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Diritto industriale Professor Sironi - UNICATT - Prima parte, Appunti di Diritto Industriale

Appunti delle lezioni del professor Giulio Sironi per il primo parziale di diritto industriale.

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 03/01/2019

ilaria.romani
ilaria.romani 🇮🇹

4.6

(8)

10 documenti

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Scarica Diritto industriale Professor Sironi - UNICATT - Prima parte e più Appunti in PDF di Diritto Industriale solo su Docsity! DIRITTO INDUSTRIALE Lezione 27.02 PROGRAMMA: 1. Proprietà intellettuale interna all’impresa: legislazione relativa all’impresa nel suo momento operativo. Si parla di ricerca tecnica, di innovazione, di uno strumento di competizione derivante da innovazione. Si hanno i brevetti, i diritti d’autore tra cui software (protetto principalmente con diritto d’autore e non brevetti) e le banche dati. 2. Aspetti esterni: l’impresa nel suo operare sul mercato e nei rapporti con i consumatori. Si parla di marchio, di brand dal punto di vista giuridico e il design. Si parla anche di regole di concorrenza sul mercato (concorrenza sleale). La concorrenza ha naturalmente effetti negativi (qualcuno si avvantaggia, qualcuno è svantaggiato) tuttavia bisogna “giocare” con regole corrette (fairplay). Il diritto industriale fa pensare alla legislazione che regola le attività industriali ma così non è. Questa espressioni ha ragioni storiche. Nella terminologia internazionale questa materia viene identificata con un’espressione diversa e più adeguata ovvero intellectual property. “Proprietà intellettuale” significa proprietà su frutti dell’intelletto umano. Si parla della disciplina di creazioni che servono a qualcosa, che danno dei vantaggi e sono frutto dell’attività innovativa di chi ha creato questi elementi. Le creazioni, frutto dell’intelletto, non sono tutte le creazioni, le innovazioni che possono esserci ma sono specificamente quelle che hanno un ruolo nell’attività di impresa. La proprietà intellettuale è quella branca del diritto che disciplina le innovazioni, creazioni e strumenti di comunicazione che servono all’imprenditore per fare concorrenza, andare sul mercato, ottenere una quota di mercato e concorrere. Queste creazioni e innovazioni sono uno smartphone, un tablet, delle scarpe, un automobile, un motorino, una penna. Questi elementi hanno rilevanza economica. Ogni volta che si vede un marchio si entra in contatto con un segno distintivo. Se non ci fossero le regole del diritto industriale molti di questi oggetti non esisterebbero perché non avrebbero protezione contro le imitazioni quindi agli imprenditori non converrebbe investire in innovazioni. Quando si studiano argomenti come l’innovazione interna, l’innovazione come strumento per la concorrenze, l’innovazione come asset aziendale, si studiano cose che esistono e hanno protezione nella legge grazie al diritto industriale. Questo è proprio una protezione a livello di legge di elementi che permettono all’impresa di crescere, di competere, di avere un avviamento. La legge offre questa protezione creando, paradossalmente, situazioni di monopolio. Se si riflette non si parla più di paradosso ma di regola di efficienza che richiede un bilanciamento, un equilibrio delle regole di buon senso. Perché creare delle esclusive? Ciò che si vuole proteggere non è un bene materiale propriamente oggetto di un possesso. Per i beni materiali tangibili la prima forma di protezione, di tutela è il possesso (es. recinto, tenere con se un libro). Con i beni immateriali il possesso non è una tutela, non vi sono strumenti di autotutela. Si istituiscono per legge dei monopoli, delle esclusive. Chi compie una certa attività meritevole, riceve un’esclusiva. È la legge che spiega che se tutelata, nessuno può copiare l’idea. Se viene copiata ci saranno sanzioni come l’inibitoria cioè l’ordine con cui il giudice vieta ad terzo di continuare nella sua attività e il risarcimento dei danni. Il terzo inoltre può essere spogliato di tutti gli utili derivanti dall’attività illecita che verranno dati al proprietario del diritto. In relazione a beni non tutelabili in modo fisico interviene la legge mediante il legislatore. Chi interferisce con questa esclusiva ne paga le conseguenze con risarcimento danni, risarcimento utili e blocco dell’attività. Questo è un diritto che consiste nella regolamentazione di esclusive, aree riservate in esclusiva dal titolare del diritto. Proprietà di diritto privato: si intende una proprietà su un bene materiale (diritto reale su una cosa) Proprietà intellettuale: diritto soggettivo assoluto di esclusiva che si declina nel diritto di impedire a terzi di tenere certe attività che impediscono l’esclusiva. “Intellettuale” nel senso che gli oggetti protetti derivano dall’esercizio di un ingegno, d’intelletto. Si parla anche di proprietà dello spirito (creativo). Si intendono tutte le branche di questo diritto (marchi, brevetti, ecc). Proprietà industriale: si intende tutte le branche di questo diritto meno il diritto d’autore. Il codice prende il nome di “Codice della proprietà industriale” in quanto non è presente il diritto d’autore nella nostra legislazione. Il filo conduttore è la creazione di esclusive su creazione di innovazioni. Il paradosso prima citato è solo apparente in quanto in realtà si tratta di monopoli che hanno una forte valenza pro- concorrenziale. Si tratta di monopoli senza i quali non ci sarebbe ricerca e una miriade di beni utili per i consumatori. Si parla di monopoli virtuosi in un’ottica di libero mercato che devono essere maneggiati con cura, con attenzione. Questo perché se la ragione dell’esistenza di questi monopoli è pro-concorrenziale, è necessario che questi siano costruiti in modo da non andare oltre lo scopo. Se il monopolio fosse troppo esteso ci sarebbe una over-protezione non giustificata che possono avere effetti negativi. La materia deve tracciare dei confini dei monopoli in un modo che persegua gli interessi che il legislatore vuole perseguire come l’efficienza di mercato. Con gli interessi del titolare possono entrare in conflitto con interessi di terzi. Anche qui è necessario bilanciare correttamente gli interessi delle parti stabilendo dei confini. Esempio: Brevetto su principio attivo di un farmaco. Questo non è adatto ad un dato paziente perché provoca effetti collaterali. Se ci fosse diritto di esclusiva il paziente non potrebbe curarsi con il farmaco. In questo caso la legislazione riguardo ai brevetti permette la possibilità di far creare ad un terzo il farmaco adatto al suo fisico e al suo metabolismo. Questo è un adatto bilanciamento. Esempio: Internet e fake. A volte per stoppare un’attività contraffatta bisogna oscurare un intero sito. Questo è giusto o esagerato? Il mondo di internet crea una serie di sfide e impone di pensare se certe attività possono essere permesse o meno. • Si identificano le entità che possono essere protette secondo la proprietà intellettuale • Si esaminano i requisiti di validità: le entità candidate ad essere oggetto di protezione effettivamente meritano la protezione perché sono funzionali a conseguire le finalità previste dal legislatore (originalità e altezza inventiva). L’accesso alla protezione presuppone che si tratti qualcosa che la legge abilita ad essere protetto e che effettivamente presenti i requisiti necessari. I monopoli si giustificano se hanno un effetto utile. • Si definisce l’ambito di esclusiva: stabilire fino a che punto si estende l’esclusiva del titolare ovvero quali attività possono essere vietate ai terzi (sfera di attività riservate). Si devono fissare dei confini e le libere utilizzazioni (attività che non possono essere vietate ai terzi). • Si definiscono le cause di nullità e decadenza ovvero i motivi per cui le esclusive vengono meno per vizi originari che non consentano l’esclusiva Brevetti Esclusiva su un’innovazione di tipo tecnico cioè nel campo della tecnica si crea un qualcosa di nuovo e originale. Il brevetto non è solo una tutela dell’interesse del titolare ma sul piano del beneficio della collettività è uno stimolo di progresso tecnico. Bentham cita: “la finalità di fondo del brevetto è quella di permettere anzitutto all’imprenditore di raccogliere i frutti del suo lavoro e di impedire ad altri di mietere un campo che non hanno seminato e coltivato”. L’imprenditore che innova deve essere sicuro che ciò che ha seminato possa essere coltivato e mietuto e che questo sia impedito ai terzi. Questo è necessario nello stesso modo in cui è necessario impedire ai beni aziendale di essere oggetto di furti. Se non ci fosse la protezione delle leggi, chiunque dovesse innovare sarebbe espulso dal mercato dal suo concorrente che senza spese sarebbe in grado di imitare l’innovazione e privare l’innovatore di tutti i suoi passaggi. Questo non è solo a scapito di ciò la legge consente un monopolio ventennale all’innovatore. Le innovazioni di tipo tecnologico non sono proteggibili solo con i brevetti ma anche con la disciplina del segreto e delle informazioni riservate. L’ordinamento da una scelta all’inventore rispetto a uno dei due regimi. Quest’ultimo è un regime più incerto: se il segreto viene divulgato, la tutela viene persa e inoltre la tutela del segreto non opera contro i cosiddetti incontri fortuiti o conseguimenti indipendenti. Queste sono due espressioni che alludono al caso in cui un terzo arriva autonomamente alla stessa innovazione. Il regime del segreto protegge contro chi copia l’informazione segreta ma non lo protegge contro chi arriva alla stessa conoscenza con le proprie forze. La tutela brevettuale è più forte, più intensa. Bisogna individuare quali entità possono essere oggetto di brevetto. Le fonti del diritto (in quali corpi normativi ci sono le regole che disciplinano un certo settore) presentano tre livello di norme: • Norme nazionali (Stato sovrano) • Norme comunitarie (UE): regolamenti e direttive • Norme internazionali: norme contenute in convezioni o trattati internazionali multilaterali stipulati da diversi Stati Per quanto riguarda l’Italia questi tre livelli si sono uniformati, si sono allineati pertanto si prendono come riferimento le norme italiane. La legislazione italiana si trova in un corpo normativo che è chiamato codice della proprietà industriale. Questo è stato emanato nel 2005 ma raccoglie una legislazione anteriore. Di fatto, le prime leggi in questa materia risalgono alla seconda metà dell’800. È un codice relativamente giovane ma che ha alle spalle più di un secolo di legislazione e tradizione giuridica. Il codice è il decreto legislativo n. 30 del 2005. La disciplina dei brevetti si trova dall’articolo 45 all’articolo 81. A livello di UE esiste ma non è ancora a regime un regolamento sull’istituzione di un brevetto unitario sovranazionale che sarà valido per tutti gli Stati membri nel momento in cui entrerà in vigore. A livello internazionale ci sono una serie di convenzioni di cui: • Convenzione di Unione di Parigi (CUP): prima grande convenzione multilaterale che risale originariamente al 1883 e successivamente aggiornata • Trattato di Cooperazione in materia di brevetti o Trattato PCT (1970) • Accordi TRIPS (1994): accordo dedicato alla proprietà intellettuale • Convenzione di Monaco (1973): è in linea con questi altri accordi e ha costituito la base dell’attuale disciplina dei brevetti in Europa e quindi anche in Italia Articolo 45 – Questo articolo definisce le entità brevettabili mediante una formula generale e poi definisce un puntiglioso elenco di entità non brevettabili La parola “oggetto” ha due significati: • Quali sono le entità brevettabili • Perimetro dell’esclusiva (cosa è protetto, è riservato) Comma 1. “Possono costituire oggetto di brevetto le invenzioni di ogni settore della tecnica, a condizione che siano nuove, implichino un’attività inventiva e siano atte ad avere un’applicazione industriale.” Questa che è una norma programmatica va divisa concettualmente in due parti (divise dalla virgola). La prima fase riguarda le entità brevettabili. La seconda parte è una sintesi dei requisiti di validità. I requisiti di validità sono novità, invenzione industriale o industrialità e liceità. Cosa può essere brevettato? La legge dice semplicemente che possono essere brevettate le invenzioni di ogni settore della tecnica. Il problema di questa definizione è che è una definizione “non definizione” perché la legge non esplicita cosa sono le innovazioni. L’interprete deve capirlo utilizzando il frammento normativo “settore della tecnica”. Questo è necessario per circoscrivere la materia. Solo le innovazioni di carattere tecnico possono ambire alla tutela brevettuale. Le creazione di altro tipo non hanno carattere tecnico pertanto non possono essere oggetto di brevetto. Questo sono le creazioni di tipo estetico e di tipo commerciale (di marketing). Esiste di fatto una definizione comunemente accettata di invenzione come “soluzione originale di un problema tecnico”. Il punto è questo: bisogna collocarsi in un ambito tecnico. La convenzione di Monaco ha istituito un meccanismo per cui esiste un ufficio che ha il compito di rilasciare i c.d. brevetti europei ovvero brevetti che non vengono rilasciati su base nazionale ma rilasciati con una procedura unica che mettono capo ad una serie di brevetti validi negli Stati aderenti alla convenzione. Una caratteristica è quella di fare un esame preliminare di validità. Questo ufficio, quindi, valuta se l’entità rientra nella tipologia brevettabile e se possiede i requisiti di validità. Utilizza direttive che indicano una interpretazione delle norme. Queste guide-line sono una sorte di manuale pratico operativo del diritto dei brevetti. Le norme in vigore non definiscono cosa è un’invenzione. il fatto che le guide-line indicano che l’invenzione stessa deve considerarsi in campo tecnico permette di escludere, dall’ambito di applicazione dell’articolo 45 in Italia, l’articolo 52 della Convenzione di Monaco a livello europeo, tutte le innovazioni e creazioni di carattere non tecnico. Tra queste ultime si menzionano le innovazioni estetiche, le innovazioni commerciale e le presentazioni di informazioni (banche dati). Va tenuta presente una distinzione fra: • Brevetti di prodotto: l’invenzione si incorpora in un bene tangibile (es. dispositivo che risolve un problema di attrito in un macchinario o farmaco) • Brevetti di procedimento: relativo ad un processo per fare qualcosa, in particolare si hanno procedimenti di fabbricazione o di lavorazione Questa classificazione ha un risvolto pratico ed esistono regole differenti riguardo alla tutela. Ci possono essere dei casi in cui prodotto e procedimento tendono a sovrapporsi come nel caso di particolari macchinari. Si hanno i brevetti di nuovo uso ovvero un nuovo modo di utilizzare un prodotto già noto con la precisazione che si individua un uso ulteriore. Si ha già un prodotto che risolve il problema ma in un secondo momento un terzo scopre che lo stesso prodotto può risolvere anche un altro problema. Questo è importante soprattutto nel campo farmaceutico in cui succede spesso che venga individuato un certo composto e si scopre che questo ha una data efficacia terapeutica e poi si scopre che lo stesso composto presenta un’ulteriore e diversa efficacia terapeutica. È una categoria importante per il suo rilievo economico (può avere un valore maggiore rispetto al primo uso) ma pongono una serie di problemi: si hanno due brevetti su uno stesso prodotto. Se non ci fosse questo tipo di brevetto di nuovo uso si rischierebbe di deprimere e scoraggiare tutto il campo della ricerca che è molto importante. Inoltre si rischia che il primo brevetto sia un brevetto di sbarramento. Si incentiva la ricerca di secondo stadio. Questo è ciò che dice in senso positivo la legge. Il legislatore, successivamente, esemplifica in negativo una serie di ipotesi con cui si ha a che fare con entità non brevettabili che possono essere distinte in due categorie: • Entità non considerate invenzioni • Entità che sarebbero invenzioni collocabili nel mondo della tecnica ma per ragioni di tutela di altri interessi si sottraggono al novero delle innovazioni brevettabili Per quanto riguarda le entità non considerate invenzioni: Articolo 45 comma 2. “Non sono considerate come invenzioni ai sensi del comma 1 in particolare: a) le scoperte (scoprire qualcosa di esistente in natura), le teorie scientifiche (formula di un fenomeno fisico e naturale) e i metodi matematici (formula matematica); In cosa questi elementi sono diverse dalle invenzioni? Non sono una soluzione di un problema tecnico ma si ha una ricognizione di elementi già esistenti. Se si inventasse una nuova lega di metallo che prima non esisteva che presenta una particolare robustezza, questa è un’invenzione in quanto è una soluzione di un problema tecnico. Se invece si scoprisse un minerale, presente in natura e non ancora oggetto di conoscenza si avrebbe una scoperta e non un’invenzione. Vediamo ora uno scenario intermedio: il ricercatore scopre in natura il minerale e oltre a scoprirlo capisce che questo può risolvere il problema della scarsa resistenza. Quindi si impiega il materiale scoperto in natura per risolvere un problema. Da una parte si ha una scoperta ma dall’altra si individua anche un’applicazione utile. La scoperta del minerale con l’aggiunta della conoscenza deve essere considerata brevettabile o meno? Queste sono delle scoperte-invenzioni ovvero delle invenzioni che si innestano su scoperte già esistenti in natura. Questa attività è meritevole di essere incentivata. Ci sono settori in cui questo fenomeno è molto rilevante (es. campo delle biotecnologie). È necessario giungere ad un risultato utile. Il legislatore ha permesso la brevettabilità di queste scoperte-invenzioni ma l’ha fatto in modo particolare. Dopo aver esplicitato nel comma 2 che quelle elencate non sono invenzioni, definisce nel comma 3 che le entità del comma 2 non sono brevettabili se considerate “in quanto tali”. Una scoperta è “in quanto tale” è una scoperta pura ovvero la nuova conoscenza di qualcosa di ignoto. Se a questa si aggiunge un’applicazione industriale non si ha più una scoperta “in quanto tale” ma si è aggiunta un’utilità tecnica. Diventano brevettabili quando la loro utilità si concretizza nella soluzione ad un problema. Così come per la scoperta la stessa cosa vale per le teorie scientifiche e i metodi matematici. Le guide-line dell’ufficio europeo esplicitano degli esempi per consentire una migliore applicazione. Ad esempio, il diritto europeo, porta questi esempi: la scoperta che un certo materiale è particolarmente resistente a shock meccanici non è brevettabile ma è una mera scoperta. Allo stesso modo scoprire una sostanza ignota esistente in natura è una mera scoperta e come tale non brevettabile. Se a queste conoscenze si aggiunge un effetto tecnico allora diventano brevettabili. Così dice l’ufficio europeo “la scoperta del materiale resistente allo shock diventa brevettabile se viene, ad esempio, utilizzata per costruire blocchi o respingenti per i binari dei treni”. Il materiale quindi assumono un’applicazione pratica e utile. Allo stesso modo un mero algoritmo matematico non è brevettabile ma se questo viene utilizzato per codificare e decodificare dei messaggi radio diventa brevettabile. Le stesse cose valgono per le altre entità considerate per il secondo comma. b) i piani, i principi ed i metodi per attività intellettuali, per gioco o per attività commerciale (marketing e idee strategiche) ed i programmi di elaboratore (software); Possono avere altri strumenti di tutela (come il segreto del knowhow) ma non possono essere brevettabili. Le ragioni per cui il software è incluso in questo elenco di esclusioni sono storiche e di tipo politico (lobby). Il fatto è che quando si era cominciato a porre il problema della tutelabilità del software (anni ‘50/’60), l’idea di dare una protezione esclusiva al software aveva incontrato molte resistenze. Da una parte si pensava che gli uffici non fossero in grado di dare una brevettazione adeguata al software e dall’altra si pensava che la tutela esclusiva avrebbe intralciato la commercializzazione di computer. Sia nella convenzione di Monaco sia nelle legge italiana il software è escluso da brevettazione. Dalla metà degli anni ’80 il clima è cambiato e l’esigenza di tutela del software è sentita. Si è creata una situazione paradossale: si è capito che il software era bisognoso di protezione ma tuttavia ci si scontrava con una legislazione brevettuale. È uno di quei casi in cui la legge rimane uguale ma invecchia e contrasta le esigenze di mercato. Ci si è girato attorno al divieto: • Si è data una protezione al software con un corpo di norme diverso dai brevetti ma nell’ambito del diritto d’autore • All’interno della disciplina dei brevetti viene utilizzata una norma che è l’articolo 45 al terzo comma (“in quanto tali”). Se il software risolve un problema tecnico, ha un applicazione tecnica e quindi è brevettabile. b-bis) le varieta' vegetali iscritte nell'Anagrafe nazionale della biodiversita' di interesse agricolo e alimentare nonche' le varieta' dalle quali derivano produzioni contraddistinte dai marchi di denominazione di origine protetta, di indicazione geografica protetta o di specialita' tradizionali garantite e da cui derivano i prodotti agroalimentari tradizionali; I primi quattro requisiti (industrialità, novità, originalità e liceità) sono caratteristiche proprie interne e strutturali dell’invenzione. La seconda riguarda il documento e il modo in cui viene scritta la domanda di brevetto. Questo riguarda il modo in cui l’innovatore descrive e spiega l’innovazione. Non è un requisito intrinseco ma è una condizioni ulteriore di validità. Industrialità Le cause in cui si discute di industrialità non sono molte (a differenza di novità e originalità). L’articolo 49 del c.p.i. dice che un’invenzione per essere valida deve essere atta ad avere un’applicazione industriale se il suo oggetto può essere fabbricato o utilizzato in qualsiasi genere di industria, anche quella agricola. L’oggetto di questa invenzione per avere applicazione industriale deve essere fabbricato o utilizzato. Quando si parla di “in qualsiasi genere di industria” ci riferisce al fatto che non si vuole attribuire questo requisito strettamente ad attività industriale ma ci si riferisce anche ad altri campi come artigianale e agricolo. Viceversa, il concetto di industrialità coincide con i termini “fabbricato” o “utilizzato”. Il primo si riferisce alle invenzioni di prodotto mentre il secondo al procedimento. Questo significa che seguendo gli insegnamenti del brevetto è possibile mettere in opera l’invenzione, mettere in opera il prodotto o il procedimento con caratteristiche costanti. Significa che l’invenzione deve poter funzionare. Il concetto di industrialità, come chiarito da una serie di sentenze, concerne la possibilità di concreta attuazione dell’idea inventiva con caratteristiche costanti o riguarda un trovato tecnicamente realizzabile o riproducibile con caratteri costanti. Se si giunge al risultato in modo assolutamente casuale o impossibile da raggiungere in base alle leggi in natura (moto perpetuo) non si parla di industrialità. La corte d’appello di Milano affronta il problema dell’industrialità riferito ad un procedimento per confezionare un prodotto evitando che il prodotto si ossidasse a contatto con l’aria. Il meccanismo tradizionale per questa operazione era avvolgere il prodotto in un liquido che evitava il contatto con l’aria. Il brevetto diceva che si poteva raggiungere lo stesso risultato modificando l’atmosfera all’interno della scatola e poi sigillando la scatola. Tuttavia l’atmosfera modificata era composta in modo tale per cui in ogni caso avrebbe ossidato il prodotto. È un caso in cui si pone il problema di industrialità. Al riguardo l’ufficio europeo dei brevetti nelle sue direttive dice che per esserci industrialità l’invenzione deve svolgere una funzione tecnica e, in particolare, prodotti o procedimenti contrari alle leggi della fisica non sono dotati di industrialità. Per avere industrialità è sufficiente e necessario che il trovato funzioni. Non è necessario che il trovato sia più utile delle conoscenze già esistenti. “Industrialità” infatti non coincide con l’”utilità” nel senso di utilità comparativa rispetto alle esigenze già esistenti. Tuttavia se “utilità” coincide con il funzionamento dell’invenzione allora si parla di industrialità. Spesso, si hanno delle invenzioni “apri pista” ovvero pioniere in un certo settore. Può darsi che la prima manifestazione abbia già in sé caratteristiche di originalità ma che debba essere perfezionata. La prima invenzione non è più utile ma il brevetto ha il compito di incentivare l’innovazione. Studiando la storia della tecnica nel campo dei trasporti è emerso che i primi brevetti relativi ai motori a scoppio riguardavano trovati che all’epoca erano meno prestanti di una carrozza trainata dai cavalli. Tuttavia quest’invenzione ha concesso un grande progresso tecnologico. Può darsi che l’invenzione “apri pista” serva a progredire molto. L’industrialità inoltre non coincide con la materialità dell’invenzione. Non è necessario che l’invenzione sia tangibile. Nel caso di una scoperta-invezione si può avere una legge della fisica che consenta di effettuare dei controlli di funzionamento industriale. Qui non si ha nessuna materialità. Quindi non è necessario che il brevetto riguardi un prodotto o un procedimento che metta in atto un prodotto. Riguardo alla costanza delle caratteristiche va detto che “caratteristiche costanti” può avere significati diversi a seconda del settore della tecnica a cui si applica. Se l’invenzione ha ad oggetto una serratura, il brevetto porterà allo stesso identico prodotto. Quindi in questo caso “caratteristica costante” significa identità. In altri settori può non essere così: l’oggetto a cui si arriva non è sempre identico ma presenta mutazioni. Un esempio può essere il brevetto sul virus o su materiale biologico. Il requisito dell’industrialità, in questo caso, non può essere inteso come esatta identità ma ci possono essere differenze tra un prodotto e l’altro. In questo caso l’industrialità va adattata. La “costanza di carattere” consiste nell’uguaglianza dei caratteri fondamentali del processo che porta al risultato finale anche se c’è una quota di mutazioni da ritenere tollerabili. Il requisito quindi deve essere adattato a seconda del settore. Novità Il concetto di “novità” porta a pensare a una cosa diversa da ciò che esiste già. Il senso di questo requisito vuol dire fare una scrematura di questo tipo: c’è un entità che si vuole brevettare, si verifica che sia brevettabile, si verifica che sia industriale e successivamente si valuta il requisito della novità. “Nuovo” rispetto a cosa? In quale territorio? Rispetto a quali tipi di cose anteriori (quelle conosciute da tutti o solo da alcuni)? Una volta definito il concetto di novità come diversità da ciò che esiste, sono necessarie comunque delle ulteriori scelte legislative. La novità è definita dal primo comma dell’articolo 46: “l’invenzione è nuova se non è compresa nello stato della tecnica”. Per capire il senso di questa norma bisogna prima capire a che cosa si riferisce il legislatore con “stato della tecnica”. Questo è un concetto centrale e fondamentale. Quest’espressione in inglese si dice “prior art” ovvero conoscenze anteriori al brevetto. La legge cita qualche nozione per definire “stato della tecnica”. Questo è formato da tutte le conoscenze rese accessibili al pubblico in qualsiasi modo, in Italia o all’estero, prima del deposito della domanda di brevetto. Le “conoscenze tecniche” comprendono tutte le conoscenze ovvero tutte le informazioni, i dati, le esperienze di carattere tecnico. La norma esplicita che queste devono essere accessibili al pubblico e poi il come, il dove e il quando. Solo individuando lo stato della tecnica si può capire se l’invenzione è dentro o fuori. Il concetto di accessibilità è importante e va tenuto distinto dal concetto di noto, conosciuto. Questo significa che tutto ciò che è accessibile al pubblico fa parte dello stato della tecnica anche se la conoscenza non è nota. Esempio è quello di una pubblicazione accessibile al pubblico in una biblioteca che nessuno ha mai letto. Questa conoscenza fa parte dello stato della tecnica perché non è nota ma chiunque potrebbe leggerla e quindi potrebbe averne accesso. Questo concetto si contrappone non a sconosciuto ma a segreto. Non è accessibile ciò che è segreto perché il pubblico non ha accesso a tale conoscenza. Non è un’eventualità remota quella della conoscenza accessibile ma dimenticata. Un esempio tipico è quello di brevetti anteriori nazionali di Paesi che non vengono presi in considerazione ma nel momento in cui si deve valutare la novità bisogna cercare negli uffici brevetti in tutto il mondo e quindi potrebbe darsi che ci sia anteriorità. Inoltre lo stato della tecnica si valuta riguardo a tutto il mondo per evitare un doppio brevetto. La legge poi esplicita “in qualsiasi modo” precisando che “una conoscenza può diventare accessibile mediante una descrizione scritta od orale, una utilizzazione o un qualsiasi altro mezzo”. La conoscenza viene pubblicata o esposta in un testo (scritto). Anche l’informazione comunicata a voce entra a far parte dello stato della tecnica (orale). In materia di divulgazione orali è necessario che questa sia fatta a qualcuno in grado di comprenderla, di farla propria e di diffonderla. Se si tratta di un testo scritto un esperto nel mondo in grado di capire l’informazione è presente. Nel caso di una dichiarazione orale non sempre è presente accessibilità perché l’innovazione può non essere compresa senza adeguate conoscenze. Nel concetto di accessibilità al pubblico nel caso di divulgazioni orali è necessaria la comprensibilità di chi ascolta. Infine la legge esplicita che una conoscenza può diventare accessibile anche semplicemente utilizzando l’invenzione. Immaginiamo che l’invenzione riguardi il meccanismo del motore di un automobile: questo viene fabbricato, montato sulla carrozzeria, l’auto viene venduta e circola. Un terzo (tecnico) smonta il motore, lo analizza e individua l’informazione di un’innovazione in base alla quale il motore è stato costruito. È uno dei casi in cui l’inventore non ha scritto e divulgato l’informazione dell’invenzione ma ha venduto il prodotto in cui l’informazione è incorporata e l’utilizzazione del prodotto rende l’informazione accessibile. È il fenomeno del reverse engineering (ingegneria rovesciata) ovvero si parte dal prodotto finito e si smonta per capire come è fatto. La giurisprudenza è ricca di esempi di questo tipo: inviare un campione di prodotto a possibili clienti che capiscono che cosa si tratta fa rientrare il prodotto nello stato della tecnica oppure esporre di un prodotto ad una fiera di settore. Questo è il concetto di stato della tecnica. Questo accresce in ogni momento. Poiché questo non è un concetto statico ma dinamico è necessario definire una data, un momento preciso di inizio. La legge deve dirci quando bisogna fare il confronto. La data di rilievo è il deposito della domanda di brevetto. Quando si vuole stabilire se l’invenzione è nuova, la data rilevante è il deposito della domanda per avere la protezione. Lo stato della tecnica esistente fino al giorno prima del deposito viene preso in considerazione mentre i giorni successivi non vengono considerati. Nel caso in cui l’inventore divulghi (anche solo oralmente) la sua invenzione e questa viene diffusa prima che sia stata fatta la domanda di brevetto si ha il fenomeno della predivulgazione: l’innovatore comunica, rende accessibile la conoscenza prima della domanda del brevetto e quindi di conseguenza il brevetto è nullo perché l’informazione fa già parte dello stato della tecnica. C’è stato un caso in cui un esperto, ingaggiato da una società farmaceutica, ha trovato un principio attivo rivoluzionario e pochi giorni prima che la società depositasse la domanda di brevetto è andato ad un congresso in Olanda e ha proiettato una slide con la formula del principio attivo. Si ha un caso di pre-divulgazione o “smoking gun” e quindi si ha un brevetto nullo. Per il giudizio di novità, proprio perché la legge vuole il più possibile evitare un doppia brevettazione, esiste una regola per cui alcune particolari cose anteriori si reputano incluse nello stato della tecnica anche se fattualmente non sono ancora accessibili. La procedura di brevettazione prevede una prima fase di 18 mesi in cui la domanda di brevetto è segreta. A seguito di questi 18 mesi la domanda diventa accessibile. È possibile, tuttavia, che succeda che venga depositata una domanda di brevetto e un altro soggetto depositi (es. 5 mesi dopo) un’altra domanda esattamente sulla stessa cosa. Se si applicasse la regola generale si potrebbe dire che la seconda domanda è nuova ma si arriverebbe a una situazione di doppia brevettazione. Per limitare queste ipotesi si prevede che si considerano nello stato della tecnica anche le domande di brevetto ancora segrete che in sé non sarebbero accessibili. Bisogna considerare due importanti elementi: • Se si tratta di domande di brevetto ancora segrete non vale la regola della portata mondiale. Le anteriorità ovvero le domande già pubblicate riguardano tutto il mondo mentre il caso delle domande segreto riguarda solo il caso in cui si tratti di brevetto italiano. • Questa estensione dello stato della tecnica alle domande segrete riguarda solo la valutazione della novità e non degli altri requisiti (in particolare l’originalità). Lo stato della tecnica è più ristretto in quanto si considera solo ciò che è fattualmente esistente. La legge, per quanto riguarda la novità, dice che: “l’invenzione è nuova se non è compresa nello stato della tecnica”. “Non è compreso” viene inteso nel senso di identità cioè vuol dire che il trovato che si vuole brevettare è diverso da tutte le anteriorità e le conoscenze esistenti nello stato della tecnica. L’anteriorità si valuta mediante un giudizio uno a uno: si deve confrontare il trovato che si vuole brevettare con tutte le anteriorità rilevanti ciascuna in sé considerata (separatamente A, B e C). Non si può fare un confronto “a mosaico” (combinando A, B e C). Questo confronto viene utilizzato nel caso della valutazione di originalità. Cosa vuol dire “identità”? questo concetto significa che una cosa è uguale ad un'altra. Tuttavia in questo ambito di diritto industriale e in particolare di brevetti si ha una distinzione: • Identità fotografica (tribunali italiani): uguaglianza al 100%, anteriorità assolutamente sovrapponibile • Identità sostanziale (ufficio europeo brevetti): nozione più ampia nel senso che la novità si può considerare identica anche quando non menzione alcune caratteristiche del trovato che si vuole brevettare ma queste sono implicite (implicit feature o mitlesen). Sono caratteristiche che è come se ci fossero perché per un tecnico o per un esperto di settore è chiaro che ci devono essere. Esempio è quella di un’anteriorità che descrive un meccanismo senza specificare che il meccanismo sia unito da viti e bulloni. In senso fotografico non è identico ma in senso sostanziale è identico. L’ufficio europeo nelle guideline definisce il concetto di identità sostanziale in questo modo: le “implicit feature” sono tutte le caratteristiche che il tecnico medio ricava in modo diretto, immediato e non ambiguo dall’esame dell’anteriorità. Le esperto. Nel caso di poli-settorialità quindi bisognerà tener conto delle valutazione degli esperti di tutti i settori considerati. Il primo step quindi consiste nell’individuare il ramo. Una volta individuato il ramo o settore rilevante bisogna capire chi è il tecnico medio del settore. Spesso, su questo punto, ci sono grandi dibattiti. Chi è l’esperto del ramo o tecnico medio? Spesso si pensa che questo debba essere un professionista della materia mentre in realtà questo è un parametro di valutazione. Non ci si riferisce a una figura esistente, ad una persona fisica ma ad un valore, un insieme di capacità e abilità che vengono attribuite a questa figura ideale che funge da parametro. È un caso di costruzione di un modello di valutazione. Come si costruisce questo modello? I giudici e la dottrina hanno puntualizzato che questo modello deve avere ciò che mediamente ha chi conosce un certo settore ovvero deve avere determinate conoscenze e capacità. Per quanto riguarda le conoscenze si dice: per il settore o i settori si ritiene che l’esperto conosca l’intero stato della tecnica (il 100% delle conoscenze). Questo ci fa capire che non c’è un riferimento alla persona fisica perché non è possibile che una persona sappia assolutamente tutto di un settore. Idealmente si ritiene che l’esperto conosca tutto proprio per dare il brevetto solo per un’invenzione che effettivamente si distacchi da qualcosa che c’era già. Si dice che quanto a conoscenze il parametro possiede, in aggiunta al 100% delle conoscenze dello stato della tecnica del settore o del ramo in oggetto, conoscenze anche di settori diversi ma solo in relazione alle conoscenze che l’esperto medio avrebbe avuto nei settori diversi da quello di riferimento. Si visualizzino le conoscenze come una piramde. Si dice che il settore di riferimento rappresenti la punta della piramide l’esperto conosce il 100% mentre scendendo verso la base della piramide le conoscenze diminuiscono progressivamente (nei settori limitrofi si conosce di più mentre alla base della piramide si conosce di meno ovvero si ha solo la common general knowledge). Se si hanno settori polisettoriali sulla punta della piramide ci saranno tutti i settori considerati. È un modo di oggettivare il giudizio per stabilire in modo attendibile qual è lo stato della tecnica conosciuto e quindi da utilizzare nella valutazione di originalità. Oltre a conoscere determinate cose, il tecnico medio sa fare qualcosa. Si applica a questo modello un set di capacità. L’espressione inglese di esperto è “skilled person”. Queste capacità sono capacità mediamente possedute da un operatore pratico del settore di riferimento. Si dice che questo tecnico medio sa applicare le conoscenze note e sa fare un attività elementare di sperimentazione routinaria ma non sa fare nulla oltre a questo. In sostanza si deve dire che il tecnico medio è capace e ragiona come avrebbe ragionato un tecnico medio al momento del deposito della domanda di brevetto. Ci si deve chiedere come il tecnico medio avrebbe applicato le sue conoscenze e che sperimentazioni avrebbe fatto. Tutto ciò che eccede questo, non è alla portata del tecnico medio. Tuttavia si dice che per valutare che cosa il tecnico medio sa fare o meno bisogna tener conto non solo di una capacità media di applicazione delle conoscenza ma anche di una disponibilità media di finanziamenti e strumentazioni. Il tecnico medio è “medio” non solo quanto a capacità ma anche per quanto riguarda le risorse finanziarie e le apparecchiature. Ci si pone alla data del brevetto, si individua il tecnico e lo stato della tecnica conosciuto e ci si chiede “nel ragionare come ragiona il tecnico medio, questo sarebbe arrivato all’invenzione oppure no?”. Se il tecnico ci fosse arrivato con un attività routinaria o con le proprie conoscenze non si parla di invenzione. Se fosse necessario “ragionare fuori dagli schemi” o bisogna fare una sperimentazione particolare il brevetto è originale. Questo ha avuto anche conseguenze di ampliamento dell’area brevettabile. Nell’individuare queste capacità si va a vedere la strada che in modo scontato il tecnico medio avrebbe percorso per giungere all’invenzione. Se si utilizzano degli elementi anche solo al “lato della strada”, l’invenzione è brevettabile. Analizziamo un esempio. Era noto in campo chimico una miscela di due composti: un soggetto scinde la miscela e chiede il brevetto su uno dei due in funzione di un’applicazione in campo medico. Si è arrivati a dire che questa separazione era originale e non evidente per il tecnico medio. Come è possibile giustificare questo fatto? Non è un’attività routinaria. C’era stata la dimostrazione che al deposito della domanda di brevetto, il modo di ragionare del tecnico del settore era indirizzato verso strade diverse (studio della miscela con i componenti congiunti). Il tecnico medio, quindi, non avrebbe mai proceduto ad una scissione della miscela. L’averlo fatto è stato considerato qualcosa di non evidente e quindi originale. Il punto è ciò a cui in quel momento il tecnico medio avrebbe o non avrebbe pensato. L’originalità non si basa sulla semplicità del risultato ma si basa sul fatto che si arriva al risultato in modo scontato o meno. Si vede come nel costruire il modello del tecnico medio si è rigorosi per quanto riguarda il set delle conoscenze mentre per quanto riguarda le capacità, l’esperto è proprio “medio” ovvero sa lavorare nel suo settore ma non sa andare oltre. Si contano anche i mezzi, gli strumenti e i finanziamenti. L’estensione del concetto di medio anche alle risorse è uscita negli ultimi 20 anni in relazione a settori come quello farmaceutico e biotecnologico dove si utilizzano dotazioni per cui una strada di ricerca in sé è chiara ma non può essere percorsa a causa di investimenti molto alti (ad esempio per l’acquisto di macchinari). Ci si è trovati in una situazione paradossale: sarebbe stato ovvio giungere a un risultato ma il solo problema erano il tempo, i macchinari e i finanziamenti. Pertanto si decide di adottare questa estensione per permettere il brevetto come stimolo del progresso tecnico. Il risultato è ovvio ma si dice che bisogna considerare anche le disponibilità di un tecnico medio ovvero ci si chiede un tecnico medio di laboratorio cosa ha a disposizione. Se il tecnico medio non ha i mezzi, i finanziamenti, l’equipe necessari per giungere al risultato, l’invenzione è brevettabile. Una volta individuato anche l’esperto è necessario il vero e proprio giudizio di evidenza. Si va a valutare se, rispetto allo stato della tecnica conosciuto, per l’esperto l’invenzione era o non era evidente od ovvia. Si applicano degli indizi di non evidenza o di evidenza. Questi sono indizi oggettivi, concreti, dimostrabili. Gli indizi di non evidenza sono: • Il progresso tecnico: andare a vedere se l’invenzione ha comportato miglioramenti (es. nel campo della tecnologia si passa da 3G a 4G oppure nel campo farmaceutico passare da una pastiglia ogni 4 ore a una pastiglia ogni 2 giorni per pazienti psichiatrici) • La prova storica: si va a vedere come era il settore della tecnica, quali problemi aveva e si valuta come l’invenzione ha impattato su queste cose. Rientrano in questo tipo di indizi: il superamento di particolari difficoltà tecniche, il bisogno da tempo avvertito ma non ancora soddisfatto, precedenti tentativi non andati a buon fine, esistenza di un pregiudizio tecnico ovvero i casi in cui è diffuso nello stato della tecnica un convincimento secondo il quale una cosa non si deve fare perché è nociva (es. un impianto non deve essere costruito perché non funziona). L’inventore abbatte questo falso e ostile convincimento. Anche questo è un forte indizio di non evidenza che può essere decisivo. • Fatti successivi all’invenzione: il requisito dell’originalità deve esistere al momento di deposito della domanda di brevetto ma anche fatti successivi possono servire a dimostrare che alla data passata l’invenzione era originale. I principali indizi di questo tipo sono il successo commerciale, l’opinione di esperti, comportamento dei concorrenti che rispettano il brevetto e magari chiedono licenze. Questi indizi non vanno “mitizzati” ne in un senso ne nell’altro: se ci sono questi indizi l’invenzione non è per forza evidente e se non ci sono questi indizi l’invenzione non è sicuramente non ovvia. Allo stesso tempo ci sono indizi di evidenza: • Equivalenza del trovato a conoscenze note: mancanza di rispetto del brevetto dei concorrenti, progresso routinario, strada a senso unico (one way street). Con quest’ultimo indizio si intende che per arrivare ad un risultato c’è una sola strada percorribile. Si cerca di oggettivare il più possibile un elemento soggettivo. Lezione 13.03 Il requisito dell’originalità, come abbiamo visto, è il più complesso da accertare. Vi sono due percorsi per capire se questo requisito è presente: il criterio prevalentemente seguito in Italia che è l’approccio degli indizi di evidenza e non evidenza (si parte dal settore rilevante, si osserva il settore della tecnica e il tecnico medio fino ad arrivare agli indizi di evidenza e non evidenza) e il criterio europeo. In questo giudizio è possibile il c.d. giudizio a mosaico ovvero si possono combinare le anteriorità come un mosaico e si cerca di capire se questa combinazione è alla portata del tecnico medio o meno. Il criterio dell’ufficio europeo dei brevetti è un percorso valutativo creato dalla prassi dell’ufficio nel decidere della validità della possibilità di concedere i brevetti. Nei risultati non è molto differente dal primo criterio visto anche se nel percorso presenta differenze. I brevetti europei sono ormai numericamente prevalenti e diffusi e inoltre progressivamente anche i giudizi nazionali hanno iniziato a seguire e applicare questo percorso nelle decisioni italiane. A volte questo succede in combinazione con il criterio nazionale. Questo è il metodo problema-soluzione, così chiamato nelle direttive o guideline per l’esame. Queste sono una raccolta ragionata di principi affermati nelle decisioni prese dall’ufficio a partire dagli anni ’80. Questo metodo si chiama così perché è un percorso che parte dall’individuazione del problema e si chiede se la soluzione ha qualcosa di originale o meno. In particolare, questo criterio si articola in tre fasi puntualmente dettagliate nelle guideline: 1. Individuazione dell’anteriorità più vicina all’invenzione ovvero la cosiddetta “closest prior art”. Questa più essere un’invenzione più vicina ad un’altra da differenti punti di vista. “Anteriorità più vicina” può intendersi come più simile, con maggiori analogie ma anche più recente temporalmente. L’ufficio ha scelto (scelta interpretativa) il significato delle similitudini. Il punto di partenza non è l’anteriorità prossima nel tempo ma la conoscenza anteriore che presenta il maggior grado di somiglianza dell’invenzione che si vuole brevettare. Questo, perché, un’anteriorità può essere da un punto di vista tecnico più accostabile a un trovato anche se risalente nel tempo. L’ufficio nelle sue guideline specifica che per anteriorità più vicina si intende quella che nello stato della tecnica costituisce il punto di partenza per uno sviluppo che conduca all’invenzione. Questo non contraddice il giudizio a mosaico ma semplicemente, per razionalizzare il giudizio, si individua l’anteriorità più vicina (dalla quale il tecnico medio sarebbe partita) e si valuta se il tecnico medio unendo all’anteriorità più vicina quelle dello stato della tecnica (ritorna il giudizio a mosaico) giungerebbe all’invenzione. 2. Formulazione del problema tecnico oggettivo risolto dal trovato: un paragrafo delle direttive d’esame dice che si prende l’invenzione che si vuole brevettare, la si confronta con l’anteriorità più vicina e si individuano le differenze fra l’anteriorità più vicina e il trovato. Queste differenze, che l’ufficio chiama distinguishing features, possono essere strutturali ovvero che attengono alla struttura, alle caratteristiche del prodotto come la presenza di un certo meccanismo o funzionali, che attengono all’uso e al funzionamento come l’individuazione di un nuovo uso inventivo di un prodotto noto. Una volta fatta questa valutazione in termini di differenze si va a vedere a cosa servono, quale problema risolvono e il problema risolto dato da queste caratteristiche distintive è proprio il problema oggettivo del trovato. Questo da un giudizio il più possibile oggettivo, necessario in quanto si parla di problema tecnico oggettivo. Il problema in oggetto potrebbe anche non essere il problema tecnico individuato dell’inventore nella domanda di brevetto ma potrebbe essere quello che oggettivamente emerge dall’applicazione delle caratteristiche distintive (es. cestello di lavatrice – l’inventore sosteneva che il problema risolto fosse la delicatezza di lavaggio ma oggettivamente le caratteristiche distintive permettevano di risolvere il problema tecnico della resistenza del cestello alle forze centrifughe). Le guideline sostengono che il problema che conta è quello oggettivamente risolto e quando il problema è diverso da quello indicato dall’inventore il brevetto deve essere riformulato e adattato in modo che il problema tecnico risultante dal testo del brevetto sia quello oggettivo. La riformulazione è importante perché fino a che si è nella fase di concessione questa è possibile mentre dopo non è più possibile (può portare anche a nullità del brevetto). Ciò che conta, quindi, è il problema tecnico oggettivo realmente risolto dalle caratteristiche distintive dell’invenzione rispetto all’anteriorità più vicina. 3. Giudizio a mosaico: combinando all’anteriorità più vicina, le altre presenti nello stato della tecnica e le conoscenze del tecnico medio, quest’ultimo sarebbe stato in grado di arrivare in modo ovvio dalla closer prior art all’invenzione? Se la risposta è sì, l’invenzione è priva di un livello inventivo quindi l’innovazione non è originale e viceversa. Nei giudizi si procede in modo schematico: stato della tecnica, tecnico medio, anteriorità più vicina anche con ragionamenti alternativi (ad esempio, si valuta l’originalità considerando diverse closer prior art). Il tecnico medio conosce la closer prior art e conosce anche altre anteriorità che erano “desclose” ovvero accessibili al pubblico. Il tecnico medio unendo la closer prior art e le altre anteriorità sarebbe arrivato al trovato o meno? Questo è il momento finale in cui ci si chiede se • La prima strada è quella dei brevetti nazionali. Si può chiedere il rilascio ad un ufficio che esiste a livello di ogni singolo Stato. In Italia l’ufficio competente si trova a Roma e si trova incardinato nel Ministero dello Sviluppo Economico. • La seconda strada è quella del brevetto europeo rilasciato dal ufficio europeo dei brevetti istituito dalla Convenzione di Monaco con sede a Monaco di Baviera. È la somma di una serie di brevetti nazionali. Il risultato della procedura non è un brevetto unico sovranazionale ma un fascio di brevetti ovvero si ottengono tante porzioni nazionali del brevetto europeo. La ragione di scelta per l’una o per l’altra quale è? La scelta italiana si ha quando si ritiene sufficiente la protezione in un certo territorio oppure l’inventore parte con un deposito di brevetto nazionale e poi, sfruttando i 12 mesi di priorità, lo deposita come brevetto europeo rivendicando la priorità nazionale. La procedura in entrambi i casi ha delle caratteristiche in parte comuni in parte diverse. La parte comune si ha nella fase iniziale: si ha il deposito della domanda di brevetto, si ha un periodo iniziale di 18 mesi durante i quali la domanda è segreta. I compiti dell’ufficio sono compiti di esame di regolarità formale della domanda e l’esame sostanziale. Questo si articola in due fasi: 1. Ricerca delle anteriorità: l’ufficio partendo dalla domanda si fa carico di reperire le anteriorità pertinenti ovvero parti dello stato della tecnica che possono essere opposte a brevetto e una volta reperite queste anteriorità procede a una valutazione chiamata esame preventivo (prima della concessione) di validità. L’ufficio europeo procede direttamente alla ricerca delle anteriorità e alla valutazione di brevettabilità attraverso proprie personale, strutture e divisioni d’esame. L’ufficio italiano non presenta queste strutture e personale, quindi per i brevetti italiani l’esame (ricerca di anteriorità e il giudizio della validità) è delegato all’ufficio europeo mediante una convezione stipulata fra l’Italia e l’ufficio europeo. Anche la domanda di brevetto italiana, quindi, è mandata a Monaco, dove si fa la ricerca di anteriorità e si esprime un’opinione sulla presenza dei requisiti di validità. L’incartamento viene poi rimandato a Roma e sulla base della ricerca e dell’opinione predisposta dall’ufficio europeo, l’ufficio italiano prende una decisione riguardo al brevetto. Questa fase di esame, in entrambi i casi, presenta un dialogo fra l’ufficio e l’inventore nel senso che l’ufficio può rilevare delle mancanze, può chiedere all’inventore di specificar meglio il testo, può segnalare che certe caratteristiche non sono originali mentre altre lo sono e quindi l’inventore può limitare la domanda di brevetto. Vedremo in che modo e con quali limiti si può intervenire per modifiche sulla domanda. È in questa fase che l’inventore può ricevere osservazioni da parte dell’ufficio, può sottoporre le proprie deduzioni all’ufficio e può apportare modifiche per superare obiezioni dell’ufficio. 2. All’esito di questa fase l’ufficio prende la sua decisione: decisione di concessione del brevetto (eventualmente nella forma modificata) o decisione di rifiuto. In quest’ultimo caso il richiedente ha a disposizione degli strumenti d’appello: in Italia le decisioni possono essere impugnate in grado d’appello davanti ad un organo speciale che è la Commissione dei ricorsi (Roma) e le decisioni della commissione possono essere ulteriormente impugnate davanti alla Corte di Cassazione (massimo organo giudiziario italiano). A livello di ufficio europeo ci si rivolge alla Commissione di ricorso interna all’ufficio brevetti ovvero c’è un giudice d’appello all’interno dello stesso ufficio. Se, nonostante le impugnazioni, viene mantenuta la decisione di rigetto non c’è nulla da fare: il brevetto non viene concesso. Se, invece, il brevetto viene concesso solo davanti all’ufficio europeo e non dall’ufficio italiano, dopo la concessione, terzi interessati (concorrenti) possono fare una procedura di opposizione. Questa è prevista solo davanti all’ufficio europeo con la quale un terzo controinteressato chiede che il brevetto europeo concesso venga revocato perché non ci sono i requisiti di validità dal punto di vista di chi fa opposizione. In questa procedura si hanno tre partecipati: il titolare del breetto, l’ufficio e il terzo che si oppone. Alla fine può accadere che il brevetto venga confermato, revocato o mantenuto in forma modificata (corretto o limitato). Tutto questo porta a una decisione sull’opposizione la quale può essere oggetto di appello all’interno dell’ufficio europeo. La legge stabilisce che, in ogni caso, a brevetto concesso, sono sempre possibili contestazioni davanti ai giudici. L’articolo 117 dice che “la brevettazione non esclude in alcun modo il diritto di agire in giudizio per chiedere la nullità del brevetto”. Emerge un altro principio importante che è quello di territorialità: un brevetto ha efficacia esclusiva solo per il territorio per il quale l’ufficio è competente a rilasciarlo. Un brevetto italiano quindi da un diritto esclusivo solo in Italia. Le conoscenze entrano a far parte dello stato della tecnica a livello mondiale ma la protezione è territoriale. Il brevetto rilasciato dall’ufficio europeo è diverso perché alla convenzione sul brevetto aderiscono una quarantina di Stati e il richiedente può indicare per quali vuole la protezione. Si possono indicare tutti ma per ragioni di costi e tasse raramente si fa. Si indicano i Paesi di interesse. Non si ha un unico brevetto sovranazionale ma un fascio di brevetti paralleli con la conseguenza che le cause si fanno Stato per Stato anche se il brevetto è Europeo. Dopo la concessione ogni porzione nazionale ha vita autonoma. • La terza strada non è perfettamente alternativa: si ha il brevetto PCT. Questo è un sistema di brevettazione internazionale istituito dal trattato degli anni ’70 chiamato Patent Cooperation Treaty ma è una procedura unitaria a metà. Mentre la procedura europea è completa in quanto si parte dalla domanda e si arriva alla concessione del brevetto, il brevetto PCT consente di dare una semplificazione nella fase iniziale cioè ha previsto la costituzione di un ufficio internazionale che è competente a ricevere una domanda per più Stati aderenti a questo trattato. Prevede, inoltre, una ricerca unica di anteriorità ma successivamente viene chiesta la concessione e poi la procedura prosegue sulla base della prassi dell’ufficio a cui viene mandato l’incartamento. Non è una via propriamente autonoma: la procedura è unica fino alla fase di deposito ma poi si ramifica in tante procedure diverse. • L’ultima strada è esistente ma non ancora operativa, a regime. È il cosiddetto brevetto europeo con effetto unitario. Il Regolamento UE n. 1257/2012 ha previsto che, sulla base di un accordo fra l’Unione Europea e l’ufficio di Monaco, sarà possibile (se sarà operativo) attivare un meccanismo secondo il quale in forza di un accordo tra le due parti potrà essere chiesto di rilasciare non più un fascio di brevetti ma si potrà anche chiedere di rilasciare un brevetto europeo con effetto unitario (brevetto dell’unione europea). Si avrà un brevetto unico per tutto il territorio dell’UE. Non si devono mischiare più invenzioni nella stessa domanda di brevetto. Ogni brevetto deve avere ad oggetto una sola invenzione. La convenzione di Monaco ammette la possibilità di depositare un unico brevetto anche per più invenzioni se esiste un legame (invenzioni collegate) e quindi si ha un concetto globale inventivo unico. Lezione 15.03 È importante avere presente come è strutturato il brevetto perché da questo dipende la sua validità (sufficiente descrizione). Inoltre quando un brevetto viene rilasciato e il diritto deve essere fatto valere a terzi la cosa che si deve fare è stabilire qual è la portata dell’esclusiva del brevetto e se quello che il terzo eventualmente sta facendo entra o meno nell’esclusiva. Bisogna leggere il testo brevettuale e interpretarlo. Lo stesso può essere fatto dal concorrente: questo mette a punto qualcosa di non identico all’oggetto del brevetto e deve sapere se lo può fare. Anche in questo caso bisogna leggere e interpretare il brevetto. In gergo queste attività di ricerca di anteriorità e verifica vengono chiamate “clearance” (“sgombrare la strada”). L’attività con cui si cerca di fare qualcosa diverso che rispetti il brevetto e non cada in contraffazione si chiama “desing around” ovvero si fa qualcosa che pur rientrando nello stesso stato della tecnica non interferisce con la privativa. Per ragioni di chiarezza e anche per ragioni fiscali (per ogni brevetto si pagano tasse ogni anno) non è possibile ottenere con un solo brevetto la copertura per più invenzioni (articolo 161 c.p.i.). La convenzione di Monaco è più permissiva perché dice che è possibile avere un unico brevetto per più invenzioni purché ci sia un solo concetto inventivo. Sono concesse quindi più estrinsecazioni del progetto inventivo purché le invenzioni siano frutto congiunto. Se questo principio non viene rispettato l’ufficio deve rilevare questo difetto e deve invitare il richiedente a separare la domanda ovvero di scindere la domanda. Le domande frutto di scissione si chiamano domande divisionali e mettono capo a brevetti divisionali. Si chiamano “divisionali” perché risultano dalla frammentazione della domanda originaria. Hanno come particolarità quella di mantenere come domanda di brevetto la domanda originaria. Nella prassi questa scissione è abbastanza comune: si tiene come domanda iniziale solo il procedimento e si utilizza una divisionale per il prodotto o viceversa. Si hanno quindi un brevetto, un invenzione e una struttura. Le varie parti hanno ciascuna un ruolo diverso da quello delle altre parti. Ognuna ha un suo significato e presenta conseguenze giuridiche. Esempio: Brevetto Geox - brevetto italiano rilasciato dall’ufficio italiano brevetti e marchi che fa parte del Ministero dello Sviluppo Economico. Si ha l’identificazione della data di deposito (17.05.1996) che consente di valutare lo stato della tecnica alla data adeguata (16.05.1996). Il primo punto della struttura del brevetto è costituito dai dati identificativi: • Inventore: chi o coloro che hanno ideato e conseguito l’invenzione e titolari di diritti morali • Titolare: colui che ha i diritti patrimoniali esclusivi Queste due figure possono non coincidere (es. caso di un dipendente). • Rappresentante: professionista in materia brevettuale iscritti ad un apposito Albo che curano l’adeguata descrizione della domanda di brevetto e che seguono la procedura di concessione e fanno sorveglianza. • Titolo Si ha il modulo di concessione e il formulario per il deposito. Dopo il titolo c’è un riassunto ovvero una breve sintesi dell’oggetto di invenzione. Non ha grande rilievo nella decisione di esclusiva ma consente di individuare più facilmente i brevetti di interesse nelle banche dati (più agevole individuazione). Sono presenti disegni. Si arriva alla parte fondamentale del brevetto che è la descrizione che deve essere fatta in modo sufficiente. Questa è la parte più ampia del testo brevettuale (90%). Inizia descrivendo l’oggetto di brevetto (calzatura traspirante ma impermeabile), espone dei problemi tecnici che, secondo l’inventore, lo stato della tecnica non aveva ancora risolto o non aveva risolto in modo soddisfacente. Si spiega come si risolve il problema tecnico. Segue poi una descrizione dettagliata di come è realizzata l’invenzione con possibile rinvio a figure che si trovano in fondo al brevetto. Tra descrizione e disegni si ha un’altra parte centrale fondamentale che sono le rivendicazioni. Se la descrizione è la parte del brevetto in cui bisogna compiutamente descrivere, le rivendicazioni sono la parte in cui l’inventore rivendica l’esclusiva. Sono un elenco di caratteristiche sulle quali l’inventore vuole protezione. La caratteristica delle rivendicazioni è quella di essere sintetiche (elenco per punti). Di solito, sono ordinate o si possono catalogare come rivendicazioni indipendenti o principali e rivendicazioni dipendenti o secondarie. Le prime sono quelle dominanti in cui si estrinseca il cuore inventivo mentre le seconde sono aggiustamenti, perfezionamenti, accorgimenti aggiuntivi alla prima. Le rivendicazioni dipendenti si comprendono dal modo in cui vengono descritte in quanto vengono rimandate alle rivendicazioni indipendenti. Le rivendicazioni dipendenti sono rivendicazioni di dettaglio o che specificano alcuni elementi. Si concilia tutto questo con il principio di unità? Secondo le modalità della Convenzione di Monaco la risposta è sì perché sono espressione del concetto innovativo. Secondo la visione più restrittiva del nostro codice forse no ma sta di fatto che nella prassi anche dei brevetti italiani il modo di strutturare le rivendicazioni non sono messe in discussioni. Lo strutturare il brevetto in questo modo permette all’inventore di rivendicare la protezione più ampia nella rivendicazione indipendente (tutto ciò che l’innovazione abbraccia) e specificare dettagli nelle rivendicazioni dipendenti. Se vi è un dubbio se un prodotto è conforme alla rivendicazione uno e comprenda anche il dettaglio ulteriore della due il brevetto lo specifica. Se un terzo dovesse fare un prodotto come la rivendicazione uno mettendoci anche la caratteristiche specificata dalla due non può difendersi dicendo che è diversa dalla uno perché questa abbraccia nella sua variante anche la caratteristica della due. La prima utilità consiste nel fatto di permettono di rivendicare qualcosa di ampio senza correre il rischio di perdere qualcosa ovvero che qualcosa di più ampio possa sfuggire alla protezione. Al tempo stesso hanno utilità in caso di giudizio perché diventa più facile sostenere il diritto rispetto ad un terzo. Hanno utilità anche per il fatto che è possibile, entro certi limiti, modificare, correggere, limitare la domanda. È possibile che nella sua interezza la rivendicazione uno non è sufficientemente dotata di livello inventivo. Unendo la rivendicazione 1 e 2 c’è un sufficiente tenuto conto una serie di fattori come l’iniziativa del dipendente, il tipo di mansione (più o meno vicine all’attività inventiva), eventuali aiuti o suggerimenti, il contesto generale. Quanto più c’è attività meritevole, autonoma e indipendente tanto più è alta la percentuale e viceversa. • Invenzione occasionale: ipotesi di un dipendente che raggiunge l’invenzione nel campo di attività della sua azienda ma al di fuori delle sue mansioni lavorative (es. dipendente assunto per la contabilità che arriva a mettere a punto un’invenzione meccanica). È un caso limite ed è abbastanza difficile che accada questa ipotesi. L’invenzione è scollegata dalle mansioni del dipendente quindi il brevetto in partenza spetta al dipendente (il quale ha sia diritti morali che patrimoniali) ma non è detto che gli rimangano perché il datore di lavoro ha la possibilità di esercitare, entro tre mesi, un diritto di opzione per acquistare il brevetto o prenderlo in licenza. Il dipendente quindi è tenuto a cedere il brevetto dietro compenso. Articolo 64, comma 6. Ipotesi a vantaggio del datore di lavoro per comportamento scorretto del dipendente. Se l’invenzione è stata realizzata durante il rapporto di lavoro, nel caso di invenzione di servizio o d’azienda, questa spetta al datore di lavoro. Il dipendente in questo caso è un non avente diritto quindi il brevetto è depositato da un non avente diritto. In questo caso il datore può far respingere o dichiarare nullo il brevetto oppure farselo trasferire mediante l’azione di rivendicazione (articolo 118 del codice). Come fa il datore di lavoro a dimostrare che l’invenzione è stata attuata prima dell’uscita dall’azienda del dipendente? La legge aiuta il datore dicendo che, se il dipendente lascia un’azienda e deposita una domanda di brevetto per un’invenzione relativa ad un’attività svolta in azienda entro un anno dall’uscita, si presume fino a prova contraria (il titolare è dispensato dal fornire la prova) che l’invenzione sia attuata prima (articolo 64). La legge agevola il datore per queste ipotesi. Passato l’anno il datore può continuare a fare causa ma non può avvalersi di questa regola quindi sarà questo a dover fornire la prova. Articolo 65. Norma che riguarda i ricercatori universitari e gli enti pubblici. È una norma complicata che stabilisce che per invenzioni realizzate da questi soggetti il diritto al brevetto è in capo al ricercatore (non si applica l’articolo 64) ma l’università o l’ente pubblico hanno diritto a una quota dei proventi. E se l’invenzione fosse realizzata da collaboratori autonomi? Se si fa un contratto con il collaboratore autonomo il problema non si pone in quanto generalmente viene specificato a chi vanno i frutti della ricerca. Se il contratto non dovesse dirlo si ritiene che, applicando per analogia l’articolo 64 al lavoratore autonomo o applicando le regole del codice civile sul contratto d’ora, l’invenzione spetti al committente. Si arriva ad attribuire in ogni caso al datore di lavoro o committente il diritto patrimoniale al brevetto. Lezione 20.03 Oggi osserviamo l’ambito di tutela del brevetto. Dopo aver visto cosa possa essere brevettato e con quali procedure si osserva cosa succede a seguito della concessione del brevetto. In cosa consiste la tutela? Questa è una tutela esclusiva ovvero è un diritto del titolare di fare qualcosa in esclusiva. Si ha una componente positiva e una negativa. Quest’ultima è il diritto di vietare ad altri di tenere condotte che rientrano nell’ambito di esclusiva (ius excludendi alios) mentre la facoltà positiva consiste nel diritto del titolare di agire in esclusiva (sfruttare l’invenzione, cederla ad altri, darla in licenza ossia autorizzare terzi a sfruttare l’esclusiva). Si ha uno sfruttamento a tutto campo e un diritto di decidere se e come sfruttare l’invenzione. Ci sono anche gli atti dispositivi di cessione (assimilabile alla vendita) e licenza (assimilabile a locazione o affitto). Per dare un contenuto all’esclusiva bisogna fare delle scelte che il legislatore ha fissato nel codice della proprietà industriale su cui sono necessarie interpretazioni. La prima cosa da fare per stabilire l’esclusiva è un’attività di interpretazione del brevetto. Con questo si intende stabilire l’oggetto (ambito di esclusiva) del brevetto mediante interpretazione. Questa può essere un’attività non semplice soprattutto se non si tiene conto di alcune regole fondamentali. La prima è che l’oggetto protetto del brevetto è solamente ciò che è scritto nelle rivendicazioni. Ciò che non è scritto nelle rivendicazioni non è protetto. Se per errore l’inventore o chi scrive nella domanda di brevetto disegna o descrive elementi inventivi non nella parte di rivendicazioni, questi elementi non possono essere protetti. Le rivendicazioni devono indicare specificamente ciò che si intende debba formare oggetto del brevetto (art.52 comma 1). A ciò si collega la regola del secondo comma dell’articolo 52: i limiti della protezione sono determinati dalle rivendicazioni. La descrizione e i disegni quindi servono solo a rendere pubbliche delle conoscenze e non hanno ruolo nel determinare l’oggetto del brevetto? Ferma restando la regola base secondo la quale sono ciò che è scritto nelle rivendicazione è tutelato, la descrizione e disegni possono servire a interpretare le rivendicazione e quindi a capirle meglio. Il comma secondo dell’articolo 52 spiega che descrizione e disegni servono a interpretare le rivendicazioni e il comma terza esplicita che la disposizione del comma due deve essere intesa in modo da garantire nel contempo un'equa protezione al titolare ed una ragionevole sicurezza giuridica ai terzi. Non si può agire troppo severamente nel trattare l’oggetto di brevetto (ci vuole flessibilità) ma allo stesso tempo serve sicurezza giuridica. Il diritto dei brevetti deve essere strutturato in modo tale di permettere ai terzi di sapere se la loro condotta è in violazione del brevetto o meno. Questo può essere conseguito confinando l’oggetto del brevetto nelle rivendicazioni. Il discorso dell’equa protezione esce dal fatto che per ragioni di semplicità, trasparenza e chiarezza le rivendicazioni sono scritte per punti sintetici. Può succedere che a causa di questa necessaria sintesi qualche termine delle rivendicazioni non sia particolarmente chiaro. Se il termine è presente nelle rivendicazioni è possibile andare a vedere nella descrizione e nei disegni se c’è qualche elemento che permette di chiarirlo meglio. Ad esempio, in ambito chimico, si ha un brevetto con una descrizione molto sintetica che spiega la necessità di una quantità “minima o trascurabile” per un composto chimico. In sé il concetto di quantità “minima o trascurabile” potrebbe essere ambiguo ma la rivendicazione, attraverso una serie ampia di report su analisi di laboratorio, indica che in quel settore della tecnica e per quel tipo di composto il concetto significa una quantità inferiore ad una determinata percentuale. Nelle rivendicazioni non si possono riportare tutte le prove di laboratorio, le quali devono essere presenti nella descrizione. Il titolare, quindi, nelle rivendicazioni esplicita solo il “minimo trascurabile” rispettando la sintesi richiesta ma nella descrizione viene spiegato adeguatamente il concetto. Quando si va in causa su questi temi il titolare del brevetto sostiene che tutto è scritto nelle rivendicazioni mentre chi si oppone dice la cosa opposta (per rendere nullo il brevetto) ovvero che l’elemento non è presente nelle rivendicazioni. Il brevetto, quindi, protegge solo ciò che al contempo, simultaneamente è descritto e rivendicato. Se la cosa è solo rivendicata e non descritta vi è un’insufficienza di descrizione e manca un requisito di validità. Se, viceversa, un elemento è solo descritto e non rivendicato, per le ragioni viste, non può essere protetto. La conclusione è che il perimetro dell’esclusiva è solo ciò che è presente nelle rivendicazioni ma una volta che un elemento è indicato nelle rivendicazioni è consentito utilizzare descrizione e disegni a fini di miglior comprensione e più precisa individuazione ma mai a fini di integrazione (non si può aggiungere). Questo è il primo passo che si fa nel determinare la portata dell’esclusiva. A questo punto si ha il primo termine di confronto: quando c’è un contenzioso brevettuale si ha un soggetto titolare del brevetto e un terzo che tiene o ha tenuto una determinata condotta. Il secondo passo è prendere ciò che il terzo ha fatto e confrontarlo con l’ambito di esclusiva del brevetto e capire se il terzo ha compiuto un’attività vietata oppure no. Si immaginano le categorie civilistiche della proprietà (es. fondo). La “contraffazione” indica un’attività di violazione di una privativa, di un’esclusiva: chiunque tiene una condotta che rientra nell’ambito dell’esclusiva di un terzo compie una contraffazione, una violazione, un’interferenza con l’esclusiva. Si ha quindi, a questo punto, un brevetto che protegge un’invenzione bisogna stabilire cosa il titolare può vietare ai terzi. Si ha un blocco di norme centrali nella materia che sono gli articoli da 66 a 68. Questi tre articoli dicono quando un terzo fa un’attività vietata. Articolo 66 primo comma. “I diritti di brevetto per invenzione industriale consistono nella facoltà esclusiva di attuare l'invenzione e di trarne profitto nel territorio dello Stato, entro i limiti ed alle condizioni previste dal presente codice”. Si conclude questo diritto (diritto DI brevetto) quando il brevetto è concesso ma i 20 anni di protezione decorrono dal momento del deposito della domanda e non dal momento di concessione; questo accade anche quando si rivendica una priorità. “Rivendicare la priorità” significa che nel depositare la domanda il titolare fa presente all’ufficio che c’è una priorità e richiede di valutare novità e originalità rispetto al primo brevetto depositato. Il titolare non è privo di tutela anche nel periodo intermedio (di domanda pendente) perché anche in questo periodo è possibile ottenere misure di protezione di brevetto (es. blocco dell’attività di contraffazione). Pertanto vi è un tutela transitoria anche fra deposito e concessione. Vi è il principio di territorialità perché si parla di Stato italiano. “Trarne profitto” è la frase con cui il legislatore stabilisce che colui che ha l’invenzione è l’unico ha poterla sfruttare e trarne utilità. Qui entra in gioco la capacità strategica del titolare. Questo è un concetto vago. La legge aiuta spiegando meglio nel secondo comma dell’articolo 66 in cosa consiste la facoltà esclusiva. Lo dice distinguendo il brevetto di prodotto (con ri-brevettazione in funzione di un nuovo uso inventivo) e brevetto di procedimento. “Se oggetto del brevetto è un prodotto, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto in questione”. Basta una sola di queste condotte per essere contraffattori. Se qualcuno produce, anche per il solo fatto di aver prodotto, si viola il brevetto. Questo può portare a minor risarcimento ma vi è comunque un’inibitoria. Lo stesso ragionamento vale per il semplice uso in un’attività economica (diverso è il discorso per un uso privato). Si parla in ogni caso di contraffazione. Il titolare quindi ha un’esclusiva piuttosto ampia. Nel caso di una catena del valore, il titolare può far causa non solo al dettagliante che vende il prodotto contraffatto ma anche ai grossisti e, in generale, agli operatori a monte. Se il brevetto è circoscritto ad un particolare uso o range la tutela è limitata alla protezione contro attività che prevedono stesso uso o range. Più complessa è la disciplina del brevetto di procedimento (Articolo 66, comma 2, lettera b): “se oggetto del brevetto è un procedimento, il diritto di vietare ai terzi, salvo consenso del titolare, di applicare il procedimento, nonché di usare, mettere in commercio, vendere o importare a tali fini il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento in questione”. La prima parte della disposizione spiega che il titolare ha diritto di vietare a chiunque, senza il suo consenso, di replicare le fasi che compongono il procedimento. La seconda parte amplia la tutela: in base al principio di unità dell’invenzione, se si vuole esclusiva sia sul prodotto sia sul procedimento bisogna depositare due brevetti oppure un brevetto in cui si rivendicano separatamente prodotto e procedimento. Si suppone che il titolare abbia depositato un brevetto di procedimento puro. In questo caso sorgono dei problemi di interpretazione. Visto che tipicamente i procedimenti (soprattutto quelli di fabbricazione) mettono capo ad un prodotto, il legislatore ha ritenuto equo aggiungere qualcosa alla tutela del titolare, anche senza brevettazione di prodotto, ovvero una tutela che in certi casi si estende al prodotto ottenuto con il procedimento. Si ha un’aggiunta, un’integrazione di tutela che il legislatore da al titolare. Quest’ultimo può “vietare a terzi produrre, usare, mettere in commercio, vendere o importare il prodotto direttamente ottenuto con il procedimento”. Tuttavia, ciò non significa che si ha il brevetto di prodotto. Mentre il brevetto di prodotto è un brevetto sul prodotto in sé e per sé, questa è un’esclusiva relativa al prodotto ottenuto con il procedimento. Questa aggiunta di tutela quindi è più ristretta rispetto alla tutela di un brevetto di prodotto. Nella frase “prodotto direttamente ottenuto” ci si focalizza su “direttamente”. Il legislatore ha voluto specificare questo aspetto. È un’aggiunta eccezionale sul brevetto di procedimento con un limite: non si considera ogni prodotto ottenuto con il procedimento ma il prodotto direttamente ottenuto. La differenza fra “prodotto ottenuto” e “prodotto direttamente ottenuto” viene spiegata da diverse interpretazioni (es. lastra e griglia – se si dovesse dare a “direttamente” il suo significato lessicale la soluzione dovrebbe essere il semilavorato, ovvero solo questo è ottenuto direttamente con il procedimento mentre tutte le lavorazioni successive non sono direttamente ottenute). Ci sono due interpretazioni prevalenti. La prima teoria (che si riferisce all’esempio fatto) viene chiamata teoria cronologica (un po’ impropriamente). Questo perché si considera il primo risultato in ordine temporale nell’attuazione del procedimento. Questa teorie circoscrive la protezione al prodotto che è il primo e immediato risultato dell’attuazione del procedimento (nell’esempio, si considera solo il semilavorato mentre il prodotto finale che ha subito ulteriori lavorazioni non è considerato come “prodotto direttamente ottenuto”). È una teoria restrittiva e aderente al tenore letterale della norma (solo ciò che si ottiene e le fasi ulteriori no). Così, però, si rischia di limitare troppo l’applicazione rivendicati ma con elementi equivalenti. Ciò che conta e che è elemento comune di contraffazione letterale è che anche in questo caso viene attuata e copiata la stessa idea inventiva. L’articolo 66 primo comma dice che i diritti di brevetto consistono nella facoltà esclusiva di attuare l’invenzione e trarne profitto. L’esclusiva quindi si ha sull’idea inventiva. “Contraffazione per equivalenti” significa fare qualcosa che derivi dalla stessa idea inventiva. Vi sono due criteri per stabilire se vi è equivalenza: • Evidenza e ovvietà per il tecnico medio: se per il tecnico medio è ovvio che sostituendo l’elemento rivendicato con un altro si attua in modo scontato la stessa idea inventiva • Test “funzione-modo-risultato” o test triplo o test FWR (function-way-result): questo test si pone su un piano più oggettivo e si chiede se il prodotto o procedimento del terzo svolge la stessa funzione, se la svolge nello stesso modo e se arriva allo stesso risultato. Se la risposta è sì per tutti e tre i quesiti si ha contraffazione. L’identicità deve riguardare anche i termini qualitativi (se è uguale anche a livello di efficienza). Non è semplice nelle cause valutare l’equivalenza ma questi due criteri aiutano nell’avere un certo grado di solidità nel giudizio. Un caso classico, il primo caso italiano di applicazione del criterio dell’equivalenza riguarda un evento di 30 anni fa deciso dal tribunale di Milano. Ha ad oggetto un apparecchio meccanico per la depilazione (Epilady). Si confrontavano un brevetto e una soluzione di un terzo che era apparentemente diversa. Il problema tecnico risolto era quello di creare un dispositivo meccanico con un testina rotante che servisse ad agganciare i peli ed estirparli. Un dispositivo brevettato risolveva il problema tecnico dotando la testina rotante con una molla metallica. L’inventore aveva applicato quest’idea a questo strumento applicato ad un meccanismo che girando ad alta velocità faceva si che la molla si aprisse e si chiudesse ad alta velocità. Si parla di molla meccanica. Un terzo arriva sul mercato con un apparecchio fatto nello stesso modo ma al posto della molla aveva messo un cilindretto, un rullo di gomma con fessure e scanalature. Il titolare del brevetto fa causa di contraffazione e il terzo si difende dicendo che il prodotto era diverso. Il titolare del brevetto vince la causa perché dimostra che la gomma piegata con le scanalature ruotando ad alta velocità si apre e si chiude come la molla. Si ha un caso di contraffazione per equivalenti. Il brevetto rivendica sì, una molla metallica ma non è un brevetto sulla molla ma risolve il problema tecnico di depilare la pelle con elementi elastici che si aprono e si chiudono su una testina. L’idea inventiva era quindi la stessa. Questo è ovvio per un tecnico medio (evidenza o ovvietà della sostituzione). Anche il criterio del test funzione-modo-risultato porta a dire che si tratta di contraffazione in quanto si ha la stessa funzione, lo stesso modo e lo stesso risultato. Vediamo un’altra causa interessante che è arrivata addirittura in Corte di Cassazione. Si ha un brevetto della Barilla su un impianto di essicazione della pasta delle lasagne. Prima del brevetto, la pasta si essiccava adagiando in orizzontale su vassoi che venivano fatti scorrere all’interno dei forni. Il risultato era che le sfoglie adagiate tendevano a deformarsi (“imbarcarsi”) portando a problemi di packaging e di grossi impianti. il brevetto risolve questi due problemi con il sistema di piastre montate in verticale su un ingranaggio e addossate una all’altra. Queste piastre ruotano all’interno del forno, in cui c’è una stazione di entrata e una stazione di uscita. La sfoglia viene deposta in un cestello ormai essiccata. L’impianto è più piccolo (risparmio di spazio e di energia) e inoltre le sfoglie non si deformano. Sulle piastre sono presenti dei fori affinché l’aria calda arrivi sulle sfoglie. Si ha poi un terzo concorrente di Barilla che realizza delle piastre che al posto dei fori presenta scanalature verticali. Il meccanismo è lo stesso (meccanismo verticale, piastre) ma l’aria giunge alle piastre con modi diversi. Barilla fa causa di contraffazione e il terzo si difende dicendo che il prodotto è diverso. Mentre nei fori l’aria tocca le sfoglie in orizzontale, nelle scanalature l’aria tocca le sfoglie in verticale. Barilla sostiene che si ha contraffazione per equivalenti. È una causa che è stata molto combattuta (da corte d’appello a cassazione). È un modo di attuare la stessa idea inventiva o le scanalature sono una soluzione di problema tecnico diversa? È un caso in cui i primi giudici hanno detto che non c’era contraffazione mentre la cassazione ha annullato dicendo di sì, rimandandola alla corte di appello che ha detto di sì. Nonostante la differenza costruttiva per il tecnico medio era ovvio fare questa sostituzione o, applicando il test triplo, la funzione è la stessa, il risultato è lo stesso mentre il problema è il modo. Si poteva ritenere lo stesso modo? Alla fine i giudici hanno detto di sì. La contraffazione per equivalenza non è esclusa per la variazione apportata ad un singolo elemento, se la variazione non consente di escludere l’utilizzazione anche solo parziale del brevetto. Lezione 22.03 Si parla del concetto di contraffazione. Il caso più semplice è l’imitazione integrale ma vi è anche una fattispecie un po’ più complessa della contraffazione per equivalenti. Non vi è identità rispetto alle rivendicazioni ma vi è la stessa idea inventiva pertanto si ha contraffazione per equivalenti. La legge prevede poi un terzo tipo di contraffazione. Si ha la contraffazione indiretta o contraffazione per contributo. Si ha l’ipotesi in cui un soggetto non svolge direttamente un’attività in contraffazione ma fornisce ad un terzo i mezzi per violare il brevetto. Questa è un’ipotesi che ha un elemento di problematicità: in sé il mezzo fornito non è coperto da brevetto. Chi vende lo strumento non compie nulla di illecito perché questo non è brevettato tuttavia c’è chi pensa che se non fornisse il mezzo l’attività illecita non verrebbe compiuta. Tuttavia c’è chi obietta che non si può punire chi non fa un’attività illecita. Questo tipo di contraffazione per contributo richiede qualcosa in più della semplice fornitura dei mezzi; occorre che, alternativamente, questi mezzi siano univocamente destinati all’utilizzo in violazione del brevetto oppure che chi li fornisce sappia che saranno utilizzati per violare il brevetto (l’unico utilizzo consiste nella violazione del brevetto) ovvero se il prodotto è oggetto di più utilizzi sappia della destinazione illecita. È un tipo di contraffazione che prevede che chi sapendo della violazione o non potendolo non sapere fornisce mezzi ad altri che violino il brevetto stesso. La contraffazione indiretta nel passato non era espressamente regolata ma era presente in dottrina e giurisprudenza. Da poco più di un anno quest’ipotesi è stata espressamente prevista nel codice di proprietà industriale. È la novità più recente e deriva dalla legislazione dell’Unione Europea. Questa norma viene recepita nel 2016: nell’articolo 66 (articolo sulla contraffazione) vengono inseriti tre commi (2 bis, ter e quater). Il comma 2 bis dice che: “Il brevetto conferisce al titolare anche il diritto esclusivo di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di fornire o di offrire di fornire a soggetti diversi dagli aventi diritto (il titolare del brevetto e i soggetti autorizzati) all'utilizzazione dell'invenzione brevettata i mezzi relativi a un elemento indispensabile di tale invenzione e necessari per la sua attuazione (elemento caratteristico della contraffazione) nel territorio di uno Stato in cui la medesima sia protetta, qualora il terzo abbia conoscenza dell'idoneità e della destinazione di detti mezzi ad attuare l'invenzione (condizione necessaria: il terzo sa che i mezzi saranno destinati ad un certo impiego) o sia in grado di averla con l'ordinaria diligenza (seconda condizione: il soggetto non può non sapere che il prodotto è utilizzato per un dato scopo)”. Bisogna tenere presente che fornire od offrire di fornire costituisce contraffazione indiretta se si tratta di un elemento indispensabile dell’invenzione e necessario per la sua attuazione. Deve essere qualcosa che serve specificamente ad attuare l’idea inventiva. Se questa è incorporata in un prodotto complesso e la fornitura riguarda elementi di questo prodotto complesso diversi da quello in cui si attua l’idea inventiva non c’è violazione. Osserviamo un caso: siamo nel settore del caffè (macchine domestiche). Il brevetto era su un meccanismo di funzionamento della macchina. Il prodotto complesso è tutta la macchina ma il brevetto riguarda un componente della macchina. Un terzo aveva fornito delle cialde di caffè compatibili, operava quindi in concorrenza con il titolare del brevetto. Il titolare fa causa di contraffazione indiretta perché sono state forniti i mezzi (le cialde) senza i quali la macchina da caffè non può funzionare. Non è contraffazione indiretta perché l’elemento brevettato non è la cialda o il comparto della cialda ma un altro elemento interno di funzionamento della macchina da caffè. Questo esempio fa capire cosa significa il comma 2 bis: quando si tratta di prodotti complessi non basta vedere se si fornisce qualcosa che serve a far funzionare il prodotto stesso ma bisogna vedere se è presente qualcosa che serve ad attuare l’idea inventiva incorporata in una parte del prodotto complesso. Il comma 2 ter è una norma di salvaguardia per delle esigenze di libero commercio (l’interesse del titolare deve bilanciare con gli interessi di terzi, interesse di funzionamento del mercato, dei consumatori) e cita: “Il comma 2-bis non si applica quando i mezzi sono costituiti da prodotti che si trovano correntemente in commercio (uso corrente, prodotto ad uno quotidiano – “staple products”) a meno che il terzo non induca il soggetto a cui sono forniti a compiere gli atti vietati ai sensi del comma 2”. Il legislatore esplicita che se si estendesse a tutti questi prodotti l’ipotesi di contraffazione indiretta, si rischierebbe di fare un danno superiore all’interesse del titolare del brevetto pertanto, se si tratta di prodotti di uso quotidiano, la disposizione del comma 2 bis non si applica. C’è contraffazione indiretta quando non c’è solo la fornitura consapevole ma c’è anche l’induzione a violare il brevetto (inducement) ovvero il fatto che venga attivamente stimolato il terzo a violare il brevetto. Se il prodotto che serve ad attuare il procedimento brevettato è un composto chimico di fabbricazione industriale specialistico, si applica il 2 bis: chi fornisce il composto è responsabile di contraffazione indiretta nei casi del comma 2 bis. Nel caso in cui il prodotto in questione sia il sale grosso, allora non si ostacola il commercio e si applica il comma 2 ter e quindi questo soggetto che vende il sale grosso risponderà di contraffazione indiretta se oltre a fornirlo, induce, spinge il terzo a violare il brevetto. Il comma 2 quater: “Ai fini di cui al comma 2-bis non si considerano aventi diritto all'utilizzazione dell'invenzione i soggetti che compiono gli atti di cui all'articolo 68, comma 1”. Gli aventi diritto sono il titolare del brevetto e i soggetti da lui espressamente autorizzati (licenziatari, distributori). Nessun altro è considerato un avente diritto ai sensi di questa norma. La fornitura dei mezzi a soggetti diversi espone a una possibile contraffazione indiretta. Questa è una norma che contiene un concetto contro-intuitivo. INVENZIONE DERIVATE E BREVETTI DIPENDENTI L’invenzione derivata è un concetto più ampio; di brevetto dipendente si può parlare solo per alcune tipologie di invenzioni derivate. Un’invenzione derivata è un’invenzione che deriva da una precedente invenzione: si parte dal trovato anteriore, ci si lavora e si arriva a una seconda invenzione che è uno sviluppo della prima invenzione. Di solito le invenzioni derivate si classificano in tre categorie: • Invenzione di perfezionamento: si prende un trovato anteriore e lo si perfeziona quindi non vi è una vera e propria invenzione autonoma. L’invenzione si innesta su un’invenzione precedente. Si aggiungono elementi per far funzionare il prodotto in modo più efficiente (risparmio di energia, eliminazione di impurità). • Invenzione di combinazione: risulta dall’unione di due invenzioni o conoscenze note. Spesso questo tipo di invenzione non arriva alla soglia della brevettabilità del livello inventivo. Può capitare che ci siano casi in cui l’unione di elementi noti dia un risultato sorprendente, inatteso o dia un’efficacia sinergica superiore alle attese che il tecnico medio non poteva prevedere. In questo caso è brevettabile la combinazione in quanto non è prevedibile dal tecnico medio. • Invenzione di traslazione: l’idea di soluzione viene trasferita e applicata in un altro settore. Un esempio è l’invenzione di nuovo uso in campo chimico (molto frequente) oppure anche in campo meccanico anche se meno frequente. Un caso è il macchinario per sezionare i blocchi di legno. Il settore è quello della lavorazione del legno. La traslazione inventiva è scoprire che lo stesso sistema di taglio del legno può essere utilizzato efficacemente per il taglio di strati di tessuti pressati l’uno sull’altro. In campo chimico questa invenzione viene chiamata anche di nuovo uso. Quando un’invenzione derivata è anche dipendente? Lo esplicita l’articolo 68 comma 2 c.p.i.: “Il brevetto per invenzione industriale, la cui attuazione implichi quella di invenzioni protette da precedenti brevetti per invenzioni industriali ancora in vigore, non può essere attuato, né utilizzato, senza il consenso dei titolari di questi ultimi”. Ciò significa che se si ha un’invenzione derivata che oltre a essere derivata si trova in un rapporto con l’invenzione precedente tale per cui per realizzare 4. Preparazione estemporanea, e per unità, di medicinali nelle farmacie su ricetta medica, e ai medicinali così preparati, purché non si utilizzino principi attivi realizzati industrialmente (eccezione galenica). È il caso, ad esempio, in cui un paziente è allergico ad un certo farmaco disponibile in commercio ma ha bisogno di determinati principi attivi. Su ricetta medica, il farmacista è autorizzato a realizzare un farmaco su misura per il paziente. Non si possono realizzare principi attivi fabbricati industrialmente ma si possono utilizzare i principi attivi nei limiti necessari. Si vedono gli interessi prevalenti alla base di questa eccezione: l’interesse alla salute del paziente. Questi sono gli usi leciti dell’invenzione altrui: articolo 68 comma 1. Se si hanno in mente queste quattro ipotesi, tutte accomunate dal fatto che vi sia un terzo che è libero di fare determinate operazioni senza alcun consenso, si può capire l’ultimo punto della contraffazione indiretta: “Ai fini del comma 2bis non sono aventi diritto i soggetti che compiono gli atti dell’articolo 68 comma primo”. Ciò significa che questi soggetti ovvero i soggetti che compiono l’attività dell’articolo 68 lo possono fare perché l’articolo 68 spiega quali sono le attività legittime però il legislatore dice nel comma 2quater dell’articolo 66 che questi soggetti che si avvalgono dei liberi usi e non hanno il consenso del titolare, non possono considerarsi aventi diritto ai sensi del comma 2 bis. Ciò significa che devono qualificarsi come soggetti diversi dagli aventi diritto. Questo vuol dire che chi fornisce i mezzi per attuare l’invenzione a chi compie una delle attività dell’articolo 68 comma 1, sta comunque fornendo quei mezzi ad un soggetto che la legge non considera, ai fini della disciplina della contraffazione, un avente diritto. Quindi, anche se l’attività finale è lecita chi fornisce i mezzi può comunque rispondere di contraffazione indiretta. Questa norma sanziona con la contraffazione indiretta chi fornisce i mezzi per un’attività finale che in sé è lecita. Questa è contro-intuitiva: per risolvere due ipotesi particolari si è creata una norma che suscita difficoltà. Le due ipotesi particolari sono la stampa 3D e la Bolar. Con la stampa 3D è possibile per il privato fabbricare qualunque cosa. Se il privato fabbrica un prodotto brevettato, in teoria non è punibile ai sensi dell’articolo 68. Tuttavia tutti potrebbero fabbricarsi in casa il prodotto brevettato e non andare più a comprarlo dall’impresa inventrice. La stampante in 3D consente la cd “contraffazione domestica” che non è una vera e propria contraffazione ma una copiatura. Il legislatore ha stabilito che per questi casi non si possa colpire il privato ma se non si considera avente diritto, si può cercare di bloccare la fornitura di stampanti 3D univocamente destinate alla fine di copia di prodotti brevettati (soprattutto se la fornitura prevede hardware e software che replica il prodotto brevettato). La Bolar, invece, è l’eccezione che permette al genericista di fare i test per avere l’autorizzazione. Questa era stata per l’ipotesi del genericista che si fa tutto in casa (sperimentazione). Ma successivamente era stata utilizzata anche da soggetti che avevano fabbricato quantitativi enormi di principio attivo brevettato e lo vendevano ai singoli genericisti per i loro studi. Il legislatore stabilisce che questo non è permesso: se si inizia un’attività di fornitura di mezzi a chi se ne avvale anche in modo lecito per l’esenzione Bolar, questa potrebbe essere comunque contraffazione indiretta. È una norma contro-intuitiva che è stata applicata per risolvere questi due problemi pratici ma pone problemi in quanto è difficile qualificare come contraffazione un’attività di fornitura di mezzi destinati ad un’attività lecita. DIRITTO DI PREUSO L’articolo 68 al comma 3 introduce la disciplina particolare del diritto di pre-uso. L’ipotesi tipica è quella di un soggetto che scopre e utilizza un’invenzione ma non la brevetta. Si hanno due casi: 1. Questo comporta accessibilità al pubblico: reverse engeneering (si prende un prodotto sul mercato, si smonta e si capisce come è composto e come è costruito). L’invenzione era a far parte dello stato della tecnica e quindi qualunque brevetto successivo su quell’invenzione non è valido. 2. Si mantiene il segreto: non c’è accessibilità al pubblico, non perde novità e quindi l’invenzione è brevettabile. Il vero problema è il caso in cui il pre-utente sfrutta l’invenzione in regime di segreto e un terzo arriva alla stessa invenzione e la brevetta per primo. Dato che la legge incoraggia la brevettazione la soluzione è che il brevetto di chi arriva dopo ma brevetta quando l’uso del primo è segreto, è il legittimo titolare. Il pre-utente, secondo una soluzione di compromesso data dal legislatore, non ha l’esclusiva ma gli è permesso di continuare, a certe condizioni, l’attività che già stava ponendo in essere prima della brevettazione successiva. Se il pre-utente ha utilizzato l’invenzione nei 12 mesi anteriori al deposito della domanda del brevetto, può continuare a utilizzare il brevetto ma nei limiti del pre-uso. Si hanno condizioni restrittive: la prima è che l’uso deve essere fatto nei 12 mesi anteriori (non nel passato in generale). Una seconda limitazione riguarda il fatto che il pre-uso può conseguire nei limiti dell’uso anteriore (quantità, territorio, sfruttamento della conoscenza). L’uso non può essere esteso in alcun modo in quanto ogni estensione è considerata contraffazione. Un ulteriore vincolo è che questo diritto può essere trasferito solo insieme all’azienda del pre-utente. L’ambito di tutela del brevetto è poi in certa misura limitato dalla regola del c.d. esaurimento. È prevista per tutti i diritti di proprietà industriale dall’articolo 5 del c.p.i. L’esaurimento del diritto fa pensare a situazioni in cui il diritto viene meno ma non si intende questo. Si intende una situazione per cui si esauriscono i diritti esclusivi su un certo esemplare di prodotto incorporato in un’invenzione. Su certi prodotti incorporati nell’invenzione, il titolare non può più esercitare l’esclusiva. L’unica ipotesi si trova nell’articolo 5 primo comma: “Le facoltà esclusive attribuite dal presente codice al titolare di un diritto di proprietà industriale si esauriscono una volta che i prodotti protetti da un diritto di proprietà industriale siano stati messi in commercio dal titolare o con il suo consenso nel territorio dello Stato o nel territorio di uno Stato membro della Comunità europea o dello Spazio economico europeo.” Si cerca di garantire al titolare un profitto giusto e non consentire un sovraprofitto ovvero quello che ricadrebbe dal subordinare al consenso del titolare e quindi al pagamento di una somma un ulteriore circolazione di prodotti che il titolare ha volutamente messo in commercio. Il titolare può fare profitto sulla prima vendita del prodotto originale (dipende da lui la vendita e il prezzo) ma una volta che lui ha venduto o ha dato l’autorizzazione ad altri di venderlo, il prodotto può circolare liberamente. Non si può bloccare la successiva circolazione o rivendita del prodotto messo in commercio. È una regola fondamentale di equilibrio (evitare che il titolare blocchi il commercio successivo) che richiede precisazioni: • Esaurimento delle facoltà esclusive significa che il titolare non può controllare la successiva rivendita del prodotto messo in commercio quindi questo opera solo per gli esemplari di prodotto che il titolare mette in commercio (dipende dal titolare il quantitativo di merci). L’esaurimento non è presente per altri esemplari che il titolare non ha messo in commercio. Non si ha un esaurimento a tutto campo. • L’esaurimento opera solo per i prodotti messi in commercio dal titolare o con il suo consenso in Italia (esaurimento nazionale), Unione Europea e Spazio economico europeo (esaurimento comunitario). Si ha il fenomeno delle importazioni parallele (il prodotto messo in vendita nello Stato A viene importato in uno stato B). Si opera a prescindere dal punto in cui il prodotto è stato messo in commercio. È una manifestazione della regola del mercato unico e non opera su base mondiale (non vi è l’esaurimento internazionale). Si hanno dei confini esterni. Se la circolazione avviene in Europa la circolazione non può essere bloccata, mentre se un prodotto è messo in commercio dal titolare fuori dall’Unione Europea, lo stesso mantiene i diritti esclusivi sul prodotto nell’Unione Europea quindi se il titolare vende in Giappone o in USA può bloccare l’importazione in Paesi Europei. La norma parla di consenso e la giurisprudenza dice che il consenso ci può essere (quindi c’è esaurimento) se il titolare pur mettendo il prodotto in commercio fuori dall’UE ha manifestato l’autorizzazione o ha tenuto una condotta che esprime una sua autorizzazione all’importazione nell’Unione Europea. • L’esaurimento non opera e quindi il titolare può boccare la circolazione quando consiste un motivo legittimo (articolo 5 comma 2), in particolare quado lo stato del prodotto è modificato o alterato rispetto alla sua prima vendita. Ci possono essere situazioni come canali di vendita inadeguati, scarse garanzie per l’acquirente o danni di immagine in cui non è giustificata la libera circolazione. Un primo caso era stato quello delle lampadine. Il principio di esaurimento è una norma cardine e vale per tutti i diritti di proprietà intellettuale/ industriale. Lezione 27.03 I diritti morali sono inalienabili e intrasmissibili e non possono essere oggetto di atti di trasmissione. Sono sempre legati alla persona dell’inventore. Viceversa i diritti patrimoniali sono pienamente disponibili cioè possono essere oggetto di negozi giuridici. Una prima ipotesi è quella dell’atto di disposizione cosiddetto abdicativo ovvero la rinuncia al brevetto (non interessa mantenere in vita il brevetto e non si pagano le tasse). Si dispone del diritto di brevetto facendolo cessare e esplicitando che il diritto non è più esistente. Questo succede ad esempio quando il brevetto diventa oggetto di una causa e il titolare vuole evitare i costi legati ad essa o vuole evitare di discutere oppure sa che ha un alta probabilità che il brevetto sia revocato. I diritti patrimoniali possono essere disposti trasferendoli ad altri oppure mantenendoli e autorizzando un terzo a sfruttare l’invenzione brevettata. I casi di trasferimento possono derivare da atti tra vivi (inter vivos) o da successione ereditaria (mortis causa). Questo riguarda la titolarità di un brevetto di una persona fisica che, quando muore, “passa” i diritti agli eredi. Il brevetto può entrare a far parte di un testamento. Questa ipotesi non è frequente nella prassi. La seconda ipotesi consiste in contratti con cui il titolare dispone con un atto tra vivi del suo diritto. Gli atti di disposizione più frequenti sono cessione e licenza. La cessione o trasferimento è il contratto con cui il titolare trasferisce i diritto sul brevetto ad un altro soggetto (schema di contratto di compravendita). Sono contratti semplici nella loro struttura e hanno effetti istantanei. Viene concordata la cessione a fronte di un corrispettivo. Così le parti si mettono d’accordo. Dalla cessione il brevetto ha un nuovo titolare e l’esclusiva spetta al nuovo soggetto. Il vecchio titolare non ha più diritti. Più complessi sono, invece, i casi di licenza, la quale è il contratto con cui un soggetto titolare del brevetto, pur rimanendo titolare, autorizza un altro soggetto a sfruttare l’invenzione brevettata (schema di contratti di locazione o affitto). Il titolare autorizza un terzo a sfruttare il bene brevetto e il terzo in cambio alla facoltà di godimento versa un corrispettivo al titolare. I contratti di licenza sono molto più complessi di quelli di cessione. Il motivo riguarda il fatto che la cessione è un contratto a effetti istantanei mentre la licenza non è un contratto a effetti istantanei ma è un contratto di durata. Questi costituiscono un rapporto giuridico destinato a durare nel tempo ed a esplicare i suoi effetti nel corso del tempo. Non si stabilisce solo la licenza ma bisogna regolare anche il modo in cui questo rapporto si protrae nel tempo. Il contratto di licenza è opportuno che contenga norme di comportamento delle parti. Il corrispettivo non è obbligatorio infatti esistono contratti di licenza a titolo gratuito ma solitamente i contratti di licenza sono a titolo oneroso. Può essere difficile stabilire un corrispettivo equo. Tuttavia questo potrebbe, nel corso del rapporto, portare a degli squilibri. Di solito il canone non viene predeterminato in una somma fissa ma viene parametrato al fatturato o agli utili che il licenziatario riesce a trarre dallo sfruttamento dell’invenzione. Talvolta sono previsti anche poteri di controllo da parte del titolare sull’operato del licenziatario. Questo è il sistema dei canoni o royalties da licenza. È un sistema flessibile. Possono essere previste anche percentuali di ammortare decrescente nel tempo dovuto a obsolescenza, minor valore. Possono esserci pattuizioni accessorie come: • clausole di minimo garantito ovvero clausole secondo cui un minimo il licenziatario lo paga • entry fee ovvero il licenziatario paga una somma in partenza • il licenziatario si impegna a fare attività commerciali ulteriori a favore del licenziante (corrispettivo più basso a fronte di maggiori spese) Importante è la distinzione fra i tipi di licenza: esclusiva e non esclusiva. La prima costa di più in quanto è la licenza con clausola di esclusiva ovvero il titolare si impegna a non rilasciare altre licenza o può addirittura impegnarsi a non sfruttare il brevetto. In tutti gli altri casi si ha la licenza non esclusiva: il titolare è libero di sfruttare il brevetto e cedere licenza ad altri. I contratti inoltre possono contenere limiti di tempo (tutta la durata del brevetto o durata minore), clausole di rinnovo automatico salvo disdetta, limiti territoriali o limiti riguardo a prodotti, clausole risolutive espresse (a fronte di inadempimenti). In mancanza di diversa previsione di legge, i contratti di licenza e di cessione sono a forma libera. Non devono essere necessariamente stipulati per iscritto ma per legge può esserci un semplice • Protezione estesa: riguarda il post concessione del brevetto. Si ha un testo che non può essere integrato ma solo limitato. La protezione non può essere estesa del tutto. Anche dopo la concessione il brevetto può essere limitato (vera limitazione) ma non si può prendere qualcosa che è nella descrizione e spostarlo nelle rivendicazioni. L’oggetto non può più essere esteso. Non si può allargare l’oggetto del brevetto neppure attingendo a elementi presenti nella domanda iniziale. La domanda prima della concessione è abbastanza fluida ma solo se ciò che risulta nelle rivendicazioni era già presente da qualche parte nel brevetto. Se si presenta qualcosa d’altro il brevetto è nullo. Se il brevetto non è concesso si ha la stessa regola di rivendicazione di priorità ovvero è possibile intervenire limitando l’oggetto o estendendolo purché si estenda attingendo dal contenuto. Se il brevetto è già stato concesso questo può essere solo limitato e mai ampliato. Bisogna stare attenti, in entrambi i casi, alle finte limitazioni (si osserva se gli elementi erano presenti o meno nel brevetto). Sono due situazioni diverse che accadono in momenti diversi. • Il brevetto è concesso ad un non avente diritto (es. dipendente che si licenza e poi brevetta a suo nome): Il titolare può valersi della rivendica ovvero può farsi trasferire ai sensi dell’articolo 118 del codice la domanda di brevetto. Se tuttavia il titolare non si avvale di questa facoltà può agire per la nullità. Le cause di nullità e decadenza devono essere fatte davanti ad un giudice (articolo 117). È possibile che la nullità sia solo parziale: il brevetto rivendica le caratteristiche A, B e C e si scopre che ci sono anteriorità riguardo ad A e B. La nullità colpisce A e B mentre C rimane valido. È possibile anche la cd conversione del brevetto nullo (articolo 76). Esistono invenzioni minori che hanno privative minori ovvero si ha il brevetto per modello di utilità che dura 10 anni e ha una protezione minore. L’articolo 76 si occupa dell’eventualità che un’invenzione minore che avrebbe dovuto essere oggetto di privativa minore del modello di utilità, sia stata brevettata con il modello del brevetto pieno per invenzione. A certe condizioni, in questi casi, è possibile convertire il brevetto nullo. Si prende atto che il brevetto non può valere come brevetto per invenzione ma se ha i requisiti per valere come brevetto minore, al posto di dichiararlo nullo lo si può convertire ovvero lo si fa diventare brevetto per modello di utilità. Le cause di decadenza sono: • Mancata attuazione nel caso previsto dall’articolo 70 al quarto comma: caso limite in cui un soggetto ottiene licenza obbligatoria per mancata attuazione e tuttavia il terzo non attua il brevetto. Questo succede quando anche il licenziatario obbligatorio non attua il brevetto. • Mancato pagamento delle tasse annuali (articolo 75): se il pagamento delle tasse viene interrotto il brevetto decade. DIRITTO D’AUTORE Si parla di una disciplina ampia. Tratteremo particolarmente software e diritti d’autore. Il diritto d’autore è regolato in Italia non dal codice della proprietà industriale ma da una legge particolare: legge 633 del 1941. Nel corso del tempo ha subito modifiche, ammodernamenti e integrazioni. Ci sono una serie di direttive dell’Unione Europea a cui la legge italiana si è uniformata e ci sono trattati internazionali: Accordo Trips del ’94 e Convenzione di Berna di 1886 anch’essa più volte modificata. Si hanno quindi anche qui tre livelli: Convenzioni internazionali, legislazione comunitaria e legge nazionale. Il diritto d’autore nasce come forma di protezione di opere d’arte. Infatti, la legge 633 esordisce al primo articolo dicendo che questa legge protegge le opere dell’ingegno di carattere creativo. Se si utilizza il linguaggio comune anche un invenzione tecnica è frutto dell’ingegno e ha un carattere creativo. Tuttavia in termini giuridici questa espressione ha un carattere più circoscritto: si parla opere protette con il diritto d’autore e il carattere creativo è il requisito per l’esistenza di un valido diritto d’autore. La legge prosegue dicendo che le opere devono appartenere a questi campi: letteratura, musica, arti figurative, architettura, teatro e cinematografie (manifestazioni artistiche). Oggi, tuttavia, la legge sul diritto d’autore si amplia per quanto riguarda l’Europa dal ’92 con la direttiva sui software e dal ’96 per quanto riguarda la direttiva sulle banche dati; la protezione è stata estesa a questi elementi. Per il software il legislatore ha cercato di giustificarne l’inclusione nel diritto d’autore dicendo che il software può essere assimilato ad un opera letteraria in quanto il programma è scritto come un testo. Si ha tuttavia una finzione di assimilazione. Per le banche di dati non si è tentata una giustificazione ma è una scelta politica di protezione. Ci si chiede se le categorie citate siano tassative o meno ovvero se opere di altri campi possano includersi nel diritto d’autore. Questo presenta una disputa anche ai giorni d’oggi. L’articolo 2 precisa meglio che tipo di opere vengono protette. Mentre l’articolo 1 dettaglia i campi, l’articolo 2 fa un elenco di opere che possono essere protette. Questo elenco non è tassativo: ci sono opere che anche se non dettagliate possono considerarsi incluse. Ad esempio opere protette che non sono nell’elenco sono il format dei programmi televisivi e gli sviluppi di videogiochi. Il primo requisito principale è il carattere creativo. Questo è un concetto sfuggente che solitamente viene definito dalla giurisprudenza in questo senso: l’opera è frutto di una scelta personale dell’autore nell’espressione di un’idea. L’opera deve rispecchiare la personalità dell’autore, deve essere espressa in modo originale e individuale. Un tratto creativo manca in due ipotesi: quando l’autore copia o riprende elementi già presenti oppure quando non vi è discrezionalità e margine di espressione libera (es. manuale scientifico di leggi fisiche). Si dice che non basta tuttavia la novità soggettiva ma serve una novità oggettiva (incontri fortuiti – due autori arrivano alla stessa opera). Se è un caso di copiatura è chiaro che non vi è carattere creativo. Tuttavia se il secondo autore non copia ma facendo con il proprio sforzo creativo arriva alla stessa opera fortuitamente si ha comunque carattere creativo. L’opera è originale perché il secondo autore non era a conoscenza dell’opera precedente. La tesi oggettiva dice che non ci può essere diritto d’autore su cose identiche e quindi la cosa identica non può essere protetta con il diritto d’autore anche se manifesta creatività in senso soggettivo. Solitamente prevale, in Italia, la tesi oggettiva. Per le opere utili, più che la personalità dell’autore, deve essere evidente una novità oggettiva. Per tutte le opere dell’ingegno (tranne una) il carattere creativo è l’unico requisito per avere il diritto d’autore. Non vi è una valutazione di meritevolezza tipica, ad esempio, del diritto dei brevetti. Si ha quindi una soglia d’accesso minore e più agevole. Basta una creatività in termini di sforzo personale e diversità da opere già esistenti. L’opera che non rientra in questa affermazione è il design industriale: non basta il carattere creativo ma è necessario anche il valore artistico specifico. È necessaria una meritevolezza artistica. Questo ha creato un problema per quanto riguarda la progettazione dei punti vendita: è discusso se il disegno (progettazione) del negozio sia da qualificare opera di architettura o design. Se si qualificano come opere d’architettura sono valutate solo sulla base del carattere creativo mentre se si qualificano come opere di design devono avere sia il carattere creativo che il valore artistico. Nel diritto d’autore c’è una soglia d’accesso agevole ma c’è una protezione circoscritta: riguarda solo la forma espressiva e non il contenuto e le idee sottostanti. Non si ha un monopolio sulle idee ma solo sulla forma espressiva mediante la quale l’idea è espressa. La forma protetta non è solo quella esterna ma anche quella interna. Ad esempio si immagini un romanzo con dei personaggi e una sua trama. La forma esterna è la sequenza delle parole del romanzo ed è protetto (divieto di copiare il romanzo). La forma interna è la struttura, la trama, l’organizzazione dell’opera. È protetta quindi anche la trama. Non è coperto invece il contenuto delle idee quindi un terzo può scrivere un romanzo sulla stessa idea. La tutela della forma e non delle idee si ritrova nell’ambito dei software e delle banche dati. La differenza fra tutela di contenuto e tutela della forma è problematica: mentre se il software viene brevettato, il brevetto da una protezione sull’idea di funzionamento, se il software è protetto da un diritto d’autore, si ha una protezione sulla forma, sul programma ma non sull’idea sottostante il funzionamento. La fattispecie costitutiva è in linea con un’acquisizione facile del diritto d’autore il quale sorge per il solo fatto della creazione dell’opera. È un diritto che si acquisisce senza formalità costitutive. Non è necessaria alcuna forma di registrazione o brevettazione. Basta creare l’opera e questa è protetta. Si prevedono alcune registrazioni ma queste hanno altri fini rispetto alla costituzione del diritto. L’opera deve essere estrinsecata (non coincide con “pubblicata”): l’opera non deve essere creata nella mente dell’autore ma l’opera deve uscire nel mondo esterno. L’opera può essere estrinsecata anche verbalmente (doti di improvvisazione). La mera creazione accompagnata da estrinsecazione fa sorgere il diritto d’autore. Questo sorge sempre a titolo originario in capo all’autore. Successivamente può essere trasferito (si ha anche il trasferimento per legge). Bisogna tenere presenti quattro categorie di opere frutto del contributo creativo di più autori: • Opere in comunione (articolo 10): sono opere frutto dell’opera creativa da più autori caratterizzate dal fatto che il contributo è indistinguibile e inscindibile (es. romanzo scritto da due autori). I diritti spettano a tutti i co-autori e se non hanno tra loro regolato diversamente, i diritti patrimoniali spettano in parti uguali. • Opere composte: sono opere in cui ci sono contributi creativi di più persone i cui contributi rimangono individuali (es. canzoni, opere liriche, film). La particolarità di queste opere è data dal fatto che anche qui i diritti d’autore spettano ai diversi co-autori ma con due particolarità: • La legge individua un soggetto che può esercitare i diritti e può decidere come sfruttarli autonomamente. Si previene il problema di possibile disaccordo fra co-autori. In caso di opere composte la regole prevede che i proventi vadano a tutti i co-autori salvo diverso accordo ma un solo soggetto viene, per legge, investito nel diritto di sfruttare l’opera. Ad esempio nelle opere testi e musica, la legge dice che, salvo diverso accordo, è l’autore della parte musicale a decidere mentre nelle opere cinematografiche e il produttore cinematografico. • Poiché i contributi sono distinti e separati, ciascuno dei co-autori può utilizzare separatamente la sua parte purché non lo faccia per destinarla ad un’opera in concorrenza. • Opere collettive: sono contenitori di opere diverse che vengono scelte e coordinate ma che non si fondono in un’opera unica (es. enciclopedia, giornale). Si ha un diritto sull’opera collettiva che spetta secondo l’articolo 7 all’autore dell’opera collettiva ovvero il soggetto che ha organizzato e diretto l’opera e poi si hanno tanti diritti dei singoli co-autori per i singoli contributi. • Opere derivate o elaborate: sono frutto del contributo creativo di più autori in modo progressivo nel tempo. Sono opere che nascono dall’elaborazione creativa di un’opera precedente (es. trasformazione di un romanzo in un film). Il software è tipicamente un opera elaborata. Il regime è che sull’opera elaborata i diritti esclusivi spettano a chi ha compiuto l’elaborazione ma siccome questa incorpora un’opera precedente bisogna avere il consenso dietro pagamento (giusto compenso) del titolare della prima opera. Lezione 05.04 Il diritto d’autore nasce senza formalità costitutive. L’unico requisito di esistenza è la creatività dell’opera (eccezione del design che deve presentare anche il valore artistico). È una tutela di forma espressiva. Si osservano i diritti patrimoniali. Come per i brevetti vi è la distinzione fra diritti morali e diritti patrimoniali (sfruttamento economico dell’opera). Il diritto d’autore come si può sfruttare economicamente? Si ha un’esclusiva e la legge interviene a fissare i confini dell’esclusiva (perimetro). La regola generale (comma 2 articolo 12 l.a.) prevede che il diritto patrimoniale sia un diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma o modo. Per utilizzo si intende compiere un’attività che permette a terzi di fruire dell’opera (es. stampa di un libro, riproduzione di un quadro). La copia dell’opera serve a renderla fruibile ad una platea di consumatore e quindi costituisce utilizzo (distribuzione, vendita, comunicazione, trasmissione). Sono attività con le quali si entra in contatto quotidianamente e che permettono godimento. L’utilizzo economico è qualunque di questa attività che sia idonea a creare profitto per il titolare. Vi è una sfumatura importante: non è necessario, perché si possa parlare di utilizzo economico, in materia di diritto d’autore, che l’utilizzo sia fatto a fini di lucro per chi sfrutta l’opera. Normalmente le esclusive sono contro attività propriamente economiche (commercio) non contro attività private. Tuttavia nella tutela del diritto d’autore c’è una tutela diversa. Proprio perché ci sono tanti fenomeni di copia (anche in ambito privato) che il legislatore non vuole consentire. “Utilizzo economico” è qualsiasi forma di sfruttamento che se compiuta dal titolare gli procurerebbe un profitto. Se un terzo non autorizzato fa attività di questo tipo, anche se fatta gratuitamente o non a fini di lucro, ha comunque trattenuta dal venditore (es. fotocopisteria) e versati a favore del titolare dell’opera. Nel caso di fonogrammi e videogrammi vi è un sistema di prelievo alla fonte sulla vendita dei supporti (CD) che permettono la copia (quando si copra il CD vuoto o l’apparecchio di registrazione, una parte della somma versata è trattenuta e versata al titolare del diritto). È un sistema equitativo perché è impossibile individuare tutti i privati che copiano in ambito privato e individuare gli esatti compensi. Il diritto d’autore è un diritto sull’opera dell’ingegno non sul supporto in sé quindi se si è proprietari del quadro, non necessariamente si è titolare del diritto d’autore sull’opera. Si dice che c’è una differenza fra il corpus mysticum (opera dell’ingegno, creazione, struttura, parole) e corpus mechanicum (supporto che serve a fissare l’opera e renderla fruibile come il quadro, la carta). La distinzione è importante perché quando si compra un quadro, un libro si diventa proprietari del supporto ma non si acquistano i diritti d’autore sull’opera. DIRITTO DI DISTRIBUZIONE Si ha la messa in commercio o circolazione dell’originale e degli esemplari dell’opera. È il caso della vendita. Quando l’autore autorizza i terzi a stampare l’opera, spesso li autorizza anche a venderla. Tuttavia vale sempre il principio di indipendenza. Il titolare può vietare la vendita dell’opera in un certo Paese. Anche qui opera il principio d’esaurimento visto per i brevetti: una volta che l’esemplare è stato venduto all’interno dell’UE tutte le rivendiche successive sono autorizzate. Bisogna tener presente che il principio di esaurimento opera solo ed esclusivamente per il diritto di distribuzione. Tutti gli altri diritti non sono soggetti ad esaurimento quindi se si copra l’esemplare si può rivendere ma non si può duplicare, noleggiare, comunicarlo, elaborarlo senza il consenso del titolare. Se la distribuzione è la vendita, noleggio e prestito sono assimilabili a locazione. Il noleggio consiste nella concessione del godimento dell’opera per un determinato periodo (es. videonoleggio). In questo caso anche il supporto rimane di proprietà del titolare. Il prestito è la stessa cosa del noleggio ma senza fine di lucro. Proprio perché è considerato un invasione minore della sfera del titolare, il prestito fra privati è libero e non coperto da diritto d’autore. Viceversa, il prestito gratuito è riservato al titolare se è effettuato da istituzioni aperte al pubblico come la biblioteca. Questa può fare attività di prestito solo con l’autorizzazione del titolare del diritto. Proprio per le biblioteche, alcuni tipi di prestito, grazie al loro rilievo culturale sono esentati. Quindi si può dire che il noleggio è a titolo oneroso ed è sempre coperto da diritto d’autore mentre il prestito è a titolo gratuito ed è coperto da diritto d’autore solo nei casi particolari. DIRITTO DI RAPPRESENTAZIONE, ESECUZIONE E DI RECITAZIONE Si parla di comunicazione dell’opera. È riservato al titolare la cd comunicazione al pubblico presente: sono i casi in cui l’opera è trasmessa in un luogo in cui è fisicamente presente il pubblico destinatario. I casi classici sono: rappresentazione di un’opera a teatro, esecuzione musicale, ecc. Tutto ciò vale anche nel caso in cui queste siano registrate. Sono tutti casi in cui o dal vivo o tramite registrazione viene comunicata un’opera ad un pubblico che si trova nel luogo in cui la comunicazione è effettuata. Questo diritto è riservato al titolare solo se avviene in pubblico e non se avviene in ambito privato o all’interno di una famiglia, di una scuola, di un istituto. Infine vanno tenuto presenti specifiche ipotesi secondo cui in alcuni casi la recitazione di certe opere a fini di promozione culturale, di enti culturali non è protetta da diritto d’autore e in altri casi in cui le esecuzioni e le comunicazioni fatti per motivi di solidarietà, di volontariato, di assistenza, senza scopo di lucro sono soggetto ad una sorta di “libertà pagante” ovvero possono essere fatte pagando un corrispettivo ridotto. Vi è una seconda ipotesi di comunicazione che è quella ad un pubblico distante: è la comunicazione dell’opera ad un pubblico presente su filo o senza filo (radio, televisione, satellite, internet, streaming, on demand). Sono tutti i casi di comunicazione da un punto alla massa. Il fattore importante è che questo diritto riguarda tutti i casi in cui vi è una trasmissione ad un pubblico non presente nel luogo in cui avviene l’attività di comunicazione. Tutti queste forme di comunicazione sono riservate al titolare. Un terzo non può diffondere su internet un contenuto a meno di un autorizzazione. Bisogna stabilire quando si è di fronte ad un pubblico. Quando la comunicazione avviene fra privati, questa non è coperta da diritto esclusivo. Se il numero di fruitori è indeterminato si ha un concetto di pubblico. Non è sempre immediato stabilire quando si ha una comunicazione al pubblico o meno. Si ha un caso interessante deciso dalla corte di giustizia il 31.05.2016 di Reha Training: centro di riabilitazione per persone che hanno subito incidenti. Questa società aveva installato dei televisori che trasmettevano contenuti protetti. I titolari del diritto d’autore sono intervenuti dicendo che vi era una violazione di comunicazione al pubblico a distanza. La corte di giustizia ha fissato una serie di principi: c’è una comunicazione quando l’opera protetta è stata trasmessa in qualsiasi modo (schermo), la comunicazione a distanza si deve ritenere aperta al pubblico se destinata ad un numero indeterminato di fruitori potenziali a condizioni che questi siano un numero considerevole, si deve trattare inoltre di un pubblico nuovo ovvero un pubblico che non era stato preso in considerazione dai titolari del diritto (il pubblico non si sarebbe trovato a contatto con l’opera se non si fosse trovato presso il terzo che l’ha diffusa senza autorizzazione), e deve altresì trattarsi di un pubblico ulteriore (il pubblico non sarebbe stato raggiunto da un diffusione autorizzata dal titolare). Se è un gruppo aperto, numericamente significativo, nuovo e ulteriore allora vi è una comunicazione al pubblico. Il pubblico nuovo o ulteriore può essere anche pubblico della stessa zona in cui la comunicazione è stata autorizzata. Un altro aspetto considerato è che bisogna osservare se il soggetto che ha fatto la comunicazione non autorizzata ha tratto o meno un profitto. Ciò non implica solo un guadagno ma anche un semplice vantaggio grazie a questi contenuti. Vi è violazione perché il pubblico è vasto, nuovo e ulteriore, inoltre vi è un guadagno ulteriore dovuto all’ulteriore servizio offerto (plus). Un altro esempio riguarda uno studio dentistico anche se la corte di giustizia ha stabilito che non si trattasse di una violazione in quanto il numero di persone è esiguo e in più le persone non vanno dal dentista per ascoltare musica (nessuna utilità per il dentista). Per lo stesso motivo se si registra un canale televisivo e lo si ritrasmette online anche all’interno della stessa zona si ha una violazione. Altra sentenza (ITB 07.03.2013) dice che se un soggetto diverso dall’emittente televisiva autorizzata capta il segnale e lo trasmette su internet è una violazione perché raggiunge un pubblico nuovo, ulteriore e non considerato prima. Lezione 10.04 DIRITTO DI ELABORAZIONE Il titolare del diritto d’autore non ha solo il diritto di vietare la copia dell’opera ma ha un’esclusiva anche sull’elaborazione ovvero sullo sfruttamento dell’opera per crearne un’altra che verrà messa sul mercato (da un romanzo si ottiene l’opera derivata di un film). È necessario il consenso dell’autore per fare questa attività e bisogna rispettare le condizioni stabilite dal titolare. Questo vale in qualsiasi forma di elaborazione, modificazione e trasformazione compresa la traduzione dell’opera (si può vietare la traduzione in una certa lingua o la vendita in un dato territorio). Si vuole riservare al titolare lo sfruttamento economico di tutti gli aspetti originali della sua opera e di conseguenza sfruttare l’opera stessa. Ci si chiede quando interviene questo diritto esclusivo ovvero quando il titolare può opporsi all’attività del terzo. Se il terzo scrive un sequel di un romanzo per soddisfazione personale si ha un’attività in violazione? Dipende dal tipo di opera. La tesi prevalente è che per le opere artistiche vere e proprie (romanzo, musica, film), il diritto di elaborazione blocca solo lo sfruttamento commerciale ed economico. Non si spinge fino a bloccare il fatto in sé dell’elaborazione. Per le opere utili (software e banche dati) prive di valore artistico si dice (prevalentemente) invece che il tipo di opera è tale per cui si può ritenere che chi fa un’elaborazione non possa farla per una soddisfazione personale o gusto artistico ma solo per finalità economiche. Sulla base delle motivazioni che normalmente spingono a elaborare l’opera si tende a dire che l’elaborazione per finalità artistica o gusto personale non può essere vietata (può essere vietato solo l’eventuale sfruttamento successivo) mentre per elaborazioni che si collocano in un contesto imprenditoriale ed economico già il fatto di fare l’elaborazione è vietato (si anticipa il momento della tutela del titolare). Quanto durano i diritti d’autore? La regola, che effettivamente può avere un senso per le opere d’arte ma meno per le opere utili, dice che la tutela dura per tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte. Solo dopo i settant’anni dalla morte i diritti cessano. Il termine è molto più lungo di quello dei brevetti e si giustifica perché si dice che per le opere di diritto d’autore l’esigenza di una caduta in pubblico dominio è meno sentita e intensa rispetto ai brevetti. Si può ritenere che la portata monopolistica sia meno intensa. Questo discorso è stato pensato per le opere d’arte mentre non ha molto senso per le opere utili (non è coerente e non ha utilità in quanto c’è un alto tasso di obsolescenza). Per le opere in comunione semplici (frutto del contributo indistinguibile di più autori) e composte (i contributi pur fondendosi in un’unica opera restano individuabili) i diritti d’autore si calcolano sempre con la regola dei settant’anni a decorrere dalla morte dell’ultimo co-autore. Per le opere collettive (assemblaggio di contributi di vari autori) la durata dei diritti sui singoli contributi si determina sulla vita di ciascun autore mentre i diritti sull’opera come un tutto durano settant’anni a partire dalla prima pubblicazione. LIBERE UTILIZZAZIONI Le opere a contenuto tecnologico hanno un forte rilievo. Il tema è lo stesso di quello dei brevetti. Sono presenti interessi conflittuali fra di loro ma meritevoli di tutela. Sono previste delle aree di libero uso ovvero aree in cui prevale il diritto del terzo allo sfruttamento e non viene consentito al titolare di far valere l’esclusiva. Abbiamo parlato di libere utilizzazioni quando si parla di diritto di riproduzione (ci sono casi di copia temporanea che sono esentati). Questo è un esempio di libero uso. Ci sono casi invece di libertà pagante: situazioni non di libero uso tout court ma situazioni in cui l’esclusiva viene degradata ad un diritto al compenso. La copia privata dell’articolo 68 è un libero uso a tutto campo mentre nelle altre ipotesi di fotocopie e audio si hanno ipotesi di libertà pagante. Si hanno ipotesi “schematizzate” per tipi di motivi per cui il legislatore ha inserito questi singole ipotesi di libero uso. È importante ricordare questi ragioni di fondo perché sono le stesse che giustificano certi liberi usi che caratterizzano le opere utili. • Una prima finalità è l’interesse del pubblico a essere informato sui fatti (finalità di informazione o di cronaca). Sono previste dalla legge una serie di ipotesi in cui si può liberamente utilizzare un materiale (articolo, filmato coperto da diritto d’autore) per finalità di informazione del pubblico. • Riproduzione o comunicazione di articoli di attualità e di materiali dello stesso carattere • Riproduzione o comunicazione di opere o materiali utilizzati in occasione di avvenimenti di attualità • Riproduzione o comunicazione di discorsi tenuti in pubblico su argomenti di interesse politico o amministrativo e di estratti di conferenze aperte al pubblico. Queste, a certe condizioni, non possono essere vietati dai titolari. Questa finalità fa parte della prima ipotesi. • Utilizzo dell’opera per finalità di pubblica utilità e solidarietà: • Riproduzione dell’opera per fini di pubblica sicurezza (es. banche dati – se le forze dell’ordine devono accedere ad una banca dati per ragioni di sicurezza, il titolare del diritto non può vietarlo) • Riproduzione dell’opera per uso personale a beneficio di portatori di handicap (legislazione specifica - trasformazione di opera a stampa con audio libri per i non vedenti) • Riproduzione di emissioni radiotelevisive in ospedale o in istituti di prevenzione (carcere) con equo compenso del titolare (libertà pagante). • Finalità di diffusione dell’opera e promozione culturale: si cerca di evitare che il diritto d’autore diventi un ostacolo alla finalità di promozione della cultura. Per questo motivo è possibile, entro certi limiti, una serie di attività di biblioteche ed enti pubblici. Ci sono attività di istituti culturali Anche per il diritto d’autore si pone il problema di valutare la contraffazione. I casi di violazione di diritto quando un terzo compie un’attività che sarebbero riservate al titolare del diritto e che vengono poste in essere senza consenso: • Plagio (violazione del diritto morale di paternità ma si può sentire anche per i diritti patrimoniali) – contraffazione (violazione dei diritti patrimoniali): si compie un’attività di elaborazione, riproduzione, comunicazione che è vietata • Copia/ripresa integrale dell’opera (tutta o in parte) • Realizzazione di un’opera che presenta differenze rispetto all’opera originale ma con la ripresa degli stessi elementi creativi: il criterio di valutazione è quello della riconoscibilità ovvero si mettono a confronto le opere, si individuano gli elementi creativi della prima e si valuta se la seconda conserva i tratti essenziali caratterizzanti l’opera anteriore e li conserva in modo riconoscibile. Questo criterio riprende la contraffazione per equivalenti dei brevetti. Per evitare la contraffazione bisogna fare un’opera autonoma. Se il terzo si limita a prendere ispirazione a un certo tema, a un certo stile, a un certo movimento ma crea un’opera autonoma senza riprendere gli elementi creativi non vi è contraffazione. Questo accade perché il diritto d’autore tutela la forma e non le idee sottostanti l’opera. SOFTWARE Si parla di opere utili. Si hanno il software, le banche dati e l’industrial design. Con opere utili si intendono opere a contenuto tecnologico o comunque non artistico che negli ultimi 25/30 anni sono state attirate nell’ambito di protezione del diritto d’autore perché altrimenti non si sapeva dove collocarle. Il software ha avuto una storia particolare: dovrebbe essere tipicamente materia di brevetto ma per ragioni storiche di timore di inadeguatezza degli uffici e di intralci di mercato si è introdotto il divieto di brevettazione. A questo si è posto rimedio nel corso del tempo ammettendo la brevettazione in tutti i casi in cui vi è un’applicazione tecnica. A livello legislativo la strada percorsa è stata quella di collocare il software nel diritto d’autore. La base di partenza, quindi, è un divieto di brevettazione ma si ha una successiva evoluzione che ha portato da un lato a recuperare in via interpretativa un’ampia fascia di brevettazione e dall’altro è stata pensata una specifica forma di protezione del software con il diritto d’autore (per esclusione). è stata pensata una specifica forma di protezione del software con il diritto d’autore (per esclusione). La situazione attuale non è lineare: ci sono software che possono essere sia materia di diritto d’autore sia materia di brevetto con tutte le relative problematiche. Se si parla di brevetto si hanno 20 anni di tutela piena con necessità di un processo di brevettazione. Se si parla di diritto d’autore si ha una tutela più lunga ma ristretta (solo contro l’espressione e non tutela relativa all’idea) con una maggiore accessibilità. Entrambe le tutele hanno pro e contro. Il problema si pone anche per quanto riguarda la contraffazione. Il quadro normativo: • Direttiva CE 2009 (in precedenza direttiva del 1991) • Articolo 10.1 Accordo TRIPs • Articolo 4 WIPO Copyright Treaty: trattato in materia di copyright negli anni ’90 in cui è presente, nell’articolo 4, il software Queste normative sono state riprese e trasfuse nella nostra legge sul diritto d’autore (l.d.a.): • Articolo 1.2 • Articolo 2 n.8 • Articolo 12 bis • Articolo 64 bis, ter, quater Queste norme non regolano tutti gli aspetti dei software. Per tutto ciò che non è regolato in questi articoli si utilizzano le regole generali del diritto d’autore. Cosa può essere protetto? L’articolo 1.2 dice che i programmi per elaboratore sono da ritenere protetti come opere letterarie (finzione di assimilazione) mentre l’articolo 2 n.8 dice che il diritto d’autore protegge il software quale risultato di una creazione intellettuale dell’autore. Il software è un insieme di istruzione caricati su un hardware che fanno eseguire una certa operazione ad un elaboratore. La direttiva dà questa definizione all’articolo 1 e considerando 7 (spiegazioni preliminari tipiche dell’UE): sono “programmi per elaboratore” i programmi “in qualsiasi forma, compresi quelli incorporati nell’hardware”; possono essere protetti anche i lavori preparatori di progettazione per realizzare un programma se sono di natura tale da consentire la realizzazione di un programma per elaboratore in una fase successiva. La mera ideazione iniziale del programma (funzionamento, principi) non è protetta da diritto d’autore (eventualmente materia di brevetto). Così pure non sono protetti perché non sono ancora compiutamente espressi in un programmi i vari algoritmi, diagrammi, schemi di struttura generale del programma. Quando si dice che il diritto d’autore protegge la forma espressiva e non l’idea, questo implica che una forma espressiva sia presenta. Questo per il software ha un rilievo: all’espressione del programma si arriva attraverso fasi successive e solo quando si arriva ad un programma espresso si può avere una forma espressiva protetta. Se non si è ancora arrivati ad uno stadio di progettazione in cui vi è una forma espressiva del programma chiara non si può dire che ciò che era allo stadio di idea si è già estrinsecato in una forma espressiva. Questo è motivo per cui gli algoritmi, i diagrammi e gli schemi di funzionamento non sono ritenuti protetti dal diritto d’autore perché fa difetto la sufficiente compiutezza espressiva. Sono protetti i programmi per elaboratori compiutamente realizzato espresso in qualsiasi forma in quanto in questo caso si ha compiutezza espressiva. Qui si comprende la regola dei lavori preparatori i quali sono protetti se sono di natura tale da consentire la realizzazione del programma (sono già così definiti che per arrivare alla compiutezza del programma ci vuole poco). Nel caso di algoritmi si hanno lavori preparatori ma non si ha ancora una sufficiente compiutezza espressiva mentre quando si va oltre e si arriva nella fase in cui c’è solo un passaggio banale e routinario per arrivare al programma in forma definitiva questi lavori preparatori sono caratterizzati da compiutezza espressiva che ne consente la tutela. Sempre sulla forma di espressione del programma si ha un’altra precisazione: il programma può essere espresso sia in codice sorgente (codice normalmente segreto delle software house) sia in codice oggetto (linguaggio macchina, impulsi dati all’elaboratore) che si trova sul mercato. Il diritto d’autore copre anche il codice oggetto? Verrebbe da dire che se non lo coprisse il diritto d’autore non servirebbe. Ma come è possibile tutelare un qualcosa che non è leggibile dall’uomo? Sia l’accordo TRIPs sia la corte di giustizia UE con una sentenza hanno specificato che il linguaggio macchina è una forma di espressione del software. È la prima volta, nella storia della proprietà intellettuale, che si è data una tutela a una forma espressiva non leggibile dall’uomo. Pertanto tutte le forme di espressione sono protette. L’interfaccia grafica (GUI) ovvero i comandi del computer, le icone, il layout sono software? La corte di giustizia nella stessa sentenza ha fatto una precisazione: in sé l’interfaccia, il layout non è software perché non è un programma che fa funzionare l’hardware ma se in sé l’interfaccia ha qualche elemento creativo può essere protetta con le regole generali del diritto d’autore. Allo stesso modo si hanno la creazione di un nuovo linguaggio di programmazione, nuovi formati file o simili (non sono software ma possono essere tutelati secondo le regole generali). Per quanto riguarda le interfacce grafiche c’è molto dibattito sulla creazione di esclusive. Un problema tipico della disciplina è il seguente. Per le opere della letteratura la legge tutela sia la forma esterna (sequenza delle parole) che la forma interna (trama). Nel momento in cui si dice che il software è opera della letteratura si ripropone il problema. Il software è protetto nella sua forma esterna (codice oggetto e codice sorgente) ma la struttura del software, la sua organizzazione ovvero la forma interna è proteggibile? Questo è un interrogativo che non ha risposta definitiva ed è oggetto di posizioni contrastanti: 1. Posizione di negazione: a differenza di quanto avviene per le opere della letteratura, la protezione è solo per quanto riguarda la forma esterna perché se si proteggesse la struttura si proteggerebbe anche l’idea, cosa non consentita dal diritto d’autore 2. Posizione simile alla teoria dei lavori preparatori: per evitare che la protezioni della struttura interna sconfini alla protezione dell’idea si può avere una protezione interna solo dove sia strettamente compenetrata alla forma esterna (stesura del programma) o così dettagliata da diventare un passaggio immediato e scontato verso il codice sorgente. Questa teoria non nega del tutto la teoria della struttura ma protegge una forma interna che coincide o quasi con la forma esterna. 3. Posizione di apertura: a meno che non sia una forma, una struttura necessitata, obbligata per raggiungere un risultato tecnico e quindi non ha creatività e originalità, anche la struttura interna è protetta. Come si acquisiscono i diritti? Si acquisiscono secondo la regola generale del diritto d’autore che è la creatività (risultato della creazione intellettuale dell’autore). Questa è una tipica differenza con i brevetti, disciplina in cui serve meritevolezza. In materia di brevetti “originalità” significa livello inventivo, non evidenza (non alla portata del tecnico medio) mentre in materia di diritto d’autore è sinonimo di carattere creativo (non vi è copia ma una scelta discrezionale). Si parla di autonomia della creazione. Anche sul software i diritti spettano a chi ha creato il programma. L’articolo 12 bis dice che salvo patto contrario se il programma è creato da un lavoratore dipendente nell’esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore, i diritti patrimoniali spettano al datore (come le invenzioni in materia di brevetti). La differenza principale con i brevetti (più giuridica che pratica) è che in materia di brevetti quando l’articolo 64 c.p.i. dice che il brevetto spetta al datore intende dire che gli spetta a titolo originario (il diritto sorge in capo al datore). Nell’ambito del diritto d’autore, invece, poiché la regola è che il diritto d’autore sorge sempre a capo di chi ha creato l’opera, si dice che l’articolo 12 bis deve essere inteso nel senso che originariamente il diritto d’autore sorge comunque in capo al dipendente, tuttavia immediatamente e automaticamente si trasferisce per legge (ex lege) dal dipendente al datore di lavoro. Da un punto di vista civilistico per i brevetti il datore acquisisce il diritto a titolo originario mentre nella disciplina del diritto d’autore si acquisisce il diritto a titolo derivativo (in forza di un automatico passaggio per legge). Lezione 12.04 Per quanto riguarda i diritti morali sui software valgono le disciplina generali del diritto d’autore (nei limiti in cui può avere un significato un diritto morale della personalità per una creazione utile come il software) mentre per i diritti patrimoniali il creatore del software ha tutti i diritti esclusivi previsti dalla legge e per tre di questi diritti ovvero riproduzione, elaborazione e distribuzione si hanno regole particolari. Si ha una cornice generale degli articolo da 12 a 19 l.d.a. per quanto riguarda i diritti patrimoniali e all’interno di questa cornice ci sono nell’articolo 64 bis delle regole particolari per questi diritti esclusivi. Per il diritto di riproduzione (lettera a dell’articolo 64 bis) la legge si limita a ribadire che la copia del programma è riservata al titolare ed è vietata qualsiasi forma di riproduzione (sia del codice oggetto che del codice sorgente) con qualsiasi mezzo (digitali, mezzi meccanici, fotocopiatura, trascrizione) sia totale che parziale. Anche le singole porzioni dell’opera sono protette se in sé hanno carattere creativo. Con il software si pone il problema della riproduzione temporanea che è quella della vendita online ovvero tutte le copie che si creano nei passaggi della rete o nelle situazioni in cui la presenza del software sull’elaboratore dell’utente è temporanea. Il diritto d’autore prevede anche la tutela della copia temporanea con l’eccezione dell’articolo 68 bis (copia temporanea lecita). Si diche che anche tutte le operazioni di caricamento, visualizzazione, esecuzione, trasmissione o memorizzazione del programma, se richiedono la riproduzione del programma, sono soggette ad autorizzazione del titolare. L’esclusiva a favore del titolare, quindi, opera anche quando le copie si creano nell’utilizzo del programma con le tipiche operazioni di download, caricamento, esecuzione, mentre non è possibile intervenire con un’analisi più invasiva (scomporre il codice oggetto per risalire al codice sorgente). C’è quindi la regola generale di libero uso per finalità di studio ma con limitazioni. Solo in un caso particolare è possibile anche lo studio dall’interno ovvero sottoporre il programma ad analisi: questa attività si chiama decompilazione ovvero l’analisi del codice oggetto per risalire al codice sorgente. Il caso è quello dell’interoperabilità ovvero la capacità di due sistemi informatici di interagire fra loro e scambiare informazioni (es. programma di videoscrittura montato su un sistema operativo). Se la finalità è quella di analizzare un programma per capire come funziona al fine di renderlo interoperabile con un altro programma, per questa limitata finalità è possibile decompilare. Come regola generale quindi è possibile studiare il software solo dall’esterno. Solo ed esclusivamente nel caso in cui la finalità dello studio è rendere il software interoperabile con un altro allora è possibile andare oltre l’esame dall’esterno e decompilare, decriptare il programma per risalire al codice sorgente e ai principi alla base del programma. L’articolo 64 bis indicano le facoltà esclusive mentre 64 ter e quater indicano il regime dei liberi usi. BANCHE DATI Si parla di opera utile d’eccellenza nel mercato dell’informazione. Quanto più ci si muove in un mondo globalizzato tanto più è importante reperire informazioni in tempi minimi. Si creano banche dati ovvero insiemi ragionati di dati relativi ad un certo settore e con un motore di ricerca interno per individuare l’informazione ricercata. C’è una forte domanda ed esigenza di avere dati organizzati e a questo corrisponde l’apertura di un mercato per chi crea le banche dati e quindi vuole fare profitto grazie alla messa a disposizione di questi servizi. C’è un’opera facilmente copiabile che ha dei costi di allestimento pertanto va protetta. La risposta a questa esigenza è la tutela del diritto d’autore ovvero la creazione per legge di un’esclusiva su una creazione che ha utilità sul mercato o con finalità virtuosa. Si ha un quadro normativo che si articola sui vari livelli: • Artt. 1.2, 2 n. 9, 12-bis, 64-quinquies, 64-sexies, 102-bis e 102-ter l.d.a. • Direttiva CE n. 96/9 dell’11 marzo 1996 • Art. 10.2 Accordo TRIPs • Art. 5 WIPO Copyright Treaty • V. anche art. 2.5 Convenzione di Berna Questa disciplina protegge la banca dati intesa come “una raccolta di opere, dati o altri elementi indipendenti sistematicamente o metodicamente disposti ed individualmente accessibili mediante mezzi elettronici o in altro modo”. Vediamo le caratteristiche principali: • Raccolta o compilazione: insieme di dati, informazioni, elementi. Non è necessario che ogni singolo elemento sia creativo (es. rubrica del telefono, listino di borsa di un titolo) • Elementi indipendenti: il singolo elemento può essere separato dagli altri senza perdere valore (artistico, informativo, letterario). Se si prende un dato e si estrapola dalla banca dati, questo deve essere indipendente (es. elenco telefonico). Non rientrano le opere audiovisive o cinematografiche perché i singoli elementi non sono indipendenti. • Elementi disposti in maniera sistematica o metodica: i dati devono essere disposti in modo ordinato per poter essere consultati (deve esserci un metodo, un criterio). • Individualmente accessibili: una banca dati deve avere uno strumento di ricerca interno che permette di individuare l’elemento di cui si desidera acquisire la disponibilità (caso Fixtures Marketing). Nelle banche dati prima dell’era digitale vi erano elenchi con indici di repertorio mentre ora le banche dati vengono consultate online e quindi è fondamentale che la banca dati abbia una pagina interna di ricerca. Quali sono le forme di tutela delle banche dati? Bisogna tener presente che ci sono due forme: • Tutela specifica del diritto d’autore per le banche dati creative • Tutela sui generis (esclusiva particolare e non vero e proprio diritto d’autore) per le banche dati che non siano creative ma che abbiano richiesto un investimento rilevante Può accadere che la banca dati sia creativa quindi giustamente è tutelata da diritto d’autore ma può anche accadere che costituire una banca dati richieda un investimento notevole, il quale mette capo ad un opera utile per la collettività anche se in sé la banca dati non ha nulla di creativo (es. schede di razze canine). Ci sono molte banche dati che è utile che ci siano, che costano per essere create e che non sono proteggibili con diritto d’autore perché la loro creazione non ha richiesto apporto creativo. Il legislatore ha deciso di creare un’esclusiva specifica che non è diritto d’autore perché non c’è creatività ma che ha esclusiva in quanto ha fondamento in un investimento rilevante che è meritevole sia per il creatore sia per la collettività. Per quanto riguarda il diritto d’autore c’è creatività solo se sono creativi alternativamente uno tra due elementi: la scelta o la disposizione. “Scelta” vuol dire che i dati che sono stati selezionati, sono stati selezionati in modo originale. “Disposizione” interessa il modo di creare la banca dati (modo di coordinamento, organizzazione, ricerca dei dati). La sentenza Football Dataco dice che la costituzione nella scelta o nella disposizione manifesta creatività se l’autore esprime la capacità creativa con proprie scelte autonome, libere, discrezionali e quindi se il modo di scegliere i dati è originale e propria dell’autore. Viceversa, se non c’è un margine di libertà per il creatore e la banca dati non ci può essere creatività. Una limitazione imposta dal legislatore è che non conta la creatività dei dati in sé (non è rilevante se i dati sono creativi) ma la banca dati può essere protetta solo se è originale e creativa la scelta dei dati o la loro disposizione. L’eventuale creatività e proteggibilità dei dati non rende automaticamente creativa e proteggibile la banca dati come raccolta. Nel diritto d’autore la titolarità è regolata come il software ovvero di regola è titolare chi crea la banca dati ma è possibile che la titolarità spetti al datore di lavoro se si tratta di creazione da parte di un dipendente su indicazioni del titolare (si ha un acquisto a titolo derivativo). Il diritto esclusivo conferito dalla banca dati, secondo le regole generali, è una tutela sul modo, sulla forma espressiva e non si estende alle singole opere e al contenuto della banca dati (tutela della forma espressiva e non del contenuto). Se il terzo riprende dati da una banca dati coperta da diritto d’autore ma non replica la scelta e la disposizione, è libero di farlo. L’articolo 64 quinquies dettaglia i diritti esclusivi: riproduzione, elaborazione, distribuzione al pubblico, vendita (con esaurimento), comunicazione. Si hanno, anche in questo caso, libere utilizzazioni: • Accesso o consultazione di banche dati per finalità didattiche o di ricerca scientifica: è concesso ma ad una serie di condizioni. Innanzitutto non si deve trattare di un’attività di impresa, deve restare in un ambito non commerciale, deve sempre essere indicata la fonte e non si deve riprodurre il contenuto della banca dati su un altro supporto ma si può solo consultare • Impiego di banche dati per fini di sicurezza: è consentito sempre senza limitazioni • Compimento delle attività indicate nell’articolo 64 quinquies: possibilità dell’utente legittimo di sfruttare la banca dati in tutti i modi conformi alla finalità per cui ha acquisito la disponibilità delle stesse Il diritto sui generis risponde all’esigenza di tutelare creazione che prevedono grandi investimenti. Spesso le banche dati non sono creative perché non presentano scelte di selezione particolare e disposizione particolare. Le banche dati presentano un paradosso: si ha tutela per le banche dati per cui c’è stata una selezione di dati quando viceversa la maggior parte delle volte l’utente ha bisogno di avere tutti i dati. Si ha il paradosso della completezza: ciò che rende utile la banca dati ne preclude la tutela del diritto d’autore. Inoltre la tutela del diritto d’autore è una tutela che non si estende al contenuto. Era necessaria una tutela che prescindesse dalla creatività, non fosse limitata alla scelta e disposizione, permettesse di bloccare la copia del contenuto (al di là di scelta e disposizione). Per questo è stato creato questo diritto sui generis. Questo non richiede creatività e sorge quando vengono effettuati investimenti rilevati (dato monetario e di impiego di altre risorse) per costituzione, verifica o presentazione della banca dati (tutela per il “sudore della fronte”). L’investimento può essere di tipo quantitativo (denaro) o di tipo qualitativo (tempo, difficoltà). In questi casi si può avere un’esclusiva sulle banche dati. Questa tutela è riservata solo a cittadini o soggetti che risiedano stabilmente all’interno dell’Unione Europea. Il soggetto che effettua questi investimenti è chiamato costitutore. Gli investimenti possono alternativamente riguardare costituzione, verifica o presentazione. Si ha un investimento per la costituzione quando le risorse sono impiegate per creare la banca dati, la verifica è tutto ciò che è impiegato per far sì che i dati siano attendibili e ci possono essere investimenti per la presentazione quando si intende creare dei sistemi di disposizione dei dati che rendano fruibili i dati medianti i motori di ricerca interni. Sono sufficienti questi investimenti. La protezione delle banche dati è un’esclusiva sul contenuto (non solo sulla struttura). In particolare le due attività riservate al costitutore sono: • Estrazione (copia del diritto d’autore): trasferimento permanente o temporaneo della totalità o di una parte sostanziale del contenuto di una banca di dati su un altro supporto • Reimpiego (mettere a disposizione – distribuzione del diritto d’autore): qualsiasi forma di messa a disposizione del pubblico della totalità o di una parte sostanziale del contenuto della banca di dati mediante distribuzione di copie, noleggio, trasmissione effettuata con qualsiasi mezzo e in qualsiasi forma Questi due termini hanno un significato che per motivi di traduzione non corrisponde al significato della lingua italiana. Queste due attività sono riservate al costitutore sia in relazione alla totalità della banca dati sia in relazione ad una parte sostanziale. Se viene copiata una parte sostanziale, quindi, vi è comunque violazione. La “parte sostanziale” si valuta con due criteri: • quantitativi ovvero il numero o quantità di dati estratti o rimpiegati • qualitativi ovvero la rilevanza dell’investimento relativo a quella parte La copiatura di una parte non sostanziale di regola è lecito ma se ciò viene fatto in modo malizioso, ripetuto e sistematico diventa illecito (lo scopo finale è unire molte parti non sostanziali per averne una sostanziale). Anche per il diritto sui generis vale la regola dell’esaurimento. Si precisa che la mera consultazione della banca dati non può essere vietata se non ci sono attività di estrazione o reimpiego. Sono previsti dei liberi usi anche in questo caso ovvero tutte le attività necessarie allo sfruttamento della banca dati conformemente alla finalità con cui è stata acquisita la sua disponibilità. Tuttavia l’utente legittimo non può eseguire operazioni in contrasto con un normale utilizzo della banca dati che rechino pregiudizio al titolare. Quanto dura il diritto sui generis? Ci sono regole particolari: 1. Il diritto sui generis sorge nel momento in cui viene completata la banca dati e si estingue trascorsi i 15 anni dal 1° gennaio dell’anno successivo 2. Se prima che scadano i 15 anni la banca dati è messa a disposizione del pubblico il periodo di protezione si allunga e diventano 15 anni dal 1° gennaio dell’anno successivo alla data di prima messa a disposizione del pubblico Bisogna tener presente la distinzione fra banche dati statiche e dinamiche. Le prime sono quelle che una volta completate non subiscono ulteriori modifiche o integrazione. Le seconde sono quelle che vengono modificate, aggiornate o integrate. Finché si tratta di una semplice addizione di dati non cambia nulla rispetto alla tutela. Il problema è se la banca dati è modificata o integrata in modo sostanziale e porta ad un investimento rilevante in senso qualitativo o quantitativo. La legge stabilisce che in una situazione del genere, la banca dati integrata e modificata gode di un ulteriore periodo di tutela di 15 anni calcolato a partire dalla messa a disposizione del pubblico della banca dati modificata e integrata. La domanda che la legge non risolve è: la protezione prolungata riguarda la banca dati nel suo complesso o solo gli elementi aggiunti? È un punto discusso. Alcuni ritengono che la protezione riguardi solo l’aggiunta mentre altri sostengono che riguardi la banca dati nel suo insieme. Nell’ultima sentenza (n.13543/2017)in argomento la corte di cassazione ha sostenuto la seconda tesi: il nuovo termine di 15 anni riguardava la banca dati nel suo complesso e non invece alle singole integrazioni e moltiplicazioni.
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