Scarica Diritto processuale penale libro Conso-Grevi-Iasevoli e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! COMPENDIO DI PROCEDURA PENALE CONSO GREVI – Prof.ssa Iasevoli Clelia Capitolo 1 I SOGGETTI 1.Premessa - Il libro I del codice tratta di tutti coloro i quali intervengono nel processo penale, distinguendo tra soggetti e parti. I soggetti sono tutti i titolari di facoltà e poteri, sia nella fase delle indagini preliminari che nei vari stati e gradi del processo; ci riferiamo al giudice, al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria, all’imputato, alla parte civile, al responsabile civile, alla persona offesa dal reato e ai rispettivi difensori. L’espressione parti, invece, va utilizzata solo per indicare < chi vanta il diritto ad una decisione giurisdizionale in rapporto ad una pretesa fatta valere nel corso di un processo >; possiamo a tal proposito distinguere: (a) parti necessarie – ossia il pubblico ministero e l’imputato; (b) parti eventuali – ossia la parte civile e il responsabile civile. 2.La giurisdizione penale – In piena corrispondenza con l’art 112 della costituzione, il codice di rito all’art. 1 attribuisce la giurisdizione panale a tutti i magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme dell’ordinamento giudiziario. Da questa enunciazione si evince che non tutti i magistrati (e dunque, non il pubblico ministero), ma soltanto il giudice può essere titolare di funzioni giurisdizionali penali. La qualità di giudice è il risultato di un atto d’investitura di potere regolato dalla legge, e precisamente, il giudice è una creazione esclusiva delle norme dell’ordinamento giudiziario, per cui il valido esercizio della funzione giurisdizionale è condizionato proprio dalla ritualità dell’investitura e, infatti, l’art. 178, 1° comma lett. a) del codice, stabilisce che < è sempre prescritta a pena di nullità (assoluta) l’osservanza delle disposizioni riguardanti: (1) le condizioni di capacità del giudice e (2) il numero dei giudici necessario per costituire i collegi stabilito dalle norme dell’ordinamento giudiziario >. Invece, non si considerano attinenti alla capacità del giudice le disposizioni sulla destinazione del giudice agli uffici o alle sezioni, sulla formazione dei collegi, sull’assegnazione dei processi a sezioni o collegi e, infine, quelle relative all’attribuzione delle regiudicande alla composizione monocratica o collegiale del tribunale. 3.Profili ordinamentali - Di primaria importanza risulta la distinzione tra: giudici straordinari istituiti successivamente al fatto da giudicare, giudici speciali, figure estranee alla legge di ordinamento giudiziario e giudici ordinari, contrapponibili ai giudici speciali in quanto traggono la loro legittimazione dall'ordinamento giudiziario. La costituzione vieta di istituire giudici straordinari o speciali, mentre ammettere l'istituzione di giudici specializzati, (tipico esempio è il tribunale per i minorenni), in ragione dello specifico getto della loro giurisdizione (articolo 102 comma 2° Costituzione). Restano esclusi dal divieto, conformemente a quanto desumibile dagli artt. 103 comma 3° e articolo 134 Cost., solo due giudici speciali: i tribunali militari (e gli altri organi giudicanti della giustizia militare) in relazione ai reati militari commessi da appartenenti alle forze armate; la corte costituzionale, della particolare composizione risultante dall'articolo 135 comma 7 Costituzione, con riferimento alle accuse promosse contro il presidente della Repubblica per alto tradimento o per attentato alla costituzione. La categoria rispetto alla quale si pone in particolare, l'esigenza di un raccordo con la normativa del codice è quella dei giudici ordinari, che, dopo la soppressione dell'ufficio del pretore, e l'entrata in vigore del d.lgs. 28 agosto 2000, numero 274, inerente alla competenza penale del giudice di pace, ricomprende seguenti organi giudicanti: A) giudice di pace: giudice onorario e monocratico. B) giudice per le indagini preliminari monocratico C) giudice dell’udienza preliminare monocratico I quali sono stati distinti per evitare possibili condizionamenti, derivanti dalle attività compiute nel corso delle indagini preliminari. Allo scopo poi di assicurare un’elevata qualificazione professionale dei GUP è richiesto che essi abbiano precedentemente svolto per almeno 2 anni la funzione di giudice del dibattimento o di giudice per le indagini preliminari e con l’intento di creare le premesse per la loro terzietà, è stata fissata la regola della temporaneità delle funzioni (da un minimo di cinque anni ad un massimo di dieci). Si consente tuttavia che qualora alla scadenza del termine sia incorso il compimento di un atto, l'esercizio delle funzioni venga prorogato limitatamente a quel singolo procedimento, sino al compimento dell'attività in questione. D) tribunale ordinario: a seconda della gravità del reato o delle caratteristiche dello stesso, tale organo giudica in composizione monocratica oppure in composizione collegiale, decidendo, in quest'ultimo caso, con il numero invariabile di 3 componenti. E) Corte d’assise: giudice collegiale a composizione mista [8 magistrati, di cui 2 togati (ossia stabilmente appartenenti all’ordine giudiziario come magistrati di carriera) e 6 laici (giudici popolari, che solo temporaneamente fanno parte dell’ordine giudiziario, scelti tra i cittadini in possesso di certi requisiti)]; F) Corte d’appello: giudice collegiale composto da 3 magistrati. G) Corte d’assise d’appello: giudice collegiale la cui composizione mista (ai 2 magistrati togati si vanno ad aggiungere 6 giudici popolari) ricalca quella della corte d’assise. H) Magistrato di sorveglianza: monocratico. I) Tribunale di sorveglianza: giudice collegiale composto da 4 magistrati, di cui 2 togati e 2 laici. Al vertice di questo organigramma si colloca la corte di cassazione alla quale viene riservato l’appellativo di giudice di legittimità è divisa in 7 sezioni, ciascuna delle quali giudica con 5 componenti, che diventano 9 Quando tale organo è chiamato a pronunciarsi nella composizione a sezioni unite. Anche i giudici minorili sono regolati dalla legge di ordinamento giudiziario: rispetto ad essi, come si è anticipato, è quindi corretta la definizione di giudici ordinari specializzati. 4. Questioni pregiudiziali e sospensione del processo – Sono delle questioni incidentali, la cui risoluzione è necessaria affinchè il giudice si pronunci sulla questione finale; infatti ex art. 2.1 c.p.p. il giudice penale risolve ed ha cognizione su tutte le questioni da cui dipende la decisione finale. Ad es. in caso di ricettazione egli non potrà decidere se prima non accerta la provenienza delittuosa del denaro; la sua decisione in merito sarà una pronuncia incidentale. Tale meccanismo consente non solo di non sospendere il processo, ma soprattutto di garantire un accelerazione dei tempi della decisione. Tuttavia i l codice presenta, però, delle eccezioni a tale regola; prevedendo che il giudice possa sospendere il processo con ordinanza impugnabile mediante ricorso per cassazione, attendendo la risoluzione della questione da parte del competente organo giudicante. Si tratta di due sole ipotesi, con riferimento alle quali è parso opportuno consentire che sulla questione pregiudiziale intervenga un avere propria decisione, idonea a stabilizzarsi con la formazione del giudicato e non un accertamento incidentale suscettibile di essere contraddetto da ulteriori accertamenti di segno eventualmente opposto. La prima è inerente alle questioni pregiudiziali relative allo stato di famiglia o alla cittadinanza art. 3 c.p.p. In tale ipotesi, il giudice penale può sospendere il processo allorché ricorrano le tre seguenti condizioni: A) Deve effettivamente sussistere un rapporto di pregiudizialità tra la risoluzione della controversia sullo stato di famiglia o di cittadinanza e la decisione della regiudicanda penale. B) È necessario che la questione pregiudiziale sia seria, vale a dire non manifestamente infondata o artificiosa; C) Deve essere già stata proposta l'azione a norma delle leggi civili. Se manca una delle suddette condizioni il giudice deve decidere in via incidentale senza sospendere il processo penale, non si può dire che valga, perlomeno automaticamente la regola opposta. In base alla difficoltà della questione e all'entità dei costi ricollegabili alla scelta applicativa, sarà il giudice a stabilire di volta in volta se, nonostante la ricorrenza dei presupposti stabiliti dall'articolo 3 comma 1°, non sia preferibile risolvere autonomamente la questione pregiudiziale. Nel caso di sospensione è prevista la pronuncia di un'ordinanza, che può essere impugnata in cassazione. Finché dura la sospensione è ammesso solo il compimento di atti urgenti, purché si tratti di atti non riguardanti la questione che ha determinato la sospensione (articolo 3 comma 3°). Ed infine, la sentenza irrevocabile che ha deciso la questione in merito allo status o alla cittadinanza ha efficacia di giudicato nel procedimento penale. Rapporti competenza funzionale e competenza tecnica - La competenza tecnica (materiale, territorio e connessione) e quella funzionale sono collegate perché ovviamente prima di capire chi sia il giudice competente in quella fase, in quel grado, dobbiamo prima capire chi sia il giudice competente tecnicamente alla base. Tuttavia non si identificano: la competenza tecnica attua il principio della precostituzione (art 25 cost.); la competenza funzionale attua l’art 111 Cost.e garantisce l’imparzialità del giudice. Infatti la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti in condizioni di parità dinanzi al giudice terzo ed imparziale. 7. Le attribuzioni del tribunale - Una volta appurato che con riguardo a un certo reato sia competente il tribunale, occorre stabile quale delle due composizioni, monocratica o collegiale, sia richiesta: in questo caso il criterio di ripartizione sarà basato sulla ripartizione interna delle regiudicande da trattare. La possibilità che il tribunale giudichi in questa sua duplice composizione, si deve alla riforma del Giudice Unico (1998), con la quale si è tra l’altro proceduto alla soppressione della figura del pretore. Inizialmente la regola era del giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica, l’eccezione era rappresentata dal tribunale in composizione collegiale. Tuttavia non molto tempo dopo si è intervenuti in materia riformulando le relative disposizioni, per cui ad oggi si prospetta la seguente ripartizione: Tribunale collegiale – Ex art 33.1 il tribunale in composizione collegiale giudica dei seguenti delitti, consumati o tentati: quelli puniti con la reclusione superiore nel massimo a 10 anni, con esclusione di quelli che superano la soglia dei 24 anni (di competenza della corte d’assise). Reati ex art 407.2 lett a [delitti commessi per finalità di terrorismo, delitti dei pubblici ufficiale contro la pubblica amministrazione, delitti di illegale fabbricazione di armi da sparo, associazione per delinquere, associazione di stampo mafioso, delitti di natura sessuale (pornografia o prostituzione minorile, violenza sessuale)]. Tribunale monocratico – Ex art 33 ter giudica sui reati non espressamente attribuiti alla composizione collegiale del tribunale, ovvero sui i reati di guida senza patente, di guida in stato di ebbrezza, di guida in stato di alterazione psicofisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti. L’inosservanza delle disposizioni concernenti l’attribuzione di un reato alla composizione monocratica o collegiale del tribunale deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare ovvero, dove manchi, subito dopo che per la prima volta sia stato compiuto l’accertamento della costituzione delle parti. Se l’erronea attribuzione viene rilevata nel corso dell’udienza preliminare, il Gup trasmette gli atti al pubblico ministero, mentre nel caso in cui ciò avvenga nel corso del dibattimento di primo grado, il giudice procede diversamente a seconda che il dibattimento sia stato istaurato in seguito ad udienza preliminare o a decreto di citazione diretta a giudizio mentre necessitava dell’opposta instaurazione. Nel caso in cui si sia proceduto con udienza preliminare per quei procedimenti che necessitavano di dichiarazione diretta a giudizio, ex art 33 sexies trasmette gli atti al giudice competente (tribunale monocratico o collegiale); nel caso opposto poiché l’imputato è stato indebitamente privato dell’udienza preliminare, il giudice dispone la regressione del processo. 8. La disciplina della riunione e della separazione dei processi. La riunione e la separazione sono istituti disposti con ordinanza che operano nel momento in cui, in seguito all'esercizio dell'azione penale, il procedimento si è evoluto in processo. La riunione dei processi produce come risultato la trattazione congiunta di una molteplicità di procedimenti diversi pendenti a carico di uno o più imputati e ha lo scopo di evitare decisioni logicamente contrastanti (c.d. conflitto tra giudicati). Affinchè possa aversi riunione, ex art 17.1 è necessario: che i diversi processi da riunire pendano innanzi al medesimo organo giudicante; che si trovino nello stesso stato e grado; che la riunione non provochi un possibile ritardo nella definizione delle singole vicende processuali. È, inoltre, necessario che i vari processi pendenti siano connessi ex art 12 o collegati ex art 371.2 ovvero quando tra i reati un vincolo di consequenzialità o occasionalità, tale che uno o più di essi siano stati realizzati in occasione degli altri, o per conseguirne o assicurarne al colpevole o ad altri un profitto, il prezzo, il prodotto o gli impunità, o che sono stati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre, ovvero se la prova di un reato o di una sua circostanza influisce sulla prova di un altro reato o di un’altra circostanza. Si deve ritenere che qualora sia esclusa la sussistenza di un pregiudizio, in termini di ritardo nella definizione dei processi pendenti, la riunione costituisca un atto dovuto. Se alcuni dei processi da riunire pendono innanzi alle due diverse composizioni di un medesimo tribunale, è disposto l’accorpamento in capo al tribunale collegiale, che si pronuncerà su tutte le cause. Separazione: Ex art 18 a meno che il giudice non ritenga assolutamente necessaria la riunione dei processi per l’accertamento dei fatti, dispone la separazione: Se nell’udienza preliminare, nei confronti di uno o più imputati è possibile pervenire prontamente alla decisione; Se nei confronti di uno o più imputati è stata disposta la sospensione del processo; Se uno o più imputati non sono comparsi al dibattimento per nullità dell’atto di citazione, nullità della notifica o legittimo impedimento; Se uno o più difensori non sono comparsi al dibattimento per mancato avviso; Se per alcuni imputati l’istruzione dibattimentale risulta conclusa mentre per altri sono necessari ulteriori atti; Se alcuni imputati detenuti siano prossimi ad essere rimessi in libertà per scadenza dei termini di custodia cautelare. Al di fuori delle ipotesi di cui si è parlato, la separazione dei processi può essere altresì disposta sulla base di un accordo tra le parti, sempre che il giudice la reputi utile sotto il profilo della speditezza (art 18 comma 2°). 9. I procedimenti di verifica della giurisdizione della competenza- Hanno come obiettivo anticipare la risposta definitiva sulla giurisdizione sulla competenza, e scongiurare i rischi di regressione di procedimenti giunti in stadi avanzati, evitando le eccezioni tardive. Quanto al difetto di giurisdizione ex art. 20 del codice di rito – ravvisabile sia quando un giudice si ritiene competente in ordine ad un reato su cui dovrebbe pronunciarsi un diverso giudice - si prevede che lo stesso possa essere rilevato anche d’ufficio, in ogni stato e grado del procedimento (art 20 comma 1°): quindi, a cominciare dalle indagini preliminari. Se il difetto di giurisdizione è rilevato nel corso delle indagini preliminari, il giudice provvede con ordinanza e dispone la restituzione degli atti al pubblico ministero. Dopo la chiusura delle indagini preliminari e in ogni stato e grado del processo, il giudice pronuncia invece Sentenza e ordina, eccettuata l’ipotesi di un difetto assoluto di giurisdizione, che gli atti vengono trasmessi alla autorità competente (art 20 comma 2°). Per quanto concerne l’incompetenza, occorre distinguere tra: - l’incompetenza per materia e quella - per territorio o per connessione. Salvo che in due situazioni, l'incompetenza per materia, considerata più grave degli altri tipi di incompetenza, può essere rilevata anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo (non prima quindi, che sia stata esercitata l'azione penale). La prima situazione ricorre quando il giudice riconosce di un reato che appartiene alla cognizione di un giudice di competenza inferiore; in tal caso l’incompetenza deve essere rilevata d’ufficio o eccepita a pena di decadenza entro il termine stabilito dall’articolo 491 comma 1°. La seconda deroga concerne l’ipotesi dell’incompetenza per materia derivante da connessione, che in base all’articolo 21 comma 3°, deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza entro gli stessi termini stabiliti per l’incompetenza per territorio. L'incompetenza per territorio e per connessione, invece deve essere rilevata o eccepita, a pena di decadenza, prima della conclusione dell’udienza preliminare o se questa manchi, ovvero se l’eccezione venga respinta in sede di udienza preliminare, entro il termine previsto dall’articolo 491 comma 1°. Le decisioni in merito alla competenza e alla giurisdizione sono assunte dalla corte di cassazione. Ex art 25 le decisioni della corte di cassazione su competenza e giurisdizione sono vincolanti nel corso del processo salvo che emergano ulteriori fatti che comportino una diversa definizione giuridica da cui derivi una modificazione della competenza di un giudice superiore. Ex art 26, il mancato rispetto delle norme sulla competenza non determina l’inefficacia delle prove acquisite, con la sola parziale eccezione delle dichiarazioni rese al giudice incompetente per materia che, se ripetibili, possono essere utilizzate soltanto in sede di udienza preliminare e per le contestazioni regolate dagli articoli 500 e 503. Ex art 27 le misure cautelari disposte dal giudice dichiaratosi incompetente, cessino di avere efficacia qualora entro 20 giorni dall’ordinanza di trasmissione degli atti al giudice competente non siano confermate da quest’ultimo ai sensi degli articoli 292, 317 e 321. Gli artt. 28- 32 si occupano dei conflitti tra giudici e dettano un’apposita regolamentazione idonea a consentire il loro superamento. Il conflitto è la situazione che si determina quando, in qualsiasi stato e grado del processo, due o più giudici contemporaneamente prendono (conflitto positivo) o rifiutano di prendere (conflitto negativo) cognizione del medesimo fatto, attribuito alla stessa persona. Si può avere conflitto di giurisdizione, quando il contrasto intercorre tra uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali, oppure conflitto di competenza, quando ad essere coinvolti sono due o più giudici ordinari. Ad originare il procedimento di conflitto è una denuncia di parte, privata o pubblica, o una rilevazione d’ufficio del giudice. L’elevazione del conflitto non ha effetti sospensivi sul processo in corso. Il conflitto termina con una dichiarazione di uno dei giudici della propria competenza o incompetenza; se ciò non si verifica interviene la corte di cassazione che decide con sentenza in camera di consiglio. 11. Le cause personali di estromissione del giudice: incompatibilità, astensione e ricusazione Allo scopo di garantire la celebrazione del “giusto processo”, è necessario assicurare l’imparzialità del giudice, rimuovendo tutte le cause che potrebbero comprometterla. Il legislatore ha previsto a tal proposito due istituti, astensione e ricusazione, fortemente legati alla incompatibilità del giudice. Le cause di incompatibilità, sono previste autonomamente negli articoli 34 e 35 del codice di rito, nonché da talune leggi dell’ordinamento giudiziario; ma nonostante la configurazione autonoma, risultano ricomprese, in forza di esplicito richiamo nella stessa disciplina delle ipotesi di astensione e di ricusazione. Secondo parte della dottrina, l’esistenza di una situazione di incompatibilità non può dirsi incidente sui requisiti di capacità del giudice e dunque non dà luogo a nullità assoluta, ma si traduce semplicemente in un motivo di ricusazione, che la parte interessata deve far valere tempestivamente, qualora il giudice sospetto non abbia provveduto ad astenersi. Ex art. 34 sancisce che: A) il giudice che ha pronunciato sentenza in un grado del procedimento non può esercitare le funzioni di giudice negli altri gradi o nel corso del giudizio di rinvio; B) il giudice che ha pronunciato il provvedimento conclusivo dell’udienza preliminare o colui che ha disposto il giudizio immediato o ha emesso decreto penale di condanna, non può partecipare al giudizio; né quello che ha deciso sull’ impugnazione avverso la sentenza di non luogo a procedere, pronunciata dal GUP. C) il giudice che abbia svolto le funzioni di GIP non può nel corso dello stesso processo emettere decreto penale di condanna o partecipare al giudizio ed inoltre incompatibile alla funzione di GUP [a parte quando il GIP si sia limitato ad adottare nel corso del medesimo procedimento autorizzazioni per il trasferimento dell’indagato sottoposto a custodia in un luogo esterno di cura; permessi di colloquio o di corrispondenza epistolare o telefonica; permessi di uscita dal carcere] D) non può esercitare l’ufficio di giudizio in un determinato procedimento colui che nel corso dello stesso abbia svolto le funzioni di pubblico ministero, difensore o procuratore speciale di una delle parti, consulente tecnico (comma 3). Ex art 35 nell’ambito dello stesso procedimento, funzioni anche separate o diverse non possono essere esercitate da giudici tra i quali ricorrano relazioni di coniugio, parentela o affinità fino al secondo grado. ASTENSIONE E RICUSAZIONE art. 36 e 37 c.p.p. Ex art 36 il giudice ha l’obbligo di astenersi quando: a) abbia interesse nel procedimento; b) sia tutore, curatore, procuratore o datore di lavoro di una delle parti private; c) sia prossimo congiunto del difensore, procuratore o curatore di una delle parti; d) abbia dato consigli o manifestato il suo parere sull’oggetto del procedimento fuori dell’esercizio delle funzioni giudiziarie; e) sia in rapporto di grave inimicizia con una delle parti private; f) nell’ipotesi in cui alcuno dei prossimi congiunti del giudice o del coniuge è offeso, danneggiato dal reato o parte privata; g) se si trova in una delle situazioni di incompatibilità stabilite negli art 34 e 35 e dalle leggi di ordinamento giudiziario; h) se esistono altre gravi ragioni di convenienza. Se il giudice non si astiene le parti possono ricusarlo. L’art. 37 dispone che le parti possono ricusare il giudice oltre che nei casi previsti dall’art. 36, lett. a) – g), anche quando nell’esercizio delle sue funzioni e prima della pronuncia della sentenza, abbia indebitamente manifestato il proprio convincimento in merito ai fatti oggetto dell’imputazione. Il catalogo risultante dagli articoli 36 e 37 è tassativo. Se nonostante l’incompatibilità il giudice pone in essere un atto che travalica i limiti della competenza funzionale avremo un atto abnorme ovvero un atto che difetta di potere. Di fronte all’atto abnorme c’è la possibilità di ricorrere in cassazione. Dal punto di vista del procedimento, per l'astensione è prevista la andamento ed imparzialità. I capi dell’ufficio potranno sia esercitare personalmente le funzioni attribuite al pubblico ministero, ma anche designare altri magistrati addetti al proprio ufficio (c.d. sostituti procuratori es a magistrati ordinari in tirocinio, a vice procuratori onorari addetti all’ufficio), cui delegare l’esercizio delle funzioni di pubblico ministero. Inoltre, in considerazione del numero degli indagati o della complessità delle indagini, il titolare dell’ufficio può, inoltre, procedere anche a una designazione congiunta (è il c.d. pool investigativo). Nel corso dell’udienza, le funzioni sono esercitate dal magistrato del pubblico ministero in piena autonomia, anche se ciò non toglie che il capo dell’ufficio possa impartire direttive sulle premesse dell’udienza. Tale autonomia comporta che questi possa essere sostituito dal capo dell’ufficio solo in ipotesi circoscritte: casi di grave impedimento; rilevanti esigenze di servizio. Mentre negli altri casi il magistrato designato può essere sostituito solo con il suo consenso. Il magistrato del pubblico ministero ha, tuttavia, la facoltà di astenersi* con dichiarazione motivata quando sussistono gravi ragioni di convenienza, ma rivestendo la qualità di parte pubblica non potrà mai essere ricusato. Contrasti tra pubblici ministeri – Sono stati previsti nell’ipotesi in cui il P.M. riconosca la competenza per un reato di un giudice diverso da quello presso il quale esercita le sue funzioni o viceversa. Nel 1 caso trasmette gli atti all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice (ritenuto) competente; qualora quest’ultimo dissenta, demanda la risoluzione del contrasto (negativo) al procuratore generale presso la corte d’appello. Qualora invece riceve notizia che presso un altro ufficio sono in corso indagini preliminari a carico della stessa persona o per il medesimo fatto in relazione al quale egli procede, ne informa il pubblico ministero presso quest’ufficio, richiedendogli la trasmissione degli atti: anche in questo caso il pubblico ministero che ha ricevuto la richiesta, ove non ritiene di aderirvi, ne informa il procuratore generale presso la corte d’appello. Assunte le necessarie informazioni, il procuratore generale determina con decreto motivato quale ufficio debba procedere. Anche le parti private (indagato, persona offesa e rispettivi difensori) operanti nel corso del procedimento possono operare un controllo sulla legittimazione del pubblico ministero allo svolgimento delle indagini preliminari: questi, infatti, qualora ritengano competente un altro giudice e il diverso pubblico ministero ivi istituito, presentano richiesta di trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente presso la segreteria del pubblico ministero procedente, che potrà accogliere la richiesta o rigettarla, in quest’ultimo caso le parti potranno richiedere l’intervento del procuratore generale presso la corte d’appello. Avocazione - Per garantire l’obbligatorietà dell’azione penale di fronte ad eventuali ritardi od omissioni delle procure della Repubblica, in caso di obiettive situazioni di inerzia del titolare dell’ufficio o del pubblico ministero da questi designato, è contemplato un potere di avocazione delle indagini preliminari in capo al Procuratore Generale presso la Corte d’appello. In particolare, il potere di avocazione deve essere esercitato in via obbligatoria, quando: in conseguenza dell’astensione o dell’incompatibilità di un magistrato dell’ufficio del pubblico ministero, non sia possibile provvedere alla sua tempestiva sostituzione ovvero quando il capo dell’ufficio, pur potendo, non vi abbia provveduto; se al termine delle indagini preliminari non viene richiesta l’archiviazione o il rinvio a giudizio; le indagini relative a gravi delitti, che sono tra loro collegate, non siano state coordinate in maniera effettiva dai pubblici ministeri competenti. L’avocazione risulta, invece, facoltativa quando: il GIP non accoglie richiesta di archiviazione fissando l’udienza camerale di cui all’art 409; ovvero il GUP, rilevando all’esito dell’udienza delle carenze investigative, disponga ulteriori indagini. Il procuratore generale, assunte le necessarie informazioni, dispone l’avocazione con decreto motivato, del quale copia deve essere trasmessa al Consiglio superiore della magistratura e ai procuratori della Repubblica interessati: questo adempimento consente a quest’ultimi, di proporre reclamo al procuratore generale presso la corte di cassazione, il quale, se lo accoglie, revoca il decreto di avocazione. 17. Uffici del pubblico ministero distrettuale e criminalità di stampo mafioso - Allo scopo di arginare la crescente diffusione dell’attività criminale organizzata, mafiosa e camorristica, sul territorio nazionale, il legislatore ha ritenuto opportuno concentrare le indagini preliminari relative a tali reati in poche mani, ampliando la sfera di competenza territoriale di alcune procure della Repubblica. Si prevede al riguardo che in questi casi lo svolgimento delle indagini preliminari sia affidato alla procura della Repubblica del capoluogo del distretto di corte d’appello ove ha sede il giudice competente: ciò significa, ad esempio, che anche quando un reato di mafia sia commesso ad Agrigento, competente a svolgere le indagini è la procura di Palermo. Presso ogni Procura della Repubblica sita nel capoluogo del distretto di corte d’appello, viene costituito un apposito ufficio destinato alla cura delle predette indagini, denominato < Direzione distrettuale antimafia (DDA) >, cui sono assegnati magistrati (i quali devono farne parte per almeno due anni) scelti dal procuratore della Repubblica che assume in prima persona la guida della direzione, eventualmente affidandola ad un suo delegato. La concentrazione dell’attività investigativa presso le direzioni distrettuali accresce l’efficienza del sistema, grazie all’alto grado di professionalità e specializzazione dei magistrati addetti. Il collegamento e il coordinamento di tutte le direzioni distrettuali antimafia è affidato alla < Direzione nazionale antimafia (DNA) >, costituita nell’ambito della Procura Generale presso la Corte di Cassazione, al cui vertice è posto un magistrato di cassazione, il Procuratore nazionale antimafia (il quale resta in carica per quattro anni), scelto dal Consiglio Superiore della Magistratura. Il procuratore nazionale antimafia è investito di due funzioni: quelle d’impulso al coordinamento (volte ad assicurare il collegamento investigativo tra le varie direzioni distrettuali, potendo anche impartire, ai procuratori distrettuali, specifiche direttive, cui essi devono attenersi nell’espletamento dell’attività d’indagine); quelle d’impulso alle investigazioni; nell’espletamento di queste funzioni, il procuratore nazionale antimafia, può poi avvalersi della Direzione investigativa antimafia (DIA) e dei servizi centrali e interprovinciali delle forze di polizia. 18. Le funzioni e i soggetti di polizia giudiziaria - Le funzioni di polizia giudiziaria, sono svolte ex art 56 alle dipendenze e sotto la direzione dell’autorità giudiziaria. Tuttavia però il codice di procedura penale riserva all’iniziativa della PG una serie di attività: acquisizione della notizia di reato, la ricerca dell’autore del reato l’obbligo di raccogliere tutto quanto possa servire all’applicazione della legge penale e l’obbligo di impedire che i reati siano portati a conseguenze ulteriori. L’imputato e la persona sottoposta alle indagini - Nel sistema accusatorio vigente, per ragioni di carattere sistematico, si è fissato uno spartiacque tra la fase delle indagini preliminari (il procedimento) e quella successiva dell’esercizio dell’azione penale (ossia il processo). Proprio in virtù di questa impostazione si attribuisce al soggetto passivo una differente denominazione a seconda che ci si riferisca alla fase pre–processuale o alla fase processuale: utilizzeremo l’espressione < indagato > per riferirci alla situazione in cui versa il soggetto nel corso delle indagini preliminari. Indagato è colui che risulta nella notizia di reato come autore di una condotta criminosa, nei cui confronti Pm e pg svolgono le indagini. Taluno diviene persona sottoposta alla indagini a seguito dell’iscrizione nell’apposito registro di una notizia di reato qualificata, contenente un incolpazione dei confronti di un soggetto determinato. Tale qualità si perde o quando il decreto di archiviazione sia divenuto definitivo ovvero quando a seguito dell’esercizio dell’azione penale, l’indagato abbia acquisito la qualità di imputato. In sede processuale, superato il dubbio circa la non fondatezza della notizia di reato, l’addebito si cristallizza nella formulazione dell’imputazione che a sua volta si risolve nella richiesta dell’indefettibile accertamento giurisdizionale. Con specifico riferimento alla qualità di imputato, essa si acquista nel momento stesso in cui, a seguito della formulazione dell’imputazione da parte del pubblico ministero, nella richiesta di rinvio a giudizio o di decreto penale di condanna, si avvia il processo in senso stretto e si conserva per tutto l’arco di questo, in ogni sua fase o grado. Ex art. 60 infatti la qualità di imputato si conserva in ogni stato e grado del processo fino a che non sia più soggetta ad impugnazione l sentenza di non luogo a procedere, sia divenuta irrevocabile la sentenza di proscioglimento o di condanna, o sia divenuto esecutivo il decreto penale di condanna. Tale qualità si riassume nel caso di revoca della sentenza di non luogo a procedere o con la revisione del processo. Il nostro codice di rito, ha esteso alla figura dell’indagato gli stessi diritti e le garanzie dell'imputato così come le disposizioni a quest’ultimo relative, salvo che sia diversamente stabilito. 22. Le dichiarazioni rese dall’imputato - EX art 62 c.p.p. dichiarazioni comunque rese nel corso del procedimento dall’imputato e dalla persona sottoposta alle indagini non possono formare oggetto di testimonianza. La norma investe non solo le dichiarazioni sollecitate ma pure quelle che il soggetto a rilascio di propria iniziativa; tale divieto viene esteso anche alle dichiarazioni che il soggetto abbia reso durante percorsi terapeutici che scongiurassero il compimento di delitti sessuali a danno di minori. Inoltre è inibito l’ingresso alla testimonianza di chi riferisca, anche avendolo appreso da altri, il contenuto delle dichiarazioni dell’imputato. Attraverso le seguenti disposizioni, il legislatore ha inteso dare efficacia rappresentativa solo alla documentazione appositamente redatta ed utilizzabile entro limiti stabiliti in funzione dello sviluppo procedimentale (514 comma 1°), evitando che per il tramite della testimonianza de audito possa essere aggirato il diritto al silenzio dell’imputato. Nel caso in cui la testimonianza sia comunque acquisita, nonostante il divieto imposto, su questa graverà la sanzione processuale dell’inutilizzabilità. Il principio garantista del “nemo tenetur se detegere” – in forza del quale nessuno può essere obbligato ad affermare la propria responsabilità penale – trova altresì svolgimento in materia di “dichiarazioni indizianti”. Ex art 63 Qualora, infatti, davanti all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria una persona non imputata o non sottoposta alle indagini rende dichiarazioni dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, gravano sull’autorità procedente tre distinti obblighi: interrompere immediatamente l’esame, come pure l’eventuale assunzione d’informazioni; avvertire la persona che a seguito di tali dichiarazioni potrebbero essere eseguite indagini nei suoi confronti; invitarla a nominare un difensore. Le dichiarazioni rese dalla persona autoindiziatasi prima dell’avvertimento non potranno essere utilizzate nei suoi confronti, ma sono utilizzabili nei confronti di terzi; tuttavia, nel caso in cui la persona avrebbe dovuto essere sentita fin dall’inizio in qualità di imputato o persona sottoposta alle indagini, le sue dichiarazioni non possono essere in alcun modo utilizzate, né nei suoi riguardi né nei confronti di terze persone. E questo perché l’art 63 comma 1° non contempla l’obbligo di avvertire l’indiziato che le sue dichiarazioni potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti così come prevede, invece l’articolo 64 3° comma lettera a, pertanto il soggetto non è messo sull’avviso circa gli effetti sfavorevoli che potrebbero scaturire da ulteriori dichiarazioni rese prima dell’inizio dell’interrogatorio o delle sommarie informazioni. La norma vuole infatti tutelare la libertà di autodeterminazione di chi, se fosse stato consapevole del proprio status, avrebbe ben potuto esercitare il diritto al silenzio e non rilasciare dichiarazioni a se pregiudizievoli. 23. l’interrogatorio – il nostro codice di rito distingue nettamente l’esame dell’imputato ex art 208/210, dall’interrogatorio della persona sottoposta alle indagini preliminari e l’interrogatorio dell’imputato disciplinato ex artt 64/65 cpp. Nella fase delle indagini preliminari, il pubblico ministero procede all’interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare personale, dell’arrestato o del fermato e, anche tramite delega alla polizia giudiziaria, di chi si trova a piede libero mediante invito a presentarsi al fine di ottenere elementi utili su cui fondare l’esercizio dell’azione penale e disporre il rinvio a giudizio. Qualora la persona non ottemperi all’invito, il PM può anche disporre a seguito di autorizzazione del giudice l’accompagnamento coattivo. Se invece si tratta di persona sottoposta a custodia cautelare (e non già ad arresto in flagranza o a fermo di indiziato di delitto): l’interrogatorio del giudice deve precedere quello del pubblico ministero. Dal punto di vista funzionale, all’interrogatorio condotto dal pubblico ministero si vuole attribuire un prevalente carattere investigativo, perché è finalizzato alle determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, mentre a quello condotto dal giudice, si vuole collegare un prevalente significato di controllo e di garanzia. Ex art 64, allo scopo di rendere effettivo il diritto di difesa, è previsto che il difensore deve immediatamente essere avvisato del compimento dell’atto, al quale ha diritto di partecipare. Con riguardo alla persona assoggettata al regime di custodia cautelare o detenuta per altra causa, è disposto che intervenga libera all’interrogatorio quindi senza manette o altri mezzi di costrizione, fatta salva la tutela della sicurezza delle persone che vi partecipano; ed è fatto divieto di utilizzare metodi o tecniche che possano influire sulla libertà di autodeterminazione del soggetto alterare la sua capacità di ricordare o valutare i fatti (art 64). Sotto il profilo procedurale, prima che inizi l’interrogatorio – stante la sussistenza del diritto al silenzio – l’organo procedente ha l’obbligo di rivolgere alla persona sottoposta all’interrogatorio un triplice avviso: In primo luogo (lett. a) il soggetto deve essere edotto che le dichiarazioni che renderà potranno sempre essere utilizzate nei suoi confronti; In secondo luogo (lett. b) deve essere avvertito che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 66 comma 1°, circa l’obbligo di fornire le proprie generalità, gli compete la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda ma chi, in ogni caso il procedimento proseguirà il suo corso. In terzo luogo (lett. c) la persona interrogata deve essere altresì avvertita che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri, assumerà in ordine a tali fatti ufficio di testimone. L’inosservanza delle disposizioni di cui al comma 3 lett. a e b, comporta che la persona interrogata non potrà assumere, in ordine ai fatti riferiti e riguardanti la responsabilità di altri, l’ufficio di testimone; e che le dichiarazioni eventualmente rese contro altri non saranno utilizzabili nei confronti dei terzi coinvolti, fermo restando la loro utilizzabilità nei confronti del dichiarante (cd inutilizzabilità relativa). Dall’esercizio del diritto di non rispondere - ossia di non collaborare, l’organo procedente non può ricavare conseguenza alcuna in quanto insindacabile espressione del diritto di difesa personale. Una volta che il soggetto abbia dichiarato di voler rispondere entrano in gioco le prescrizioni dettate per l’interrogatorio nel merito dell’articolo 65 per l’interrogatorio nel merito, Revoca – si tratta dello spontaneo recesso (tacito o espresso) del soggetto danneggiato che può avvenire perché, ad esempio, la parte civile ha concluso con l’imputato una transazione sul danno ovvero perché questa ritiene meglio tutelabili le proprie pretese in sede civile. Nel caso di revoca espressa, che può avvenire in ogni stato e grado del procedimento, occorre una dichiarazione (scritta o orale), resa personalmente o per mezzo di un procuratore speciale; mentre le ipotesi di revoca tacita o presunta, sono tassativamente previste dal codice di rito e s’identificano nella: (a) mancata presentazione, in sede di discussione dibattimentale, delle conclusioni riservate al difensore della parte civile; (b) nella promozione dell’azione di danno davanti al giudice civile. In ogni caso, la revoca della costituzione di parte civile non preclude il successivo esercizio dell’azione civile nella sede propria. 27. I rapporti tra azione civile da reato e azione penale – E’ possibile che da un fatto costituente reato, discendano contemporaneamente conseguenze civili e penali. Il codice Rocco del 1930 favoriva la trattazione delle regiudicande civili e penali in capo al giudice penale. Il nostro attuale codice invece, favorisce la trattazione autonoma dei giudizi limitandosi a prendere in considerazione ex art 75 cpp la possibilità del trasferimento nel procedimento penale dell’azione che il danneggiato abbia promosso in sede civile a condizione però che nella sede naturale non sia stata pronunciata una sentenza di merito, anche se non passata in giudicato. Quando ci si trovi dinanzi a conseguenze civili e penali, il danneggiato ha due possibilità. 1) Lasciar proseguire il giudizio in sede civile; in questo caso il giudizio civile continua senza subire influenza o condizionamenti da quello penale. 2) trasferire l’azione civile nel processo penale a patto che non sia stata pronunciata sentenza di merito in sede civile, e non vi sia stata dichiarazione di apertura del dibattimento in sede penale. Qualora l’azione civile venga proposta nella sua sede naturale dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, o dopo la pronuncia della sentenza di 1 grado, il processo civile viene sospeso in attesa della definizione del giudizio penale dal quale sarà ovviamente vincolato. 28. Il responsabile civile - Oltre che nei confronti dell’imputato, il soggetto danneggiato dal reato può agire per le restituzioni e il risarcimento del danno nei confronti della persona fisica o dell’ente plurisoggettivo, che è tenuto a norma delle leggi civili a rispondere per il fatto dell’imputato. A questo soggetto obbligato in solido con il protagonista del processo penale il codice di rito riserva il nome di responsabile civile, si pensi ad esempio all’assicurazione che interviene in tal senso per responsabilità indiretta nei procedimenti di reati causati dalla circolazione di autoveicoli. Ai sensi dell’articolo 83 comma 1°, legittimati a chiedere la citazione sono esclusivamente la parte civile, che ha un trasparente interesse a far intervenire il coobbligato solidale, e il pubblico ministero limitatamente all’ipotesi in cui, sul presupposto di un’assoluta urgenza, abbia esercitato l’azione civile a favore dell’infermo di mente o del minore. La richiesta deve essere proposta al più tardi per il dibattimento. La citazione deve contenere le generalità della parte civile, del difensore e del responsabile civile; le domande fatte valere contro quest’ultimo; l’invito a costituirsi, la data e la sottoscrizione del giudice e del suo ausiliario. La citazione è nulla qualora per omissione o per erronea indicazione di qualche elemento essenziale, il responsabile civile non sia stato in grado di esercitare i suoi diritti dell’udienza preliminare o nel giudizio ovvero qualora risulti nulla la relativa notificazione. È importante sottolineare che il responsabile civile regolarmente citato non è perciò solo tenuto ad intervenire nel processo. Può optare per una scelta rinunciataria che peraltro non il potere del giudice di addebitargli in sentenza la responsabilità per il fatto dell’imputato, viceversa può decidere di costituirsi fermo restando che sono in questa seconda ipotesi assume la qualità di parte e si può avvalere delle relative facoltà come ad esempio quella di essere esaminato a sua richiesta. Premesso che al pari della parte civile, sta in giudizio col ministero di un difensore, il responsabile civile può costituirsi in ogni stato e grado del processo anche per mezzo di un procuratore speciale, depositando nella cancelleria del giudice procedente o presentando in udienza una dichiarazione che deve contenere a pena di inammissibilità le generalità del responsabile, il nome, cognome, procura e sottoscrizione del difensore. Inoltre lo stesso anche in assenza di citazione può intervenire volontariamente nel processo penale per contribuire alla dimostrazione della non colpevolezza dell’imputato o per contestare l’elemento fondante della sua obbligazione solidale, sempre che vi sia stata costituzione di parte civile. Ex art. 85 il responsabile può essere escluso dal processo su richiesta dell’imputato, parte civile e P.M. che non lo abbiano citato. Inoltre può richiedere egli stesso l’esclusione quando non intervenuto volontariamente. La richiesta deve essere motivata e proposta a pena di decadenza entro e non oltre il momento di accertamento della costituzione delle parti nella U.P. o dibattimento. Ex art 87 può essere escluso ex officio quando non esistono i requisiti della citazione prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. 29. Il civilmente obbligato per la pena pecuniaria e l’ente responsabile per l’illecito amministrativo dipendente da reato Una persona fisica o giuridica può essere assoggettata in via sussidiaria ed eventuale ad un'obbligazione civile pecuniaria pari all’importo della multa o dell’ammenda inflitta al condannato: più esattamente si può affermare che la responsabilità della persona civilmente obbligata si concretizza nel momento in cui il condannato risulta insolvibile. Non è prevista la possibilità di un intervento volontario. Può essere invece citata per l’udienza preliminare o per il giudizio su richiesta del pubblico ministero o dell’imputato. La normativa recentemente approvata prevede l’irrogazione di sanzioni amministrative consistenti nella sanzione pecuniaria, nelle sanzioni interdittive, nella confisca e nella pubblicazione della sentenza a carico degli enti forniti di personalità giuridica, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, qualora vengono accertati reati commessi nel loro interesse o a loro vantaggio da parte di persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente. La persona offesa dal reato – Il codice non offre una definizione legislativa di persona offesa dal reato, tuttavia è condivisa la definizione per la quale altro non è che il titolare dell’interesse protetto dalla norma penale che si assume violata, in breve, la vittima del reato, cui non è attribuita la qualità di parte, bensì quella di soggetto. La persona offesa dal reato portatore di un interesse alla punizione del colpevole ed è per questo che il legislatore gli attribuisce una serie di diritti e facoltà (mentre il danneggiato per poter esercitare in sede penale diritti e facoltà riconosciutegli dalla legge, deve necessariamente costituirsi parte civile, la vittima del reato può provvedervi anche prima che il processo abbia inizio senza però mai costituirsi come parte). Innanzitutto, ex art 90 l’offeso dal reato è legittimato, in via generale, a presentare memorie al pubblico ministero o al giudice procedente e a indicare elementi di prova. Sotto il profilo della capacità processuale si prevede che qualora la persona offesa sia minore degli anni quattordici o interdetto per infermità di mente, debba essere rappresentato dai genitori o dal tutore, mentre trattandosi di soggetto ultraquattordicenne o inabilitato, la legittimazione a esercitare i diritti e le facoltà riconosciuti alla persona offesa spetta tanto al diretto interessato quanto ai genitori, al tutore, al curatore. La persona offesa può, nominare un difensore, il quale è legittimato a svolgere anche attività di investigazione difensiva. Nel caso in cui la persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato, i diritti e le facoltà a questa riservati dalla legge sono attribuiti ai suoi prossimi congiunti, mentre nell’ipotesi in cui il decesso si sia verificato ma non sia in alcun modo correlato al reato di cui la persona offesa sia stata vittima, i prossimi congiunti potranno entrare nel processo penale solo attraverso la costituzione di parte civile. Può presentare istanza di procedimento con querela, riceve le informazioni di garanzia, può chiedere l’incidente probatorio ed assistervi, può opporsi alla richiesta di archiviazione. Con la riforma Orlando, il legislatore è intervenuto è intervenuto su diversi versanti attinenti i poteri della vittima. Con riguardo ai diritti informativi, si è anzitutto riconosciuto alla persona offesa il diritto di chiedere all’autorità procedente informazioni relative allo stato del procedimento, senza pregiudizio del segreto investigativo, una volta che siano decorsi sei mesi dalla presentazione della denuncia o della querela (art. 335 comma 3-ter c.p.p.). Coerentemente, si è inserito nella comunicazione sui diritti di cui all’art. 90-bis c.p.p. l’avviso della «facoltà di ricevere comunicazione del procedimento e delle iscrizioni di cui all’articolo 335, commi 1, 2 e 3-ter». Per quel che concerne i diritti partecipativi, il legislatore è intervenuto sui termini per proporre l’opposizione. Infatti il termine ordinario di dieci giorni è stato portato a venti; e quello contemplato dal comma 3-bis, per i delitti commessi con violenza alla persona è elevato a trenta giorni. Gli enti e le associazioni rappresentative di interessi lesi dal reato - Così come esistono reati lesivi esclusivamente di interessi individuali, esistono reati che violano interessi collettivi o diffusi. Per cui il legislatore ha attribuito agli enti (c.d. esponenziali) e alle associazioni non aventi scopo di lucro la tutela di interessi lesi dal reato ed il potere di esercitare, in ogni stato e grado del procedimento, i medesimi diritti e le medesime facoltà attribuite alla persona offesa dal reato; tra l’altro, qualora l’ente collettivo risulti direttamente danneggiato dal reato, niente gli impedisce di inserire la propria pretesa civilistica all’interno del processo penale mediante la costituzione di parte civile. Così come la persona offesa, anche gli enti esponenziali possono attivarsi e intervenire nel procedimento, restando però soggetti, senza mai divenire parti, stimolando in veste di accusatori privati l’azione punitiva la cui titolarità spetta al pubblico ministero; ma affinché questo ruolo possa concretamente essere svolto, è necessario il consenso della persona offesa. Si prevede difatti che il difensore dell’ente o dell’associazione debba presentare un atto d’intervento, da notificare alle altre parti (che possono presentare opposizione entro i successivi 3 giorni) e che, contestualmente, sia presentata la dichiarazione di consenso della persona offesa (prestata con atto pubblico o scrittura privata autenticata). L’intervento deve avvenire, a pena di decadenza, entro la fase dibattimentale dedicata alla verifica della regolare costituzione delle parti, a partire dalla fase investigativa; dopo l’intervento può verificarsi l’estromissione dell’ente, che può essere disposta ex officio ovvero su opposizione di parte. Il querelante – Per alcuni reati, l’esercizio dell’azione penale, da parte del P.M., è subordinato alla presentazione di una querela da parte della persona offesa o in sua vece, gli altri soggetti menzionati dagli articoli 120 e 121 c.p. La querela deve essere presentata di regola entro tre mesi, raddoppio di sei mesi per delitti di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne - dal giorno della notizia del fatto che costituisce il reato. Tuttavia nell’ipotesi in cui si debba procedere alla nomina di un curatore speciale, tenuto a valutare l’opportunità di presentare querela, il termine decorre dal giorno in cui viene notificato il decreto di nomina. Occorre naturalmente che da parte del soggetto legittimato a sporgere querela non vi sia stata rinuncia, la quale opera automaticamente nei confronti di tutti gli autori del reato e chi può essere espressa o tacita, desumibile cioè da fatti incompatibili con la volontà di una posteriore iniziativa persecutoria. Regola importante è la cd indivisibilità della querela: ne consegue che il reato commesso in danno di più soggetti è perseguibile anche quando la querela sia presentata da una sola delle persone offese e reciprocamente che nel caso di concorso di persone nel reato, la querela contro una di esse si estende di diritto agli altri concorrenti. A parte limitate eccezioni il diritto di querela si estingue in seguito alla morte della persona offesa che non lo abbia ancora esercitato mentre in caso contrario la morte è irrilevante ai fini dell’estinzione del reato. L’estinzione del reato invece consegue alla remissione della querela sempre che il querelato non l’abbia espressamente o tacitamente ricusata. Il difensore di fiducia dell’imputato - Come logica conseguenza del diritto alla difesa proclamato dall’art. 24, 2° comma della Costituzione, il nostro legislatore ha riservato particolare attenzione alla disciplina della difesa tecnica. Infatti, è categoricamente esclusa la possibilità di una esclusiva autodifesa dell’imputato, che ha il dovere di procedere alla nomina del proprio difensore di fiducia (fino a 2), il quale viene chiamato a svolgere un ruolo più importante e di riflesso più impegnativo essendo tenuto non solo a dimostrare la scarsa significatività degli elementi di prova a valenza accusatoria ma anche ad individuare ed acquisire elementi probatori che scagionino l’imputato o alleggeriscano la sua posizione. Ogni soggetto ha la possibilità di nominare non più di due difensori di fiducia. Per quanto riguarda le modalità di nomina, secondo l’opinione prevalente si è in presenza di un atto a forma libera, il cui fondamentale requisito è che da esso traspaia chiaramente la scelta del suo autore, per cui l’imputato potrà procedervi mediante dichiarazione orale o scritta resa all’autorità procedente ovvero mediante atto di nomina inviato al soggetto designato mediante plico raccomandato. Non si tratta di ipotesi tassative. Vai inoltre ricordato che in base all’articolo 391 nonies, la nomina del difensore può essere fatta in via preventiva, cioè per l’eventualità che si sta aurighi un procedimento penale. In tal caso, la nomina non può non adeguarsi alla specificità della situazione: il mandato difensivo, da rilasciare con sottoscrizione autenticata deve contenere, oltre all’indicazione del difensore, quella dei fatti ai quali si riferisce. Ovviamente il difensore deve essere in possesso dei requisiti richiesti dalla legge professionale per assistere e rappresentare l’imputato nel processo a suo carico. Tre sono le differenti figure che possono assumere la qualità di difensore: il praticante avvocato, che con il imiti stabiliti può patrocinare davanti al giudice di pace e al tribunale in composizione monocratica nei soli processi aventi ad oggetto reati previsti dall’articolo 550 per i quali si procede con citazione diretta a giudizio; l’avvocato che può svolgere il suo ruolo di difensore nei processi davanti ad ogni giudice penale fate eccezione per la corte di cassazione; l’avvocato iscritto nello speciale albo il quale può difendere anche davanti alla suddetta corte. La prestazione del difensore di fiducia costituisce l’oggetto di un contratto per la cui conclusione è indispensabile l’accettazione sia pure implicitamente del nominato. Inoltre diversamente da quanto stabilisce l’articolo 100 comma 3° in relazione alle parti private diverse dall’imputato, la nomina produce di regola i suoi effetti, salvo che intervengano cause risolutive del rapporto contrattuale per tutto l’arco del processo di cognizione. Non solo: ai fini della concessione di una misura extracarceraria al proprio assistito, è prevista una proroga automatica dell’investitura effettuata dall’imputato per il processo di cognizione. È ovvio che, in considerazione della all’autorità procedente; rinuncia – è priva di effetto fino a quando la parte non risulti assistita da un nuovo difensore; tra l’altro, qualora il nuovo difensore si avvalga del < termine a difesa >, ossia un congruo arco temporale [di regola non può essere inferiore a 7 giorni, ma si può scendere al di sotto di tale termine solo al ricorrere delle seguenti situazioni: se vi è il consenso dell’interessato; se vi sono specifiche esigenze processuali che possono determinare la scarcerazione dell’imputato; se ricorrono specifiche esigenze processuali che possono determinare la prescrizione] tale da consentirgli di prendere conoscenza e di informarsi sui fatti del procedimento, la rinuncia e la revoca diventano efficaci solo a partire dalla scadenza di tale termine. 43. Gli ausiliari del giudice - La categoria degli ausiliari è costituita da coloro che affiancano il giudice o il pubblico ministero svolgendo compiti di vario genere, accomunabili peraltro, in virtù del loro carattere strumentale rispetto alla funzione della figura cui ineriscono. Distinguiamo gli ausiliari in senso lato per indicare chi collabori, anche in via precaria ed occasionale con taluno dei soggetti processuali (si pensi ad esempio al custode delle cose sequestrate nominate dal giudice e dal pubblico ministero) per ausiliare in senso stretto si deve intendere il coadiutore istituzionale cioè quello la cui presenza è contrassegnata dai connotati della continuità e della ordinarietà. CAPITOLO II ATTI Secondo l'indirizzo prevalente in dottrina, l'atto giuridico si distingue dal fatto giuridico a causa di una componente psichica minima: la volontarietà. Tuttavia non esiste una esplicita definizione legislativa dell’atto processuale. Sul piano soggettivo, sono a tali quelli posti in essere dai soggetti del procedimento. Sul piano oggettivo secondo l'opinione in passato prevalente, due sarebbero le caratteristiche essenziali dell’atto processuale penale: la sua attitudine a produrre effetti giuridici dotati di rilevanza processuale penale ed il suo realizzarsi nel contesto del processo penale ossia all’interno di una fattispecie a formazione progressiva. Una simile impostazione, non appare più oggi accogliibile stante la scelta del codice di definire due distinte sequenze denominate rispettivamente procedimento e processo, la prima delle quali più ampia e comprensiva della seconda. Lo spartiacque tra i due concetti si trova nel compimento, da parte del P.M. di uno dei vari possibili atti di esercizio dell’azione penale, ex articolo 405 con riguardo sia al processo ordinario sia ai processi speciali. Ciò che precede l’esercizio dell’azione penale e dunque l’intera fase delle indagini preliminari, compone già la sequenza degli atti del procedimento, mentre ciò che segue fa parte anche del processo: ivi compresa la fase dell’udienza preliminare, fino alla sentenza definitiva. Nella fase delle indagini preliminari difetta un giudice investito del procedimento in senso proprio, dato che l’intervento del giudice per le indagini preliminari si configura come meramente eventuale ed è sempre circoscritto al provvedimento richiesto. Solo nel contesto del processo opera un giudice investito della pienezza delle proprie funzioni giurisdizionali ed abilitato pertanto a pronunciare sentenze. In altri termini la nozione di processo si caratterizza rispetto a quella di procedimento, per una nota ulteriore: la giurisdizionalità piena degli atti relativi che impone la completa attuazione del contraddittorio. Gli atti posti in essere prima che la notizia di reato sia venuta desistenza non possono mai costituire atti del procedimento. Il primo atto del procedimento coincide con quello immediatamente successivo alla ricezione della notizia di reato da parte della polizia giudiziaria o del pubblico ministero istituito presso il tribunale. Ne consegue che gli atti nei quali la notizia medesima si sostanza (denuncia, referto, querela, istanza o richiesta) si collocano al di fuori della sequenza del procedimento penale. Se la notizia è stata acquisita dal pubblico ministero, poiché scatta l’obbligo immediato di iscriverla nell’ apposito registro, è da tale iscrizione che ha inizio il procedimento. Il primo atto del procedimento sarà il primo compiuto dopo l’acquisizione della notizia. Mentre per l’individuazione dell’atto finale bisogna distinguere due ipotesi. Se le indagini preliminari sfociano in un provvedimento di archiviazione, questo sarà l’ultimo atto del procedimento. Se invece l’azione penale è stata esercitata il momento finale sarà l’esecuzione delle sentenze di non luogo a procedere, e la irrevocabilità nel caso di sentenze pronunciate in giudizio e al decreto penale di condanna. 2. La lingua degli atti – Ex art. 109 gli att del procedimento penale sono compiuti in lingua italiana, che è la lingua ufficiale, ma non si prevedono sanzioni amministrative per chi, pur sapendo esprimersi in tale lingua usi un’altra. L’art 109 comma 2° supera ogni disegno nazionalistico perché assicura al cittadino appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, il diritto di impiegare nei rapporti con l’autorità giudiziaria la propria madre lingua a prescindere dal suo livello di conoscenza della lingua italiana. Ciò vale non solo per l’imputato e le altre parti private, ma per tutti coloro che vengono in contatto con il procedimento penale. Tuttavia deve trattarsi di una lingua alla quale la legge riconosce la qualità di lingua minoritaria, attualmente si ammette l’uso nel processo penale del francese per la valle d’Aosta, del tedesco per l’alto Adige, la slovena per le province di Trieste, Gorizia e Udine. Pertanto l’atto sarà redatto sia in lingua italiana che nella lingua minoritaria. Le disposizioni ex art 109 devono essere osservate a pena di nullità che a seconda che si violi il 1 o il 2 comma configurano nullità relativa ed intermedia. 3. La sottoscrizione e la data – Ex art. 110 cpp quando è richiesta la sottoscrizione di un atto (e quindi la noma non si riferisce anche ai documenti) è sufficiente la scrittura di propria mano, in fine dell’atto del nome e cognome di chi deve firmare. Il comma due dell’articolo sancisce poi che non è valida la sottoscrizione apposta con mezzi meccanici o con segni diversi dalla scrittura: ad esempio la stampigliatura a timbro. Talora il codice impone che gli atti dei soggetti privati siano muniti di un’attestazione relativa all’autenticità della firma. L’autenticazione può essere effettuata da: funzionario di cancelleria, notaio, difensore, sindaco, un funzionario delegato dal sindaco, il segretario comunale, il giudice di pace, il presidente del consiglio dell'ordine forense ho un consigliere da lui delegato. La mancata sottoscrizione determina ovviamente l’inammissibilità o la nullità relativa dell’atto; mentre la sottoscrizione illeggibile non produce nullità allorché la provenienza dell’atto sia ricavabile aliunde (adesso empio dalla posizione di un timbro). Di regola inoltre accanto alla sottoscrizione, è prevista l’indicazione spazio temporale dell’atto sotto forma di menzione del giorno, del mese, dell’anno e del luogo in cui l’atto è compiuto (111). Per espresso disposto dell’art 111 comma 2°, l’invalidità sussiste solo nell’ipotesi in cui la data non possa stabilirsi con certezza sulla base di elementi tratti dal lato medesimo o dati a questo con essi. 4. Il divieto di pubblicazione – L’art. 114 c.p.p. prevede espressamente che: “è vietata la pubblicazione, anche parziale o per riassunto, con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione, degli atti coperti dal segreto o anche solo del loro contenuto; la pubblicazione, anche parziale, degli atti non più coperti da segreto fino a che non siano concluse le indagini preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare; se si procede al dibattimento (come nel caso in esame), non è consentita la pubblicazione, anche parziale, degli atti del fascicolo per il dibattimento, se non dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, e di quelli del fascicolo del pubblico ministero, se non dopo la pronuncia della sentenza in grado di appello”. Se non si procede al dibattimento, il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione di atti o di parte di atti quando la pubblicazione di essi può offendere il buon costume o comportare la diffusione di notizie sulle quali la legge prescrive di mantenere il segreto nell'interesse dello Stato ovvero causare pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private. Si applica la disposizione dell'ultimo periodo del comma 4. È vietata la pubblicazione delle generalità e dell'immagine dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato fino a quando non sono divenuti maggiorenni. È altresì vietata la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare alla identificazione dei suddetti minorenni. Il tribunale per i minorenni, nell'interesse esclusivo del minorenne, o il minorenne che ha compiuto i sedici anni, può consentire la pubblicazione. È vietata la pubblicazione dell'immagine di persona privata della libertà personale ripresa mentre la stessa si trova sottoposta all'uso di manette ai polsi ovvero ad altro mezzo di coercizione fisica, salvo che la persona vi consenta. È vietata la pubblicazione, anche parziale, degli atti del dibattimento celebrato a porte chiuse nei casi previsti dall'articolo 472 commi 1 e 2. In tali casi il giudice, sentite le parti, può disporre il divieto di pubblicazione anche degli atti o di parte degli atti utilizzati per le contestazioni. Il divieto di pubblicazione cessa comunque quando sono trascorsi i termini stabiliti dalla legge sugli archivi di Stato ovvero è trascorso il termine di dieci anni dalla sentenza irrevocabile e la pubblicazione è autorizzata dal ministro di grazia e giustizia. Il divieto di pubblicazione viene meno per gli atti ai quali avrebbero avuto diritto di assistere i difensori; nel caso di richiesta di archiviazione seguita la fissazione dell’udienza in camera di consiglio e nel caso in cui il pubblico ministero intende a richiedere il rinvio a giudizio. È sempre consentita la pubblicazione degli atti utilizzati per le contestazioni. La violazione del divieto ex art 115 costituisce illecito disciplinare quando commesso da impiegati dello Stato o da altri enti pubblici ovvero da persone esercenti una professione per la quale è richiesta l’abilitazione dello stato. 5. La circolazione di copie ed informazioni - La circolazione di atti ed informazioni sul procedimento è disciplinata dagli articoli 116,117 e 118 in ragione dei soggetti legittimati ad ottenerli. La prima disposizione afferma, che chiunque vi abbia interesse può ottenere a proprie spese, il rilascio di copie, estratti o certificati di singoli atti, ivi compresi pertanto, quelli incorporati su supporti non cartacei. Tale rilascio non può essere ottenuto allorché si tratti di atti ancora coperti dal segreto sulle indagini o divenuti oggetto di un decreto di segretazione. Nessun ostacolo invece discende dall’esistenza di un mero divieto di pubblicazione sganciato da un sottostante segreto. Tuttavia per la giurisprudenza consolidata, il diniego dell’autorizzazione non è impugnabile. Gli artt 117/118 sanciscono la stessa possibilità per il PM ed il ministro dell’interno quando l’acquisizione di copie o atti è indispensabile per l’esercizio delle proprie funzioni. La richiesta del Pm deve essere finalizzata necessariamente al compimento delle proprie indagini; quella del Ministro dell’interno per la prevenzione dei reati. 6. Memorie, richieste e dichiarazioni delle parti - Gli artt. 121, 122 e 123 concernono alcuni poteri a cordati alle parti -ivi compresi PM- ed alcune modalità di esercizio di altri poteri non necessariamente propri delle parti. Tali soggetti usufruiscono del potere di presentare memorie o richieste scritte al giudice in ogni stato e grado del procedimento. Non sussiste in effetti, un obbligo generale di comunicare le richieste e le memorie alle altre parti. Avuto riguardo alle sole richieste, l’articolo 121 comma 2° impone al giudice di provvedere entro il termine massimo di 15 giorni. Disposizioni speciali stabiliscono poi termini più brevi. Naturalmente, l’obbligo scatta solo in pendenza di una richiesta ritualmente formulata. L’imputato detenuto o internato ha facoltà di presentare impugnazioni, dichiarazioni (ivi compresa la nomina del difensore di fiducia) o richieste con atto ricevuto dal direttore dell’istituto. Esse, dopo l’iscrizione nell’ apposito registro, sono comunicate all’autorità competente immediatamente, ed hanno efficacia come se fossero ricevute direttamente dall’autorità giudiziaria: in altre parole risulta neutralizzato il tempo per l’inoltro dell’atto. L’imputato custodito fuori dell’istituto usufruisce delle medesime facoltà: l’atto è in tal caso ricevuto da un ufficiale di polizia giudiziaria. Le impugnazioni, le richieste e le altre dichiarazioni sono comunicate del giorno stesso o al più tardi in quello successivo all’autorità giudiziaria competente mediante estratto, copia autentica o raccomandata, ma nei casi di speciale urgenza, E dato avvalersi di strumenti più celeri, come il telegramma confermato da lettera raccomandata o di altri mezzi tecnici idonei. 7. La garanzia della legalità – sembra essere realizzata attraverso le disposizioni degli artt 120 e 124 cpp pur se con strumenti diversi. In primo luogo attraverso l’intervento del testimone ad atti del procedimento (cd testimonianza impropria oppure ad acta). L’art 120 si preoccupa di enunciare tassativamente le cause di incapacità, distinguendole tra naturali e giuridiche. Non possono così intervenire come testimoni i minori degli anni 14, le persone palesemente affette da infermità di mente o in stato di manifesta ubriachezza o intossicazione da sostanze stupefacenti o psicotrope; le persone sottoposte a misure di sicurezza detentive o a misure di prevenzione. L’art 124 mira a tutelare il valore della legalità del procedimento, prevedendo che magistrati, i cancellieri, gli ufficiali giudiziari e gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, sono tenuti ad osservare le norme del cpp anche quando l’inosservanza non comporti nullità o altra sanzione processuale. 8. Le forme dei provvedimenti - Il codice contrappone gli atti compiuti nel procedimento, inteso come fase delle indagini preliminari, a quelli posti in essere nel contesto del processo. I primi sarebbero caratterizzati da forme libere. I secondi si atteggi libero sulla base di forme vincolate (o tassative, ovvero tipiche) in quanto non ammettono equivalenti. Ex art 125 la legge determina i casi in cui la decisione del giudice assuma la forma della sentenza, dell’ordinanza o del decreto. Le sentenze si caratterizzano per l’idoneità a chiudere uno stato o un grado del procedimento, in quanto contengono una decisione sulla regiudicanda; quale massima espressione dell’attività giurisdizionale, esse sono pronunciate in nome del popolo italiano. Guardando il contenuto decisorio, fondamentale è la contrapposizione tra sentenze di condanna e di sentenza di proscioglimento. 129 comma 1° subisce limiti applicativi dipendenti dalla struttura del processo. In particolare per quanto riguarda le sentenze di non luogo a procedere emesse all'esito dell'udienza preliminare va anzitutto osservato che le relative formule non coincidono con quelle quindi in discorso. Residuano infatti nell’articolo 425 le sentenze che dichiarano trattarsi di persona non punibile per qualsiasi causa. Ma la severa compressione che nasceva in quella sede dalla previste integrazione del presupposto probatorio dell’evidenza, affinché il giudice potesse dichiarare che il fatto non sussiste o che l’imputato non l’ha commesso o che il fatto non costituisce reato, è venuta meno per effetto della soppressione dell’aggettivo evidente. Con un ulteriore passo che codifica un orientamento già manifestatosi in giurisprudenza, l’articolo 425 comma 3° abilita ora il giudice ad emettere sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti risultano insufficienti, contraddittori o comunque non idonei a sostenere l’accusa in giudizio. Nei confronti dei procedimenti speciali, l’articolo 444 comma 2 e l’articolo 459 comma 3 e 464 quater comma 1, esplicitano l’incidenza dell’articolo 129, la cui concreta applicabilità impedisce l’accoglimento della richiesta, rispettivamente, di applicazione della pena, di emissione del decreto penale e da ultimo di richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova. Negli atti preliminari al dibattimento, in ragione degli scopi eminentemente organizzativi Adempiuti da tale fase e dalla scarsa consistenza del fascicolo trasmesso al collegio, il proscioglimento anticipato è oggetto di una postare la regolamentazione nell’articolo 469. È ammessa pertanto la declaratoria con le sole formula relativa all’improcedibilità dell’azione e all’estinzione del reato, sempre chi per accertarne l’esistenza non sia necessario procedere a dibattimento: diversamente il giudizio prosegue. Nei gradi di impugnazione, l’applicabilità ex officio dell’art 129 comma 1° configura una deroga all’effetto parzialmente devoluti Ivo dell’appello (articolo 597) e al carattere del giudizio in cassazione quale controllo di legittimità vincolato emotivi (articolo 606). In quest’ultima sede la declaratoria che il fatto non è previsto dalla legge come reato, che il reato è estinto o che l’azione penale non doveva essere iniziata o proseguita, si risolve in un annullamento senza rinvio (articolo 620 comma uno lettera a). Pure le formule per cui fatto non sussiste e l’imputato non lo ha commesso sono adottabili dalla corte di cassazione. L’obbligo del proscioglimento nel merito, quando ne ricorrano gli estremi, anche in presenza di una causa estintiva del reato, così come prescrive la legge delega è disciplinato dall’articolo 129 comma 2°, con esclusivo riferimento alle sentenze di assoluzione o di non luogo a procedere. La norma contiene: una regola di giudizio, nel senso della prevalenza della formula di merito su quella estintiva; ed una regola istruttoria per cui tale prevalenza deve risultare evidente dagli atti. Per le sentenze di assoluzione, la prevalenza del merito vale anche quando manca, è insufficiente e contraddittoria la prova che il fatto sussiste o che l'imputato abbia commesso, che il fatto costituisca reato o che il reato sia stato commesso da persona non imputabile. Per le sentenze di non luogo a procedere, dovrebbero mai valere la stessa conclusione, alla luce del nuovo testo dell’articolo 425. Nel dibattimento, si delinea un contrasto tra la regola di giudizio improntata riconoscimento dell’innocenza dell’imputato e la regola istruttoria in tema di evidenza ex actis tutte le volte in cui l’imputato voglia esercitare il suo diritto alla prova. Poiché il giudice, di fronte alla causa estintiva, altro non potrebbe fare che dichiararla, l’imputato si vedrebbe sottratta la possibilità di ottenere, tramite l’acquisizione probatoria dibattimentale, la pronuncia di una formula assolutoria. Per chi ritenga l'articolo 129 comma 2° applicabile in tale sede, residua tuttavia la considerazione che l'imputato ha diritto a rinunciare all’ amnistia sopravvenuta, non che alla prescrizione del frattempo maturata, rendendo così inoperante l’obbligo della immediata declaratoria delle corrispondenti causa estintiva. Per quanto concerne il giudizio in cassazione è da ritenere che possa pronunciarsi la formula di merito allorquando il giudice di primo o di secondo grado abbia applicato una causa estintiva. La condizione, già pretesa Dalla giurisprudenza, con richiedere che l’evidenza della prova risulti dalla motivazione, trova un supporto testuale indiretto dell’articolo 606 comma 1° lett. e. La correzione degli errori materiali (art. 130) - Soccorre a deviazioni non gravi dell’atto dal suo schema tipico e opera in presenza di tre presupposti: ne sono oggetto unicamente gli atti del giudice riportabili al modello delle sentenze, ordinanze e decreti; all’errore materiale (o all’omissione), non deve essere ricollegata una previsione di nullità. L’errore si deve sostanziare in una difformità tra contenuto dell’atto e sua estrinsecazione. Infine l’eliminazione dell’errore o dell’omissione non deve comportare una modificazione essenziale dell’atto. Competente a procedere anche d'ufficio, alla correzione e il giudice autore dell'atto, ma quando sia stata proposta impugnazione, tocca il giudice ad quem, salvo che dichiari inammissibile l’impugnazione stessa. La modifica introdotta all’art. 130 dalla riforma Orlando, si concreta nell’inserimento del nuovo comma 1-bis, specificamente dedicato alla sentenza di patteggiamento: vi si prevede che, quando in tale sentenza si devono rettificare solo la specie e la quantità della pena per errore di denominazione o di computo, la correzione è disposta, anche ex officio, dal giudice che ha emesso il provvedimento e, se questo è impugnato, alla rettificazione provvede la corte di cassazione a norma dell’art. 619 comma 2°. Il procedimento si svolge in camera di consiglio secondo le forme prescritte dall’articolo 127; talchi ne discende ad esempio che l’ordinanza conclusiva del procedimento deve essere notificata per intero e che la medesima è ricorribile per cassazione pure quando sia stata rigettata o dichiarate inammissibili la richiesta di correzione. L’ordinanza che dispone la correzione è annotata poi sull’originale dell’atto. Numerose sono le ipotesi alle quali è resa esplicitamente applicabile la procedura in discorso. In tema di erronea attribuzione delle generalità dell’imputato; di omessa condanna alle spese; di correzione della sentenza se occorre completare la motivazione ovvero se mancano o sono incompleti altri requisiti previsti dall’articolo 546, escluse la mancanza di motivazione, la mancanza o l’incompletezza del dispositivo, la mancata sottoscrizione del giudice, trattandosi di cause di nullità. Le S.U. della corte suprema hanno ritenuto che il procedimento di correzione degli errori materiali operi pure nel giudizio di cassazione. I poteri coercitivi – Ex art. 131 Il giudice nell’esercizio delle sue funzioni, deve avvalersi anzitutto, della polizia giudiziaria e se necessario della forza pubblica. All’interno della categoria degli atti che sono manifestazione del potere coercitivo, si colloca in una posizione particolare l’accompagnamento coattivo. L'istituto in discorso si risolve in una restrizione della libertà personale resa necessaria dall’indispensabile acquisizione di un contributo probatorio. La relativa disciplina non poteva trovar posto tra le misure coercitive personali perché oggetto di una rigida predeterminazione finalistica, pertanto è stato collocato tra i provvedimenti del giudice e tra le attività espletabili dal pubblico ministero. L’accompagnamento coattivo può essere adottato anche per reati di minima entità per i quali non è consentita l’emissione di una misura coercitiva personale. L’articolo 132, sancisce che l’accompagnamento coattivo è disposto nei casi previsti dalla legge, con decreto motivato, con cui il giudice ordina di condurre l’imputato alla sua presenza se occorre con la forza. Suoi destinatari sono la persona sottoposta alle indagini, l’imputato e gli imputati in un procedimento connesso. Il decreto motivato di accompagnamento e atto dall’efficacia temporale predeterminata al fine di evitare che divenga una sorta di cripto custodia cautelare. La durata massima è pari a 24 ore. L’art 133 sancisce che l’accompagnamento coattivo dei testimoni, dei periti, consulenti tecnici, interpreti, deve contenere una specifica indicazione dei presupposti. Infatti tali soggetti sono passibili di accompagnamento solo se ciati o convocati e omettano di comparire senza un legittimo impedimento. I principi in materia di documentazione degli atti - L’attività volta alla documentazione può definirsi come il meccanismo attraverso cui un atto viene inserito e conservato nella sequenza procedimentale affinché giudice parti possono controllarne la regolarità ed averne memoria ai fini delle decisioni che si dovranno adottare in primo grado e soprattutto nei giudizi di impugnazione. Benché di documentazione possa discorrersi a proposito di tutti gli atti processuali, l’espressione è usata per antonomasia per quelli la cui esternazione si realizza mediante dichiarazioni verbali e per quelli consistenti in operazioni. Sono in tali casi infatti, assume autonoma rilevanza, rispetto all’attività volta a confezionare l’atto, L'attività intesa a documentare l'avvenuta confezione. L’attività di documentazione produce come risultato un documento avente natura rappresentativa di un’entità distinta dalla propria materialità, consistente in un supporto cartaceo, magnetico eccetera. Le modalità della documentazione - L’articolo 134 dedicato alle singole modalità di documentazione. Il 1° comma enuncia il principio generale per cui la documentazione degli atti del giudice si effettua mediante verbale. La formula esclude anzitutto che per tali atti valga quella modalità documentativo che si sostanzia nella semplice annotazione: essa è praticabile solo per gli atti del pubblico ministero o della polizia giudiziaria. Per quanto concerne la documentazione delle indagini difensive, si tenga presente il rinvio operato alle disposizioni qui esaminate (134-142) dell'articolo 391 ter comma 3°. Il codice non fornisce una definizione di verbale, ma una simile esigenza non assume carattere pressante e dal momento che al verbale non è più riconosciuta all’interno del processo penale quella fede privilegiata che gli era conferita in passato perché è suscettibile di essere superata solo tramite l’apposito incidente di falso. Nell'udienza preliminare, di regola il verbale è redatto in forma riassuntiva ma su richiesta di parte il giudice dispone la riproduzione fonografica o audiovisiva Iva ovvero la redazione del verbale con la stenotipia. Nel dibattimento davanti al tribunale in composizione monocratica, l’adozione del verbale riassuntivo e rimessa addirittura alla concorde volontà delle parti, sempre che il giudice non ritenga necessaria la redazione in forma integrale. Niente è detto circa l’inosservanza delle disposizioni dettate in ordine alla forma documentati va prescritta, sicché si deve escludere che ne derivi una qualche invalidità, salvo quanto prescritto dall’articolo 141 bis. L’articolo 134.4 prevede che se le modalità di documentazione già considerate appaiono al giudice insufficienti, può essere aggiunta la riproduzione audiovisiva sì assolutamente indispensabile. Il contenuto del verbale si sostanzia nei normali referenti topografici e cronologici, nonché nella menzione della generalità delle persone intervenute e nell’indicazione delle cause, se conosciute, della mancata presenza di coloro che sarebbero dovuti intervenire. La formalità della sottoscrizione, previa lettura del verbale, è disciplinata dall’articolo 137 ove si prevede che la firma sia posta alla fine di ogni foglio da parte del pubblico ufficiale che la redatto, dal giudice e dalle persone intervenute ancorché le operazioni non siano esaurite e vengano rinviate ad altro momento. Se taluno degli intervenuti non vuole grado di sottoscrivere, né fatta menzione nel verbale indicandone i motivi, da qui la conclusione che l’atto resta pienamente valido. La documentazione dell’interrogatorio del detenuto - Il legislatore ha irrigidito la disciplina della documentazione dell’interrogatorio svoltosi fuori udienza, di chi sia stato in detenzione. Stabilendo ex art 141bis che interrogatorio di persona che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione e che non si svolga in udienza, debba essere documentato a pena di inutilizzabilità, integralmente con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. Tre sono le condizioni perché scatti la disciplina speciale. 1) Deve trattarsi di un interrogatorio e non di dichiarazioni spontanee rese dall’indagato di propria iniziativa. 2) l’interrogato deve essere a qualsiasi titolo, in stato di detenzione, ovvero in carcere o in un luogo di cura o agli arresti domiciliari; 3) La norma non vale per gli interrogatori assunti nel contesto spaziale temporale dell’udienza: Sono esclusi pertanto, quelli svolti si in sede di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo o nell’udienza preliminare. L'articolo 141 bis, è giocoforza intenderlo come una previsione volta rafforzare la determinazione della persona sottoposta di interrogatorio ad avvalersi della facoltà di non rispondere, in situazioni in cui il suo esercizio, già indebolito per l’accresciuta soggezione psicologica conseguente alla compressione della libertà personale, potrebbe essere esposto a sollecitazioni allorquando difensore non sia presente. Le testimonianze assunte tramite incidente probatorio nei procedimenti per reati di violenza sessuale, di gruppo, atti di violenza su minori, quando tra le persone interessate all'assunzione della prova vi siano minori di anni 16, devono essere sempre documentate con modalità analoghe a quelle imposte dall’articolo 141 bis. La trascrizione non è obbligatoria ma solo su richiesta di ciascuna parte. 16. La partecipazione al dibattimento distanza - vuole realizzare obiettivi di economia processuale riducendo i tempi del dibattimento, nonché se del caso, fornire effettività a regime di cui all’articolo 41 bis ordinamento penitenziario. La disciplina dell’esame a distanza è stata notevolmente modificata dalla Riforma Orlando. L’esame a distanza vuole prevalentemente garantire la sicurezza personale del dichiarante. Il nuovo comma 1 art 146 bis disp att. stabilisce che la persona «in stato di detenzione» per uno dei delitti elencati agli artt. 51, comma 3 bis, e 407, comma 2, lett. a, n. 4, c.p.p. debba obbligatoriamente partecipare «a distanza alle udienze dibattimentali dei processi nei quali è imputata»; non fa alcuna differenza se si tratta di un’udienza relativa ad altri reati, né, tantomeno, è necessaria la sussistenza di ulteriori condizioni come quelle previste dalla vecchia versione del comma in esame. L’automatismo si estende pure alle udienze penali e civili alle quali costui partecipi in qualità di testimone. Anche «la persona ammessa a programmi o misure di protezione, comprese quelle di tipo urgente o provvisorio», sottostà al medesimo regime, ma solo per le udienze cui partecipa come imputato. Infine, si prevede che, fuori dei casi previsti dai commi 1 e 1 bis, la partecipazione a distanza possa essere disposta, tramite decreto motivato, «anche quando sussistano ragioni di sicurezza, qualora il dibattimento sia di particolare complessità e sia necessario evitare ritardi nel suo svolgimento, ovvero quando si deve assumere la testimonianza di persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario» (comma 1 quater); in sostanza, alcune delle condizioni che, prima della riforma, legittimavano l’operatività della partecipazione a distanza solo in relazione ai processi di criminalità organizzata, ne consentono ora l’applicazione indistintamente, per qualsiasi contesto. Quando è disposta la partecipazione a distanza, è attivato un collegamento audiovisivo tra l'aula di udienza e il luogo della custodia, con modalità tali da assicurare la contestuale, effettiva e reciproca visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto vi viene detto. Se il provvedimento è adottato nei confronti di più imputati che si trovano, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in luoghi diversi, ciascuno è posto altresì in grado, con il medesimo mezzo, di vedere ed udire gli altri. E' sempre consentito al difensore o a un suo sostituto di essere presente nel luogo dove si trova l'imputato. Il difensore o il suo sostituto presenti nell'aula di udienza e l'imputato avviso di ricevimento, talché solo dalla ricezione della medesima decorrono gli effetti della notificazione. Ex art. 157.8 bis sancisce che le notificazioni successive alla prima sono eseguite in caso di nomina del difensore di fiducia mediante consegna al suddetto difensore, sempre che l’imputato non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio ex art 161. Ex art. 158 Per le notificazioni all’imputato militare in servizio attivo, la relativa disciplina è stata circoscritta alla prima notificazione, nel luogo in cui egli risiede per ragioni di servizio mediante consegna alla persona. Se la consegna non è possibile, l’atto viene notificato presso l’ufficio del comandante il quale informa l’interessato dell’avvenuta notifica. Per le notificazioni all'imputato latitante evaso, l'articolo 165 pone un'equiparazione di trattamento con l'irreperibile: pertanto la norma ne riprende caratteri semplificati. Per le notificazioni all'imputato interdetto o infermo di mente, l'articolo 166 e persegue l'obiettivo di una conoscenza personale: l’atto viene così notificato tanto il soggetto quanto rispettivamente presso il tutore o il curatore. La disciplina delle notificazioni dell'imputato residente o dimorante all'estero è costituita sulla scorta dell'indirizzo assunto in passato. Se risulta dagli atti, notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero sorge l'obbligo di inviare raccomandata con avviso di ricevimento, contenente una sorta di informazione di garanzia, nonché L’invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato. Se entro 30 giorni il soggetto non risponde in modo congruo all’invito, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore. Se invece il pubblico ministero o il giudice non abbiano notizia dell’luogo di residenza all’estero, essi non possono emettere il decreto di irreperibilità, ma devono prima disporre ricerche sia nel territorio dello Stato sia all’estero, ovviamente nei limiti consentiti dalle convenzioni internazionali. 22. La questione dell’irreperibilità i suoi effetti - Condizione essenziale per far luogo alla dichiarazione d’irreperibilità, ex art. 159.1°, è l'impossibilità di eseguire la notificazione secondo le forme dettate per la prima notifica all’imputato non detenuto. In tal caso l’autorità giudiziaria dispone nuove ricerche dell’imputato ed in particolare nel luogo di nascita, dell’ultima residenza anagrafica, dell’ultima dimora, dove abitualmente esercita la professione. Qualora le ricerche non diano esito positivo, l’autorità giudiziaria emette un decreto di irreperibilità con il quale dopo aver designato un difensore all’imputato che ne sia privo ordina che la notificazione sia eseguita a tale difensore. Posto che il rito degli irreperibili sacrifica quasi del tutto la conoscenza effettiva a favore di quella legale, proseguendo il processo senza che l’imputato troppo spesso ne abbia notizia, il legislatore fin dalla versione originaria del codice, ha avvertito l’esigenza di modellare in senso restrittivo i presupposti dell’irreperibilità e di circoscrivere l’efficacia temporale del relativo decreto. L’articolo 160 individua una serie di limiti temporali. Così l’irreperibilità dichiarata nel corso delle indagini preliminari perde la sua efficacia con la pronuncia del provvedimento che definisce l'udienza preliminare ovvero, se questa manca, con la chiusura della fase delle indagini preliminari. Ne consegue che il decreto emesso dal pubblico ministero vale, entro un certo ambito, per le notificazioni disposte dal giudice. Ad ogni modo, si fatti limiti possono non esplicare per intero i loro effetti perché il decreto di irreperibilità resta per sempre atto sottoposto alla clausola rebus sic stantibus in quanto meramente dichiarativo di uno Stato preesistente. 23. L’elezione di domicilio - In una prospettiva di collaborazione leale, l'imputato ha l'onere di determinare il luogo dove dovranno essere di notificati gli atti, mediante una posta dichiarazione o elezione di domicilio, alle quali può conseguire pure una serie di facilitazioni in ordine all’esercizio del diritto di difesa: la notificazione avverrà non in un luogo astrattamente ritenuto idoneo alla conoscenza, bensì in uno indicato dallo stesso imputato. La dichiarazione di domicilio consiste in una manifestazione intesa di indicare un luogo che può essere solo la propria casa di abitazione o la sede del proprio lavoro. L’elezione di domicilio consiste invece in una manifestazione di volontà che comporta la designazione di un luogo e necessariamente di un destinatario (domiciliatario). Il giudice, il pubblico ministero o gli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, invitano la persona sottoposta alle indagini, o l’imputato, a dichiarare o eleggere domicilio per le notificazioni. Con l’avvertimento che, data la sua qualità, all’obbligo di comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che, in mancanza di tale comunicazione, oppure in caso di rifiuto di dichiarare o eleggere domicilio, le notificazioni verranno eseguite mediante consegna al difensore (domicilio legale). All’imputato (o alla persona sottoposta alle indagini) è altresì dato l’avvertimento che deve comunicare ogni mutamento del domicilio dichiarato o eletto e che in mancanza, insufficienza o inidoneità della dichiarazione o delezione, le successive notificazioni saranno eseguite nel luogo in cui primo atto è stato notificato, essendo si è tenuto conto che la procedura già una volta è andata a buon fine (domicilio determinato). Se la notificazione nel domicilio determinato diviene impossibile, si provvede mediante consegna al difensore, che assume la veste di semplice consegnatario. La Riforma Orlando è intervenuta sul tema: si è inserito nell’art. 162 un comma 4-bis in forza del quale l’elezione «non ha effetto se l’autorità che procede non riceve, unitamente alla dichiarazione di elezione, l’assenso del difensore domiciliatario» (art. 162). 24. Le notificazioni a soggetti diversi dall’imputato – Ex art 153 le notificazioni al P.M sono eseguita anche direttamente dalle parti o dai difensori, mediante la semplice consegna di copia dell’atto nella segreteria del pubblico ministero. Le comunicazioni di atti e provvedimenti del giudice al P.M sono eseguite dalla cancelleria allo stesso modo. Ex art 154 le notificazioni alla persona offesa, la parte civile, responsabile civile e al civilmente obbligato per la pena pecuniaria risultano raggruppate perché nei confronti di tali soggetti valgono, in linea generale, le forme prescritte per la prima notificazione all’imputato non detenuto. La natura dei poteri conferiti nella fase delle indagini preliminari alla persona offesa ha imposto la creazione di una disciplina quanto analitica e sufficientemente garantista. Allo schema dell’articolo 157 sono state introdotte due deroghe: l’una relativa alla tutela della riservatezza di cui al 6° comma, l'altra relativa al doppio accesso da parte dell'ufficiale giudiziario, cui si aggiunge una previsione ulteriore circa le ipotesi di irreperibilità, nonché di residenza o dimora all’estero. In tali casi la notificazione si dà per avvenuta con il deposito in cancelleria, non essendo ipotizzabile la soluzione adottata per l’imputato, stante la mancata previsione dell’obbligatorietà dell’assistenza tecnica. Si noti che se la persona offesa si avvale della nomina facoltativa di un difensore, quest’ultimo per ragioni di economia e di celerità assume la funzione di domiciliatario. Per quanto riguarda la parte civile, posto che essa deve provvedere a nominare un difensore all'atto della costituzione, le notificazioni sono eseguite presso tale soggetto, che cumula pertanto il ruolo di domiciliatario: del resto la soluzione era necessitata non essendo stato imposto l’obbligo di indicare il domicilio all’atto della costituzione. Per quanto riguarda il responsabile civile e il civilmente obbligato per la pena pecuniaria Costituiti, vale, per affinità di condizioni, la medesima regola. 25. La relazione di notificazione - E’ un momento documentale e finale del procedimento notificativo. Ex art. 168 cpp salvo quanto previsto ex art 157 l’ufficiale giudiziario che procede alla notificazione scrive in calce all’originale e alla copia notificata la relazione in cui indica: il richiedente; le ricerche effettuate; le generalità della persona a cui è stata consegnata la copia; e, qualora la notificazione non avvenga a mani proprie, i rapporti tra destinatario e consegnatario, le funzioni e le mansioni svolte da quest’ultimo, il luogo e la data della consegna, infine appone la propria sottoscrizione al fine di attestare la paternità dell’atto. La notificazione produce effetto per ciascun interessato dal giorno della sua esecuzione, ma vi sono eccezioni: se il termine per impugnare decorre diversamente per l’imputato e per il suo difensore, vale per entrambi quello che scade per ultimo. Cause di nullità della notificazione – Ex art 171 cpp La notificazione è nulla: se l'atto è notificato in modo incompleto, fuori dei casi nei quali la legge consente la notificazione per estratto; se vi è incertezza assoluta sull'autorità o sulla parte privata richiedente ovvero sul destinatario; se nella relazione della copia notificata manca la sottoscrizione di chi l'ha eseguita; se sono violate le disposizioni circa la persona a cui deve essere consegnata la copia; se non è stato dato l'avvertimento nei casi previsti dall'articolo 161 commi 1, 2 e 3 e la notificazione è stata eseguita mediante consegna al difensore; se è stata omessa l'affissione o non è stata data la comunicazione prescritta dall'articolo 157.8; se sull'originale dell'atto notificato manca la sottoscrizione della persona indicata nell'articolo 157.3; se non sono state osservate le modalità prescritte dal giudice nel decreto previsto dall'articolo 150 e l'atto non è giunto a conoscenza del destinatario. 26. Le regole generali in materia di termini - Componendosi di una sequenza di atti, il procedimento si colloca naturalmente nella dimensione temporale, intesa sia come distanza sia come durata. Ne segue che a legislatore è dato instaurare relazioni cronologiche tra i singoli atti. Così non è possibile porre in essere un atto prima che se ne realizzi un altro da intendersi come presupposto del primo; e non si può porre in essere un atto incompatibile con uno precedente. A tali scopi sono preordinati i termini processuali, che assegnano dei limiti cronologici all'attività dei soggetti del procedimento o determinano la cessazione degli effetti dell'atto (cd caducazione). All’interno delle tante classificazioni operabili materia, non può sottacersi quella tra termini dilatatori e termini acceleratori. I primi determinato il momento a partire dal quale è possibile compiere degli atti; i secondi determinano il momento entro il quale è possibile compierli. La non osservanza dei termini acceleratori determina delle conseguenze dalle quali discendono la distinzione tra termini ordinatori e perentori; sono detti termini ordinatori quelli le cui conseguenze sono prive di rilevanza di natura processuale, salvi restando, se del caso, eventuali riflessi disciplinari. Si pensi ai termini per il deposito della sentenza. Sono detti invece perentori i termini e la cui scadenza comporta la perdita del potere di compiere l’atto al quale ne disconosce oppure la cessazione degli effetti del medesimo: di regola, l’inosservanza di sì fatti termini è riportata alla cosiddetta sanzione della decadenza. I termini stabiliti a pena di decadenza sono improrogabili, salvo previsioni legislative in senso diverso. L’istituto della sospensione dei termini infine non è preso in considerazione dal titolo VI benché significative applicazioni se ne rinvengano del tessuto codicistico. La previsione generale, sancisce che vi è esclusione dai giorni previsti tra il 1 ed il 31 agosto delle scadenze dei termini. La sospensione dei termini nel periodo feriale è stata ridotta a trenta giorni. Mentre l'originario termine di quarantacinque giorni rispondeva ad una ratio garantista nei confronti delle parti in applicazione del più generale diritto di difesa, con la recente modifica il legislatore ha inteso smaltire il contenzioso arretrato anche attraverso la contestuale riduzione del periodo di ferie dei magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari. Tuttavia la sospensione non opera: ai procedimenti relativi ad imputati in stato di custodia cautelare in caso di rinuncia alla sospensione dei termini da parte dell'imputato o del suo difensore; alle indagini preliminari in caso di reati di criminalità organizzata; alle cause relative ad imputati detenuti o a reati che possono prescriversi, o che, comunque, presentano carattere di urgenza; ai procedimenti per l'applicazione di una misura di prevenzione ove sia stata provvisoriamente disposta una misura personale o interdittiva o sia stato disposto il sequestro dei beni se vi è rinuncia esplicita alla sospensione feriale o dichiarazione di urgenza; in caso di incidente probatorio per l'assunzione delle prove non rinviabili. 27. La restituzione nel termine e la soppressione del processo in contumacia - La restituzione nel termine si atteggia a rimedio eccezionale in rapporto a situazioni in cui un impedimento impedisce l’esercizio di un potere essendo decorso il termine perentorio stabilito per il suo esercizio. La legge delega ha previsto la restituzione del termine con riguardo a due diverse ipotesi. La prima ipotesi presuppone la prova assoluta che non si sia potuto osservare il termine per caso fortuito o forza maggiore, ed in questi casi il termine per proporre la richiesta di restituzione è di 10 giorni che decorrono dalla cessazione del fatto costituente caso fortuito o forza maggiore. La seconda ipotesi, nella versione originaria dell'articolo 175 comma 2°, scattava allorquando fosse stata pronunciata sentenza contumaciale o decreto penale di condanna, prevedendosi il diritto alla restituzione se l’imputato che avesse provato di non aver avuto effettiva conoscenza del provvedimento. A seguito della l. 67/2014 che ha eliminato la figura della contumacia nel nostro sistema, questo comma è stato sostituito per cui ad oggi si prevede che può ottenere la restituzione nel termine l’imputato condannato con decreto penale che non ha avuto effettiva conoscenza del provvedimento; la richiesta di restituzione, deve essere presentata a pena di decadenza, entro il termine di 30 giorni dal momento in cui l’imputato ha acquisito effettiva conoscenza del provvedimento. 28. L’invalidità degli atti - Nel processo penale gli atti sono, in stragrande maggioranza a forma vincolata, pertanto la mancanza anche di un solo elemento della fattispecie non dovrebbe consentire la produzione dei relativi effetti. Tuttavia l’ordinamento, non decreta l’invalidità e quindi l’inefficacia di ogni difformità, ritenendo talune di esse del tutto irrilevanti e qualificandole come mere irregolarità. Inoltre, anche nelle ipotesi in cui l’atto sia invalido, quasi mai può dirsi del tutto inefficace; nel caso in cui un atto invalido produca comunque i suoi effetti questi sono precari e ed in attesa o la sanatoria del vizio, o la declaratoria d’ invalidità dell’atto con la quale il giudice provoca l’eliminazione degli effetti dell’atto. Premesso che sono correntemente ritenute specie di invalidità l'inesistenza, la nullità, inammissibilità e l'inutilizzabilità, ma non la decadenza, il titolo VII sì è limitato a disciplinare una sola specie di invalidità -la nullità- salvo un unico riferimento, peraltro in negativo, all’inammissibilità. L’inesistenza ricorre quando dell’imputato, la descrizione sommaria del fatto e delle norme di legge che si assumono violate, l’esposizione delle specifiche esigenze cautelari e degli indizi che giustificano l’adozione della misura, data e sottoscrizione dell’atto. La seconda ipotesi concerne la rilevabilità ex officio in sede di riesame della nullità della motivazione che dispone la misura coercitiva. Ciò nonostante la sanatoria è possibile grazie al carattere totalmente devolutivo del tribunale del riesame. Per le nullità che afferiscono alle generalità dell’imputato, all’indicazione del fatto e delle norme violate, nonché alla data e dalla sottoscrizione dell’atto (292 comma 2 lett. a, b ed e), la rilevabilità anche d’ufficio sembra dotata di una qualche maggiore efficacia. 33. la deducibilità e le sanatorie – Ex art 182 La nullità non può essere dedotta o eccepita né da chi ha dato o concorso a darvi causa, né da chi non ha interesse all’osservanza della disposizione violata. Così ad esempio la giurisprudenza esclude che l’imputato abbia interesse ad eccepire la nullità del decreto di citazione della persona offesa. Mentre la nullità deve essere eccepita entro i termini stabiliti (dagli artt. 180 e 181), per le nullità intermedie e relative, a pena di decadenza; per le nullità assolute non vi sono limiti temporali (possono essere rilevate in ogni stato e grado del processo). Art 183 c.p.p. Salvo che sia diversamente stabilito, le nullità sono sanate: se la parte interessata ha rinunciato espressamente ad eccepirle o ha accettato gli effetti dell'atto; inoltre sono sanate se la parte si è avvalsa della facoltà dell’esercizio cui l’atto nullo è preordinato: raggiungimento dello scopo. La sanatoria speciale prevista dall’articolo 184 scatta nei confronti del pubblico ministero, delle parti private, nonché dei loro difensori, quanto alla nullità di una citazione o di un avviso, nonché delle relative comunicazioni e notificazioni, che è sanata se la parte interessata è comparsa o ha rinunciato a comparire. La parte la quale dichiari che la comparizione è determinata dal solo intento di far rilevare l'irregolarità ha diritto a un termine per la difesa non inferiore a cinque giorni. Quando la nullità riguarda la citazione a comparire al dibattimento, il termine non può essere inferiore a quello previsto dall'articolo 429. (20 giorni). La comparizione deve essere personale, sicché quella del difensore non funge da sanatoria rispetto all’imputato, ne valgono presunzioni di alcun genere; inoltre, la sanatoria deve essere volontaria, sicché non opera come causa di sanatoria l’accompagnamento coattivo. 34. Gli effetti della dichiarazione di nullità. – Ex art 185 c.p.p. La nullità di un atto rende invalidi gli atti consecutivi che dipendono da quello dichiarato nullo. Il giudice che dichiara la nullità di un atto ne dispone la rinnovazione, qualora sia necessaria e possibile, ponendo le spese a carico di chi ha dato causa alla nullità per dolo o colpa grave. La dichiarazione di nullità comporta la regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, salvo che sia diversamente stabilito. La disposizione del comma 3 non si applica alle nullità concernenti le prove. Il riferimento alla consecutività comma 1, una volta menzionato il vincolo di dipendenza, chiarisce che in ogni caso, la propagazione si riferisce solo ad un rapporto di successione cronologica, tale da tradursi in un nesso di causalità necessaria o sul piano logico (la sentenza è viziata da nullità perché fondata in via esclusiva su una prova nulla, mentre tra le singole prove esiste soltanto un messo a livello psicologico), ovvero sul piano giuridico (L’atto successivo è nullo perché è nullo quello che ne costituisce il presupposto). Se la nullità è dichiarata in uno stato o grado diverso da quello in cui la stessa si è verificata, il codice (3° e 4° comma) opera una distinzione già da tempo elaborata dalla dottrina. La dichiarazione di nullità comporta, indipendentemente dalla tipologia della nullità medesima, la regressione del procedimento allo stato e grado in cui è stato compiuto l’atto nullo, purché si tratti di un atto di natura non probatoria (si pensi all’annullamento del decreto di citazione a giudizio come tipico atto di natura propulsiva). Se invece si tratta di nullità concernenti le prove, il giudice non può avvalersi della regressione (4° comma), ma deve provvedere ai sensi del secondo comma dell’articolo 185, alla rinnovazione, sempre che ciò sia necessario ai fini della decisione e la prova sia ripetibile. Naturalmente disegno di realizzare una consistente economia processuale non può mai operare nel giudizio di cassazione: i limiti istituzionali propri del giudizio di legittimità impongono di fare luogo all’annullamento con rinvio (623). CAPITOLO III - LE PROVE Per evitare che l’attività probatoria, al fine di pervenire ad una qualsiasi verità storica possa prendere in considerazione qualunque dato, l’oggetto della prova, è stato limitato dal legislatore a quanto inerente all’oggetto del procedimento; quindi non ogni conoscenza può essere oggetto di prova, ma solo quelle strumentali all’accertamento di determinati fatti considerati rilevanti ai fini della decisione. Sono oggetto di prova ai sensi dell’art. 187 c.p.p: i fatti che si riferiscono all'imputazione, alla punibilità e alla determinazione della pena o della misura di sicurezza. I fatti dai quali dipende l'applicazione di norme processuali; Se vi è costituzione di parte civile, i fatti inerenti alla responsabilità civile derivante dal reato. Il legislatore ha prescelto il criterio guida della pertinenza per lo sviluppo dell'attività probatoria e quale parametro di fondo per la verifica della rilevanza della prova in vista della sua ammissione. In relazione alla disciplina dell'oggetto della prova va ricordata la distinzione tra prove dirette e prove indirette, a seconda che le stesse si riferiscano o non si riferiscano, immediatamente al thema probandum principale, quale risulta dall’articolo 187. Stando a questa terminologia sono prove dirette quelle aventi per oggetto il fatto da provare; mentre sono prove indirette quelle che hanno ad oggetto un altro fatto dal quale il giudice potrà risalire al primo solo attraverso un’operazione mentale di tipo induttivo, fondata sulle regole della logica o su massime di esperienza. Le prove appartenenti a questa seconda categoria si definiscono anche come prove indiziarie, così da sottolinearne la struttura tipicamente inferenziale sono infatti definite come prove indiziare e tali sono gli indizi. Alla distinzione poc’anzi richiamata, generalmente si fa discendere quella tra prove storiche o rappresentative e prove critiche o logiche a seconda che il fatto da provare venga descritto o comunque riprodotto immediatamente davanti al giudice, ovvero che invece si renda necessario l'intervento di inferenza del medesimo giudice sulla base di un itinerario logico-critico. La prova rappresentativa fa riferimento quindi a quel ragionamento che dal fatto noto (la dichiarazione di tizio che dice di aver visto sparare caio), ricava per rappresentazione l’esistenza del fatto da provare (il fatto che caio ha sparato). Questa valutazione è operata attraverso il cosiddetto esame incrociato che evidenzia la credibilità della fonte ed il grado di attendibilità della rappresentazione. Con il termine indizio (prova indiziaria o critica) si fa riferimento a quel procedimento logico che porta a ricavare da un fatto provato (dichiarazione o elemento materiale), un ulteriore fatto da provare sia principale che secondario. In tale prova indiziaria, il fatto ignoto viene sempre ottenuto attraverso un’operazione logica che attribuisce significato ai fatti provati. E soprattutto qui il fatto da provare è costituito da un’inferenza basata su massime di esperienza o regole di comportamento; legge scientifica. Si pensi ad esempio se in un’abitazione viene trovata una persona morta pugnalata. Se si ha un testimone che viene a dire che circa mezz’ora prima del momento nel quale questa persona è deceduta ha visto qualcuno uscire di corsa dall’abitazione e questa persona viene successivamente identificata, il giudice potrà avere un indizio a carico di questa persona del fatto che possa essere l’autore dell’omicidio.Non avrà in nessun caso una prova dichiarativa, perché nessuno ha visto come si sono svolti i fatti relativi. 4. Prove atipiche e garanzie per la libertà morale della persona - Le prove atipiche sono quelle non riconducibili ad alcuna figura probatoria, tuttavia non vi solo aprioristiche preclusioni in merito, in quanto spetta al giudice vagliare, caso per caso, l’ammissibilità di tali prove, sulla base di due distinte e concorrenti valutazioni. Da un lato, che sia idonea ad assicurare l’accertamento dei fatti e dall’altro, che non pregiudica la libertà morale della persona. Non possono, infatti, essere utilizzati – neppure con il consenso dell’interessato – tecniche o metodi probatori idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Le prove illegittimamente acquisite, cioè assunte in violazione dei divieti stabiliti dalla legge o in violazione di diritti costituzionalmente garantiti, non saranno ammesse né tanto meno assunte. Qualora venga riconosciuta l’ammissibilità della prova nonostante la sua fisionomia tipica, sarà ancora compito del giudice definire in concreto le modalità della sua assunzione, dopo aver sentito le parti per concordare le relative cadenze procedurali. 5. Diritto alla prova e criteri di ammissione – Visto che il nostro sistema processuale di stampo accusatorio, valorizza la dialettica e il contraddittorio tra le parti, la sede naturale di acquisizione delle prove non può che essere il dibattimento: è in quest’ambito che le fonti e gli elementi di prova raccolti dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari, dovranno essere offerte al giudice affinché si convertano in prove. Ex art. 190, “le prove sono ammesse su richiesta delle parti” e, su tale base, impone al giudice di provvedere “senza ritardo con ordinanza”, escludendo le prove vietate dalle legge (ossia relativamente alle quali esista un espresso divieto in ordine all’oggetto o al soggetto della prova ovvero in ordine alla procedura di acquisizione probatoria) e quelle che appaiono manifestamente superflue o irrilevanti (perché non pertinenti o non decisive rispetto al thema decidendum). Quindi si ha il diritto di richiedere l’ammissione di determinate prove; ed il diritto di ottenere la prova richiesta, entro i limiti in cui questa possa essere ammessa. Inoltre una concreta specificazione del diritto alla prova si rinviene nel c.d. diritto di controprova, per il quale all’imputato è consentito ottenere l’ammissione delle prove a discarico “sui fatti costituenti oggetto delle prove a carico” e al pubblico ministero ottenere prove a carico “sui fatti costituenti oggetto delle prove a discarico”. L’art. 190.2 stabilisce i casi in cui le prove debbano poi essere ammesse d’ufficio. Rispetto alla disciplina ordinaria di ammissione della prova presenta carattere derogatorio l’art. 190-bis, il quale consente che – in determinate circostanze – non vi sia la rinnovazione della prova dichiarativa quando è possibile attingere dichiarazioni rese dallo stesso soggetto per il medesimo fatto in un’altra fase o diverso procedimento. La norma si pone a tutela delle vittime di reati particolarmente gravi e di soggetti particolarmente vulnerabili. Parliamo di reati di criminalità organizzata ex art 51 -3bis, tra i quali reati di volenza sessuale, violenza sessuale di gruppo o aggravata, pornografia minorile, violenza su minore, riduzione e mantenimento in schiavitù; sequestro a scopo estorsivo. In tutti questi casi infatti, qualora il soggetto di cui si richiede l’esame abbia già reso delle dichiarazioni, in contraddittorio con la parte nei confronti della quale tali dichiarazioni dovranno essere utilizzate, in incidente probatorio o dibattimento, l’esame potrà essere ripetuto solo se abbia ad oggetto fatti e circostanze diverse dalle precedenti o se il giudice o taluna delle parti lo ritenga necessario sulla base di specifiche esigenze. 6. Prove illegittimamente acquisite e sanzione di inutilizzabilità – Art. 191 le prove acquisite in violazione dei divieti stabiliti dalla legge non possono essere utilizzate. L’inutilizzabilità, intesa come vizio e come sanzione processuale, è rilevabile in ogni stato e grado del procedimento anche d’ufficio e non ammette sanatoria. L’inutilizzabilità è una particolare forma di invalidità che ha la caratteristica di non colpire l’atto in sé, bensì il suo valore probatorio quindi attiene a tutte le violazioni dei divieti sanciti dalla legge in materia di ammissione ed acquisizione della prova. Proprio per questo motivo, poiché presuppone l’inutilizzabilità di prove che sono vietate per la loro illegittimità, si distingue dalla nullità che al contrario attiene solo alla inosservanza di alcune forme di assunzione. Pertanto le S.U. della Corte di Cassazione hanno confermato che l’inutilizzabilità può aggiungersi ma mai assorbire la nullità. 7. Valutazione della prova e regole di convincimento del giudice art 192 - Una volta che le prove siano state acquisite, il giudice è libero di valutarle secondo il proprio libero convincimento. Tuttavia tale libertà è comunque limitata dalla previsione di una necessaria motivazione dei provvedimenti derivanti dalla valutazione compiuta sia in relazione ai risultati acquisiti sia anche ai criteri adottati. Nell’ambito della motivazione, il giudice dovrà in concreto ricostruire il percorso logico conoscitivo che lo abbia condotto ad apprezzare in un certo modo le prove disponibili ed a trarne determinate conclusioni; quindi dovranno essere palesate sia le prove poste a base della decisione, ma essere altresì le ragioni per le quali abbia ritenuto non attendibili le prove contrarie. Oltre al limite derivante dall’obbligo della motivazione, il principio del libero convincimento del giudice incontra anche alcuni limiti di carattere normativo: ai fini del convincimento del giudice, non possono essere utilizzati elementi di natura indiziaria, a meno che essi siano < gravi, precisi e concordanti > art 192.2; In secondo luogo, ma questa volta con riferimento alla peculiare situazione dei coimputati del medesimo reato, ovvero degli imputati in un procedimento connesso a norma dell’articolo 12, si stabilisce che, le dichiarazioni rese da coimputati del medesimo reato o da imputati in un procedimento connesso o collegato, possono essere utilizzate solo se corredate da altri elementi di prova che ne confermino l’attendibilità. Infine non possono essere utilizzate le dichiarazioni di chi, per libera scelta, si è sempre sottratto all’esame da parte dell’imputato o del suo difensore. I SINGOLI MEZZI DI PROVA - I mezzi di prova (testimonianze, esami delle parti, confronti, ricognizioni, esperimenti giudiziali, perizie documenti) si caratterizzano per la loro attitudine ad offrire al giudice dei risultati direttamente utilizzabili ai fini della decisione. 1) La testimonianza (artt. 194-207), trova la sua naturale sede di assunzione nella fase di istruzione dibattimentale, nonché nell’incidente probatorio. In senso tecnico-giuridico non si può parlare, invece, di testimonianza nel corso delle indagini preliminari e dell’udienza preliminare, entrambe non finalizzate alla formazione della prova: in queste sedi, infatti, la persona informata sui fatti rende delle < informazioni > utili ai fini dell’attività investigativa e della decisione del giudice per l’udienza preliminare, ma non già testimonianza. Ex art. 194 il testimone è esaminato su fatti che costituiscono oggetto di prova. Non può deporre su apprezzamenti La ricognizione (art. 213-217) è un mezzo di prova tipico, diretto al riconoscimento di persone e cose, voci, suoni e di quant’altro può essere oggetto di percezione sensoriale da parte di un determinato soggetto, ossia quello chiamato a eseguire la ricognizione. L’esigenza di assicurare attendibilità e obiettività alle ricognizioni si traduce in una disciplina assai accurata e minuziosa, presidiata dalla sanzione di nullità: prevista qualora nel verbale non sia fatta menzione delle modalità di svolgimento della ricognizione. Ex art. 213 quando occorre procedere a ricognizione di soggetti, il giudice invita chi deve eseguirla a descrivere la persona indicando tutti i particolari che ricorda, gli chiede se sia stato in precedenza chiamato ad esibire il riconoscimento; Se prima e dopo il fatto per cui si procede abbia visto la persona anche in foto; se la stessa gli sia stata indicata o descritta e se vi sono altre circostanze che possono influire sull’attendibilità del riconoscimento. Successivamete Ex art. 214 Allontanato colui che deve eseguire la ricognizione, il giudice procura la presenza di almeno due persone il più possibile somiglianti, anche nell'abbigliamento, a quella sottoposta a ricognizione. Invita quindi quest'ultima a scegliere il suo posto rispetto alle altre, curando che si presenti, sin dove possibile, nelle stesse condizioni nelle quali sarebbe stata vista dalla persona chiamata alla ricognizione. Nuovamente introdotta quest'ultima, il giudice le chiede se riconosca taluno dei presenti e, in caso affermativo, la invita a indicare chi abbia riconosciuto e a precisare se ne sia certa. Se vi è fondata ragione di ritenere che la persona chiamata alla ricognizione possa subire intimidazione o altra influenza dalla presenza di quella sottoposta a ricognizione, il giudice dispone che l'atto sia compiuto senza che quest'ultima possa vedere la prima. L’esperimento giudiziale ex art. 218 è un mezzo di prova ammesso per accertare se un fatto sia o possa essere avvenuto in un determinato modo, procedendo alla riproduzione della situazione e delle modalità relative al suo presumibile svolgimento (nel corso delle indagini preliminari l’esperimento è assicurato mediante accertamento tecnico, diposto dal P.M. e mediante atti o operazioni tecniche se eseguiti dalla polizia giudiziaria). Il legislatore si è preoccupato di specificare il più possibile le forme da osservare per la procedura: in particolare, l’esperimento si svolga senza offendere sentimenti di coscienza e senza pericolo per la sicurezza pubblica. 5) La perizia - Ex art. 220 è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche. Salvo quanto previsto ai fini dell'esecuzione della pena o della misura di sicurezza, non sono ammesse perizie per stabilire l'abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell'imputato e in genere le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche. La perizia viene disposta dal giudice con ordinanza, la quale deve contenere la nomina del perito e la sommaria enunciazione dell’oggetto delle indagini. Il perito deve necessariamente essere iscritto in appositi albi professionali e tale funzione può essere esercitata da esperti di particolare competenza. Nell’esecuzione della perizia il giudice non può disporre o consentire che vengano adottate misure che incidano sulla libertà personale dell’individuo, salvo che la legge ne specifichi i casi e le modalità. A tal proposito occorre operare un rinvio alla disciplina dettata dall’ art. 224-bis in merito alla tematica del prelievo di materiale biologico. La norma, infatti, dispone che con riferimento ai procedimenti per delitti puniti con l’ergastolo o la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, qualora per l’esecuzione della perizia sia necessario compiere atti idonei ad incidere sulla libertà personale, quali prelievo di capelli, peli, saliva su persone viventi, ai fini della determinazione del profilo del DNA o accertamenti medici, e non vi è il consenso dell’interessato, il giudice può disporne con ordinanza motivata l’esecuzione coattiva, soltanto se essa risulta assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. La perizia deve in ogni caso essere compiuta nel rispetto della dignità e del pudore di chi vi è sottoposto e, a pena di nullità dell’accertamento compiuto, si richiede la presenza del difensore del soggetto. Una volta che il giudice abbia conferito l’incarico, con la formulazione dei relativi quesiti, il perito designato può (per rispondere ai quesiti formulatigli) essere autorizzato dal giudice ad assistere all’esame delle parti e all’assunzione di altre prove, mentre potrà prendere visione degli atti e delle cose prodotte dalle parti soltanto nei limiti in cui i medesimi siano acquisibili al fascicolo dibattimentale; inoltre, gli è consentito di raccogliere notizie dall’imputato, dall’offeso o anche da altre persone, le quale potranno però essere utilizzate solo ai fini dell’accertamento peritale. Una volta conclusi tutti i necessari accertamenti, il perito potrà rispondere ai quesiti propostigli immediatamente, anche in forma orale, mediante parere che viene raccolto nel verbale; tuttavia, se il perito ritiene di non poter dare immediata risposta, può chiedere un termine al giudice, il quale può concederlo (il termine non potrà eccedere i 90 giorni, salvo che si tratti di accertamenti di particolare complessità, caso nel quale il termine è prorogato fino a 6 mesi) ovvero procedere alla sostituzione del perito. Qualora poi data la complessità dell’accertamento peritale e la necessità di illustrare con note scritte il parere, il perito può chiedere al giudice di essere autorizzato sempre nei termini appena visti alla presentazione di una relazione scritta. Durante l’arco di svolgimento della perizia, sia il pubblico ministero che le parti private, possono procedere alla nomina di consulenti tecnici (in numero non superiore a quello dei periti), i quali sono autorizzati a partecipare a tutte le operazioni peritali, non solo formulando osservazioni e riserve, ma anche proponendo al perito lo svolgimento di specifiche indagini e sottoponendo ad esame, se autorizzati e in quanto ciò non comporti ritardo nell’esecuzione della perizia, le persone, le cose o i luoghi oggetto della stessa. Ovviamente consulenti tecnici di parte possono essere nominati anche nel caso in cui la perizia non venga disposta; in questo caso essi potranno esporre al giudice il proprio parere su singole questioni, anche mediante l’eventuale presentazione di memorie. Sia i periti che i consulenti tecnici possono essere sottoposti ad esame, secondo le disposizioni dettate per l’esame dei testimoni, allo scopo di consentire l’acquisizione probatoria degli esiti delle indagini e delle valutazioni compiute. 6) La prova documentale. La prova documentale è disciplinata dagli artt. 234-243. Ex art 234 è consentita la acquisizione di scritti o altri documenti idonei a rappresentare «fatti, persone o cose» attraverso «la fotografia, la cinematografia, la fonografia e qualsiasi altro mezzo». Questi si formano al di fuori del processo e in questo entrano con finalità probatoria, essendo inseriti nel fascicolo per il dibattimento immediatamente dopo la loro acquisizione. E’ esclusa la possibilità di acquisire documenti anonimi – a meno che costituiscano il corpo del reato o siano stati esibiti nel processo dall’imputato – e dei documenti che contengano informazioni sulle < voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo > o la < moralità delle parti, dei testimoni, dei periti e dei consulenti tecnici >. È, invece, CONSENTITA l’acquisizione di certificati del casellario giudiziale, della documentazione esistente presso gli uffici del servizio sociale degli enti pubblici, nonché delle sentenza irrevocabili di qualunque giudice italiano o straniero (purché riconosciute nel nostro ordinamento). Documenti che costituiscono il corpo del reato, qualunque sia la persona che li ha formati o li detenga; qualsiasi documento proveniente dall’imputato. Verbali di prove di altri procedimenti penali assunte nell’incidente probatorio o nel dibattimento; i verbali di dichiarazioni diverse da quelle assunte nel corso dell’incidente probatorio o del dibattimento con il consenso delle parti. I documenti concernenti dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni, relativi al traffico telefonico e telematico, se legalmente formati o acquisiti. Se ottenuti illegalmente devono essere secretati e custoditi in un luogo protetto dal P.M. (per evitarne l’indebita circolazione), il quale entro le successive 48 ore deve chiederne la distruzione al G.I.P. Quanto, invece, all’ipotesi in cui il giudice ritiene la falsità di un documento acquisito al procedimento, dopo la definizione di questo, ne informa il pubblico ministero, trasmettendogli copia del documento: e risolve in via autonoma la questione, con efficacia incidenter tantum. MEZZI DI RICERCA DELLA PROVA - (ispezioni, perquisizioni, sequestri, intercettazioni telefoniche), a differenza dei mezzi di prova, non integrano di per sé una fonte del convincimento giudiziale ma risultano funzionalmente diretti a permettere l'acquisizione di cose, tracce, notizie o dichiarazioni idonee ad assumere rilevanza probatoria. Essi sono inoltre diretti a propiziare l'acquisizione al processo di elementi probatori in vario modo precostituiti rispetto al medesimo. 1) Ispezioni e perquisizioni - le ispezioni (artt. 244-246) e le perquisizioni (artt. 247-252), appartengono alla sfera di competenza non solo del giudice, ma altresì del P.M. Le ispezioni che possono essere effettuate sia durante le indagini preliminari da parte della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, sia durante il dibattimento ad opera del giudice – si tratta di attività dirette ad accertare sulle persone, nei luoghi o nelle cose, le tracce e gli altri effetti materiali del reato. Tenuto conto di ciò è possibile, dunque, distinguere: l’ispezione personale, quando la ricerca della prova è effettuata su una persona, che avrà il diritto di farsi assistere da persona di fiducia; essa deve essere eseguita personalmente dall’autorità procedente o da un medico, nel rispetto della dignità e del pudore della persona che deve soggiacervi; l’ispezione di luoghi o di cose, se la ricerca della prova è effettuata nel domicilio o in altri luoghi ovvero quando è eseguita su una cosa materiale; in queste ipotesi è previsto che, prima dell’inizio delle operazioni si consegni il relativo decreto (che dispone l’ispezione) all’imputato e alla persona titolare della disponibilità dei luoghi, sempreché presenti. L’autorità giudiziaria può poi impedire, con provvedimento motivato da ricomprendere nel verbale, l’allontanamento di una o più persone dai luoghi dell’ispezione prima della sua conclusione e può disporre rilievi segnaletici, descrittivi e fotografici, insieme a ogni altra necessaria operazione tecnica. Con riguardo alle perquisizioni, si tratta, invece, di attività dirette a ricercare il corpo del reato o cose pertinenti al reato sulle persone o in luoghi determinati ovvero a eseguire l’arresto dell’imputato o dell’evaso. La perquisizione, che può essere personale o locale, è disposta con decreto motivato ed è eseguita personalmente dal giudice (se disposta in corso di dibattimento) ovvero dagli ufficiali di polizia giudiziaria e dal pubblico ministero, nel corso delle indagini preliminari. In genere, la perquisizione è preordinata al sequestro, per cui essa può essere omessa ed evitata nel caso in cui, su invito dell’autorità giudiziaria, chi detenga la cosa la consegni. Qualora sia necessario rintracciare cose da sottoporre a sequestro ovvero di accertare altre circostanze utili ai fini delle indagini presso le banche – atti, documenti e corrispondenza – si prevede che l’autorità giudiziaria possa delegare la polizia giudiziaria, ma nel caso in cui la banca rifiuti l’esibizione di tali atti o documenti, il giudice dovrà necessariamente disporre la perquisizione. Nel caso in cui l’ispezione o la perquisizione venga disposta presso l’ufficio del difensore, sono previste particolari cautele e garanzie: anzitutto, dovrà procedere personalmente il giudice o il pubblico ministero; in secondo luogo, sarà necessario avvisare il locale consiglio dell’ordine forense, affinché il presidente o un suo consigliere delegato possa assistere alle operazioni. Non possono in ogni caso essere sequestrate carte e documenti inerenti l’oggetto della difesa (salvo che costituiscano corpo del reato), la corrispondenza tra l’imputato e il suo difensore e sono inoltre vietate le intercettazioni di conversazioni e di comunicazioni tra il difensore e il suo assistito: i risultati delle ispezioni, delle perquisizioni, dei sequestri e delle intercettazioni che siano state eseguite in violazione di tali disposizioni, non potranno essere utilizzati. Devono, infine, ricordarsi alcune particolari figure di perquisizione consentite agli organi di polizia giudiziaria da leggi speciali allorché, nel corso di operazioni dirette alla prevenzione o alla repressione di determinati delitti, si verificano situazioni di necessità e di urgenza tali da non permettere un tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, così ad esempio nell’ambito di operazioni riguardanti il traffico di stupefacenti, ove abbiano la polizia abbia fondato motivo di ritenere che possano essere rinvenute sostanze stupefacenti ovvero nel caso in cui, questa ritenga assolutamente necessario procedere all’immediata perquisizione di persone, mezzi di trasporto ed edifici, supponendo che al loro interno siano custoditi armi, esplosivi o soggetti in stato di latitanza o evasione. Si tenga presente che in tutte le suddette ipotesi di perquisizione da parte della polizia, delle operazioni compiute è data tempestiva notizia al procuratore della Repubblica in vista della convalida delle stesse, che dovrà avvenire entro le successive 48 ore. 2) Il sequestro - costituisce un particolare mezzo di acquisizione della prova, avente ad oggetto il corpo del reato (ossia le cose sulle quali o mediante le quali è stato commesso il reato, nonché quelle che ne costituiscono il profitto, il prodotto o il prezzo) e le < cose pertinenti al reato >, necessarie per l’accertamento dei fatti. Siffatta acquisizione può essere consequenziale alla ricerca (mediante perquisizione) ovvero non consequenziale, a seconda che l’oggetto abbisogni o meno di essere preventivamente rintracciato. In ogni caso, anche quando il sequestro sia effettuato dopo una perquisizione, esso mantiene una propria autonomia tanto che, dopo lunghi contrasti giurisprudenziali, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno affermato che se la perquisizione è stata disposta o svolta in modo illegittimo, il susseguente sequestro del corpo del reato manterrà egualmente la sua validità. Il sequestro, per il quale occorre un decreto motivato, può essere disposto dal giudice in sede dibattimentale (egli potrà anche delegare la polizia giudiziaria), nonché nel corso delle indagini preliminari dal pubblico ministero o, su delega di questo, da un ufficiale di polizia giudiziaria (che in casi di estrema necessità e urgenza potrà anche agire anche in assenza di un decreto motivato del pubblico ministero, fatta salva la necessità di una successiva convalida da parte di quest’ultimo). Il codice di rito disciplina alcune peculiari ipotesi di sequestro, tra cui: Sequestro di corrispondenza – presso gli uffici postali, possono essere sequestrati lettere, pacchi e ogni altro oggetto presumibilmente spedito dall’imputato o a lui diretto (esclusa la corrispondenza tra imputato e difensore), o che possa avere relazione con il reato; Sequestro presso istituti bancari – possono essere sequestrati documenti, titoli, valori, somme e ogni altra cosa (anche quando depositata o custodita in cassette di sicurezza), quando si ha fondato motivo di ritenere la loro pertinenza al reato; non esiste, infatti, alcun segreto bancario di fronte al potere di sequestro dell’autorità giudiziaria in sede penale. Sequestro presso gli uffici di informazione e sicurezza – prevede una disciplina speciale. Nell’eventualità in cui dai responsabili dei relativi uffici non sia eccepito il segreto di Stato: l’autorità giudiziaria, dopo aver proceduto – mediante uno specifico ordine di esibizione – all’esame sul posto dei suddetti documenti e dopo aver acquisito solo quelli indispensabili alle indagini, può rivolgersi al autorizzazione del procuratore generale presso la corte d'appello del distretto come sopra individuate. Gli elementi eventualmente acquisiti attraverso tali intercettazioni «non possono essere utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi». Le risultanze «non possono essere menzionate in atti di indagine, né costituire oggetto di deposizione, ne essere altrimenti divulgate». In materia è intervenuta la riforma Orlando sia per le intercettazioni tradizionali, sia di quelle a mezzo di captatori informatici. Tuttavia la riforma non ha previsto una modifica organica della disciplina. Si segnala che il legislatore delegato potrà «prevedere disposizioni dirette a garantire la riservatezza delle comunicazioni in particolare dei difensori nei colloqui con l’assistito, e delle conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all’articolo 15 della Costituzione, attraverso prescrizioni che incidano anche sulle modalità di utilizzazione cautelare dei risultati delle captazioni e che diano una precisa scansione procedimentale per la selezione di materiale intercettativo nel rispetto del contraddittorio tra le parti e fatte salve le esigenze di indagine, avendo speciale riguardo alla tutela della riservatezza delle comunicazioni e delle conversazioni delle persone occasionalmente coinvolte nel procedimento, e delle comunicazioni comunque non rilevanti a fini di giustizia penale». Infine il legislatore ha proposto di creare un nuovo delitto di diffusione di riprese o registrazioni fraudolentemente effettuate, punito con la reclusione non superiore a quattro anni, la cui condotta incriminata consisterà nella «diffusione, al solo fine di recare danno alla reputazione o all’immagine altrui, di riprese audiovisive o registrazioni di conversazioni, anche telefoniche, svolte in sua presenza ed effettuate fraudolentemente». Il terzo criterio direttivo in materia, stabilisce invece che il governo, nell’opera di attuazione, dovrà tenere conto delle decisioni e dei principi adottati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, a tutela della libertà di stampa e del diritto dei cittadini all’informazione. La legge delega, infine, ha anche stabilito, alla lettera d) del comma 81, che il governo dovrà «prevedere la semplificazione delle condizioni per l’impiego delle intercettazioni delle conversazioni e delle comunicazioni telefoniche e telematiche nei procedimenti per i più gravi reati dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione»; e ciò, evidentemente, con lo scopo di favorire una lotta serrata contro alcune tipologie di delitti che vedono coinvolti direttamente rappresentanti dello Stato. B) I captatori informatici – rappresentano la vera novità della riforma. I captatori sono “trojan” immessi in dispositivi elettronici portatili. Questo strumento tecnico altro non è che un malware «occultamente installato dall’inquirente su un apparecchio elettronico dotato di connessione internet attiva il quale consente in ogni momento all’attaccante di captare tutto il traffico dati, di attivare da remoto il microfono e la telecamera registrandone le attività, di “perquisire” gli hard disk e di fare copia integrale del loro contenuto, di intercettare tutto quanto digitato sulla tastiera, di fotografare le immagini ed i documenti visualizzati» – idoneo a comprimere fortemente i diritti di cui agli artt. 14, 15 Cost. e 8 CEDU. La riforma ha quindi previsto una attenta disciplina della materia bilanciandola con gli art poc’anzi menzionati. In particolare. a) L’attivazione del microfono potrà avvenire solo a seguito di un apposito comando inviato da remoto e non del mero inserimento del captatore informativo b) La registrazione audio dovrà essere avviata dalla polizia giudiziaria o dal personale incaricato su indicazione della polizia operante, la quale sarà tenuta a indicare necessariamente l’ora di inizio e fine della registrazione, secondo circostanze da attestare nel verbale descrittivo delle modalità di effettuazione c) L’attivazione del dispositivo dovrà essere sempre ammessa nel caso di delitti di cui all’art. 51, commi 3-bis e 3- quater, c.p.p. e, fuori da tali casi, potrà essere disposta nei luoghi di cui all’art. 614 c.p. (abitazione altrui, o in un altro luogo di privata dimora, o nelle appartenenze di essi) soltanto se negli stessi si stia svolgendo l’attività criminosa. d) Il trasferimento dei file registrati dovrà essere effettuato soltanto verso il server della procura e, una volta finita la captazione, il trojan dovrà essere reso definitivamente inutilizzabile. e) Potranno essere utilizzati soltanto degli specifici programmi informatici conformi a dei requisiti tecnici stabiliti con decreto ministeriale. f) Nei casi di urgenza, il pubblico ministero potrà disporre direttamente tale tipologia di intercettazioni, limitatamente al fatto che si proceda per i delitti di cui all’articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, con successiva convalida da parte del giudice entro 48 ore. Il decreto d’urgenza dovrà dar conto delle specifiche situazioni di fatto che rendono impossibile la richiesta al giudice, nonché delle ragioni per cui tale insidiosa modalità di intercettazione sia necessaria. g) Le intercettazioni così ottenute potranno essere utilizzate ai fini probatori soltanto per i reati oggetto del provvedimento autorizzativo e potranno essere utilizzati in procedimenti diversi a condizione che siano indispensabili per l’accertamento di uno dei delitti di cui all’articolo 380 c.p.p. h) Il legislatore delegato dovrà far sì che non siano in alcun modo conoscibili, divulgabili e pubblicabili i risultati delle intercettazioni, le quali abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede. CAPITOLO IV - MISURE CAUTELARI - Il sistema delle misure cautelari. Le misure cautelari sono provvedimenti di vario tipo e genere che possono essere adottati, sia nel corso delle indagini preliminari che nelle restanti fasi processuali, al fine di evitare che nel tempo necessario per l’espletamento del giudizio si possano verificare situazioni di pericolo per la collettività ovvero situazioni di pregiudizio per il corretto svolgimento o per l’esito dell’attività processuale. Il libro IV del codice di procedura penale distingue: (a) misure cautelari personali, che incidono sulla libertà dell’individuo o sull’esercizio di taluni diritti o facoltà; (b) misure cautelari reali, che incidono sulla disponibilità di beni. Con riferimento alle misure cautelari personali, è possibile individuare una duplice riserva, di legge e di giurisdizione: Infatti, sotto il primo profilo si prevede che misure che le libertà personali di un individuo possono essere limitate con misure cautelari solo a norma delle disposizioni di legge in merito (art 272); con riferimento al secondo, la competenza a provvedere sull’applicazione, la modifica o la revoca di tali misure spetta esclusivamente all’autorità giudiziaria procedente (279). La norma si riferisce in sostanza al giudice competente all'esercizio della giurisdizione nelle diverse fasi del procedimento (e nel corso delle indagini preliminari, al giudice competente per le decisioni relative a tale fase), ovviamente individuabile anche sulla base della disponibilità giuridica e materiale degli atti processuali. In tal modo viene data attuazione alla scelta della legge delega di riservare 0 3 0 0all'organo giurisdizionale la titolarità esclusiva dei poteri in materia di restrizioni della libertà personale (art. 2 n. 59), riconoscendo al pubblico ministero unicamente il potere di disporre il fermo di indiziati (art. 2 n. 32), sulla base di una ripartizione di funzioni che il codice puntualmente fa propria (art. 384 comma 1°, da leggersi anche in correlazione con l'art. 307 comma 4°). 3. I presupposti del fumus commissi delicti e del periculum libertatis – Sono i presupposti affinché possa darsi luogo all’applicazione delle misure cautelari. A proposito del primo profilo, in attuazione di una precisa direttiva della legge delega, l'art. 273 comma 1° 0 3 0 0individua quali «condizioni generali» di applicabilità delle misure in questione, la sussistenza a carico del destinatario di «gravi indizi di colpevolezza», ossia quegli elementi di prova che inducano a ritenere estremamente probabile che l’imputato sia effettivamente responsabile del fatto contestato. Contestualmente, la norma impone poi alla competente autorità giudiziaria di compiere un seppur sommario accertamento negativo circa la sussistenza di una delle cause di giustificazione o di non punibilità, ovvero di estinzione del reato o della pena (in presenza delle quali nessuna misura cautelare potrà essere applicata). Ex art 231.1 bis ai fini della valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza il giudice potrà tener conto delle dichiarazioni provenienti da persone che sono imputate per lo stesso reato, o procedimento connesso, o reato collegato purché queste siano corredate da altri elementi probatori idonei a confermarne l’attendibilità (ex art 192.3, 4); mentre non sono utilizzabili i risultati delle intercettazioni illegittimamente captate e le fonti confidenziali. Quanto al versante del periculum libertatis, l'art. 274, la legge 47/2015 di riforma delle misure cautelari, ha disciplinato le condizioni in cui devono venirsi a trovare specifiche «esigenze cauteIari» che, concorrendo con il presupposto rappresentato dai gravi indizi di colpevolezza, devono considerarsi idonee a giustificare l'adozione delle misure cautelari personali. Le misure cautelari, in particolare possono essere adottate se: (a) se sussistono < specifiche e inderogabili esigenze > attinenti alle indagini al fine di scongiurare un pericolo concreto ed attuale in merito all’acquisizione delle prove e alla loro genuinità [è il c.d. pericolo di inquinamento delle prove]; (b) ipotesi di < fuga o concreto e attuale pericolo di fuga > dell’imputato, soltanto qualora il giudice ritenga che possa essere irrogata una pena superiore a due anni di reclusione; (c) infine, la norma dispone che le misure cautelari possano essere disposte quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell’imputato o della persona sottoposta alle indagini, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con l’uso di armi o altri mezzi di violenza personale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede, purché si tratti di delitti per i quali è prevista la reclusione non inferiore nel massimo ad anni quattro (pericolo di reiterazione dei reati). Ciò chiarito, la Corte ha affermato che – a seguito delle modifiche introdotte dalla legge n. 47 del 2015 all’art. 274 lett. c) c.p.p. – per poter affermare che un pericolo “concreto” di reiterazione di condotte criminose sia anche “attuale”, non è più sufficiente ritenere – con certezza o alta probabilità – che l’imputato torni a delinquere ove se ne presenti l’occasione, ma è anche necessario, anzitutto, prevedere (negli stessi termini di certezza o alta probabilità) che un’occasione per compiere nuovi delitti si presenti effettivamente. Ne consegue – si legge in sentenza – che il giudizio prognostico non può più fondarsi sul seguente schema logico: «se si presenta l’occasione sicuramente, o molto probabilmente, la persona sottoposta ad indagini reitererà il delitto», ma dovrà seguire la diversa seguente impostazione: «siccome è certo o comunque altamente probabile che si presenterà l’occasione del delitto, altrettanto certamente o comunque con elevato grado di probabilità la persona sottoposta ad indagini tornerà a delinquere». Qualsiasi provvedimento di adozione o di mantenimento delle misure cautelari, è illegittimo se risulta esclusivamente finalizzato a conseguire la confessione dell'imputato. Le misure cautelari possono essere adottate o mantenute soltanto in presenza di una delle esigenze cautelari previste dall’articolo 274, indipendentemente dalla circostanza che l’imputato abbia o non abbia confessato. In nessun caso l'esercizio del diritto al silenzio, da parte dell'imputato, può essere posto a fondamento, sul terreno del periculum libertatis, di una misura cautelare disposta a suo carico e quindi, a maggior ragione, che nessuna misura cautelare (a cominciare da 0 3 0 0quella carceraria) possa venire legittimamente adottata allo scopo di indurre l'imputato stesso a collaborare con l'autorità giudiziaria. Una volta accertata la sussistenza di almeno una delle esigenze cautelari previste dall’art. 274, nella scelta delle misure da adottarsi nel caso concreto il giudice dovrà attenersi ad alcuni principi fondamentali: principio di adeguatezza e proporzionalità, entrambi radicati nelle direttive della legge delega e disciplinati dall’art 275. In forza del principio di adeguatezza il giudice, nell'individuare 0 3 0 0«quale» misura debba venire disposta, sarà obbligato a tener conto della «specifica idoneità di ciascuna», rapportandola «alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto»: con l'ovvia conseguenza che dovrà venire scelta la misura meno gravosa per l'imputato, tra quelle di per sé idonee a fronteggiare le suddette esigenze. Al principio di adeguatezza, così enunciato in 0 3 0 0termini generali, si raccorda poi, con funzione integrativa, il principio di proporzionalità, stando al quale ogni misura «deve essere proporzionata all'entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata» (art. 275 comma 2°). Per il principio di adeguatezza, sia il comma 1 bis che il comma e ter dell’articolo si occupano dei criteri relativi alla scelta delle misure cautelari da disporre contestualmente ad una sentenza di condanna. In questo caso infatti si prevede che l’esame delle esigenze cautelari sia condotto tenuto conto anche dell’esito del procedimento, delle modalità del fatto e degli elementi sopravvenuti. Il comma 2 bis dell’articolo ha introdotto un ampliamento delle ipotesi preclusive della applicazione della custodia cautelare. Ovvero il divieto di disporre questa o gli arresti domiciliari quando il giudice ritenga che con la sentenza possa essere disposta la sospensione condizionale della pena; o essere irrogata una pena detentiva che non superi i 3 anni. Particolari specificazioni del principio di adeguatezza sono sancite al comma 3 modificato dalla legge 47/2015 con riferimento alla sola misura della custodia cautelare in carcere che in virtù della sua pregnante limitazione della libertà personale del soggetto, deve sempre rappresentare l’extrema ratio ed essere, quindi, disposta solo quando le altre misure coercitive o interdittive anche se applicate cumulativamente risultino inadeguate. Il comma 3 modificato dalla riforma del 2015 pone in essere una doppia presunzione laddove prevede la presunzione assoluta di idoneità e adeguatezza per i reati di cui all’art 416 bis, di associazione sovversiva, associazione mafiosa o terroristica. Nelle altre ipotesi vi è una presunzione relativa cioè che può essere vinta dalla prova contraria. Infatti con riguardo a reati come l’omicidio, la pornografia minorile, la prostituzione minorile, è applicata la custodia cautelare in carcere, salvo che siano acquisiti elementi dai quali risulti che non sussistono esigenze cautelari o che, in relazione al caso concreto, le esigenze cautelari possono essere soddisfatte con altre misure. Sempre nella logica del principio di adeguatezza, dall’art. 275 è possibile trarre ulteriori limitazioni rispetto all’applicazione della misura carceraria: • nei confronti di: (a) donna incinta; (b) madre di prole di età inferiore ai sei anni; (b) padre, nel caso in cui la madre sia deceduta o impossibilitata ad assistere la prole; (d) persona che abbia superato i 70 anni. Nei confronti dei suddetti imputati, si prevede che, ricorrendo nei presupposti debba venire di regola applicata la misura degli arresti domiciliari, salva l'eccezione è rappresentata dall'eventualità che sussistano esigenze cautelari di eccezionale rilevanza. La medesima disciplina si applica anche agli imputati tossicodipendenti ed alcoldipendenti già assoggettati a custodia cautelare, che intendano sottoporsi ad un programma di recupero. I profili formali dei provvedimenti cautelari – Ex art 291 La competenza a disporre misure cautelari personali, siano esse coercitive o interdittive, spetta al giudice, ma sempre e solo su richiesta del P.M. che deve fornire al giudice non solo gli elementi su cui la richiesta si fonda, ma anche tutti gli altri elementi a favore dell’imputato, nonché le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate. Qualora il giudice destinatario della richiesta riconosca la propria incompetenza, ma accerti l’urgenza di provvedere sotto il profilo cautelare, deve disporre la misura richiesta – con lo stesso provvedimento declinatorio di competenza –, salva la caducazione della misura applicata qualora entro 20 giorni dalla trasmissione degli atti al giudice competente, questi non la “conferma” con proprio autonomo provvedimento. La richiesta del pubblico ministero, necessaria ad attivare l’esercizio del potere cautelare, non è tuttavia vincolante per quanto riguarda la tipologia della misura oggetto della richiesta stessa: infatti, il giudice potrà disporre anche una misura meno gravosa di quella richiesta, ma mai una più grave. Il provvedimento cautelare, essendo un atto a sorpresa, giustifica la sua adozione inaudita altera parte, fatta eccezione per la sospensione da un pubblico ufficio o servizio dove la legge prevede l’interrogatorio dell’indagato. Sulla richiesta del pubblico ministero il giudice provvede con ordinanza. Quanto agli aspetti formali, l’articolo 292 modificato dalla riforma 45/2015 ha sancito che l’ordinanza deve contenere: generalità dell’imputato ed elementi che servono ad identificarlo; descrizione sommaria del fatto addebitatogli, con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate (c.d. capo d’accusa); esposizione e autonoma valutazione dei fatti da cui si desumono i gravi indizi di colpevolezza e le specifiche esigenze cautelari; esposizione e autonoma valutazione dei motivi per cui non sono stati ritenuti rilevanti gli elementi forniti dalla difesa e del perché, in caso di richiesta di custodia carceraria, non si ritengano efficaci altre misure; data di scadenza della misura; data e sottoscrizione del giudice. La riforma ha in particolar introdotto la specifica ed autonoma valutazione sia delle circostanze che dei motivi ed in questo modo ha posto fine al tipico “copia ed incolla” che in passato il giudice faceva della motivazione addotta dal Pm nella sua richiesta. Tuttavia si consente la motivazione per relationem, la motivazione del Pm potrà essere richiamata nell’ordinanza quando il giudice dimostri di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni dell’atto di riferimento, di aver meditato quelle ragioni e di averle ritenute coerenti con la propria decisione. Gli adempimenti esecutivi e le garanzie difensive - Art 293 c.p.p. Salvo quanto previsto dall’articolo 156, l’ufficiale o l’agente incaricato di eseguire l’ordinanza che ha disposto la custodia cautelare consegna all’imputato copia del provvedimento unitamente a una comunicazione scritta, redatta in forma chiara e precisa e, per l’imputato che non conosce la lingua italiana, tradotta in una lingua a lui comprensibile, con cui lo informa: della facoltà di nominare un difensore di fiducia e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa; del diritto all’interprete ed alla traduzione di atti fondamentali; del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda il provvedimento; del diritto di informare le autorità consolari e di dare avviso ai familiari; del diritto di accedere all’assistenza medica di urgenza; del diritto di essere condotto davanti all’autorità giudiziaria non oltre cinque giorni dall’inizio dell’esecuzione, se la misura applicata è quella della custodia cautelare in carcere ovvero non oltre dieci giorni se la persona è sottoposta ad altra misura cautelare; del diritto di comparire dinanzi al giudice per rendere l’interrogatorio, di impugnare l’ordinanza che dispone la misura cautelare e di richiederne la sostituzione o la revoca. Mentre le ordinanze applicative delle misure cautelari non custodiali sono solo notificate all’imputato secondo le ordinarie modalità, le ordinanze applicative della custodia cautelare sono materialmente eseguite con la consegna all’imputato di copia del provvedimento e col suo immediato trasferimento in un istituto di custodia a disposizione dell’autorità giudiziaria. Le ordinanze, una volta notificate o eseguite, vanno depositate in cancelleria insieme alla richiesta del pubblico ministero e agli atti delle indagini trasmessi in allegato da quest’ultimo; dell’avvenuto deposito è notificato avviso al difensore, il quale può non solo prendere visione, ma anche estrarre copia dell’ordinanza applicativa della misura cautelare, della richiesta del pubblico ministero e degli atti presentati a corredo della medesima. Nell’ipotesi in cui il destinatario della misura cautelare non venga rintracciato, il competente organo di polizia giudiziaria provvederà alla redazione di un verbale di vane ricerche, al quale seguirà la dichiarazione dello stato di latitanza dell’imputato, ad opera del giudice che abbia compiuto tali ricerche esaurienti: alo scopo di agevolare le ricerche del latitante, il giudice o il pubblico ministero possono autorizzare l’uso di intercettazioni telefoniche, l’effettuazione di perquisizioni di edifici (ove vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si siano rifugiati latitanti in relazione a un delitto di mafia, ovvero con finalità di terrorismo). L’autorità giudiziaria può anche, con decreto motivato, ritardare l’emissione, o disporre che sia ritardata l’esecuzione di provvedimenti di cattura (nonché di arresto o sequestro) quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori, ovvero per l’individuazione o la cattura dei responsabili dei delitti riguardanti sostanze stupefacenti, sequestro di persona a scopo di estorsione, terrorismo o criminalità organizzata. 15. L’interrogatorio della persona in stato di custodia. E’ un’operazione attraverso la quale il giudice valuta se permangono le condizioni di applicabilità che hanno giustificato l’adozione della misura cautelare e provvede nel caso a revocarla o modificarla. Da qui si evince la natura difensiva dell’atto, volto a consentire all’indiziato di far presenti circostanze adducibili a suo favore. Nel caso quindi di custodia cautelare in carcere, il giudice che ha deciso in ordine all’applicazione della misura – sempre che non vi abbia già proceduto nel corso dell’udienza di convalida del fermo o dell’arresto in flagranza - procede all’interrogatorio della persona in stato di custodia, immediatamente o comunque non oltre 5 giorni dall’inizio dell’esecuzione della custodia, a meno che l’indiziato stesso non sia assolutamente impedito. Ove il PM ne faccia istanza nella richiesta di custodia cautelare, l’interrogatorio da parte del giudice deve avvenire entro 48 ore. Nell’ipotesi in cui sia disposta una misura cautelare, coercitiva o interdittiva, diversa dalla custodia, all’interrogatorio si dovrà procedere entro 10 giorni dall’esecuzione del provvedimento. Per quanto riguarda le modalità di compimento dell'interrogatorio ex articolo 294 da parte del giudice, si precisa che l'atto dovrà svolgersi secondo le regole generali 0 3 0 0dettate in materia (64 e 65). Ad esse deve aggiungersi oggi, in forza dell’articolo 141-bis, l’obbligatorietà della documentazione integrale dell'interrogatorio stesso (quando si tratti di «persona in stato di detenzione), mediante appositi strumenti di riproduzione 0 3 0 0fonografica o audiovisiva. Una prescrizione, questa, stabilita «a pena di inutilizzabilità» probatoria dei risultati dell'atto. All’interrogatorio ha la facoltà di intervenire il pubblico ministero, mentre è sancito un correlativo obbligo del difensore, al quale verrà dato tempestivo avviso Si prevede esplicitamente l’eventualità che il giudice sulla scorta dei risultati di tale controllo, possa provvedere anche di ufficio ex articolo 299 comma 3° alla revoca o la sostituzione della misura disposta. Lo stesso art. 302 continua poi precisando che, una volta avvenuta la liberazione dell'indiziato, il medesimo potrà essere, di nuovo sottoposto a custodia 0 3 0 1cautelare, su richiesta del pubblico ministero, sempreché ne ricorrano i presupposti, soltanto dopo che sia stato interrogato in stato di libertà. All’interrogatorio ha facoltà di procedere anche il pubblico ministero, ma nell’attuale impostazione codicistica è previsto che l’interrogatorio della persona in stato di custodia cautelare da parte del pubblico ministero (dal prevalente carattere investigativo) non possa precedere l’interrogatorio del giudice (dalla prevalente finalità di controllo e garanzia). 16. Il computo dei termini di durata delle misure – l’art 297 cpp sancisce che gli effetti della custodia cautelare decorrono dal momento della cattura, dell’arresto o del fermo, mentre gli effetti delle altre misure (compresi gli arresti domiciliari) decorrono dal momento della notifica della relativa ordinanza. Quando l’imputato è colpito da più provvedimenti (successivi) applicativi della medesima misura, e questi riguardano lo stesso fatto (anche se diversamente circostanziato o qualificato), i termini decorrono dal giorno in cui è stato eseguito o notificato il primo provvedimento, ma sono commisurati (in quanto a durata massima) in rapporto all’imputazione più grave tra quelle contestate con le diverse ordinanze: è il principio della retrodatazione. Tale regola è stata estesa anche all’ipotesi cin cui le suddette ordinanze facciano riferimento a fatti diversi, purché tra questi sussista un rapporto di connessione e siano stati commessi anteriormente all’emanazione della prima ordinanza, a patto che questi però fossero desumibili dagli atti prima del rinvio a giudizio disposto per il fatto contestato con l'originaria ordinanza cautelare. Attraverso questo rigido congegno di computo si suole evitare le c.d. contestazioni a catena, ossia la prassi giudiziaria volta a dilazionare nel tempo l’adozione di misure di custodia cautelare, relative al medesimo fatto o a fatti diversi connessi a quello per cui si procede, estendendo così artificiosamente la durata della misura cautelare. 17. I provvedimenti di revoca e di sostituzione - L'art. 299 riflette con chiarezza l'intento di riunire in un unico contesto normativo le diverse ipotesi di «revoca e sostituzione delle misure» riconducibili alla fenomenologia dei presupposti di fatto e di diritto delle stesse. La revoca costituisce una fattispecie estintiva delle misure cautelari personali, destinata a operare tutte le volte in cui – a seguito di una valutazione di carattere discrezionale del giudice, sulla sussistenza, ex ante o sulla permanenza, ex post – risultano carenti le condizioni di applicabilità previste dall’art. 273 ovvero le esigenze cautelari previste dall’art. 274. (non sussistono gravi indizi di colpevolezza; è prevista causa di giustificazione o di non punibilità; non vi è pericolo di inquinamento delle prove; concreto o attuale pericolo di fuga; non vi è pericolo concreto ed attuale che il soggetto possa compiere reati della stessa specie per cui si procede) La sostituzione è quella fattispecie che viene in rilievo, in due ipotesi: 1) quando il giudice accerti che le esigenze cautelari si sono attenuate, tanto da ritenere eccessivamente vessatoria la misura applicata ovvero che la medesima misura non appare più proporzionata all’entità del fatto o della sanzione irrogabile: in eventualità del genere, il giudice dovrà sostituire la misura originariamente disposta con altra meno grave ovvero disporne l’applicazione con modalità meno gravose. E quando si tratti della sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, una particolare disciplina è dettata nell'art. 97-bis disp. att., allo scopo di consentire all'imputato di «raggiungere» con i propri mezzi, il «luogo dell'arresto individuato a 0 3 0 1norma dell'art. 284», sempreché il giudice non disponga «l'accompagnamento per salvaguardare comprovate esigenze processuali o di sicurezza». 2) Per quanto riguarda l’ipotesi in cui si accerti che le esigenze cautelari si sono accresciute rispetto a quelle individuate alla base della misura applicata, è previsto che il giudice, su richiesta del pubblico ministero, debba sempre, ricorrendone i presupposti, sostituire la misura originaria con altra più rigida, ovvero disporne l'applicazione con modalità più gravose (art. 299 comma 4°). Quanto ai profili procedurali, si stabilisce che, durante le indagini preliminari il giudice debba provvedere in ordine alla revoca ed alla sostituzione delle misure, di regola, soltanto dietro richiesta del pubblico ministero o dell'imputato, ed entro cinque giorni dal deposito di tale richiesta. Tuttavia anche nel corso delle indagini preliminari si ammette che il giudice possa assumere ex officio 0 3 0 0l'iniziativa della revoca o della sostituzione delle misure suddette, quando risulti già investito del procedimento per l'esercizio di uno dei poteri appartenenti alla sua competenza funzionale; ad esempio quando assuma l'interrogatorio dell'indiziato in stato di custodia cautelare ex art. 294, o quando sia richiesto della proroga del termine per le indagini preliminari ex art. 406. In ogni modo, prima di provvedere sulla revoca o sulla sostituzione delle misure il giudice deve sempre sentire il pubblico ministero, il quale dovrà esprimere il proprio parere nei due giorni successivi, salva restando al medesimo giudice la possibilità di procedere alla decisione qualora, entro tale termine il suddetto parere non sia stato espresso. E la suddetta regola vale anche nelle ipotesi in cui la revoca o la sostituzione della misura applicata, ovvero la sua applicazione con modalità meno gravose, venga richiesta dall’imputato dopo la chiusura delle indagini preliminari (4 bis). In tutte queste ipotesi, il comma 3-ter dell'art. 299 dispone che il giudice – dopo avere valutato gli elementi addotti a fondamento della richiesta di revoca o di sostituzione – prima di provvedere possa sempre procedere ad interrogatorio della persona sottoposta alla misura. Tale interrogatorio diventa doveroso per il giudice, ove l'imputato lo abbia specificamente richiesto, quando l'istanza di revoca o di sostituzione della misura sia basata su «elementi nuovi o diversi rispetto a quelli già valutati. Una particolare attenzione è richiesta nel caso di revoca o di sostituzione di determinate misure coercitive applicate nei procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona: il provvedimento deve essere immediatamente comunicato a cura della polizia giudiziaria ai servizi socio-assistenziali e al difensore della persona offesa. Con riferimento a tutti i provvedimenti previsti dall'art. 299 è stabilito, infine, che il giudice – quando si trovi nell'impossibilità di decidere «allo stato degli atti» sulla richiesta di una parte – possa «in ogni stato e grado del procedimento» disporre anche d'ufficio, 0 3 0 0 0 3 0 0e prescindendo da particolari formalità, i necessari «accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualità personali dell'imputato». 18. Particolari fattispecie di estinzione automatica delle misure. - In alcuni casi l’estinzione delle misure cautelari non consegue ad una valutazione discrezionale del giudice, ma si determina automaticamente al verificarsi di taluni eventi. Tra queste ricordiamo: • omesso interrogatorio della persona sottoposta a custodia cautelare entro il termine di 5 giorni dall’esecuzione della misura; •quando nei confronti della persona nei confronti della quale è stata disposta la misura cautelare, venga disposta l'archiviazione, ovvero venga pronunciata una sentenza di non luogo a procedere o di proscioglimento. 0 3 0 0•quando è pronunciata sentenza di condanna, l'art. 300 commi 3° e 4° stabilisce - che le misure già in atto perdano efficacia ogni qualvolta la pena irrogata venga dichiarata estinta della astensione collettiva dei difensori dalle udienze, è lecito ritenere che attraverso la disposizione in esame il legislatore abbia inteso porre una sorta di freno (non si sa ancora quanto adeguato) al rischio di un uso pretestuoso dello strumento dello «sciopero degli avvocati» ove fosse da taluno praticato allo scopo di propiziare la scarcerazione per decorrenza dei termini di fase degli imputati detenuti. La Corte di cassazione ha affermato l'importante principio per cui l'art.159 comma1 °c.p. dev'essere interpretato «nel senso che la sospensione o il rinvio del procedimento o del dibattimento hanno effetti sospensivi della prescrizione, anche se l'imputato non è detenuto, in ogni caso in cui siano disposti per impedimento dell'imputato o del suo difensore ovvero su loro richiesta, salvo quando siano disposti per esigenze di acquisizione della prova o in seguito al riconoscimento di un termine a difesa». I provvedimenti adottabili nei confronti dell'imputato scarcerato per decorrenza dei termini. Art 307 Nei confronti del soggetto in questione e per decorrenza dei termini, il giudice dispone le altre misure cautelari di cui ricorrano i presupposti, solo se sussistono le ragioni che avevano determinato la custodia cautelare. Qualora si proceda per taluno dei reati indicati nell'articolo 407, comma 2, lettera a), il giudice dispone le misure cautelari indicate dagli articoli 281, 282 e 283 anche cumulativamente. Anche a seguito di scarcerazione, la custodia cautelare, ove risulti necessaria a norma dell'articolo 275, è tuttavia ripristinata: se l'imputato ha dolosamente trasgredito alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1, sempre che, in relazione alla natura di tale trasgressione, ricorra taluna delle esigenze cautelari previste dall'articolo 274; contestualmente o successivamente alla sentenza di condanna di primo o di secondo grado, quando ricorre l'esigenza cautelare prevista dall'articolo 274 comma 1 lettera b). Con il ripristino della custodia, i termini relativi alla fase in cui il procedimento si trova decorrono nuovamente ma, ai fini del computo del termine previsto dall'articolo 303 comma 4, si tiene conto anche della custodia anteriormente subita. Quanto alla situazione dell'imputato scarcerato che, trasgredendo alle prescrizioni della misura cautelare applicatagli in via sostitutiva, ovvero quando ricorra l'ipotesi prevista dal 2° comma lett. b, stia per darsi alla fuga, l'art. 307 comma 4° prevede – per rendere possibile nei suoi con-fronti un intervento coercitivo più immediato – che ufficiali ed \agenti di polizia possano procedere al suo fermo. In proposito viene dettata, inoltre, una particolare normativa per la comunicazione del provvedimento al procuratore della Repubblica presso il tribunale del luogo, al più tardi entro ventiquattro ore. Con il provvedimento di convalida, il giudice per le indagini preliminari, se il pubblico ministero ne fa richiesta, dispone con ordinanza, quando ne ricorrono le condizioni, la misura della custodia cautelare e trasmette gli atti al giudice competente. La misura disposta a norma del comma 4 cessa di avere effetto se, entro venti giorni dalla ordinanza, il giudice competente non provvede a norma del comma 2 lettera a). I termini di durata massima delle misure cautelari non custodiali - Le misure coercitive diverse dalla custodia cautelare perdono efficacia a seguito del decorso di un periodo di tempo pari al doppio dei termini previsti dall'art. 303 in rapporto alla custodia. Con la l. 47/2015 la durata massima delle misure interdittive, aumenta da 2 mesi a 12 mesi. Il procedimento di riesame dei provvedimenti coercitivi dinanzi al tribunale - I provvedimenti applicativi di misure cautelari personali sono impugnabili attraverso i seguenti mezzi di gravame: riesame, appello e ricorso per cassazione. Per tutti questi mezzi d’impugnazione deve ovviamente richiamarsi il principio generale fissato nell'art. 588 comma 2°, per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale «non hanno in alcun caso effetto sospensivo». Riesame – Il riesame è uno strumento di impugnazione che, secondo quanto disposto dall’art. 309 c.p.p., può essere utilizzato esclusivamente avverso le ordinanze applicative di misure coercitive, anche se non custodiali, ma non avverso quelle interdittive, salvo che si tratti di ordinanze emesse dietro appello proposto dal pubblico ministero ai sensi del successivo art. 310 o di quelle adottate nell’ambito del procedimento di esecuzione di un mandato di arresto europeo. Legittimato a chiedere il riesame è soltanto l’imputato (o il suo difensore), il quale deve presentare richiesta di riesame entro 10 giorni dall’esecuzione o dalla notifica della misura. In forza del successivo comma 3-bis viene, tuttavia, precisato che dal computo del suddetto termine devono escludersi i giorni per i quali sia stato disposto il differimento del colloquio tra il difensore e l'imputato detenuto, a dimostrazione dell'importanza attribuita dal legislatore a tale colloquio, in vista della scelta della strategia difensiva di fronte al provvedimento di custodia. Competente a decidere sul riesame è il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello in cui ha sede il giudice che ha emesso l’ordinanza cautelare impugnata. Una volta presentata la richiesta di riesame, a seguito dell'«immediato avviso» proveniente dal presidente del tribunale, l'autorità giudiziaria procedente – quindi, nel corso delle indagini preliminari, il PM – dovrà trasmettere al medesimo tribunale gli atti correlativi «entro il giorno successivo» a quello dell'avviso, e «comunque non oltre il quinto giorno». Al riguardo occorre sottolineare come quest'ultimo termine deve ritenersi decorrente dal giorno stesso della presentazione della richiesta 0 3 0 0di riesame; insieme a questi atti dovranno venire altresì trasmessi al tribunale «tutti gli elementi sopravvenuti a favore della persona sottoposta alle indagini». Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini, l’ordinanza che dispone la misura cautelare perde efficacia. Quanto al contenuto della richiesta di riesame, l'art. 309 comma 6° prevede che essa possa – non che debba – recare contestualmente l'enunciazione dei motivi, riconoscendo peraltro, nel contempo, al proponente la facoltà di enunciare nuovi motivi dinanzi al tribunale competente per il riesame, purché ne venga dato atto a verbale prima dell'inizio della discussione. L’imputato può chiedere di comparire personalmente e ove lo faccia a norma del comma 8 bis aggiunto dalla l. 47/2015 ha diritto presenziare personalmente all’udienza. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall’articolo 127. L’avviso della data fissata per l’udienza è comunicato, almeno tre giorni prima, al pubblico ministero presso il tribunale indicato nel comma 7 e, se diverso, a quello che ha richiesto l’applicazione della misura; esso è notificato, altresì, entro lo stesso termine, all’imputato ed al suo difensore. Fino al giorno dell’udienza gli atti restano depositati in cancelleria, con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. La caratteristica di rapidità coessenziale al procedimento di riesame emerge dall'art. 309 comma 9°, la dove si prescrive che il tribunale emetta la sua decisione nel termine di dieci giorni dalla ricezione degli atti trasmessigli. Il tribunale da un lato potrà annullare o riformare l’ordinanza impugnata anche per motivi diversi da quelli enunciati nella richiesta o successivamente ad essa. Dall’altro può confermarla per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso. In questo si evince la caratteristica totalmente devolutiva del riesame. Inoltre il tribunale annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene l’autonoma valutazione, a norma dell’articolo 292, delle esigenze cautelari, degli indizi e degli elementi forniti dalla difesa. Si deduce da tale articolo che nei casi in cui la motivazione sia, invece, solo viziata il tribunale in ossequio alla sua caratteristica totalmente devolutiva potrà integrarla e completarla. Su richiesta formulata personalmente dall’imputato entro due giorni dalla notificazione dell’avviso, il tribunale differisce la data dell’udienza da un minimo di cinque ad un massimo di dieci giorni se vi siano giustificati motivi. In tal caso il termine per la decisione e quello per il deposito dell’ordinanza sono prorogati nella stessa misura. Se la trasmissione degli atti non avviene nei termini di cui al comma 5 o se la decisione sulla richiesta di riesame o il deposito dell’ordinanza del tribunale in cancelleria non intervengono nei termini prescritti, l’ordinanza che dispone la misura coercitiva perde efficacia e, salve eccezionali esigenze cautelari specificamente motivate, non può essere rinnovata. L’ordinanza del tribunale deve essere depositata in cancelleria entro trenta giorni dalla decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi, il giudice può disporre per il deposito un termine più lungo, comunque non eccedente il quarantacinquesimo giorno da quello della decisione. La disciplina dell'appello Art 310 c.p.p - E’ il mezzo di impugnazione esperibile da Pm, imputato e suo difensore per tutte le misure cautelari personali, ad eccezione di quelle che rientrano nella disciplina ex art 309. Quanto ai profili procedurali, per quel che riguarda la proposizione dell'appello viene esplicitamente fatto rinvio alle corrispondenti disposizioni dettate in tema di riesame, salva restando la necessità della contestuale enunciazione dei motivi. L’appello va proposto entro 10 giorni dall’esecuzione o dalla notificazione del provvedimento. Anche qui la competenza spetta al tribunale (collegiale) del distretto di Corte d’appello in cui ha sede il giudice che ha emesso l’ordinanza appellata. Dell'appello è dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette al tribunale l'ordinanza appellata e gli atti su cui la stessa si fonda. Il procedimento davanti al tribunale si svolge in camera di consiglio nelle forme previste dall'articolo 127. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria con facoltà per il difensore di esaminarli e di estrarne copia. Il tribunale decide entro venti giorni dalla ricezione degli atti con ordinanza depositata in cancelleria entro 30 giorni dalla sua decisione salvi i casi in cui la stesura della motivazione sia particolarmente complessa per il numero degli arrestati o la gravità delle imputazioni. In tali casi il giudice può indicare nel dispositivo un termine più lungo non eccedente il 45° giorno (periodo aggiunto dalla l. 47/2015). A differenza del riesame, l’appello deve sempre contenere l’enunciazione dei motivi e presenta, pertanto, carattere parzialmente devolutivo: ciò significa che il tribunale 0 3 0 0investito ai sensi dell'art. 310 vedrà circoscritta la sua cognizione esclusivamente ai punti dell'ordinanza appellata cui si riferiscano i motivi tempestivamente proposti, in ossequio alla corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Quando poi il tribunale, accogliendo l'appello del pubblico ministero, abbia disposto una misura cautelare a carico dell'imputato, stabilisce l'art. 310 comma 3° – in ossequio al principio del favor libertatis che l'esecuzione di tale decisione rimanga sospesa, finché la medesima non sia diventata definitiva. Ricorso per cassazione art 311 c.p.p.- Il ricorso per cassazione è lo strumento attraverso il quale Pm, imputato e suo difensore possono impugnare, per vizi di legittimità e vizi della motivazione, le ordinanze emesse dal tribunale a seguito di riesame o appello, entro 10 giorni dalla loro notificazione o, rispettivamente, dalla comunicazione dell'avviso di deposito del provvedimento. Tuttavia il comma 2 dell’articolo configura la possibile proposizione di un ricorso omisso medio direttamente in cassazione per sole violazioni di legge, nei confronti di ordinanze applicative di misure coercitive, prescindendo in questo caso dalla previa richiesta di riesame. Il ricorso è presentato nella cancelleria del giudice che ha emesso la decisione ovvero, nel caso previsto dal comma 2 (ricorso per saltum), in quella del giudice che ha emesso l'ordinanza. Il giudice cura che sia dato immediato avviso all'autorità giudiziaria procedente che, entro il giorno successivo, trasmette gli atti alla corte di cassazione. Sia nel caso di ricorso ordinario che ricorso per saltum, i motivi devono essere enunciati contestualmente al ricorso, ma il ricorrente ha facoltà di enunciare nuovi motivi davanti alla corte di cassazione, prima dell'inizio della discussione. La cognizione della Corte di Cassazione è limitata ai punti della decisione investiti dai motivi espressamente proposti: essa si pronuncia in camera di consiglio (quindi osservando le forme previste dall'articolo 127), entro 30 giorni dalla proposizione del ricorso, con l’intervento facoltativo delle parti interessate, pronunciando decisione che può avere contenuto procedurale (inammissibilità) ovvero di rigetto o accoglimento del ricorso, con eventuale rinvio al giudice di primo o secondo grado per la sua nuova decisione. Se è stata annullata con rinvio su corso dell'imputato un'ordinanza che ha disposto o confermato la misura coercitiva ai sensi dell'articolo 309 comma 9, il giudice decide entro 10 giorni dalla ricezione degli atti e l'ordinanza è depositata in cancelleria entro 30 giorni dalla decisione. Se non sono rispettati tali termini che ordinanza che ha disposto la misura coercitiva perde efficacia. (Comma V bis aggiunto dalla l. 47/2015). L'applicazione provvisoria di misure di sicurezza. Ex art. 312 nei casi previsti dalla legge, l’applicazione provvisoria, è disposta dal giudice su richiesta del P.M, in qualunque stato e grado del procedimento, quando sussistono gravi indizi di commissione de fatto e non ricorrono le condizioni ex art 273.2 ovvero sia contemporaneamente esclusa la ricorrenza di una delle cause di non punibilità o di estinzione. Il giudice deve accertare in concreto la sussistenza dalla «pericolosità sociale» del soggetto contro cui si sta procedendo, in quanto risulti rientrare nell'ambito dei soggetti ai quali testualmente si riferisce l'art. 206 c.p. ovvero a parte il minorenne (per il quale dovrà provvedere il competente giudice minorile), l'infermo di mente, o l'ubriaco abituale, la persona dedita all'uso di sostanze stupefacenti, o in stato di cronica intossicazione da alcool o da stupefacenti. Si desume dall'art. 313 comma 1° che la pronuncia del provvedimento applicativo della misura di sicurezza (destinato ad assumere le forme dell'ordinanza, a norma dell'art. 292) dovrà, di regola, essere preceduta dall'interrogatorio dell'imputato, ove ciò non sia possibile, l'indiziato sottoposto in via provvisoria alla misura di sicurezza dovrà essere interrogato dal giudice per le indagini preliminari non oltre cinque giorni dall'inizio dell'esecuzione della stessa, ed al termine di tale interrogatorio il medesimo giudice, dopo aver valutato la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto della misura adottata, potrà anche disporne la revoca. Tipica causa estintiva di queste ultime misure è, invece, quella già evidenziata dall'art. 206 comma 2°c.p., col prevedere la revoca delle stesse allorquando le persone ad esse sottoposte «non siano più socialmente pericolose». Allo scopo di dare concretezza a questa previsione l'art. 313 comma 2° impone al giudice di procedere anche d'ufficio (oltreché, naturalmente, su richiesta di parte) ad una sorta di periodico riesame circa la «pericolosità sociale» dell'imputato assoggettato a misura di sicurezza, prescrivendogli -nuovi accertamenti» sul punto nei termini fissati dall'art. 72: dunque, al più tardi, allo scadere del sesto mese dalla pronuncia dell'ordinanza (od anche prima, quando se ne ravvisi la notificato al difensore e a chi ha proposto la richiesta. Fino al giorno dell'udienza gli atti restano depositati in cancelleria. Si applicano le disposizioni dell'articolo 309 commi 9 e 10. La revoca del provvedimento di sequestro può essere parziale e non può essere disposta nei casi indicati nell'articolo 240 comma 2 del codice penale. Il giudice del riesame, nel caso di contestazione della proprietà, rinvia la decisione della controversia al giudice civile, mantenendo nel frattempo il sequestro. Si prevede, infine, che tutte le ordinanze emesse dal tribunale in sede di riesame intorno ai provvedimenti di sequestro siano suscettibili di ricorso per cassazione. Tuttavia si ammette esplicitamente – anche qui sulla scorta della disciplina dettata ex art. 311 comma 2° in materia di misure di coercizione personale – che lo stesso ricorso possa venire altresì proposto «direttamente» contro i medesimi provvedimenti di sequestro, in quanto emessi dal giudice, con la conseguenza che in tal caso il ricorso «rende inammissibile la richiesta di riesame» (art. 325 commi 1° e 2°). La modifica dell’art. 325, avvenuta con la riforma Orlando, riguarda il 3° comma, nel quale il rinvio all’applicabilità delle disposizioni dell’art. 311 è stato ampliato, affiancando al richiamo, già previsto, al 3° e al 4° comma di tale disposizione quello al 5° comma: pertanto, al pari di quel accade per le misure cautelari personali, anche per quelle reali la corte di cassazione dovrà decidere il ricorso entro trenta giorni dalla ricezione degli atti, osservando le forme previste dall’art. 127 Giudicato cautelare – la giurisprudenza ha affermato il principio per il quale anche alle ordinanze adottate ex art. 309 e 310, e non impugnate dal tribunale, nonché alle pronunce della corte di cassazione in ordine a tali ordinanze, vada riconosciuta una seppur limitata efficacia preclusiva di natura endoprocessuale fondata sull’art 649. Quindi solo un apprezzabile mutamento del fatto consentirebbe la reiterazione di: un’ordinanza applicativa di misura cautelare annullata dal tribunale del riesame per merito, sia la revoca per inidoneità degli inizi della stessa ordinanza divenuta definitiva, sia la reiterazione di una richiesta di revoca qualora un’ordinanza di rigetto della precedente istanza sia stata confermata in sede di impugnazione. A differenza della cosa giudicata, il giudicato cautelare copre solo il dedotto ma non il deducibile. CAPITOLO V - INDAGINI PRELIMINARI E UDIENZA PRELIMINARE Le indagini preliminari – ex art 326 cpp sono l'attività di ricerca e raccolta di informazioni che il pubblico ministero e la polizia giudiziaria, acquisita la notizia che un reato sarebbe stato commesso, svolgono per consentire allo stesso pubblico ministero di assumere «le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale», cioè di decidere se esercitare o non esercitare tale azione. Le indagini preliminari sono considerate quindi una fase meramente preparatoria, ed in virtù della loro finalità di assumere elementi necessari per l’azione ma privi di valore probatorio per il giudizio, non sono caratterizzate dalla giurisdizionalità e pertanto sono collocate nel procedimento. Nella sua attuale configurazione, dovuta al codice di rito del 1988, il procedimento penale italiano è strutturato secondo il tradizionale schema bifasico scandito dal binomio ricerca-giustificazione. A una fase preliminare tendenzialmente segreta, fa seguito nell’eventualità in cui tale verifica di esito positivo, una fase pubblica (il dibattimento) che si svolge nel contraddittorio delle parti al cospetto di un giudice terzo, nel corso della quale si procede all’acquisizione delle prove e viene emessa la sentenza di condanna o di proscioglimento dell’imputato. Diversamente era disposto nel codice rocco del 1930, ove La fase istruttoria, condotta dal Pm o da un giudice istruttore aveva a tutti gli effetti natura processuale e giurisdizionale all’interno della quale venivano acquisite prove autentiche. Questo assetto sistematico presentava una grave controindicazione in quanto se l'istruzione sommaria o formale si concludeva con la verifica della fondatezza dell'ipotesi di accusa e quindi con il rinvio a giudizio dell'imputato, la successiva fase dibattimentale risultava pesantemente condizionata dai contenuti dell’attività preparatoria. L’istruzione formale o sommaria inoltre, postulava un accertamento tendenzialmente completo dei fatti rilevanti per la decisione sulla responsabilità: essa pertanto richiedeva stesso tempi lunghi di espletamento e produceva un amore notevole di materiali cognitivi. Il dibattimento rischiava dunque di venir celebrato a distanza di anni dall’episodio criminoso, quando il ricorso dei fatti, nella mente dei testimoni erano evitabili mente e meno vivido di quanto non fosse all’epoca delle deposizioni rese al pubblico ministero o al giudice istruttore. Ciò aveva permesso l’insorgere di prassi mortificanti del principio di oralità, immediatezza e contraddittorio nel momento di formazione della prova: molto spesso, il giudice dibattimentale si limitava a chiedere al testimone convocato in giudizio se fossi o meno sua intenzione confermare le dichiarazioni rese in istruttoria. Rilevati tali punti di criticità, il legislatore del 1988 ha ritenuto opportuno intervenire radicalmente sulla struttura della fase preparatoria, detta oggi fase delle indagini preliminari, incidendo tanto sulla natura degli atti di indagini quanto sul loro contenuto. Innanzitutto è stata eliminata la figura del giudice istruttore, affidando al solo pubblico ministero la gestione della fase investigativa (con l’ausilio della polizia giudiziaria); la scelta tra archiviazione e azione penale è stata spostata al termine della fase preparatoria. Dopo aver constatato, all’esito della fase preparatoria, la sostenibilità dell’ipotesi d’accusa, il pubblico ministero chiede ad un giudice che l’imputato sia citato in giudizio (cioè in dibattimento). La richiesta di rinvio a giudizio costituisce essa stessa l’atto di esercizio dell’azione penale e contiene la prima formulazione dell’imputazione. Soggetti della fase delle indagini preliminari – protagonisti della attività di indagine preliminare sono il Pm e la polizia giudiziaria. A) Il pubblico ministero, titolare dell’accusa, cui l’art. 50 del codice di rito demanda la funzione di assumere tutte le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, con l’ausilio della polizia giudiziaria posta alle sue strette dipendenze. Su di esso ricade la direzione delle indagini, infatti compie personalmente tutto quanto necessario ai fini ex art 326. Il carattere di obiettività che permea tale figura, impone che la stessa compia anche accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini. B) La polizia giudiziaria affianca il Pm in posizione ancillare così come sancito ex art 327 per cui il Pm dirige le indagini e dispone direttamente della polizia giudiziaria. Il legislatore del 1988 ha inoltre sancito la stretta subordinazione della Pg all’autorità giudiziaria per evitare che il giudice possa essere condizionato dalla Pg. Tuttavia la Pg mantiene anche un proprio ambito di competenza autonomo, in cui svolge attività di propria iniziativa. Il segreto sugli atti di indagine 329 cpp– per impedire che la conoscenza degli atti investigativi possa pregiudicare l’attività di individuazione e raccolta degli elementi necessari all’esercizio dell’azione penale, si impone che i soggetti che partecipano e concorrono alla formazione degli atti, siano tenuti all’obbligo del segreto. Il segreto, nella sua dimensione interna si estende per tutta la fase delle indagini preliminari, ma rischia di scontrarsi con quello che è il diritto di difesa; ragion per cui in ossequio a quest’ultimo è destinato a cadere ogni qual volta l’imputato possa o debba avere conoscenza dell’atto. Gli atti del procedimento penale si distinguono in: atti coperti da segreto; atti non coperti da segreto ma non pubblicabili (se non nel contenuto); atti non coperti da segreto e pubblicabili. Il segreto di indagine vuole impedire che la conoscenza dell’attività investigativa si diffonda a soggetti non direttamente coinvolti nel processo penale. Lo stesso art 329 al comma 2 prevede una deroga al principio: quando è necessario per la prosecuzione delle indagini, il pubblico ministero può, in deroga a quanto previsto dall'articolo 114, consentire, con decreto motivato, la pubblicazione di singoli atti o di parti di essi. Inoltre anche quando gli atti non sono più coperti dal segreto, il pubblico ministero, in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, può disporre con decreto motivato: l'obbligo del segreto per singoli atti, quando l'imputato lo consente o quando la conoscenza dell'atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone; ed il divieto di pubblicare il contenuto di singoli atti o notizie specifiche relative a determinate operazioni. Diritti di difesa e ruolo delle parti private – visto che la segretezza dell’attività di indagine potrebbe scontrarsi con il diritto di difesa, è attribuito un importante ruolo anche ai difensori i quali possono procedere alle investigazioni personalmente o conferire un apposito incarico ad un sostituto o ad investigatori privati autorizzati dalla prefettura, a consulenti tecnici. A tali soggetti sono riconosciute le stesse garanzie di libertà accordate al difensore. Diritti di informazione e partecipazione sono previsti inoltre per la persona offesa il cui ruolo è stato valorizzato dalle direttive europee, dal legislatore che gli ha attribuito tutta una serie di diritti e facoltà e dalla riforma orlando che di questo ultimo aspetto ne ha ampliato la portata. Non sono invece presenti sulla scena delle indagini le parti eventuali del processo che sono legittimate a costituirsi nella fase dell’udienza preliminare, anche se nulla vieta che nel caso di art 391 nonies i relativi difensori possano svolgere attività difensiva anche prima della loro formale costituzione per il caso che un procedimento possa essere instaurato. 4.Il giudice per le indagini preliminari e il giudice dell'udienza preliminare - Per salvaguardare il carattere non giurisdizionale della fase delle indagini preliminari, le decisioni incidenti sui diritti costituzionalmente garantiti, in tale fase sono affidate al GIP; un giudice privo di poteri di iniziativa nella conduzione dell'inchiesta chiamato unicamente a provvedere nei casi previsti dalla legge, sulle richieste del pubblico ministero, delle parti private e della persona offesa dal reato (art 328 comma 1°). Tra i suoi poteri vi sono in primo luogo quelli di controllo in ordine a decisioni inerenti le libertà fondamentali, i diritti alla proprietà o disponibilità dei beni. Infatti egli può essere chiamato ad emettere provvedimenti di natura cautelare, disporre la convalida delle misure precautelari, disporre l’accompagnamento coattivo, autorizzare atti che incidono sulla inviolabilità della comunicazione e del domicilio, decidere sulla restituzione di cose sequestrare, autorizzare il prelievo di campioni biologici. Dal punto di vista strettamente processuale, invece, compie accertamenti sulla capacità dell’imputato, autorizza il difensore a conferire, ricevere dichiarazioni da persona detenuta nel corso delle indagini difensive; decide sulla richiesta del difensore di ottenere documenti dalla PA nei casi di diniego di quest’ultima, provvede all’acquisizione anticipata della prova nei casi di incidente probatorio (392 ss.); controlla che siano rispettati i tempi dell’indagine (nell’ambito della procedura di proroga dei termini investigativi: articolo 406); controlla che sia rispettato il principio di obbligatorietà dell’azione penale. Le funzioni di GIP sono esercitate da un magistrato del tribunale nel cui circondario è stato commesso il reato. La regola si applica sia nell'ipotesi in cui competente per materia sia il tribunale, sia nell'ipotesi in cui competente per materia se la corte d’assise. Ex art 328c.p.p. quando si tratta di procedimenti per i delitti indicati nell'articolo 51 commi 3-bis e 3-quater e 3 quinquies, (associazione per delinquere finalizzata alla riduzione o al mantenimento della schiavitù; tratta di persone; sequestro di persona a scopo estorsivo; reati a sfondo sessuale) le funzioni di giudice per le indagini preliminari sono esercitate, salve specifiche disposizioni di legge, da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente. Nell'ambito di un medesimo procedimento, GIP e GUP non possono di regola, essere la stessa persona fisica. Più esattamente il magistrato che abbia svolto le funzioni di GIP non può nel medesimo procedimento, tenere l’udienza preliminare (art 34 comma 2 bis), a meno che il suo coinvolgimento delle indagini sia coinciso con la sola adozione di autorizzazioni sanitarie; i provvedimenti relativi ai permessi di colloquio, alla corrispondenza telefonica e al visto di controllo sulla corrispondenza; il provvedimento di restituzione nel termine; il provvedimento che dichiara la latitanza a norma dell'articolo 296 (7). Notizia di reato, l’avvio del procedimento - La notizia di reato (o come si suole dire la notitia criminis) è l'informazione che un reato sarebbe stato commesso da una o più persone non identificate (notizia generica) o identificate (notizia specifica) ed è il punto dal quale prende avvio la fase del procedimento. Il codice non offre alcuna definizione di notizia di reato, tuttavia tale può ritenersi ogni prospettazione attendibile di un fatto storico idoneo ad integrare gli estremi di un reato. L’art 330 nel sancire che il Pm e la Pg prendono notizia dei reati di propria iniziativa e ricevono le notizie di reato a norma degli articoli seguenti, segna una duplice modalità di acquisizione. Le notizie di reato trasmesse o presentate agli organi inquirenti come denuncia da parte di pubblici ufficiali, di incaricati di pubblico servizio o da parte dei privati, o il referto sono notizie qualificate. Accanto a queste vi sono poi le notizie non qualificate, ovvero tutti quegli eventi fenomenici idonei a prospettare la possibilità di commissione di un reato, come ad esempio le notizie di fonte giornalistica, la constatazione diretta di un fatto, o anche una informazione confidenziale. Presupposto dello sviluppo della fase procedimentale, è che una volta acquisita una notizia di reato, il Pm è tenuto a provvedere immediatamente all'iscrizione, nell’apposito registro delle notizie di reato ex art 335. Contestualmente all’iscrizione della notizia di reato va annotato nel registro anche il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito, insieme alla qualificazione giuridica del fatto e le circostanze del reato vanno menzionate nel registro. Inoltre il Pm ha il compito di aggiornare l’iscrizione qualora muti la qualificazione giuridica del fatto ovvero quando risulti diversamente circostanziato. Con specifico riferimento alle notizie di reato non autoprodotte dagli organi inquirenti, queste possono essere presentate direttamente al pubblico ministero oppure alla polizia giudiziaria. In quest’ultimo caso essa deve riferire la notizia appresa al pubblico ministero entro 48 ore attraverso un’informativa scritta nella quale siano indicati per iscritto tutti gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, le fonti di prova e le attività compiute, trasmettendone inoltre la relativa documentazione, affinché il pubblico ministero provveda alla dovuta iscrizione nell’apposito L'autorizzazione a procedere e l’autorizzazione ad acta– nei confronti di alcuni soggetti, sono previsti una serie di limiti e divieti di varia natura fino a quando l’autorità pubblica competente, sollecitata dal Pm non abbia deliberato l’autorizzazione a procedere, rimuovendo l’ostacolo legislativamente stabilito all’ordinario svolgimento delle funzioni giudiziarie. La ratio di tale autorizzazione è che una volta concessa non può essere revocata. In particolare, l’autorizzazione a procedere è necessaria per i reati commessi dal presidente del Consiglio dei ministri o di un ministro, anche se cessati dalla carica, per reati commessi nell’esercizio delle funzioni (c.d. reati ministeriali); reati commessi da un giudice ordinario o aggregato della Corte costituzionale. L’autorizzazione a procedere è prevista poi per alcuni delitti contro la personalità dello stato (ex art 313 disfattismo politico, favoreggiamento bellico, vilipendio della repubblica, offesa alla bandiera o altro emblema) L’autorizzazione è rilasciata dalla competente autorità su richiesta del pubblico ministero, che deve essere formulata prima dell'esercizio dell'azione penale e comunque entro 30 giorni dall’iscrizione nel registro delle notizie di reato del nome della persona per la quale è necessaria l’autorizzazione. Qualora, invece, la necessità del provvedimento autorizzativo sorga a seguito dell’esercizio dell’azione penale, il giudice sospende il processo e il pubblico ministero richiede senza ritardo l’autorizzazione (in questo caso si configura una condizione di proseguibilità). Quando si procede nei confronti di più persone, e solo per alcune di esse è necessaria l’autorizzazione è previsto che si possa procedere separatamente contro coloro per i quali l’autorizzazione non è necessaria. Un limite è imposto ai poteri di indagine del Pm il quale a pena di inutilizzabilità dei risultati probatori non può, fino a quando non sia concessa l’autorizzazione, compiere alcun provvedimento suscettibile di incidere sui diritti fondamentali dell’indiziato, salvo caso di arresto in flagranza. Dalle autorizzazioni a procedere occorre distinguere le c.d. autorizzazioni ad acta che non condizionano l’esercizio dell’azione penale ma l’adozione, di regola, nel corso delle indagini preliminari, di provvedimenti coercitivi di varia natura a carico della persona sottoposta a procedimento penale. Si fa riferimento: (a) all’autorizzazione che va richiesta alla Camera di appartenenza per sottoporre i membri del Parlamento a perquisizione personale o domiciliare o a ispezione personale; per arrestarli (o privarli altrimenti della libertà personale) o mantenerli in detenzione, salvo che si tratti di dare esecuzione a una sentenza irrevocabile di condanna o il parlamentare sia stato colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza; per sottoporli ad intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, in qualsiasi forma. L’autorizzazione è richiesta dall’autorità che ha emesso il provvedimento da eseguire (pubblico ministero o giudice): in attesa dell’autorizzazione l’esecuzione rimane sospesa; (b) all’autorizzazione che va richiesta alla Corte costituzionale se un giudice ordinario o aggregato della Corte deve essere arrestato, o altrimenti privato della libertà personale, o sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, salvo che questi sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è obbligatorio il mandato o l’ordine di cattura; (c) all’autorizzazione che va richiesta al Parlamento europeo, per compiere uno degli atti di cui sub (a), nei confronti di un componente italiano di tale assemblea parlamentare; (d) all’autorizzazione che nell’ambito di procedimenti per reati ministeriali va chiesta ad una delle due Camere per sottoporre il presidente del Consiglio dei ministri o un ministro a misure limitative della libertà personale, intercettazioni, perquisizioni [ricordiamo che la competenza a giudicare dei c.d. reati ministeriali, prima spettante alla Corte costituzionale, è oggi riconosciuta al giudice ordinario, nella specie il tribunale del capoluogo del distretto di corte d’appello competente per territorio e che le funzioni di pubblico ministero e di GIP sono cumulano in uno speciale collegio composto di 3 magistrati effettivi, estratti a sorte tra tutti i magistrati in servizio nei tribunali del distretto, che detengano da almeno 5 anni la qualifica di magistrato]. Le attività della polizia giudiziaria nelle indagini preliminari. I compiti della polizia giudiziaria, ed i suoi rapporti con il Pm sono esposti nell’art 55 cpp che al comma primo propone una tripartizione delle sue funzioni: deve di propria iniziativa prendere notizia dei reati; ricercarne gli autori; compiere atti necessari ad assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale. Una volta che sia intervenuto il Pm essa deve in primo luogo compiere gli atti delegati ed in secondo luogo eseguire le direttive del Pm: si parla pertanto di attività delegata e guidata. Agli articoli 349/357 sono disciplinati tutta una serie di atti di indagine che riguardano: • identificazione della persona sottoposta alle indagini. E’ operata sulla base delle dichiarazioni fornite dallo stesso soggetto, invitando l’indagato a dichiarare le proprie generalità e quant’altro serva a identificarlo, potendolo sottoporre a fermo identificativo per non più di 24 ore. Qualora il soggetto rifiuti di dichiarare la propria identità, gli agenti o ufficiali di polizia giudiziaria potranno anche avvalersi di rilievo dattiloscopici, fotografici o antropometrici, procedere al prelievo di materiale biologico onde risalire al profilo genetico dell’indagato. • assunzione di sommarie informazioni provenienti dalla persona sottoposta alle indagini, da persone informate sui fatti e da imputati o indagati in procedimenti connessi o collegati. A regolare l’assunzione del contributo conoscitivo della persona sottoposta alle indagini, provvede l’art. 350, all’interno del quale trovano luogo tre differenti discipline che concernono altrettanti casi di assunzione di informazioni dal medesimo soggetto. In primo luogo, può trattarsi di assunzione di informazioni – da parte di un ufficiale di polizia giudiziaria - dal soggetto che non sia in stato di arresto o di fermo, né sottoposto alla misura 384 bis. E’ il quasi interrogatorio esperito nelle forme dell’art. 64 che deve svolgersi a pena di nullità assoluta alla presenza del difensore che ha l’obbligo di presenziare al compimento dell’atto. Le informazioni così assunte potranno essere utilizzate in dibattimento per le contestazioni ex art 503. Il 5 e 6 comma dell’articolo disciplinano la differente ipotesi delle informazioni assunte sempre da parte degli ufficiali di polizia giudiziaria, sul luogo o nell’immediatezza del fatto; si tratta di informazioni utili esclusivamente per la prosecuzione delle indagini che possono essere assunte anche in assenza del difensore. Ai sensi del comma 7 la polizia giudiziaria può infine ricevere le dichiarazioni spontanee della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; il carattere spontaneo della dichiarazione riflette un diverso corredo di garanzie; infatti il mancato richiamo all’art 64 lascia dedurre che non siano dovuti al soggetto i relativi avvisi. Agenti ed ufficiali di polizia giudiziaria possono poi assumere informazioni da soggetti informati sui fatti, con le stesse garanzie che presidiano l’assunzione della prova testimoniale. Si applicano infatti diverse disposizioni normative: come il non poter essere costretti a deporre su fatti dai quali emerge la propria responsabilità; i prossimi congiunti dell’indagato devono essere avvisati a pena di nullità della facoltà di astenersi dal rendere dichiarazioni; possono astenersi i soggetti in capo ai quali penda segreto professionale, d’ufficio o di stato. Inoltre, in vista della tutela dei soggetti deboli, è previsto che gli agenti di polizia giudiziaria sia nei confronti di testimoni minori, vittime di particolari e gravi reati, sia nei confronti dei maggiorenni offesi dai medesimi reati, proceda con l’aiuto di un esperto in psicologia, assicurando che la persona offesa non abbia contatti con la persona sottoposta alle indagini e non sia chiamata a rendere più volte a rendere sommarie informazioni salva la assoluta necessità per le indagini. Accomunata sotto la rubrica “assunzione di sommarie informazioni” vi è anche quella dei soggetti che rivestono ruolo di potenziali testimoni perché imputati in un procedimento connesso o reato collegato. Prima di procedere ad audizione, il soggetto deve essere avvisato della facoltà di essere assistito da un difensore di fiducia o in alternativa da uno d’ufficio, il quale tempestivamente affidato ha la facoltà di assistere all’atto. • Infine, la polizia giudiziaria può procedere a perquisizione personale e locale, anche in mancanza di provvedimento autorizzativo del pubblico ministero (seppur sia necessaria la successiva convalida), in casi di necessità e urgenza, ovvero nei casi di flagranza di reato o di evasione, quando si ritenga che siano state occultate il corpo del reato ovvero prove o tracce a esso pertinenti che possono essere distrutte (e in questo caso, qualora la cose venga rintracciata, la polizia potrà procedere al sequestro) o, nel caso del reato di evasione, il soggetto evaso si trovi nascosto in un determinato luogo. Una ipotesi peculiare è rappresentata dalle perquisizioni informatiche, alle quali potranno procedere quando vi sia fondato motivo di ritenere che in questi si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi. Nel procedere alle operazioni di perquisizione è necessario operare con modalità tali ad assicurare la conservazione del materiale informatico ed impedirne l’alterazione. Di regola sono legittimati alla perquisizione solo gli ufficiali di polizia giudiziaria, ma nei casi di necessità ed urgenza possono procedervi anche gli agenti senza motivare le ragioni del loro intervento. Le modalità di esecuzione seguono la normativa prevista nel libro III. Le attività del pubblico ministero nelle indagini preliminari: Il pubblico ministero dirige e svolge le indagini finalizzate all’accertamento del fatto e all’individuazione del colpevole, compiendo ogni attività utile alle valutazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale, con l’ausilio della polizia giudiziaria. Tuttavia nel titolo dedicato alle attività del Pm trova luogo la disciplina solo di alcuni degli strumenti legislativamente previsti. Parliamo di accertamenti tecnici, prelievo coattivo di campioni biologici; assunzione di informazioni ed individuazione di persone o di cose; interrogatorio della persona sottoposta alle indagini. • Accertamenti tecnici – Qualora sia necessario effettuare degli accertamenti, rilievi o operazioni che richiedano specifiche una specifica competenza professionale, il pubblico ministero può avvalersi di consulenti (nominati tra coloro che risultino iscritte nell’albo dei periti) chiamati a offrire, mediante parere, contributi di natura tecnico-scientifica, fondate su cognizione specialistiche non possedute dall’inquirente. Se questa attività è ripetibile (attraverso l’effettuazione di una perizia) nel corso del dibattimento, sede naturale di formazione della prova, la consulenza tecnica non è un atto garantito e si svolge senza avviso e senza la partecipazione dei difensori delle parti. Esempio: in un'indagine relativa ad un'ipotesi di truffa il pubblico ministero nomina un consulente per verificare se la firma degli assegni potesse essere collegata alla persona sottoposta alle indagini. Questa attività è ripetibile nel corso di un eventuale dibattimento. Quando, si tratti di accertamenti tecnici che non potranno essere ripetuti in un futuro eventuale dibattimento (360), poiché essi riguardano persone, cose o luoghi soggetti a modificazione (ad esempio, esame autoptico o analisi di una sostanza che comporta la distruzione della stessa, subito dopo la sua esecuzione) – poiché in tal caso l’accertamento è destinato ad acquisire rilevanza probatoria e, dunque, a poter essere utilizzato ai fini della decisione del giudice – il pubblico ministero dovrà immediatamente avvisare, l’indagato e la persona offesa (e i rispettivi difensori) del giorno, dell’ora e del luogo dell’accertamento, affinché questi siano posti nelle condizioni di fornire il proprio contributo, eventualmente nominando un consulente tecnico di parte. Si tenga presente che l’obbligo di avviso e la correlativa sanzione di nullità per l’inadempimento ricorrono solo nel caso in cui al momento del conferimento dell’incarico al consulente sia stata già individuata la persona nei confronti della quale si procede. Se prima del conferimento dell'incarico la persona sottoposta alle indagini fa riserva di chiedere al giudice che la prova sia assunta con le forme della perizia in incidente probatorio, il pubblico ministero non può fare luogo all'accertamento tecnico a meno che ritenga che l'atto, in caso di differimento, non sarebbe più compiuto utilmente. Così facendo l’indagato consegue il vantaggio di investire dell’accertamento tecnico il giudice (GIP), che provvederà a nominare un proprio perito, con maggiori garanzie di neutralità. La riforma Orlando è intervenuta in materia introducendo il comma 4 bis ai sensi del quale la riserva al comma 4 perde efficacia e non può essere riformulata se la richiesta di incidente probatorio non è proposta entro il termine di 10 giorni dalla formulazione della riserva stessa. Inoltre ha modificato il comma 5 sancendo che fuori del caso di inefficacia della riserva di incidente probatorio previsto dal comma 4 bis, se il pubblico ministero, malgrado l'espressa riserva formulata dalla persona sottoposta alle indagini e pur non sussistendo le condizioni indicate nell'ultima parte del comma 4, ha ugualmente disposto di procedere agli accertamenti, i relativi risultati non possono essere utilizzati nel dibattimento • se l’accertamento tecnico supponga un prelievo di campione biologico o altra operazione che incida sul corpo umano, le relative operazioni devono avvenire nel rispetto dei diritti della persona; ed è attribuita al Pm proprio per attuare un più ampio ed articolato sistema di tutela della persona. Ex art 359 bis, qualora bisogna procedere agli accertamenti ex art 224 bis e non vi è il consenso della persona interessata, il pubblico ministero ne fa richiesta al giudice per le indagini preliminari che le autorizza con ordinanza quando ricorrono le condizioni ivi previste. Qualora la persona non si sottoponga volontariamente all’accertamento il Pm dispone l’accompagnamento coattivo al quale procedere la polizia giudiziaria accompagnando il soggetto presso il più vicino presidio ospedaliero al fine di sottoporlo all’accertamento. Prima di procedere, gli ufficiali di Pg devono essere muniti di decreto di autorizzazione da parte del Pm che, in casi di urgenza può essere adottato anche oralmente e successivamente confermato per iscritto. Del decreto delle operazioni da compiersi bisogna dare avviso al difensore dell’interessato che ha la facoltà di assistervi. Nelle 48 ore successive dal decreto del Pm questi deve chiedere la convalida del decreto e dell’accompagnamento coattivo al Gip. • il Pm può raccogliere informazioni dalle persone in grado di riferire circostanze utili ai fini delle indagini con le forme previste ex art 362; un atto di indagine omologo alla testimonianza ma utilizzabile di regola solo ai fini dell’art 326 ed in dibattimento nei casi di contestazione o di irreperibilità sopravvenuta. Il Pm quando deve procedere in tal senso le cita a comparire nelle forme previste dall’art 377; allo stesso modo provvede alla citazione di un consulente tecnico, interprete e custode delle cose sequestrate. Il decreto contiene le generalità della persona, giorno ora e luogo di comparizione, autorità innanzi alla quale presentarsi, avviso di accompagnamento coattivo. Le forme di assunzione di informazioni ex art 362 sono le medesime ex art 351 che disciplina il medesimo atto posto in essere però dalla polizia giudiziaria; così come alla medesima disciplina sono equiparate le conseguenze per l’eventuale dichiarante renitente, reticente o mendace, il quale è punibile ex art 351 bis comma 1. Nel caso di rifiuto è prevista la immediata procedibilità, mentre per le false dichiarazioni il procedimento resta sospeso fino a quando nel processo sia stata parte della polizia giudiziaria il cui esercizio può essere giustificato dalla gravità del fatto di reato e dalla pericolosità sociale del soggetto: ove riconosca la sussistenza dei presupposti di legge, il funzionario di polizia è obbligato a procedere all’arresto. 2) Fermo di indiziato di delitto (384)– il pubblico ministero dispone il fermo, previo assenso scritto del procuratore della repubblica, anche fuori dai casi di flagranza, quando sussistono specifici elementi che fanno ritenere fondato il pericolo di fuga concreto di una persona che sia gravemente indiziata di un delitto per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 2 anni e superiore nel massimo a 6 anni ovvero di un delitto riguardante le armi da guerra e gli esplosivi o di un delitto commesso per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico. La polizia può procedere al fermo di propria iniziativa solo dopo che il Pm abbia assunto la direzione delle indagini. L'espressione persona gravemente indiziato va intesa nel senso che devono esistere gli stessi gravi indizi di colpevolezza che legittimerebbero l’adozione di una misura cautelare ai sensi dell’articolo 273. Altra ipotesi di fermo, con caratteri peculiari, è quella prevista nei confronti di un soggetto scarcerato per decorrenza dei termini nelle ipotesi ex art 307.4 ovvero dell'imputato che, trasgredendo alle prescrizioni inerenti a una misura cautelare disposta a norma del comma 1 o nell'ipotesi prevista dal comma 2 lettera b), stia per darsi alla fuga. A tutti altri fini è invece preposto il fermo di identificazione esercitabile nei confronti dell’indagato e potenziali testimoni, quando questi si rifiutino di farsi identificare. L’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (384 bis): questa misura è stata introdotta di recente nel 2013 e gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, possono disporre l’allontanamento urgente di persona che sia stata colta in flagranza di uno dei delitti ex art 282 bis.6 (abuso di mezzi di correzione e disciplina, lesioni personali, reati di violenza sessuale, sfruttamento dei minori). Per procedere è necessario che la Pg sia autorizzata dal Pm per iscritto o oralmente. Presupposto per la sua applicabilità è la sussistenza di fondati motivi che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita e l’integrità fisica o psichica della persona offesa. L’intervento che è finalizzato a garantire tutela tempestiva alla vittima non si ferma all’immediato allontanamento del presunto colpevole, ma si estende ad obblighi informativi e di assistenza. Procedura di convalida delle misure precautelari - si caratterizza per la scelta del legislatore di affidare la decisione relativa alla convalida non al pubblico ministero, ma al GIP. Dopo l’esecuzione della misura precautelare, gli agenti e gli ufficiali di polizia giudiziaria sono tenuti a rispettare una serie di obblighi: a) dare immediata notizia della misura al pubblico ministero del luogo in cui l’arresto, il fermo o l’allontanamento è stato eseguito; b) informare l’arrestato, il fermato o l’allontanato della possibilità di nominare un difensore di fiducia (questo adempimento è necessario per poter consentire al soggetto arrestato o fermato di esercitare il diritto di conferire con il difensore subito dopo l’esecuzione della misura), e di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato nei casi previsti dalla legge; del diritto di ottenere informazioni in merito all’accusa; del diritto all’interprete alla traduzione di atti fondamentali; del diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere; del diritto di accedere agli atti sui quali si fonda l’arresto o il fermo; L’informazione di cui trattasi va data con comunicazione scritta che deve essere redatta in forma chiara e precisa e all’arrestato il fermato: se questi non comprende la lingua italiana deve essere tradotta in una lingua lui comprensibile. c) con il consenso dell’arrestato o del fermato dare senza ritardo notizia ai familiari dell’avvenuto arresto o fermo; d) porre l’arrestato o il fermato a disposizione del pubblico ministero al più presto e, comunque, non oltre le 24 ore dalla misura, mediante la conduzione del soggetto nella casa circondariale del luogo in cui l’arresto o il fermo sono stati eseguiti; e) trasmettere al pubblico ministero verbale di arresto o fermo, contenente l’eventuale nomina del difensore di fiducia, nonché l’indicazione del giorno, dell’ora e del luogo in cui la misura è stata eseguita. Entro 48 ore dall’arresto o dal fermo, il pubblico ministero richiede la convalida della misura precautelare al giudice per le indagini preliminari competente in relazione al luogo in cui l’arresto o il fermo è stato eseguito, sempreché non ritenga che il soggetto debba essere immediatamente scarcerato. La liberazione del soggetto arrestato o fermato può avvenire anche prima dell’udienza di convalida ad opera del pubblico ministero, quando: risulta evidente che l’arresto o il fermo è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge (389 comma 1°); ovvero quando il pubblico ministero ritiene di non dover chiedere al GIP l’applicazione di misure coercitive. Il giudice fissa l’udienza di convalida al più presto e, comunque, entro le 48 ore successive, dandone comunicazione al pubblico ministero e al difensore. L’udienza di convalida si svolge nel luogo in cui l’arrestato o il fermato si trova custodito, salvo che, nel caso di custodia nel proprio domicilio o altro luogo di privata dimora. Tuttavia, sussistendo eccezionali motivi di necessità e urgenza, il giudice con decreto motivato può disporre il trasferimento dell’arrestato o del fermato per la comparizione davanti a se. L’udienza si celebra in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del difensore (questi ha il diritto di analizzare preventivamente e di estrarre copia degli atti su cui si fonda la richiesta) dell’arrestato o del fermato, a pena di nullità assoluta; mentre non è più prevista come necessaria la presenza del pubblico ministero (che se non compare dovrà preventivamente trasmettere al giudice le sue richieste in ordine alla libertà personale del soggetto). Nel corso dell’udienza di convalida il GIP procede all’interrogatorio dell’arrestato, salvo che questi non abbia potuto o si sia rifiutato di comparire; sente in ogni caso il suo difensore: da ciò si ricava che l’udienza si celebra anche nel caso di legittimo impedimento dell’interessato. Al termine dell’udienza di convalida il giudice decide sulla base degli atti che gli sono stati trasmessi dal pubblico ministero e delle eventuali dichiarazioni dell’arrestato o del fermato; all’organo giurisdizionale spettano due distinte valutazioni: a) in primo luogo, deve verificare se l’arresto o il fermo sono stati legittimamente eseguiti e se sono stati osservati i termini previsti: se questa prima verifica da esito positivo, il giudice provvede alla convalida con ordinanza, mentre in caso contrario la richiesta di convalida dell’arresto in flagranza o del fermo di indiziato viene rigettata. Contro l’ordinanza che decide sulla convalida, il pubblico ministero e l’arrestato o il fermato possono proporre ricorso per cassazione; b) in secondo luogo, il giudice deve verificare se ricorrono le condizioni di applicabilità previste dall’art. 273 (gravi indizi di colpevolezza) e se sussiste taluna delle esigenze cautelari di cui all’art. 274: se questa duplice verifica da esito positivo, egli dispone – con separata ordinanza (autonomamente impugnabile mediante riesame) l’applicazione di una misura coercitiva, altrimenti – sempre con ordinanza – dispone l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato. Non esistono nessi di dipendenza funzionale tra le due decisioni: nulla vieta al giudice di rigettare la richiesta di convalida e di disporre, invece, una misura coercitiva ovvero di convalidare la misura precautelare o poi, in difetto di esigenze cautelari, disporre la liberazione del soggetto. Diritto di difesa nelle indagini preliminari L’art 111 enuncia tra i diritti riconosciuti all’imputato del processo penale, quello di essere informato il prima possibile della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico. Se la conoscenza è quindi premessa indefettibile per articolare una risposta in chiave difensiva, il diritto deve essere garantito anche nella fase delle indagini preliminari, compatibilmente con il vincolo di segretezza delle stesse. Tuttavia è possibile che l’intera fase preliminare si svolga senza che il diretto interessato ne sia a conoscenza, e solo quando il Pm si risolva ad esercitare l’azione penale vi è un preciso obbligo di inviare un avviso al soggetto con l’indicazione dell’enunciazione sommaria del fatto e delle norme di legge che si assumono violate. Si tratta comunque di una informazione tardiva, che avviene una volta conclusosi l’iter investigativo. Dispone al riguardo l’articolo 415 bis: prima che scada il termine di durata massima delle indagini, anche se prorogato, il pubblico ministero, se non deve formulare richiesta di archiviazione, fa notificare alla persona sottoposta alle indagini e al difensore un avviso di conclusione delle indagini preliminari contenente la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede e l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e della data e del luogo del fatto, con l’avvertimento che la documentazione relativa alle indagini espletate è depositata presso la segreteria del pubblico ministero e che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà di prenderne visione ed estrarre copia. Questo avviso è molto importante perché con l’avviso di conclusione delle indagini l’indagato viene reso partecipe di tutti i contenuti dell’indagine e messo in condizione di esercitare una serie di facoltà difensive volte a convincere il pubblico ministero a desistere dal proposito di esercitare l’azione penale. Infatti l’accertamento deve contenere a norma del comma tre dell’articolo 415 bis, anche l’avvertimento che l’indagato ha facoltà entro il termine di 20 giorni di: presentare memorie; produrre documenti; depositare la documentazione relativa ad investigazioni del difensore; chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine; presentarsi per rilasciare dichiarazioni; chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Resta da considerare l'ipotesi in cui l'indagine, svoltasi all'insaputa dell'indagato, si concluda con la richiesta di archiviazione. Se la richiesta è accolta de plano è possibile che la persona sottoposta all’indagine non sappia mai di essere stata oggetto di un’investigazione penale: il decreto di archiviazione va infatti notificato ai soli indagati a cui nel corso del procedimento sia stata applicata la misura della custodia cautelare (409 comma 1°). Se invece il giudice per le indagini preliminari, fissa l’udienza in camera di consiglio di cui all’articolo 409 comma 2°, l’indagato a prendere delle esistenza del procedimento a suo carico nel momento in cui viene notificato l’avviso di fissazione dell’udienza camerale. Prima di tale momento, la persona sottoposta alle indagini può avere conoscenza dell’esistenza di un procedimento a suo carico solo in via eventuale; infatti l’informazione potrà pervenirle o meno a seconda della strategia investigativa degli organi inquirenti. Un ruolo centrale riveste in proposito l’informazione di garanzia: un avviso che il Pm deve inviare al compimento del primo atto al quale il difensore ha diritto di assistere, alla persona sottoposta alle indagini e alla persona offesa. Quanto al contenuto devono essere indicati: le norme di legge che si assumono violate, l’indicazione della data e del luogo del fatto e l’invito a nominare un difensore di fiducia. Si noti che nell’informazione di garanzia non si illustra il fatto ma solo gli elementi formali dell’addebito pertanto con essa si pone l’indagato nella possibilità di nominare un difensore di fiducia in grado di assistere all’atto di indagine in funzione del quale l’informazione è stata inviata. Il comma 1 bis introdotto all’art 369 sancisce che il pubblico ministero informa altresì la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa del diritto alla comunicazione previsto dall'articolo 335, comma ovvero ove i soggetti ne facciano richiesta. Viste le ambiguità di fondo della disciplina, tra vecchio e nuovo codice, il legislatore è intervenuto nel 1995 precisando che il pubblico ministero il potere dovere di inviare l'informazione di garanzia solo quando debba compiere un atto investigativo garantito. Vincolando l'invio dell'informazione di garanzia al compimento del primo atto garantito, la legge del 95 ha inteso contenere nei limiti dell’indispensabile il pregiudizio all’immagine pubblica dell’indagato: ma la riforma ha finito per ridurre ai minimi termini anche la portata garantistica dell’istituto, alimentando i tubi di violazione dell’articolo 111 comma 3 Cost. Vi sono poi tutta una serie di atti che vengono considerati come equipollenti all’informazione di garanzia. Parliamo dell’avviso che il Pm deve inviare nel caso in cui debba disporre un accertamento tecnico irripetibile; ovvero un interrogatorio; oppure la consegna dei decreti di perquisizione e di sequestro all’imputato. La notizia che si stanno svolgendo indagini a carico di un soggetto, che fino a quel momento ne sia stato all’oscuro, può pervenire anche nel corso di attività di indagine di polizia giudiziaria che si svolgano in sua presenza (sommarie informazioni o perquisizioni). E’ possibile infine che la conoscenza avvenga per iniziativa del diretto interessato, il quale ha motivo di ritenere di essere sottoposto a delle indagini. Ex art 335.3 infatti l’iscrizione della notizia di reato e gli eventuali aggiornamenti sono comunicate alla persona alla quale il reato è attribuito, alla persona offesa e ai rispettivi difensori qualora ne facciano richiesta. Ovviamente tale comunicazione è esclusa quando si stia procedendo per uno dei delitti di cui all’articolo 407 comma 2° lett. a; quando, il Pm nel decidere sulla richiesta, abbia disposto con decreto motivato, per specifiche esigenze attinenti all'attività di indagine, il segreto sulle iscrizioni per un periodo non superiore a tre mesi e non rinnovabile. In questi casi, come nell’ipotesi in cui non risultino iscrizioni, la segreteria risponde con la formula non risultano iscrizioni suscettibili di comunicazione. La nomina del difensore - La persona sottoposta a indagine deve essere assistita nel corso della fase investigativa da un avvocato difensore. A norma dell’articolo 369 bis al compimento del primo atto a cui difensore ha diritto di assistere e comunque, prima dell’invito a presentarsi per rendere interrogatorio, ovvero al più tardi, contestualmente all’avviso della conclusione delle indagini preliminari ai sensi dell’articolo 415 bis, il pubblico ministero a pena di nullità degli atti successivi, deve notificare alla persona sottoposta alle indagini la comunicazione della nomina del difensore d’ufficio (369 bis). Tale comunicazione deve contenere: L’informazione dell’obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale, con l’indicazione della facoltà e dei diritti attribuiti dalla legge alla persona sottoposta alle indagini; Il nominativo del difensore d’ufficio e il suo indirizzo e recapito telefonico; L'indicazione della facoltà di nominare un difensore di fiducia con l'avvertimento che in mancanza l'indagato sarà assistito da quello nominato d’ufficio; L'indicazione dell'obbligo di retribuire il difensore d'ufficio ove non sussistano le condizioni per accedere al patrocinio a spese dello Stato e l’avvertimento che, in caso di insolvenza si procederà ad esecuzione forzata; L’informazione del diritto all’interprete e alla traduzione di atti fondamentali; L’indicazione delle condizioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Atti Irripetibili – ex art 391 decies, in occasione dell’accesso ai luoghi, il difensore può svolgere anche rilievi irripetibili: atti ricognitivi che non comportano un’attività invasiva o valutazioni proprie degli accertamenti tecnici e che hanno ad oggetto cose o luoghi soggetti a modificazioni che devono essere svolti tempestivamente per evitare la distorsione degli elementi di prova. Il Pm ha la facoltà di assistere al compimento di tali atti personalmente o a mezzo di delega alla polizia giudiziaria. In tal caso il verbale sarà inserito nel fascicolo del difensore e del Pm e confluirà nel fascicolo per il dibattimento. Anche in occasione diversa dall’accesso ai luoghi il difensore può svolgere accertamenti tecnici ripetibili e non e lo si ricava al comma il quale sancisce la possibilità per il difensore di svolgere tali accertamenti dandone avviso senza ritardo al Pm per l’esercizio delle facoltà previste. Fascicolo del difensore art 391 octies – Gli atti compiuti dal difensore nella fase delle indagini preliminari, sono contenuti all’interno del fascicolo in commento; uno strumento processuale introdotto per garantire la conoscenza degli atti di investigazione difensiva da parte del giudice, che va a formato e conservato presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari (391 octies) Dei contenuti del fascicolo del difensore il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia prima che venga adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento: ciò significa che tali contenuti devono rimanere segreti per la parte pubblica fino al momento in cui la difesa venga coinvolta nell’emanazione di una decisione al giudice. Il difensore ha ampia possibilità di servirsi del materiale cognitivo raccolto, nelle quali l’ostensione probatoria delinea innanzitutto una dialogo tra difensore e giudice. Il comma 4 dell’articolo prospetta altresì una dialogo tra le parti prevedendo che il difensore possa presentare gli elementi di prova raccolti, direttamente dal Pm. Stando al comma 1 il difensore ha anche la possibilità di far pervenire gli elementi di prova raccolti al giudice dell’udienza preliminare; prima dell’inizio della discussione potranno essere presentati i risultati ottenuti nella fase delle indagini ma non depositati in precedenza. Ove poi l’udienza preliminare rappresenti la scena per lo svolgimento di un rito speciale, tale documentazione risulta inutilizzabile in quella sede anche per il giudizio. Tuttavia il rito abbreviato rappresenta in tal senso un discorso controverso. Infatti ove si concordi che il contraddittorio possa essere derogato solo ove le parti prestino acquiescenza rispetto ad una diversa modalità di accertamento, non dovrebbe essere ammesso che sia la stessa parte che ha formato unilateralmente gli elementi di prova a consentire l’utilizzabilità degli stessi. Nel rito abbreviato, ove l’imputato si sia avvalso della facoltà di depositare i risultati delle proprie investigazioni difensive, realizza con la sola richiesta di accesso al rito una trasformazione dei propri elementi in prove utilizzabili dal giudice. Nella fase dibattimentale, si ritiene che il contenuto del fascicolo del difensore, possa essere impiegato per le contestazioni e le letture. Incidente probatorio ART 392 - Sede naturale di acquisizione delle prove è il dibattimento, alla presenza di un giudice terzo e imparziale e nel contraddittorio delle parti, mentre sappiamo che nel corso delle indagini preliminari, il pubblico ministero e la polizia giudiziaria non raccolgono prove, ma fonti di prova prive in se di rilevanza probatoria. Tuttavia non sempre è possibile 0 3 0 0attendere l’udienza pubblica per raccogliere la prova; Il legislatore si è rappresentato l'eventualità che nel corso delle indagini preliminari debbano compiersi atti di acquisizione probatoria sicuramente o prevedibilmente non ripetibili in dibattimento, ed il cui 0 3 0 0risultato non potrà essere sottratto alla cognizione del giudice del giudizio. Per tale eventualità il nostro legislatore ha introdotto lo strumento dell’incidente probatorio, che consente di anticipare l’attività di acquisizione della prova (con le medesime forme previste per il dibattimento) alla fase delle indagini preliminari (e secondo la giurisprudenza anche nel corso dell’udienza preliminare, in seguito cioè all’esercizio dell’azione penale), nell’ambito di un’udienza camerale, cui partecipano necessariamente il pubblico ministero e l’indagato con il suo difensore e che si svolge alla presenza del GIP. L’incidente probatorio è disciplinato dall’articolo 392 il quale elenca i casi tassativi nei quali si può procedere appunto con incidente probatorio. Secondo quanto disposto dall’art. 392 cpp, l’indagato (o imputato) e il pubblico ministero possano chiedere al giudice per le indagini preliminari o al giudice per l’udienza preliminare di assumere la prova mediante incidente probatorio per: (a) testimonianza di una persona, quando vi è fondato motivo di ritenere che la stessa non potrà essere esaminata nel dibattimento per infermità o altro grave impedimento. Il testimone potrà essere successivamente esaminato anche a dibattimento se la previsione legata alle sue condizioni di salute o al verificarsi di altri gravi impedimenti dovesse rilevarsi infondata. (b) testimonianza di una persona quando vi sia fondato motivo di ritenere, che sarà esposto a violenza, minaccia o promessa di denaro o altra utilità per non deporre o deporre il falso. (c) 'esame della persona sottoposta alle indagini su fatti concernenti la responsabilità di altri e l'esame delle persone indicate nell'articolo 210 possono essere sempre effettuati mediante incidente probatorio. (d) il confronto tra persone che abbiano reso dichiarazioni discordanti in altro incidente probatorio con ministero può essere effettuato mediante incidente probatorio quando ricorra una delle condizioni indicate nelle lettere a) e b). (e) per l’espletamento di una perizia breve o di un esperimento giudiziale se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione inevitabile ovvero per l’espletamento di una perizia di lunga durata, ove si presuma che se disposta nel corso del dibattimento ne comporterebbe la sospensione per più di 60 giorni; (f) Per procedere a una ricognizione allorché ragioni di urgenza non consentono il rinvio dell’atto al dibattimento (visto che la ricognizione attenendo alla percezione risulterebbe efficace solo se effettuata a breve distanza di tempo dalla percezione dei fatti); Infine, indipendentemente dal requisito della non rinviabilità o irripetibilità, è prevista la possibilità di instaurare incidente probatorio anche nell’ipotesi in cui si debba procedere all’assunzione di testimonianza del minore di anni sedici ovvero della persona offesa maggiorenne, o dei soggetti che versano in particolare stato di vulnerabilità, nei procedimenti relativi a gravi delitti di sfondo sessuale, allo scopo di tutelare la dignità, la riservatezza e l’equilibrio emotivo dei testimoni minorenni o delle vittime di tali reati. Inoltre l’immediata acquisizione della prova, consente ai soggetti vittime di tali reati l’opportunità di deporre in un contesto protetto sottraendoli alla pubblicità dibattimentale e consentendo ad essi di cominciare il processo di elaborazione e rimozione dell’esperienza vissuta. Procedimento – legittimati alla richiesta di incidente probatorio sono il Pm e l’indagato, fatti salvi i casi in cui anche la persona offesa possa richiedere l’incidente probatorio. Ex art 393 la richiesta deve essere presentata entro i termini per la conclusine delle indagini preliminari e comunque in tempo sufficiente per l’assunzione della prova prima della scadenza dei medesimi termini, salva possibilità di richiedere la proroga finalizzata all’esecuzione dell’incidente. Tuttavia il termine è solo apparente visto che la richiesta può essere presentata anche nella fase dell’udienza preliminare ove vi sia un concreto ed effettivo pericolo di dispersione del materiale conoscitivo. La richiesta indica, a pena d’inammissibilità: la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l’oggetto e la ragione della sua rilevanza per la decisione dibattimentale; le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova; le circostanze che rendono la prova non rinviabile al dibattimento. Depositata la richiesta presso la cancelleria del GIP il richiedente deve notificare a tutte le parti interessate la richiesta stessa, depositando poi anche prova dell’avvenuta notifica nella medesima cancelleria. Tale notificazione costituisce la premessa di un contraddittorio cartolare a tempi ridottissimi. Tuttavia p è prevista la possibilità di un differimento dell’incidente probatorio ex art 397 quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti di indagine preliminare; allo stesso modo il differimento non è consentito se pregiudica l’assunzione della prova. Il giudice decide sulla richiesta di incidente probatorio con ordinanza (da ritenersi inoppugnabile). Si tratterà di inammissibilità quando la richiesta non permette di capire quale sia la prova e la sua rilevanza, quali siano le ragioni di urgenza e le persone interessate; si tratterà di rigetto per mancanza delle condizioni di merito e di accoglimento negli altri casi. Con l’ordinanza che accoglie la richiesta il giudice stabilisce l’oggetto della prova, le persone interessate all’assunzione della prova, la data dell’udienza per la raccolta della prova (non oltre 10 giorni), dandone comunicazione al pubblico ministero, all’indagato e al difensore di questo. Se la persona sottoposta alle indagini, la cui presenza è necessaria per compiere un atto da assumere con l’incidente probatorio non si presenta senza addurre un legittimo impedimento, il giudice ne ordina l’accompagnamento coattivo con decreto motivato (analogo provvedimento può essere adottato nei confronti del testimone o del perito). L’udienza per l’espletamento dell’incidente probatorio si celebra in camera di consiglio con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’indagato (ha altresì facoltà di parteciparvi il difensore della persona offesa); l’indagato e la persona offesa hanno diritto di assistervi quando si deve esaminare un testimone o un’altra persona, mentre negli altri casi possono parteciparvi solo previa autorizzazione del giudice (401 comma 1°). Quando la prova da assumere riguarda la deposizione di un minore o di un maggiorenne infermo di mente e il procedimento riguardi reati di natura sessuale (violenza, prostituzione, pornografia), il giudice può disporre che l’udienza si svolga secondo modalità particolari, finalizzate a non traumatizzare il soggetto coinvolto: si tratta di una vera e propria < audizione protetta > che può svolgersi anche in un luogo diverso dal tribunale, come una struttura specializzata di assistenza o in mancanza, l’abitazione della persona interessata; il minore potrà essere sentito in una stanza diversa da quella in cui vi sono il giudice, il pubblico ministero e i difensori, in tal caso sarà supportato da uno psicologo che gli rivolgere nel modo più consono le domande poste dal giudice e dalle parti (in ogni caso il contraddittorio dovrà essere garantito mediante strumenti audiovisivi che garantiscano a quest’ultimi di vedere e sentire il minore). Le prove assunte in incidente probatorio sono utilizzabili solo nei confronti dell'imputato il cui difensore abbia partecipato alla loro assunzione anche se al momento di questa il suddetto non fosse ancora indiziato, salvo che nel momento di insorgenza dell'indizio, la ripetizione dell'atto fosse divenuta impossibile (art. 403). E’ di regola vietato estendere l’assunzione della prova a fatti riguardanti persone diverse a quelle i cui difensori partecipano all’incidente probatorio [tuttavia, se il pubblico ministero o il difensore dell’indagato chiede che la prova si estenda anche a tali fatti e relative dichiarazioni, il giudice, se ne ricorrono i presupposti, dispone le necessarie notifiche e rinvia l’udienza per il tempo strettamente necessario (non più di 30 giorni). La richiesta non è accolta, invece, se il rinvio pregiudica l’assunzione della prova. Le prove assunte nel corso dell’incidente probatorio sono documentate in un apposito verbale, destinato ad essere inserito nel fascicolo per il dibattimento e ad acquisire valore di prova (in dibattimento) a seguito di lettura o indicazione specifica, soltanto nei confronti degli imputati i cui difensori abbiano partecipato alla loro assunzione: se, dunque, l’imputato (per qualunque ragione) non ha potuto usufruire dell’assistenza difensiva nel corso dell’udienza, le prove acquisite nel corso dell’incidente sono inutilizzabili nei suoi confronti, lo stesso vale per l’imputato che non è stato difeso nell’incidente probatorio perché non risultava ancora attinto da indizi di colpevolezza (a meno che il suo difensore vi abbia partecipato). La sentenza basata su una prova assunta in incidente probatorio a cui il danneggiato dal reato non ha partecipato, non fa stato nel giudizio civile di risarcimento, salvo che il danneggiato stesso ne abbia fatto accettazione anche tacita (404). I termini di durata delle indagini preliminari - L’operare del Pm nella fase delle indagini preliminari, in vista dell’acquisizione di tutto quanto utile alle determinazioni dell’esercizio dell’azione penale, non può protrarsi indefinitivamente, dal momento che vi si oppongono istanze di tempestività delle indagini e di tutela della persona che non deve essere troppo a lungo soggetta all’intrusione di una inchiesta che può incidere sui suoi diritti. Per mediare tra queste esigenze, il legislatore ha previsto un tempo massimo di durata delle indagini preliminari graduato a seconda della gravità dei reati e prorogabile anche più volte. Quando non si svolgono contro soggetti ignoti le indagini preliminari devono concludersi di regola entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona cui è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato, a pena di inutilizzabilità degli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine (art 407 comma 3°). Il divieto di utilizzazione colpisce i soli atti di indagine: l’atto di esercizio dell’azione penale e la richiesta di archiviazione sono dunque certamente validi anche se compiuti a termine scaduto. Il termine è di un anno se si procede per talune dei gravi delitti indicati nell’art 407 comma 2° lettera a come reati di mafia, terrorismo, eversione dell’ordinamento costituzionale (405 comma 2°). Entro gli stessi termini, il pubblico ministero è tenuto a chiedere l’archiviazione della notizia di reato ovvero il rinvio a giudizio dell’imputato. Nel caso in cui il Pm intenda esercitare l’azione penale, basta che prima dello scadere del termine venga inviato l’avviso di conclusione delle indagini ex art 415 bis. Il termine di sei mesi o un anno può essere prolungato allorché il pubblico ministero, prima della sua scadenza, ne richieda al giudice la proroga per giusta causa, indicando nella richiesta la notizia di reato e i motivi che giustificano il supplemento investigativo. Le proroghe successive potranno essere richieste solo nei casi di particolare complessità di indagine ovvero di oggettiva impossibilità nel concluderle entro il termine prorogato. Ciascuna proroga può essere autorizzata dal giudice per un tempo non superiore a sei mesi. La richiesta di proroga è notificata, a cura del giudice, all’indagato e alla persona offesa dal reato che abbia dichiarato di volerne essere informata; questi sono informati della facoltà di presentare memorie entro 5 giorni dalla notificazione: si instaura così sulla richiesta del pubblico ministero un contraddittorio di tipo cartolare. Il giudice decide entro 10 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle memorie: se autorizza la proroga, provvede con ordinanza emessa in camera di consiglio (senza intervento del pubblico ministero e dei difensori); se, invece, ritiene che non si debba concedere la proroga, fissa un’udienza in camera di consiglio, facendone notificare avviso al Avocazione del procuratore generale - Accanto al controllo di tipo giurisdizionale che si realizza nell'ambito della procedura archiviativa, il legislatore ha previsto un controllo comunemente definito di tipo gerarchico, destinato a operare automaticamente alla scadenza dei termini di indagine preliminare. La riforma Orlando è intervenuta a modificare l’art. 412 sancendo che il procuratore generale presso la corte di appello ha infatti l'obbligo di disporre con decreto motivato l’avocazione delle indagini preliminari se pubblico ministero non esercita l’azione penale o non richieda l’archiviazione entro tre mesi dalla scadenza del termine massimo di durata delle indagini preliminari (art. 412). A tal fine, la segreteria del pubblico ministero deve trasmettere ogni settimana al procuratore generale un elenco delle notizie di reato nominative per le quali non è stata tempestivamente esercitata l’azione penale o richiesta l’archiviazione. Avocata a sé l’investigazione, il procuratore generale svolte indagini preliminari indispensabili e formula le sue richieste entro 30 giorni dall’emanazione del decreto avocativo. L’esercizio del potere di avocazione alla scadenza dei termini investigativi può essere sollecitato anche dalla persona sottoposta alle indagini e dalla persona offesa dal reato (413): in questo caso, indagini, richieste del procuratore generale devono intervenire entro 30 giorni dalla richiesta dell’indagato o dell’offeso anziché dall’emanazione del provvedimento avocativo (413). In tali ipotesi l’avocazione è obbligatoria. Ex art 412.2 l’avocazione è facoltativa ed infatti l’articolo sancisce che il procuratore generale può altresì disporre l'avocazione a seguito della comunicazione prevista dall'articolo 409 comma 3; ovvero a seguito di comunicazione di fissazione dell’udienza in caso di non accoglimento della richiesta di archiviazione. In questo caso il procuratore generale potrà avocare allorchè ritenga negligente, malcondotta ed insufficiente l’azione investigativa o non concordi con la richiesta di archiviazione del Pm. La riapertura delle indagini – Ex art 414 cpp dopo il provvedimento di archiviazione emesso a norma degli articoli precedenti, il giudice autorizza con decreto motivato la riapertura delle indagini su richiesta del pubblico ministero motivata dalla esigenza di nuove investigazioni. Le sezioni unite della corte di cassazione hanno precisato che la mancata autorizzazione alla riapertura delle indagini determina la inutilizzabilità degli atti di indagine eventualmente compiuti dopo il provvedimento di archiviazione ma anche la preclusione all’esercizio dell’azione penale per quello stesso fatto reato, oggettivamente e soggettivamente considerato. Archiviazione per essere ignoto l’autore del reato – tale disciplina prevede che il Pm entro sei mesi dalla data della registrazione della notizia di reato debba presentare al giudice una richiesta di archiviazione o di autorizzazione a proseguire le indagini ex art 415.1 Il Pm rivolgerà la prima richiesta quando esperito ogni mezzo utile per individuare l’autore del reato non abbia ottenuto alcun risultato; ove reputi invece che ulteriori indagini gli consentano di pervenire a risultati utili chiederà l’autorizzazione a proseguire le indagini. Quando accoglie la richiesta di archiviazione ovvero di autorizzazione a proseguire le indagini, il giudice pronuncia decreto motivato e restituisce gli atti al pubblico ministero. Se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata ordina che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato. La riforma orlando è intervenuta sull’articolo introducendo il comma 2 bis ai sensi del quale il termine di cui al comma 2 dell'art. 405 del c.p.p. ovvero di 6 mesi per il compimento delle indagini dalla data in cui il nome del soggetto è stato iscritto, decorre dal provvedimento del giudice. Anche in tale caso si applicano le disposizioni precedenti circa il procedimento di archiviazione. Il comma 4 finale dell’art 415 si limita a prevedere l’ipotesi di una richiesta di archiviazione e del conseguente decreto emanati per più reati. Infatti sono pronunciati cumulativamente con riferimento agli elenchi trasmessi dagli organi di polizia con l'eventuale indicazione delle denunce che il pubblico ministero o il giudice intendono escludere, rispettivamente, dalla richiesta o dal decreto. UDIENZA PRELIMINARE – Posto di fronte all’alternativa che lo attende al termine della fase delle indagini preliminari, il Pm fuori dai casi che dovrebbero condurre alla richiesta di archiviazione, deve formulare l’imputazione con la richiesta di rinvio a giudizio, la quale costituisce l’atto introduttivo dell’udienza preliminare. La prima funzione attribuita all’udienza preliminare è quella di evitare dibattimenti iniqui per l’imputato e inutili per l’ordinamento. Pertanto innanzitutto il giudice opera un controllo sul corretto esercizio dell’azione penale filtrando le imputazioni non sostenute da un impianto accusatorio sufficientemente robusto per giustificare il dibattimento. La decisione scaturisce a seguito di un confronto orale tra le parti intorno agli esiti delle indagini ormai svelate. La richiesta di rinvio a giudizio deve essere presentata dal Pm nella cancelleria del giudice ex art 416.1 Il termine per tale adempimento è quello previsto ex art 405.2 ovvero entro sei mesi dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato, e un anno se si procede per taluno dei delitti indicati nell'articolo 407.2 fatto salvo quanto disposto dall’art 415 bis. I requisiti della richiesta di rinvio a giudizio sono fissati ex art 417 cpp e deve contenere: le generalità dell’imputato o altre indicazioni per identificarlo; l’enunciazione in forma chiara e precisa del fatto; indicazione delle fonti di prova; la domanda al giudice di emissione del decreto che dispone il giudizio; la data e la sottoscrizione. A seguito della richiesta l’udienza preliminare viene fissata dal GUP entro 5 giorni. Tra la data di deposito della richiesta e la data dell’udienza non può intercorrere un termine superiore a 30 giorni (art. 418 c.p.p.). Una volta che la data sia stata fissata, il Gup almeno 10 giorni prima della stessa ex art 419 deve procedere a far notificare, sia all’imputato che alla persona offesa, l’avviso del giorno ora e luogo dell’udienza, con la richiesta di rinvio a giudizio formulata dal P.M. e con l’avvertimento all’imputato che qualora non compaia si applicheranno le disposizioni di cui agli artt. 420 bis, 420 ter, 420 quater e 420 quinquies. Entro lo stesso termine è notificata la citazione del responsabile civile e della persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria. Nello stesso termine fa comunicare al P.M. l’avviso dell’udienza con l’invito a trasmettere la documentazione relativa alle indagini eventualmente espletate dopo la richiesta di rinvio a giudizio; e fa notificare al difensore dell’imputato l’avviso dell’udienza con l’avvertimento della facoltà di prendere visione degli atti e delle cose trasmessi dal P.M. e di presentare memorie e produrre documenti. Una volta che l’imputato abbia soppesato gli elementi dell’accusa, può anche richiedere di accedere ad un rito premiale che si svolga nell’udienza preliminare, come il rito abbreviato, applicazione della pena su richiesta, sospensione con messa alla prova. Inoltre allo stesso si apre un ulteriore via deviante rispetto all’iter ordinario, ovvero rinunciare all’udienza preliminare richiedendo il giudizio immediato almeno 3 giorni prima della data in cui dovrebbe tenersi tale udienza. Preso atto della rinuncia, il giudice emette decreto di giudizio immediato (art. 455 c.p.p.). Accertamento della costituzione delle parti - Ex art 420 l’udienza preliminare si svolge in camera di consiglio (non è dunque pubblica) con la partecipazione necessaria del pubblico ministero e del difensore dell’imputato [se questi non è presente il giudice nomina un difensore d’ufficio, salvo il caso in cui risulta che l’assenza del difensore è dovuta a legittimo impedimento; in questo caso il giudice deve rinviare l’udienza]. Il giudice prima dell’udienza di comparizione deve accertare la regolare costituzione delle parti; in particolare ex art 420.2 con riguardo alle parti private diverse dall’imputato, procede agli accertamenti relativi alla costituzione delle parti ordinando la rinnovazione degli avvisi, delle citazioni, delle comunicazioni e delle notificazioni di cui dichiara la nullità. Per quanto riguarda invece l’imputato, può scegliere liberamente se presenziare o meno all’udienza; tuttavia, l’imputato ha certamente il diritto di presenziare, il che rende indispensabile verificare se a seguito della correttezza della notificazione, la sua mancata comparizione sia realmente frutto di una scelta o se dipenda da altre ragioni. Tuttavia ex art 420 bis comma 1 il giudice procederà anche in assenza dell’imputato quando questi libero o detenuto abbia espressamente rinunciato ad assistervi. Quando non vi è una rinuncia espressa il giudice dovrà accertare se si versi nelle situazioni che provino o portino a presumere ex lege la conoscenza del processo elencate dal comma 2 dell’art 420 bis. Ossia, il giudice procede altresì in assenza dell'imputato che nel corso del procedimento abbia dichiarato o eletto domicilio ovvero sia stato arrestato, fermato o sottoposto a misura cautelare ovvero abbia nominato un difensore di fiducia, nonché nel caso in cui l'imputato assente abbia ricevuto personalmente la notificazione dell'avviso dell'udienza ovvero risulti comunque con certezza che lo stesso è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto alla conoscenza del procedimento o di atti del medesimo. Ex art 420 ter invece non sarà possibile procedere in assenza dell’imputato quando risulti che la sua assenza è dovuta a caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. In questi casi il giudice con ordinanza deve rinviare l’udienza. Il giudice provvede con le medesime modalità di cui al comma 1 quando appare probabile che l'assenza dell'imputato sia dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito o forza maggiore. Tale probabilità è liberamente valutata dal giudice e non può formare oggetto di discussione successiva né motivo di impugnazione. Se l'esistenza del legittimo impedimento a comparire non appare provata ne probabile, il giudice emana l'ordinanza che dispone di procedere in assenza dell'imputato. Tale ordinanza va revocata se l'imputato compare e dimostra che versava nell'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento. Quando l'imputato, anche se detenuto, non si presenta alle successive udienze e ricorrono le condizioni previste dal comma 1, il giudice rinvia anche d'ufficio l'udienza, fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato. Quando si procede in sua assenza, l’imputato è rappresentato dal difensore, ed è altresì rappresentato ma si considera come presente l’imputato che dopo essere comparso si allontana dall’aula di udienza, o che, presente ad una udienza, non compare ad udienze successive. L'ordinanza che dispone di procedere in assenza dell'imputato è revocata anche d'ufficio se, prima della decisione, l'imputato compare. Se l'imputato fornisce la prova che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo, il giudice rinvia l'udienza e l'imputato può chiedere l'acquisizione di atti e documenti ai sensi dell'articolo 421, comma 3. Nel corso del giudizio di primo grado, l'imputato ha diritto di formulare richiesta di prove ai sensi dell'articolo 493. Ferma restando in ogni caso la validità degli atti regolarmente compiuti in precedenza, l'imputato può altresì chiedere la rinnovazione di prove già assunte. Nello stesso modo si procede se l'imputato dimostra che versava nell'assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento e che la prova dell'impedimento è pervenuta con ritardo senza sua colpa. Il giudice revoca altresì l'ordinanza e procede a norma dell'articolo 420 quater se risulta che il procedimento, per l'assenza dell'imputato, doveva essere sospeso ai sensi delle disposizioni di tale articolo. Quando compiuti tutti questi adempimenti, non sussista alcuna prova che l’imputato sia assente per sua volontà, il giudice deve compiere un ultimo tentativo per ottenere la presenza dell’imputato: rinvia l’udienza e dispone che l’avviso sia notificato personalmente ad opera della polizia giudiziaria; se non sarà possibile ottenere la presenza dell’imputato, la rinuncia espressa o presunta il giudice dovrà sospendere il processo sempre che non debba essere pronunciata sentenza ex art 129 cpp. (articolo 420 quarter). Per circoscrivere gli effetti negativi scaturenti dalla sospensione, impedendo che si propaghino a soggetti diversi dall’imputato irreperibile, si stabilisce che si possa procedere alla separazione di eventuali procedimenti connessi per imputati per i quali la causa di sospensione non operi; è previsto inoltre che non debba applicarsi l’art 75.3 il danneggiato quindi potrà trasferire l’azione civile nella sede propria in qualsiasi momento non essendovi impedito dal vincolo derivante da questa disposizione. La stasi processuale dovrà essere monitorata alla scadenza di un anno, o anche prima qualora il giudice ne ravvisi l’esigenza, disponendo nuove ricerche dell’imputato per la notifica dell’avviso. Come già accennato nel corso dell’udienza preliminare e necessaria la presenza del difensore dell’imputato. Se difensore di fiducia non è presente il giudice deve pertanto provvedere alla nomina di un difensore d’ufficio. Questa regola tuttavia non si applica se risulta che l’assenza del difensore di fiducia è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento. Il giudice provvede a norma del comma 1 nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l'assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento, purché prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l'imputato è assistito da due difensori e l'impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l'imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito. Il rinvio dell’udienza deve avvenire anche quando il difensore, in ossequio al proprio diritto di libertà aderisca ad un’astensione proclamata dagli organi rappresentativi della categoria. In questo caso il giudice dovrà valutare se l’adesione all’astensione sia avvenuta nel rispetto delle regole fissate dalle disposizioni primarie e secondarie relative. Svolgimento - Dopo aver effettuato l’accertamento relativo alla regolare costituzione delle parti e aver eventualmente dichiarato l’assenza dell’imputato, il GUP dichiara aperta la discussione (421). Durante quest’ultima il pubblico ministero espone sinteticamente i risultati delle indagini preliminari e gli elementi di prova che giustificano la richiesta di rinvio a giudizio; l’imputato può rendere dichiarazioni spontanee e chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio; prendono poi la parola, nel seguente ordine, i difensori della parte civile, del responsabile civile e dell’imputato, che espongono le loro difese: nel corso della discussione le parti, oltre ad argomentare sull’accoglimento o il rigetto della richiesta di rinvio a giudizio, possono anche formulare questioni di varia natura, tra cui le eccezioni concernenti l’incompetenza per territorio e per connessione, l’inosservanza delle disposizioni sulla composizione collegiale o monocratica del tribunale e le nullità relative agli atti di indagine preliminare e degli atti compiuti in sede di incidente probatorio, che vanno sollevate prima della conclusione dell’udienza preliminare. A questo punto: se il giudice ritiene di poter decidere allo stato degli atti, dichiara chiusa la discussione e subito dopo procede alla deliberazione pronunciando sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio e dando immediata lettura del provvedimento, il quale è subito depositato in cancelleria affinché le parti possano ottenerne copia. Viceversa, qualora il giudice ritenga di non poter decidere allo stato degli atti può: indicare al pubblico ministero l’attività integrativa d’indagine da svolgere, dando un termine per il relativo espletamento e fissando la data della nuova udienza preliminare; Inoltre il giudice può disporre anche d’ufficio l’assunzione delle prove che appaiono decise rispetto all’emanazione di una sentenza di non luogo a procedere e dunque, rispetto al proscioglimento dell’imputato: potrà trattarsi dell’escussione di un testimone o di un consulente tecnico, dell’espletamento di una perizia, Attività integrativa di indagine – nel corso dell’udienza preliminare Pm e difensori non sono tenuti ad interrompere la propria attività investigativa che si estende anche oltre il decreto che dispone il giudizio. Ex art 430 infatti successivamente all’emanazione del decreto ai fini delle proprie richieste al giudice del dibattimento possono proseguire attività integrativa investigativa. In assenza di precise disposizioni, la giurisprudenza ritiene che l’orizzonte delle indagini possa spingersi lungo tutto l’arco del dibattimento e nel corso della discussione finale. Tuttavia anche tale potere di indagine subisce dei limiti infatti ex art 430 non possono essere compiuti atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo. L’art 430 bis ha introdotto ulteriori limiti all’attività di indagine al fine di evitare che le parti possano porre in essere strategie sleali incrociate. Infatti è vietato al pubblico ministero, alla polizia giudiziaria e al difensore assumere informazioni dalla persona ammessa ai sensi dell'articolo 507 (ammissione nuove prove) o indicata nella richiesta di incidente probatorio o ai sensi dell'articolo 422, comma 2 (attività integrazione probatoria del giudice) ovvero nella lista prevista dall'articolo 468 e presentata dalle altre parti processuali. Le informazioni assunte in violazione del divieto sono inutilizzabili. Il divieto di cui al comma 1 cessa dopo l'assunzione della testimonianza e nei casi in cui questa non sia ammessa o non abbia luogo. Capitolo VI - procedimenti speciali L’iter ordinario del processo è caratterizzato da una successione di fasi: indagini preliminari, udienza preliminare e dibattimento. In attuazione del principio di semplificazione ma anche di economia processuale, è previsto che il processo possa snodarsi in modo alternativo allo schema ordinario, mediante riti detti procedimenti speciali, che prevedono l’omissione di almeno una delle fasi. 0 3 0 0 0 3 0 0I riti speciali, si differenziano in primo luogo per la diversità dei presupposti assunti dalla legge a premessa della loro applicabilità, 0 3 0 0come ragioni idonee a giustificare risparmio di tempo, di risorse umane e, in generale, di attività processuale. Il nostro codice di rito disciplina sei procedimenti speciali: il giudizio abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti, il giudizio immediato, il giudizio direttissimo, il procedimento per decreto e la sospensione del processo con messa alla prova. La serie, in realtà, non va intesa come esaustiva, visto che la qualifica di «speciale» spetta a quei tipi di procedimento la cui caratteristica essenziale risiede nell'essere privi di una fase o sottofasce, presente nel procedimento ordinario. Alla luce di questa nozione meritano, infatti, di essere classificati come «speciali»: Il procedimento di oblazione, il cui tratto caratteristico sta nel consentire una chiusura anticipata della vicenda processuale, evitando la fase dibattimentale; il giudizio immediato richiesto dall'imputato, che consente di anticipare il dibattimento saltando l'udienza preliminare; i procedimenti che traggono origine da una contestazione suppletiva nell'udienza preliminare o nel dibattimento, i quali risultano privi, rispettivamente, dell'indagine preliminare e dell'intera fase preliminare al giudizio. Anche il procedimento davanti al giudice monocratico, per i reati indicati nell' art. 550, costituisce, a suo modo, un caso di 0 3 0 0specialità, non fosse altro per il fatto di essere sempre privo dell'udienza preliminare. E un discorso analogo vale pure per il 0 3 0 0procedimento penale davanti al giudice di pace, disciplinato dal d. lgs. 28 agosto, n. 274 la cui «specialità» riguarda il solo procedimento di primo grado e non le soluzioni tecniche - pur dettate da esigenze di economia processuale - che caratterizzano i gradi successivi del giudizio. Alla luce delle ragioni che li giustificano, i procedimenti speciali rivelano una duplice natura, che origina una triplice partizione. Sulla base del requisito della soggettività, che si fonda sulla scelta volontaria di una o di entrambe le parti, si identificano il giudizio abbreviato, l'applicazione di pena su richiesta delle parti, il procedimento di oblazione, la sospensione del processo con messa alla prova e il giudizio immediato richiesto dall'imputato. Questi riti speciali consentono di giungere alla definizione del processo omettendo la fase dibattimentale e possono essere attivati solo con il consenso della controparte. La richiesta può essere presentata nel corso dell’udienza preliminare non sia stata dichiarata chiusa la discussione. Essi sono definiti premiali, perché il codice accorda benefici e riduzione di pena a chi contribuisca alla celere definizione del giudizio; di natura inquisitoria, perché l’imputato rinunciando al dibattimento, accetta di farsi giudicare sulla base delle risultanze delle indagini preliminari. Espressione di una 0 3 0 0giustizia «consensuale», le norme che regolano tali procedimenti attribuiscono alle parti la facoltà di disporre di taluni stati o situazioni processuali, con conseguente rinuncia alla chances di intervento che la legge vi collega. Sulla base del requisito oggettivo, la scarsa gravità del reato o l'evidenza dell'accusa imperativamente affermati dal magistrato penale, si identificano giudizio direttissimo, giudizio immediato, contestazione suppletiva del reato concorrente o del reato continuato. Espressione di un modo di concepire l'esercizio della giurisdizione che possiamo definire «autoritativo». Questi riti speciali consentono di pervenire ad una rapida definizione del processo omettendo l’udienza preliminare. Si definiscono riti “ex auctoritate” perché possono essere attivati imperativamente su richiesta del pubblico ministero (ovviamente con decisione del giudice), senza che sia necessario il consenso dell’imputato. In questi casi, tuttavia, non è riconosciuto all’imputato alcun incentivo premiale in termini di riduzione di pena. Il giudizio direttissimo e il giudizio immediato si fondano essenzialmente su una supposta facilità di accertamento probatorio, travolta codificata in una situazione-tipo dai contorni assai netti (ad esempio la flagranza del reato o la confessione), tal altra definita in maniera più approssimativa (evidenza della prova); l’accennato caso di contestazione suppletiva, si fonda sull’opportunità di accumulare il fatto è emerso nell’udienza preliminare o nel dibattimento, con quello già in precedenza contestato, al fine di facilitare il compito del giudice nel calcolo della pena. Affini a quelli del secondo gruppo, per le ragioni che ne giustificano la previsione normativa, sono i procedimenti speciali del terzo gruppo, la cui caratteristica — come già accennato — è di far dipendere la semplificazione procedurale da una scelta imperativa del magistrato penale, combinata con un atto volontario di una o di entrambe le parti. Vi appartengono: il procedimento per decreto; il giudizio direttissimo esperibile col consenso delle parti; e la contestazione suppletiva del fatto nuovo. Una volta che si sia scelto un rito speciale non sarà possibile richiedere la trasformazione di questo in altro rito speciale appartenente al medesimo genus (ottenuta l’ammissione del rito abbreviato non sarà consentito richiedere il patteggiamento e viceversa). È possibile, invece, che un rito ex auctoritate si converta in un rito consensuale (giudizio immediato o direttissimo in giudizio abbreviato o in patteggiamento), ma mai viceversa. E ciò essenzialmente per due ragioni: una di tipo economico, l'altra si collega all'esigenza di garantire un trattamento uniforme degli imputati di fronte alle possibili scelte processuali, verso le quali si può orientare la strategia difensiva dell'imputato. Procedimento di oblazione - Pur se collocata fra le norme del codice penale appartiene, a pieno titolo, alle procedure speciali di tipo consensuale, considerato che essa si risolve in una chiusura anticipata il processo, su richiesta dell'imputato, di regolare in denaro la propria "pendenza" penale. Il rito in questione è esperibile unicamente per reati contravvenzionali punibili con l'ammenda; infatti il termine oblazione designa il comportamento del soggetto che offre spontaneamente una somma di denaro, al fine di conseguire l’estinzione del reato, facendo così cessare immediatamente il processo a suo carico. Il codice penale contiene due diverse tipologie di oblazione. Oblazione c.d. «obbligatoria prevista nelle contavvenzioni per le quali la legge stabilisce la sola pena dell’ammenda: 0 3 0 1art. 162 c.p, in cui il giudice è pressoché tenuto ad accogliere la richiesta, solo se l'imputato l'ha presentata ritualmente entro il 0 3 0 0termine prescritto: l'unica eccezione è rappresentata dai casi di reato permanente, che, la giurisprudenza di legittimità considera insuscettibili di oblazione. Per tale tipo di oblazione la somma da pagare affinchè la contravvenzione si estingua deve essere pari ad un terzo dell’importo massimo dell’ammenda. Oblazione c.d. "facoltativa" nelle contravvenzioni per le quali la legge stabilisce la 0 3 0 0pena dell’arresto o dell’ammenda: art. 162-bis c.p., il giudice ha invece un certo margine di discrezionalità. Infatti deve rigettare la 0 3 0 1richiesta, quando ritenga di dover applicare la pena detentiva anziché quella pecuniaria, quando considera grave il fatto commesso e 0 3 0 0 0 3 0 0quindi incongrua l'«offerta» dell'imputato o, infine, nei casi di recidiva, abitualità e professionalità nel reato. Per tale tipo di oblazione la somma da pagare affinchè la contravvenzione si estingua deve essere pari alla metà dell’importo massimo dell’ammenda. La richiesta può essere avanzata già nel corso delle indagini preliminari, al pubblico ministero, il quale la inoltra al giudice insieme col fascicolo dell'indagine. Possono attivarsi sia l’imputato sia il difensore, senza bisogno di procura speciale. Nei casi di oblazione facoltativa la domanda può essere riproposta anche nel corso del dibattimento, fino all'inizio della discussione finale. Per scongiurare l’eventualità che il soggetto non venga a conoscenza di tale chance processuale, la legge prevede che il pubblico ministero — all'atto 0 3 0 0di chiedere il decreto penale — informi l'imputato sia della possibilità di essere ammesso all'oblazione, sia dei vantaggiosi effetti conseguibili tramite la stessa. L'omesso avvertimento sarebbe lesivo del diritto di difesa, 0 3 0 1poiché priverebbe l'imputato di una chance 0 3 0 0processuale. Tuttavia la legge non ne fa discendere almeno, in prima battuta - la nullità degli atti successivi: se il pubblico ministero non adempie a questo suo dovere, l'avviso dev'essere fatto dal giudice, contestualmente al- l'emissione del decreto penale per il fatto oblazionabile. Il termine per la richiesta di oblazione è perentorio. Accolta la richiesta, il giudice dichiara non doversi procedere per estinzione del reato, con sentenza inappellabile. In caso di rigetto, il procedimento è destinato a proseguire nella forma ordinaria o 0 3 0 0secondo le regole del procedimento per decreto, ma l'imputato può rinnovare la richiesta d'oblazione anche nel corso del dibattimento 0 3 0 1di primo grado, fino all'inizio della discussione finale: benché esplicitamente prevista per la sola oblazione facoltativa, tale regola 0 3 0 1viene comunemente come espressione di un principio generale, sicchè la giurisprudenza è incline a farla valere anche nei procedimenti di oblazione obbligatoria. Applicazione della pena su richiesta delle parti – Patteggiamento art 444/447 Meglio conosciuta come patteggiamento costituisce un rito speciale di tipo consensuale; fondato sull’accordo tra imputato e PM, vagliato dal giudice, che permette di irrogare senza il dibattimento una pena più mite. Il patteggiamento si risolve in una rinuncia dell'imputato a contestare l’accusa e di una richiesta da parte del pubblico ministero o dell’imputato di applicazione della pena; ossia nella volontaria sottomissione dell’imputato alla sanzione penale e in un’implicita affermazione di colpevolezza, nell’ambito del quale la decisione è adottata sulla base delle risultanze delle indagini preliminari e, dunque, degli atti inclusi nel fascicolo del pubblico ministero. Oggi, il patteggiamento è esperibile per una serie di reati, identificati dall'art. 444 comma 1° attraverso il riferimento alla sanzione in concreto applicabile: rientrano in questa cerchia: i delitti e le contravvenzioni con una pena pecuniaria; oppure con una delle sanzioni sostitutive previste dalla legge n689 del 1981 (semidetenzione o libertà controllata) o, infine, con una pena detentiva non superiore a cinque anni. La pena pecuniaria può essere applicata congiuntamente alla pena detentiva, la quale va a sua volta determinata computando le eventuali circostanze previste dalla legge penale e tenendo altresì conto della diminuzione di pena prevista dalla legge processuale come incentivo all'imputato per la scelta del rito speciale. Pertanto sono ammessi al patteggiamento reati puniti con pene che, in astratto, superano di gran lunga i cinque anni di reclusione. Il patteggiamento risulta peraltro escluso nei procedimenti per delitti di criminalità organizzata (art. 51 comma 3-bis), di terrorismo art. 51 comma 3- quater 0 3 0 0ovvero per determinati delitti contro la personalità individuale o contro la libertà sessuale, di delinquenti abituali, professionali o per tendenza oppure risultino plurirecidivi. Il patteggiamento è inoltre ammesso nei procedimenti a carico di persone giuridiche, per tutti gli illeciti sanzionati con pena pecuniaria, mentre per quelli sanzionati con altra pena il rito speciale è esperibile a condizione che non debba essere applicata, in via definitiva, una delle sanzioni interdittive previste dall'art.16 d. lgs. n. 231 del 2001. La legge 134 del 2013 oltre ad aver ampliato la categoria di reati ai quali consentire il patteggiamento, ha operato la distinzione tra il patteggiamento allargato ed il patteggiamento tradizionale. Il patteggiamento tradizionale consente alle parti di accordarsi su una sanzione sostitutiva o pena pecuniaria o detentiva che al netto della riduzione fino ad 1/3 non superi i due anni, da sola o congiunta a quella pecuniaria. Il patteggiamento allargato invece consente alle parti l’accordo per una sanzione che al netto della stessa riduzione vada da 2 anni e 2 giorni a 5 anni. Le due ipotesi, seppur con delle differenze prevedono lo stesso iter procedimentale. Fulcro del rito speciale è l'accordo fra le parti principali del processo (imputato e pubblico ministero) in ordine al quantum di pena da applicare. Basta il disaccordo di una delle due a rendere impraticabile la soluzione patteggiata. Oggetto dell’accordo è la pena da applicare per il fatto 0 3 0 0descritto nell’imputazione. Dal punto di vista dell'imputato, ciò comporta una serie di rinunce a diversi diritti che gli spetterebbero in base alle ordinarie regole processuali: rinuncia ad esercitare il diritto alla prova, rinuncia a controvertere sul fatto e sulla relativa qualifica giuridica; rinuncia a controvertere sulla specie e sulla misura della pena da applicare. In compenso, egli ottiene una serie di cospicui vantaggi. Innanzitutto lo sconto di pena: la sanzione, che risulterebbe in concreto applicabile all'esito di un normale dibattimento, va in ogni caso diminuita «fino a un terzo». Altro vantaggio comune ai due tipi di patteggiamento, è l'assenza di effetti pregiudizievoli della sentenza che applica la pena concordata: infatti, a parte l'eccezione della quale si dirà, essa non è idonea a irradiare effetti vincolanti nei giudizi civili e amministrativi nei quali sia parte l'imputato. Infine, merita di essere qui menzionata l'assenza di pubblicità. Vantaggi ulteriori sono invece collegati al solo patteggiamento minus: l’imputato non sarà soggetto all’obbligo di pagamento delle spese processuali, accessorie e misure di sicurezza; la sentenza non sarà menzionata nel certificato generale del casellario giudiziale; l’estinzione del reato: qualora la pena concordata non superi i 2 anni di detenzione può essere sospesa e la relativa condanna sfociare in una declaratoria di estinzione del reato, se nei successivi 5 anni l’imputato non commette altri delitti della medesima indole o se, nei due anni successivi, non incappa in una contravvenzione della stessa indole oggetto di accordo. non subirebbe sospensione prevista dall'art. 75 comma 3°, né sarebbe in alcun modo pregiudicato dall'esito del patteggiamento. Non costituisce una vera eccezione alla regola testé illustrata, il potere che la legge riconosce al giudice dell'impugnazione di decidere sulla questione civile con la sentenza che applica la pena richiesta dalle parti (art. 448 comma 3°). In questi casi, infatti, il giudizio di 0 3 0 1primo grado si è svolto regolarmente, fino in fondo, sicchè il giudice dell'impugnazione ha adisposizione gli atti di una completa istruzione dibattimentale: atti reputati sufficienti a fondare anche una decisione sulla 0 3 0 0responsabilità civile. GIUDIZIO ABBREVIATO 438/443 Si tratta di un rito speciale di natura consensuale, introdotto allo scopo di snellire e semplificare il corso del processo, permettendo una chiusura anticipata dell’approdo dibattimentale. Nella impostazione originaria il giudizio abbreviato, accordava una cospicua riduzione di pena all’imputato che accettava di essere giudicato già nell’udienza preliminare e, quindi, in una fase anteriore al dibattimento, sulla base degli elementi probatori raccolti nel corso delle indagini preliminari. Tuttavia per esperire tale rito era indispensabile l’esplicito consenso del pubblico ministero, nonché un impegnativo vaglio del giudice, il quale poteva accogliere la richiesta di giudizio abbreviato formulata dall’imputato solo se il giudizio gli fosse parso definibile allo “stato degli atti”. Ad oggi, invece, i presupposti del rito in questione sono stati rivisti e modificati: non è più richiesto come indispensabile il consenso del pubblico ministero; non è più richiesta la definibilità allo stato degli atti del giudizio, il quale può essere instaurato sulla base di una semplice richiesta dell’imputato (anche in presenza di un’indagine incompleta), il quale potrà chiedere di essere giudicato allo stato degli atti (giudizio abbreviato ordinario) o condizionare la richiesta di rito abbreviato all’assunzione di taluni mezzi di prova, al fine di colmare un presunto deficit conoscitivo intorno ai fatti del processo (giudizio abbreviato condizionato). Viene a sparire qualsiasi limite oggettivo di applicabilità del rito speciale, essendo ora suscettibili di definizione anticipata con le forme del nuovo giudizio abbreviato anche i processi aventi ad oggetto imputazioni per reati puniti con l’ergastolo; Infine per sopperire ad eventuali incompletezze dell’indagine preliminare, è assicurata la possibilità di assumere prove pure nel corso del giudizio abbreviato. L’imputato che intende profittare del giudizio abbreviato deve farne richiesta durante l’udienza preliminare, “fino a che non siano presentate le conclusioni a norma degli artt. 421 e 422” (art 438 comma 2°). Secondo le sezioni unite, la richiesta va quindi presentata dopo le conclusioni del pubblico ministero e al più tardi, quando il difensore formula le proprie conclusioni; in caso di più imputati, per ciascuno di essi il termine coincide con l’argomentazione finale del proprio difensore. Ma (in virtù del diritto di difesa) la possibilità di richiedere il giudizio abbreviato va garantita all’imputato anche nei procedimenti in cui manchi l’udienza preliminare, ossia nel corso dei procedimenti speciali ex auctoritate, avviatisi per iniziativa imperativa del pubblico ministero, per cui: nel giudizio immediato (ma solo in quello promosso per iniziativa del pubblico ministero), l’imputato potrà presentare richiesta di rito abbreviato al GIP entro 15 giorni dall’ultima notifica del decreto; nel giudizio direttissimo e a seguito di citazione diretta davanti al tribunale in composizione monocratica, l’imputato potrà presentare richiesta di rito abbreviato al giudice del dibattimento, prima che questo sia dichiarato aperto; nel procedimento per decreto, l’opponente può chiedere il giudizio abbreviato al giudice che ha emesso il decreto di condanna contestualmente all’opposizione; infine la richiesta può essere presentata anche nel corso del dibattimento, quando il pubblico ministero abbia proceduto a nuove contestazioni a norma degli artt. 516 e 517, sulla scorta di atti già presentati nel fascicolo dell’indagine preliminare. Il giudice sulla richiesta decide con ordinanza. La riforma Orlando ha precisato che quando l'imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive, il giudice provvede solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti dalla difesa. In tal caso, l'imputato ha facoltà di revocare la richiesta. Se trattasi di richiesta semplice (con la quale l’imputato si limita a chiedere che il processo sia definito all’udienza preliminare allo stato degli atti art 438), il giudice dovrà limitarsi a verificare la legittimità formale dell’atto; ovvero verificare: se l’atto è stato presentato nei termini prescritti; se sia riconducibile a una scelta volontaria dell’imputato; e se infine la volontà di quest’ultimo di essere giudicato allo stato degli atti, risulti espressa in forma inequivoca. Tuttavia quando il giudice ritiene di non avere elementi a sufficienza per decidere allo stato degli atti li assume ex officio ex art 441.5. In questo caso l’assunzione delle prove come ad esempio l’interrogatorio di eventuali soggetti sono assunte direttamente dal giudice e solo per il tramite di quest’ultimo i soggetti possono partecipare alla formazione dei relativi mezzi di prova. La riforma Orlando ha precisato che in caso di richiesta semplice il giudice «provvede sulla richiesta solo dopo che sia decorso il termine non superiore a sessanta giorni, eventualmente richiesto dal pubblico ministero, per lo svolgimento di indagini suppletive limitatamente ai temi introdotti della difesa Se si tratta di richiesta condizionata (o complessa, con la quale, nel chiedere il giudizio anticipato l’imputato pone come condizione che siano assunti taluni mezzi di prova, allo scopo di colmare un supposto deficit conoscitivo intorno alla questione di merito, che si pretende insufficientemente chiarita dalla precedente attività investigativa), il giudice, (trattandosi di una richiesta subordinata ad una integrazione probatoria che il richiedente ritiene indispensabile ai fini della decisione) deve provvedere a verificare l’ammissibilità della stessa, verificando in concreto che le prove richieste siano effettivamente indispensabili ai fini della decisione e che la loro assunzione sia compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento. La Riforma Orlando è intervenuta sull’art. 438 introducendo un nuovo comma 5 bis ai sensi del quale qualora il giudice rigetti la richiesta condizionata, l’imputato potrà presentare la richiesta semplice o l’applicazione della pena su richiesta. Qualora la accolga invece dispone l’integrazione probatoria richiesta dall’imputato, escludendo le prove vietate dalla legge. Il pubblico ministero non solo ha la facoltà di proseguire la propria attività di indagine suppletiva (diversamente da quanto accade nel giudizio abbreviato introdotto da una richiesta semplice), ma anche la facoltà di chiedere ed ottenere l’ammissione di prove contrarie a quelle indicate dall’imputato nella richiesta complessa. Dopodichè il giudice dovrà decidere se accogliere la richiesta o rigettarla con ordinanza: in quest’ultimo caso il processo proseguirà lungo il suo ordinario iter procedimentale. L’eventuale rigetto della richiesta dell’imputato non impedisce la rinnovazione della richiesta, davanti al medesimo giudice fino a che sia in corso l’udienza preliminare. Tale facoltà però non è esercitabile dagli imputati dei procedimenti privi di udienza preliminare essendo stato omesso qualsiasi riferimento nella norma. La riforma ha introdotto anche il comma 6 bis, in cui si è stabilito che «la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare determina la sanatoria delle nullità, sempre che non siano assolute, e la non rilevabilità delle inutilizzabilità, salve quelle derivanti dalla violazione di un divieto probatorio. Essa preclude altresì ogni questione sulla competenza per territorio del giudice». Il rito si svolge in camera di consiglio (solo se l’imputato ne faccia richiesta si darà luogo ad udienza pubblica), con la partecipazione dell’imputato e del suo difensore, nonché del pubblico ministero [vi può anche partecipare la parte civile, che non avrà alcuna possibilità di impedirne lo svolgimento, infatti, nel caso di non accettazione del rito essa uscirà dal processo penale e potrà coltivare la propria pretesa risarcitoria solo in sede civile. La costituzione di parte civile intervenuta dopo che il giudizio abbreviato sia stato instaurato equivale ad accettazione dello stesso]. Art 441 bis: Provvedimenti del giudice a seguito di nuove contestazioni - Dal momento che tale rito si svolge con possibilità di integrazioni probatorie, è probabile che a seguito di esse emerga la necessità di un “aggiustamento” dell’imputazione contestata nella richiesta di rinvio a giudizio, perché siano emersi fatti diversi, circostanze aggravanti o reati concorrenti. In questo caso, si prevede che l’imputato abbia non solo diritto a un termine a difesa e il diritto alla prova, ma possa anche rinunciare al rito abbreviato, chiedendo che il processo prosegua nelle forme ordinarie. Il giudice infatti dovrà assegnare alla difesa un termine non superiore a 10 giorni per scegliere; nulla esclude che la parte possa accettare seduta stante la nuova contestazione rinunciando al termine. In attesa della possibile revoca ogni attività processuale resta sospesa, per dar tempo alla difesa di assumere le proprie determinazioni in ordine al seguito della procedura. Se il termine assegnato scada senza che sia stata presentata richiesta di procedere per le vie ordinarie, il giudizio abbreviato continua sula base della nuova imputazione. Imputato e pubblico ministero potranno chiedere l’assunzione di nuovi mezzi di prova di cui il giudice dovrà valutare la pertinenza. Qualora poi l’imputato faccia espressa richiesta di trasformazione, se questa è presentata nei termini, provoca un provvedimento di revoca dell’ordinanza ammissiva del rito speciale. A tale scopo il giudice deve fissare l’udienza preliminare oppure disporne la prosecuzione. Fisserà l’udienza ogniqualvolta la trasformazione del rito sia stata preceduta da una richiesta di sospensione del giudizio abbreviato; ne ordinerà invece la prosecuzione, quando l’imputato abbia chiesto il giudizio ordinario immediatamente dopo la nuova contestazione. Per quanto riguarda i procedimenti sforniti di udienza preliminare, si prevede che: se il rito abbreviato scaturisce da un giudizio direttissimo, il processo deve tornare alla fase pre-dibattimentale e il giudice è tenuto a fissare l’udienza di giudizio direttissimo; analogamente procederà quando il rito abbreviato è chiesto per uno dei reati a citazione diretta elencati nell’art 550; il giudice deve invece fissare l’udienza di giudizio immediato, dopo aver revocato il rito abbreviato chiesto a norma dell’art 458, come stabilisce il comma 2° dello stesso art 458; Infine, quando è revocata l'ordinanza ammissiva del rito abbreviato che era stato chiesto nel corso di un procedimento monitorio, il processo prosegue con la fissazione dell'udienza normalmente è provocata dall'opposizione proposta dall'imputato contro il decreto di condanna. Se il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato, l’imputato potrà chiedere l’ammissione di nuove prove in relazione alle contestazioni ed il PM potrà chiedere l’ammissione di prove contrarie. Una volta terminata la discussione, il Giudice che ha accolto la richiesta di giudizio abbreviato, si ritira per decidere il merito della causa, emanando sentenza che potrà essere di assoluzione o di condanna. La riforma orlando è intervenuta anche sull’art 442 cpp prevedendo che la pena che il giudice determina tenendo conto di tutte le circostanze è diminuita della metà se si procede per una contravvenzione e di un terzo se si procede per un delitto. Alla pena dell'ergastolo è sostituita quella della reclusione di anni trenta. Alla pena dell'ergastolo con isolamento diurno, nei casi di concorso di reati e di reato continuato, è sostituita quella dell'ergastolo. Non è escluso che la sentenza contenga anche capi civili per il risarcimento del danno; se la parte civile abbia accettato il rito abbreviato la sentenza penale di condanna svolge efficacia di giudicato anche nei giudizi civili ed amministrativi per le restituzioni ed il risarcimento del danno. Diversamente dalla sentenza di patteggiamento, quella di condanna a seguito di rito abbreviato è appellabile entro certi limiti soggettivi fissati dall’articolo 443. L’imputato ed il Pm non possono proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento se l’appello tende ad ottenere una diversa formula; tale comma è stato dichiarato illegittimo dove non consentiva all’imputato di appellare le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità dovuto a vizio di mente. Le sentenze di condanna possono essere appellate dall’imputato, ma non dal pubblico ministero salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo del reato; la parte che non può appellare può sempre proporre, ovviamente, ricorso per cassazione. Il relativo giudizio di impugnazione è destinato a svolgersi sempre in camera di consiglio, vale a dire senza l’intervento del pubblico, anche se si fosse svolto coram populo quello di primo grado. Lo impone l’art 443 comma 4° che assoggetta questo tipo di appello alle forme previste dall’art 599. L’eventuale inosservanza di tale disposizione costituirebbe peraltro semplice irregolarità, in idonea a pregiudicare la validità degli atti compiuti. Nel corso dell’udienza di appello possono essere assunte nuove prove, entro limiti ammessi dall’ articolo 603. Sospensione del procedimento con messa alla prova (464 bis) Si tratta di un rito di tipo consensuale che si risolve nella richiesta dell’imputato ad essere affidato a servizi sociali, centri di assistenza; con tale richiesta l’imputato persegue un duplice interesse: bloccare il procedimento, che per lui potrebbe costituire un peso economico notevole, e guadagnare estinzione del reato. Il rito è già conosciuto nel processo minorile in cui ha la finalità di rieducare il minore perché in vista della sua personalità fragile, si ritiene inadeguato gravarlo del peso di un processo penale; non a caso è lo stesso giudice in alcuni casi a disporre ex officio il rito. Tuttavia però nei confronti di imputati maggiorenni non sembrano esserci giustificazioni efficienti quanto quelle che si rinvengono nel processo minorile. Infatti non sembrerebbe lecito che l’imputato si sottoponga volontariamente all’esecuzione della pena, prima di essere dichiarato colpevole di un reato; né tanto meno sembrerebbe reggere la giustifica per ragioni di economia processuale, per “svuotare” le carceri. Nel procedimento ordinario, l’esperibilità del rito è soggetta a limiti oggettivi e soggettivi. Sul piano oggettivo il rito speciale novellato nel codice dalla legge numero 67 del 2014 può essere instaurato a fronte di reati di gravità medio-bassa: precisamente quelli punibili, in astratto, con la sola sanzione pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni, ai quali si aggiungono i reati elencati nel 2° comma dell’articolo 550 assoggettati a sanzioni detentive di poco più gravi. Si tratta dei reati appartenenti alla passata competenza pretorile che hanno mantenuto la loro riconoscibilità procedurale per il fatto di rientrare nel gruppo di quella citazione diretta. Vi rientrano anche i reati appartenenti alla competenza del giudice collegiale, si è puniti con sanzione detentiva inferiore a quattro anni, ad esempio i reati societari. Sul piano soggettivo, l'accesso a codesto rito speciale è precluso agli imputati che avendo subito precedenti condanne, siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza. Inoltre può essere chiesto per una sola volta. Il probation processuale rileva qualche affinità con altre procedure speciali che si reggono su un volontario assoggettamento dell’imputato alla sanzione. Il pensiero va all’oblazione e ancor più a quelle normative di più recente conio, dove l’estinzione del reato è collegata alla circostanza che l’imputato abbia adempiuto prescrizioni impostegli dalla pubblica autorità, attivandosi per rimuovere situazioni di ha modificato i termini per richiedere il patteggiamento, uniformandoli a quelli imposti per lo stesso giudizio abbreviato. La scelta dell’imputato di sottoporsi a giudizio immediato non è sindacabile e il giudice deve limitarsi semplicemente a vagliare la legittimazione del richiedente e il rispetto dei termini. Il presupposto affinchè il pubblico ministero possa chiedere il giudizio immediato, è l’evidenza della prova (la possibile colpevolezza dell’indagato). Le sezioni unite nel 2014 hanno precisato che c’è evidenza probatoria quando c’è una condizione tale da rendere il controllo sull’esercizio dell’azione penale del p.m. a cui è preordinata l’udienza preliminare, inutile. Pertanto la prova deve essere evidente per il Pm e per il giudice. Non solo. Al fine di scongiurare il rischio che la scelta del rito speciale diventi un’ingiusta sperequazione ai danni dell’imputato, si prevede che il giudizio immediato può essere disposto solo dopo che la persona sottoposta alle indagini sia stata interrogata sui fatti dai quali emerge l’evidenza della prova o comunque invitata a presentarsi per rendere interrogatorio. Infatti non è indispensabile che la persona sia effettivamente interrogata si sarebbe creato un varco per boicottare l’applicabilità del rito ogni qual volta la stessa non si fosse presentata per rendere interrogatorio. Quindi si procede anche in assenza, salvo che l’imputato sia irreperibile o legittimamente impedito. La legge condiziona l’ammissibilità della richiesta proveniente dal pubblico ministero all’osservanza di un limite temporale, fissato in 90 giorni dalla registrazione della notizia di reato. Per quanto riguarda gli aspetti procedurali, lista orazione di questa specie di giudizio immediato coincide sempre con l'esercizio dell’azione penale. La richiesta di giudizio immediato – che costituisce atto di esercizio dell’azione penale – deve essere presentata dal pubblico ministero, entro i termini visti, al giudice per le indagini preliminari, che decide sull’ammissibilità del rito speciale, sulla base degli atti e dei verbali inclusi nel fascicolo, relativi alle indagini espletate dal pubblico ministero, verificando l’effettiva sussistenza di una situazione di evidente colpevolezza dell’imputato. A questo punto il GIP, entro 5 giorni dalla richiesta, sempre che il giudizio immediato non appaia nocivo o pregiudizievole sul piano dell’economia o efficienza processuale, emette decreto (non motivato) con cui dispone il giudizio ovvero rigetta la richiesta ordinando la trasmissione degli atti al pubblico ministero. L’assenza di motivazione rende insindacabile nel merito, entrambi questi provvedimenti processuali. Non è invece esclusa una critica sotto il profilo della legittimità, del decreto che accoglie la richiesta del pubblico ministero, quando questo sia stato emesso senza previo interrogatorio o invito a comparire della persona indagata. In questo errore procedurale la giurisprudenza ravvisa una lesione del diritto di difesa riconducibile all’art 178 lett. c: nullità a regime intermedio, idonea a contaminare la validità del decreto di giudizio immediato, del quale il giudice del dibattimento dovrebbe dunque contestare e dichiarare l’invalidità, restituendo poi gli atti al pubblico ministero per l’ulteriore regolare corso della procedura. Tale tesi tuttavia non è stata accolta dalle sezioni unite che in questi casi ritengono che ci sia una mera irregolarità. Una volta che si sia aperto il giudizio immediato l’imputato potrà chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento, entro 15 giorni dalla notifica del decreto di giudizio immediato. Per il giudizio abbreviato il termine decorre precisamente dall’ultima notificazione all’imputato o al difensore del decreto che dispone il giudizio o rispettivamente, dell’avviso della data fissata per il dibattimento. Il legislatore all’art 458, comma 1, c.p.p., ha stabilito, da un lato, che nel giudizio abbreviato, celebrato dopo l’emissione di un decreto di rito immediato, «si applicano le disposizioni dell’articolo 438, comma 6-bis» e, da un altro lato, che «con la richiesta l’imputato può eccepire l’incompetenza per territorio del giudice». Il legislatore ha poi riscritto interamente il secondo comma dell’art. 458 c.p.p., il quale ora stabilisce che «il giudice fissa con decreto l’udienza in camera di consiglio dandone avviso almeno cinque giorni prima al pubblico ministero, all’imputato, al difensore a alla persona offesa. Qualora riconosca la propria incompetenza, il giudice la dichiara con sentenza e ordina la trasmissione degli atti al pubblico ministero competente. Nel giudizio si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni degli articoli 438, commi 3 e 5, 441, 441-bis, 442 e 443. Per il patteggiamento, la richiesta di una parte non è presa in considerazione dal giudice se manca il consenso dell’altra. Ciò vale anche per la richiesta di sospensione commessa la prova limitatamente ai casi in cui il giudizio immediato, sia stato chiesto cumulativamente per i reati ammessi al probation processuale connessi con altri reati più gravi. Competente a pronunciarsi sulla trasformazione del rito E il giudice per le indagini preliminari, il quale, se accoglie la relativa richiesta fissa l’udienza per il giudizio abbreviato o per il patteggiamento. Udienza destinata svolgersi secondo le regole già illustrate. Il rigetto della richiesta comporterebbe invece la posizione del processo lungo l’ordinario iter. Giudizio immediato “custodiale” (art 453) deve essere instaurato quando l’indagato si trova in stato di custodia cautelare a condizione che la scelta del rito non pregiudichi gravemente le indagini. La richiesta deve essere presentata dopo che la valutazione dei gravi indizi di colpevolezza posti a fondamento della misura cautelare ha acquistato una certa solidità, ossia quando il tribunale del riesame ha confermato la misura o è inutilmente decorso il termine per impugnare il provvedimento che la dispone. Qualora poi i gravi indizi di colpevolezza venissero meno prima che il GIP decida sulla richiesta di giudizio immediato, il provvedimento cautelare andrebbe annullato e la richiesta di rito speciale rigettata. Il termine per la richiesta è fissato in 180 giorni che decorrono dalla data di esecuzione della misura non dalla registrazione della notizia di reato: l’intento è quello di incoraggiare il ricorso al giudizio immediato, rendendo automatica e doverosa la scelta del pubblico ministero. In realtà tale rito genera comunque qualche perplessità perché fa dipendere l’esperibilità del rito dallo status della persona privandola della possibilità del diritto di difesa, perché i gravi indizi di colpevolezza potrebbero risolversi in elementi di evidenza probatoria. Inoltre qualora il soggetto venga rimesso in libertà, a seguito di revoca o annullamento della misura cautelare, ed il giudizio immediato sia stato accolto non avrà la possibilità di revocarlo. Si evince in sintesi, da quanto detto si evince l’inconciliabilità del rito in questione con gli art. 3 e 24 della Costituzione. Giudizio immediato obbligatorio (464) - Il giudizio immediato viene imposto poi ex lege nelle ipotesi in cui vi sia stata opposizione a decreto penale di condanna: in questi casi il rito non si fonda sull’evidenza della prova tanto è vero che il Pm non presenta alcuna richiesta in tal senso. La ragione che giustifica tale rito è che l’udienza preliminare viene ritenuta superflua in considerazione del fatto che si tratti di reati di scarsa gravità, punibili con una mera pena pecuniaria, non sempre agevoli da provare. Le caratteristiche procedurali del giudizio immediato obbligatorio sono pressoché identiche a quelle descritte con riferimento al giudizio immediato ordinario regolato dagli articoli 453-458. L’unica differenza di rilievo sta nell’atto introduttivo del rito: non una richiesta del pubblico ministero, bensì un decreto di citazione, che il giudice dell’indagine preliminare emette d’ufficio, quando abbia constatato che ogni altra via a una soluzione anticipata del processo è ormai preclusa. GIUDIZIO DIRETTISSIMO - Il rito in questione si caratterizza per la soppressione totale dell’intera fase preliminare e nell’immediata instaurazione del dibattimento, per atto autoritativo del pubblico ministero: ciò accade quando il fondamento dell’accusa è talmente evidente da rendere superflua non solo la verifica dell’udienza preliminare, ma addirittura la ricerca di mezzi di prova usualmente attuata nel corso dell’indagine preliminare. Si può dire che se il giudizio immediato esige una generica evidenza dei fatti descritti nell’accusa, il giudizio direttissimo presuppone una evidenza qualificata degli stessi fatti. Per l’accesso al giudizio direttissimo sono previsti dei presupposti di carattere oggettivo: la situazione di flagranza che legittima l’arresto o l’allontanamento d’urgenza dalla casa familiare; la confessione resa nel corso dell’interrogatorio effettuato dal pubblico ministero (sia che si tratti di indagato a piede libero, che di indagato colpito da ordinanza cautelare comportante custodia, arresti domiciliari, custodia in carcere o luogo di cura). Presupposti che giustificano la mancanza di un controllo del GIP. In questi casi, ci si trova in una situazione di evidenza probatoria, si può dire che l’accusa nasce fondata. Il rito speciale in esame deve essere, però, attivato entro 30 giorni dall’arresto o dalla notitia criminis. Quando una persona è stata arrestata in flagranza di un reato, il pubblico ministero, se ritiene di dover procedere, può presentare direttamente l’imputato in stato di arresto davanti al giudice del dibattimento, per la convalida e il contestuale giudizio, entro quarantotto ore dall’arresto. Se l’arresto non è convalidato, il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero. Il giudice procede tuttavia a giudizio direttissimo quando l’imputato e il pubblico ministero vi consentono. Se l’arresto è convalidato, si procede immediatamente al giudizio. Il pubblico ministero, quando l’arresto in flagranza è già stato convalidato, procede al giudizio direttissimo presentando l’imputato in udienza non oltre il trentesimo giorno dall’arresto, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Con riguardo al reo confesso, il pubblico ministero procede con citazione a comparire a una udienza non successiva al trentesimo giorno dalla iscrizione nel registro delle notizie di reato. L’imputato in stato di custodia cautelare per il fatto per cui si procede è presentato all’udienza entro il medesimo termine. Quando una persona è stata allontanata d’urgenza dalla casa familiare ai sensi dell’articolo 384-bis, la polizia giudiziaria può provvedere, su disposizione del pubblico ministero, alla sua citazione per il giudizio direttissimo e per la contestuale convalida dell’arresto entro le successive quarantotto ore, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. In tal caso la polizia giudiziaria provvede comunque, entro il medesimo termine, alla citazione per l’udienza di convalida indicata dal pubblico ministero. Quando il reato per cui è richiesto il giudizio direttissimo risulta connesso con altri reati per i quali mancano le condizioni che giustificano la scelta di tale rito, si procede separatamente per gli altri reati e nei confronti degli altri imputati, salvo che ciò pregiudichi gravemente le indagini. Se la riunione risulta indispensabile, prevale in ogni caso il rito ordinario. La celerità del rito autorizza il pubblico ministero, l’imputato e la parte civile (se costituitasi) a presentare direttamente i testimoni in udienza senza la preventiva autorizzazione del giudice. Il presidente prima che sia dichiarato aperto il dibattimento deve avvisare, a pena di nullità, l’imputato della possibilità di chiedere il giudizio abbreviato o il patteggiamento e della facoltà di ottenere un termine per preparare la difesa (entro il quale il dibattimento è sospeso). La richiesta di giudizio direttissimo subisce un vaglio di ammissibilità sulla sussistenza dei presupposti per l’azionabilità del rito. La scelta di questo rito si regge su presupposti che postulano un accusa seriamente fondata. I sacrifici imposti alla difesa trovano dunque una ragionevole giustificazione proprio della situazione di qualificata evidenza probatoria, che solitamente si accompagna allo stato di flagranza o e alla confessione del reato. Inoltre nei casi di arresto in flagranza, il giudizio direttissimo è subordinato all’ulteriore condizione che l’imputato permanga in stato di limitazione della libertà personale, talché il rito speciale resta preclusa in assenza di un esplicito atto di consenso dell’imputato a piede libero (449). Benché la legge non prevede a una formale richiesta, l'atto con il quale il pubblico ministero introduce il giudizio direttissimo costituisce un modo di esercitare l’azione penale, sul quale il giudice è chiamato a esercitare il suo sindacato. Qualora il giudice rinviene la mancanza dei requisiti necessari impedirà la celebrazione del processo e restituirà gli atti al pubblico ministero; le parti mantengono però il potere di accordarsi ugualmente per la prosecuzione del giudizio direttissimo anche quando l’arresto in flagranza non sia stato convalidato. Ovviamente il giudizio in questione una volta instauratosi è destinato a concludersi con l’emanazione di una sentenza di condanna o di proscioglimento, appellabile con gli ordinari rimedi. Giudizio direttissimo davanti al giudice monocratico – Ci sono alcune differenze dovute al fatto che qui è la polizia giudiziaria a presentare dinanzi al giudice il soggetto per la convalida dell’arresto ed il contestuale giudizio. Qualora il giudice non tenga udienza la stessa deve essere fissata entro 48 ore. Qualora il Pm ordina che il soggetto sia a sua disposizione lo presenta all’udienza per la convalida ed il giudizio. Ove non sia possibile nell’immediato la convalida dell’arresto ed il giudizio, il soggetto deve essere custodito agli arresti domiciliari, in alternativa presso strutture della polizia giudiziaria o presso la casa circondariale del luogo in cui è avvenuto l’arresto. A norma dell’articolo 558 comma 7° imputato ha facoltà di chiedere un termine a difesa più breve (fino a cinque giorni) di quello assicurato davanti al giudice collegiale (10 giorni), ma non ha diritto ad essere avvertito dal giudice della possibilità di avvalersi di tale facoltà, come invece prevede l’articolo 451 comma 6°. Nulla si dice degli adempimenti preparatori del dibattimento, né del modo in cui va esercitata l'azione penale in questa speciale versione di giudizio direttissimo. Grazie al generale rinvio operato dall’articolo 549, trovano applicazione le corrispondenti norme previste negli articoli 450 e 451 e valgono dunque le osservazioni già svolte a questo riguardo nel paragrafo precedente Giudizi direttissimi atipici - In casi eccezionali, il giudizio direttissimo può essere promosso anche quando non ricorrano gli ordinari presupposti, ma si riscontri l’esigenza di giudicare con celerità taluni reati percepiti come gravi e allarmanti: delitti concernenti armi ed esplosivi, reati di discriminazione etnica, razziale e religiosa, delitti commessi in occasione di manifestazioni sportive, reati di illegale ingresso o permanenza degli stranieri nel territorio dello Stato. Con riferimento a tutte queste ipotesi delittuose troverà instaurazione il giudizio direttissimo, salvo che si rendano necessarie speciali indagini, ossia si quando le investigazioni appaiono talmente complesse da contrastare con le esigenze di speditezza del rito, motivo per il quale il Pm sarà legittimato a scegliere il normale iter processuale. Anche il giudizio direttissimo atipico, infine posso subire la trasformazione in giudizio abbreviato, il patteggiamento o in sospensione del processo con messa alla prova. La relativa richiesta va presentata prima che sia dichiarato aperto il dibattimento.