno l'obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole, ma tenendo conto delle capacità, dell'inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. - Il giudice che pronuncia la separazione dei genitori, dichiara a quale dei coniugi i figli sono affidati. Il minore ha diritto di compiere determinate scelte in ambito scolastico: può scegliere se avvalersi o meno dell’insegnamento della religione cattolica, nella scuola pubblica. Il minore ha anche il diritto all’autodeterminazione. I genitori devono evitare gli eccessi che possono nuocere all’equilibrio del bambino o del ragazzo e devono adeguarsi all’evoluzione della personalità giovanile. 10) Libertà religiosa, scuola pubblica, istituzioni di tendenza. Inizialmente l’insegnamento della religione era facoltativo e riguardava solo le elementari. Giovanni Gentile interviene rafforzando l’insegnamento religioso elementare, perché secondo lui il bambino si trova in una fase in cui la mente non è formata, quindi gli si deve dare un’immagine religiosa della vita, perché è l’unico modo per introdurlo alla realtà. L’insegnamento religioso è necessario per la formazione psichica del bambino. Nell'ottica di Gentile, l'insegnamento religioso non avrebbe dovuto permanere nelle scuole superiori, ma il Concordato del 1929 estese l'insegnamento religioso anche alle altre scuole, rendendolo di fatto obbligatorio. È possibile chiedere l'esonero dall’insegnamento della religione cattolica e di compiere scelte diverse con altre confessioni religiose. La scelta viene effettuata ogni anno all’atto dell’iscrizione, mediante sottoscrizione di appositi moduli allegati alla domanda di iscrizione alla scuola. Lo Stato è obbligato ad assicurare l'insegnamento di religione cattolica, ma per gli studenti e per le loro famiglie esso è facoltativo: solo l'esercizio del diritto di avvalersene crea l'obbligo scolastico di frequentarlo, mentre coloro che non si avvalgono dell'insegnamento cattolico possono scegliere liberamente se svolgere qualche attività nell'ambito scolastico o di assentarsi dalla scuola con il consenso della famiglia. Problemi importanti sorgono per quanto riguarda le istituzioni scolastiche confessionali, che sono dirette a fornire una formazione religiosa a quanti lo desiderano e i docenti sono tenuti a rispettare l’orientamento che le ispira. In questo caso i docenti subiscono una compressione del diritto di libertà, per tutta la durata del rapporto che li lega l'istituzione scolastica, ma si tratta di una compressione volontaria e non discriminante. Un altro problema che si pone riguarda il grado di coerenza che deve esserci tra il comportamento dell'interessato e l'orientamento della scuola confessionale e ci si chiede che cosa accade quando, in corso di rapporto, il docente cambi orientamento religioso. A questo proposito, secondo l’articolo 10 del Concordato tra l’Italia e la Santa Sede, spetta a quest’ultima esprimere il proprio gradimento nei confronti dei docenti e dipendenti dell'università cattolica del sacro cuore. In mancanza di tale gradimento, il docente non può insegnare presso tale Università. Prendiamo in riferimento la sentenza del 20 ottobre del 2009, al caso del professore di Filosofia del diritto, Vallauri, presso l’università del Sacro Cuore, a cui gli era stato negato l’incarico di insegnamento, in mancanza del gradimento dell’autorità ecclesiastica, in quanto talune delle sue posizioni sarebbero risultate "in netto contrasto con la dottrina cattolica". L’assenza del gradimento obbliga gli organi dell’Università Cattolica a prenderne atto, nel senso che essi non possono attivare una fase del procedimento, volta ad accertare le ragioni di tale assenza, e neppure possono disporre la nomina in contrasto con le determinazioni dell’autorità ecclesiastica. Il ricorrente presentò un ricorso dinanzi al tribunale amministrativo regionale («T.A.R.») della Lombardia, allo scopo di ottenere l'annullamento della decisione del Consiglio di Facoltà, di non prendere in considerazione la sua candidatura, e l’annullamento dell’atto dell’autorità ecclesiastica che rifiutava di esprimere il gradimento. Il ricorrente affermò anche che le decisioni impugnate erano incostituzionali, in quanto violavano il suo diritto all’eguaglianza, la sua libertà di espressione, insegnamento, la sua libertà religiosa. Il TAR rigettò la domanda. Successivamente, il ricorrente interpose appello dinanzi al Consiglio di Stato, ribadendo che la decisione del Consiglio di Facoltà di non prendere in considerazione la sua candidatura non era motivata. Il ricorrente contestò anche la mancata competenza del giudice amministrativo in materia e sostenne che la decisione della Congregazione non era stata motivata, e questo pregiudicò il principio del contraddittorio e il suo diritto alla difesa, sanciti dall’articolo 6 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma anche il Consiglio di Stato rigettò l’appello del ricorrente. La Corte di Strasburgo è arrivata quindi a condannare l’Italia per la violazione degli articoli 10 e 6 della Convenzione europea, attribuendo al professore un risarcimento del danno. Per quanto riguarda, invece, gli insegnanti di religione cattolica nelle scuole pubbliche, questi dovevano essere riconosciuti idonei dall'autorità ecclesiastica e nominati dall'autorità scolastica. In questo caso, veniva richiesta la coerenza confessionale con l’insegnamento impartito e il ritiro del nulla osta, da parte dell’autorità ecclesiastica, non poteva essere motivato. 11) Libertà religiosa e rapporti di lavoro L’ambiente di lavoro coinvolge il singolo per gran parte della giornata e presuppone lo svolgimento di quelle funzioni che costituiscono l’oggetto del relativo contratto di lavoro. Il lavoratore deve essere messo in grado di adempiere i propri impegni religiosi. Dunque bisogna garantire al lavoratore che, le sue mansioni e l’ambiente nel quale opera, non costituiscano ostacoli per l’esercizio della libertà religiosa. Per alcune confessioni religiose è riconosciuto il riposo settimanale in giorni diversi da quello domenicale. Le ore lavorative non prestate il sabato, sono recuperate la domenica o in altri giorni lavorativi, senza diritto ad alcun compenso straordinario. L’intesa ebraica prevede il riconoscimento di una serie di festività specifiche nel corso dell’anno, che possono legittimare l’interruzione delle prestazioni di lavoro, da parte degli aderenti. Altro riconoscimento riguarda il diritto per gli ebrei, appartenenti alle forze armate, di osservare le prescrizioni ebraiche in materia alimentare. Si tratta di prescrizioni che riguardano il divieto di mangiare carne di suino o carne macellata in modo diverso dalla previsione biblica. Le prescrizioni alimentari sono molto importanti anche per i musulmani, che tra l'altro hanno il dovere della preghiera in determinate ore nel corso della giornata, devono adottare un determinato orario per il mese del digiuno del ramadan, le donne devono usare un determinato abbigliamento, e via di seguito. Molto spesso le esigenze più sentite sono disciplinate con l'inserimento di specifiche clausole nei contratti di lavoro. In riferimento all’attività lavorativa di determinati soggetti confessionalmente qualificati, vi sono i sacerdoti cattolici che, per la prestazione di servizio in favore della diocesi, ricevono una remunerazione, ma tale servizio non integra un rapporto di lavoro e i sacerdoti vantano un vero diritto soggettivo alla remunerazione. In caso di abbandono alla vita ecclesiastica, il sacerdote si troverebbe privo di qualsiasi forma di sostentamento. Condizione particolare è quella dei religiosi cattolici che abbiano emesso i voti di povertà, ostilità, obbedienza. L'emissione del voto di povertà 18) Diritti umani, genitorialità, filiazione Grandi cambiamenti si hanno nell’ambito dei rapporti, come quello del matrimonio, della famiglia e delle relazioni sessuali. Un primo cambiamento si ha quando si ammette la cosiddetta fecondazione eterologa e la maternità surrogata. Nel primo caso si riconosce il diritto di pervenire alla filiazione utilizzando il seme altrui, nel secondo caso fruendo del corpo di una donna, che accetta di procreare a vantaggio altrui. La Corte di Strasburgo censura una legge austriaca che escludeva le due ipotesi di fecondazione assistita, perché viola il diritto alla vita familiare, il diritto ad avere un figlio. Però, in questo modo viene leso il diritto del figlio a conoscere i genitori naturali. Un ulteriore cambiamento si ha quando la Corte di Strasburgo ammette il matrimonio per le coppie omossessuali. Cade così il diritto dei figli alla doppia genitorialità, poiché nel matrimonio omosex c’è soltanto una figura sessuale raddoppiata. 19) L’obiezione di coscienza. Evoluzione e regressi. L'obiezione di coscienza consiste nel rifiuto di adempiere ad obblighi imposti dalle leggi dello Stato e nella disponibilità di accettare le conseguenze di tali rifiuto. Con l’obiezione di coscienza viene consentito di non osservare la legge a chi sente di non poter obbedire. Questo porta ad una trasfigurazione dell’istituto giuridico. C’è chi, ad esempio, rifiuta il servizio militare, per costruire la pace, per praticare la non violenza contro bellicismo e militarismo. Questo tipo di obiezione finisce con l’essere la prefigurazione di un’umanità nuova, liberata dallo spettro della guerra. Un altro caso riguarda l’obiezione all’aborto: la tutela della vita è assoluta e si evita di qualificare l’interruzione di gravidanza come “diritto”. Altre obiezioni di coscienza riguardano le leggi sull’eutanasia, il suicidio assistito, la maternità surrogata, l’uso e sperimentazione su embrioni, pratiche connesse alla sperimentazione animale, o ancora possono esserci obiezione fiscali, obiezioni sui trattamenti sanitari e vaccinazioni obbligatorie. CAP.3 – ISTITUZIONI RELIGIOSE E RAPPORTI CON LO STATO 1) Chiese e confessioni religiose nella tradizione italiana unitaria. L’articolo 1 dello Statuto Albertino del 1848, riconosceva la religione cattolica, apostolica e romana come unica religione dello Stato e gli altri culti erano solo tollerati conformemente alle leggi. Tuttavia, varie leggi successive enunciarono il principio generale di uguaglianza tra i vari culti, fu abolito il foro ecclesiastico e realizzata l'unicità della giurisdizione civile e penale per tutti cittadini, venne smantellata la struttura proprietaria della Chiesa cattolica e, nel 1865, venne introdotto il matrimonio civile come unico matrimonio valido per lo Stato, rendendo giuridicamente insignificante il matrimonio canonico. Il separatismo liberale fece tutto il possibile per ricondurre le confessioni religiose al diritto comune e per eliminare un’uguale condizione giuridica per i culti. Tuttavia, per quanto riguarda la Chiesa cattolica, la legge del 13 maggio del 1871, dovendo regolare la posizione del pontefice e della Santa Sede dopo gli eventi del 20 settembre 1870, che hanno posto termine al potere temporale dei Papi e riconosciuto Roma come capitale del regno, dà vita ad un regime speciale per gli organi centrali della Chiesa romana: - Il pontefice viene equiparato alla persona del sovrano d'Italia e gli viene garantita una totale immunità territoriale ed esenzione dall'ingerenza statale. - Vengono riconosciute speciali Guarentigie a soggetti ecclesiastici, come Cardinali, o ad organismi ecclesiastici, come Concili e il conclave, affinché le loro attività possano svolgersi in piena libertà e indipendenza. - Viene riconosciuta la potestà spirituale e disciplinare della Chiesa. - Vengono concessi al culto cattolico sostegni finanziari, agevolazioni giuridiche, riconoscimenti simbolici nelle cerimonie pubbliche. Successivamente: 1.Il principio di uguaglianza dei culti, all'interno del diritto comune, viene spezzato e lo Stato entra in rapporti bilaterali con la Chiesa cattolica, con la quale stipula un trattato e un concordato che dettano una disciplina speciale per il Papa, la Santa Sede e la Chiesa cattolica in Italia. 2.La religione cattolica viene di nuovo definita come la sola religione dello Stato. 3.Viene riconosciuta la giurisdizione ecclesiastica sulle nullità matrimoniali. 4.La Chiesa diventa istituzione pubblica per eccellenza. 5.L’eguaglianza dei culti viene ripristinata 6.La Costituzione riconosce indipendenza e sovranità alla Chiesa cattolica ed autonomia statutaria agli altri culti. 2) La Costituzione democratica. Indipendenza e sovranità della Chiesa cattolica, autonomia delle altre confessioni religiose. L’art.8 della Costituzione afferma che “tutte le confessioni sono egualmente libere davanti alla legge”, ma questo implica soltanto una eguaglianza di trattamento in quelle materie e in quei rapporti che incidono sulla libertà delle confessioni. L’articolo 7 e 8 della Costituzione delineano due modi diversi dello Stato di guardare i caratteri istituzionali della Chiesa cattolica e delle altre confessioni. - Per l’articolo 7 Stato e Chiesa sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani e i loro rapporti sono regolati dai Patti lateranensi, le cui modifiche accettate dalle due parti non richiedono il procedimento di revisione costituzionale. - L’articolo 8 riconosce alle altre confessioni religiose il diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, purché non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano, e afferma che i loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge, sulla base di Intese con le relative rappresentanze. 3) I Patti lateranensi e la loro riforma. L’articolo 7 richiama espressamente i Patti Lateranensi, che sono atti contrattuali tra enti paritari, soggetti alle norme e alle consuetudini del diritto internazionale. Una parte sosteneva che richiamare i Patti Lateranensi avrebbe significato costituzionalizzare i Patti stessi. Viene, dunque, elaborata la cosiddetta tesi della costituzionalizzazione dei Patti lateranensi: Ci si è soffermati sul fatto che le modifiche dei Patti del 1929, se accettate dalle due parti, non richiedevano un procedimento di revisione costituzionale. Si è osservato che, nel nostro ordinamento, le uniche norme che non richiedono un procedimento di revisione costituzionale sono le norme costituzionali e che le norme dei Patti hanno assunto un rilievo superiore alla stessa Costituzione. Altri autori respingono questa tesi e guardano al fatto che i Patti, se comunemente accettati, possono essere modificati attraverso la legge ordinaria e non possono avere dunque questo valore sovracostituzionale. La Corte poi ha affermato che l’articolo 7 ha prodotto diritto, un diritto che non può violare i principi supremi dell’ordinamento costituzionale. Ciò ci conduce alla conclusione che ove si verifichi un contrasto tra norma concordataria e principi supremi dell’ordinamento costituzionale, sarà la prima a cedere. 4) Le Intese con le confessioni diverse dalla cattolica. Con la previsione delle Intese, nel 3° comma dell’articolo 8, la Costituzione ha cercato di riequilibrare la disuguaglianza di trattamento tra Chiesa Cattolica e altri culti. Le intese previste dalla Costituzione sono quelle che regolano i rapporti tra Stato e confessione religiosa e che sono elaborate e stipulate nell’ambito di una contrattazione tra Governo e rappresentanza confessionale. Mentre il Concordato è uno strumento di diritto internazionale, l'intesa è uno strumento di negoziazione di diritto interno, in particolare è un contratto di diritto pubblico interno. Formazione dell'intesa: La trattativa per l'intesa si avvia e si sviluppa a livello governativo. - Le Confessioni interessate si devono rivolgere, tramite istanza, al Presidente del Consiglio dei Ministri, il quale affida l'incarico di condurre le trattative, con le rappresentanze delle Confessioni religiose, al Sottosegretario-Segretario del Consiglio dei Ministri. - Il Sottosegretario si avvale della Commissione interministeriale, per le intese con le Confessioni religiose, affinché essa predisponga la bozza di intesa, unitamente alle delegazioni delle Confessioni religiose richiedenti. - Dopo la conclusione delle trattative, le intese, siglate dal Sottosegretario e dal rappresentante della confessione religiosa, vengono sottoposte all'esame del Consiglio dei Ministri. - Una volta raggiunto l'accordo, questo viene firmato dal Presidente del Consiglio e Presidente della Confessione religiosa. - Dopo la firma, le intese vengono trasmesse al Parlamento per la loro approvazione con legge. - Il testo normativo può essere approvato o respinto. Nel caso in cui il Parlamento respinga tutto o parte del testo legislativo, il Governo dovrà riaprire il negoziato con la rappresentanza confessionale, per operare opportune modifiche. - Una volta approvata la legge, le disposizioni possono essere revisionate soltanto con un nuovo negoziato e quindi sostituite da un'altra legge di approvazione su base di intesa. Le Intese prevedono i meccanismi specifici di verifica ed eventuale riforma: - Le parti devono riesaminare il contenuto dell’Intesa al termine del decimo anno dall’entrata in vigore della legge di approvazione. - Se una delle parti ritiene opportuno modificare il testo dell’Intesa, è necessario un nuovo negoziato, con conseguente stipulazione di una nuova Intesa, che dovrà essere presentata al Parlamento attraverso una legge di approvazione. Un problema che si pone è se le confessioni religiose abbiano un vero proprio diritto a stipulare un'intesa con lo Stato e se lo Stato sia obbligato alla stipulazione dell'intesa. In realtà, a nessuna confessione è stata negata la possibilità di avviare trattative. 5) Libertà religiosa collettiva ed eguaglianza di trattamento dei culti. Viene garantito il principio di eguaglianza sui trattamenti di culto: se una disciplina riconosce determinate strutture ecclesiastiche presenti solo in alcune organizzazioni confessionali, questo non lede le aspettative delle altre e non viola il principio di uguaglianza. Anche i comportamenti tipici dei fedeli di culto non lederebbero l'uguaglianza dei cittadini, dal momento che i fedeli di altri culti non sono tenuti a seguire gli stessi comportamenti. O ancora, se una confessione religiosa rifiuta di fruire di un determinato vantaggio giuridico, finanziario o sociale e poi questo vantaggio viene concesso ad altri, esso non si trasforma in privilegio illegittimo. Ci sono anche casi in cui una confessione religiosa subisce maggiori controlli, rispetto ad altre confessioni, ma queste differenziazioni di trattamento non comportano discriminazioni, ma discendono dal fatto che la maggiore rilevanza di un gruppo sociale può indurre il legislatore a chiedere maggiori garanzie per l'espletamento di determinate attività. Diverse possono essere le modalità di organizzazione di determinati servizi di assistenza spirituale: ad esempio è previsto che il servizio di assistenza cattolica venga prestato in modo continuativo, mentre il servizio di assistenza di altri culti venga prestato garantendo il diritto di accesso dei rispettivi ministri, dietro specifica richiesta degli utenti. I religiosi cattolici sono quelli che fanno vita in comune, dopo aver emesso i voti pubblici di povertà, castità e obbedienza. Per quanto riguarda il rapporto tra religiosi e istituto di appartenenza, sotto il profilo lavoristico, si distinguono due ipotesi: - Quando il religioso presta la propria attività all'esterno e alle dipendenze di terzi, ricevendone un corrispettivo di retribuzione, si è di fronte ad un vero e proprio rapporto di lavoro. Il religioso può corrispondere la propria retribuzione all'istituto di appartenenza, utilizzando le forme previste dal codice civile, ma non può rinunciare alla retribuzione nei confronti del datore di lavoro. E, qualora la prestazione lo consenta, il relativo rapporto di lavoro può proseguire anche se il religioso si dimette dall'istituto. - Quando il religioso presta la propria attività all'interno dell'istituto, per finalità istituzionali dello stesso istituto, senza ricevere alcuna retribuzione, non vi è un rapporto di lavoro. Il problema sorge nel caso in cui il religioso si dimette dall’istituto, perché l'interessato si troverebbe senza mezzi propri di sostentamento e senza alcun frutto retributivo o previdenziale per il periodo di attività svolta. La dottrina ha così cercato di far rientrare queste attività in uno schema lavoristico, allo scopo di tutelare i religiosi che recedono dall'istituto. 1.Secondo una corrente dottrinale, sussiste un rapporto di lavoro subordinato ogni volta che l'istituto svolge un'attività a carattere economico ed extra ecclesiastico. 2. Secondo un’altra interpretazione, la relazione speciale che unisce il religioso all’ente di appartenenza è tale da legittimare e giustificare la rinuncia alla retribuzione, per tutto il periodo di appartenenza del singolo all’ente. Però, quando la relazione si interrompe, il rapporto di lavoro torna ad avere valore civile, facendo sorgere il diritto all’indennità di fine rapporto, che spetta al religioso come a qualsiasi lavoratore. 9) Potestà giurisdizionale e disciplinare delle confessioni religiose. La potestà giurisdizionale e disciplinare è fondamentale per l’autonomia delle confessioni religiose; nel caso mancasse si recherebbe danno sia alla confessione, che non riuscirebbe a mantenere una coesione interna, sia allo Stato, che sarebbe così chiamato ad intervenire in dispute di carattere religioso, senza avere le capacità e gli strumenti necessari per risolverli adeguatamente. Il riconoscimento della giurisdizione ecclesiastica indica che lo Stato non può decidere in materia spirituale o disciplinare, non può sindacare nel merito per modificare o annullare gli atti o i provvedimenti adottati nell’esercizio delle potestà confessionali. Chi vuol far valere una pretesa all’interno della confessione religiosa, deve usare gli strumenti giuridici previsti dalla confessione. Se si ricorre all’autorità civile si ha una DICHIARAZIONE DI INCOMPETENZA. Vi sono, però, atti ecclesiastici rilevanti per l’ordinamento civile. Un atto ecclesiastico, per avere effetti civili, deve riguardare una materia che rientri nell’ambito di competenza dello Stato: ad esempio un atto adottato con modalità tali da ledere un interesse o un diritto tutelato dalle leggi dello Stato, oppure una sanzione ecclesiastica che comporta un danno alla salute o all'incolumità del soggetto. In questi casi spetta al giudice Statuale valutare se le modalità con le quali è stato adottato o eseguito l’atto, integrino gli estremi dell'illecito penale o della violazione di altre leggi civili e se abbiano comportato danni civilmente rilevanti. L’esercizio della potestà giurisdizionale o disciplinare può provocare ulteriori effetti civili, quando l’atto ecclesiastico incida su una situazione confessionale che sia già rilevante civilmente. In questi casi occorre valutare 2 profili: - esecutorietà o meno, dei provvedimenti giurisdizionali ecclesiastici: gli atti o i provvedimenti confessionali, in materia spirituale o disciplinare, non sono provvisti in sede civile di alcuna esecutorietà. Essi potranno conseguire i propri effetti o per spontaneo adeguamento del destinatario, oppure ottenendo una sentenza civile che faccia eseguire l’atto. - Eventuale competenza del giudice civile: In primis non può sindacare il merito del provvedimento, proprio per non violare l’autonomia della confessione religiosa. L’azione civile viene promossa non per ottenere l’annullamento o la modifica del provvedimento confessionale, bensì per ottenere un risarcimento del danno al destinatario del provvedimento, a seguito della scorrettezza del procedimento adottato in sede confessionale. L'articolo 23 del Trattato del Laterano stabilisce che hanno piena efficacia giuridica, anche in ambito civile, le sentenze ed i provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica ed ufficialmente comunicati alle autorità civili. Si finisce così per riconoscere totalmente la potestà giurisdizionale della Chiesa. Dottrina e giurisprudenza hanno criticato questa interpretazione, affermando che i provvedimenti, che esauriscono la loro funzione esclusivamente nella sfera spirituale, o che sono contrari alla libertà e dignità della persona, non possono avere rilevanza civile, e che quei provvedimenti, di cui all’articolo 23 del trattato sono privi di esecutorietà, devono essere fatti valere in sede giudiziaria civile per produrre effetti civili. 10) Santa sede e Vaticano. Dalla legge delle Guarentigie al Trattato del Laterano. La prima soluzione della questione romana è data dallo Stato italiano, con la legge delle guarentigie, ossia un provvedimento legislativo promulgato il 13 maggio 1871. Dopo la sconfitta di Napoleone III, ad opera dei prussiani, il Governo italiano decide di realizzare l’unificazione d’Italia. Il 20 settembre del 1870 le truppe italiane entrano a Roma, provocano la debellatio e liquidano lo Stato Pontificio. Dunque, la legge delle Guarentigie aveva lo scopo di regolare i rapporti tra il Regno d’Italia e lo Stato Vaticano, dopo l’occupazione di Roma nel 1870. La Legge delle guarentigie garantiva al pontefice: -l’inviolabilità della persona; -il conferimento degli onori sovrani; -il diritto di disporre delle proprie guardie armate; -la piena sovranità sui palazzi del Vaticano e sulla villa di Castel Gandolfo. Pio IX e i suoi successori si rifiutarono di accettare la legge delle Guarentigie, sia perché era unilaterale e quindi revocabile in qualsiasi momento, sia perché non contemplava la sovranità territoriale. Per dimostrare di subire una condizione iniqua: i Papi si chiusero nei palazzi vaticani, ai fedeli cattolici fu vietato partecipare alla vita politica del paese e ai sovrani e ai Capi di Stato Cattolici fu vietato di far visita al Re d’Italia. Punto debole della legge delle Guarentigie era l’assoggettamento dei palazzi vaticani alla sovranità italiana. A comprendere tale debolezza e ad intuire che l’Italia non poteva più vivere in permanente antitesi con la Chiesa di Roma, è Benito Mussolini. Infatti, è lo stesso Mussolini che poi segue e guida le trattative con la Santa Sede per l'elaborazione del Trattato del Laterano e del relativo Concordato, che nel 1929 porta alla definitiva soluzione della questione romana. Viene qui riconosciuta in pieno la sovranità territoriale, che compete alla Santa Sede sullo Stato Città del Vaticano (SCV) e, attraverso un accordo tra Italia e Santa Sede, vengono chiusi tutti i contenziosi storici. Il trattato del Laterano definiva l'assetto territoriale, necessario per garantire l'indipendenza della Santa Sede; il Concordato, invece, regolava i rapporti tra l'Italia e la Chiesa cattolica sul territorio italiano. - Per l’articolo 2 del Trattato: L’Italia riconosce alla Santa Sede la sovranità nel campo internazionale; - Per l’articolo 3 del Trattato: L’Italia riconosce alla Santa Sede la piena proprietà e potestà e giurisdizione sovrana sul Vaticano. Nasce così uno Stato a servizio esclusivo della Santa Sede, soggetto alla sua sovranità. La Santa sede acquista piena soggettività internazionale. La città del Vaticano viene considerata come territorio neutrale ed inviolabile. In questo modo l’Italia non dovrà più preoccuparsi di un’eventuale insorgenza del potere temporale dei papi. 11) Natura e condizione giuridica dello Stato Città del Vaticano. Arturo Carlo Jemolo definisce lo Stato Città del Vaticano come una realtà statuale strumentale nei confronti della Santa Sede. Lo SCV non ha al di sopra di sé alcuna organizzazione politica, alcuno Stato, ma solo un potere spirituale. Non ha una vita politica propria, né può disporre del proprio territorio, non può avanzare rivendicazioni territoriali nei confronti dell’Italia, non può cedere il suo territorio ad un altro Stato. Secondo Jemolo, lo SCV deve rimanere soggetto alla pienezza assoluta del Pontefice. Se il papa decidesse di abbandonare Roma e trasferire la sede pontificia in un altro luogo, si estinguerebbero i presupposti che sono alla base dell’accordo del 1929, e il territorio vaticano tornerebbe a far parte del territorio italiano. Parte della dottrina definisce lo Stato vaticano come uno Stato teocratico, cioè uno Stato nel quale sussiste la piena identità tra potere politico e potere religioso e dove a capo vi è il Sommo Pontefice, che ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario. C’è da dire però che ogni Stato teocratico è tale in quanto la sua popolazione viene assoggettata al potere di una casta sacerdotale e viene governata in nome di principi di un determinato credo religioso. Ma nello Stato vaticano non esiste una vera popolazione stabile, non esistono ceti sociali o correnti politiche, questo perché l'unica componente stabile esistente è proprio la casta sacerdotale. Ecco perché parlare del Vaticano come di uno stato teocratico è giuridicamente quasi senza significato. In realtà lo Stato vaticano è un grande apparato ecclesiastico che governa sé stesso. Sono cittadini vaticani: a) i cardinali residenti nella Città del Vaticano o a Roma b) coloro che risiedono stabilmente nella città del vaticano per ragioni di dignità, carica, ufficio o impiego. c) il coniuge, i figli, gli ascendenti ed i fratelli e le sorelle di un cittadino vaticano, purché siano con lui conviventi ed autorizzati a risiedere in vaticano. La cittadinanza si perde quando gli interessati cessino dalla dignità, carica, ufficio o impiego, o quando abbandonino volontariamente la residenza nel territorio vaticano. Parte della dottrina poi nega che esso possa considerarsi un vero soggetto internazionale e sostiene la tesi monista, in base alla quale la personalità giuridica internazionale spetterebbe soltanto ed esclusivamente alla Santa Sede, in quanto è la Santa Sede che intrattiene rapporti diplomatici con gli Stati e che è presente il più delle volte nelle sedi internazionali. Lo Stato Città del Vaticano è un tipico Stato enclave, dal momento che il suo territorio è interamente circondato da quello dello Stato italiano. È il caso del regime giuridico di piazza San Pietro, che può essere considerata come un tratto di confine aperto sul territorio italiano. Essa, pur facendo parte della città del Vaticano, deve essere normalmente aperto al pubblico per consentire l'accesso alla basilica di San Pietro. Particolarità si ha anche in riferimento alla giurisdizione Penale all’interno dello SCV: L'articolo 22 del Trattato del Laterano stabilisce che, a richiesta della Santa Sede e per delegazione, l'Italia può intervenire per punire quei delitti che vengono commessi nella città del Vaticano. Se, invece, un delitto viene commesso in Piazza S. Pietro, mentre questa è aperta al pubblico, l’Italia procede direttamente alla punizione dell’interessato senza bisogno di delega. 12) Diritti e prerogative della Santa Sede Per gli enti territoriali vige il principio gerarchico-autoritativo, secondo il quale a capo dell’ente vengono preposti soggetti selezionati secondo la dottrina, la tradizione e la prassi delle confessioni religiose. Per gli enti confessionali vige il principio di non ingerenza, secondo il quale lo Stato non può intromettersi nelle attività di religione e di culto svolte dall’ente, non può assumere iniziative di controllo… 3) Requisiti generali per il riconoscimento degli enti. Finalità di religione o di culto. Gli enti ecclesiastici vengono riconosciuti per legge. La procedura tipica per il riconoscimento degli enti ecclesiastici, cattolici e non, prevede che esso venga concesso dal Ministero dell’Interno, con proprio decreto, udito il parere del Consiglio di Stato, su proposta e previa istruttoria del Ministro dell’interno. Nell’ambito di questa procedura, vengono valutati sia i requisiti generali, richiesti per tutti gli enti ecclesiastici, sia i requisiti specifici per le singole categorie di enti, e vengono effettuati tutti quei controlli ai fini del riconoscimento stesso. Le disposizioni pattizie prevedono che il riconoscimento sia compiuto con decreto del presidente della Repubblica, e che sia sempre necessario il parere del Consiglio di Stato. Ma, attraverso una conferenza informale tra la CEI (Conferenza episcopale italiana) e gli organi amministrativi, si è convenuto che: -l’obbligatorietà del parere del Consiglio di Stato può ritenersi superata e che tale parere verrà chiesto in casi particolarmente complessi o in casi nei quali emergano questioni di principio sulle quali la pronuncia del Consiglio risulti necessaria. PROCEDURA: 1. L’ente deve presentare domanda di riconoscimento, correlata dei documenti comprovativi del possesso dei requisiti generali e specifici, richiesti dalla legge, all’ufficio della Prefettura. 2. L’amministrazione svolge poi il controllo sui requisiti. La verifica principale è quella relativa ai requisiti generali richiesti per ogni tipo di ente. 3. In caso di accoglimento dell'istanza, è predisposto il formale decreto del Ministero dell'interno, con l'indicazione degli elementi che individuano la natura, la struttura e le finalità dell'ente. Il decreto deve essere emanato dopo aver udito il parere del Consiglio di Stato (che non è più obbligatorio), su proposta e previa istruttoria del ministro dell'interno. 4. Il decreto viene pubblicato in sintesi sulla Gazzetta Ufficiale. 5. Il decreto viene comunicato al rappresentante dell'ente e all’autorità ecclesiastica che ha chiesto il riconoscimento. Sono requisiti generali: -Il collegamento dell’ente con la confessione di appartenenza; -Il perseguimento della finalità di culto; -La sede in Italia che costituisce il presupposto territoriale, necessario ai fini del riconoscimento, che delinea il carattere di nazionalità degli enti ecclesiastici. Non è possibile prevedere che enti estranei agiscano nell’ordinamento, fruendo degli stessi diritti degli enti italiani. Gli enti confessionali stranieri hanno comunque il diritto di agire nell’ordinamento italiano, purché abbiano nello Stato d’origine personalità giuridica e senza godere dei vantaggi e privilegi degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti. -Il requisito della conformità confessionale l’ente che aspira al riconoscimento deve essere approvato dagli organi competenti della confessione di appartenenza. Per gli enti cattolici è previsto che il riconoscimento sia costituito o approvato dalla competente autorità ecclesiastica. -L’esistenza del fine di religione e di culto Il fine di religione o di culto caratterizza l'ente ecclesiastico: solo dopo aver verificato la sua esistenza e la sua centralità nella conformazione dell'ente, lo Stato dà luogo ad un riconoscimento. Fondamentale per il riconoscimento degli enti cattolici sono: gli articoli 2 e 16 della L. 222/1985. L’ART. 2 afferma che Sono considerati aventi fine di religione o di culto gli enti che fanno parte della Costituzione gerarchica della Chiesa, gli istituti religiosi e i seminari. Per altre persone giuridiche canoniche, per le fondazioni e per gli enti ecclesiastici che non abbiano personalità giuridica, il fine di religione o di culto viene accertato di volta in volta, in conformità alle disposizioni dell'art.16. L’accertamento è diretto a verificare che il fine di religione o di culto sia costitutivo ed essenziale dell’ente. L’ART.16 distingue le attività di religione e di culto da quelle diverse da esse. - attività di religione o di culto: sono le attività dirette all'esercizio del culto e alla cura d'anime, alla formazione del clero e di religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana. L'appartenenza a questa categoria di un ente non implica che il suo riconoscimento civile sia dato per certo, in quanto l’ente deve essere in possesso di tutti i requisiti richiesti per tutti gli enti ecclesiastici. - Attività diverse da quelle di religione o di culto: sono le attività di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e le attività commerciali, o a scopo di lucro. Per gli Enti che hanno attività diverse da quelle di religione o di culto, l'accertamento è diretto a verificare che il fine religioso sia costitutivo ed essenziale dell'ente. Il fine religioso deve prevalere rispetto ad altre attività e deve costituire la ragion d’essere dell’ente. Il requisito del fine di religione o di culto è richiesto anche per gli enti appartenenti alle confessioni religiose non cattoliche e disciplinate da intese. 4) Requisiti specifici per alcune tipologie di enti. I principali tipi di enti, cui sono richiesti requisiti specifici, sono: - La Santa sede che è riconosciuta sia come soggetto di diritto internazionale, capace di entrare in rapporti con lo Stato italiano, in nome e per conto di tutte le istituzioni cattoliche, sia come soggetto di diritto privato, per le attività di natura privatistica. - La Conferenza Episcopale italiana (CEI) che è un ente ecclesiastico civilmente riconosciuto e che svolge funzioni particolarmente importanti anche nei rapporti con le istituzioni pubbliche. La CEI deve: 1. rappresentare gli interessi della Chiesa cattolica italiana, nei confronti della autorità dello Stato e tenere i rapporti con le amministrazioni pubbliche. 2. partecipare alle trattative e alla stipulazione delle intese previste dal concordato, come quelle in materia di insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, assistenza religiosa alla Polizia di Stato, beni culturali. 3. stipulare intese anche su materie non previste dal testo concordatario, ma sulle quali si manifesti la volontà di collaborazione tra Stato e Chiesa. 4. presiedere, con fondamentali funzioni e competenze, al nuovo sistema di sostentamento del clero e decidere sulla quota dell’8x1000 IRPEF. - Diocesi e Parrocchie in tal caso non ci sono dei requisiti specifici richiesti alle strutture territoriali cattoliche, però il Concordato afferma che la Santa Sede si impegna a non includere alcuna parte del territorio italiano in una diocesi la cui sede vescovile si trovi nel territorio di un altro Stato. - Chiese che sono edifici destinati al culto pubblico e possono essere riconosciuti come enti ecclesiastici purché siano in possesso di tre requisiti specifici. La Chiesa deve essere: 1. aperta al pubblico : cioè che la Chiesa sia regolarmente officiata e che ad essa possa accedere la generalità dei fedeli. 2. provvista dei mezzi sufficienti per la manutenzione e per la ufficiatura: quando nella legge vi è un richiamo diretto ai mezzi economici, significa che è necessaria una proporzionalità tra i mezzi disponibili e i fini da perseguire. - Istituti religiosi, Società di vita apostolica gli istituti religiosi sono caratterizzati dalla vita in comune dei membri dell'istituto e dalla professione dei voti di povertà, castità e obbedienza. I requisiti specifici richiesti agli istituti religiosi sono: la sede principale in Italia e che i rappresentanti siano cittadini italiani aventi il domicilio in Italia. Questi requisiti sono sufficienti per il riconoscimento degli istituti religiosi di diritto pontificio, ossia di quegli istituti che sono approvati dalla Santa Sede e che presuppongono un notevole insediamento sociale. La legge 222 del 1985 consente il riconoscimento anche degli istituti religiosi di diritto diocesano, che sono stati eletti o approvati dall'ordinario di una diocesi. La legge richiede che tali istituti ottengano l’assenso della Santa Sede e forniscano opportune garanzie di stabilità. Per quanto riguarda, invece, le Società di vita apostolica, esse si differenziano dagli istituti religiosi per il fatto che i loro membri non fanno i voti di povertà, castità e obbedienza, ma conducono la vita in comune secondo un proprio stile. Requisiti specifici richiesti sono: perseguimento di un fine religioso o di culto, possesso di tutti i requisiti specifici richiesti per gli istituti religiosi di diritto pontificio e assenso della Santa Sede che approvi la domanda di riconoscimento e certifichi la solidità dell’ente. - Fondazioni di culto sono enti la cui base fondatizia consiste in una massa patrimoniale destinata al perseguimento di un fine di culto. Possono essere costituiti per favorire o promuovere il culto di un santo o di una figura o di un’immagine religiosa tradizionale, per garantire la celebrazione di messe per defunti e per altre funzioni. Requisiti specifici richiesti sono: sufficienza di mezzi per il raggiungimento di fini e la rispondenza alle esigenze religiose della popolazione. - Associazioni pubbliche e private dei fedeli Le associazioni pubbliche sono enti ecclesiastiche che impegnano l'istituzione ecclesiastica e sono collegate strettamente con la gerarchia cattolica. Ai fini del riconoscimento, esse devono essere munite: dell’Assenso della Santa sede e non devono avere carattere locale. Alle associazioni private, invece, l’ordinamento consente di chiedere il riconoscimento come persone giuridiche private, mantenendo una certa rilevanza civile del proprio carattere ecclesiastico. Esse restano in tutto regolate dalle leggi civili, salvo la competenza dell'autorità ecclesiastica sulla loro attività di religione o di culto. Queste associazioni devono agire sulla base del diritto comune e quindi devono presentare istanza di riconoscimento all’autorità civile competente, corredata dai documenti richiesti dalle leggi civili per il riconoscimento delle persone giuridiche. L’associazione, oltre a comprovare il fine di religione o di culto che persegue, deve allegare alla domanda l'atto di costituzione o approvazione dell'autorità ecclesiastica, dal quale risulta anche l'assenso della stessa ai fini del riconoscimento. L’esistenza di tutti questi requisiti viene poi accertata e all’amministrazione competono le valutazioni e gli apprezzamenti adeguati allo specifico provvedimento da adottare. 5) Condizione giuridica degli enti ecclesiastici, dal riconoscimento all’estinzione. Si stabilisce che gli enti ecclesiastici delle confessioni religiose, con le quali lo Stato ha stipulato accordi, possano essere anche considerate ONLUS (Organizzazioni non lucrative di utilità sociale), limitatamente all’esercizio delle attività previste dal decreto legislativo del 1997, n 460. Gli enti confessionali non hanno però l'obbligo di inserire, nella propria denominazione, il termine ONLUS, perché se lo facessero snaturerebbero se stessi, dato che perseguono prevalentemente finalità di religione o di culto. Non hanno neppure l’obbligo di strutturarsi in forma associativa – democratica. 8) Le attività di istruzione. Complesso è il rapporto tra scuola pubblica e scuola privata. In Francia troviamo le scuole confessionali cattoliche, che sono state inserite nel sistema scolastico sotto la denominazione di scuole separate. Esse sono riconosciute dallo Stato e rilasciano titoli di studio validi a tutti gli effetti. In Italia si è richiesto di rafforzare la scuola privata. La Chiesa cattolica voleva da tempo che ci fosse una sostanziale parità tra scuola pubblica e privata, anche sotto il profilo del sostegno finanziario, ma ciò è limitato dalla disposizione costituzionale, che prevede che gli enti privati possano realizzare istituti d’istruzione, ma senza però comportare alcun obbligo per lo Stato. Lo Stato non è obbligato ad agevolare economicamente la scuola privata, ma può intervenire a favore di questa e non ci può essere un finanziamento diretto alle scuole private, ma ci possono essere sovvenzioni alle famiglie. È compito della Repubblica istituire scuole di ogni ordine e grado e sia gli enti pubblici che gli enti privati possono partecipare in modo paritario alla finalità sociale dell'istruzione e dell'educazione. Le scuole pubbliche perseguono un diritto sociale costituzionalmente garantito. Le scuole private sono espressione della libertà di coscienza e di impresa, che godono di piena tutela e legittimità costituzionale e non svolgono una funzione per tutti. Pertanto le risorse finanziarie pubbliche devono essere destinate al sistema formativo pubblico, nel quale tutti possono riconoscersi. La legge n 62 del 2000 detta norme per la parità scolastica e le disposizioni sul diritto allo studio e all'istruzione. Le scuole paritarie: - devono avere un progetto educativo, in armonia con i principi della costituzione; - devono consentire a tutti gli studenti l’iscrizione alla scuola di cui i genitori ne facciano richiesta; - devono permettere l'applicazione delle norme vigenti per l'inserimento di studenti con handicap o in condizioni disvantaggio. Per quanto riguarda l’impegno finanziario pubblico, la legge prevede l’assegnazione di borse di studio alle famiglie. Si trovano poi varie disposizioni dirette al sostegno delle istituzioni scolastiche private. Alle scuole private vengono versati contributi per sostenere il servizio di mensa per gli studenti, il trasporto gratuito di tutti gli alunni e l'assegnazione gratuita dei libri di testo per gli alunni della scuola. È stato concesso il Buono Scuola per la totale o parziale copertura delle spese sostenute per l’iscrizione, acquisto dei testi e sussidi scolastici. 9) Attività istituzionali del clero e rapporti finanziari tra Stato e confessioni. Con la riforma della legislazione ecclesiastica cominciata nel 1984, lo Stato ha iniziato a provare un forte interesse verso le attività istituzionali del clero, tanto che è stato istituito un vero sistema di finanziamento agevolato per le confessioni religiose, basato su 2 flussi finanziari: uno privato e l’altro pubblico. Flusso privato consiste nelle erogazioni volontarie in denaro, che i cittadini versano ad un determinato ente e che possono essere dedotte dal reddito complessivo di ciascuna persona fisica, in sede di dichiarazione fiscale annuale, sino all’importo di 2 milioni. La Chiesa cattolica può utilizzare le erogazioni volontarie solo per il sostentamento del clero. Flusso pubblico prevede la destinazione annuale di una quota pari all’8 x 1000 del gettito complessivo Irpef, per scopi di carattere religioso a diretta gestione delle singole confessioni religiose, e per scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale. La quota gestita dallo Stato è destinata a interventi straordinari, quali: fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati, conservazione dei Beni Culturali. Le quote gestite dalle confessioni sono utilizzabili per esigenze di culto della popolazione, sostentamento del clero, interventi a favore della collettività nazionale o di paesi del terzo mondo. Il sistema di finanziamento si apriva a diverse confessioni, superando così quella concezione che limitava il contributo dello Stato al sostentamento del clero cattolico. Relazione Corte dei Conti: La Corte dei conti critica il governo per la gestione del cosiddetto “8 per mille”, affermando che i contribuenti italiani non sono informati a sufficienza, che manca trasparenza sulle erogazioni e che non vengono fatte verifiche sull’uso dei fondi. Il meccanismo dell’8 per mille riguarda una quota dell’Irpef, ripartita tra le varie confessioni religiose riconosciute e lo Stato. Secondo la Corte, i contributi alle confessioni religiose superano il miliardo di euro per anno. La quota viene ripartita in modo proporzionale tra i beneficiari, anche nel caso in cui i contribuenti non facciano alcuna scelta nella dichiarazione dei redditi. I magistrati contabili affermano che l’8 per mille non rispetta i principi di proporzionalità e di uguaglianza. Infatti, i beneficiari “ricevono più dalla quota non espressa che da quella optata”. Per ottenere risultati migliori, bisognerebbe incorrere in delle riforme nel sistema di finanziamento: ad esempio sarebbe utile abbassare la quota dell’8 per mille, realizzare un piano di conoscenza del meccanismo di voto per tutti i cittadini, attivare un controllo per l’utilizzo dei flussi finanziari. La nuova disciplina del sostentamento del clero cattolico ha cercato di abolire gli antichi benefici ecclesiastici, creando al loro posto diocesi e Parrocchie. Inoltre, ha sostituito i benefici ecclesiastici con gli istituti diocesani per il sostentamento del clero (IDSC), coordinati dall'istituto centrale per il sostentamento del clero (ICSC). Gli istituti diocesani per il sostentamento del clero sono enti ecclesiastici, con il compito di provvedere alla erogazione e alla remunerazione nei confronti di tutti i sacerdoti che prestano servizio in favore delle diocesi. Sono gestiti da un consiglio di amministrazione, composto da rappresentanti designati dal clero diocesano. Essi non possono svolgere attività contrastanti con le proprie finalità e funzioni. Il loro scopo primario è quello di gestire un patrimonio, o regolare i flussi finanziari che gli pervengono, così da garantire il sostentamento del clero. Per quanto riguarda i rapporti tra i due istituti, possiamo dire che: - All’inizio di ciascun esercizio finanziario, gli IDCS devono comunicare all’istituto centrale il proprio stato di previsione, con un’eventuale richiesta d’integrazione di risorse. - Alla chiusura di ogni esercizio, gli IDCS trasmettono all’Istituto centrale una relazione consuntiva, indicando i criteri e modalità di corresponsione ai presbiteri delle somme ricevute dallo stesso istituto centrale. In caso di avanzi di gestione, bisognerà in primis versare una quota all’istituto centrale, e il restante potrà essere destinato a copertura della successiva remunerazione del clero, oppure potrà essere investito per aumentare il patrimonio. 10) Remunerazione del clero cattolico e dei ministri di altri culti. La legge n 222/1985 disciplina i profili soggettivi della remunerazione del clero cattolico. La CEI decide periodicamente la misura di retribuzione, che assicuri il sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi. I soggetti obbligati sono gli Istituti Diocesani per il Sostentamento del Clero, che provvedono all’erogazione della remunerazione, o ad una integrazione per tutti quei sacerdoti che non raggiungano, con i propri redditi, la misura stabilita dalla CEI. I destinatari della remunerazione sono tutti i sacerdoti che prestano servizio a favore della diocesi. Tuttavia viene considerato “servizio ministeriale in favore della diocesi” soltanto quello svolto a tempo pieno. Quelli che svolgono occasionalmente il ministero o collaborano con la diocesi per periodi limitati, o che svolgono stabilmente attività professionali autonome, sono i sacerdoti a tempo definito. Questi ricevono una remunerazione proporzionale ai singoli servizi prestati. L’intera remunerazione, nella misura prevista dalla CEI, spetta a quei sacerdoti che non hanno altri redditi o stipendi. Invece, coloro che fruiscono di questi redditi o stipendi percepiranno soltanto una integrazione, cioè la differenza tra il proprio reddito e la misura stabilita dalla CEI. I sacerdoti comunicano annualmente all’ Istituto Diocesano la remunerazione che ricevono da altri enti ecclesiastici, e gli stipendi corrisposti loro da altri soggetti. Una volta verificati i dati ricevuti, l’Istituto stabilisce la misura di remunerazione spettante a ciascun sacerdote. Nasce così il diritto soggettivo dei sacerdoti di ricevere la remunerazione per il proprio sostentamento dall’istituto diocesano e dagli enti ecclesiastici. In caso di mancata corresponsione, il sacerdote dovrà citare in giudizio gli enti richiamati. Se poi il sacerdote cessa di prestare servizio a favore della diocesi, viene meno il diritto soggettivo alla remunerazione. C'è chi interpreta la remunerazione come un corrispettivo di un servizio prestato dal sacerdote, c’è chi lo interpreta come un diritto di natura alimentare o assistenziale. Interviene poi la Cassazione, secondo cui la remunerazione consisterebbe in una erogazione patrimoniale prevista dalla legge, per assicurare mezzi necessari per vivere ai cittadini che non prestano lavoro retribuito, e quindi avrebbe la funzione di una prestazione assistenziale. Per quanto riguarda le altre confessioni diverse dalla cattolica, lo Stato ha lasciato piena autonomia nello scegliere le forme e modi per attuare tale sostentamento. 11) Il matrimonio religioso con effetti civili. Principi comuni a Concordato e Intese. Nel periodo separatista si è dato vita al matrimonio civile, che è un istituto giuridico fruibile da tutti cittadini, e si è voluto introdurre il sistema della doppia celebrazione, quella religiosa, priva di rilevanza civile e quella civile, obbligatoria per tutti. L'Italia ha conosciuto tre discipline dell'istituto matrimoniale: -La disciplina separatista ha introdotto con il codice del 1865 la celebrazione civile del matrimonio, rendendo irrilevante il matrimonio canonico. -La legislazione ecclesiastica del 1929 ha nuovamente consentito il riconoscimento del matrimonio cattolico e, con la legge sui culti ammessi, dei matrimoni celebrati con altri diritti. -La disciplina del 1984, pur mantenendo alcuni privilegi per il matrimonio concordatario, ne ha ridotto l'incidenza. Ciascuno è libero di celebrare il matrimonio in qualsiasi forma religiosa, senza chiedere per esso il riconoscimento degli effetti civili. Le confessioni religiose però non consentono ai propri fedeli di celebrare un matrimonio che non sia destinato ad ottenere effetti civili. Per la celebrazione del matrimonio civile, lo Stato non richiede che le parti appartengano alla confessione nel cui ambito sarà celebrato il matrimonio. Sarà il ministro di culto interessato a richiedere questo requisito, per almeno una delle parti. La cessazione degli effetti civili del matrimonio religioso celebrato, si ha con il divorzio. Il matrimonio religioso ottiene gli effetti civili con la trascrizione nel registro dello Stato civile. - Che nel procedimento davanti al tribunale ecclesiastico era stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano. - Che ricorrevano le altre condizioni richieste dalla legislazione italiana, per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere. Infine, sempre per l'articolo 8 del Concordato, la Corte d'appello, nella sentenza che rendeva esecutiva la sentenza canonica, poteva emanare provvedimenti economici provvisori a favore di uno dei due coniugi, il cui matrimonio era stato dichiarato nullo, rimandando le parti al giudice competente per la decisione sulla materia. Sorgeva il dubbio se, con la nuova disciplina concordataria, era venuta meno la riserva di giurisdizione a favore dei tribunali ecclesiastici, e che dunque era possibile adire anche ai tribunali civili, per la dichiarazione di nullità del matrimonio celebrato in forma religiosa cattolica. La controversia dottrinale è stata risolta dalla Cassazione, che ha recepito gli argomenti di quanti sono favorevoli alla doppia concorrente giurisdizione, canonica e civile. Parte della dottrina è incorsa in un grosso equivoco, sostenendo che il giudice italiano, nel valutare le questioni di nullità dei matrimoni concordatari, doveva applicare nel giudizio le norme sostanziali di diritto canonico, anziché quelle desumibili dal codice civile. E’ una tesi che però viene respinta, in quanto non soltanto nel Concordato del 1984 non c’era nessuna norma che ammetteva questa possibilità, ma anche perché era la stessa laicità dello Stato che impediva al giudice civile di sostituirsi al giudice canonico. Per quanto riguarda gli accertamenti cui dovevano essere sottoposte le sentenze ecclesiastiche, la Corte costituzionale e la Corte di cassazione hanno stabilito che il primo accertamento che doveva farsi era se veniva rispettato il diritto di agire e resistere in giudizio delle parti, conformemente ai principi fondamentali dell'ordinamento. Dunque il giudice italiano poteva valutare l'intero procedimento canonico, ma soltanto per individuare concrete, specifiche e gravi violazioni del diritto di difesa e per accertare che le parti avevano avuto la possibilità di provvedere alla propria difesa davanti al giudice competente. Per quanto riguarda le singole cause di nullità, distinguiamo la simulazione totale, delineata dal codice civile, dalla simulazione parziale, prevista dall'ordinamento canonico. Si parla di simulazione totale quando si esclude il matrimonio nella sua totalità. Si parla di simulazione parziale quando viene accettato il matrimonio nel suo complesso, ma viene escluso uno degli elementi essenziali del matrimonio (bonum prolis, bonus sacramenti, bonum fidei): L’esclusione della prole: attiene alla volontà di non procreare figli nel corso del matrimonio in maniera assoluta e senza limiti di tempo; L’esclusione dei sacramenti del matrimonio: Il legislatore italiano ha inteso conservare il principio dell'indissolubilità consensuale del matrimonio e ha voluto escludere ogni possibilità per gli sposi di predeterminare la durata o di sciogliere il vincolo con il loro mutuo consenso. Esclusione dell’unità – fedeltà: si verifica quando si esclude la fedeltà, cioè l’esclusività della donazione di sé stessi all’altro coniuge, riservandosi la possibilità di intrattenere relazioni sessuali con altre persone. La differenza tra le due simulazioni, non è ritenuta ostativa per l'esecutività delle sentenze ecclesiastiche. La Cassazione, invece, ha negato l'esecutività delle sentenze ecclesiastiche nel caso di riserva mentale, da parte di uno dei due coniugi, senza che l’altro ne fosse a conoscenza, cioè in caso di esclusione di fedeltà. Per quanto riguarda il rapporto tra la sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale e una precedente sentenza di divorzio, alcuni negano che possa essere delibata una sentenza canonica di nullità quando il matrimonio tra parti sia stato sciolto per divorzio, mentre per altri la sentenza di nullità travolge in ogni caso la sentenza di divorzio, perché l’azione di invalidità è volta a far annullare il matrimonio per una causa che incide sul negozio, mentre l’azione di divorzio è volta allo scioglimento del vincolo coniugale per una causa che ritiene intollerabile la continuazione. L’Unione degli atei e degli agnostici razionalisti (UAAR) aveva proposto ricorso al TAR Lazio, chiedendo l’annullamento della delibera del Consiglio dei ministri, la quale aveva deciso di non avviare le trattative finalizzate alla conclusione dell’intesa, ritenendo che la professione di ateismo non potesse essere assimilata ad una confessione religiosa. Il TAR Lazio dichiarava inammissibile il ricorso per difetto assoluto di giurisdizione, ritenendo che la determinazione impugnata avesse natura di atto politico non sindacabile.