Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

DIRITTO INTERNAZIONALE DISPENSA CONFORTI XII EDIZIONE, Dispense di Diritto Internazionale

Dispensa chiara e completamente sostitutiva del Manuale Conforti B., Iovane M., Diritto internazionale, XII ed., Editoriale Scientifica, Napoli, 2021.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 05/04/2022

itslora
itslora 🇮🇹

4.8

(21)

21 documenti

1 / 164

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica DIRITTO INTERNAZIONALE DISPENSA CONFORTI XII EDIZIONE e più Dispense in PDF di Diritto Internazionale solo su Docsity! DEFINIZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE Il diritto internazionale può essere definito come il diritto (o ordinamento) della comunità degli Stati. Tale complesso di norme si forma al di sopra dello Stato, scaturendo dalla cooperazione con gli altri Stati, e lo Stato stesso con proprie norme, anche di rango costituzionale, si impegna a rispettarlo (Art 10 Cost). Il diritto internazionale regola i rapporti fra Stati. Con ciò si intende indicare il fatto che le norme internazionali si indirizzano in linea di massima agli Stati, creano cioè diritti ed obblighi per questi ultimi. La caratteristica più rilevante del diritto internazionale odierno è che esso:  non regola solo materie attinenti ai rapporti interstatali.  ma, pur indirizzandosi fondamentalmente agli Stati, tende a disciplinare rapporti che si svolgono all’interno delle varie comunità statali. Prima simili rapporti interni erano di quasi esclusiva pertinenza dell’ordinamento statale. Infatti il diritto internazionale si occupava di materie esterne (es. immunità diplomatiche alleanze, condotta della guerra). Il diritto internazionale era insomma un diritto per diplomatici. Oggi la vita moderna è dominata dall’internazionalismo. Sul piano giuridico questa caratteristica si traduce nella tendenza a trasferire dal piano nazionale a quello dell’ordinamento internazionale la disciplina dei rapporti economici, commerciali e sociali. Queste materie sono sempre più regolate da Convenzioni internazionali. Il diritto internazionale è sempre più un diritto destinato ad essere amministrato ed applicato dagli operatori giuridici interni (giudici nazionali). Diritto internazionale pubblico e diritto internazionale privato Il diritto internazionale viene anche chiamato diritto internazionale pubblico in contrapposizione al diritto internazionale privato. Tra queste 2 materie non c’è molta affinità. Con diritto internazionale privato non siamo più al di sopra dello Stato (nell’ambito della comunità degli Stati), ma al di sotto (nell’ambito dell’ordinamento statale). Il diritto internazionale privato è formato da quelle norme statali che delimitano il diritto privato di uno Stato, stabilendo quando esso va applicato e quando invece i giudici di quello Stato sono tenuti ad applicare norme di diritto privato straniere. Il contrapporre il diritto internazionale pubblico al diritto internazionale privato ha scarso senso: non si tratta di 2 rami del medesimo ordinamento, ma di norme che appartengono ad ordinamenti completamente differenti:  Ordinamento della comunità degli Stati à Diritto internazionale pubblico  Ordinamento statale à Diritto internazionale privato Il diritto internazionale pubblico (in esso compreso il diritto UE) tende a regolare anche i rapporti interni allo Stato ed i rapporti oggetto del diritto privato (es. Convenzioni di diritto internazionale privato). Ciò significa soltanto che lo Stato ha l’obbligo di tradurre le norme internazionali che di simili rapporti si occupano in norme interne. Nel diritto internazionale privato in senso lato rientrano anche tutte le norme che provvedono a delimitare verso l’esterno i rami pubblicistici dell’ordinamento statale: es. le norme che stabiliscono in quali casi la legge penale si applica a reati commessi fuori dal territorio o da stranieri. In realtà, il diritto internazionale non è né pubblico né privato, tale distinzione essendosi sviluppata ed avendo senso solo con riguardo all’ordinamento statale. STATO COME SOGGETTO DI DIRITTO INTERNAZIONALE Stato‐comunità e Stato‐organizzazione Che cos’è lo Stato? Di Stato ci sono 2 definizioni:  Stato ‐ comunità à è quel fenomeno che corrisponde alla comunità umana stanziata su di una parte della superficie terrestre e sottoposta a leggi che la tengono unita.  Stato ‐ organizzazione à è quel fenomeno costituito dall’insieme (dei governanti) degli organi che esercitano il potere di imperio sui singoli associati. Attribuzione della soggettività internazionale allo Stato-organizzazione Confortià è avallata la tesi secondo cui la qualifica di soggetto di diritto internazionale spetta allo Stato ‐ organizzazione . Perché?  È all’insieme degli organi statali che si ha riguardo quando si lega la soggettività internazionale dello Stato al criterio dell’effettività, ossia dell’effettivo esercizio del potere di governo.  Sono gli organi statali che partecipano alla formazione delle norme internazionali.  È agli organi statali che si attaglia il contenuto delle norme materiali internazionali, norme tutte dirette a disciplinare e limitare l’esercizio del potere di governo.  Sono solo gli organi statali che, con la loro condotta, possono ingenerare la responsabilità internazionale dello Stato. Nozione di organo dello Stato ai fini del diritto internazionale Quando si parla di organi statali si fa riferimento a tutti gli organi, e quindi a tutti coloro che partecipano dell’esercizio del potere di governo nell’ambito del territorio. Anche le amministrazioni locali e gli enti pubblici minori sono considerati per consuetudine come componenti l’organizzazione dello Stato in quanto soggetto di diritto internazionale. Effettività dello Stato-organizzazione (1° Requisito) Lo Stato ‐ organizzazione è destinatario delle norme internazionali in quanto e finché eserciti effettivamente il proprio potere su di una comunità territoriale. Governi in esilio e Comitati di liberazione con sede all’estero Va negata la soggettività dei Governi in esilio. Il fenomeno dei governi in esilio ebbe le sue manifestazioni più significative durante la Seconda guerra mondiale, quando vari governi dei territori occupati dai nazisti si rifugiarono a Londra. Ai componenti di questi Governi sono unilateralmente riconosciute dallo Stato ospitante, per motivi politici, certe prerogative sovrane. Va negata la soggettività delle organizzazioni/fronti/ comitati di liberazione nazionale che abbiano sede in un territorio straniero, avendo quivi costituito una sorta di organizzazione di governo. OLP e Fronte Polisario Esempi tipici di Comitati di liberazione all’estero sono:  l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, con sede a Tunisi (e ciò anche dopo il 1988, anno in cui si proclamò Stato di Palestina nonostante non avesse alcuna base territoriale)  il Fronte Polisario, che si batte per l’autodeterminazione del popolo saharawi e la cessazione dell’occupazione militare del Sahara occidentale da parte del Marocco. Cass.à ha sostenuto la tesi secondo cui l’OLP e tutti gli altri movimenti di liberazione nazionale godrebbero di una soggettività limitata allo scopo di discutere, su basi di perfetta parità con gli Stati territoriali, i modi e i tempi dell’autodeterminazione dei popoli da loro politicamente controllati, in applicazione del principio di autodeterminazione dei popoli. Esclusa la soggettività piena, la Cass. ha negato che agli organi supremi di siffatti movimenti spettassero le immunità previste dal diritto internazionale (in particolare l’immunità dalla giurisdizione penale riconosciuta ai Capi di Stati esteri). Accordi OLP-Israele e status della Palestina La soggettività della Palestina è ancora dubbia oggi, dopo i vari accordi intervenuti tra l’OLP e Israele per il graduale passaggio di buona parte dei territori palestinesi occupati da Israele sotto il controllo dell’Autorità palestinese. È dubbia la stessa natura di accordi internazionali di queste intese, le quali somigliano agli accordi conclusi dalle Potenze coloniali con i rappresentanti delle popolazioni locali, all’epoca della Si può cogliere comunque una tendenza che è sempre stata presente nella prassi internazionale anche se non è mai riuscita a tradursi in norme giuridiche. Gli Stati preesistenti ad una nuova organizzazione di governo tendono a giudicare se lo Stato nuovo meriti o meno la soggettività, ancorando il loro giudizio ad un certo valore o ad una certa ideologia. In passato si diceva che non potesse essere riconosciuto uno Stato non cristiano o non monarchico. In epoca attuale si tende a ritenere che non siano da riconoscere come soggetti i Governi affermatisi con la forza, gli Stati non democratici, gli Stati che violano i diritti umani. Altri pretesi requisiti della personalità internazionale I requisiti necessari affinché lo Stato acquisti (automaticamente) la personalità internazionale sono quelli dell’effettività e dell’indipendenza. Siffatti requisiti sono sufficienti o ne occorrono altri? Questi requisiti o alcuni di essi che gli Stati preesistenti sono soliti porre a base del loro riconoscimento sono obiettivamente richiesti, per l’acquisto automatico della personalità, da consolidati principi di diritto internazionale? Limitiamoci ai requisiti che oggi ricorrono, e cioè che lo Stato nuovo non costituisca una minaccia per la pace e la sicurezza internazionale, goda del consenso del popolo, espresso attraverso libere elezioni, e non violi i diritti umani. Può dirsi che non siano da considerare come soggetti gli Stati che tengano comportamenti del genere? Confortià la risposta deve essere negativa. Questi requisiti, se svincolati dal riconoscimento, se considerati come presupposti della personalità internazionale, non trovano alcun riscontro nella realtà. Secondo principi generali di diritto internazionale, uno Stato è obbligato a non minacciare la pace ed a rispettare i diritti umani. Ma simili obblighi, in quanto tali, non condizionano ma anzi presuppongono la personalità giuridica dello Stato medesimo. INSORTI Dato che un’organizzazione di governo diviene automaticamente soggetto quando esercita in modo effettivo e indipendente il proprio potere su di una comunità territoriale, non si può negare che, nel caso in cui si verifichi in uno Stato un movimento insurrezionale ed il movimento riesca a creare un’organizzazione di governo che controlli effettivamente una parte del territorio statale, ad esso vada riconosciuta una soggettività internazionale sia pure a titolo provvisorio, e cioè finché non si chiarisca quale esito abbia l’insurrezione. Insorti e diritti di guerra Confortià la soggettività è legata alla provvisorietà e le norme che con quest’ultima sono compatibili (come quelle sulla protezione degli stranieri o sulle immunità di organi stranieri) devono considerarsi come applicabili. Sarebbero invece del tutto privi di effetto, per il diritto internazionale, atti di disposizione di parti del territorio controllato. Nella materia un ruolo importante gioca il principio rebus sic stantibus, principio che comporta l’estinzione di quelle situazioni giuridiche derivanti da accordi (nella specie: accordi conclusi dagli insorti), quando vengono radicalmente meno (per l’eventuale annientamento del movimento insurrezionale) le circostanze di fatto in vista delle quali dette situazioni furono create. Per il diritto internazionale classico era completamente diverso il caso degli insorti senza base territoriale. Questi venivano considerati come dei sudditi ribelli nei confronti dei quali il governo attaccato (Governo legittimo) poteva comportarsi come meglio credeva. A partire dagli anni successivi alla Seconda guerra mondiale, la prassi è andata evolvendosi nel senso che anche in questi casi le norme che proteggono le popolazioni civili trovino applicazione, sempre che gli insorti abbiano un’organizzazione facente capo ad un comando responsabile. INDIVIDUI Esistono altri soggetti di diritto internazionale? Maggior parte della dottrina contemporaneaà parla di una personalità, sia pure limitata, degli individui, persone fisiche e giuridiche. L’opinione si ricollega strettamente alla tendenza del diritto internazionale odierno ad occuparsi di materie interne alle singole comunità statali, ed anche a proteggere l’individuo nei confronti del proprio Stato. Essa trae spunto dal moltiplicarsi di quelle norme convenzionali che obbligano gli Stati a tutelare i diritti fondamentali dell’uomo. Ma a siffatti obblighi degli Stati corrispondono veri e propri diritti internazionali degli individui? Sempre più spesso l’individuo può ricorrere, se non vede riconosciuto il proprio diritto, ad organi internazionali appositamente creati: alla tutela dell’interesse individuale si accompagna così l’attribuzione all’individuo di un potere di azione. Anche il diritto consuetudinario fornisce ampia materia per sostenere la personalità internazionale degli individui: i crimina juris gentium comprendono i crimini di guerra e contro la pace e la sicurezza dell’umanità e dunque quei reati per i quali lo Stato può esercitare la propria potestà punitiva oltre i limiti normalmente assegnatigli. Parte della dottrinaà non accoglie la tesi dell’individuo come soggetto di diritto internazionale. Essa sostiene che è vero che molte norme internazionali si prestano ad essere interpretate come regole che si indirizzano direttamente agli individui, ma è anche vero che la comunità internazionale resta ancora strutturata come una comunità di governanti e non di governati. La personalità internazionale dell’individuo è stata confermata anche dalla CIG (per la prima volta nella Sent. 2001 caso LaGrand). In definitiva:  Chi attribuisce importanza al fatto che l’individuo non ha la possibilità di avvalersi direttamente di mezzi coercitivi internazionali per costringere gli Stati a rispettare i suoi dirittià ritiene che gli individui non abbiano la soggettività internazionale.  Chi (come Conforti) tiene conto della scarsa incisività della funzione di attuazione coattiva del diritto internazionale anche con riguardo agli Statià sembra più vicino alla soluzione positiva (individui hanno la soggettività internazionale). Minoranze Numerose sono anche le norme internazionali che tutelano le minoranze etniche. Ma non sembra che con ciò anche le minoranze assurgano a soggetti di diritto internazionale. Esse infatti non sono dotate di strumenti di azione diretta. PRINCIPIO DI AUTODETERMINAZIONE DEI POPOLI Popoli Nella prassi internazionale si parla spesso di diritti dei popoli. In questo caso il termine popolo è usato solo in modo enfatico e può essere tranquillamente sostituito, per indicare l’effettivo titolare del diritto, dal termine Stato. Il discorso è diverso quando di un diritto dei popoli si parla in relazione a norme che si occupano del popolo come contrapposto allo Stato, che si occupano dei governati come contrapposti ai governanti, che tendono insomma a tutelare il popolo rispetto all’apparato che lo governa. A parte i diritti umani, l’unica norma in cui si esprime detta contrapposizione è il principio di autodeterminazione dei popoli. CIGà l’autodeterminazione comporta il diritto dei popoli sottoposti a dominio straniero di divenire indipendenti, di associarsi od integrarsi con altro Stato indipendente, di scegliere liberamente il proprio regime politico. Autodeterminazione dei popoli Il principio di autodeterminazione dei popoli è oggi una regola di diritto internazionale positivo: è una regola di jus cogens. Esso non solo è contenuto in testi convenzionali, come tali vincolanti solo gli Stati contraenti, ma ha acquistato carattere consuetudinario attraverso una prassi sviluppatasi ad opera delle Nazioni Unite e che trova la sua base:  nella stessa Carta ONU  in certe solenni Dichiarazioni di principi dell’Assemblea generale dell’Organizzazione CIGà ne ha riconosciuto l’esistenza come principio consuetudinario. Autodeterminazione esterna Non è facile indicare quale sia l’esatto contenuto del principio di autodeterminazione dei popoli in quanto principio giuridico. Confortià il principio di autodeterminazione non ha ancora un ampio campo di applicazione. CIGà tale principio si applica soltanto ai popoli sottoposti ad un Governo straniero (autodeterminazione esterna):  in primo luogo ai popoli soggetti a dominazione coloniale  in secondo luogo alle popolazioni di territori conquistati ed occupati con la forza Irretroattività del principio di autodeterminazione Perché il principio di autodeterminazione sia applicabile, salvo il caso dei territori coloniali, la dominazione straniera non deve risalire oltre l’epoca in cui il principio stesso si è affermato come principio giuridico, ossia oltre l’epoca successiva alla fine della Seconda guerra mondiale. Non può dunque parlarsi di un diritto all’autodeterminazione dei territori che furono oggetto di occupazioni o annessioni in seguito alla Prima Guerra Mondiale. Neppure poteva parlarsi, per gli stessi motivi, di un diritto all’autodeterminazione anche per Estonia, Lettonia e Lituania, i 3 Paesi baltici occupati con la forza e annessi all’URSS nel 1940 e indipendenti dal 1991. Autodeterminazione e presenza di forze armate straniere Quando si tratta di territori nei quali il Governo straniero, presente con le proprie forze armate, si appoggia ad un Governo locale dal quale ha magari ricevuto una richiesta di aiuto, il principio di autodeterminazione si applica imponendo a entrambi i Governi la cessazione dell’occupazione straniera. Autodeterminazione e decolonizzazione Circa l’autodeterminazione dei territori coloniali, si è formata una regola nell’ambito dell’ONU che attribuisce all’Assemblea generale la competenza a decidere, con effetti vincolanti per tutti gli Stati, circa la sorte dei territori medesimi. L’Assemblea deve conformarsi al principio di autodeterminazione, altrimenti la sua decisione è illegittima e senza efficacia. Secondo la CIG, l’Assemblea può decidere, se circostanze speciali lo richiedono, anche senza consultare gli abitanti del territorio e purché sia ugualmente raggiunto il fine di rispettarne la volontà. Il principio di autodeterminazione dei territori coloniali deve coordinarsi poi con il principio dell’integrità territoriale, in base al quale occorre tenere conto dei legami storico‐geografici del territorio da decolonizzare con uno Stato contiguo formatosi anch’esso per decolonizzazione. La sfera di applicazione di questo principio è incerta: il principio di autodeterminazione deve cedergli il passo solo quando la popolazione locale non sia in maggioranza indigena ma importata dalla madrepatria. Ma fino a che punto le pretese dello Stato contiguo vanno soddisfatte? Secondo un’opinione fondata sulla prassi delle Nazioni Unite (Iovane)à dalla combinazione dei 2 principi non nasce l’obbligo dello Stato detentore di trasferire il territorio allo Stato contiguo, bensì quello di concordare una soluzione orientata verso la decolonizzazione. Autodeterminazione interna È da escludere invece, dal punto di vista giuridico, che l’autodeterminazione possa essere intesa nel significato che ad essa si attribuisce dal punto di vista politico. È da escludere che il diritto internazionale richieda che tutti i Governi esistenti sulla terra godano del consenso della maggioranza dei sudditi e siano da costoro liberamente scelti (autodeterminazione interna). Ma la grande maggioranza degli Stati tende a considerare l’autodeterminazione come sinonimo di Consuetudini istantaneeà sono una contraddizione ed (secondo Conforti) un fenomeno che non può generare norme giuridiche per la mancanza del carattere di stabilità insito nel diritto non scritto. 2) O pinio juris sive necessitatis Parte della dottrinaà si sostiene che la consuetudine sarebbe costituita dalla sola prassi. Se si ammette la necessità dell’opinio juris, si arriva a considerare la consuetudine come nata da un errore: se, nel momento in cui la norma va formandosi, lo Stato crede che un dato comportamento sia richiesto dal diritto (cioè obbligatorio), mentre in realtà il diritto non c’è (perché è ancora in via di formazione), è evidente che lo Stato è in errore. L’opinio juris sarebbe quindi l’effetto psicologico dell’esistenza della norma, presupponendo che questa si sia già formata (e non uno degli elementi). Critica alla concezione dualistica della consuetudineà ha però il difetto di fondarsi su argomenti soprattutto logici. Ad essere determinante invece è l’osservazione della prassi. Solo così si può avere conferma del fatto che, nell’opera di ricostruzione di una consuetudine internazionale, entrambi gli elementi devono venire in rilievo. Inoltre sempre gli Stati si sono pronunciati nel senso che l’opinio juris fosse indispensabile per l’esistenza della consuetudine. Spesso gli Stati, per evitare che la sola prassi crei diritto, si affrettano a dichiarare che un certo comportamento che essi intendono tenere:  o è dettato da ragioni di cortesia  o non può essere considerato come capace di creare un precedente ai fini della formazione di una norma consuetudinaria o dell’abrogazione di una norma preesistente (desuetudine) L’obbligatorietà tende così a confondersi con la necessitàà cioè la doverosità sociale. Almeno nel momento iniziale di formazione della consuetudineà il comportamento è sentito come socialmente dovuto (e non tanto come giuridicamente dovuto). Consuetudine e norme di cortesia Facendo leva sull’opinio juris, è possibile di distinguere tra:  Mero uso à determinato da motivi di cortesia  Consuetudine à produttiva di norme giuridiche Obiezioneà si afferma che questa distinzione riposerebbe su altri elementi, precisamente sul fatto che il mero uso consisterebbe di contegni poco importanti dal punto di vista sociale, come tali inidonei a produrre norme giuridiche. Contro-obiezioneà si afferma che certi usi dettati da motivi di cortesia non rivestono detta caratteristica. Se non si concretano in consuetudini giuridiche, lo si deve soltanto alla circostanza che gli Stati non sono convinti della loro obbligatorietà. Consuetudine e prassi convenzionale Esistenza dell’ opinio juris sive necessitatis à è il solo criterio utilizzabile per ricavare una norma consuetudinaria dalla prassi convenzionale. I trattati sono il punto di riferimento più utilizzato nella costruzione di una regola consuetudinaria internazionale. Essi possono essere interpretati:  come conferma di norme consuetudinarie già esistenti  come creazione di norme nuove e limitate ai rapporti fra Stati contraenti L’indagine sull’opinio juris sive necessitatis (cioè la ricerca tendente a stabilire se gli Stati contraenti abbiano inteso il vincolo contrattuale nel primo o nel secondo senso) può consentire, o escludere, l’utilizzazione di tutta una serie di trattati come prova dell’esistenza di una norma consuetudinaria. Un principio consuetudinario non può essere tratto da una prassi convenzionale costante e ripetuta nel tempo, quando il principio medesimo è il frutto delle concessioni che una parte degli Stati contraenti fa al solo scopo di ottenere altre concessioni. Tribunale Iran ‐ Stati Uniti (istituito per conoscere dei ricorsi dei rispettivi cittadini contro le misure prese nei confronti dei loro beni)à si è rifiutato di dedurre un principio di indennizzo parziale, applicabile all’espropriazione ed alla nazionalizzazione di beni stranieri, dalla prassi dei lump ‐ sum agreements. Lump ‐ sum agreements à sono accordi mediante i quali lo Stato nazionale dei soggetti i cui beni sono stati nazionalizzati o espropriati all’estero accetta dallo Stato nazionalizzante o espropriante una somma globale, solitamente inferiore a quella che dovrebbe essere corrisposta se l’indennizzo coprisse l’intero valore reale dei beni. Secondo il Tribunaleà i lump ‐ sum agreements sarebbero frutto di transazioni e quindi non indicativi di norme di diritto internazionale generale. Elemento dell’ opinio juris sive necessitatis à distingue:  il comportamento dello Stato diretto a modificare il diritto consuetudinario preesistente (abrogazione di una consuetudine attraverso la formazione di una consuetudine nuova o di una desuetudine)  il comportamento dello Stato che costituisce un illecito internazionale Dibattito dottrinale negli Stati Unitià posto il problema se le Corti (statunitensi) potessero censurare la violazione di norme di diritto consuetudinario internazionale da parte del Governo. Se l’Esecutivo (Presidente degli Stati Uniti) non è lasciato libero di violare il diritto consuetudinario, ciò non significa escluderlo dal processo di trasformazione del diritto consuetudinario medesimo? (tale processo di trasformazione infatti muove proprio da un comportamento che è illecito alla luce del diritto esistente e nel momento iniziale di formazione della nuova norma). Alcuni autorià contrari all’attribuzione di un potere di violazione all’Esecutivo. Altri autorià favorevoli all’attribuzione di un potere di violazione all’Esecutivo, ma con la necessaria autorizzazione a violare da parte del Congresso. Confortià il problema si risolve tenendo presente che il procedimento di formazione del diritto consuetudinario necessita dell’opinio juris sive necessitatis. L’Esecutivo può violare il diritto consuetudinario se dimostra che detta violazione sia sorretta dal convincimento della sua doverosità sociale. Procedimento di formazione della norma consuetudinaria Tutti gli organi dello Stato concorrono nel procedimento di formazione. A formare la consuetudine possono concorrere:  Atti esterni degli Stati à trattati, note diplomatiche  Atti interni degli Stati à leggi, sentenze, atti amministrativi Non vi è alcun ordine di priorità tra tutti questi atti, ma solo la maggiore importanza dell’uno o dell’altro a seconda del contenuto della norma consuetudinaria. Ruolo della giurisprudenza interna nella formazione della consuetudine Giurisprudenza internaà nella formazione di certe norme consuetudinarie gioca un ruolo decisivo. Corti supreme statalià possono avere, infatti, un’influenza decisiva nella creazione del diritto consuetudinario. È loro compito, di fronte a consuetudini antiche che contrastino con fondamentali valori costituzionali, promuoverne (con cautela) la revisione. Applicabilità della consuetudine ai nuovi Stati Le norme consuetudinarie si impongono anche agli Stati di nuova formazione . Questo principio è stato posto in discussione dagli Stati sorti dal processo di decolonizzazione. Essi affermavano che il vecchio diritto internazionale consuetudinario:  si è formato in epoca coloniale, rispondendo ad esigenze ed interessi diversi da quelli del nostro tempo.  non può pretendere di vincolare uno Stato che nasca oggi con esigenze ed interessi opposti. Da qui la pretesa di rispettare soltanto quelle norme consuetudinarie preesistenti da essi liberamente accettate. Applicabilità della consuetudine all’obiettore persistente Problema della contestazione del diritto consuetudinario à se la contestazione proviene da:  singolo Stato : - Contestazione (anche ripetuta) irrilevanteà fenomeno del persistent objector . - Non occorre la prova dell’accettazione della norma consuetudinaria da parte dello Stato nei cui confronti questa è invocata. Se tale prova fosse necessaria la consuetudine dovrebbe configurarsi come accordo tacito. Ma si negherebbe la stessa idea di un diritto internazionale generale e comune ai vari soggetti internazionali. - Persistent objector à tenta di impedire la formazione di una consuetudine o di negare che questa sia avvenuta.  gruppo di Stati à la contestazione non può essere ignorata. Regola fermamente e ripetutamente contestata dalla più gran parte degli Stati appartenenti ad un gruppo:  essa non è opponibile a quelli che la contestano  essa non è da considerarsi esistente come regola consuetudinaria Interpreteà prima di arrivare alla conclusione che un determinato settore non è regolato (o non è regolato più) da norme consuetudinarie, egli deve sforzarsi di trovare un minimo comune denominatore nell’atteggiamento degli Stati, per la ricostruzione di principi generalissimi. Consuetudine e risoluzioni delle Nazioni Unite Le risoluzioni (raccomandazioni) delle Organizzazioni internazionali non hanno forza vincolante. Le norme in esse contenute possono acquistare tale forza solo se vengono:  trasformate in consuetudini internazionali (se confermate da: diuturnitas + opinio juris)  trasfuse in convenzioni internazionali Soft law Tali risoluzioni appartengono al diritto morbido (soft law), termine con il quale si fa salva la loro non obbligatorietà (loro caratteristica di base). Consuetudine come diritto spontaneo La consuetudine non va configurata come accordo tacito. Può condividersi l’idea secondo cui il diritto non scritto è un diritto di formazione spontanea, espressione con cui si mette in luce che il diritto non scritto non deriva da una vera e propria fonte in senso formale. Consuetudini particolari Consuetudini particolarià cioè vincolanti una ristretta cerchia di Stati. Ciò avviene per le consuetudini regionali o locali. Applicazione rilevante della consuetudine particolareà è fornita dal diritto non scritto che può formarsi a modifica o abrogazione delle regole poste da un determinato trattato: è possibile, nel caso di trattati istitutivi di Organizzazioni internazionali, che le Parti contraenti (e gli organi dell’Organizzazione) diano vita ad una prassi modificatrice delle norme a suo tempo pattuite. Ciò non accade quando si tratta di Organizzazioni internazionali (es. UE) che comprendono un organo giurisdizionale destinato a vegliare sul rispetto del trattato istitutivo (CGUEà stabilì che una semplice prassi non può prevalere sulle norme del Trattato). La consuetudine particolare (come quella generale) è un fenomeno di gruppo, come tale non scomponibile in relazione ai singoli Stati. La consuetudine regionale, o quella che si forma a modifica di un trattato, risulta dai contegni rilevabili in seno ad un gruppo di Stati. Non è necessario indagare o provare che tutti gli Stati appartenenti al gruppo abbiano effettivamente contribuito a formarla. Principi costituzionali Parte della dottrina (Quadri)à pone al di sopra delle norme consuetudinarie i principi costituzionali connaturati con la comunità internazionale. Essi:  sarebbero un’altra categoria di norme generali non scritte  costituirebbero le norme primarie del diritto internazionale  comprenderebbero quelle norme volute e imposte dalle forze prevalenti in un dato momento storico nell’ambito della comunità internazionale Tra i principi:  Alcuni avrebbero carattere formaleà in quanto istituirebbero fonti ulteriori di norme internazionali. I principi formali sarebbero 2: consuetudo est servanda e pacta sunt servanda. L’osservanza delle consuetudini e degli accordi si spiegherebbe in quanto voluta e imposta dalle forze prevalenti della comunità internazionale. Consuetudine ed accordo sarebbero così fonti di 2°grado. Dottrinaà considera invece: - la consuetudine fonte primariaà esaurente il diritto internazionale generale - l’accordo fonte secondariaà traendo esso la sua forza dalla consuetudine. Si ritiene così che la norma pacta sunt servanda sia una norma consuetudinaria.  Altri avrebbero carattere materialeà in quanto disciplinerebbero direttamente i rapporti fra Stati. I principi materiali potrebbero avere qualunque contenuto, a seconda che le forze prevalenti si combinino per volere una certa disciplina di una determinata materia (Quadri cita come esempio quello che ha sancito la libertà dei mari). Confortià la concezione del Quadri non è accettabile. Non sono i principi formali (consuetudo est servanda e pacta sunt servanda) a suscitare riserve: se l’esame della prassi internazionale porta a constatare la formazione, al di sopra dello Stato, di norme consuetudinarie e di norme pattizie, questo fenomeno può anche descriversi (anziché costruendo la consuetudine come fonte primaria e l’accordo come fonte secondaria) ponendo entrambe le fonti sullo stesso piano e riportandole a 2 super-principi. Il fatto poi che certe norme consuetudinarie hanno carattere cogente (non derogabili mediante accordo) potrebbe anch’esso spiegarsi sostenendosi che l’inderogabilità sia sancita da un principio superiore. Ciò che non convince e porta a respingere l’intera categoria dei principi del Quadri è la possibilità di ricostruire principi materiali indipendentemente dall’uso. Seguendo tale tesià un gruppo di Stati (o anche un solo Stato) potrebbe imporre, disponendo della forza necessaria, la propria volontà a tutti gli altri membri della comunità internazionale: via via che si combinino le forze internazionali dominanti si verrebbero a creare delle norme generali. Ma con ciò non si legittima ogni abuso? Viene naturale chiedersi come è possibile legittimare gli abusi dal punto di vista giuridico se connaturato con l’idea di diritto c’è sempre un elemento di stabilità. Concezione del Quadri à non è avallabile dal punto di vista di un operatore giuridico interno, ad es. dell’interprete dell’Art 10 Cost. L’interprete interno, dovendo stabilire quali norme internazionali generali siano da applicare in Italia (Art 10 Cost) si dovrebbe chiedere di volta in volta se non vi siano imposizioni, in una determinata materia, da parte delle forze dominanti nella comunità internazionale. È vero che:  alla base di una norma non scritta vi è spesso una imposizione  il ruolo delle grandi Potenze è sempre un ruolo di primo piano nella formazione del diritto internazionale Ma la norma esiste in quanto si traduce in comportamenti reiterati degli Stati, accompagnati dal convincimento della doverosità sociale dei comportamenti medesimi. Se alla iniziale imposizione non fa seguito questo elemento di stabilità e di continuità, non è possibile ammettere l’esistenza di un principio. EQUITÀ L’equità è fonte di norme internazionali? Equitàà il comune sentimento del giusto e dell’ingiusto. Il giudice internazionale o interno che sia chiamato a risolvere una questione di diritto internazionale può ricorrere all’equità? Confortià la risposta è negativa, a parte l’equità infra o secundum legem (ossia la possibilità di utilizzare l’equità come ausilio interpretativo) ed a parte il caso in cui un tribunale arbitrale internazionale sia espressamente autorizzato a giudicare ex aequo et bono (secondo quanto è giusto ed equo). È da escludere:  l’equità contra legem (contraria a norme consuetudinarie o pattizie)  l’equità praeter legem (diretta a colmare le lacune del diritto internazionale) Se il diritto internazionale (compresi i principi generali di diritto delle Nazioni civili) è lacunoso, ciò significa che gli Stati non hanno obblighi da osservare o diritti da pretendere, e l’equità non può essere idonea a crearli. Equità e ruolo dei giudici internazionali e interni Confortià l’equità va inquadrata nel procedimento di formazione del diritto consuetudinario. Ricorso all’equitàà spesso si atteggia come una sorta di opinio juris sive necessitatis, in quanto esso ha luogo nel momento in cui una norma si va formando o modificando. Quando una sentenza interna ricorre a considerazioni di equità nel quadro del diritto consuetudinario, essa influisce direttamente sulla formazione della consuetudine. Decisioni dei Tribunali internià costituiscono infatti una delle categorie più importanti di comportamenti statali dai quali la consuetudine va dedotta. L’influenza è diretta ma relativa, trattandosi di una decisione autorevole ma proveniente da un singolo Stato. Decisioni dei Tribunali internazionalià qui l’influenza è indiretta (dato che non si tratta della prassi degli Stati) ma, per il contesto in cui è esercitata, assai incisiva. Quando poi a pronunciarsi è la CIG, l’influenza è massima. La CIG esprime, infatti, l’opinio juris sive necessitatis della massima Organizzazione mondiale. Anche questa opinione però deve trovare riscontro nella prassi degli Stati. INESISTENZA DI NORME GENERALI SCRITTE VALORE DEGLI ACCORDI DI CODIFICAZIONE DEL DIRITTO CONSUETUDINARIO Esistono norme internazionali generali scritte? Tale problema si pone con riguardo alle grandi convenzioni di codificazione promosse dalle Nazioni Unite. Fenomeno della codificazione del diritto internazionale generale consuetudinario (mediante convenzioni multilaterali)à data dalla fine del XIX sec. Fino alla Prima Guerra Mondialeà furono le norme del diritto internazionale bellico ad essere trasfuse in testi scritti (Convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1907 sulla guerra terrestre ). Tentativi di codificazione (senza risultati) furono fatti anche all’epoca della Società delle Nazioni. È con le Nazioni Unite che l’opera di codificazione ha preso slancio, traducendosi in una serie di trattati multilaterali. In ambito internazionale non esiste un’autorità dotata di poteri legislativi, per cui il trattato è l’unico strumento adoperabile per la trasformazione del diritto non scritto in diritto scritto. Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite (CDI) Art 13 Carta ONU à prevede che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite: intraprenda studi + faccia raccomandazioni per incoraggiare lo sviluppo progressivo del diritto internazionale e la sua codificazione. L’Assemblea costituì, come proprio organo sussidiario, la Commissione di diritto internazionale delle Nazioni Unite, che:  è composta da esperti che vi siedono a titolo personale (cioè da individui che non rappresentano alcun Governo).  ha il compito di provvedere alla preparazione di testi di codificazione delle norme consuetudinarie relative a determinate materie: - procedendo a studi - inviando questionari agli Stati - raccogliendo dati della prassi - predisponendo progetti di convenzioni multilaterali internazionali che poi vengono adottati e aperti alla ratifica e all’adesione da parte degli Stati stessi Convenzioni di codificazioni promosse dall’ONU La Commissione nel corso degli anni ha coperto quasi tutti i settori del diritto internazionale. Si può dire che l’epoca delle grandi codificazioni si è conclusa. La Commissione attualmente:  o si occupa di temi assai specifici, di cui forse (dice Conforti) non varrebbe neanche la pena occuparsi.  o provvede a rivedere e ricodificare singole parti delle grandi convenzioni di codificazione già esistenti. Inoltre, più spesso l’opera della Commissione sfocia in progetti che, magari su proposta della stessa Commissione, non vengono tradotti in convenzioni. Le principali convenzioni sono: 4 Convenzioni di Ginevra - 1958 - sul diritto del mare Convenzione di Vienna - 1961 - sulle relazioni ed immunità diplomatiche Convenzione di Vienna - 1963 - sulle relazioni consolari Convenzione di Vienna - 1969 - sul diritto dei trattati Convenzione di Vienna - 1978 - sulla successione degli Stati nei trattati Convenzione di Montego Bay - 1982 - sul diritto del mare Convenzione di Vienna - 1983 - sulla successione di Stati in materia di beni, archivi e debiti di Stati Convenzione di Vienna - 1986 - sul diritto dei trattati tra Stati e organizz. intern. e tra organizz. intern. La Commissione non è l’unico organismo in seno al quale si predispongono progetti di accordi di codificazione. L’Assemblea generale ha spesso convocato conferenze di Stati in seno alle quali anche il progetto è stato redatto oppure la redazione del progetto è stata affidata ad organi sussidiari (dell’Assemblea) come i Comitati ad hoc. Siffatte convenzioni non contengono molte norme riproduttive del diritto internazionale consuetudinario. Esse però contribuiscono in larga misura allo sviluppo progressivo del diritto internazionale generale e sotto questo aspetto sono inquadrabili nel tema della codificazione. Rispetto alle convenzioni progettate dalla Commissione, la loro particolarità sta nel fatto che anche il progetto non è frutto del lavoro di individui indipendenti che esprimono opinioni personali ma di individui che rappresentano gli Stati. Convenzioni di codificazione e Stati terzi Gli accordi di codificazione, in quanto comuni accordi internazionali, vincolano gli Stati contraenti, cioè valgono solo per gli Stati che li ratificano. Essi, poiché si propongono di codificare il diritto generale, hanno valore anche per gli Stati non contraenti? Confortià occorre esser cauti nel considerare gli accordi di codificazione come corrispondenti al diritto consuetudinario generale e quindi nell’estenderli agli Stati non contraenti. Ciò per vari motivi: non ha poteri interpretativi sovrani, cioè non ha il potere di interpretare le norme della Carta in modo obbligatorio per i singoli Stati, anche tali Dichiarazioni restano raccomandazioni. Confortià queste Dichiarazioni hanno natura di accordi e come tali vincolano gli Stati che le sostengono con il loro voto. Equiparandosi l’inosservanza di un certo principio all’inosservanza della Carta, quel principio diventa così obbligatorio. Da ciò risulta lecito presumere, fino a prova contraria, che gli Stati i quali partecipano col loro voto favorevole all’atto intendono obbligarsi. O si ammette una simile presunzione o bisogna concludere che le Dichiarazioni di principi in esame rappresentino delle dichiarazioni non serie o rese con riserva mentale. La situazione non muta nel caso che la Dichiarazione consideri l’inosservanza di un principio come violazione del diritto internazionale generale. Anche in tal caso è legittimo presumere che sussista una volontà di obbligarsi. Tra le Dichiarazioni che equiparano l’inosservanza dei principi dichiarati all’inosservanza della Carta o del diritto internazionale generale, si ricordano: le risoluzioni sul genocidio, sull’indipendenza dei popoli coloniali e sul divieto di armi nucleari Le Dichiarazioni inquadrabili come accordi vanno considerate, in vista del modo in cui vengono in essere, come accordi in forma semplificata. TRATTATI Accordo internazionaleà incontro delle volontà di 2 o più Stati , dirette a regolare una determinata sfera di rapporti riguardanti questi ultimi. Trattati normativi Vs trattati‐contratto Distinzione non accolta fra:  Trattati-normativi o trattati-legge à considerati come gli unici accordi produttivi di vere e proprie norme giuridiche. Essi sarebbero caratterizzati da volontà di identico contenuto, dirette a regolare la condotta di un numero rilevante di Stati (es. accordi di codificazione).  Trattati - contratto o trattati-negozio à quali fonti di diritti e obblighi, ossia di rapporti giuridici (e non di norme). In essi le parti muoverebbero da posizioni contrastanti ed attuerebbero uno scambio di prestazioni più o meno corrispettive. La distinzione non ha senso. Non ha senso la contrapposizione fra norma e rapporto giuridicoà qualsiasi atto obbligatorio, che vincoli qualcuno, produce per ciò stesso una regola di condotta. Norme pattizie astratte Vs norme pattizie concrete Distinzione accettata fra:  Norme pattizie astratte à regolanti una situazione o un rapporto tipo. Esse vincolano i destinatari che vengano a trovarsi in quella situazione o rapporto.  Norme pattizie concrete à regolanti una situazione o un rapporto singolo e determinato. Norme pattizie materiali Vs norme pattizie strumentali I trattati possono dar vita a:  Regole materiali à cioè a norme che direttamente disciplinano i rapporti fra i destinatari imponendo obblighi o attribuendo diritti.  Regole formali o strumentali à cioè a norme che si limitano ad istituire fonti per la creazione di ulteriori norme. Oggi in questa categoria acquistano importanza i Trattati costitutivi di Organizzazioni internazionali. Essi disciplinano certi rapporti fra Stati membri e demandano agli organi sociali la produzione di norme ulteriori. Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati Trattati internazionalià sottostanno ad una serie di norme consuetudinarie che ne disciplinano:  Procedimento di formazione  Requisiti di validità ed efficacia Tale complesso di regole forma il diritto dei trattati. Ad esso è dedicata la Convenzione di Vienna del 1969 (ratificata anche dall’Italia). Vanno menzionate anche:  Convenzione di Vienna del 1978 à sulla successione degli Stati nei trattati  Convenzione di Vienna del 1986 à sui trattati stipulati fra Stati e Organizzazioni internazionali o fra Organizzazioni internazionali. Questa Convenzione riproduce pedissequamente la Convenzione del 1969. Ciò perché le norme sulla nascita, la vita e l’estinzione dei trattati sono simili sia che a concluderli siano gli Stati sia che ad essi partecipino Organizzazioni internazionali. Sfera di applicazione della Convenzione di Vienna del 1969 Art 4 Convenzione di Vienna del 1969 à afferma che la Convenzione si applica ai trattati conclusi dagli Stati dopo la sua entrata in vigore per tali Stati (Irretroattività della Convenzione). Convenzione di Vienna del 1969à è largamente riproduttiva del diritto consuetudinario. TRATTATI (PROCEDIMENTO NORMALE O SOLENNE) Libertà di scelta del procedimento di formazione del trattato Il diritto internazionale lascia ampia libertà in materia di forma e procedura per la stipulazione. Accordoà può risultare da ogni genere di manifestazione di volontà degli Stati. Quest’ultime devono essere:  di identico contenuto  dirette ad obbligarli L’elencazione dei modi di stipulazione contenuta nella Convenzione di Vienna (elencazione che è limitata agli accordi conclusi per iscritto)à non ha carattere tassativo. Procedimento normale o solenne In passato:  La stipulazione del trattato era di competenza esclusiva del Capo dello Stato.  Il trattato era negoziato dai rappresentanti del Sovrano, definiti plenipotenziari in quanto titolari di pieni poteri per la negoziazione. Essi predisponevano il testo dell’accordo (da approvare all’unanimità) e lo sottoscrivevano.  Seguiva la ratifica da parte del Sovrano, con la quale questi accertava se i plenipotenziari si fossero effettivamente attenuti al mandato ricevuto.  Occorreva che la volontà del Sovrano fosse portata a conoscenza delle controparti con lo scambio delle ratifiche. Ancora oggià il procedimento normale (o solenne) ricalca quello seguito all’epoca delle monarchie assolute. Negoziazione Procedimento normale di formazione del trattatoà si apre con i negoziati condotti dai plenipotenziari, i quali di solito sono organi del Potere esecutivo. Art 7 Convenzione di Viennaà stabilisce che una persona è considerata come rappresentante dello Stato se produce dei pieni poteri appropriati. I pieni poteri sono appropriati quando promanano dagli organi competenti in base al diritto e alla prassi propri di ciascun Paese (in Italiaà dal Potere Esecutivo). Negoziazione dei trattati multilaterali La fase della negoziazione è più complessa quando:  gli Stati che partecipano alla negoziazione sono numerosi  la materia da regolare è importante Trattati multilaterali di particolare rilievoà sono negoziati dai plenipotenziari nell’ambito di conferenze diplomatiche rette da regole procedurali preventivamente concordate. Circa l’adozione del testoà la vecchia regola dell’unanimità va cedendo il passo al principio di maggioranza. Talvolta, le 2 regole si combinano, prevedendo la votazione a maggioranza solo dopo che sia stato compiuto ogni sforzo per giungere ad un’adozione concordata. Firma I negoziati si chiudono con la firma (o la parafatura, apposizione delle sole iniziali) da parte dei plenipotenziari. La firma:  non comporta ancora alcun vincolo per gli Stati  ha fini di autenticazione del testo che è così predisposto in forma definitiva Il testo potrà subire modifiche solo in seguito all’apertura di nuovi negoziati. Ratifica Ratificaà è la manifestazione di volontà con cui lo Stato si impegna. La ratifica rientra nelle attribuzioni del Capo dello Stato. La competenza di quest’organo, quando non si riduce ad una competenza a dichiarare la volontà di altri organi, concorre con quella del Potere Esecutivo e con quella degli organi legislativi. Disciplina della ratifica nell’ordinamento italiano Art 87 Costà il Presidente della Repubblica ratifica i trattati internazionali previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere. Art 80 Costà l’autorizzazione delle Camere è necessaria e va data con legge, quando si tratta di trattati che: 1. Hanno natura politica 2. Prevedono regolamenti giudiziari 3. Comportano variazioni del territorio nazionale 4. Comportano oneri alle finanze 5. Comportano modificazioni di leggi Art 80 Cost + Art 87 Cost vanno combinati con Art 89 Costà secondo cui nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti che ne assumono la responsabilità. Ratificaà rientra tra gli atti (formalmente presidenziali e sostanzialmente governativi) che il Presidente della Repubblica:  non può rifiutarsi di sottoscrivere, una volta intervenuta la delibera governativa  ma di cui può soltanto sollecitare il riesame prima della sottoscrizione Ciò dimostra che il potere di ratifica è, quanto al contenuto, nelle mani dell’Esecutivo (e per le categorie di trattati ex Art 80 Cost, insieme del Potere Esecutivo e del Potere Legislativo). Rapporti tra Presidente della Repubblica e Governo à si discute sulla esatta natura dell’intervento presidenziale. Talunià sostengono che il Capo dello Stato partecipi, con la sottoscrizione, alla formazione dell’atto. Altrià ritengono che il Capo dello Stato resti estraneo al provvedimento. Egli si limita a portarlo all’esterno e ad esercitare quel potere di controllo che si esaurisce nella possibilità di chiederne il riesame. Rapporti tra Parlamento e Governo in tema di ratifica dei trattati Rapporti tra Parlamento e Governoà si ritiene che, intervenuta la legge di autorizzazione (Art 80 Cost), il Governo possa stabilire discrezionalmente il tempo in cui procedere alla ratifica. Si discute se la discrezionalità del Governo possa spingersi fino ad un rinvio sine die della ratifica . Caso della Convenzione di Oviedoà di essa è stata autorizzata la ratifica. Fino ad oggi, però, il Governo non ha provveduto ancora a depositare lo strumento di ratifica presso il Segretario generale del Consiglio d’Europa. L’Italia quindi non è internazionalmente obbligata ad osservarla. Formazione della volontà dello Stato nel campo delle relazioni internazionali-Responsabilità del Governo di fronte al Parlamento Nel risolvere siffatte questioni, occorre sempre mantenere distinti i 2 profili della:  Valida formazione e manifestazione della volontà dello Stato nel campo delle relazioni internazionali Costituzione, è ricavata da un’interpretazione sistematica degli Artt 80-87 Cost. Essa sembra essere confortata dai lavori dell’Assemblea Costituente durante i quali si ribadì il principio che solo gli accordi più importanti dovessero essere sottoposti a ratifica. Sent. Corte Cost caso Baraldinià un accordo in forma semplificata non può derogare a norme di legge. La Corte ritiene che un accordo stipulato tra il Ministro della Giustizia statunitense e il Presidente del Consiglio e il Ministro della Giustizia italiani contenente condizioni assai particolari per il trasferimento di una detenuta in Italia non possa essere in contrasto con le disposizioni della legge di esecuzione della Convenzione di Strasburgo sul trasferimento delle persone condannate. Accordi che importano oneri alle finanzeà l’Art 80 Cost, quando parla di oneri alle finanze, intende riferirsi ad oneri non preventivati. Sarebbe assurdo considerare come soggetto a ratifica, e a legge di autorizzazione alla ratifica, l’accordo circa la visita di un Capo di Stato estero o di una missione tecnica straniera, comportante le spese per la relativa ospitalità. Legislatoreà riconosce la categoria degli accordi in forma semplificata. Una legge del 1984, nel riordinare la materia della pubblicazione degli atti normativi della Repubblica italiana nella G.U., prevede che tale pubblicazione avvenga per gli accordi ai quali la Repubblica si obbliga nelle relazioni internazionali, compresi quelli in forma semplificata. Divieto di concludere accordi segreti à è un limite alla competenza del Governo a stipulare accordi in forma semplificata (la dottrina considera questo limite come implicitamente previsto dall’Art 80 Costà accordi di natura politica). Diffusioni degli accordi in forma semplificata nella prassi La prassi degli accordi in forma semplificata (giustificata per motivi di speditezza e praticità) trova origine in quegli executive agreements statunitensi, stipulati dal Presidente (o comunque sotto la sua responsabilità) e non sottoposti alla procedura della ratifica (di competenza del Senato). Essi si fondano su una autorizzazione generica contenuta in un atto del Congresso, ed hanno per oggetto materie tecnico‐amministrative e materie che rientrano negli ampi poteri del Presidente, quale Comandante delle forze armate e responsabile della politica estera. TRATTATI (ACCORDO IN FORMA SEMPLIFICATA) Trattati conclusi in violazione di norme interne sulle competenze a stipulare Problema importante in materia di formazione dell’accordo internazionale: Quali conseguenze derivano sul piano internazionale se l’organo che stipula l’accordo (manifesta cioè la volontà dello Stato di aderire al trattato) non ha competenza o non segue forme o procedure previste dal diritto interno? Il trattato si ritiene egualmente valido? La volontà dello Stato, essendo viziata per il diritto interno, lo è anche per il diritto internazionale? La discussione riguarda:  i rapporti tra Potere esecutivo e Potere legislativo  gli accordi conclusi dal Potere esecutivo senza il concorso del Potere legislativoà ossia gli accordi in forma semplificata. Se il Potere esecutivo si impegna sul piano internazionale relativamente a materie per le quali la Costituzione richiede il concorso del Parlamento (e, formalmente, del Capo dello Stato), che valore ha siffatto impegno dal punto di vista del diritto internazionale? Casi di violazione di norme italiane sulla competenza a stipulare Il nostro Governo ha spesso utilizzato la forma semplificata di stipulazione per accordi che rientravano nelle categorie dell’Art 80 Cost e per i quali occorreva l’intervento del Parlamento (con la legge di autorizzazione alla ratifica) e del Presidente della Repubblica (con la ratifica). Esempi più significativi:  Domanda di ammissione dell’Italia alle Nazione Unite à avvenuta con un atto del Ministro degli Esteri. La Carta ONU è però un trattato di natura politica e la partecipazione dello Stato all’Organizzazione importa oneri finanziari di rilievo.  Memorandum d’Intesa per Trieste à attribuì all’Italia l’amministrazione della zona A del territorio tiestrino e alla Jugoslavia l’amministrazione della zona B. Esso fu concluso direttamente dai plenipotenziari dei Governi di USA, Gran Bretagna, Italia e Jugoslavia, essendo inteso tra le parti che esso entrasse in vigore immediatamente. Il Memorandum, sostituito dal Trattato di Osimo che regolò i rapporti tra Italia e Jugoslavia, importava oneri finanziari e modificazioni di legge.  Accordi conclusi con gli Stati Uniti per l’installazione di basi militaristiche Teorie sulla validità o invalidità degli accordi conclusi in violazione di norme interne sulla competenza a stipulare Che dire della validità internazionale di questi accordi? Come si risolve questo problema? Dottrinaà esclude soluzioni radicali, ossia che:  per il diritto internazionale i trattati stipulati direttamente dall’Esecutivo siano in ogni caso validi. Essa esclude che l’Esecutivo abbia (come si riteneva avesse un tempo il Capo dello Stato) lo jus repraesentationis omnimodae (diritto di rappresentazione totale)à soluzione internistica  qualsiasi vizio, anche solo formale, e qualsiasi irregolarità procedurale dal punto di vista del diritto interno, possa inficiare la validità internazionale dell’accordoà soluzione internazionalistica Soluzione accolta dall’Art 46 della Convenzione di Vienna Art 46 Convenzione di Viennaà contiene una soluzione (abbastanza vicina alla soluzione internazionalistica). Tale articolo stabilisce:  uno Stato non può invocare come vizio del suo consensoà il fatto che il consenso medesimo ad essere vincolato da un trattato sia stato espresso in violazione di una regola del suo diritto interno sulla competenza a stipulare trattati, salvo che: - la violazione sia manifesta - la violazione concerna una regola fondamentale del suo diritto interno  violazione manifesta à se obiettivamente evidente per qualsiasi Stato che si comporti in materia secondo la prassi abituale e in buona fede. Confortià i dati della prassi sono significativi per accertare lo stato del diritto consuetudinario:  quando i Governi si impegnano sul piano internazionale per materie che rientrano nella sfera di competenza di altri organi (in particolare dei Parlamenti)à i Governi medesimi sono soliti procurarsi prima o poi una qualche forma di assenso o approvazione da parte dell’organo interessato e competente.  nei casi in cui vengono avanzate, sul piano diplomatico, richieste di esecuzione o denunce di violazioni di accordi conclusi esclusivamente dall’Esecutivoà è difficile stabilire se ciò avviene con la convinzione di sollecitare impegni di carattere giuridico, o solo per motivi politici o di propaganda: richieste di esecuzione o denunce di violazioni si hanno infatti, su detto piano, anche per accordi che non hanno carattere giuridico.  Giurisprudenza interna à vi è una massa di sentenze, proveniente da Stati diversi, che si rifiutano di applicare trattati conclusi dai rispettivi Governi in violazione di norme interne fondamentali sulla competenza a stipulare, senza preoccuparsi della riconoscibilità della violazione da parte degli altri contraenti. Confortià Art 46:  Corrisponde al diritto internazionale generale à quando codifica il principio che sia causa di invalidità del trattato la violazione di norme interne di importanza fondamentale in tema di competenza a stipulare. Tale violazione si ha quando sull’accordo non si sia pronunciato uno degli organi cui la Costituzione assegna un potere decisionale effettivo nel procedimento di stipulazione (in Italiaà quando sia mancato, nelle materie elencate nell’Art 80 Cost, il concorso del Parlamento).  Non corrisponde al diritto consuetudinario (concezione diplomatica del diritto internazionale)à nella parte in cui enuncia il principio della riconoscibilità o meno della violazione ad opera delle parti contraenti secondo il principio della buona fede. Accordo concluso dall’Esecutivo senza la relativa competenza costituzionaleà è e resta un’intesa priva di carattere giuridico, che vale finché vale. Confortià una simile intesa acquista il valore di accordo internazionale in senso giuridico nel momento in cui l’organo messo da parte:  manifesti il suo assenso (implicitamente o esplicitamente)  adoperi lo strumento formale previsto dalla Costituzione per il suo intervento (in Italiaà la legge nelle materie elencate dall’Art 80 Cost) Nel caso del Memorandum per Triesteà l’assenso del nostro Parlamento si ebbe con l’approvazione di leggi finanziarie che stanziarono fondi per l’amministrazione del territorio tiestrino. Accordi del genereà divengono vincolanti per l’Italia in seguito all’assenso del Parlamento. Quando non vi è tale assenso (o non vi è con legge, come prescritto dalla Costituzione)à non ci si trova di fronte ad impegni che il diritto internazionale ci impone di rispettare. Figure intermedie fra gli accordi in forma semplificata e gli accordi conclusi in forma solenneà sono gli accordi che espressamente subordinano la propria entrata in vigore alla comunicazione, da parte di ciascun Governo firmatario, che sono state adempiute le procedure previste dal diritto interno per rendere applicabile nel territorio dello Stato l’accordo medesimo. Quando tali accordi toccano materie rientranti nell’Art 80 Cost, essi devono ricevere l’assenso del Parlamentoà con legge di approvazione o con legge contenente l’ordine di esecuzione. Sono figure intermedie (e non accordi in forma semplificata) perché non dichiarano di voler entrare in vigore per effetto della sola firma. TRATTATI ACCORDI CONCLUSI DALLE REGIONI Corte Cost :  fu chiamata a pronunciarsi su ricorsi per conflitto di attribuzione con il Governo centrale  circa la capacità delle Regioni di concludere accordi internazionalià prese in un primo tempo una posizione drastica antiregionalista  affermò l’incompetenza degli organi regionali in tema di formulazione di accordi con soggetti propri di altri ordinamenti. D.P.R. 1977à regolò poi la materia. Esso:  riservava allo Stato le funzioni relative ai rapporti internazionali nelle materie trasferite e delegate alle Regioni  faceva divieto alle Regioni di svolgere attività promozionali all’estero senza il preventivo assenso governativo Sent. Corte Cost 1987à capovolto il primitivo orientamento. La Corte sostenne che le Regioni, procuratesi il previo assenso del Governo centrale, potessero stipulare intese di rilievo internazionale e accordi in senso proprio, tali da impegnare la responsabilità dello Stato. Ciò purché si trattasse di accordi:  riguardanti materie di competenza regionale  non rientranti nelle categorie previste dall’Art 80 Cost L. cost. 3/2001:  regola ora la materia  ha modificato l’Art 117 Cost  prevede la competenza della Regione, nelle materie di sua competenza, a concludere: - accordi con Stati nei casi e con le forme - intese con enti territoriali interni ad altro Stato disciplinati da leggi dello Stato. favore di terzi non è possibile istituire paragoni: le parti contraenti del trattato, se vogliono negare al terzo i vantaggi pattuiti, non hanno bisogno di stipulare un successivo trattato che abroghi o modifichi il primo. Esse possono negare detti vantaggi in ordine a casi concreti, possono negarli in alcuni casi e riconoscerli in altri. La legge non può invece essere disapplicata in ordine a singoli casi, non essendovi altra alternativa oltre alla sua applicazione o alla sua abrogazione (o modificazione). Diritto del terzo di esigere l’applicazione del trattato o di opporsi alla sua abrogazioneà è sempre stato negato dalla prassi. Disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati Convenzione di Vienna del 1969à si conforma:  al principio dell’inefficacia dei trattati nei confronti dei terzi  alla conseguente regola per cui una qualche forma di accordo è necessaria perché il terzo benefici di diritti o sia colpito da obblighi. Art 34à un trattato non crea obblighi o diritti per uno Stato terzo senza il suo consenso. Art 35à un obbligo può derivare da una disposizione di un trattato a carico di uno Stato terzo se : - le Parti contraenti del trattato intendono creare tale obbligo - lo Stato accetta espressamente per iscritto l’obbligo medesimo Art 36à un diritto può nascere a favore di uno Stato terzo solo se questo vi consenta. Il consenso si presume: - finché non vi siano indicazioni contrarie - sempre che il trattato non disponga altrimenti Art 37à i contraenti originari sono autorizzati a revocare quando vogliono il diritto accettato dal terzo, sempre che non ne abbiano previamente stabilita in qualche modo l’irrevocabilità. Perché nascano veri e propri diritti, occorre che: - le parti intendano crearli - il terzo li accetti - l’offerta dei contraenti originari sia concepita come irrevocabile unilateralmente INCOMPATIBILITÀ TRA NORME CONVENZIONALI Incompatibilità fra norme convenzionali Un trattato può essere modificato o abrogato (espressamente o implicitamente) da un trattato concluso in epoca successiva fra gli stessi contraenti. Un problema nasce se i contraenti dell’uno e dell’altro trattato coincidono solo in parte. Uno Stato, ad es., si impegna:  con un accordo a tenere un certo comportamento  con un altro accordo, con Stati diversi, si obbliga a tenere il comportamento contrario La soluzione discende dalla combinazione di: Principio della successione dei trattati nel tempo + Principio dell’inefficacia dei trattati per i terzi. Per cui:  fra gli Stati contraenti di entrambi i trattatià prevale il trattato successivo .  nei confronti degli Stati contraenti uno solo dei 2 trattatià restano integri (nonostante l’incompatibilità) tutti gli obblighi che da ciascuno di essi derivano. Lo Stato contraente di entrambi i trattati si troverà a dover scegliere se tenere fede agli impegni assunti col 1°accordo o a quelli assunti col 2°accordo. Operata la scelta, esso commetterà un illecito e sarà internazionalmente responsabile, rispettivamente verso gli Stati contraenti del 2°accordo o del 1°accordo. Incompatibilità fra norme convenzionali nel diritto interno La scelta può avvenire quando entrambi gli accordi ricevano esecuzione all’interno dello Stato mediante atti legislativi o atti normativi di pari grado. In tal caso infatti varrà, all’interno dello Stato, il principio della successione degli atti normativi nel tempo, con la conseguente e automatica prevalenza del 2°trattato. Se poi uno solo dei due trattati è eseguito all’interno con legge, sarà esso a prevalere per una scelta del Potere legislativo. Es. è quello relativo ai trattati sul Canale di Panama. Gli Stati Uniti conclusero un accordo con la Gran Bretagna che prevedeva un trattamento uniforme, per quanto riguardava il pedaggio, per tutte le navi che avessero attraversato il canale di Panama. Essi poi stabilirono, in un accordo concluso con Panama, che le navi statunitensi potessero godere di esenzione. Venne così adottato il Panama Canal Act che accordò detta esenzione alle navi americane di piccolo cabotaggio. La disposizione legislativa venne abrogata per le proteste inglesi. Soluzione accoltaà è quindi favorevole alla piena validità ed efficacia di entrambi gli accordi incompatibili, salva la responsabilità dello Stato che li abbia contratti entrambi. Confortià poco credito riscuotono invece altre tesi, come la tesi secondo cui, per lo meno quando il 1°trattato sia un accordo multilaterale di notevole importanza dal punto di vista economico, politico o umanitario, dovrebbe ammettersi l’invalidità del 2°trattato. Questa tesi non è conciliabile con il carattere anarchico della comunità internazionale. Tendenza CEDUà in tema di diritti umani a considerare la Convenzione europea dei diritti umani come inderogabile anche da accordi internazionali successivi. Art 103 della Carta delle Nazioni Unite Art 103 Carta ONUà sancita la prevalenza degli obblighi derivanti dalla Carta sugli obblighi derivanti da qualsiasi trattato internazionale. Art 103:  è considerato da tutta la comunità internazionale come una norma al di sopra degli accordi  può considerarsi che ad esso corrisponda ormai una norma consuetudinaria Norma consuetudinaria corrispondente all’ Art 103 à si potrebbe dire che anche essa sia derogabile da parte di accordi particolari, dato che tra consuetudine ed accordi non c’è gerarchia. Confortià nella prassi gli obblighi derivanti dalla Carta sono considerati come assolutamente inderogabili. La norma consuetudinaria in questione quindi ha natura di jus cogens. Disciplina contenuta nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati Dalla soluzione accolta non si discosta la Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati. Art 30:  si occupa dell’applicazione dei trattati nel tempo  sancisce (Par.3)à fra 2 trattati conclusi tra le medesime Parti, il trattato anteriore si applica solo nella misura in cui le sue disposizioni sono compatibili con quelle del trattato posteriore  stabilisce (Par.4)à quando le Parti del trattato anteriore non sono tutte Parti contraenti del trattato posteriore: a) nelle relazioni tra gli Stati che partecipano ad entrambi i trattatià applicabile è la regola del Par.3 b) nelle relazioni tra uno Stato partecipante ad entrambi i trattati ed uno Stato contraente di uno solo dei trattati medesimià il trattato di cui i 2 Stati sono parti regola i loro diritti ed obblighi reciproci Par.4à si applica senza pregiudizio dell’Art 41 o di qualsiasi questione di responsabilità che può nascere per uno Stato dalla conclusione o dall’applicazione di un trattato le cui disposizioni sono incompatibili con gli obblighi che sullo Stato medesimo gravano nei confronti di un altro Stato in virtù di un altro trattato. L’Art 30 fa salvo l’Art 41. Art 41:  è inserito nella parte relativa agli emendamenti e alle modifiche dei trattati multilaterali  stabilisce che 2 o più Parti di un trattato multilaterale non possono concludere un accordo mirante a modificarlo (sia pure nei loro rapporti reciproci) quando: - o la modifica è vietata dal trattato multilaterale - o pregiudica la posizione delle altre Parti contraenti - o è incompatibile con la realizzazione dell’oggetto e dello scopo del trattato nel suo insieme L’espressione non possono è assai ambigua e potrebbe far pensare che l’Art 41 accolga la tesi dell’invalidità dell’accordo successivo ogni qualvolta questo non possa essere assolutamente eseguito senza che siano violati gli obblighi assunti nei confronti delle altre Parti del 1°accordo. Ma una interpretazione del genere è smentita:  sia dai lavori preparatori  sia dalla circostanza che la contrarietà dell’accordo parziale all’accordo multilaterale nei casi previsti dall’Art 41 non figura tra le cause di invalidità dei trattati nella relativa parte della Convenzione di Vienna  sia dal fatto che, se con l’Art 41 si fosse effettivamente voluto adottare una soluzione così radicale, si sarebbe dovuto adottare un testo che la indicasse in termini inequivocabili Art 41à risolve il problema solo in termini di illiceità e di responsabilità internazionale degli Stati contraenti dell’accordo successivo verso le altri Parti del trattato multilaterale. Esso costituisce una specificazione dell’Art 30. INCOMPATIBILITÀ TRA NORME CONVENZIONALI Clausole di compatibilità o di subordinazione La preoccupazione degli Stati è di evitare situazioni in cui essi assumano obblighi convenzionali incompatibili. Questa preoccupazione è rispecchiata da certe clausole che vengono inserite nei trattati per salvaguardare i rapporti giuridici derivanti da altri accordi. Frequenti sono le dichiarazioni di compatibilità o di subordinazione contenute in un trattato nei confronti di un altro o di una serie di altri trattati. Con l’adozione di clausole del genere il problema è risolto alla radice. Quando un trattato precisa che esso è subordinato ad un trattato anteriore o posteriore, oppure che esso non deve essere considerato come incompatibile con siffatto trattatoà le disposizioni di quest’ultimo prevalgono. Quando la dichiarazione di subordinazione riguarda trattati preesistentià le Parti si impegnano ad intraprendere tutte le azioni (lecite) idonee a sciogliersi dagli impegni incompatibili. Negoziatoà costituisce lo strumento cui si fa più ricorso a fini di armonizzazione di norme convenzionali incompatibili. Clausola di compatibilità del Trattato CE Art 307 TCE (Art 351 del TFUE) à esempio importante di clausola di compatibilità: Le disposizioni del presente Trattato non pregiudicano i diritti e gli obblighi derivanti da convenzioni concluse anteriormente al 1958 o, per gli Stati aderenti, anteriormente alla data della loro adesione, tra uno o più Stati membri da una parte e uno o più Stati terzi dall’altra. Nella misura in cui tali convenzioni sono incompatibili col presente Trattato, lo Stato o gli Stati membri interessati ricorrono a tutti i mezzi atti ad eliminare le incompatibilità constatate. Ove occorra, gli Stati membri si forniranno reciproca assistenza per raggiungere tale scopo, assumendo eventualmente una comune linea di condotta. TRATTATO CE E GATT Problema della compatibilità del TCE con accordi preesistentià si è posto soprattutto con:  Accordo Generale sulle Tariffe doganali e il Commercio (GATT)  Accordi conclusi in seno alla OMC Accordo Generale + gli altri accordi:  costituiscono tappe del processo di liberalizzazione del commercio mondiale avviato nel dopoguerra  tendono alla globalizzazione dei mercati TCE (lo stesso deve dirsi oggi del TFUE)à fondato su un’unione doganale a carattere regionale (abbattimento delle barriere doganali all’interno dell’area dell’UE + istituzione di una tariffa vigore nei rapporti tra i 2 Stati. Lo Stato che obietta, se non vuole dare alla sua obiezione un valore teorico, deve dirlo espressamente. Art 22à concerne la revoca delle riserve. Art 23à concerne la forma in cui le riserve e le revoche vanne redatte. Altra innovazione riguarda la possibilità che uno Stato formuli riserva in un momento successivo rispetto a quello in cui aveva ratificato il trattato, purché nessuna delle altre Parti contraenti sollevi obiezioni entro un termine che (nella prassi seguita dal Segretariato dell’ONUà quale depositario di trattati multilaterali) è stato:  prima fissato in 90 giorni  poi portato a 12 mesi (in seguito alle proteste degli Stati a causa della sua brevità) Convenzione di Viennaà in essa manca una disciplina delle dichiarazioni interpretative incondizionate. Secondo la prassià un’altra Parte contraente può fare obiezione all’interpretazione, contrapponendole una interpretazione alternativa. Non mancano i casi in cui lo Stato che obbietta lo fa perché considera la dichiarazione come una riserva. Trattandosi di interpretazioni incondizionate aventi il valore di proposte:  non valgono per esse particolari condizioni di validità (formale o sostanziale)  l’autore dell’obiezione non può pretendere che il trattato non entri in vigore Dichiarazione interdetta dal trattatoà unico caso in cui può ritenersi (forse) che possa porsi una questione di validità sostanziale. RISERVE NEI TRATTATI Riserve e giudice internazionale o interno Convenzione di Viennaà non si occupa della questione in tema dei rapporti tra :  criterio oggettivo dell’invalidità (formale o sostanziale) della riservaà in particolare per la sua contrarietà all’oggetto e allo scopo del trattato  criterio soggettivo dell’obiezione di un’altra parte contraente Nel caso di riserva accettataà deve essa ritenersi ammissibile anche se oggettivamente non è valida? Nel caso di riserva che ha incontrato obiezionià deve essa ritenersi in ogni caso inammissibile nei rapporti con lo Stato obiettante, anche se dal punto di vista oggettivo è pienamente valida? Chi decide oggettivamente? Giudice (internazionale o interno)à ha il potere di decidere autonomamente sulla validità o meno della riserva, con effetti limitati al caso di specie. Unica eccezione per quanto riguarda il giudice internoà egli dovrà tener conto delle riserve e delle obiezioni formulate dagli organi costituzionalmente competenti nel proprio Stato. Insomma, la sua posizione è qui identica a quella che gli spetta in tema di invalidità ed estinzione dei trattati. Finché un giudice non è chiamato a pronunciarsi, non resta che aver riguardo alle eventuali obiezioni. Ma, da questo punto di vista, gli effetti dell’obiezione sono gli stessi:  sia che oggettivamente la riserva sia valida  sia che oggettivamente la riserva sia invalida Obiezione ad una riserva validaà non impedisce l’entrata in vigore del trattato tra Stato riservante e Stato obiettante, se questi non esprime opinione contraria. Autore di un’obiezione ad una riservaà dovrebbe motivarla. Inammissibilità della riserva e principio utile per inutile non vitiatur Quali sono le conseguenze dell’accertata invalidità della riserva? (quando la riserva è esclusa dal testo del trattato o è contraria all’oggetto e allo scopo del medesimo) Tendenza più innovativaà è costituita dalla giurisprudenza della CEDU. Si ritiene che, se lo Stato formula una riserva inammissibile (invalida perché espressamente esclusa dal testo del trattato o perché contraria all’oggetto e allo scopo del medesimo), tale inammissibilità non comporta l’estraneità dello Stato stesso rispetto al trattato ma l’invalidità della sola riserva. Quest’ultima dovrà ritenersi come non apposta, secondo il principio utile per inutile non vitiatur (ogni estensione di tale regola a tipi di trattati che non tutelino i diritti fondamentali degli individui è comunque prematura). La tendenza ha cominciato a prendere piede anche nei casi in cui non è un organo giurisdizionale (o quasi) a ritenere irrilevante la riserva, bensì quando la questione si pone soltanto nei rapporti tra Stato autore della riserva medesima e Stato obiettante. La prassi non è univoca in tale direzione. Principio utile per inutile non vitiatur à trova applicazione se lo Stato autore della riserva non faccia dell’accoglimento di quest’ultima una conditio sine qua non per la partecipazione al trattato. Se la tendenza si consolida:  non è più questione di facilitare la partecipazione agli accordi multilaterali  ma, all’opposto, di ridurre a poco più che niente gli effetti tipici delle riserve e il principio consensualistico che è alla base del diritto convenzionale Nei casi in cui il principio utile per inutile non vitiatur è applicato da un organo giurisdizionale (o quasi)à gli Stati che non accettano la decisione possono essere indotti a sottrarsi all’impegno arbitrale. RISERVE NEI TRATTATI Disciplina della competenza a formulare le riserve nell’ordinamento italiano Apposizione di una riservaà può essere decisa da uno dei più organi che concorrono alla formazione della volontà dello Stato diretta a partecipare al trattato, ma non dagli altri. Per quanto riguarda il sistema italiano, la prassi ha dato luogo a contrastanti giudizi dottrinali. Nel caso in cui il Governo formula riserve non previste dalla legge di autorizzazione (cioè che il Parlamento non ha voluto):  Governo può ( secondo alcuni ) à perché è il gestore dei rapporti internazionali. Come può non procedere alla ratifica di un trattato, nonostante l’autorizzazione parlamentare, così può con le riserve restringere la portata degli obblighi che lo Stato va ad assumere.  Governo non può ( secondo altri ) à perché la collaborazione tra Parlamento e Governo deve essere effettiva (Art 80 Cost). Altra ipotesi è che il Governo non tiene conto di una riserva decisa dal Parlamentoà ipotesi mai verificata. Si applica la regola relativa alla competenza a stipulare. Confortià bisogna tenere presente la distinzione fra:  Formazione e manifestazione della volontà dello Stato Una riserva è valida: - sia che venga formulata autonomamente dal Parlamento (e non voluta dal Governo) - sia che venga formulata autonomamente dal Governo Se uno degli organi non vuole una parte dell’accordoà la manifestazione di volontà dello Stato si forma solo per la parte residua. Tesi dell’invalidità dell’intera manifestazione di volontà dello Stato per mancato concorso di volontà dei 2 organi sulla riservaà è poco credibile in presenza di una prassi contraria.  Responsabilità (politica o penale) del Governo di fronte al Parlamento Vi è materia perché scattino i meccanismi di controllo del Legislativo sull’operato dell’Esecutivo se: - il Governo si discosta in tema di riserve da quanto deliberato dal Parlamento - la decisione non è presa dopo che il Parlamento sia stato informato - non si tratta di riserve dal contenuto del tutto tecnico o minoris generis Per il diritto internazionale presenta interesse:  non il profilo della responsabilità del Governo  solo profilo della formazione della volontà dello Stato La riserva aggiunta dal Governo e dichiarata all’atto del deposito della ratifica, essendo valida per il diritto costituzionale, lo sarà anche per il diritto internazionale. Nel caso (teorico) di riserva contenuta nella legge di autorizzazione ma di cui il Governo non tenga conto e che il Governo medesimo non dichiari all’atto del deposito della ratifica (caso equivalente al precedente per quanto concerne i principi costituzionalistici), troverà applicazione la regola relativa alla competenza a stipulare:  per la parte coperta dalla riserva sarà configurabile una violazione grave del diritto interno  dovrà ritenersi che lo Stato non resti impegnato per detta parte se e finché il Parlamento non revochi espressamente o implicitamente la riserva INTERPRETAZIONE DEI TRATTATI Metodo obbiettivistico e metodo subbiettivistico di interpretazione Oggi vi è la tendenza ad abbandonare il metodo subbiettivistico:  mutuato dal regime dei contratti nel diritto interno  in base al quale si renderebbe necessaria la ricerca della volontà effettiva delle parti come contrapposta alla volontà dichiarata Si ritiene invece che debba attribuirsi al trattato il senso che:  è fatto palese dal suo testo  risulta dai rapporti di connessione logica intercorrenti tra le varie parti del testo  si armonizza con l’oggetto e la funzione dell’atto quali dal testo sono desumibili Convenzione di Vienna del 1969à si pronuncia a favore del metodo obbiettivistico: A rt 31 à un trattato deve essere interpretato in buona fede secondo il significato ordinario da attribuirsi ai termini del trattato nel loro contesto e alla luce dell’oggetto e dello scopo del trattato medesimo. Occorre tener conto anche del contesto in cui il trattato si situa, ossia:  di altri accordi e strumenti posti in essere dalle Parti in occasione della conclusione del trattato  di accordi successivi o di prassi seguite dalle Parti nell’interpretazione o applicazione del trattato  di qualsiasi regola pertinente di diritto internazionale applicabile tra le Parti Unica eccezione à è quella secondo cui a un termine del trattato può attribuirsi un significato particolare se è certo che tale era l’intenzione delle Parti . Art 32à i lavori preparatori sono il mezzo supplementare di integrazione da usarsi quando l’esame del testo lascia il senso ambiguo o oscuro, oppure porta ad un risultato assurdo o irragionevole. Art 33à si occupa dei trattati redatti in più lingue tutte egualmente ufficiali. Se la comparazione tra i vari testi rivela una differenza di significato, va comunque adottato il significato che, tenuto conto dell’oggetto e dello scopo del trattato, concilia meglio detti testi. Nell’ordinamento internazionale vigono per l’interpretazione dei trattati internazionali, in quanto principi generali di diritto:  la regola sull’interpretazione restrittiva o estensiva  la regola per cui fra più interpretazioni egualmente possibili occorre scegliere quella più favorevole alla parte più onerata (principio del favor debitoris ) o al contraente più debole Interpretazione estensiva ed analogica Interpreteà può ricorrere alla:  interpretazione estensiva di un trattato  analogia (specie di interpretazione estensiva)  La Convenzione si applica alle successioni fra Stati che siano intervenute dopo l’entrata in vigore della Convenzione.  Non è richiesto che lo Stato successore sia già Parte contraente al momento della successione.  In caso di adesione di uno Stato successore alla Convenzione, la sua adesione retroagisce fino al momento in cui la successione è avvenuta, sempre che, in quel momento, la Convenzione fosse già in vigore. Ratio della norma à sta nel fatto che in molti casi lo Stato che si sostituisce ad un altro nel governo di un territorio è uno Stato nuovo, e che pertanto la Convenzione non potrebbe applicarsi in molti casi qualora si pretendesse che lo Stato successore fosse già Parte contraente al momento della successione. Uno Stato successore può dichiarare (atto scritto) di voler applicare la Convenzione ad una successione intervenuta prima della stessa entrata in vigore di quest’ultima. Una tale dichiarazione varrà solo nei confronti di quelle Parti contraenti che abbiano a loro volta dichiarato di accettarla. SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI Successione nei trattati localizzabili Principio pacificoà è quello per cui lo Stato che in qualsiasi modo si sostituisce ad un altro nel governo di una comunità territoriale, è vincolato dai trattati (o dalle clausole dei trattati) di natura reale o territoriale o, come si dice, localizzabilià cioè dai trattati che riguardano l’uso di determinate parti del territorio, conclusi dal predecessore. Rientrano in questa categoria i trattati che: 1. Istituiscono servitù attive o passive nei confronti di territori di Stati vicini 2. Prevedono l’affitto di parti del territorio 3. Prevedono la libertà di navigazione di fiumi e canali 4. Impongono la smilitarizzazione di determinate aree 5. Prevedono la costruzione di opere sui confini 6. Fissano le frontiere tra Stati vicini . In questo caso vi sono dubbi sul loro inquadramento nella materia della successione. Confortià non è d’accordo con tale ultima categoria perché l’accordo di delimitazione esaurisce i suoi effetti nel momento in cui la frontiera è determinata. Ne consegue che a dover essere rispettato:  non è l’accordo  ma il diritto di sovranità territoriale che ciascun Paese esercita Questo diritto, discendendo da un principio consuetudinario, sussiste nei confronti di tutti, indipendentemente da qualsiasi ipotesi di successione nei trattati. Ciò è diverso dalle clausole dell’accordo di delimitazione che creano regimi particolari per determinate zone di frontiera. Esse sono clausole sottoposte al regime successorio. Uti possidetis Obbligo di rispettare le frontiere stabilite dal predecessoreà è generalmente sentito nell’ambito della comunità internazionale. Anche i Paesi sorti dalla decolonizzazione non lo hanno negato. La prassi africana si riallaccia alla prassi dell’America latina nell’ambito della quale si era fatto ricorso al principio dell’ uti possidetis juris : gli Stati latino‐americani avrebbero ereditato dalla Spagna le frontiere delle circoscrizioni amministrative dell’Impero coloniale spagnolo esistenti al momento dell’indipendenza. L’applicazione del principio ha spesso dato luogo a difficoltà, data l’incertezza delle frontiere stesse, soprattutto in relazione ai territori disabitati o inesplorati. Controversia tra Libia e Ciadà sorta dalla pretesa della Libia di disconoscere la frontiera da essa stessa fissata con un trattato di amicizia e buon vicinato con la Francia (esercitante la sovranità sul Ciad). CIGà ha risolto la controversia in senso sfavorevole alla Libia. Essa ha affermato il principio che la frontiera stabilita da un trattato deve ritenersi definitiva, in mancanza di una diversa volontà delle Parti, anche se il trattato, per le altre sue parti, è a termine. Qui a contestare la frontiera non era lo Stato successore, ma una delle Parti contraenti il trattato. La Corte conferma che il trattato di delimitazione esaurisce i suoi effetti nel momento in cui la frontiera è determinata. Intrasmissibilità dei trattati di natura politica La successione nei trattati localizzabili incontra il limite degli accordi che abbiano una prevalente caratterizzazione politica, che siano strettamente legati al regime vigente prima del cambiamento di sovranità. Si tratta dell’applicazione in materia successoria del principio rebus sic stantibus, secondo cui un trattato (o determinate clausole di un trattato) si estinguono se mutano in modo radicale le circostanze esistenti al momento della conclusione. Trattati sui diritti umani come trattati localizzabili Secondo il Comitato dei diritti umani delle Nazioni Uniteà andrebbero ricondotti alla categoria dei trattati localizzabili anche i trattati in materia di diritti umani, sulla base dell’argomento che i diritti in essi riconosciuti appartengono alle persone che vivono sul territorio degli Stati parte. CEDUà ha fatto proprio tale approccio. SUCCESSIONE DEGLI STATI NEI TRATTATI Trattati non localizzabili e regola della tabula rasa Qual è la sorte dei trattati non localizzabili (ossia la maggior parte dei trattati) in seguito ad un mutamento di sovranità? Che principio generale può trovare applicazione nelle singole ipotesi di mutamento? La risposta non è semplice perché:  la prassi è confusa  la successione nei trattati del predecessore è spesso regolata con accordi tra lo Stato subentrante e le altre Parti contraenti dei precedenti trattati Conforti + Maggioranza Dottrinaà la regola fondamentale è la regola della tabula rasa : lo Stato che subentra nel governo di un territorio non è vincolato dagli accordi conclusi dal predecessore. Tabula rasaà è una prassi:  contraria alla successione  favorevole alla formazione di nuovi Stati Variante della tesi della tabula rasaà è l’opinione secondo cui i trattati del predecessore resterebbero sospesi finché lo Stato nuovo e gli altri Stati contraenti non abbiano regolato la materia. La Convenzione distingue:  Situazione degli Stati sorti dalla decolonizzazione (Stati di nuova indipendenza)à è assunta come regola fondamentale in materia di trattati non localizzabili la regola della tabula rasa.  Situazione di ogni altro Stato che subentri nel governo di un territorio à è assunta come regola fondamentale in materia di trattati non localizzabili la regola opposta della continuità dei trattati. Ma un simile trattamento differenziato non trova riscontro nel diritto consuetudinario, secondo il quale in entrambi i casi si applica il principio della tabula rasa. Come viene chiarito nel commento ai corrispondenti articoli della Convenzione, l’adozione del principio della continuità dei trattati (e quindi della stabilità), con riguardo ai casi diversi da quello della decolonizzazione, ha il dichiarato scopo di contribuire allo sviluppo progressivo del diritto internazionale (più che codificare una regola corrispondente al diritto consuetudinario). SINGOLE IPOTESI DI MUTAMENTO DI SOVRANITÀ Distacco di parti di territorio Nell’ipotesi del distacco di una parte del territorio di uno Stato à si applica il principio della tabula rasa (riguardo agli accordi non localizzabili). Trasferimentoà può darsi che la parte di territorio distaccatasi si aggiunga, per effetto di cessione o di conquista, al territorio di un altro Stato preesistente. In tal caso gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore con riguardo al territorio distaccatosi. A questo si estendono in modo automatico gli accordi vigenti nello Stato che acquista il territorio. Dottrinaà parla di mobilità delle frontiere dei trattati. Secessione Secessioneà può darsi che sulla parte distaccatasi si formino uno o più Stati nuovi. In tal caso si applica principio della tabula rasa . Gli accordi vigenti nello Stato che subisce il distacco cessano di avere vigore nel territorio che acquista l’indipendenza. Convenzione di Vienna del 1978:  accoglie il principio della tabula rasaà solo per i territori di tipo coloniale staccatisi dalle Potenze detentrici.  enuncia il principio della continuità dei trattatià per tutte le altre ipotesi di secessione. Prassià depone a sfavore della Convenzione nella parte in cui essa enuncia il principio della continuità dei trattati nelle ipotesi di secessione da Potenze non coloniali. In entrambi i casi, infatti, nella prassi si applica il principio della tabula rasa. Accordi di devoluzione Sul problema della successione non influiscono gli accordi di devoluzione. Di esempi se ne sono avuti durante il processo di decolonizzazione, particolarmente nell’ambito delle colonie inglesi. Con tale accordo (intercorrente tra la ex madrepatria e lo Stato di nuova indipendenza) lo Stato indipendente consente a subentrare nei trattati già conclusi dalla ex madrepatria con Stati terzi: l’accordo pone soltanto l’obbligo per la ex colonia di compiere i passi necessari affinché siffatti trattati vengano rinnovati. Convenzione del 1978à nega che gli accordi di devoluzione possano avere l’effetto di trasmettere i diritti e gli obblighi pattizi del predecessore. Il principio della tabula rasa tutelerebbe gli interessi dello Stato nuovo ed anche quelli degli altri partecipanti ai trattati di cui sancisce l’intrasmissibilità. Stati nuovi e tabula rasa (applicazione del principio agli Stati nati da distacco) Trattati bilaterali Conclusi dal predecessore e vigenti nello Stato nuovo. L’applicazione del principio della tabula rasa agli Stati nuovi formatisi per distacco è integrale per quanto riguarda i trattati bilaterali conclusi dal predecessore. Simili trattati potranno sopravvivere ed avere valore solo se rinnovati attraverso apposito accordo con la controparte (anche tacito, ossia risultante da fatti concludenti). Trattati multilaterali chiusi Egualmente deve dirsi per i trattati multilaterali chiusi (ossia che non prevedono la partecipazione mediante adesione di Stati diversi da quelli originari). Vanno rinnovati con un nuovo accordo con tutte le controparti. Convenzione del 1978à stabilisce così con riguardo ai soli Stati ex territori coloniali, ai quali essa limita l’applicazione del principio della tabula rasa. Notificazione di successione (trattati multilaterali aperti) In merito ai trattati multilaterali aperti all’adesione di Stati diversi da quelli originari, il principio della tabula rasa subisce un temperamento. Lo Stato di nuova formazione può, anziché aderire (succedendo ex nunc à irretroattivo), procedere alla notificazione di successione. L’atto fa vale la regola della tabula rasa . Lo stesso principio regola i casi di fusione: lo Stato sorto dalla fusione nasce libero da impegni pattizi (a parte gli accordi localizzabili). Incorporazione e fusione di territori che permangono autonomi Un’eccezione al principio della tabula rasa deve ammettersi quando le comunità statali incorporate o fuse, pur estinguendosi come soggetti internazionali, conservino un notevole grado di autonomia nell’ambito dello Stato incorporante o nuovo (particolarmente quando, a seguito dell’incorporazione o della fusione, si instauri un vincolo di tipo federale). In tal caso la prassi si è orientata nel senso della continuità degli accordi, con efficacia limitata alla regione incorporata o fusa e sempre che una simile limitazione sia compatibile con l’oggetto e lo scopo dell’accordo (es. gli accordi conclusi dai Cantoni svizzeri continuarono ad avere vigore nei rispettivi limiti regionali dopo la costituzione della Confederazione elvetica). Convenzione di Vienna del 1978 à adotta il principio della continuità dei trattati quali che siano le caratteristiche della riunione, senza distinguere fra incorporazione e fusione e tra sussistenza o meno di un vincolo federale tra le entità riunitesi. Essa si discosta ancora una volta dal diritto consuetudinario. La soluzione adottata dalla Convenzione si fonda sulla prassi relativa all’instaurazione di vincoli federali. Si tratta di una prassi settoriale, non utilizzabile per ricostruire un principio di carattere generale (valevole per tutti i casi di incorporazione o di fusione). Mutamento radicale di governo Quando si verifica un mutamento di governo nell’ambito di una comunità statale, senza che il territorio dello Stato subisca ampliamenti o diminuzioni, se il mutamento interviene per vie extralegali ed un regime radicalmente diverso si instaura (come l’avvento del regime sovietico in Russia nel 1917), deve ritenersi che muti la persona di diritto internazionale. E i trattati stipulati dal vecchio governo? Opera il principio della tabula rasa? No. Si ha una successione del nuovo Governo nei diritti e negli obblighi del predecessore, eccezion fatta per i trattati incompatibili col nuovo regime (trattati di natura politica o legati al regime preesistente). Si tratta dell’applicazione alla materia successoria del principio rebus sic stantibus , per cui i trattati si estinguono se mutano in modo radicale le circostanze esistenti al momento della loro conclusione. Convenzione di Vienna del 1978à la non si occupa della materia. La lacuna è stata giustificata proprio riferendosi ai dubbi avanzati circa l’appartenenza della materia a quella della successione fra Stati. Successione nei debiti contratti mediante accordo internazionale Per quanto riguarda la successione nel debito pubblico , è di rilievo il fatto che il debito non sia stato contratto dal predecessore nell’ambito del proprio diritto interno (es. l’emissione di titoli di credito sottoscritti da persone fisiche o giuridiche, nazionali o estere). Se invece il debito ha formato l’oggetto di un accordo internazionale concluso con un altro Stato o con un’Organizzazione internazionale (es. il Fondo Monetario Internazionale o la Banca per la Ricostruzione e lo Sviluppo), in questo caso il principio generale applicabile è quello della tabula rasa, ad eccezione dei debiti localizzabili (debiti contratti per interessi che riguardavano esclusivamente il territorio oggetto del cambiamento di sovranitàà es. finanziamento di opere pubbliche nel territorio, oppure contratti da autorità pubbliche locali). Nonostante questa regola generale, deve però riconoscersi che anche per i debiti non localizzabili la prassi più recente è nel senso di una equa ripartizione concordata fra gli Stati sorti dallo smembramento e tra questi Stati ed i soggetti creditori. I nuovi Stati vanno ad assumersi equamente, tramite accordi basati sulle dimensioni del territorio e sul numero degli abitanti (criteri adoperabili per la ripartizione del debito), i debiti dello Stato esistente prima dello smembramento. Ciò è avvenuto, ad es., a seguito dell’estinzione dell’URSS o della Jugoslavia. Da precisare che questa spontanea ripartizione del debito avviene più allo scopo di continuare a godere del credito estero (internazionale), che per rispettare norme di diritto internazionale. Non è escluso che il ripetersi di questo atteggiamento possa portare alla formazione di una nuova norma non scritta, limitatamente agli accordi di mutuo, norma che imponga l’accollo dei debiti dello Stato predecessore. Nel caso delle Repubbliche ex sovietiche un memorandum di intesa del 1991 prevedeva la responsabilità solidale delle Repubbliche per i debiti esteri. Ma in effetti questi hanno finito per gravare unicamente sulla Russia, con la sola eccezione dell’Ucraina. Nel caso della ex Cecoslovacchia, la Repubblica Ceca e la Slovacchia si accordarono nel 1992 per dividersi i debiti in ragione del numero di abitanti di ciascuna, e quindi secondo un rapporto di due a uno. Nel caso della ex Jugoslavia la maggior parte dei debiti esteri erano localizzabili. CONVENZIONE DI VIENNA DEL 1983 La Convenzione di Vienna del 1983 sulla successione di Stati in materia di beni, archivi e debiti di Stato non è mai entrata in vigore per le sue norme assai favorevoli agli interessi del Terzo Mondo. Essa ha incontrato la netta opposizione degli Stati occidentali. Sembrerebbe doversi occupare in modo esclusivo della successione nelle situazioni giuridiche di diritto interno. Così è per i beni e gli archivi. La Convenzione conferma, infatti, il principio che la proprietà di diritto interno segue la sorte della sovranità territoriale. Essa opera un trattamento di particolare favore nei confronti dei Paesi già sottoposti a regime coloniale, attribuendo loro i beni esistenti nel territorio ed anche i beni (mobili e immobili) che si trovano all’estero e dei quali la Potenza coloniale si è appropriata durante il dominio coloniale. Applicandosi alla lettera una norma del genere, si arriverebbe ad incidere sulla consistenza di molti musei di Paesi sviluppati. Per quanto concerne i debiti di Stato, in un progetto si occupava, in modo unitario, di tutto il debito pubblico, fosse esso contratto dal predecessore con persone fisiche o giuridiche private, o con Stati e altri soggetti internazionali. Venne deciso, poi, di tenere conto solo di questa seconda categoria di debiti. E solo a questa si riferisce la Convenzione del 1983. Debito di Statoà deve intendersi qualsiasi obbligazione finanziaria del predecessore nei confronti di un altro Stato, di una organizzazione internazionale o di qualsiasi altro soggetto di diritto internazionale, sorta conformemente al diritto internazionale. La Convenzione intende occuparsi unitariamente dei debiti contratti dal predecessore con altri soggetti internazionali, e quindi:  dei debiti contratti nell’ambito del proprio diritto interno  dei debiti contratti mediante accordo internazionale La Convenzione adotta il principio della tabula rasa soltanto con riguardo agli Stati di nuova indipendenza, sorti dalla decolonizzazione, prevedendolo anche per i debiti localizzabili (esclusi così dalla successione), salvo accordo fra Stato nuovo e predecessore. La Convenzione sembra ispirarsi allo sviluppo progressivo del diritto internazionale, e giustificarsi in considerazione dei principi di giustizia e in ragione delle difficoltà finanziarie dei Paesi in via di sviluppo. Essa non codifica norme consuetudinarie consolidate. Con riguardo alle altre ipotesi di mutamento della sovranità (cessione territoriale, distacco, smembramento), segue, in conformità al diritto consuetudinario, il principio della successione nei debiti localizzabili, e prevede che vi sia una successione secondo una proporzione equa nei debiti generali del predecessore. Nel caso di incorporazione e di fusione (considerate unitariamente) la Convenzione prevede il passaggio di tutti i debiti dello Stato incorporato o degli Stati fusi allo Stato incorporante o a quello sorto dalla fusione, senza distinguere a seconda che lo Stato incorporato o fuso mantenga o no una sua autonomia. CAUSE DI INVALIDITÀ E DI ESTINZIONE DEI TRATTATI Varie cause di invalidità e di estinzione degli accordi internazionali sono analoghe a quelle dei contratti. La loro disciplina è prevista da:  Norme consuetudinarie ad hoc  Norme consuetudinarie costituite dai principi generali del diritto Cause di invalidità Vanno menzionati i vizi della volontà e cioè: 1. Errore essenziale (Convenzione di Vienna del 1969à definisce come l’errore circa un fatto o una situazione che lo Stato supponeva esistente al momento in cui il trattato è stato concluso e che costituiva una base essenziale del consenso di questo Stato). 2. Dolo (cui può ricondursi la corruzione dell’organo stipulante) 3. V iolenza fisica o morale esercitata sull’organo stipulante Cause di estinzione 1. Avverarsi della condizione risolutiva 2. Scadenza del termine finale 3. Denuncia o recesso (atto formale con cui lo Stato dichiara alle Parti contraenti la volontà di sciogliersi dal trattato, sempre che la possibilità di denunciare o recedere sia prevista dallo stesso trattato, espressamente o implicitamente). 4. Inadempimento della controparte 5. Sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione 6. Abrogazione totale o parziale (espressa o per incompatibilità) mediante accordo successivo tra le stesse Parti. Questa causa di estinzione trova fondamento nel principio generale sulla successione nel tempo degli atti giuridici di pari grado, secondo cui l’atto posteriore abroga quello anteriore (criterio cronologico). Violenza sullo Stato come causa di invalidità Può considerarsi come causa di invalidità la violenza esercitata sullo Stato nel complesso (forma di violenza che si concreta nella minaccia o nell’uso della forza)? Convenzione di Viennaà dà risposta positiva. Art 52 Convenzione di Vienna à è nullo qualsiasi trattato la cui conclusione sia stata ottenuta con la minaccia o l’uso della forza in violazione dei principi di diritto internazionale incorporati nella Carta delle Nazioni Unite. Art 52à corrisponde al diritto internazionale consuetudinario. È il riflesso dell’idea che l’uso della forza debba essere messo al bando dalla comunità internazionale. Tesi diffusa in passato à la violenza sullo Stato era considerata irrilevante, portandosi come argomento il fatto che i trattati di pace sono considerati come validi. Confortià non si tratta di un argomento decisivo, ove si consideri che il trattato di pace:  interviene in un momento in cui non c’è più pressione delle armi  rappresenta un componimento di interessi nel quale i vincitori e i vinti (in misura ineguale) si fanno reciproche concessioni  può anche non essere mai stipulato o non essere ratificato dallo Stato vinto  le Parti che lo contraggono non si trovano in una situazione di ineguaglianza maggiore di quella che può riscontrarsi in tanti trattati di altra natura Ma quando tra la minaccia dell’uso della forza e la conclusione di un accordo vi è effettivamente un rapporto direttoà l’accordo medesimo è invalido. Significativo al riguardo è il caso del Trattato di Berlino del 1938 (conseguente all’accordo di Monaco con cui la Cecoslovacchia accettava di cedere alla Germania di Hitler il territorio dei Sudeti): tale trattato era considerato come nullo in varie sentenze olandesi del dopoguerra, chiamate a risolvere problemi di cittadinanza di abitanti di quel territorio. necessario un atto di denuncia del trattato ? Una denuncia è sufficiente a liberare lo Stato che la compie o occorre badare alle reazioni degli altri Stati contraenti? Certe cause operano automaticamente (es. il termine finale o l’abrogazione da parte di un accordo successivo). Ma per la maggior parte delle cause di invalidità e di estinzione (es. i vizi della volontà o la sopravvenuta impossibilità dell’esecuzione) la discussione è aperta fra:  chi sostiene l’automaticità  chi sostiene la necessità di un atto di denuncia notificato agli altri Stati contraenti Non è chiaro se vi sia e quale sia un criterio idoneo a distinguere le cause ad effetto automatico dalle altre. Vi è poi il timore di legittimare gli abusi e di avallare scioglimenti unilaterali ed arbitrari. Per questo si tende ad escludere l’automaticità quando la causa invalidante o estintiva consista in fatti difficili da provare o di dubbia interpretazione. La materia risente della mancanza di una funzione giurisdizionale istituzionalizzata. Convenzione di Vienna del 1969 à complica le cose perché:  introduce modalità per far valere l’invalidità o l’estinzione ignoti al diritto consuetudinario  non prevede un sistema di soluzione delle controversie capace di evitare gli abusi Confortià l’automaticità va riconosciuta, ma in modo circoscritto. Chiunque debba applicare un trattato (operatori giuridici interni e giudici nazionali) decide se il trattato  o sia ancora in vigore  o sia affetto da una causa di invalidità o di estinzione Una simile decisione fa parte della decisione diretta a verificare l’applicabilità del trattato. Tendenza giudici nazionalià a risolvere nelle loro sentenze le questioni di invalidità o di estinzione dei trattati, prescindendo da formali atti di denuncia sul piano internazionale. Trattasi però di decisioni circa l’invalidità o la estinzione che:  valgono per il caso concreto, non vincolanti per i casi successivià limite dell’automaticità  possono avere conseguenze di carattere internazionaleà dando luogo a proteste, a misure di ritorsione o rappresaglie da parte di quegli Stati contraenti i quali ritengano che il trattato sia invece perfettamente valido e in vigore Denuncia del trattato Così intesa, l’automaticità non è alternativa alla procedura della denuncia, che serve a scopi diversi. Atto formale di denunciaà notificato alle Parti contraenti o al depositario del trattato, implica la volontà dello Stato di sciogliersi una volta per tutte dal vincolo contrattuale . Una simile manifestazione di volontà, quando non è esercizio di un potere di denuncia previsto dallo stesso trattato ed esercitabile ad libitum ma si fonda su un’altra causa di invalidità o di estinzione, non è indispensabile. Se lo Stato vi ricorre è per far risaltare in modo certo e definitivo che, a suo giudizio, il trattato non è applicabile o non è più applicabile in quanto invalido o estinto. La denuncia è sufficiente a produrre la cessazione del vincolo? La risposta è in termini relativi. Nel diritto internoà la denuncia vincola alla disapplicazione interna. Unica condizione a tal fine è che essa promani dagli organi competenti a manifestare la volontà dello Stato in ordine ai rapporti internazionali. Nel diritto internazionaleà gli altri Stati contraenti non sono vincolati dalla unilaterale manifestazione di volontà dello Stato denunciante. Cosicché, in caso di disaccordo sull’effettiva insorgenza della causa di invalidità o di estinzione, il trattato entrerà in una fase di incertezza sul piano internazionale , dalla quale potrà uscirci solo con un nuovo accordo o con la sentenza di un giudice internazionale. Competenza a denunciare Per determinare gli organi dello Stato competenti a denunciare il trattato, occorre rifarsi ai principi costituzionali di ciascuno Stato (in Italiaà Art 80 Cost). Per la denuncia dei trattati che rientrano nelle categorie previste dall’ Art 80 Cost occorre una legge di autorizzazione come per la ratifica? Prassià indica che competente a formare e a manifestare la volontà dello Stato in materia è il Potere esecutivo. Ma la situazione si sta evolvendo verso una sempre maggiore collaborazione fra Governo e Parlamento, cioè verso la necessità che vi sia una qualche forma di assenso del Parlamento in ordine alla decisione del Governo di denunciare. In Italia non si può sostenere che l’assenso del Parlamento condizioni la validità della denuncia. Formazione Vs manifestazione della volontà dello Statoà la competenza a denunciare spetta all’Esecutivo. Responsabilità del Governo nei confronti del Parlamentoà il Parlamento controlla con poteri ispettivi l’operato dell’Esecutivo. Resta salva la possibilità per il Parlamento di revocare con legge dell’ordine di esecuzione o dell’autorizzazione alla ratifica. La revoca già di per sé è sufficiente alla disapplicazione dei trattati. Procedura prevista dalla Conv. di Vienna per far valere l’invalidità o l’estinzione dei trattati Artt 65 ‐ 68 Convenzione di Vienna del 1969 :  Lo Stato che invoca un vizio del consenso (o altra causa di invalidità o di estinzione) deve notificare per iscritto la sua pretesa alle altre Parti contraenti del trattato.  Se, trascorso un termine (non inferiore a 3 mesi, salvo il caso di particolare urgenza), non vengono manifestate obiezioni, lo Stato può definitivamente dichiarare con un atto (comunicato alle altre Parti + sottoscritto dal Capo dello Stato o del Governo o dal Ministro degli Esteri) che il trattato è da ritenersi invalido o estinto.  Se vengono sollevate obiezioni, lo Stato che intende sciogliersi e la Parte/Parti obiettanti devono ricercare una soluzione della controversia con mezzi pacifici (conciliazione, negoziati, arbitrato).  Soluzione à deve intervenire entro 12 mesi. Trascorso inutilmente tale termine, ciascuna Parte può mettere in moto una complessa procedura conciliativa che: - fa capo ad una Commissione delle Nazioni Unite - non sfocia in una decisione obbligatoria, ma solo in un rapporto dal valore esortativo Non è detto cosa succede se la Parte/Parti controinteressate respingano il rapporto della Commissione che si pronunci a favore dell’invalidità o dell’estinzione. Secondo un autorevole parereà probabilmente la pretesa invalidità o estinzione, pur fondatissima che sia, resta paralizzata in perpetuo. Gli Stati in seno alla Conferenza di Vienna, infatti, si sono schierati contro il sistema di arbitrato obbligatorio.  Decisione obbligatoria della CIG su ricorso unilaterale à è prevista per l’eccezionale caso che la pretesa invalidità o estinzione si fondi su una norma di jus cogens . Norme della Convenzioneà non codificano il diritto internazionale consuetudinario. Nei rapporti fra Paesi aderenti alla Convenzioneà la procedura descritta si sostituisce al tradizionale atto di denuncia , posto in essere senza l’osservanza di particolari forme, termini e modalità. La sostituzione comporta che chiunque sia chiamato ad applicare il trattato non potrà mai considerare come efficace l’eventuale atto di denuncia unilaterale finché:  le condizioni poste dagli Artt 65ss non siano soddisfatte  ogni controversia relativa allo scioglimento medesimo non sia risolta con accordo o sentenza internazionale. Deve ritenersi che nei rapporti tra i Paesi che aderiscono alla Convenzione di Vienna un giudice interno non possa disapplicare il trattato anche se ne accerta l’invalidità o l’estinzione? Insomma, deve ritenersi che la giurisprudenza interna dei Paesi tra cui vige la Convenzione sia anch’essa condannata alla paralisi? Confortià la risposta deve essere negativa. Una tale soluzione dovrebbe discendere da una disposizione espressa. Non è corretto ricavarla dal sistema degli Artt 65 ss, che si preoccupa delle sole controversie fra Stati e degli aspetti diplomatici della materia. FONTI PREVISTE DA ACCORDIà Fenomeno delle Organizzazioni internazionali NAZIONI UNITE I trattati possono contenere:  Regole materiali  Regole formali o strumentali, regole cioè che istituiscono ulteriori procedimenti o fonti di produzione di norme. L’es. più importante è il Settore dell’organizzazione internazionale. In tutti i casi in cui un’organizzazione internazionale è abilitata dal trattato che le dà vita (trattato istitutivo) ad emanare decisioni vincolanti per gli Stati membri, si è in presenza di una fonte prevista da accordo (fonte di 3°grado). Il numero delle organizzazioni esistenti è impressionante. Gli Stati sono ancora restii a dotare le Organizzazioni internazionali di effettivi poteri vincolanti ed a limitare conseguentemente la propria sovranità. Solo alcune Organizzazioni, e solo in alcuni casi, dispongono di un vero e proprio potere decisionale. Il loro compito è generalmente quello di facilitare la collaborazione fra Stati membri. La loro attività si svolge il più spesso in una fase dallo scarso valore giuridico, consistendo nella predisposizione di progetti di convenzioni che gli Stati membri sono liberi di tradurre o no in norme giuridiche attraverso la ratifica delle convenzioni medesime. Altra attività svolta dalle organizzazioni internazionali è costituita dall’emanazione di raccomandazioni, atti cha hanno valore esortativo. Negoziazione di accordi in seno alle Organizzazionià i Governi sono costretti a negoziare (superamento del particolarismo statale) e l’accordo tende a porsi come strumento di cooperazione e di solidarietà tra i Governi nell’interesse dei popoli. Le risoluzioni delle Organizzazioni internazionali (secondo quanto prescritto dagli statuti rispettivi):  possono essere normalmente prese a maggioranza , magari qualificata.  poiché gli Stati non amano sottostare alle altrui deliberazioni, non è rara la ricerca dell’unanimità (visto che gli organi delle organizzazioni sono composti da Stati).  Si è poi andata diffondendo la pratica del consensus , che consiste nell’approvare una risoluzione senza votazione formale, di solito con una dichiarazione del presidente dell’organo la quale attesta l’accordo fra i membri. Tale pratica non è del tutto positiva perché finisce col dare alle risoluzioni contenuti vaghi e di compromesso. Organizzazione delle Nazioni Unite L’Organizzazione delle Nazioni Unite fu fondata dopo la Seconda guerra mondiale dagli Stati che avevano combattuto contro le Potenze dell’Asse, e prese il posto della Società delle Nazioni. La Conferenza di San Francisco ne elaborò nel 1945 la Carta che venne ratificata dagli Stati fondatori. Successivamente, secondo il procedimento di ammissione previsto (Art 4 Carta ), ne sono via via divenuti membri quasi tutti gli Stati del mondo. L’Art 7 Carta elenca gli organi principali. Consiglio di Sicurezzaà è composto da 15 membri. 5 siedono a titolo permanente (Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia), godendo del diritto di veto (cioè del diritto di impedire col loro voto negativo l’adozione di qualsiasi delibera che non abbia carattere procedurale. Gli altri 10 membri sono eletti per un biennio dall’Assemblea. Ha una competenza (limitata ratione materiae) relativa a questioni attinenti al mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. È l’organo di maggior rilievo nell’ambito dell’Organizzazione, per l’evidente importanza delle questioni di sua competenza e perché, in taluni casi, dispone di poteri decisionali vincolanti. Si è discusso circa la natura degli accordi di collegamento ONU-Istituti, se vi è la possibilità e l’utilità di configurarli come veri e propri accordi internazionali. Confortià si tratta di un complesso di norme che disciplinano le funzioni degli organi. I rapporti tra l’ONU e gli Istituti Specializzati sono divenuti più intensi nel quadro della cooperazione per lo sviluppo dei Paesi arretrati, articolandosi nella partecipazione degli Istituti a programmi di assistenza promossi dalle Nazioni Unite. Anche gli Istituti specializzati, come le Nazioni Unite, svolgono:  Funzioni di tipo normativo à emanano di solito raccomandazioni oppure predispongono progetti di convenzione. Esauriscono la loro attività in una fase di scarso rilievo giuridico. In alcuni casi essi emanano, però, a maggioranza, decisioni vincolanti per gli Stati membri o, meglio, decisioni che divengono vincolanti se gli Stati non manifestano entro un certo periodo di tempo la volontà di ripudiarle. Tali decisioni vanno inquadrate tra le fonti previste da accordo, cioè dall’accordo istitutivo della relativa organizzazione.  Funzioni di tipo operativo à come le deliberazioni ed esecuzioni di programmi di assistenza tecnica, di aiuti, di prestiti). Intensi al riguardo sono i collegamenti con gli organi dell’ONU preposti alla cooperazione per lo sviluppo. Trattasi di collegamenti che avvengono su base paritaria, attraverso convenzioni, che non si traducono in rapporti di dipendenza. FAOà Food and Agricultural Organization: Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura  Ha sostituito l’Istituto Internazionale di Agricoltura.  Suoi organi sono: - Conferenzaà composta di un delegato per Stato membro. Essa si riunisce ogni 2 anni. - Consiglio - Direttore generale  Ha funzioni di ricerca, informazione, promozione ed esecuzione di programmi di aiuti e assistenza tecnica nel campo dell’agricoltura e dell’alimentazione. ILOà International Labour Organization: Organizzazione internazionale del lavoro  È l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, costituita con i Trattati di pace alla fine della Prima guerra mondiale.  Ogni Stato partecipa alla Conferenza generale con 4 delegatià di cui 2 rappresentano il Governo e gli altri 2 rispettivamente i datori di lavoro e i lavoratori.  Altri organi sono: - Consiglio di Amministrazioneà di cui fanno permanentemente parte 10 Stati fra i più industrializzati del mondo. - Ufficio internazionale del lavoroà composto da funzionari facenti capo ad un Direttore generale.  Ha funzioni relative all’emanazione di raccomandazioni e alla predisposizione di progetti di convenzione multilaterale in materia di lavoro.  I progetti di convenzione vengono comunicati agli Stati membri, i quali sono liberi di ratificarli o meno, ma hanno l’obbligo di sottoporli, entro un certo termine, agli organi competenti per la ratifica.  ILO à ha contribuito notevolmente allo sviluppo della tutela dei lavoratori. UNESCOà United Nations Educational Scientific and Cultural Organization: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura  Si propone di diffondere la cultura, lo sviluppo dei mezzi di educazione all’interno degli Stati membri e l’accesso all’istruzione, di assicurare la conservazione del patrimonio artistico e scientifico.  Suoi organi sonoà Conferenza generale + Comitato esecutivo + Segretariato.  Anche i suoi progetti di convenzione devono essere sottoposti, entro un certo periodo di tempo, dallo Stato membro agli organi competenti a ratificare, salva sempre la libertà di procedere o meno a quest’ultima. ICAOà International Civil Aviation Organization: Organizzazione per l’aviazione civile intemazionale  Gli organi sonoà Assemblea + Consiglio + Segretario generale.  Consiglioà può emanare, sotto forma di allegati alla Convenzione, tutta una serie di disposizioni (denominate standards internazionali o pratiche raccomandate) relative al traffico aereo.  Gli allegati entrano in vigore per tutti gli Stati membri dopo 3 mesi dalla loro adozione, se nel frattempo la maggioranza degli Stati membri non abbia notificato la propria disapprovazione. Sono atti che costituiscono una vera e propria fonte di norme internazionali di carattere tecnico, vincolanti tutti gli Stati membri, compresi quelli dissenzienti. WHO ( World Health Organization) à OMS (Organizzazione mondiale della sanità)  Ha come obiettivo principale il conseguimento da parte di tutti i popoli del livello più alto possibile di salute.  Dispone di un certo potere vincolante nei confronti degli Stati membri. Emana anche raccomandazioni e predispone progetti di convenzioni multilaterali.  L’Assemblea può emanare regolamenti in tema di procedure per prevenire la diffusione di epidemie, di nomenclatura di malattie epidemiche e mortali, di caratteristiche di prodotti farmaceutici.  Detti regolamenti entrano in vigore per tutti i Paesi membri, eccettuati quei Paesi che, entro un certo periodo di tempo, comunicano il loro dissenso. IMOà International Maritime Organization: Organizzazione intemazionale marittima  Si occupa di problemi relativi alla sicurezza ed efficienza dei traffici marittimi, emanando raccomandazioni e predisponendo progetti di convenzione. ITU ( International Telecommunication Union ) + WMO ( World Meteorological Organization ) + UPU ( Universal Postal Union) : Unione internazionale delle telecomunicazioni + Organizzazione meteorologica mondiale + Unione postale universale  Svolgono un’attività di predisposizione di testi convenzionali e di regolamenti.  I regolamenti di WMO e UPU non vincolano lo Stato membro indipendentemente dalla sua volontà.  ITU à le revisioni periodiche ai regolamenti amministrativi, adottate a maggioranza semplice, vincolano tutti gli Stati membri, salvo che questi non manifestino la loro opposizione al momento dell’adozione o entro un certo termine dall’adozione. IMF ( International Monetary Fund ) + IBRD ( International Bank For Reconstruction and Development ) + IFC ( International Finance Corporation ) + IDA ( International Development Association ) : Fondo monetario internazionale + Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo + Società finanziaria internazionale + Associazione internazionale per lo sviluppo Fondo Monetario Internazionale + Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppoà sono stati creati con gli accordi di Bretton Woods. IMF ( International Monetary Fund )  Gli organi principali del Fondo sono: - Consiglio dei Governatorià organo deliberante, composto da un Governatore e da un supplente nominati da ciascuno Stato membro, e che delibera secondo maggioranze corrispondenti all’entità delle quote di capitale sottoscritte e quindi con un peso determinate dei Paesi ricchi (degli Stati Uniti in particolare) - Comitato esecutivo - Direttore generale  Ha funzioni di promozione della collaborazione monetaria internazionale, della stabilità dei cambi, dell’equilibrio delle varie bilance dei pagamenti, e dispone, per raggiungere tali scopi, di un capitale sottoscritto pro quota dagli Stati membri.  Gli Stati membri possono ricorrere alle riserve del Fondo entro certi limiti rapportati alla quota sottoscritta, secondo regole precise ed a determinate condizioni stabilite di volta in volta (nel caso dei stand ‐ by agreements ), allorché abbiano necessità di procurarsi valuta estera al fine di fronteggiare squilibri nella propria bilancia dei pagamenti.  Le condizioni di volta in volta fissate costituiscono oggetto di una lettera di intenti sottoscritta da un rappresentante dello Stato richiedente. IBRD ( International Bank For Reconstruction and Development )  La Banca ha un cospicuo capitale sottoscritto dagli Stati membri.  Suo scopo principale è la concessione di mutui agli Stati membri (o a privati, ma con garanzia circa la restituzione prestata da uno Stato membro) per investimenti produttivi e ad un tasso di interesse variabile a seconda del grado di sviluppo dello Stato membro interessato.  Ha struttura e sistemi di votazione simili a quelli del Fondo Monetario.  Affiliati alla Banca sono gli altri 2 Istituti specializzati, IFC e IDA. IFADà International Fund for Agricultural Development: Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo  È un ente finanziario internazionale che contribuisce (sotto forma di aiuti e di prestiti) allo sviluppo dell’agricoltura dei Paesi poveri e con deficit alimentari notevoli.  L’organo deliberante (Consiglio dei Governatori) è sotto il controllo dei Paesi in via di sviluppo, i quali dispongono delle maggioranze richieste per l’adozione delle delibere. WIPOà World Intellectual Property Organization: Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale  si occupa dei problemi della proprietà intellettuale nel mondo, assicurando la cooperazione amministrativa tra le Unioni già presenti nel settore, partecipando ad accordi, fornendo assistenza tecnica legale agli Stati. UNIDOà United Nations Industrial Development Organization: Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo Industriale  Da organo sussidiario dell’Assemblea generale dell’ONU, è stata trasformata in Istituto specializzato.  È costituita da Assemblea + Consiglio + Segretariato  Promuove programmi e studi e fa raccomandazioni. I suoi compiti principali non sono di tipo normativo ma operativo (assistenza tecnica, consulenza in tema di innovazioni tecnologiche). IAEAà International Atomic Energy Agency: Agenzia internazionale per l’energia atomica  Promuove lo sviluppo e la diffusione delle applicazioni pacifiche dell’energia atomica.  Non ha la qualifica di Istituto specializzato perché, per la materia che tratta, ha legami con l’Assemblea e col Consiglio di Sicurezza (e non, come gli altri Istituti, con l’Assemblea e il Consiglio economico e sociale). WTO ( World Trade Organization à OMC(Organizzazione mondiale del commercio)  Del tutto indipendente dalle Nazioni Unite, nell’Organizzazione Mondiale del Commercio fanno parte 135 Stati, fra cui l’Italia.  Ha come organi principali: Fonti previste da accordi (Atti delle Organizzazioni internazionali)à Fonte di 3°grado Quali sono i rapporti fra queste fonti? Rapporti tra consuetudine e accordoà il fatto che le norme pattizie siano sottordinate alle norme consuetudinarie non significa di per sé l’inderogabilità delle norme consuetudinarie da parte delle norme pattizie. Una norma di grado inferiore può derogare alla norma di grado superiore, se quest’ultima lo consente. Flessibilità delle norme consuetudinarie Le norme consuetudinarie internazionali, così fortemente vincolanti, non possono essere derogate mediante accordo? Soluzioneà è negativa. Secondo opinione comuneà le norme consuetudinarie sono caratterizzate da: Flessibilità + Derogabilità mediante accordo Il diritto pattizio finisce con l’avere la prevalenza sul diritto consuetudinario dato che:  la consuetudine è flessibile  la maggior parte delle norme consuetudinarie ha carattere generale  le norme pattizie hanno carattere particolare ratione personarum (vincolando solo gli Stati contraenti) Il diritto particolare prevale sul diritto generale anche se anteriore. Le cose stanno diversamente nel caso delle consuetudini che si formano proprio in deroga alle norme di un determinato trattato. Flessibilità dei principi generali di diritto riconosciuti dalle Nazioni Civili Regola della derogabilità mediante accordoà vale anche per i principi generali del diritto comuni agli ordinamenti interni (categoria di norme consuetudinarie). Es. Art 27 Carta ONU: lo Stato membro del Consiglio di Sicurezza deve astenersi dal votare se una questione lo riguarda. L’obbligo di astensione è limitato a determinati casi di minore importanza. Trattasi di una norma che protegge le grandi Potenze le quali, disponendo di un diritto di veto, possono così bloccare una procedura di espulsione o di adozione di misure coercitive nei loro confronti. La deroga al principio generale nemo judex in re sua è evidente. DIRITTO INTERNAZIONALE COGENTE Opinione comuneà è che esista un gruppo di norme di diritto internazionale generale le quali eccezionalmente sarebbero cogenti (jus cogens). Art 53 Convenzione di Vienna del 1969à è nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in contrasto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Norma imperativa del diritto internazionale generaleà si deve intendere una norma accettata e riconosciuta dalla comunità degli Stati (nel suo insieme) come norma:  alla quale non può essere apportata nessun deroga  che può essere modificata da una nuova norma di diritto internazionale generale avente il medesimo carattere Se si forma una nuova norma imperativa di diritto internazionale generale, qualsiasi trattato esistente che sia in contrasto con questa norma diviene nullo e si estingue (cause di estinzione dei trattati). Convenzione di Vienna:  non indica quali norme internazionali siano imperative  dà una nozione di norma cogente piuttosto tautologica La norma cogente è quella che non può essere derogata. Interpreteà deve ricostruire lo jus cogens. Egli (come nel caso del diritto consuetudinario normale) dovrà stabilire:  se una nuova norma trova riscontro negli elementi della diuturnitas e dell’opinio juris  in base a questi 2 elementi, se gran parte degli Stati considera detta norma come superiore alle comuni fonti internazionali in quanto ispirata a valori fondamentali e universali Nozione di diritto cogenteà ha così carattere storico, potendo mutare da un’epoca all’altra. Allo jus cogens appartengono: - Nucleo essenziale/nocciolo duro dei diritti umani - Principio di autodeterminazione dei popoli - Divieto dell’uso della forza (eccezione fatta per la legittima difesa) - Diritto allo sviluppo (forse) La lista è esemplificativa. Ad essa va aggiunto l’Art 103 Carta ONU che sancisce: l’inderogabilità degli obblighi scaturenti dalla Carta e dalle decisioni vincolanti degli organi ONU. Detti obblighi sono considerati come inderogabili da tutta la comunità internazionale. In effetti il rispetto dei principi della Carta:  è stato sempre considerato come una delle regole fondamentali della vita di relazione internazionale  appare come norma consuetudinaria cogente Art 103à non assurge al rango di norma generale ed imperativa nella giurisprudenza della CGUE in tema di decisioni del Consiglio di Sicurezza sul terrorismo. CGUEà non ne ha riconosciuto la superiorità rispetto al diritto dell’Unione, ma si è semmai preoccupata che gli Stati membri non la violassero. Quali sono le possibili applicazioni di una norma internazionale imperativa? Art 53 Convenzione di Viennaà prevede che, se si applica una norma internazionale imperativa, la conseguenza principale dovrebbe essere la nullità del trattato contrario allo jus cogens . Diciamo “dovrebbe” perché è difficile trovare nella prassi casi di trattati che per questo motivo siano stati:  o impugnati con successo da uno Stato  o dichiarati nulli da un’istanza giudiziaria Jus cogens e Trattati di garanzia Trattato di garanzia relativo a Ciproà è stato considerato contrario al principio che vieta l’uso della forza (fuori dei casi di legittima difesa). Questo trattato autorizza Grecia, Regno Unito e Turchia (Parti contraenti del trattato) ad intraprendere azioni (congiuntamente o disgiuntamente) in caso di modifica della situazione di Cipro, così come regolata dal trattato medesimo. Confortià non siamo di fronte ad un caso di contrarietà al divieto dell’uso della forza. Il trattato va interpretato nel senso che esso non autorizzi l’uso della forza da parte degli Stati garanti fuori dei casi di reazione ad attacchi armati altrui nell’isola. Jus cogens e Trattati che prevedono interventi umanitari Divieto dell’uso della forzaà ha carattere cogente. Tale carattere non riguarderebbe gli interventi umanitari, ossia le azioni violente dirette a salvare vite umane dei propri o anche degli altrui cittadini. Siffatte azioni:  violerebbero il divieto dell’uso della forza ma non in quanto norma di jus cogens  costituirebbero degli illeciti minoris generis La conseguenza sarebbe che i trattati che li prevedono sarebbero perfettamente applicabili. Jus cogens e Trattati contrari all’autodeterminazione dei popoli Invalidità per contrasto con il principio di autodeterminazione dei popolià fu prospettata per le disposizioni degli Accordi di Camp David e del Trattato di pace tra Egitto e Israele, relative alla sorte degli abitanti della striscia di Gaza e della West Bank sotto dominazione israeliana. Ma è (forse) preferibile sostenere che dovessero essere le disposizioni dei 2 accordi a ricevere un’interpretazione conforme al principio di autodeterminazione. Un’applicazione meno radicale della nullità è quella che può esprimersi in termini di superiorità o prevalenza della norma di jus cogens rispetto a: - Norme consuetudinarie normali - Trattati - Fonti derivanti da trattati La norma internazionale contraria ad una norma imperativa resta pienamente valida ma è inapplicabile. Insomma, il rapporto tra le 2 categorie di norme è da esprimere in termini di inderogabilità (e non di nullità). Anche in una forma così limitata, le applicazioni stentano a verificarsi nella prassi. A trovare maggiormente applicazione è stato l’Art 103 Carta ONU. Nelle sentenze nazionali, le decisioni vincolanti del Consiglio di Sicurezza sul congelamento dei beni di individui presunti terroristi (decisioni inderogabili da trattati in virtù dell’ Art 103 ), messe a confronto con le norme della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, hanno finito per prevalere, dopo un bilanciamento degli interessi in gioco. Le norme della Convenzione (coinvolte nella specie) non appartenevano al nocciolo duro dei diritti dell’uomo, trattandosi del diritto al giudice e del diritto di proprietà. Confortià la nostra opinione circa le molteplici possibili applicazioni dello jus cogens è idonea a superare l’obiezione mossa con riguardo all’Art 103. Secondo tale obiezione non potrebbe dirsi che l’Art 103 appartenga al diritto internazionale cogente in quanto sancisce solo l’inderogabilità degli obblighi previsti dalla Carta. Si è sostenuto che lo jus cogens avrebbe anche un effetto di deterrenza. Obblighi erga omnes Le norme di jus cogens non hanno soltanto la funzione:  o di prevalere sui trattati  o di rendere nulli i trattati (secondo l’opinione comune conforme all’Art 53 Convenzione di Vienna) Esse vengono in rilievo come norme dalle quali derivano obblighi erga omnes , ossia norme alla cui applicazione hanno interesse tutti gli Stati. Inderogabilità delle norme sulle cause di invalidità e di estinzione dei trattati Le norme sulle cause di invalidità e di estinzione dei trattati sono derogabili? Gli Stati possono affermare in un trattato che, anche essendo il trattato medesimo frutto di violenza, esso deve intendersi come perfettamente valido? Norme sulle cause di invalidità e di estinzione dei trattatià sono norme inderogabili. Queste norme generali regolano la struttura dell’accordo (e non il contenuto). Ciò le pone per forza su di un piano superiore al trattato (anche nel senso della forza formale). Qualsiasi clausola pattizia che stabilisca una deroga a queste norme resterebbe a sua volta pur sempre ad esse soggetta. Rapporti tra atti delle organizzazioni internazionali e Statuti delle norme medesime Entro quali limiti gli atti delle Organizzazioni internazionali possono derogare alle norme dei trattati che ne prevedono l’emanazione? Il problema va risolto caso per caso. In ogni Trattato istitutivo di un’Organizzazione internazionale possono trovarsi:  Norme derogabili  Norme cogenti (tra queste vanno classificate le norme le quali prescrivono le maggioranze necessarie per l’adozione degli atti) Alle fonti previste da accordi si estende à la regola fondamentale secondo cui le norme convenzionali possono derogare al diritto consuetudinario (eccezione fatta per lo jus cogens). Nei casi di dubbio, si ritiene che sia lo stesso Statuto dell’Organizzazione ad imporre l’osservanza del diritto internazionale generale agli organi delle Organizzazioni. Ciò sempre che l’Accordo istitutivo, non trattandosi di diritto cogente, non vi deroghi (es. il caso Art 27 Carta ONU). Tesi della frammentazione incoercibili, svolgendosi in spazi e con modalità che non possono essere colpite o intercettate, sfuggono al potere di governo dello Stato. Comunicazioni in rete Ciò lo si è detto per le comunicazioni via radio, poi per le attività spaziali e lo si dice oggi per le comunicazioni via internet. Confortià anche in questi casi, punto di riferimento della disciplina internazionalistica restano le persone e le cose. I diritti e gli obblighi internazionali di cui lo Stato è titolare presuppongono sempre la sua possibilità governare, magari soltanto nei luoghi di partenza o di arrivo, le attività umane (si pensi alle regole che uno Stato emana per disciplinare il commercio elettronico). La materia dei limiti all’uso della forza internazionale viene in rilievo soprattutto sotto l’aspetto della legittima difesa. SOVRANITÀ TERRITORIALE Origini della norma sulla sovranità territoriale Norma consuetudinaria sulla sovranità territoriale à 1°limite all’uso della forza interna dello Stato. Essa si affermò all’epoca in cui venne meno il Sacro Romano Impero ed in cui conseguentemente cessò ogni forma di dipendenza (anche formale), delle singole entità statali, dall’Imperatore e dal Papa. La sovranità territoriale venne allora concepita come una sorta di diritto di proprietà dello Stato, o meglio del sovrano, avente per oggetto il territorio. Anche il potere esercitato sugli individui veniva ricollegato alla disponibilità del territorio (Quadrià Il territorio era tutto: gli individui erano pertinenze del territorio. Il potere dello Stato sulle persone e sulle cose era una manifestazione, una derivazione del potere sul territorio). La sovranità territoriale è oggi indirettamente tutelata anche dal principio che vieta la minaccia o l’uso della forza nei rapporti internazionali. Contenuto della sovranità territoriale Si è discusso e si discute circa la natura giuridica internazionale del territorio:  C’è chi afferma trattarsi dell’oggetto di un diritto reale dello Stato, simile alla proprietà.  C’è chi ritiene che il territorio non venga in rilievo come bene in senso patrimonialistico ma segni soltanto l’ambito entro il quale si esplica la potestà di governo dello Stato. La potestà di governo costituirebbe il vero oggetto del diritto di sovranità territoriale.  C’è chi mescola le 2 tesi. Adottandosi l’una o l’altra concezione, non muta il contenuto della norma internazionale sulla sovranità territoriale. Circa il contenuto, la norma consuetudinaria attribuisce ad ogni Stato il diritto di esercitare in modo esclusivo il potere di governo sulla sua comunità territoriale, cioè sugli individui (e sui loro beni) che si trovano nell’ambito del territorio. Correlativamente ogni Stato ha l’obbligo di non esercitare in territorio altrui (e senza il consenso dell’autorità/sovrano locale) il proprio potere di governo, ossia di non svolgervi con i propri organi azioni di natura coercitiva o suscettibili di essere coercitivamente attuate. La violazione della sovranità territoriale si ha solo se vi è presenza fisica e non autorizzata dell’organo straniero nel territorio. Cattura di criminali in territorio straniero Fu ad es. illecita, anche se moralmente giustificabile, la cattura da parte di agenti del Governo israeliano del criminale nazista Eichmann, avvenuta in territorio argentino nel 1960 (Eichmann fu poi processato e giustiziato in Israele). La illiceità della cattura fu affermata anche dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adito dall’Argentina. Il Consiglio, pur sottolineando la necessità di perseguire i nazisti che si erano macchiati di crimini contro gli ebrei e avvertendo di non volere in alcun modo giustificare i crimini odiosi di cui Eichmann era accusato, chiese al Governo israeliano di assicurare al Governo argentino una riparazione adeguata conformemente alla Carta delle Nazioni Unite e alle norme del diritto consuetudinario (per l’invasione del territorio argentino). Sono illecite anche le azioni di polizia consistenti nell’inseguimento di criminali oltre frontiera. L’illiceità della cattura di criminali all’estero si esaurisce nei rapporti fra Stati, non comportando, dal punto di vista del diritto internazionale, l’assenza della potestà di punire, potestà sempre esercitabile anche sugli stranieri, sempre che vi sia un collegamento del reato con lo Stato che punisce (e sempre che non sussista un problema di immunità internazionale dell’autore). Regime delle capitolazioni La presenza e l’esercizio di pubbliche funzioni da parte di organi stranieri è autorizzata da una serie di ipotesi tipiche, prime fra tutte quelle relative all’attività di agenti diplomatici e di consoli stranieri. Ad es. una forma particolarmente intensa di attività giurisdizionale svolta all’estero era quella esercitata nel quadro del regime delle capitolazioni, regime in base al quale alcuni Stati che venivano ritenuti poco affidabili sotto l’aspetto dell’amministrazione della giustizia (Impero Ottomano, Cina), consentivano agli europei di essere giudicati dai consoli dei loro Paesi. Tale regime venne a cessare definitivamente dopo la Seconda guerra mondiale. Il potere di governo dello Stato territoriale è esclusivo rispetto a quello degli altri Stati ed è anche libero nelle forme e nei modi del suo esercizio e nei suoi contenuti: lo Stato è libero di fare ciò che vuole nel suo territorio, di disporre come crede delle proprie risorse naturali, di seguire i criteri che crede nel governo della comunità territoriale. Questa libertà, nata come assoluta, si è andata sempre più restringendo man mano che il diritto internazionale moderno si evolveva. Quasi tutte le norme internazionali che si sono venute formando (comprese quelle che, come le norme sui diritti umani, sulla cooperazione in campo economico e sociale, perseguono valori di giustizia, di cooperazione e solidarietà tra i popoli) comportano una serie di limiti al potere di governo esplicato nell’ambito del territorio. Anche se non mancano le eccezioni derivanti dal diritto consuetudinario, i limiti alla libertà dello Stato sono l’effetto di norme convenzionali che gli Stati hanno liberamente predisposto e accettato. Le prime eccezioni che si sono andate affermando, sul piano del diritto consuetudinario e sul piano del diritto pattizio, sono costituite dalle norme che impongono un certo trattamento degli stranieri (persone fisiche o giuridiche), degli organi stranieri (soprattutto degli agenti diplomatici), degli stessi Stati stranieri e delle Organizzazioni internazionali. I limiti che da queste norme derivano al potere dello Stato non sono oggi i più importanti. Per quanto riguarda la condizione degli stranieri, la specificità di questi limiti si è andata molto attenuando perché essi sono confluiti nelle norme che tutelano tutti gli esseri umani. Molto più importanti sono i limiti prodotti dalle norme che perseguono i valori di giustizia, di cooperazione e di solidarietà tra i popoli. Sovranità territoriale, Paesi in via di sviluppo e sovranità sulle risorse naturali La libertà dello Stato nell’ambito del suo territorio, libertà che costituisce da vari secoli il contenuto del diritto di sovranità territoriale, è ribadita da alcuni principi del nuovo ordine economico internazionale. Questi principi sono molto cari ai Paesi in via di sviluppo, i quali ravvisano le basi per poter evitare ingerenze e sfruttamenti da parte dei Paesi industrializzati. Confortià ci riferiamo al:  Principio della sovranità permanente dello Stato sulle risorse naturalià ogni Stato possiede ed esercita liberamente una sovranità completa e permanente su tutte le sue ricchezze, risorse naturali e attività economiche.  Principio per cui ogni Stato ha il diritto di scegliere il proprio sistema economico, oltre che i suoi sistemi politici, sociali e culturali, conformemente alla volontà del suo popolo, nonché di scegliere i suoi obiettivi e i suoi mezzi di sviluppo, di mobilitare e di utilizzare integralmente le sue risorse, di operare delle riforme economiche e sociali progressive e di assicurare la piena partecipazione del suo popolo al processo e ai vantaggi dello sviluppo. Queste enunciazioni, più che sul contenuto della sovranità territoriale, mirano ad influire, ed in parte hanno influito, sulla disciplina dei limiti alla sovranità medesima riguardanti il trattamento degli stranieri e dei loro beni. Sovranità territoriale e divieto della minaccia o dell’uso della forza La sovranità territoriale è oggi indirettamente tutelata anche dal principio che vieta la minaccia o l’uso della forza nei rapporti internazionali, principio fondamentale del diritto internazionale. Tale divieto riguarda principalmente le azioni di tipo bellico rivolte contro il territorio dello Stato. L’Art 2 della Carta delle Nazioni Unite pone in primo piano proprio la necessità di proteggere l’integrità territoriale degli Stati. Acquisto della sovranità territoriale Per quanto riguarda l’acquisto della sovranità territoriale (diritto ad esercitare in modo indisturbato ed esclusivo il potere di governo), vale il criterio dell’effettività: l’esercizio effettivo del potere di governo fa sorgere il diritto all’esercizio esclusivo del potere di governo medesimo (applicazione del principio ex facto oritur jus , il quale presiede alla nascita del diritto di sovranità territoriale e alla nascita dello stesso Stato). Acquisto della sovranità in violazione di norme fondamentali internazionali Molti aspetti della problematica dell’acquisto della sovranità territoriale hanno ormai perso attualità. Essi erano legati all’esistenza di territori di nessuno, o magari non ancora scoperti, oppure oggetto di espansione coloniale. Territori del genere non esistono oggi. Problema attualeà è quello degli acquisti di territori effettuati in violazione di norme internazionali di fondamentale importanza. Si pensi ai territori acquistati in violazione dell’Art 2 della Carta dell’ONU, che vieta la minaccia e l’uso della forza (es. territori arabi occupati da Israele nel 1967, il Kuwait occupato dall’Iraq nel 1991 o la Crimea occupata dalla Russia nel 2014) o in violazione del principio di autodeterminazione dei popoli (es. il caso di territori coloniali dei quali l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia dichiarato l’indipendenza). Una volta si applicava la dottrina Stimson (formulata nel 1932 dal Segretario di Stato americano) che limitava la portata del principio di effettività e disconosceva l’espansione territoriale frutto di violenza o di gravi violazioni di norme internazionali. Oggi la prassi sembra sostanzialmente orientata nel senso che l’effettivo e consolidato esercizio del potere di governo su di un territorio comunque conquistato comporti l’acquisto della sovranità territoriale. Non si può negare, ad es., che il territorio della Repubblica turco-cipriota sia coperto dalla norma sulla sovranità territoriale, sia che la sovranità si consideri come esercitata dal Governo della Repubblica o direttamente dalla Turchia che lo sostiene con le sue forze militari. Perché? Perché se ad un atto di aggressione non si reagisce subito nell’esercizio della autotutela individuale e collettiva, la situazione si consolida. Tutto ciò che può sostenersi (argomentando dalla prassi delle Nazioni Unite) è che, oltre all’obbligo di restituzione, gravante sullo Stato che abbia commesso l’aggressione o detenga il territorio in dispregio del principio di autodeterminazione dei popoli, su tutti gli altri Stati grava l’obbligo di negare effetti extraterritoriali agli atti di governo emanati in quel territorio e sempre che l’acquisto sia contestato dalla più gran parte dei membri della comunità internazionale: gli Stati saranno tenuti, ad es., a negare riconoscimento alle sentenze pronunciate in quel territorio, a non applicare, in virtù delle proprie norme di diritto internazionale privato, le leggi emanate nel territorio medesimo, insomma ad isolare giuridicamente quest’ultimo. Occorre peraltro riconoscere che, nel caso della sovranità su zone di confine o isole il cui possesso sia oggetto di controversia tra gli Stati confinanti, la CIG ha più volte sostenuto che l’effettività deve cedere il passo ad un titolo giuridico certo, come un precedente accordo tra gli L’obbligo degli Stati di rispettare i diritti umani si manifesta in 2 tipologie di obblighi:  obbligo negativo o di astensione à necessità degli organi statali di astenersi dal porre in essere pratiche lesive dei diritti indicati dalle norme convenzionali e, per quel che riguarda il diritto consuetudinario, dal compiere atti qualificabili come gross violations.  obbligo positivo o di protezione à lo Stato deve vegliare affinché violazioni dei diritti umani non siano commesse da individui che comunque si trovino nel suo territorio o in altri ambiti sottoposti alla sua giurisdizione. Ciò avviene attraverso la predisposizione di misure di protezione, di controllo, di prevenzione e di repressione. Le norme sui diritti umani vengono in rilievo anche con riguardo alla protezione delle minoranze e delle popolazioni indigene (ossia minoranze caratterizzate da interessi e problemi particolari). Per quanto riguarda le minoranze, definibili come un gruppo numericamente più esiguo del resto della popolazione dello Stato al quale esso appartiene ed avente caratteristiche culturali, fisiche o storiche, una religione o una lingua diversi da quelli del resto del Paese, la necessità della loro protezione si è posta a partire dalla fine della Prima guerra mondiale, a causa della frantumazione dell’Impero austro-ungarico e di quello ottomano, e si è riacutizzata dopo la caduta del muro di Berlino con la dissoluzione dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. La protezione delle minoranze è esclusivamente affidata al diritto convenzionale e norme sulla materia si trovano in quasi tutte le convenzioni sui diritti umani. Le convenzioni multilaterali che si occupano specificamente della materia non sono molte. Spesso le norme su una determinata minoranza si trovano in accordi bilaterali tra lo Stato al quale la minoranza etnicamente appartiene e lo Stato al quale essa è sottoposta. Per l’Italia, i diritti della minoranza di lingua tedesca del Sud Tirolo sono previsti da un accordo firmato da Italia e Austria del 1946 (Accordo De Gasperi-Gruber) che riconosce i sacrosanti diritti di detta minoranza e ha anche comportato l’erogazione di somme ingenti da parte dell’Italia. Il tema della tutela delle popolazioni indigene è di grande attualità in vari Stati dell’Africa e delle Americhe, dove popolazioni del genere rivendicano il diritto al godimento delle terre e delle relative risorse (che gli indigeni possedevano), il diritto alla conservazione e protezione dell’ambiente, il diritto al mantenimento della propria identità culturale, delle proprie tradizioni e dei propri costumi, insomma il diritto a tutto ciò che per secoli i colonizzatori hanno negato o compresso. Le norme internazionali vincolanti che si occupino specificatamente della materia sono poche. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato una Dichiarazione di principi, la quale è stata fortemente osteggiata da alcuni Stati (con gli Stati Uniti in testa). In essa le norme di diritto internazionale, che dettagliatamente descrivono i diritti delle popolazioni indigene, non hanno valore vincolante e pongono solo dei principi a cui dovrebbe ispirarsi il diritto e la politica degli Stati quando si occupano del problema delle popolazioni indigene. La materia attiene piuttosto al diritto costituzionale dei Paesi dove il problema esiste. Regola del previo esaurimento dei ricorsi interni Per quanto riguarda la possibilità di sanzionare e inibire la violazione dei diritti umani, alla materia dei diritti umani si applica la regola del previo esaurimento dei ricorsi interni : la violazione delle norme consuetudinarie sui diritti umani non può dirsi consumata, o comunque non può farsi valere sul piano internazionale, finché esistono nell’ordinamento dello Stato offensore rimedi adeguati ed effettivi per eliminare l’azione illecita o per fornire all’individuo offeso una congrua riparazione. PUNIZIONE DEI CRIMINI INTERNAZIONALI Il mancato rispetto dei diritti umani comporta la punizione dei crimini internazionali. Caratteristica delle norme, generali e convenzionali, sulla punizione dei crimini internazionali è che esse danno luogo ad una responsabilità propria delle persone fisiche che li commettono. Trattasi di norme che possono essere considerate come regole che direttamente si indirizzano agli individui, concorrendo alla formazione della soggettività internazionale di questi ultimi. Ciò non esclude la contemporanea responsabilità degli Stati, qualora gli individui siano anche loro organi. La comunità internazionale sta tentando oggi di attuare la punizione dei crimini internazionali individuali e organizzarsi per giudicare gli autori attraverso l’istituzione di tribunali internazionali. Si tratta di tentativi che si svolgono con molte difficoltà ed in misura limitata. La punizione è quindi in gran parte affidata ai tribunali interni, nell’esercizio della sovranità territoriale. La categoria dei crimini internazionali individuali è abbastanza recente, datando dalla fine della Seconda guerra mondiale. Qualche precedente esisteva anche prima ed era ravvisabile nel crimine di pirateria: crimen juris gentium era considerata la pirateria, nel senso che qualsiasi Stato potesse catturare la nave pirata e punire i membri dell’equipaggio. Un altro precedente è costituito dai crimini di guerra, ma l’elenco di detti crimini era assai poco esteso, la punizione dei criminali era limitata agli Stati belligeranti e si riteneva che dovesse cessare con la cessazione delle ostilità (clausola di amnistia). I crimini internazionali individuali possono essere distinti, secondo una ripartizione che risale all’Accordo di Londra (1945), il quale istituì il Tribunale di Norimberga per la punizione dei criminali nazisti, in 3 tipologie: 1. Crimini contro la pace 2. Crimini contro l’umanità 3. Crimini di guerra Un elenco dettagliato è oggi contenuto negli Artt 5 ‐ 8 dello Statuto della Corte penale internazionale. Lo Statuto prevede 4 tipi di crimini: 1. Genocidio (che può essere comunque ricondotto ai crimini contro l’umanità) 2. Crimini contro l’umanità 3. Crimini di guerra 4. C rimine di aggressione (che può essere considerato il principale, se non l’esclusivo, crimine contro la pace) Genocidio (Art 6)à è la distruzione totale o parziale di un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. Crimini contro l’umanità (Art 7)à vengono riportati i seguenti atti, purché perpetrati come parte di un esteso o sistematico attacco diretto contro una popolazione civile: omicidio, sterminio, riduzione in schiavitù, deportazione o trasferimento forzato di popolazioni, privazione di libertà in violazione di norme fondamentali di diritto internazionale, tortura, violenza carnale, prostituzione forzata e altre forme di violenza sessuale di eguale gravità, persecuzioni per motivi politici, razziali, religiosi, di sesso, sparizione forzata di persone, apartheid, atti disumani capaci causare sofferenza gravi di carattere fisico o psichico. A questa categoria è stato aggiunto, dalla Corte penale internazionale, il genocidio. Crimini di guerra (Art 8)à oltre ai crimini già inclusi tra quelli contro l’umanità, lo Statuto include una serie di atti specifici del tempo di guerra (ma perseguibili anche, e soprattutto, una volta cessata la guerra), come la violazione delle Convenzioni di Ginevra (1949) sul diritto umanitario di guerra, la presa di ostaggi, gli attacchi intenzionalmente diretti contro popolazioni ed obiettivi civili. La competenza della Corte si estende a tutti questi atti (considerati così crimini internazionali individuali), quando in particolare essi facciano parte di un piano o disegno politico o di una serie di crimini analoghi commessi su larga scala. Anche crimini isolati (es. tortura di un prigioniero) sono da considerare crimini internazionali se compiuti in tempo di guerra? Confortià sembra di si. Crimini contro la pace ( aggressione ) à lo Statuto rinuncia a dare all’aggressione una definizione, rinviandola ad una futura modifica della convenzione. Con riguardo all’aggressione non esiste una prassi significativa, se si eccettua la punizione dei criminali di guerra nazisti, condannati dal Tribunale di Norimberga anche per questo crimine. Vi è l’opinione secondo cui l’aggressione è qualificabile come crimine internazionale individuale solo quando è scatenata su larga scala o produce conseguenze assai gravi. L’elenco di questi crimini corrisponde alla communis opinio della comunità internazionale. Si tratta di crimini individuali che sono tali anche per il diritto internazionale consuetudinario, la punizione dei quali trova conferma nella prassi delle Corti interne e internazionali (Tribunale di Norimberga, Corti per i crimini commessi nella ex Jugoslavia e nel Ruanda). Responsabilità dello Stato e responsabilità dell’individuo-organo Normalmente l’individuo che commette un crimine internazionale è organo del proprio Stato o di un’entità di tipo statale (come il governo insurrezionale a base territoriale). Soltanto gli Stati, o queste altre entità, sono normalmente in grado di produrre attacchi estesi o sistematici contro una popolazione civile. Alla responsabilità individuale dell’organo si affianca così la responsabilità internazionale dello Stato. L’individuo-organo che compie un crimine internazionale è un organo o un rappresentate supremo dello Stato cui appartiene. Ciò comporta che, quando è commesso un genocidio o un altro crimine contro l’umanità o un crimine di guerra (crimini tutti costituenti anche gross violations dei diritti umani ), ne consegue una duplice responsabilità internazionale, la responsabilità dello Stato (cui il genocida appartiene) e responsabilità individuale di chi ha commesso il genocidio (organo). Trattasi di 2 forme di responsabilità diverse tra loro (a quella individuale consegue la punizione del colpevole). Giurisdizione universale In che cosa la punizione dell’individuo, che ha commesso un crimine internazionale, differisce dalla punizione di un criminale comune (quindi dalla punizione dei corrispondenti reati comuni) quando a punirlo è una corte interna? Come viene punito un individuo che ha commesso un crimine internazionale? Il principio che si è affermato è quello dell’universalità della giurisdizione penale: si ritiene che ogni Stato possa procedere alla punizione ovunque e da chiunque il crimine sia stato commesso, perché per il diritto internazionale generale, lo Stato, mentre è sempre libero di esercitare la giurisdizione sui suoi cittadini (dominio riservato), può sottoporre lo straniero a giudizio penale solo se sussiste, e nei limiti in cui sussiste, un collegamento con lo Stato del giudice. Tale collegamento è dato dal principio di territorialità (commissione del reato nel territorio della Stato), principio temperato dalla possibilità di punire certi reati più gravi quando essi sono commessi dal cittadino e dallo straniero all’estero. Ci si chiede se la necessità del collegamento venga meno anche nei confronti dello straniero. La necessità del collegamento, quindi, viene meno quando si tratta di crimine internazionale. La ratio di questo tipo di giurisdizione è che lo Stato che punisce il crimine persegue un interesse che è proprio della comunità internazionale nel suo complesso. In base alla prassi che è venuta formandosi nella materia, la giurisdizione universale è da ammettere, per il diritto internazionale consuetudinario, ma a condizione che il presunto criminale straniero si trovi nel territorio dello Stato al momento in cui deve essere sottoposto a giudizio e sempre che esso non sia richiesto dallo Stato nazionale o da uno Stato che abbia con il crimine uno più stretto collegamento e sia seriamente intenzionato a punirlo. La norma sulla giurisdizione universale va coordinata con le norme le quali prevedono l’immunità dei Capi di Stato e di Governo e di vari altri organi stranieri finché sono nell’esercizio delle loro funzioni. La giurisdizione universale può esercitarsi anche quando il colpevole sia stato catturato all’estero illegittimamente, cioè violandosi la sovranità territoriale dello Stato in cui si trovava. Lo Stato è altresì libero di escludere che i crimini internazionali, che esso prevede di punire, siano colpiti da prescrizione, così come può punire o limitarsi a concedere l’estradizione ad uno Stato che intende farlo. Punizione come oggetto di una facoltà dello Stato ha l’obbligo di prendere tutte le misure necessarie per instaurare il giudizio contro il presunto criminale e ciò appena possibile. Nel caso Belgio c. Senegal, il Senegal aveva dilazionato in modo eccessivo detta instaurazione, rifiutandosi di consegnare l’ex Capo di Stato del Ciad rifugiatosi in territorio senegalese e incriminabile per tortura e crimini contro l’umanità. LIMITI RELATIVI AI RAPPORTI ECONOMICI E SOCIALIà LA PROTEZIONE DELL’AMBIENTE Diritto internazionale economico Altri limiti alla sovranità territoriale dello Stato sono posti dal diritto internazionale economico. Il diritto internazionale economico è forse quello tra i settori (rientranti in passato nel dominio riservato degli Stati) in cui più che in ogni altro la formazione di norme consuetudinarie è da escludersi. Trattasi di un settore dominato dalle norme convenzionali e dal soft law. G7, G8 e G20 Non tutte le relazioni economiche che trascendono i confini dei singoli Stati sono oggetto di norme internazionali. Non lo sono infatti le transazioni finanziarie lasciate al gioco del libero mercato. Non sono giuridicamente rilevanti i vari G7, G8 e G20 ai quali partecipano i rappresentanti degli Stati più industrializzati del mondo per discutere dei problemi di politica internazionale. Si tratta di riunioni che si concludono con intese di carattere esclusivamente politico, la cui messa in atto dipende dalla volontà dei singoli Stati o da Organizzazioni internazionali economiche. Accordi sulla liberalizzazione del commercio internazionale A prescindere poi dagli accordi di cooperazione per lo sviluppo, la libertà degli Stati in materia economica è limitata da numerosissimi accordi (in gran parte negoziati in seno all’OMC), tendenti alla liberalizzazione del commercio internazionale, in particolare all’abbattimento degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, dei servizi e dei capitali. Un discorso a parte è quello a proposito della liberalizzazione del commercio nel quadro dei fenomeni di integrazione economica come l’Unione Europea. I più importanti tra tali accordi sono quelli confluiti nel GATT nonché quelli che, come il GATS, il TRIPs ed altri figurano quali annessi allo Statuto dell’OMC. Clausole di uso comune negli accordi commerciali Varie clausole contenute negli accordi commerciali ora citati concorrono ad assicurare la liberalizzazione o a disciplinarne talune eccezioni. Tra le più importanti ricordiamo: 1) Clausola della nazione più favorita à con essa si prevede che l’eventuale trattamento più favorevole concesso in qualsiasi modo da uno Stato contraente ad uno Stato terzo (se il trattato è bilaterale) o ad un’altra parte contraente (come avviene quando il trattato è multilaterale) si estenda all’altra o alle altre parti contraenti. La clausola può essere incondizionata, se l’estensione avviene automaticamente, oppure condizionata se l’estensione è subordinata alla reciprocità, ossia se la parte o le parti che ne beneficiano fanno la stessa concessione. 2) Clausola del trattamento nazionale à in base alla quale gli Stati contraenti si impegnano ad accordare ai prodotti importati dagli altri Stati contraenti un regime giuridico e fiscale non inferiore a quello previsto per i prodotti nazionali. 3) Clausole che prevedono l’ abolizione progressiva dei dazi doganali e delle restrizioni quantitative 4) Clausole di salvaguardiaà secondo cui la liberalizzazione del commercio incontra alcuni limiti attinenti alla vita della comunità statale, tra cui quelli relativi alla sicurezza nazionale, alla difesa della moralità, della salute. Cooperazione allo sviluppo Circa i rapporti fra Paesi industrializzati e Paesi in via di sviluppo, bisogna fare riferimento alla cooperazione allo sviluppo. Il quadro di riferimento è fornito nella materia da una serie di principi enunciati dall’Assemblea generale dell’ONU, dall’UNCTAD e da altri organi dell’ONU. Gli atti di questi organi hanno senza dubbio influito sugli scambi commerciali con i Paesi in via di sviluppo, provocando per questi ultimi, ed al fine di agevolare la crescita delle loro economie, regimi di particolare favore. Trattasi dell’enunciazione di principi di carattere programmatico i quali descrivono come i rapporti economici tra le 2 categorie di Paesi debbano essere regolati convenzionalmente. Tra i principi il più importante è oggi quello che sottolinea la necessità che tutti i Paesi possano partecipare ai benefici della globalizzazione. La Dichiarazione sul diritto allo sviluppo considera tale principio come una sorta di diritto umano spettante a tutte le componenti dei popoli di Paesi in via di sviluppo. Ma, nonostante le buone intenzioni, a parte il principio generale che vieta comportamenti che mettano in crisi l’economia di un altro Stato, non si è prodotta alcuna norma consuetudinaria contenente precisi diritti e obblighi per gli Stati. L’unica norma rilevabile afferma che i rapporti tra Paesi in via di sviluppo e Paesi industrializzati devono essere regolati convenzionalmente. Si può distinguere tra:  Regimi convenzionali di vecchia generazione , il cui riferimento è a principi enunciati da varie dichiarazioni di principi dell’Assemblea generale e dalla Dichiarazione sul nuovo ordine economico internazionale e dalla Carta dei diritti e doveri economici degli Stati.  Regimi convenzionali di nuova generazione Sulla base di questi principi una serie di convenzioni bilaterali e multilaterali è andata ponendo limiti alla libertà degli Stati di regolare come credono i loro rapporti economici. Importanti sono: 1) Accordi sui prodotti di baseà (es. juta, caffè, zucchero, grano, cacao, gomma naturale) che tendono a stabilizzare il prezzo del prodotto e a renderlo remunerativo per i Paesi produttori (di solito i Paesi in via di sviluppo) ed equo per i Paesi consumatori. 2) Le Convenzioni commerciali concluse nel quadro del nuovo ordine economico si ispirano al principio del trattamento preferenzialeà sistema generalizzato delle preferenze, ossia convenzioni commerciali ispirate al principio del trattamento preferenziale dei Paesi in via di sviluppo, cioè al principio che le concessioni sia tariffarie sia di qualsiasi altra natura, fatte a tali Paesi non siano soggette a reciprocità nei confronti dello Stato sviluppato concedente né si estendano ad altri Paesi industrializzati attraverso il gioco della clausola della nazione più favorita. Le concessioni fatte dai Paesi sviluppati sono a senso unico e senza effetti per i terzi: esse si sottraggono alla reciprocità ed al gioco della clausola della nazione più favorita. 3) Gli accordi che prevedono assistenza tecnica (aiuti finanziari) ai Paesi in sviluppo. 4) Le iniziative dirette a trasferire le tecnologie (brevetti, know‐how) delle imprese dei Paesi industrializzati a quelle dei Paesi in sviluppo. Accordi di cooperazione di nuova generazione e Partenariato Con i regimi convenzionali che chiamiamo di nuova generazione le regole applicate sono in parte diverse perché come è ovvio un trattamento di favore, diretto ad eliminare il persistente squilibrio tra il Nord ed gran parte del Sud del mondo, è ancora indispensabile. Caratteristica dei nuovi regimi è un certo numero di condizioni che i Paesi sviluppati pongono alle concessioni che essi fanno, e consistono nell’assunzione, da parte dello Stato beneficiario, di una serie di impegni aventi ad oggetto lo sviluppo al loro interno di istituzioni democratiche, la protezione dei diritti umani, il buon governo, la protezione dell’ambiente secondo il principio dello sviluppo sostenibile, l’eliminazione dei conflitti interni ed altri comportamenti cari soprattutto ai Paesi occidentali. Il tutto confluisce negli accordi di partenariato i quali, lungi dall’essere a senso unico, danno vita a forme di collaborazioni fondate sulla convergenza di interessi ed il raggiungimento di comuni obiettivi. L’istituto del partenariato, che non è limitato alla materia della cooperazione economica e che non sempre prende la veste formale dell’accordo calandosi invece in intese di carattere soltanto politico, è descritto nei dettagli in una importante Dichiarazione di principi dell’Assemblea generale sul nuovo partenariato per lo sviluppo dell’Africa. In essa viene incoraggiata la cooperazione economica non solo tra Nord e Africa, ma anche tra i Paesi africani tra loro, gli impegni sopra indicati sono considerati come un fattore importante per la crescita economica, e comunque non viene per ovvi motivi abbandonata l’idea che i Paesi sviluppati debbano anche intervenire con forme di aiuto, prima fra tutte l’eliminazione o almeno la ristrutturazione del debito estero dei Paesi poveri. Accordo di Cotonou Un esempio di regime convenzionale di nuova generazione è fornito dall’Accordo di Cotonou, concluso tra l’UE e 79 Paesi in via di sviluppo dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico. Si tratta di una convenzione-quadro che fissa soltanto i principi della cooperazione da sviluppare tra l’UE e i Paesi ACP, demandando regole specifiche ad accordi di partenariato economico riguardanti singole aree regionali. I principi in esso contenuti sono quelli degli accordi di partenariato, con la seguente eliminazione del regime delle preferenze. Una novità dell’accordo è il coinvolgimento nel partenariato dei parlamenti nazionali e di autorità locali nonché di rappresentanti della società civile. In materia economica, il potere di governo dello Stato non incontra limiti di diritto consuetudinario, se non i limiti di diritto consuetudinario relativi al trattamento degli interessi economici degli stranieri. Legislazione Antitrust e Legislazione sul commercio internazionale Vari tentativi sono stati fatti in dottrina per individuare limiti di carattere generale svincolati dalle norme sul trattamento degli stranieri. I tentativi più interessanti sono quelli che si riferiscono alla irrogazione di sanzioni in base alla legislazione Antitrust o alla legislazione riguardante il commercio internazionale (es. misure di boicottaggio, ossia misure coercitive tendenti ad impedire l’esportazione verso, o l’importazione da determinati Paesi) o ancora a condizionare l’amministrazione di società estere. Si è affermato che lo Stato non debba interferire negli interessi economici essenziali di Stati stranieri, oppure che tali interessi debbano essere oggetto di una ponderazione ed avere il sopravvento se meritevoli di maggior tutela rispetto agli interessi nazionali o infine che ciascuno Stato debba esercitare il proprio potere entro limiti ragionevoli. Tutto ciò è stato detto per reagire alla dottrina degli effetti, vale a dire il principio secondo cui la giurisdizione dello Stato si radicherebbe ogniqualvolta un atto produca effetti all’interno del territorio nazionale indipendentemente da dove o da chi l’atto sia compiuto. La reazione è alla pretesa degli Stati Uniti di emanare leggi che sono considerate extraterritoriali. Tale pretesa (che si è manifestata nel campo della legislazione antitrust, in quello del boicottaggio del commercio verso Paesi non amici e in materia di amministrazione di società) consiste nel voler imporre obblighi alle imprese di tutto il mondo, con la minaccia di colpirne beni ed interessi in territorio statunitense. Le misure di embargo (relative al commercio con Cuba) e altre misure simili hanno però sempre incontrato l’opposizione degli altri Stati e soprattutto dell’Unione europea. La pretesa statunitense è un esempio di imperialismo giuridico e la condanna può essere espressa in base alle norme consuetudinarie che vietano di esercitare la potestà di governo sugli stranieri in assenza di un contatto adeguato con la comunità territoriale. Nessuno dei tentativi fatti dalla dottrina può invece considerarsi sorretto dalla tradizione. Resta la questione, dal punto di vista del diritto internazionale generale, di stabilire con esattezza quand’è che un attività industriale produca sul piano interno effetti sostanziali. Si può anche dire che gli effetti sostanziali prodotti nel territorio dello Stato che adotta le sanzioni contro le imprese straniere costituiscano quel contatto idoneo a giustificare l’esercizio del potere di governo sugli stranieri. Bisogna aggiungere che se il soggetto autore del crimine (es. l’impresa che ha compiuto atti di commercio illegale), non ha beni nel territorio dello Stato sanzionante che vuole agire contro di lei, il suo intervento diventa assolutamente impossibile. Convenzioni sul lavoro e la sicurezza sociale Le materie del lavoro e della sicurezza sociale (in generale le materie comprendenti diritti economici e socialià diritti dell’uomo) sono oggetto di un nutrito movimento convenzionale che l’ILO va promuovendo fin dagli anni 20. Libertà di sfruttamento delle risorse del territorio e suoi limiti Cooperazione per la tutela della diversità biologicaà è interamente di carattere pattizio anche la disciplina diretta a proteggere e conservare la diversità biologica, ossia la varietà degli organismi viventi di qualsiasi origine, comprendente la diversità all’interno della specie, tra le specie e degli ecosistemi. Le convenzioni obbligano gli Stati contraenti a prendere le misure dirette a favorire la partecipazione di tutti i Paesi ai vantaggi derivanti dalle biotecnologie. Esse si preoccupano anche dell’impatto ecologico negativo delle biotecnologie (OGM). Il principio ispiratore è quello secondo cui la conservazione della biodiversità e l’utilizzo e la gestione delle biotecnologie costituiscono un interesse comune dell’umanità. Importanti sono la Convenzione di Nairobi (ratificata anche dall’Italia) e l’Accordo di Parigi del 2015 sui cambiamenti climatici. Nel 2017 il presidente Trump ha manifestato l’intenzione di denunciare l’accordo, provocando un’ondata di critiche. Va tuttavia precisato che la denuncia non potrà aver luogo prima del 4.11.2020 (cioè il giorno successivo alle prossime elezioni presidenziali!). Il problema di tutte queste Convenzioni è legato alla loro osservanza. Organi composti da un numero limitato di esperti sono stati creati nell’ambito delle stesse Convenzioni per individuare i casi di inosservanza. Ma il loro compito è quello di assistere gli Stati in difficoltà, più che quello di adottare sanzioni. Ciò dà ragione a chi sostiene (Iovane) che le norme in materia di inquinamento hanno per ora in larga misura carattere promozionale, stabilendo premi ed incentivi per gli Stati che adottano misure atte a preservare l’ambiente. TRATTAMENTO DEGLI STRANIERIà LIMITE ALLA SOVRANITÀ TERRITORIALE 2 Principi di diritto internazionale generaleà formatisi per consuetudine in questa materia. 1° PRINCIPIOà Principio dell’attacco dello straniero con la comunità territoriale Allo straniero non possono imporsi prestazioni e richiedersi comportamenti che non si giustificano con un sufficiente attacco sociale dello straniero stesso (o dei suoi beni) con la comunità territoriale. Intensità del potere di governo sullo straniero e sui suoi benià deve essere proporzionata all’intensità di questo attacco sociale. Allo straniero non potranno essere:  richieste prestazioni e comportamenti di natura politica (es. l’obbligo del servizio militare), i quali si giustificano solo in presenza del vincolo di cittadinanza (massimo attacco sociale).  richieste prestazioni fiscali, se non nei limiti in cui lo straniero eserciti attività o possegga beni che giustifichino siffatta imposizione.  imposti vincoli (o prevedersi l’esercizio della giurisdizione civile) ad attività commerciali di imprese o industrie, se non quando tali attività si svolgano o siano collegate al territorio.  applicate sanzioni penali, se non di fronte a reati che, dovunque commessi, presentino un qualche collegamento con lo Stato territoriale e i suoi cittadini, salvo l’esercizio della giurisdizione penale universale per i crimini internazionali. 2° PRINCIPIOà Principio che impone un obbligo di protezione dello straniero da parte dello Stato territoriale Stato territorialeà deve predisporre misure idonee a prevenire e a reprimere le offese contro la persona e i beni dello straniero. La protezione dello straniero è realizzata dallo Stato attraverso:  Misure preventive à che devono essere adeguate alle circostanze relative ad ogni singolo caso concreto (es. dislocando delle pattuglie per salvaguardare la situazione di un gruppo di stranieri preso di mira da organizzazioni terroristiche).  Misure repressive à lo Stato deve disporre di un normale apparato giurisdizionale innanzi al quale lo straniero possa far valere le proprie pretese ed ottenere giustizia. Quadrià l’idoneità è commisurata a quanto di solito si fa per tutti gli individui in uno Stato civile, cioè in uno Stato il quale provveda normalmente ai bisogni di ordine e di sicurezza della società sottoposta al suo controllo. Interpreteà deve stabilire, in un caso concreto, se le misure siano state adeguate. Diniego di giustiziaà è l’eventuale illecito dello Stato in questa materia. Tale illecito si ha quando la giustizia è negata per difetto di organizzazione giudiziaria. Protezione della persona dello stranieroà assumeva un rilievo autonomo quando lo Stato era considerato libero da vincoli internazionali relativamente alla protezione della persona del cittadino e dell’apolide. Tale protezione rientrava nella sfera del suo dominio riservato. Essa è confluita (almeno per quanto riguarda le violazioni gravi dei diritti umani) nella protezione accordata alla persona umana in quanto tale, indipendentemente dal suo status. Protezione dei beni dello stranieroà qui la situazione è immutata, dato che i beni del cittadino possono essere legittimamente sacrificati dal punto di vista del diritto internazionale. Protezione degli investimenti stranierià vi sono le rivendicazioni dei Paesi in via di sviluppo:  aventi per oggetto la sovranità permanente sulle risorse naturali  (epoca della decolonizzazione) che sostenevano l’assoluta libertà dello Stato territoriale, con il conseguente venir meno dell’obbligo di protezione dei beni stranieri Oggià la situazione è mutata perché:  gli stessi Stati che ricevono gli investimenti, di cui i Paesi in via di sviluppo hanno bisogno, hanno interesse a creare le condizioni necessarie affinché i capitali stranieri non cessino dall’affluire.  la materia è disciplinata sul piano convenzionale. Il diritto consuetudinario ha soltanto la funzione di colmare le lacune del regolamento convenzionale o di intervenire quando tale regolamento fa riferimento ad esso. Espropriazioni e nazionalizzazioni dei beni stranieri Nella materia del trattamento degli investimenti stranieri va inquadrato il problema della disciplina internazionalistica delle espropriazioni e delle altre misure restrittive di proprietà, diritti ed interessi degli stranieri. XX secà il problema si pose con riguardo alle nazionalizzazioni, a partire da quelle sovietiche. Attualmenteà la prassi delle nazionalizzazioni non è molto significativa. Vi è assoluta libertà dello Stato di espropriare e nazionalizzare beni stranieri. Ma il passaggio alla mano pubblica deve essere sorretto da motivi di pubblica utilità? In caso di espropriazione di un singolo beneà la questione va risolta affermativamente. In caso di nazionalizzazionià che normalmente riguardano intere categorie di imprese, il pubblico interesse è in re ipsa. Obbligo di indennizzoà conseguente alle espropriazioni e nazionalizzazioni. Nessuno Stato, quando ha proceduto a nazionalizzazioni, si è mai schierato contro l’obbligo di indennizzo. La sua corresponsione si ricollega all’equa remunerazione del capitale straniero, unico limite alla libertà statale in materia di investimenti stranieri. L’incertezza vi è circa le modalità di pagamento ed il quantum dovuto . Tesi propria di alcuni Stati industrializzatià secondo cui l’indennizzo dovrebbe sempre essere pronto, adeguato ed effettivo (formula coniata dagli Stati Uniti). Questa tesi:  può essere condivisa con riguardo all’espropriazione di singoli beni per pubblica utilità.  non si è mai affermata per le nazionalizzazioni. Regola corrispondente al diritto consuetudinario (forse)à è quella indicata dal Tribunale Iran- Stati Uniti. Secondo il Tribunale occorre distinguere:  Espropriazioni compiute su singoli beni à per le quali l’indennizzo va commisurato al valore del bene che viene espropriato.  Nazionalizzazioni operate su vasta scala à per le quali determinate circostanze possono giustificare temperamenti e aggiustamenti. L’indennizzo è spesso oggetto di transazione fra:  lo Stato nazionalizzante e le compagnie espropriate  lo Stato nazionalizzante e lo Stato di appartenenza degli stranieri espropriati Accordi di compensazione globale o lump‐sum agreementsà sono accordi mediante i quali lo Stato nazionalizzante corrisponde una somma forfettaria allo Stato di appartenenza degli stranieri espropriati. Quest’ultimo resta l’unico competente a decidere circa la distribuzione della somma tra i soggetti colpiti. Problema del rispetto dei debiti pubblicià contratti con gli stranieri dallo Stato predecessore nell’ambito del proprio diritto interno, nei casi di mutamento di sovranità su di un territorio (distacco, smembramento, incorporazione, mutamento radicale di regime). Dottrina tradizionaleà era favorevole alla successione nel debito pubblico, ritenendo che il rispetto dei diritti acquisiti rientrasse nel dovere di protezione degli stranieri. Tale opinioneà ha incontrato l’opposizione dei Paesi in via di sviluppo. Nella prassi recente (smembramento dell’Unione Sovietica e della Cecoslovacchia)à si nota la tendenza all’accollo del debito da parte degli Stati subentranti. La disciplina della materia tende a seguire i principi valevoli per la successione nei trattati, cioè ad:  Ammettere la successione nei debiti localizzabili (ossia contratti nell’esclusivo interesse del territorio oggetto del mutamento di sovranità).  Non ammettere la successione nei debiti generali dello Stato predecessore, salvo un accollo del debito convenzionalmente stabilito. Ammissione degli stranierià il diritto internazionale consuetudinario non prevede limiti. Infatti rivive in pieno la norma sulla sovranità territoriale, che comporta la libertà dello Stato di stabilire la propria politica nel campo dell’immigrazione (permanente o temporanea che sia). Problema diversoà è quando, impedendo agli stranieri di entrare nel territorio, lo Stato commette una violazione dei diritti umani fondamentali tutelati dal diritto consuetudinario (specie il diritto alla vita). La precisazione è importante in tema di immigrazione clandestina, con riguardo ai casi in cui uno Stato impedisca ad imbarcazioni con immigranti a bordo di entrare nelle proprie acque territoriali nonostante il rischio di pericolo di vita dei passeggeri. Espulsione degli stranierià per il diritto internazionale consuetudinario, lo Stato è libero di espellere gli stranieri. Espulsioneà deve avere luogo con modalità che non risultino oltraggiose nei confronti dello straniero (espellendo). Inoltre allo straniero medesimo deve essere concesso un lasso di tempo ragionevole per regolare i propri interessi ed abbandonare il Paese. Ma tutto ciò è un’applicazione del dovere di protezione e, in particolare, dell’obbligo di predisporre misure preventive delle offese alla persona dello straniero ed ai suoi beni. Espulsione verso Paesi a rischioà limiti particolari in tema di espulsione derivano da varie Convenzioni internazionali (specie le Convenzioni sui diritti umani). Convenzione ONU contro la tortura ed altre pene o trattamenti crudeli, disumani o degradantià obbliga gli Stati a non estradare o espellere una persona verso Paesi in cui questa rischia di essere sottoposta a tortura o a pena di morte. Espulsione contraria al rispetto della vita privata e familiareà la CEDU ha ricavato, dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, l’obbligo di non espellere nel rispetto della vita privata e familiare, quando l’espulsione comporterebbe una ingiustificata e sproporzionata rottura dell’unità familiare. Espulsione dei cittadinià è già normalmente esclusa dalle Costituzioni interne. È chiaro quindi che l’obbligo trova la sua principale attuazione con riguardo agli stranieri e agli apolidi (coloro che non hanno cittadinanza). Nella prassi internaà si sta facendo strada la regola per cui allo straniero deve essere garantito il diritto di ricorrere al giudice contro il provvedimento di espulsione. Problema dei rifugiatià importanti sono: Convenzione di Ginevra + Protocollo sui rifugiati (entrambi ratificati dall’Italia). dei Tribunali di questo Stato, a meno che tutti gli Stati interessati non convengano liberamente di ricercare altri mezzi pacifici di soluzione della controversia sulla base dell’uguaglianza sovrana degli Stati medesimi. Secondo dottrina maggioritaria (Conforti)à nessuno può:  costringere uno Stato, accusato di aver violato le norme sul trattamento degli stranieri, a trattare la questione sul piano internazionale o a risolverla mediante arbitrato, se esso non abbia preventivamente e liberamente assunto obblighi convenzionali al riguardo.  vietare allo Stato dello straniero di protestare, di assumere iniziative, di proporre arbitrati, di minacciare rappresaglie (ciò anche in presenza di una clausola Calvo), dato che con la protezione diplomatica lo Stato fa valere unicamente un diritto proprio. Circa la difesa degli interessi economici e degli investimenti nei Paesi in via di sviluppo à nella pratica l’istituto della protezione diplomatica è in declino. Si diffondono infatti nella prassi gli strumenti diretti a:  Garantire i privati contro i rischi relativi agli investimenti all’estero (contro l’eventualità di nazionalizzazioni o espropriazioni).  Evitare una radicalizzazione dei conflitti sul piano internazionale, nell’interesse dei Paesi esportatori e dei Paesi importatori di capitali. ICSIDà (Centro internazionale per il regolamento delle controversie in materia di investimenti) da segnalare è la sua attività. Al Centro fa capo un sistema di conciliazione e arbitrato per le controversie tra privati investitori e Stati che ricevono l’investimento. Protezione diplomatica delle società commercialià Sent. Barcelona Traction + Sent. Diallo Protezione diplomaticaà può essere esercitata dallo Stato nazionale anche in difesa di una persona giuridica, in particolare di una società commerciale. Qual è la nazionalità delle persone giuridiche? Qual è lo Stato che deve esercitare la protezione diplomatica? Nazionalità delle persone giuridicheà non è un concetto definito. Non risulta dalle legislazioni interne quale collegamento determini l’appartenenza di una persona giuridica ad un certo Stato. Circa le società commerciali, per capire quale Stato è legittimato ad agire in protezione diplomatica, ci si chiede se si debba far riferimento ai:  Criteri formali o legali à (es. il luogo di costituzione e il luogo della sede principale della società) ai quali è tradizionalmente legato il concetto di nazionalità delle persone giuridiche.  Criteri sostanziali à la protezione si riterrebbe esercitabile dallo Stato a cui appartiene la maggioranza dei soci o dei soggetti che hanno il controllo della società. CIG:  Sent. relativa all’affare della Barcelona Traction à si è pronunciata a favore della prima tesi (criteri formali o legali).  Sent. relativa al caso Diallo à ha confermato tale orientamento. La tesi in esame è stata sposata da Conforti. Trattasi di una tesi che, in presenza di una prassi scarsa, finisce con l’avere una sua logica proprio in relazione alla pratica (oggi) diffusa tra i privati e consistente nell’ancorare l’esistenza legale di una società a Stati particolarmente compiacenti dal punto di vista fiscale, dal punto di vista dei controlli sulla gestione sociale. Insomma il rischio di una inadeguata protezione diplomatica non può non esser calcolato al momento della costituzione della società e della scelta dello Stato nazionale. Motivo della decisioneà è stato appunto quello di evitare questi cambi di nazionalità effettuati allo scopo di ottenere la protezione diplomatica da Stati compiacenti. Caso Barcelona Tractionà si trattava di un’azienda canadese che forniva energia elettrica in Spagna, ma i cui azionisti provenivano in maggioranza dal Belgio. La nazionalità canadese discendeva dal fatto che la società: era stata costituita secondo le leggi del Canada + aveva la sede principale a Toronto. Essa era stata dichiarata fallita in Spagna. CIGà escluse che il Belgio avesse titolo per agire in protezione diplomatica dell’azienda per i danni causati dalla dichiarazione di fallimento. Di questa dichiarazione:  si lamentava, da parte belga, la contrarietà a principi fondamentali di giustizia.  si assumeva fosse stata dolosamente preordinata per trasferire senza indennizzo i beni della società in mano spagnola. Questa vicenda dell’azienda canadese evidenzia la pratica diffusa tra i privati di ancorare l’esistenza legale di una società a Stati compiacenti dal punto di vista fiscale e dei controlli sulla gestione sociale. Caso della Barcelona Tractionà la CIG ha anche affermato (in un obiter dictum ) la necessità che debba concorrere a determinare la nazionalità della società:  oltre al luogo di costituzione e della sede sociale  qualche altra permanente e stretta connessione con lo Stato individuato dai detti criteri Che cosa succede se i vari criteri conducono a Stati diversi? Non è chiaro. Dottrina + Prassi successiva alla Barcelona Tractionà si è cercato di precisare che cosa si debba intendere per permanente e stretta connessione di una società con lo Stato agente in protezione diplomatica. Che rilevanza ha la nazionalità di coloro che hanno il controllo della società? Il criterio del controllo è aggiuntivo o alternativo ai criteri del luogo di incorporazione e della sede sociale? Giurisprudenza CIGà il criterio non è considerato come alternativo, ove si tengano in conto le opinioni espresse nella Barcelona Traction ed anche e soprattutto nel caso Diallo. Qui la CIG dichiara infatti che: anche se una società si mantenga (e finché si mantenga) in vita con un solo azionista, la nazionalità di quest’ultimo non avrebbe rilevanza ai fini della protezione diplomatica per violazioni concernenti i beni e le attività sociali. Protezione dei singoli socià non è scomparsa. Giurisprudenzaà lo Stato nazionale al quale appartiene il singolo socio può agire in protezione diplomatica solamente se il cittadino-socio sia stato leso direttamente in suo diritto (direct right). È comunque difficile stabilire quando ciò avviene. Si ritiene che ciò si verifica nel caso si tratti della lesione di un diritto del socio nei confronti della società. CIG Sent. Barcelona Tractionà ha indicato alcuni esempi, quali:  Diritto ai dividendi  Diritto di partecipare alle assemblee con il diritto di voto  Diritto di vedersi assegnata una quota parte dei beni sociali in caso di liquidazione della società Il tema ha formato oggetto di decisione nella Sent. Diallo. Caso Dialloà si trattava di stabilire se fosse configurabile la lesione di direct rights nel caso di un socio che, espulso dal Paese dove aveva sede la società, lamentava di non essere stato in grado di partecipare alle riunioni della società (e di votare), né di nominare o essere nominato manager o di controllare il management della stessa. CIG:  nella specie non si era in presenza di una violazione diretta dei diritti.  respinge la richiesta per ragioni di fatto, sottolineando la possibilità del socio assente di potersi sempre far rappresentare da altro socio. In caso contrario la competenza spetta allo Stato in cui l’azienda ha la sua sede principale o in cui la società è stata costituita, applicandosi dunque i criteri formali. Essa ammette, implicitamente, che la protezione diplomatica del socio fosse esercitabile. Protezione in sostituzione o sussidiariaà la Sent. Barcelona Traction ha avviato una disputa dottrinaria in merito. Lo Stato nazionale può intervenire quando la società abbia legalmente cessato di esistere, o essa abbia la nazionalità dello Stato presunto violatore, o ancora lo Stato nazionale del socio non possa o non voglia intervenire? Lo Stato nazionale dell’azionista può intervenire in protezione diplomatica:  o quando la società si sia estintaà caso in cui la società cessa legalmente di esistere. È stato stabilito che i soci possano essere protetti dai loro Stati nazionali per quanto riguarda i residui beni societari a loro attribuibili.  o quando la società abbia la stessa nazionalità dello Stato (presunto violatore) contro cui la protezione dovrebbe essere esercitata. In quest’ultimo caso si discute se la protezione sussista. La discussione nasce dal fatto che la CIG nella Sent. Diallo:  non ritiene prevista dal diritto consuetudinario detta forma di intervento in sostituzione.  ha negato che una norma consuetudinaria potesse ricavarsi dalla vasta rete di trattati in materia di investimenti che adottano una soluzione contraria. La sentenza è stata così criticata per il suo eccessivo formalismo. I trattati possono essere interpretati come:  conferma di norme consuetudinarie già esistenti  creazione di norme nuove e limitate agli Stati che li concludono Solo un’indagine tendente a stabilire se gli Stati contraenti abbiano inteso o meno esprimersi nel 1°senso può indurre a ritenere che una norma consuetudinaria sia ricavabile da una estesa prassi convenzionale combinata con la suddetta opinione. Non ci sembra che tale indagine sia stata condotta dalla CIG. Protezione della comunità navale Alla regola secondo cui sono le società a godere della protezione diplomatica (e non i singoli azionisti) può accostarsi il caso della protezione della comunità navale da parte dello Stato nazionale (o Stato della bandiera), protezione che assorbirebbe quella dei singoli membri dell’equipaggio. TRATTAMENTO DEGLI AGENTI DIPLOMATICI E DEGLI ORGANI SUPREMI DI STATI STRANIERI (Limite alla sovranità territoriale) Limiti alla potestà di governo nell’ambito del territorio sono previsti dal diritto consuetudinario per quanto riguarda gli agenti diplomatici. Questi limiti si concretano nel rispetto delle immunità diplomatiche. La materia è regolata dalla Convenzione di Vienna 1961 (ratificata dall’Italia), che corrisponde largamente al diritto consuetudinario. Le immunità:  riguardano gli agenti diplomatici accreditati presso lo Stato territoriale.  accompagnano l’agente dal momento in cui esso entra nel territorio di tale Stato per esercitarvi le sue funzioni fino al momento in cui ne esce. La presenza dell’agente è, come quella di qualsiasi straniero, subordinata alla volontà dello Stato territoriale. Questa volontà si esplica:  per quanto riguarda l’ammissioneà con il gradimento (che precede l’accreditamento).  per quanto riguarda l’espulsioneà con la consegna dei passaporti e l’ingiunzione a lasciare il Paese , entro un certo tempo. Le immunità diplomatiche sono: 1) Protezione della persona dell’agente diplomatico Inviolabilità personaleà l’agente diplomatico deve essere protetto contro le offese alla sua persona mediante misure preventive e repressive. L’obbligo dello Stato territoriale di garantire l’inviolabilità personale si confonde con il dovere di protezione degli stranieri, la quale deve essere adeguata alle circostanze e commisurata all’importanza dello straniero. L’inviolabilità Tesi affermativaà ha a suo favore l’argomento (indicato anche da Conforti) a proposito dell’immunità funzionale degli agenti diplomatici, e cioè che, se l’organo agisce nell’esercizio delle sue funzioni, la sua attività va imputata allo Stato ed è quest’ultimo che deve risponderne. Ma la prassi non depone in questo senso e presenta ampi aspetti di ambiguità ed incertezza. Vi sono delle categorie di persone (oltre a quella dei Capi di Stato e di Governo e dei Ministri degli Esteri) alle quali l’immunità è riconosciutaà i consoli:  svolgono un’attività di tipo amministrativo e di assistenza ai propri connazionali.  solo alcune delle immunità dei diplomatici sono a loro riconosciute.  per essi nessun’altra immunità è prevista, salva l’inviolabilità dell’archivio consolare.  per il trattamento dei consoli vi è la Convenzione di Vienna del 1963 sulle relazioni consolari. L’immunità funzionale (secondo alcuni anche l’immunità personale) va riconosciutaà ai Corpi di truppa all’estero, secondo una vecchia norma consuetudinaria. Vi è poi una categoria di agenti statali a cui non è riconosciuta l’immunitàà gli agenti segreti. Spesso essi vengono inseriti nel personale delle ambasciate come agenti diplomatici, per poter invocare le immunità che spettano a questi ultimi. Secondo la Cass. à è decisiva, in questi casi, l’appartenenza all’intelligence del Paese estero ai fini del rifiuto delle immunità diplomatiche, ivi compresa l’immunità funzionale. Per quanto riguarda gli altri organi, è stato dimostrato cheà esistono casi nei quali l’immunità è esclusa (es. intrusioni non autorizzate di agenti di polizia in territorio straniero, di sconfinamenti di aerei o di cattura di criminali all’estero). Confortià la prassi può essere interpretata nel modo seguente:  l’immunità funzionale sussiste per quanto riguarda la giurisdizione civile, ivi comprese le azioni di risarcimento per crimini commessi dall’organo. In questi casi è lo Stato in nome del quale l’organo ha agito che può essere sottoposto alla giurisdizione straniera. Se poi tale Stato è anche esso immune (come nel caso del risarcimento per azioni qualificabili come atti jure imperii), sarà sempre possibile chiamarlo a rispondere sul piano internazionale.  L’immunità è da escludere per l’esercizio della giurisdizione penale. La ratio sta nel fatto che lo Stato, in quanto persona giuridica, difficilmente può essere considerato come penalmente responsabile. Il funzionario può invocare come esimente l’ordine del superiore? Il problema in questo caso va risolto alla luce della legislazione penale dello Stato del giudice. Cass. nel caso Lozanoà ha ritenuto che l’uccisione di un agente segreto italiano da parte di un militare statunitense ad un posto di blocco in Iraq fosse coperto dall’immunità. Secondo Confortià c’era comunque da applicare, in questo caso, la regola dell’immunità funzionale dei Corpi di truppa all’estero. Sent. Corte suprema indiana nel caso Maròà l’immunità funzionale è negata riguardo ai 2 sottoufficiali della Marina militare italiana, che, essendo di scorta alla nave mercantile Enrica Lexie, avrebbero ucciso 2 pescatori indiani che si trovavano a bordo di un peschereccio indiano. Secondo Confortià l’immunità funzionale non può essere invocata dai 2 militari italiani. Con riguardo ai Corpi di truppa all’estero va menzionata la Convenzione di Londra relativa allo Statuto delle Forze degli Stati membri della NATO (ratificata in Italia), che prevede la giurisdizione concorrente dello Stato di appartenenza delle truppe e dello Stato nel quale le truppe sono dislocate per tutti i reati e gli illeciti civili commessi dai membri di dette truppe nell’esercizio di una funzione ufficiale. In questo caso la priorità spetta allo Stato al quale la truppa appartiene, sempre che il reato o illecito civile sia tale per il diritto di entrambi gli Stati. Lo Stato locale conserva la propria giurisdizione solo nel caso si tratti di un reato o di un illecito civile che sia previsto dal proprio diritto ma non anche da quello dello Stato di appartenenza. Per gli organi statali stranieri che non godono dell’immunità funzionale e che si trovano non ufficialmente nel territorioà valgono le norme sul trattamento degli stranieri. Anche qui il dovere di protezione dovrà essere commisurato al rango dell’organo e alle circostanze in cui esso opera. Membri di missioni speciali La Convenzione del 1969 sulle missioni speciali estende le immunità diplomatiche d’uso agli organi e agli individui inseriti in missioni speciali inviate da uno Stato presso un altro Stato per la trattazione di questioni determinate. La Convenzione non sembra corrispondere per questa parte al diritto internazionale generale. Caso Tabatabaià egli era un leader politico iraniano. Fu inviato in missione speciale in Germania e fu accusato di aver introdotto una certa quantità di oppio nel territorio della Repubblica federale tedesca. La Corte Suprema tedesca concluse che (a prescindere dalla conformità o meno della Convenzione del 1969 al diritto internazionale generale) l’immunità degli inviati speciali potesse risultare (come a suo giudizio doveva dirsi nella specie) da un accordo, anche tacito, tra lo Stato inviante e quello ricevente. TRATTAMENTO DEGLI STATI STRANIERI (Limite alla sovranità territoriale) Non ingerenza negli affari di altri Stati Principio di non ingerenza + Par in parem non habet iudicium (sovrana eguaglianza) Vi sono obblighi dello Stato per quanto riguarda il trattamento degli Stati stranieri stessi. Principio di non ingerenza negli affari interni ed internazionali di altri Statià da un principio del non intervento negli affari interni ed internazionali di un altro Stato derivano dei limiti al potere dello Stato territoriale? E quali limiti? Si tratta di un principio giuridico di cui è difficile precisare l’esatto contenuto in quanto principio giuridico. Esso viene spesso enunciato dagli Stati solo a fini di propaganda politica. Il principio della non ingerenza negli affari altrui ha perso la sua autonoma sfera di applicazione con l’affermarsi di altre regole generali, le quali ne hanno assorbito le fattispecie. Non ingerenza e divieto della minaccia o dell’uso della forza La più importante di queste regole è costituita dal divieto della minaccia o dell’uso della forza di tipo bellico per attuare interventi negli affari interni ed internazionali di altri Stati. Questa regola è un limite della forza internazionale degli Stati. Sent. CIG sul caso delle attività militari e paramilitari in e contro il Nicaraguaà afferma che uno Stato che presta assistenza, sotto forma di fornitura di armi, di assistenza logistica e altro, a forze ribelli che agiscono nel territorio di un altro Stato è attività contraria a: Principio della non ingerenza + Divieto dell’uso della forza. Non ingerenza e misure di pressione economica Per quanto riguarda le applicazioni del principio della non ingerenza, le quali si risolvono in limiti al potere di governo che lo Stato esercita nell’ambito del proprio territorio, vengono in rilievo gli interventi dello Stato diretti a condizionare le scelte di politica interna ed internazionale di un altro Stato (es. le misure di carattere economico, purché si tratti di misure effettivamente capaci di incidere sulle scelte siffatte). È difficile indicare quando ciò si verifica. Secondo la CIG (Sent. sulla controversia riguardo le azioni degli Stati Uniti contro il Nicaragua)à non è sufficiente a concretare un’ipotesi di illecito intervento negli affari altrui l’interruzione di un programma di aiuti allo sviluppo o la riduzione o il divieto delle importazioni dal Paese che si vuol colpire. Confortià però, qualora queste misure siano contemporaneamente e sistematicamente prese, ed abbiano come unico scopo quello di influire sulle scelte delle Stato straniero (e non siano anche dirette cioè a reagire a comportamenti illeciti dello Stato straniero medesimo), esse devono considerarsi come vietate. Non è chiaro se dal principio della non ingerenza derivi l’obbligo di impedire che nel proprio territorio si tengano comportamenti che possano indirettamente turbare l’ordine pubblico e lo svolgersi della vita nell’ambito degli Stati stranieri. Si ritengono lecite le manifestazioni (che riguardano gli Stati antidemocratici) di critica e di condanna del sistema politico o del regime economico, sociale di uno Stato straniero. Ma i pareri sono discordi, di fronte ad una prassi confusa e di cui è difficile separare gli aspetti giuridici da quelli politici, quando si tratta di comportamenti più incisivi (es. propaganda sovversiva). Preparazione di atti terroristici diretti contro Stati stranieri Confortià un’unica regola generale che copra tutte simili attività non è ricostruibile. Forse l’unica regola consuetudinaria di cui si può affermare l’esistenza è quella che impone di vietare la preparazione di atti di terrorismo diretti contro altri Stati . Tutto il resto appartiene alla sfera del diritto convenzionale. Giurisdizione sugli Stati stranieri Ma gli Stati stranieri sono assoggettabili alla giurisdizione civile dello Stato territoriale? Uno Stato può essere convenuto in giudizio davanti alle Corti di un altro Stato? (Ad es. per inadempienza contrattuale, o per una qualsiasi altra controversia tra lo Stato e un privato). Immunità assoluta e immunità relativa degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile All’inizio del XX sec, la teoria universalmente accolta in merito al problema del trattamento degli Stati stranieri (la quale si ispirava al principio par in parem non habet iudicium) era quella favorevole all’immunità assoluta degli Stati stranieri alla giurisdizione civile. Giurisprudenza italiana + Giurisprudenza belgaà (nel periodo successivo alla Prima guerra mondiale) hanno dato inizio ad un’inversione di tendenza che ha portato alla revisione della regola dell’immunità assoluta. È stata così elaborata la teoria dell’ immunità ristretta o relativa . Essa si considera comunemente ammessa e corrispondente oggi al diritto internazionale consuetudinario. Ad essa si ispira anche la Convenzione delle Nazioni Unite. Atti dello Stato jure imperii ed atti jure gestionis Secondo la teoria dell’immunità ristrettaà l’immunità degli Stati stranieri dalla giurisdizione civile:  è limitata agli atti jure imperii (atti attraverso i quali si esplica l’esercizio delle funzioni pubbliche statali).  non si estende agli atti jure gestionis o jure privatorum (atti aventi carattere privatistico, es. l’acquisto di un immobile a titolo di investimento o l’emissione di prestiti obbligazionari). [ L’avvio alla revisione della immunità assoluta (dopo la Prima guerra mondiale) prese le mosse dal fenomeno verificatosi della maggiore partecipazione dello Stato ad attività imprenditoriali, commerciali. Significativo al riguardo è il caso delle Rappresentanze commerciali sovietiche che a quell’epoca cominciarono ad operare all’estero, avendo il monopolio del commercio estero dell’URSS. Fu la giurisprudenza italiana che cominciò a dubitare che la norma internazionale sull’immunità assoluta potesse coprire anche le controversie relative a rapporti connessi con attività commerciali degli Stati stranieri. Essa mise in luce come detta l’attività, essendo di stretto carattere privatistico, nulla avesse in comune con l’esercizio del potere statale, potere per tutelare il quale l’immunità assoluta era stata concepita. ] La distinzione tra gli atti jure imperii e atti jure privatorum rispecchia le incertezze che si ricollegano alla distinzione tra diritto pubblico e diritto privato. Detta distinzione infatti non è sempre facile da applicare ai singoli casi concreti. Il diritto consuetudinario lascia un ampio margine all’interprete (al giudice interno). In caso di dubbio sulla natura di un atto va applicata l’immunità, essendo la sottoposizione dello Stato straniero alla giurisdizione un’eccezione alla figura dell’immunità. Ciò trova conferma nella giurisprudenza interna che è più incline ad ampliare la sfera degli atti jure imperii (immunità). Si considera quindi:  Immunità à come regola risarcimento in Germania, sarebbero state private di un loro diritto fondamentale quale è il diritto a far valere davanti a un giudice le proprie ragioni. Sul punto la CIG si è sostanzialmente limitata a sostenere che un negoziato tra Italia e Germania è sempre possibile, e ad auspicare che ciò avvenga. Argomenti respinto dalla CIG in modo non convincente Tort exception 3. Ultimo argomento della difesa italiana respinto dalla CIG è quello fondato sulle norme della Convenzione europea e della Convenzione delle Nazioni Unite che escludono l’immunità dello Stato straniero per le azioni di risarcimento del danno prodotto alle persone e cose purché si tratti di azioni che abbiano avuto luogo nel territorio dello Stato del foro (tort exception). Secondo la CIG, la tort exception:  non corrisponderebbe al diritto consuetudinario (né le 2 Convenzioni sarebbero applicabili di per sé nella specie, non avendole l’Italia ratificate all’epoca dei fatti).  in quanto concepita per i comuni illeciti civili, non si estenderebbe anche alle azioni per i danni derivanti da operazioni di guerra (crimini internazionali). L’applicazione delle norme sui diritti umani costituirebbe l’oggetto esclusivo del merito della controversia rispetto alla quale l’immunità è invocata. La CIG sostiene che questi argomenti avanzati dalla difesa italiana riguardino il merito. La questione dell’immunità della Germania invece, per la CIG, avrebbe carattere preliminare e procedurale e quindi autonomo (senza scendere nel merito). Ma alcuni di questi argomenti sono stati respinti in modo non convincente. Confortià è deludente che una Corte dei diritti umani si regoli in questo modo, cioè riconoscendo l’immunità anche in caso di violazioni gravi di diritti umani. Va al riguardo denunciata l’omissione da parte della Corte di alcuni elementi della prassi che meritavano attenta considerazione. Trattasi di sentenze di Corti interne che, nel pronunciarsi a favore dell’immunità di giurisdizione dello Stato straniero in tema di risarcimento per violazioni di gravi diritti umani, sostengono che una simile pronuncia sia praticabile in quanto le vittime della violazione possono rivolgersi ai giudici dello Stato che invoca l’immunità. Il diritto al giudice è ormai considerato un diritto fondamentale dell’uomo (es. Art 24 Cost Ita). Si può sostenere che esso sia previsto da un principio generale di diritto riconosciuto dalle Nazioni Civili. Occorre riconoscere che il dato sul quale la CIG si è basata è incontrovertibileà essa si è fondata principalmente sulla giurisprudenza interna, cioè il numero di pronunce di Corti interne che, sul tema specifico delle conseguenze civilistiche delle violazioni gravi dei diritti umani, riconoscono in maggioranza l’immunità. Ci si augura che siano proprio le Corti interne, alle quali spetta l’ultima parola nella materia in esame, a cambiare tendenza. È da salutare con entusiasmo la Sent. Corte Cost italiana 238/2014 , che si è dichiarata, sempre nel caso dei crimini nazisti, contraria all’immunità dello Stato tedesco, nonostante la decisione della CIG qui in esame. Negli anni 20 del XX, fu proprio la giurisprudenza italiana (seguita da quella belga) a dare avvio alla distinzione tra atti jure imperii e atti jure gestionis , innovando una prassi non più consona ai tempi. Ci si augura che anche la sentenza 238/2014 apra la strada ad una prassi giurisprudenziale degli Stati anch’essa più consona ai tempi. Altro è il problema se, nella specie decisa dalla CIG, il risarcimento del danno causato dai tedeschi potesse essere rivendicato per fatti avvenuti quando può dubitarsi che norme sui crimini internazionali (più in generale norme di jus cogens) esistessero. In tutta la materia dell’immunità le Corti internazionali sono più propense a tener conto delle esigenze delle relazioni internazionali di quanto lo siano le Corti interne. Il dover constatare che proprio la CEDU, ossia una Corte che dovrebbe tutelare i diritti umani, faccia prevalere le norme sull’immunità su quelle che condannano la tortura è a dir poco stupefacente! Immunità delle persone giuridiche pubbliche diverse dallo Stato L’immunità dalla giurisdizione civile, così come è prevista per gli Stati (complessivamente considerati), è riconosciuta anche agli enti territoriali e alle altre persone giuridiche pubbliche. Ciò a conferma che a formare la persona dello Stato, dal punto di vista del diritto internazionale, concorrono tutti coloro che esercitano il potere di governo nell’ambito della comunità statale (e non solo gli organi del potere centrale). Immunità degli Stati stranieri dall’esecuzione forzata La teoria dell’immunità ristretta va applicata:  al procedimento civile di cognizione  ai procedimenti di esecuzione forzata e cautelari sui beni (a qualsiasi titolo) detenuti da uno Stato estero. L’esecuzione forzata si ritiene ammissibile solo se essa è esperita sui beni non destinati ad una pubblica funzione a cui si applica l’immunità (es. su immobili acquistati dallo Stato estero a titolo privato). Ciò anche se l’esecuzione riguarda sentenze che, nel procedimento di cognizione, hanno negato l’immunità. Sent. Corte di Cass.à ha escluso la possibilità di esperire un’azione possessoria nei confronti di un immobile situato nella base militare degli Stati Uniti a Sigonella. L’immunità dall’esecuzione è anche presa in considerazione dalla sentenza della CIG nel caso delle immunità dello Stato straniero: la Corte esclude la possibilità di compiere atti coercitivi su un bene immobile posseduto dalla Germania in Italia, essendo esso destinato a (pubbliche) funzioni di carattere culturale. Non è sempre facile stabilire se un bene sia destinato o meno ad una pubblica funzione. L’immunità può sempre essere oggetto di rinuncia (espressa o implicita) da parte dello Stato straniero. Essa non può essere eccepita, qualora lo Stato straniero si faccia attore in giudizio, in ordine alla domanda riconvenzionale. Dottrina dell’Act of State A parte i limiti alla giurisdizione civile considerati, ossia i limiti che riguardano il caso in cui lo Stato estero sia convenuto in giudizio, nessun altro limite la giurisdizione dello Stato territoriale incontra in tema di trattamento di Stati stranieri. Senza fondamento nel diritto internazionale è la dottrina dell’ Act of State (detta Political question), dottrina secondo cui una Corte interna non potrebbe rifiutarsi di applicare una legge o un altro atto di sovranità straniero (es. una legge richiamata dalle norme di diritto internazionale privato):  in quanto contraria al diritto internazionale  in quanto illegittimamente adottata alla stregua dei principi del suo ordinamento di origine Le Corti di uno Stato, anche nei giudizi tra parti private, non potrebbero controllare la legittimità internazionale o interna di leggi, sentenze ed atti amministrativi stranieri che vengano in rilievo nei giudizi medesimi a loro sottoposti. Dottrina dell’Act of State (Political question) Questa tesi è stata seguita soprattutto dagli USA all’epoca delle nazionalizzazioni cubane: la giurisprudenza americana rifiutava di sindacare la legittimità internazionale di tali nazionalizzazioni e di riconoscere conseguentemente i diritti delle società americane espropriate. Famoso in tal senso è il caso Sabbatino, il quale diede luogo ad una reazione del legislatore diretta a sottrarre le nazionalizzazioni all’applicazione della dottrina dell’Act of State. Essa, più che una dottrina imposta di diritto internazionale, è stata considerata una sorta di principio di autolimitazione (di diritto interno) da parte delle Corti, giustificata dalla necessità di non creare imbarazzo al proprio Governo nei rapporti con i Governi stranieri. Essa è da condannare per la parte in cui si risolve in una mancata applicazione del diritto internazionale da parte dei giudici. La dottrina dell’Act of State viene anche applicata in giudizi che riguardano lo Stato del giudice. Nei Paesi anglosassoni essa assume la denominazione di Political question. In Italia questa teoria viene in rilievo come teoria dell’Atto Politico. Essa è stata applicata dalla Corte di Cass. quando ha ritenuto di non poter esercitare la propria giurisdizione in relazione al risarcimento dei danni provocati a privati dalla guerra aerea della NATO contro la Jugoslavia (guerra a cui l’Italia partecipò fornendo le basi agli aerei utilizzati per i bombardamenti del territorio jugoslavoà violato Art 11 Cost). La dottrina dell’Atto Politico è assurda in un regime di democrazia ed è contraria a quanto sostenuto da Conforti circa i rapporti tra potere giudiziario e potere esecutivo. TRATTAMENTO DELLE ORGANIZZ. INTERNAZIONALI (Limite alla sovranità territoriale) Immunità dei funzionari internazionali Un limite alla sovranità territoriale deriva dalle norme sul trattamento delle Organizzazioni internazionali. Il trattamento:  riguarda lo Stato in cui l’Organizzazione ha sede.  può dar luogo a problemi anche in altri Statià quando gli organi di un’Organizzazione internazionale si trovino ad operare occasionalmente o stabilmente nel loro territorio. Circa il trattamento dei funzionari delle Organizzazioni internazionali à non esistono norme consuetudinarie che impongono agli Stati di concedere loro particolari immunità e le immunità diplomatiche. Solo mediante convenzione lo Stato può essere obbligato in tal senso. Disposizioni convenzionali in tema di immunità dei funzionari non mancano per nessuna Organizzazione. Esse sono contenute: - nella stessa convenzione che istituisce l’Organizzazione - in accordi conclusi dall’Organizzazione con gli Stati membri o con Stati terzi (in particolare con lo Stato in cui è stata istituita la sede) - in accordi conclusi dagli Stati membri fra loro Sempre dal diritto convenzionale sono regolate le immunità dei rappresentanti degli Stati in seno agli organi delle Organizzazioni internazionali. Immunità dei funzionari dell’ONU Per quanto riguarda i funzionari dell’ ONU à la Carta:  sancisce un principio generale in tema di immunitàà ossia che i funzionari dell’Organizzazione godono dei privilegi e delle immunità necessari per l’esercizio indipendente delle loro funzioni).  demanda all’Assemblea generale il compito di proporre agli Stati membri la conclusione di accordi per la disciplina dettagliata della materia. Le norme contenute in questi accordi sono di 2 specie: - o descrivono in modo dettagliato il tipo e l’ampiezza dell’immunità - o rinviano alle norme di diritto internazionale consuetudinario relative alle immunità diplomatiche Immunità dei funzionari dell’UE Per quanto riguarda i funzionari dell’UEà per loro sono previste norme sull’immunità più o meno simili a quelle previste per i funzionari ONU. Immunità dei rappresentanti degli Stati in seno alle organizzazioni Per quanto riguarda i rappresentanti degli Statià le immunità sono regolate negli accordi relativi a ciascuna Organizzazione. Importante è la Convenzione ONU del 1975 sulla rappresentanza degli Stati nelle loro relazioni con le Organizzazioni internazionali (di carattere universale).