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DIRITTO TRIBUTARIO - DE MITA (Parte 2), Dispense di Diritto Tributario

E. DE MITA, Principi di diritto tributario, Giuffrè, 2011 capitoli riguardanti Parte terza – LE IMPOSTE INDIRETTE Capitolo primo - L'IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO Capitolo secondo – L'IMPOSTA DI REGISTRO Capitolo terzo – L'IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI E DONAZIONI Capitolo quarto - TRIBUTO DI BOLLO Parte quinta - L'IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITA' PRODUTTIVE

Tipologia: Dispense

2016/2017

In vendita dal 21/09/2017

Alessandra.Brancato
Alessandra.Brancato 🇮🇹

4.5

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Scarica DIRITTO TRIBUTARIO - DE MITA (Parte 2) e più Dispense in PDF di Diritto Tributario solo su Docsity! Parte terza – LE IMPOSTE INDIRETTE Capitolo primo - L'IMPOSTA SUL VALORE AGGIUNTO I LA STRUTTURA 1. L’IVA: imposta comunitaria L’imposta sul valore aggiunto è stata introdotta nell’ordinamento italiano con il p.D.R. 26 ottobre 1972. Il parlamento, nella legge delega, non fa alcun riferimento alle norme comunitarie; la disciplina interna, non poteva risentire delle direttive emanate dalla Comunità europea (oggi Unione europea) con lo scopo di armonizzare le legislazioni fiscali dei Paesi ad essa appartenenti. L’IVA è stata istituita in ottemperanza alle direttive dell’unione europea e costituisce un tributo di origine comunitaria, che si caratterizza come un’imposta generale sui consumi all’interno degli Stati dell’Unione con la finalità di favorire la libera circolazione delle merci e dei servizi e non ostacolare la libera concorrenza. Le legislazioni in materia di IVA degli Stati membri devono essere conformi alla disciplina comunitaria. Dunque le norme comunitarie non solo prevalgono su quelle interne se sono determinate e sufficientemente precise (secondo la più recente giurisprudenza della Corte di Giustizia e della Corte costituzionale), ma fungono comunque da criteri fondamentali per l’interpretazione della disciplina nazionale. Il 1° gennaio 2010 è entrata in vigore la Direttiva 2008/8/CE del 12 febbraio 2008 in materia di territorialità delle prestazioni di servizi generiche in ambito IVA. Il legislatore comunitario ha riformato un aspetto della disciplina dell’IVA che, a causa della sua problematicità, era già stato oggetto di plurime modifiche legislative succedutesi nel corso dell’evoluzione normativa dell’imposta. 2. Scopo e oggetto dell’IVA Lo scopo dell’IVA è tassare beni e servizi immessi al consumo da determinati soggetti. Tale scopo si individua dalla disciplina delle aliquote che sono determinate proprio con riferimento a beni e servizi. L’aliquota difatti rappresenta la misura del sacrificio fiscale. L’IVA dovrebbe essere pagata dal consumatore allo Stato all’atto del consumo. Ma per ragioni di semplificazione tecnica si introducono nello schema consueto delle imposte le seguenti variazioni, una conseguenza dell’altra, che conferiscono all’IVA una sua peculiarità: • si provvede ad una tassazione per masse di operazioni; • tale somma non viene fatta in testa ai singoli consumatori, ma in testa ai soggetti che professionalmente immettono beni e servizi al consumo (imprenditori, professionisti, importatori); • tali soggetti, pagando un’imposta non propria, si rivalgono sui singoli consumatori mediante una rivalsa obbligatoria; da questo punto di vista essi sono collettori di imposta per conto dello Stato. I consumatori di beni e servizi che hanno corrisposto l’IVA al produttore in via di rivalsa si distinguono in due categorie: 1. consumatori di beni e servizi destinati all’esercizio di attività commerciali o professionali; 2. consumatori di beni e servizi destinati alla soddisfazione di bisogni primari (consumatori finali) Orbene, solo questi ultimi devono rimanere, secondo lo scopo dell’IVA, incisi dal tributo, mentre i primi devono restare fiscalmente neutri. Tale neutralità si ottiene con una detrazione (che è una specie di compensazione) dell’IVA subita in via di rivalsa (o comunque assolta) dall’imposta dovuta sulla massa delle operazioni (imposta lorda). La somma che si ottiene da questa detrazione è l’imposta dovuta dal soggetto passivo. Se la detrazione è maggiore dell’imposta lorda, il contribuente ha diritto ad un credito. Chi consuma beni per l’esercizio dell’impresa o della professione paga l’IVA al momento della fatturazione delle singole operazioni, ma recupera le somme comunque pagate a titolo di IVA portandole in detrazione dall’imposta lorda liquidata sulle operazioni concluse come produttore. L’applicazione della detrazione è una somma algebrica sicchè essa può essere anche maggiore dell’imposta lorda, con il conseguente emergere di un credito nei confronti dello Stato. Il consumatore finale, come destinatario di un obbligo tributario, è il soggetto che manifesta la capacità contributiva che costituisce la ratio economica dell’IVA. Il contribuente dell’IVA è dunque il consumatore finale, anche se non ha rapporti diretti con l’amministrazione finanziaria; ma nei confronti del soggetto passivo il consumatore finale potrà sollevare tutte le questioni relative alla legittimità anche costituzionale della rivalsa stessa. L’individuazione del consumatore finale come titolare della capacità contributiva consente la corretta configurazione degli obblighi tributari che incombono sugli altri soggetti. 6. Funzione della detrazione e nozione di valore aggiunto È soggetto passivo dell’IVA nei confronti dello Stato chi esercita l’impresa, la professione o l’importazione. Tale soggetto da una parte è collettore d’imposta per conto dello Stato e in tale veste sarebbe solo una sorta di sostituto d’imposta. Dall’altra parte questo soggetto è creditore verso lo Stato dell’IVA che ha subito in quanto consumatore di beni e servizi importati e acquistati nell’esercizio della propria attività. L’imposta dovuta dal soggetto passivo è data dalla detrazione della seconda somma dalla prima, da una detrazione di una imposta da un’altra imposta. Occorre dare ragione della fusione di questa detrazione. Essa non è elemento necessario della tassazione dei consumi. Difatti essa storicamente non era prevista quando era in vigore l’imposta generale, IGE, quando l’imposta pagata dal produttore sui fattori della produzione diventava un costo che veniva incorporato nel prezzo, producendo effetti che interessavano soltanto l’economica. La detrazione introdotta con l’IVA non interessa la tassazione dei consumi, ma la produzione. Il prezzo risulta dai fattori puri della produzione senza comprendere la tassazione. La liquidazione dell’IVA come imposta sui consumi da parte del produttore sul volume d’affari diventa un’occasione per il recupero dell’imposta che egli non deve in quanto non è consumatore finale. La denominazione dell’imposta in esame serve solo a contrapporre l’IVA alle altre imposte sui consumi, ma non c’è nella struttura dell’imposta un elemento che possa chiamarsi valore aggiunto, la differenza cioè di imponibile fra valore delle vendite e valore degli acquisti. Esiste soltanto una operazione consistente nella determinazione dell’imposta netta, come differenza fra l’imposta dovuta sui corrispettivi delle operazioni attive e l’imposta sugli acquisti di beni e servizi. 7. Peculiarità tecnica dell’IVA Le caratteristiche tecniche dell’IVA portano alla configurazione formale di essa come imposta periodica, analoga alle imposte sui redditi. È dominante l’elemento organizzativo e contabile: 1. dal punto di vista organizzativo la base imponibile è la somma di corrispettivi dovuti al soggetto passivo dai soggetti destinatari di beni e servizi prestati in un arco di tempo; 2. il profilo contabile è dato dall’obbligo del soggetto passivo di richiedere l’IVA dovuta per la singola operazione con un documento detto fattura e di registrare le fatture in apposito registro. L’imposta è liquidata per categorie: difatti l’aliquota varia in funzione del bene o del servizio immesso al consumo. La variazione dell’aliquota in dipendenza della tipologia di bene o servizio immesso al consumo consente di rilevare il tipo di capacità contributiva che la legge intende colpire. Dall’imposta così liquidata va detratto il totale dell’imposta pagata per l’acquisizione dei fattori della produzione. Quest’ultima imposta è un credito condizionato all’effettiva sussistenza dei requisiti soggettivi che si compensa con l’imposta lorda liquidata sulle operazioni effettuate. Questi profili descrittivi conferiscono al termine “imposta” riferito al soggetto passivo dell’IVA un significato del tutto particolare. C’è un rapporto giuridico che non corrisponde a nessuna capacità contributiva del soggetto obbligato. Un’imposta che può consistere anche in un credito e che in ogni caso non è destinata ad incidere sul patrimonio dell’obbligato. In ciò sta la particolarità tecnica dell’IVA. Il rapporto del soggetto passivo con lo Stato è formalmente organizzato in perfetta analogia con quello delle imposte dirette: è un rapporto periodico che si attua con le medesime procedure. Il rapporto del soggetto passivo è uno strumento della riscossione organizzato in forma di diritto sostanziale. La tecnica giuridica fa dell’IVA un istituto tributario particolarmente complesso. La base imponibile è data dalla somma di fatti e non da singoli fati. L’imposta dovuta è determinata secondo un elemento, la detrazione, non necessario dal punto di vista dell’oggetto della tassazione. Tale elemento diventa strutturale, ma solo dal punto di vista della comodità dell’applicazione. Dunque prevale la comodità applicativa nelle regole della compensazione, del calcolo dell’imposta e nella disciplina della rivalsa nel commercio al minuto, dove l’imposta è assorbita nel prezzo e quindi non ha rilievo formale. Se l’imposta rispondesse solo ad esigenze logiche, volesse solo rispondere ad esigenze di astratta razionalità e coerenza, la rivalsa dovrebbe essere sempre applicabile formalmente e la detrazione dovrebbe seguire l’autonoma disciplina del rimborso. L’esigenza applicativa sacrifica entro certi limiti i profili sostanziali. 8. Capacità contributiva e limiti di costituzionalità dell’IVA Individuata la manifestazione di capacità contributiva che l’IVA vuol colpire, risulta utile verificare i limiti di legittimità costituzionale di un tributo così atipico. Se si imposta la questione in termini squisitamente formali, in analogia a quanto avviene per le altre imposte, la manifestazione di capacità contributiva dovrebbe essere data da quei fatti che legittimano l’obbligazione verso lo Stato. Ma questo schema, se è valido per le altre imposte, non è valido per l’IVA. Qui va usata quella giurisprudenza in tema di rivalsa obbligatoria e di accollo di imposta che ha interpretato la nozione di capacità contributiva come espressione del sacrificio nella sfera patrimoniale del soggetto. E tale soggetto nell’IVA è solo il consumatore finale. Tale impostazione non può essere contraddetta né da rilievi di carattere economico (come quando si rileva che l’entità dell’aliquota può incidere sulla propensione al consumo, sottraendo al venditore potenziali acquirenti), né quando si rileva che il tributo è dovuto allo Stato indipendentemente dall’esercizio della rivalsa. In conclusione la capacità contributiva nell’IVA è espressa dai fatti investiti dall’aliquota, che viene determinata in funzione del tipo di consumo che si vuol colpire in via definitiva. • destinatario della rivalsa obbligatoria per le singole operazioni effettuate. 11. Le operazioni imponibili L’operazione imponibile è l’immissione al consumo interno di un bene o di una utilità diversa (servizi) frutto dell’attività produttiva di un imprenditore o di un professionista. L’integrazione di questa previsione coi fatti costituiti da quella forma di immissione al consumo nazionale che sono le importazioni fornisce il quadro complessivo dei tre tipi di operazioni assoggettate all’IVA: 1. cessioni di beni, compiute nel territorio dello Stato, nell’esercizio di imprese, arti e professioni; 2. prestazioni di servizi, poste in essere nel territorio dello Stato, nell’esercizio di imprese, arti e professioni; 3. importazioni da chiunque effettuate. Le prime due operazioni hanno in comune la qualificazione del soggetto come professionista od imprenditore ed il principio di territorialità. Nella terza operazione è irrilevante la qualificazione soggettiva e l’elemento territoriale è implicito nel fenomeno dell’importazione come introduzione nel territorio dello Stato di beni non prodotti in Italia e provenienti dall’estero. 12. Cessioni di beni Sono definite dalla legge come atti a titolo oneroso che comportano il trasferimento della proprietà o la costituzione od il trasferimento di diritti reali di godimento. La legge, secondo una tecnica legislativa consueta, prevede delle assimilazioni e delle esclusioni di imposta. Nella prima rientra una serie di fattispecie che, alla lettera, non sarebbero configurabili come cessioni di beni per la mancanza di un qualche elemento formale, ma che vengono considerate parimenti cessioni perché potrebbero prestarsi a forme di elusione, quanto meno sotto il profilo temporale del ritardo nella tassazione o che vengono considerate economicamente equivalenti alla cessione a titolo oneroso. Anche se concettualmente la categoria dell’esclusione comprende i fatti che non rientrano nella ratio di un’imposta, l’elenco delle esclusioni IVA è molto più complesso ed individua anche ipotesi che potrebbero rientrare nella categoria delle esenzioni con un’arbitrarietà che viene spiegata non solo con la tecnica difettosa della legislazione, ma anche per l’assenza di direttive comunitarie, sicché il legislatore italiano si è mosso con un certo grado di arbitrarietà. Volendo colpire l’IVA i beni immessi al consumo dal mondo produttivo, è evidente che vengono esclusi quei fatti che attengono a profili strumentali della produzione: cessione di denaro o crediti di denaro, cessione d’azienda e di complessi aziendali, conferimenti societari, passaggi di beni in dipendenza di operazioni societarie come fusioni, scissioni e trasformazioni; Rientra nella logica complessiva dell’IVA l’esclusione di quei beni per i quali la legge non consente la detrazione d’imposta. 13. Prestazioni di servizi Dovrebbero essere sul piano logico tutte le utilità prestate dietro corrispettivo che non rientrino nella cessione di beni (e tale è l’orientamento della direttiva). La legge italiana definisce prestazioni di servizi quelle consistenti in obbligazioni di fare, di non fare e di permettere, quale che ne sia la fonte. Ma questa è solo una parte residuale di un’elencazione esemplificativa che tende ad essere esaustiva, secondo la tecnica casistica: i contratti d’opera, d’appalto, trasporto, mandato, spedizione, agenzia, mediazione, deposito e, preceduti da un “costituiscono inoltre”, un’altra serie di casi che sono la soluzione in sede legislativa di problemi pratici. Anche per le prestazioni di servizi sono previste esclusioni che potrebbero essere delle esenzioni. 14. Le importazioni (rinvio paragrafo 30) 15. Classificazione delle operazioni Una fondamentale distinzione in ambito IVA si ha fra le operazioni rientranti nel campo di applicazione del tributo e quelle che ne sono invece escluse. L’IVA si applica solo in presenza di tre presupposti previsti dalla legge: 1. presupposto oggettivo 2. presupposto soggettivo 3. territorialità La mancanza anche di uno solo di questi tre presupposti configura un’operazione esclusa dal campo di applicazione dell’IVA, ossia un’operazione non assoggettabile agli obblighi formali stabiliti dalla legge e per la quale non sorge alcun debito di imposta. Le operazioni che rientrano nel campo di applicazione dell’IVA sono definite rilevanti e si distinguono in a. operazioni imponibili b. operazioni non imponibili c. operazioni esenti A. OPERAZIONI ESCLUSE E OPERAZIONI NON IMPONIBILI Quando l’operazione è soggetta al regime pieno dell’IVA subisce due tipi di trattamento giuridico: • sostanziale di soggezione al tributo e di concorso quindi alla formazione della base imponibile; • formale di concorso alla formazione del volume d’affari e di assoggettamento agli obblighi formali (fatturazione, registrazione, dichiarazione). Le operazioni dichiarate dalla legge escluse non subiscono, pertanto, alcun trattamento: sono fuori del campo di applicazione. Non tutte le operazioni soggette ad IVA scontano il regime pieno, sia quello sostanziale che quello formale. Vi sono operazioni, comprese nel campo di applicazione, che non sono imponibili, ma consentono la detraibilità dell’imposta pagata sugli acquisti: sono le cessioni all’esportazione che, in conformità al principio di tassazione nel luogo di destinazione, non si considerano effettuate nel territorio dello Stato e quindi in esso non tassabili. Tali operazioni concorrono alla formazione del volume d’affari, per la rilevanza che tale elemento ha sul piano delle procedure applicative, e sono assoggettate a tutti gli obblighi formali. Le operazioni non imponibili non producono un’interruzione nell’applicazione delle regole tributarie che riflettono il ciclo produttivo di un bene, cioè non riducono l’entità delle detrazioni spettanti. B. OPERAZIONI ESENTI Le operazioni esenti non rilevano ai fini della tassazione: sono delle eccezioni alla regola dell’imponibilità, ma operano un’interruzione nella continuità del ciclo produttivo nel senso che riducono l’entità delle detrazioni spettanti. L’esenzione è prevista solo nell’interesse del consumatore, il che è conferma dello scopo dell’imposta come tassazione dell’immissione al consumo. Difatti chi effettua operazioni esenti resta pur sempre assoggettato nei confronti dello Stato per quanto concerne il resto delle operazioni. L’operazione esente concorre a formare il volume d’affari ed è assoggettata agli obblighi formali. assoggettata da parte del committente ad IVA in Italia tramite il meccanismo del reverse charge (autofatturazione). In sintesi, le prestazioni di servizi si considerano effettuate nel territorio dello Stato quando sono rese a soggetti passivi che nello stesso territorio hanno il domicilio o la residenza ovvero quando sono rese a committenti non soggetti passivi (privati consumatori) da soggetti passivi stabiliti in Italia. Per le persone fisiche i concetti di domicilio e residenza sono quelli di diritto comune. Per i soggetti diversi dalle persone fisiche si considera domicilio la sede legale e si considera residenza quella in cui si trova la sede effettiva. 18. L’IVA comunitaria La realizzazione di un unico mercato tra gli Stati membri dell’Unione europea, al fine di consentire all’interno dell’Unione la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali, ha comportato la soppressione delle frontiere tra gli stessi Stati membri agli effetti dell’applicazione dell’IVA e la configurazione sotto tale profilo di una nuova entità territoriale, il territorio comunitario, che si presenta come un unicum nei rapporti coi Paesi extracomunitari. Si è resa quindi necessaria l’adozione di un nuovo regime di tassazione ai fini IVA delle operazioni intracomunitarie non più fondato sulle nozioni di importazione ed esportazione. L’IVA sulle importazioni (cioè l’imposta applicata in dogana al momento della effettuazione di ciascuna operazione di importazione di merci) trova oggi applicazione solo con riguardo ai beni provenienti da Paesi diversi da quelli appartenenti all’Unione. Parallelamente, per operazioni di esportazione (che sono operazioni non imponibili) devono intendersi solo le operazioni effettuate verso Paesi terzi rispetto agli Stati dell’Unione. Il nuovo regime di applicazione dell’IVA sulle operazioni intracomunitarie si basa sul principio dell’imposizione dell’operazione nello Stato membro di destinazione, secondo le aliquote ed alle condizioni previste all’interno di tale Stato. Qui il presupposto dell’imposta è costituito dall’acquisto intracomunitario di beni, intendendosi come tale l’acquisizione a titolo oneroso, effettuata nell’esercizio di imprese, arti o professioni, della proprietà di beni o di altro diritto reale di godimento sugli stessi, trasportati nel territorio dello Stato da altro Stato membro dal cedente, nella qualità di soggetto passivo d’imposta, ovvero dell’acquirente o da terzi per loro conto. L’operazione quindi diventa imponibile nello Stato membro di destinazione del bene secondo le regole (aliquote, esenzioni, ecc) dettate dall’ordinamento interno per la stessa tipologia di operazioni. Debitore dell’imposta è il cessionario (e non il cedente, come avviene nella disciplina delle cessioni interne), il quale indicherà l’imposta nella fattura ricevuta dal cedente di altro Stato membro, provvedendo ad annottare la stessa fattura sia nel registro degli acquisti che in quello delle vendite. La duplice annotazione influenza la liquidazione periodica dell’IVA del soggetto passivo residente nello Stato di destinazione, garantendo la neutralità dell’imposizione nei suoi confronti. La disciplina descritta ha carattere transitorio, in quanto trova applicazione fino a quando non entrerà in vigore il regime definitivo degli scambi intracomunitari, che dovrà basarsi sul principio della tassazione IVA nel Paese di origine, cioè di provenienza del bene. 19. Elementi soggettivi B) ELEMENTI SOGGETTIVI a. La qualificazione di imprenditore Le operazioni individuate in base ai criteri visti debbono essere ricondotte, nella sistematica dell’IVA, ad attività anch’esse qualificate, come l’esercizio di impresa e lo svolgimento di attività professionale: l’operazione rientra nella disciplina dell’IVA se è prodotta da un soggetto qualificato impresa o professionista. Analogamente a quanto avviene per le imposte sui redditi, non dovrebbero essere considerati soggetti passivi dell’IVA, per la natura della loro attività, lo Stato, gli enti pubblici territoriali e quelli che esercitano funzioni statali. Ma tale esclusione soggettiva di imposta è prevista solo nel diritto comunitario e non ancora espressamente nella legge italiana. La legge sull’IVA nell’individuare i soggetti che nell’esercizio della propria attività pongono in essere operazioni assoggettate al proprio regime ricalca, grosso modo, con qualche variazione, le previsioni poste in tema di imposte dirette. In linea di prima approssimazione sono imprese e professionisti quei soggetti che sono tali ai fini delle imposte sui redditi. La più grossa differenza è che nel concetto di impresa rientra anche l’esercizio dell’attività agricola, in quanto anche questa immette beni al consumo. È impresa agricola ogni ente pubblico o privato, compresi i consorzi, associazioni e le altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio, per professione abituale, di attività agricole (coltivazione del fondo, silvicoltura, allevamento del bestiame e le attività connesse quando rientrano nel ciclo normale dell’agricoltura) previste dall’art. 2135 c.c. anche se non organizzate in forma d’impresa. L’impresa commerciale è definita secondo i criteri propri delle imposte sui redditi, pertanto è data: a. o da soggetti che, per la loro veste giuridica, sono enti commerciali, qualunque sia l’attività svolta; b. o da enti pubblici e privati, diversi dalle società, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l’esercizio, svolto per professione abituale, di attività commerciali di cui al 2195 c.c., anche se non organizzate in forma di impresa; b. La qualifica di professionista Per esercizio di arte e professione, ai fini dell’IVA, si intende l’esercizio, per professione abituale, ancorché non esclusivo, di qualsiasi attività di lavoro autonomo da parte di persone fisiche o da parte di società semplici o di associazioni senza personalità giuridica costituite fra persone fisiche per l’esercizio delle attività stesse. L’aggettivo qualsiasi e l’assunzione di altre specificazioni, non costituiscono ragioni per intendere la categoria dei lavoratori autonomi, ai fini dell’IVA, una categoria diversa da quella prevista per le imposte sui redditi; tanto più se si riconduce il requisito dell’organizzazione all’attività d’impresa. Il requisito di un elemento organizzativo che qualifichi positivamente l’attività di lavoro autonomo, allo stato delle cose, non esiste nella legge; c. La qualifica di importatore Per importatore s’intende il proprietario della merce o chi presenti la merce in dogana o la detenga al momento dell’entrata nel territorio doganale. Sono responsabili d’imposta per gli accertamenti fatti dall’amministrazione gli spedizionieri doganali, i quali rispondono peraltro solo in via sussidiaria rispetto al debitore principale. In virtù del principio della libera circolazione delle merci e della soppressione delle barriere doganali fra gli Stati della comunità, la qualifica d’importatore è limitata ai soggetti che importano merci da Paesi extra-comunitari. Tale somma è oggetto di un rapporto giuridico autonomo ricollegato ad un periodo di tempo, costituito dall’anno solare. Sicché, si può dire con la Cassazione che imposta dovuta è quella risultante dalla somma algebrica tra l’imposta calcolata sulle operazioni imponibili e le detrazioni consentite e che a tale imposta (od eccedenza) va ragguagliata la pena pecuniaria per dichiarazione infedele. Tale nozione di imposta dovuta non ha alcun valore sostanziale che faccia andare alla ricerca del presupposto dell’IVA in un fantomatico valore aggiunto, che non è elemento della disciplina, ma solo ratio di essa. Sicchè, è impropria l’affermazione della Cassazione secondo la quale l’IVA colpisce essenzialmente il valore aggiunto e che tale valore lo si ottiene proprio dalla somma algebrica dell’imposta fra operazioni attive ed operazioni passive. La precisazione delle nozioni giuridiche va fatta in funzione degli effetti. La c.d. imposta è un meccanismo di compensazione che viene elevato a rapporto giuridico autonomo mediante lo strumento giuridico del periodo: tutte le operazioni, attive e passive, che cadono nel periodo danno luogo ad una somma autonomamente accertabile. L’IVA in testa al produttore è dunque un’imposta periodica nel senso che ad ogni periodo corrisponde un rapporto giuridico autonomo. Tutte le vicende relative al periodo sono destinate ad esaurirsi con la definitività dell’accertamento, analogamente a quanto avviene per le imposte dirette. La circostanza che il credito possa essere compensato anche in anni successivi è un mero profilo della riscossione. La nozione di ciclo produttivo è giuridicamente irrilevante, come quella di valore aggiunto. Il pregio di tali nozioni è quello di esprimere la ratio di un istituto sofisticato come l’IVA. 22. La rivalsa La rivalsa è un credito nei confronti del cessionario che spetta al soggetto che effettua l’operazione imponibile, ed ha per oggetto l’imposta liquidata sul prezzo. Se il cessionario è un altro soggetto IVA acquista, per effetto della rivalsa, il diritto alla detrazione nel suo rapporto tributario con la finanza; se il cessionario non è un assoggettato, o comunque non ha diritto alla detrazione, rimane inciso dal tributo. Il credito oggetto della rivalsa è assistito da privilegio speciale sui beni immobili oggetto della cessione od ai quali si riferisce il servizio prestato e sulla generalità dei mobili del debitore. L’esercizio della rivalsa è obbligatorio in quanto non consente patti contrari: all’emissione della fattura l’importo della rivalsa deve essere evidenziato rispetto al prezzo. La rivalsa non è obbligatoria per le cessioni gratuite di beni e per l’autoconsumo, per la destinazione cioè di beni prodotti al consumo personale o familiare del soggetto. L’obbligazione dell’assoggettato verso lo Stato è indipendente dall’esercizio della rivalsa, sicchè non c’è diritto a ripetere l’imposta pagata per mancato o infruttuoso esercizio della rivalsa. In ordine al rapporto di rivalsa è diffuso l’orientamento che esso costituisca un rapporto privatistico, per cui la giurisdizione è quella del giudice ordinario. Ma se si ammette che anche qui possono ricorrere conflitti di giudicato, quando il cedente dovesse soccombere sia nei confronti del cessionario nel processo civile che nei confronti della finanza nel processo tributario, l’unica strada è quella indicata dalla Cassazione per quanto riguarda il sostituto d’imposta: una sola azione davanti al giudice tributario che coinvolga tutte le parti; il carattere obbligatorio della rivalsa determina una situazione litisconsortile, sicché il rapporto deve essere regolato con una sentenza opponibile al fisco. II L’APPLICAZIONE 23. Le norme di attuazione. Premessa L’IVA (relativa ad operazioni diverse dalle importazioni) è un’imposta periodica rispetto alla quale sono previste procedure di accertamento e di riscossione analoghe a quelle previste per le imposte dirette. Vengono espressamente richiamate le disposizioni relative al domicilio fiscale, alla notificazione dell’avviso, alle indagini. Il periodo d’imposta è l’anno solare, al quale corrisponde un rapporto tributario autonomo, relativo alla somma delle operazioni in esso effettuate. Durante tale periodo sussistono obblighi strumentali rispetto all’accertamento ed alla riscossione, che attengono rispettivamente: • alla documentazione delle operazioni effettuate (fatturazione e registrazione); • al versamento a seguito di liquidazione infrannuale (mensile o trimestrale) dell’imposta, nella logica dell’anticipazione di imposta che caratterizza anche le imposte sui redditi 24. L’obbligo di fatturazione Chi compie operazioni imponibili è obbligato ad emettere un documento chiamato “fattura”, anche nella forma della nota, conto o parcella e simili, che sia idoneo ad identificare i soggetti e l’oggetto dell’operazione rientrante nel campo di applicazione dell’IVA. La fattura va emessa anche per le operazioni non imponibili od esenti. Gli elementi fondamentali della fattura sono ✓ Operazione ✓ Corrispettivo ✓ Identificazione dei soggetti ✓ Emittente e destinatario ✓ Aliquota ✓ Imposta Se la fattura si riferisce ad operazioni non imponibili od esenti, essa deve recare tali qualificazioni. La fattura va emessa al momento di effettuazione dell’operazione. Se la fattura od il pagamento precedono l’operazione, questa s’intende effettuata al momento della fatturazione o del pagamento. La fatturazione può essere differita per i beni viaggianti la cui consegna o spedizione risulti da idoneo documento. Per ragioni pratiche, la fattura non è obbligatoria se non è richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione, per alcune operazioni caratterizzate da uniformità, frequenza ed importo limitato, come la vendita al minuto e le prestazioni alberghiere. Quando tali elementi rendono particolarmente onerosa l’osservanza dell’obbligo di fatturazione, il Ministero delle Finanze può estendere la non obbligatorietà della fattura anche ad altre operazioni. La fattura sembrerebbe dunque avere un’efficacia accertativa dell’operazione sotto due profili: a. essa fissa l’avverarsi ed il contenuto dell’operazione, b. l’imposta è dovuta per l’ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura, anche se questa è posta in essere per operazioni inesistenti ovvero se nella fattura i corrispettivi sono indicati in misura superiore a Questo obbligo è escluso per i soggetti che nell’anno solare hanno registrato soltanto operazioni esenti. La dichiarazione relativa al periodo d’imposta, che è l’anno solare precedente, deve contenere: ✓ imponibile relativo alle operazioni effettuate, distinte secondo l’aliquota applicabile e l’ammontare delle relative imposte; ✓ operazioni non imponibili od esenti; ✓ operazioni per le quali è prevista la detrazione; ✓ differenza fra imposta e detrazione che dà luogo all’imposta netta o ad un credito qualora la detrazione sia maggiore dell’imposta lorda Abbiamo dunque nella dichiarazione tre ordini di elementi che vanno logicamente distinti: • imposta lorda (relativa alle operazioni imponibili) • detrazione • imposta netta (o il credito) La mancata indicazione nella dichiarazione della detrazione, anche se registrata, ne fa perdere il diritto. La semplice registrazione non è dunque sufficiente per l’accertamento del diritto. Il che è sufficiente per dimostrare che non c’è un contenuto della dichiarazione (e degli effetti che ne discendono) per la determinazione dell’imposta (o del credito) relativi ad un anno che fanno un atto autonomo, non meramente riepilogativo di atti precedenti. Nella dichiarazione devono essere indicate anche le somme versate in acconto. Queste somme non sono elementi costitutivi dell’imposta, ma solo un’anticipazione. Anche se tali anticipazioni possono essere sommate con le detrazioni ai fini del rimborso (e la somma viene chiamata dalle legge eccedenza) non c’è dubbio che la detrazione è elemento strutturale dell’IVA, mentre il versamento infrannuale è soltanto anticipazione e quindi momento della riscossione. La dichiarazione va presentata in via telematica entro il 30 settembre dell’anno successivo. La dichiarazione va presentata entro il termine di scadenza. Anche per l’IVA è prevista la dichiarazione tardiva (entro 90 giorni dalla sua scadenza), che è valida ma sanzionata, e quella ultratardiva, che si considera omessa a tutti gli effetti ma costituisce titolo per la riscossione che ne risulta dovuta (o del credito che ne risulta dovuto). 28. L’accertamento dell’ufficio L’accertamento da parte dell’ufficio si modella sostanzialmente su quello previsto per le imposte sui redditi con questa caratteristica: una terminologia più minuziosa (da circolare) e meno attenta a formulazioni di principio. Sono richiamate espressamente le norme sul domicilio fiscale e sulla notificazione dell’avviso in materia di imposte sui redditi. Il confronto fra questa disciplina e quella prevista per le imposte sui redditi fa capire quando sia necessaria una unificazione dei testi su procedure comuni nei principi. Competente per l’accertamento è l’ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate nella cui circoscrizione si trova il domicilio fiscale del contribuente. L’ufficio procede all’accertamento in rettifica della dichiarazione, a quello d’ufficio in caso di omessa dichiarazione, alla comminazione delle sanzioni amministrative per violazioni degli obblighi di fatturazione, registrazione e contabili ed alla trasmissione degli atti alla procura della Repubblica ove emergano profili penali. Analogamente a quanto visto per le imposte sui redditi, nella disciplina dell’accertamento si distinguono tre ordini di norme: a. quelle dirette a disciplinare l’istruttoria da parte dell’ufficio al fine di reperire la materia tassabile; b. quelle dirette a disciplinare i metodi logici che l’ufficio deve seguire nella determinazione dell’imposta, metodo analitico e metodo sintetico; c. quelle dirette a disciplinare il contenuto dell’atto che viene notificato al contribuente, i termini ed i tipi di atto a. I poteri d’indagine. Gli articoli 51 ed il 52 riproducono più o meno la disciplina prevista per le imposte sui redditi, in ordine ai poteri dell’ufficio di convocare il contribuente, sottoporgli dei questionari, chiedere notizie ad amministrazioni pubbliche, pubblici ufficiali, aziende private, procedere ad accessi, ispezioni e verifiche, rivolgersi ad aziende ed istituti di credito. b. Metodi di accertamento: l’accertamento analitico: l’accertamento è analitico quando esso è documentale, anche ricorrendo all’uso di presunzioni relative a singole omissioni ed inesattezze, purché la presunzione sia grave, precisa e concordante. In tale tipo di accertamento, che è accertamento in rettifica della dichiarazione, l’infedeltà di questa emerge: • direttamente dalla dichiarazione o dal confronto con le liquidazioni infrannuali • dal confronto col contenuto della fatturazione, registrazione o altri documenti L’accertamento analitico può esser fatto quando l’entità delle operazioni imponibili e delle detrazioni risulti in modo certo e diretto, e non in via presuntiva, da verbali, questionari e fatture, dagli elenchi allegati alle dichiarazioni di altri contribuenti, nonché da altri atti e documenti in possesso dell’amministrazione finanziaria. c. L’accertamento induttivo. Si ha quando l’imponibile e l’aliquota sono determinati sulla base di dati e notizie comunque raccolti, indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità, e sono computati in detrazione solo i versamenti operati dal contribuente e le imposte detraibili risultanti dalle liquidazioni infrannuali. Tale accertamento è previsto per le seguenti ipotesi: ■ nel caso di omessa dichiarazione; ■ quando la dichiarazione è priva di sottoscrizione ed il contribuente non vi ha provveduto nemmeno su invito dell’ufficio; ■ quando la dichiarazione non reca le specificazioni previste per la sua compilazione; ■ quando il contribuente non ha reso possibile l’esame dei registri e delle altre scritture obbligatorie, in quanto non le ha tenute, si è rifiutato di esibirle o le ha sottratte; ■ quando il contribuente non ha emesso le fatture per un importo rilevante delle operazioni o non le ha conservate, ha rifiutato di esibirle o ha sottratto all’ispezione tutte o gran parte di esse; ■ quando le omissioni o le false indicazioni od annotazioni accertate, o le irregolarità formali risultanti dai verbali di ispezione, sono così gravi, numerose e ripetute, da rendere inattendibile la contabilità del contribuente d. Il contenuto dell’avviso. L’avviso in rettifica deve contenere a pena di nullità gli errori, le omissioni e le false od inesatte indicazioni e i relativi elementi probatori. Devono essere indicati i fatti certi che danno fondamento alle presunzioni. Gli accertamenti induttivi devono indicare, a pena di nullità, le ragioni del ricorso al metodo induttivo, l’imponibile determinato dall’ufficio, l’aliquota (o le aliquote) e le detrazioni applicate. L’avviso deve essere motivato e notificato secondo le regole previste per le imposte sui redditi. Capitolo secondo – L'IMPOSTA DI REGISTRO 1. Il tributo di registro Il tributo di registro si applica su atti giuridici (negozi giuridici, atti amministrativi, provvedimenti giurisdizionali) in corrispondenza di un’attività dello Stato, detta registrazione, che interessa i soggetti cui l’atto si riferisce. La registrazione consiste nell’annotazione dell’atto in pubblici registri che ne attestano l’esistenza ed attribuiscono ad essi la data certa di fronte ai terzi a norma del 2704 c.c. Tale attività è dunque un servizio a fronte del quale viene pagato un tributo che, sotto questo profilo, si atteggia come una tassa. Col tempo il tributo si è venuto sempre più configurando come imposta, in quanto ragguagliato al contenuto patrimoniale dell’atto, cioè al valore dei diritti e dei beni con esso disposti. Quella di registro è un’imposta che colpisce la ricchezza disposta con un atto giuridico, che contiene la base imponibile cui si applica l’aliquota. La capacità contributiva di tale imposta è la ricchezza corrispondente al contenuto patrimoniale di un atto giuridico, più precisamente ai suoi effetti che sono per lo più traslativi (talora dichiarativi) di ricchezza: in questo senso l’imposta di registro può essere classificata come imposta indiretta sui trasferimenti di ricchezza. Prima della registrazione vi è solo l’obbligo o la facoltà di richiederla. Il regime giuridico dell’imposta dovrebbe essere sempre quello vigente al momento della registrazione. Ma tale principio non trova riscontro nella legge, secondo la quale il regime varia in funzione del tipo di obbligo preesistente alla registrazione: • se l’atto va registrato in un termine fisso si applicano le regole vigenti al momento della formazione dell’atto; • se l’atto va registrato solo in caso d’uso l’imposta è applicata in base alle disposizioni vigenti al momento della richiesta di registrazione 2. Gli atti sottoposti a registrazione Sono soggette a registrazione tre categorie di presupposti: a. ATTI SCRITTI ✓ atti scritti formati nello Stato ✓ atti formati all’estero solo quando dispongano della proprietà e degli altri diritti reali, di garanzie, di affitti e locazioni di beni immobili od aziende nel territorio dello Stato; b. CONTRATTI VERBALI Sono soggetti a registrazione, anche se non hanno forma scritta, alcuni contratti di locazione ed affitto di beni immobili esistenti nel territorio dello Stato, e le loro vicende modificative od estintive (cessione, risoluzione, proroga); trasferimento ed affitto di aziende esistenti nel territorio dello Stato e costituzione o trasferimento di diritti reali di godimento sulle stesse e relative cessioni, risoluzioni, proroghe anche tacite; c. OPERAZIONI DI SOCIETA’ ED ENTI ESTERI L’istituzione o il trasferimento in Italia della sede legale, anche secondaria, di società di ogni tipo e di enti commerciali. 3. La registrazione La registrazione degli atti giuridici in pubblici registri è un servizio che storicamente è nato con lo scopo di offrire una tutela contro la falsificazione, assicurando l’autenticità e la conservazione degli atti privati e pubblici. Tale scopo è emerso in tutta la sua pienezza quando in passato la registrazione è stata anche gratuita, in ipotesi nelle quali mancava lo scopo fiscale. La registrazione consiste nell’annotazione dell’atto in un apposito registro, con l’indicazione del numero progressivo annuale, della data della registrazione, del nome del richiedente, della data dell’atto, delle parti e delle somme riscosse. Trascorsi dieci anni gli atti vengono trasmessi agli archivi notarili. La registrazione, eseguita secondo le regole prescritte, attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad essi la data certa a norma del 2704 c.c. 4. Obbligo e facoltà di richiesta della registrazione In ordine alla registrazione la legge prevede due categorie di atti, • quelli soggetti a registrazione, per i quali sussiste l’obbligo di richiederla • quelli per i quali la richiesta è facoltativa: chiunque vi abbia interesse può richiedere in qualunque momento la registrazione di un atto, pagando la relativa imposta La registrazione volontaria può essere chiesto per ogni tipo di atto, anche per quelli per i quali è previsto l’obbligo qualora non si siano ancora verificati i presupposti. La registrazione obbligatoria può essere: ■ a termine fisso, entro 20 giorni dalla stipulazione dell’atto, se questa è avvenuta in Italia; entro 60 giorni se è avvenuta all’estero; ■ in caso d’uso dell’atto, intendendo per uso l’utilizzo dell’atto in procedimenti amministrativi o di volontaria giurisdizione, precisamente il deposito dell’atto presso le amministrazioni dello Stato e altri enti territoriali e i relativi organi di controllo o presso le cancellerie giudiziarie ma sempre in procedimenti amministrativi. Se non ricorre l’uso dell’atto chi vi ha interesse può chiedere la registrazione volontaria. 5. La tariffa e la sua funzione In corrispondenza dell’obbligo di richiedere la registrazione, la legge individua due tipologie di atti corrispondenti al contenuto delle due parti della Tariffa allegata al Testo Unico: • atti soggetti a registrazione in termine fisso; • atti soggetti a registrazione in caso d’uso. Gli atti sono raggruppati per categorie o sono previsti singolarmente, sicché alla categoria o al singolo atto corrisponde l’aliquota applicabile o l’imposta direttamente determinata. La Tariffa ha valore sostanziale perché: ■ azioni, obbligazioni e simili ■ atti delle società diversi da quelli indicati nella prima parte della Tariffa ■ atti relativi all’applicazione delle imposta (riduzione, liquidazione, riscossione, rateazione, rimborso, relative sentenze, concessione per la riscossione, garanzie, quietanze) ■ atti relativi al servizio militare, anche civile 9. Atti sottoposti ad altri regimi. L’alternatività dell’IVA L’assoggettabilità alla registrazione e all’imposta corrispondente non può riguardare atti sottoposti, per il loro contenuto, ad altri regimi impositivi. Gli atti contenenti contratti di assicurazione sono sottoposti all’imposta sulle assicurazioni. Gli atti che contengono i presupposti soggettivi ed oggettivi dell’IVA sono assoggettati a tale tributo che, come dice la legge, è alternativo all’imposta di registro. Ma non si tratta di un’alternatività perfetta e totale in quanto: ▲ quando l’atto per il contenuto è soggetto ad IVA sconta l’imposta fissa di registro ed è soggetto a registrazione in termine fisso se si tratti di atto pubblico o scrittura privata autenticata e in caso d’uso se l’atto non ha detti requisiti; ▲ se alcune delle operazioni riportate nell’atto non rientrano nel campo di applicazione dell’IVA ricorre per esse l’obbligo della registrazione in termine fisso ed il pagamento della relativa imposta 10. Contenuto ed effetti dell’atto: il concetto di disposizione tassabile L’atto registrato va ricondotto ad una delle categorie della Tariffa, che è formulata in considerazione degli effetti giuridici che l’atto è idoneo a produrre: di qui la regola fondamentale del tributo di registro secondo la quale l’imposta è applicata secondo l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto. L’atto è tassato per gli effetti giuridici che produce e questi vengono individuati in base alle disposizioni di esso, ai negozi giuridici conclusi dai privati od alle parti dispositive degli atti giudiziari. La tipologia degli effetti che si desume dalle tariffe è riferita fondamentalmente infatti all’effetto traslativo o dichiarativo. Il riferimento agli effetti giuridici dell’atto e non alla forma apparente vuol dire che si prescinde dalla titolazione che le parti possono aver dato all’atto in contraddizione col suo effettivo contenuto; ad es. possono le parti titolare come “contratto preliminare” un atto che contenga già tutti gli elementi della compravendita. Non è consentito, per l’individuazione degli effetti dell’atto, far riferimento ad elementi ad esso esterni, come il comportamento delle parti, eventuali controdichiarazioni, dichiarazioni successive. 11. Estraneità dalla tassazione degli atti gratuiti Tenuto conto che l’imposta di registro è un’imposta su atti onerosi, se l’atto è in parte oneroso ed in parte gratuito, sarà soggetto a tassazione solo per la prima parte, salva l’applicazione sulla seconda dell’imposta di donazione. I trasferimenti immobiliari tra coniugi o tra parenti in linea retta si presumono donazioni, con esclusione di prova contraria, ma solo se l’imposta di registro applicabile è inferiore a quella di donazione, sicché detto trasferimento continua a subire l’imposta di registro se questa è superiore a quella di donazione. Visto che la prova contraria era ammessa in passato, la preclusione odierna diventa incostituzionale. L’alternativa fra due imposte solo in base alla convenienza fiscale è una norma priva di fondamento razionale e quindi anch’essa incostituzionale. 12. Irrilevanza dell’invalidità dell’atto Se è vero che l’imposta va applicata secondo l’effetto dell’atto occorre spiegare perché la nullità o l’annullabilità di esso non dispensi dall’obbligo di richiedere la registrazione e perché l’imposta assolta possa esser restituita solo quando l’atto sia dichiarato nullo od annullato per causa non imputabile alle parti, con sentenza passata in giudicato e non sia suscettibile di ratifica, convalida o conferma. Alla base di tale disciplina vi sono prima di tutto ragioni di carattere pratico. L’ufficio deve accertare solo il tipo di effetto che l’atto è idoneo a produrre senza dover indagare sulle circostanze da esso non risultanti che potrebbero paralizzarne la validità o l’efficacia. Anche l’atto nullo o annullabile è pertanto soggetto a tassazione, quando esista il presupposto, ma se l’atto è improduttivo di effetti, manca, secondo la giurisprudenza costituzionale, l’oggetto della tassazione. E pertanto l’accertata invalidità fonda il diritto al rimborso. Se questo viene circoscritto in termini piuttosto severi è perché la norma vuole avere anche una funzione antielusiva del tutto legittima. La nullità non deve dipendere dalla volontà delle parti: si vuole evitare che queste possano giocare sui requisiti di validità allo scopo di elude l’imposta. La dottrina più autorevole (Berliri) ritiene diverso dall’atto nullo l’atto inesistente, quello cioè che manca degli elementi essenziali per essere riconoscibile come atto giuridico e che pertanto non è soggetto a tassazione. 13. Atti dell’autorità giudiziaria Gli atti dell’autorità giudiziaria soggetti a registrazione in termine fisso sono soggetti a tassazione proporzionale, per il loro contenuto, anche se impugnati od impugnabili. Quando sopravvenga sentenza passata in giudicato va operato il conguaglio od il rimborso. È pur vero che tale atto denuncia direttamente od indirettamente un trasferimento di ricchezza assoggettabile all’imposta, ma l’atto non produce effetti in quanto questi sono sospesi (salva la provvisoria esecuzione). 14. Unicità dell’atto e pluralità di disposizioni Se l’imposta è applicata secondo gli effetti giuridici e questi vanno ricondotti alle singole disposizioni nasce il problema della tassazione quando l’atto contenga più disposizioni. La regola generale è che ogni disposizione è autonomamente tassabile secondo l’effetto che la caratterizza. Ma può darsi che la pluralità delle disposizioni sia necessaria in quanto siano fra loro necessariamente connesse. In tal caso l’imposta si applica come se l’atto contenesse la sola disposizione che dà luogo alla tassazione più elevata. Premesso che per disposizione tassabile s’intende il negozio giuridico e non la singola clausola, resta da stabilire che cosa s’intenda per connessione necessaria, se essa dipenda solo dalla legge oppure anche dalla volontà delle parti atteggiandosi come causa unitaria del contratto. L’’opinione più diffusa è che tale connessione non debba dipendere dalla volontà delle parti, ma debba essere richiesta dalla legge. Ma è la stessa legge a stabilire che gli accolli di debiti ed oneri collegati e contestuali ad altra disposizione e le quietanze rilasciate non si considerano disposizioni autonome; e che se l’acquirente si accolla un mutuo fondiario su tale accollo non è dovuta una tassazione autonoma. 15. Enunciazione di disposizioni contenute in atti non registrati 19. I soggetti passivi Bisogna distinguere i soggetti obbligati al pagamento dell’imposta dai soggetti obbligati alla richiesta della registrazione. Chi è obbligato al pagamento dell’imposta, per il contenuto che l’atto è destinato a produrre, dovrebbe essere obbligato a richiedere la registrazione. Vi sono soggetti che sono obbligati, per la loro funzione, alla richiesta della registrazione in via esclusiva ed al pagamento dell’imposta in via solidale con le parti interessate e vi sono soggetti che sono tenuti solo all’obbligo di richiesta della registrazione. Per cui abbiamo tre categorie di soggetti: • obbligati al pagamento dell’imposta ed alla richiesta della registrazione; • obbligati al solo pagamento dell’imposta, incombendo ad altri la richiesta della registrazione; • obbligati alla sola richiesta di registrazione. A. SOGGETTI OBBLIGATI ALLA RICHIESTA DI REGISTRAZIONE • pubblici ufficiali (come notai, cancellieri, ufficiali giudiziari, segretari e delegati della pubblica amministrazione, per gli atti da essi redatti, ricevuti o autenticati); • cancellieri ed i segretari per gli atti giudiziari (sentenze, decreti) alla cui formazione hanno partecipato nell’esercizio delle loro funzioni; • impiegati dell’amministrazione finanziaria e gli appartenenti al corpo della guardia di finanza per gli atti da registrare d’ufficio; • parti contraenti per le scritture private non autenticate, per i contratti verbali, per tutti gli atti formati all’estero • soggetti che rispondono per le operazioni di cui all’art. 4 B. SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO La loro individuazione varia in funzione dell’atteggiarsi dell’obbligo della richiesta di registrazione e del momento della liquidazione dell’imposta. Per gli atti soggetti a registrazione in termine fisso: ■ imposta principale è dovuta da tre categorie di soggetti: 1. parti che risultano dall’atto (parti contraenti per i contratti, parti in causa per gli atti giudiziari o soggetti attori di procedimenti speciali, i sottoscrittori per i contratti verbali). È prevista una sorta di esclusione d’imposta dello Stato quando è parte contraente e quando è soggetto espropriante o acquirente di trasferimenti coattivi della proprietà o di diritti reali di godimento; 2. soggetti nel cui interesse fu richiesta la registrazione; 3. pubblici ufficiali obbligati alla richiesta di registrazione; Per 2) e 3) si è in presenza di una ipotesi di responsabilità d’imposta per i fatti tributari non propri e che si giustifica per la funzione pubblica che quei soggetti esercitano. Il responsabile d’imposta ha diritto di rivalsa; ma nella imposta di registro tale rivalsa è qualificata ulteriormente in quanto, dopo il pagamento, egli si surroga in tutte le ragioni, azioni, privilegi spettanti all’amministrazione ■ imposta complementare e suppletiva: rispondono solo i soggetti che hanno partecipato all’atto e quelli nel cui interesse fu registrato l’atto (non rispondono perciò i pubblici ufficiali). Se l’imposta complementare è dovuta per un fatto imputabile ad un solo soggetto essa è a carico di tale soggetto Per gli atti soggetti a registrazione in caso d’uso o presentati volontariamente alla registrazione rispondono solo le parti che hanno chiesto la registrazione, compreso lo Stato per gli atti presentati da una delle sue amministrazioni. 20. Nullità di patti contrari alla legge Sono nulli, anche fra le parti, i patti contrari alle disposizioni della legge di registro, compresi quelli che pongono l’imposta e le sanzioni a carico della parte inadempiente. I patti diretti a ritardare la registrazione e il pagamento dell’imposta non sono opponibili all’amministrazione. 21. L’attuazione dell’imposta di registro L’attuazione dell’imposta di registro conosce queste procedure: • registrazione dell’atto • accertamento (cioè la determinazione della base imponibile e dell’imposta) • riscossione. 22. L’accertamento: imposta principale, complementare e suppletiva Le vicende dell’accertamento possono condurre a tre determinazioni dell’imposta che la legge chiama rispettivamente principale, complementare e suppletiva. I criteri su cui si basa questa distinzione potrebbero vale come principi generali delle imposte. L’imposta principale è quella che si determina al momento della registrazione. È quindi l’imposta accertata sulla base degli elementi offerti dallo stesso contribuente o d’iniziativa dell’ufficio se il soggetto obbligato sia inadempiente L’imposta liquidata successivamente alla registrazione può avere due origini: ■ l’ufficio è incorso in errori ed omissioni compiuti al momento della registrazione e la maggior imposta liquidata in conseguenza della correzione si chiama suppletiva, ■ oppure in tutti gli altri casi, e in particolare nel caso di accertamento di un maggior valore, rispetto a quello registrato l’imposta è detta complementare • AVVISO DI ACCERTAMENTO L’atto col quale l’ufficio determina un maggior valore e la corrispondente maggiore imposta è un avviso di accertamento. L’atto col quale liquida la sola imposta è detto avviso di liquidazione. L’avviso di accertamento di maggior valore e di maggiore imposta relativa deve essere notificato entro due anni dal pagamento dell’imposta principale e deve essere motivato. L’obbligo della motivazione è formulato in tal modo: “deve contenere l’indicazione del valore attribuito ai beni e ai diritti e agli elementi in base ai quali è stato formulato”. Tale formulazione che tiene conto analiticamente dell’oggetto dell’imposta non conferisce alla motivazione stessa una funzione diversa da quella che ha in tutte le imposte. Anche per l’imposta di registro l’atto di accertamento non motivato è nullo. Con il decreto legge n. 262/2006 convertito con modificazioni nella legge n. 286/2006 e con la legge n. 296/2006, è stata reintrodotta l’imposta sulle successioni, che era stata soppressa con la legge 18 ottobre 2001. Era rimasta invece sempre in vigore la tassazione delle donazioni e delle altre liberalità tra vivi, che però per i recenti interventi legislativi hanno modificato, ponendo non pochi problemi interpretativi anche in ordine alla disciplina transitoria. La manifestazione di capacità contributiva colpita dall’imposta sulle successioni e donazioni è l’arricchimento gratuito che potrebbe trovare una sua disciplina generale in una legge apposita. Ma non esiste una legge generale sull’arricchimento gratuito. La nozione di arricchimento come incremento di patrimonio ha fatto accostare, in sede teoria, l’imposta sulle successioni alla tassazione del reddito, soprattutto quando, alla ricerca di una nozione generale di reddito, questo veniva inteso dalla giurisprudenza come incremento di patrimonio. Ma dopo il T.U. delle imposte sui redditi tali accostamenti sono privi di rilievo se non de iure condendo: si era discussi infatti se la ricchezza oggetto di successione fosse tassabile come reddito in caso di soppressione dell’imposta omonima. Ma in un ordinamento come il nostro, caratterizzato dalla tipicità dei tributi e dei presupposti, tali accostamenti sono privi di rilevanza in sede interpretativa. La soppressione dell’imposta che colpisce arricchimenti gratuiti tipici, aveva posto un problema di parità di trattamento rispetto agli altri arricchimenti gratuiti che nella tipicità del nostro ordinamento sono tassati ai fini delle imposte sui redditi. Per effetto del complesso di atti normativi che hanno contraddistinto l’intervento legislativo recente, l’imposta si applica alle successioni apertesi dal 3 ottobre 2006. 2. L’arricchimento derivante da trasferimenti gratuiti: le imposte di successione e di donazione L’imposta sulle successioni e sulle donazioni colpisce dunque l’arricchimento gratuito derivante da trasferimenti di ricchezza causati da due vicende civilistiche analoghe fra loro, la successione mortis causa, come trasmissione di rapporti economicamente valutabili (relativi cioè a beni e diritti) e l’atto di liberalità che è la donazione. Le due vicende hanno in comune questo effetto: il subentrare di un soggetto nella titolarità di beni e diritti a titolo gratuito, senza corrispettivo. Da questo punto di vista è precisa la definizione della legge quando definisce l’imposta sulle successioni e donazioni come “tributo avente ad oggetto i trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte e i trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi”. La configurazione di tale imposta discende da tre elementi: a. uno di carattere storico, che fa di essa un’imposta sui trasferimenti della ricchezza; b. uno di carattere economico, attento al tipo di ricchezza tassata: l’arricchimento od incremento di patrimonio; c. la qualificazione di tale arricchimento come gratuito, senza corrispettivo, che è quello che conferisce all’imposta tutta la sua peculiarità in termini di capacità contributiva e di entità di prelievo Soggetti passivi sono solo quelli che percepiscono la ricchezza trasferita. L’imposta si colloca nel quadro delle imposte indirette non solo perché imposta sui trasferimenti di ricchezza, ma soprattutto perché il suo regime applicativo si modella su quello dell’imposta di registro, fino al punto che una norma residuale rinvia a tale imposta per gli atti d’accertamento, di riscossione e per l’applicazione delle sanzioni. C’è un elemento che fa collocare l’imposta nella logica dell’imposta di registro, ovvero l’irrilevanza dell’atto nullo di disposizione: l’invalidità del testamento non preclude di regola la tassabilità. Concludendo: in termini di capacità contributiva l’imposta colpisce l’incremento di patrimonio derivante da trasferimenti civilistici nominati, a titolo gratuito. L’individuazione dell’oggetto economico attiene alla verifica della sua costituzionalità. In termini di precisazione delle categorie giuridiche rilevanti per l’analisi corretta della fattispecie, il presupposto dell’imposta è dato dal trasferimento a titolo gratuito; la base imponibile è data dal valore dell’incremento patrimoniale. 3. Principio comuni alle due imposte A. TERRITORIALIATA’ L’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorché esistenti all’estero, mentre essa è limitata ai beni e diritti esistenti nello Stato se al momento dell’apertura della successione o a quello della donazione il soggetto non era residente nello Stato; alcuni beni e diritti si considerano sempre esistenti nello Stato: i beni oggetto di diritti reali iscritti in pubblici registri, i titoli di credito B. TRASFERIMENTI ESCLUSI Sono quelli a favore dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e quelli a favore di enti pubblici e di fondazioni od associazioni legalmente riconosciute che hanno come scopo esclusivo l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione od altre finalità di pubblica utilità, nonché quelli a favore delle organizzazioni non lucrative di utilità sociale e quelli a favore delle fondazioni bancarie. Malgrado la formulazione della legge, che farebbe pensare ad un’esclusione, le ipotesi sopra elencate sembrano più riconducibili alla categoria delle esenzioni; C. ALIQUOTE Per la gratuità del trasferimento e per la funzione perequatrice di tali tipi di tassazione, l’aliquota è progressiva a scaglioni: la tassazione cresce col decrescere del grado di parentela; D. SOGGETTI PASSIVI E PRESUPPOSTO L’imposta è dovuta dal beneficiario del trasferimento gratuito, erede e legatario per le successioni, dal donatario per le donazioni e le altre liberalità. Questa individuazione dei soggetti passivi, formulata dalla legge, è elemento di carattere sistematico che conferma la individuazione del presupposto di carattere sistematico che conferma la individuazione del presupposto dell’imposta nel trasferimento a titolo gratuito di beni e diritti. 4. Presupposto: la successione. Gli effetti della chiamata Presupposto dell’imposta di successione è il trasferimento di beni e diritti per successione a causa di morte. Tale presupposto si realizza in momenti diversi a seconda che il successore sia erede o legatario. Difatti, il legato si acquista senza bisogno di accettazione (salva la facoltà di rinuncia), sicché al legatario incombono gli obblighi tributari (come quello della dichiarazione) nella qualità di successore e quindi di soggetto passivo d’imposta. Diversa è la situazione relativa all’erede: qui la successione si realizza con l’accettazione dell’eredità. Dall’apertura della successione fino all’accettazione c’è la fase della delazione successoria, nella quale si producono effetti che sono ricorrenti nell’applicazione di molte imposte per l’incertezza relativa al presupposto d’imposta. E in materia di successione l’incertezza può attenere all’esistenza, alla validità e all’efficacia del testamento. In tale situazione gli obblighi tributari, prima di tutto quello della dichiarazione e del conseguente versamento, sono a carico di soggetti che non necessariamente La legge risolve tali problemi ponendo due presunzioni che riguardano da una parte il criterio d’imputabilità dei mobili in generale all’attivo ereditario, dall’altra una presunzione di esistenza nell’attivo di alcuni beni che sono “fatti reali di difficile accertamento”, “facilmente occultabili”, danaro, gioielli e mobilia (mobilia è insieme di beni destinati all’uso e all’arredamento delle abitazioni, compresi i beni culturali non vincolati). I beni mobili si considerano compresi nell’attivo ereditario quando essi siano posseduti dal defunto o depositati presso altri a suo nome. La stessa regola si applica ai titoli al portatore di qualsiasi specie ed agli altri titoli di qualsiasi genere il cui reddito sia stato indicato nell’ultima dichiarazione. La presunzione in tema di danaro, gioielli e mobilia si risolve in una maggiorazione del 10% del valore globale netto, ma è ammessa la prova contraria da parte del contribuente con inventario analitico dal quale risulti un importo minore, un importo tale che porti ad una maggiorazione minore del 10%. In tal caso l’importo minore integra l’attivo ereditario. L’ufficio, a sua volta, o si avvale della presunzione suddetta oppure può correggere il valore dichiarato dal contribuente usando ogni mezzo idoneo di prova. Ma la presunzione di appartenenza all’asse ereditario può essere posta anche allo scopo di neutralizzare tentativi di elusione. Nella prospettiva dell’apertura di una successione, il modo più agevole di ridurre l’asse ereditario è quello di alienare i beni che vi possano ricadere. La legge considera compresi nell’asse ereditario i beni ed i diritti alienati a titolo oneroso negli ultimi sei mesi di vita del defunto, a meno che si tratti di contratti che escludano la possibilità dell’elusione (ad es., alienazioni in esecuzione di contratti preliminari aventi data certa). Se dette alienazioni hanno avuto dei corrispettivi (somme di denaro, titoli) questi sono dedotti dall’ammontare dei beni e dei diritti alienati. Come sono dedotte le spese mediche e chirurgiche sostenute per sé e i familiari a carico sono altresì dedotte (entro limiti rigidi) le spese di mantenimento. 7. Valutazione dei beni e diritti caduti in successione La regola generale è che i beni e i diritti sono valutati secondo il loro valore venale alla data di apertura della successione. Tale norma generale è posta a chiusura di una serie di criteri specifici, relativi a singoli beni o diritti, analoghi a quelli previsti per l’imposta di registro, che qui succintamente si richiamano: 1. per i diritti reali, il valore venale; 2. per le aziende, il valore complessivo dei beni e diritti che le compongono, compreso l’avviamento 3. per le navi e gli aeromobili, i prezzi mediamente praticati sul mercato; 4. per le azioni quotate in borsa, la media dei prezzi di compenso o dei prezzi fatti nell’ultimo trimestre 5. per le aziende non quotate in borsa, il valore di esse proporzionale corrispondente al valore del patrimonio netto della società o dell’ente risultante dall’ultimo bilancio 6. per le quote delle società di persone il valore di esse proporzionale corrispondente al valore del patrimonio netto della società o dell’ente risultante dall’ultimo bilancio 7. per le obbligazioni e altri titoli, il valore comparato a quello di titoli aventi analoghe caratteristiche 8. per i crediti fruttiferi, il loro importo con gli interessi maturati; 9. per i crediti infruttiferi, il valore attuale calcolato al saggio finale dell’interesse 10. per i crediti in natura il valore dei beni che ne sono oggetto 8. Le passività L’entità dell’imponibile, che è un valore netto, dipende anche dalle passività deducibili, che sono principalmente costituite da debiti del de cuius. Allo scopo di evitare forme di evasione ed elusione (l’invenzione di debiti fittizi), la legge pone delle precise condizioni e limiti per la deducibilità dei debiti. Questi devono essere esistenti alla data dell’apertura della successione, ma devono anche essere inerenti la massa ereditaria, nel senso che sono esclusi i debiti contratti per l’acquisto di beni e di diritti non compresi nell’attivo ereditario. Mentre i debiti contratti negli ultimi sei mesi sono deducibili se il loro importo è stato reinvestito in beni compresi nell’asse ereditario. Non si richiede che il debito esistente sia anche liquido. Difatti, per i debiti tributari del de cuius (e tutti i debiti verso lo Stato e gli altri enti territoriali) non si richiede che sia intervenuto l’accertamento, basta che si sia verificato il presupposto. Sono comunque deducibili le spese mediche e chirurgiche relative al defunto sostenute negli ultimi sei mesi, nonché le spese funerarie. Ulteriore delimitazione è che i debiti possono essere provati solo nei modi stabiliti dalla legge. La loro deducibilità è ancorata a questo sistema di prove legali: in generale si richiede l’atto scritto di data certa anteriore all’apertura della successione o il provvedimento giurisdizionale definitivo. Ma è deducibile anche il debito risultante da scritture obbligatorie alle quali il contribuente è tenuto, come quello relativo al reddito d’impresa, o da scritture obbligatorie dello stesso creditore, come il debito verso aziende ed istituti di credito risultante da scritture del creditore. I debiti relativi al rapporto di lavoro sono deducibili solo perché maturati: basta l’esistenza del rapporto di lavoro. 9. Deduzione di oneri e legati Il legato è una disposizione testamentaria autonoma che attribuisce un bene od un diritto ad un soggetto, mentre l’onere è una disposizione del testamento con la quale si fa carico all’erede o al legatario di eseguire una determinata prestazione per il perseguimento di un determinato scopo. La determinazione corretta della ricchezza trasferita, in termini di capacità contributiva, richiede che il valore dell’eredità (o delle quote) sia calcolato al netto dei legati e degli altri oneri che li gravano. Ma mentre i legati, pur essendo deducibili dall’eredità o dalle quote, sono a loro volta soggetti a tassazione autonoma, gli oneri di regola non sono tassabili (tranne l’ipotesi in cui siano presunti legati per legge), dovendo in ogni caso essere detratti dall’imponibile cui si riferiscono, ossia valore globale dell’asse ereditario, quota ereditaria, legato. 10. L’imposta L’imposta si ottiene applicando le aliquote previste dalla legge alla base imponibile, che è costituita dal valore delle quote ereditarie e dei legati calcolata in capo ad ognuno. Le aliquote sono le seguenti: La dichiarazione è titolo per la riscossione anche quando sia tardiva, in quanto pervenuta all’ufficio dopo la scadenza, ma prima della notifica dell’avviso di accertamento. La dichiarazione è ritrattabile nel senso già esposto per la dichiarazione dei redditi; B) GLI ATTI DELL’UFFICIO : invito alla regolarizzazione della dichiarazione; liquidazione dell’imposta sulla base della dichiarazione; rettifica della dichiarazione; accertamento per omessa dichiarazione In ordine all’accertamento l’ufficio ha il potere di: • invitare il contribuente a regolarizzare la dichiarazione irregolare; • liquidare l’imposta sulla base della dichiarazione; • rettificare la dichiarazione incompleta od infedele; • accertare presupposto e base imponibile in caso di omessa dichiarazione. a. L’avviso di liquidazione. L’atto col quale l’ufficio provvede è sempre detto nella legge avviso di liquidazione: l’oggetto della liquidazione è l’imposta. Ma il contenuto dell’atto cambia a seconda che si tratti di mera liquidazione dell’imposta dichiarata o di liquidazione conseguente ad accertamento dell’ufficio. Solo nel primo caso l’atto è correttamente detto “avviso di liquidazione”; nel secondo caso è anche atto di accertamento, come inteso nella generalità dei tributi. Nell’avviso di liquidazione la motivazione presenta una maggior facilità, trattandosi di tradurre in imposta la base imponibile dichiarata; mentre nell’accertamento della base imponibile, per dichiarazione incompleta od infedele, o nel caso di omessa dichiarazione, la motivazione si presenta più complessa attenendo all’esistenza del presupposto ed alla quantificazione della base imponibile. Tutto ciò premesso, possiamo distinguere: 1. l’avviso di mera liquidazione dell’imposta: l’ufficio, corretti gli errori materiali e di calcolo ed escludendo le passività, le deduzioni e le riduzioni non spettanti o non documentate, liquida l’imposta sulla base della dichiarazione applicando le aliquote previste dalla tariffa. La correzione è analoga a quella prevista per le imposte sui redditi. Qui la motivazione sta nella corretta individuazione dell’aliquota e nell’indicazione degli errori e delle esclusioni; ma anche nell’indicazione di ogni altro criterio che l’ufficio ha adottato; tale disciplina vale anche per la dichiarazione integrativa o sostitutiva 2. avviso di accertamento e di liquidazione: qui l’atto determina sia l’imponibile che l’imposta. In ordine al primo punto la motivazione segue la regola generale valida per tutti gli atti d’accertamento: essa deve investire l’esistenza e la prova dei fatti tassabili (che va fornita davanti al giudice, la loro qualificazione ai fini della ricostruzione dell’asse ereditario netto, e ciò sia per la rettifica della dichiarazione che per l’accertamento d’ufficio. L’atto non motivato è nullo, per principio generale. In ordine agli effetti dell’avviso di accertamento vale quanto già detto sia in generale che con riferimento a specifiche imposte (sui redditi e l’IVA) In caso di omessa dichiarazione, e quindi di accertamento d’ufficio, gli elementi favorevoli al contribuente possono esser provati dal contribuente entro sei mesi dalla notificazione dell’avviso di accertamento, in base a prove che la legge prevede per la dichiarazione. In tal caso l’imposta deve essere riliquidata, se non con un avviso, con un atto concordato. C. PER L’ACCERTAMENTO CON ADESIONE Si rinvia al paragrafo 23 dell’imposta di registro 13. La riscossione; il rimborso Anche per l’imposta di successione la legge distingue le somme riscuotibili a seconda dell’atto d’accertamento: • imposta principale, liquidata in base alle dichiarazioni presentate; • imposta complementare, liquidata dall’ufficio in rettifica della dichiarazione od in caso di omessa dichiarazione; • imposta suppletiva, liquidata per correggere errori od omissioni di precedenti liquidazioni Il pagamento di tali somme deve essere effettuato entro novanta giorni da quello in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione. Da tale data decorrono gli interessi. Al contribuente può essere concessa una dilazione nel pagamento. Il pagamento può essere effettuato anche mediante il trasferimento allo Stato di beni culturali ereditari. Il ricorso contro l’atto di liquidazione non sospende la riscossione; ma, mentre per l’imposta complementare la riscossione provvisoria durante il processo segue la regola generale (2/3 dopo la decisione di primo grado, il residuo ammontare dopo la decisione di secondo grado), l’imposta suppletiva deve essere corrisposta dopo la decisione definitiva di merito (sentenza non impugnata o soggetta solo al ricorso in Cassazione). La riscossione coattiva delle imposte, sanzioni e interesse avviene dopo l’iscrizione a ruolo delle somme dovute. Il rimborso dell’imposta non dovuta deve essere richiesto entro tre anni dal pagamento. Dalla data di presentazione della domanda decorrono gli interessi di mora, che sono dovuti al contribuente. È indebita l’imposta priva di presupposti in ordine alla sussistenza ed alla titolarità dei beni ereditari o che sia stata liquidata in più per mancato riconoscimento di passività o riduzioni. 14. L’imposta di donazione L’imposta è dovuta su atti contenenti donazioni o altre liberalità. Soggetti passivi sono i destinatari di tali liberalità. L’atto va registrato a termine fisso secondo le regole dell’imposta di registro. Sono esclusi dall’imposta i trasferimenti a favore dello Stato, di enti territoriali, di fondazioni ed associazioni culturali. La base imponibile è data dai beni e diritti oggetto della liberalità, calcolati in testa ad ogni donatario, tenendo conto degli oneri. L’imposta si ottiene applicando le aliquote previste dalla legge alla base imponibile, calcolata in capo a ciascun donatario. Le aliquote sono le seguenti: La vendita di tali valori costituisce nella contabilità dello Stato una vicenda irreversibile che prescinde da ogni considerazione sulla sussistenza di una causa. Per cui se si tratti di un’imposta o di una tassa è una discussione oziosa ritenuta irrilevante dalla Corte Costituzionale. 3. Formazione e uso degli atti Anche gli atti soggetti al bollo si distinguono in: • atti soggetti alla tassa fin dall’origine, al momento cioè della loro formazione. Tale categoria conosce gli atti pubblici, le scritture private, atti amministrativi, atti giurisdizionali, i titoli di credito. Questi ultimi, che se non sono in regola col bollo non hanno l’efficacia di titoli esecutivi, scontano una tassa proporzionale al proprio valore. Per tutti gli altri atti la tassa è fissa. Perché l’atto possa essere assoggettato a bollo occorre che sia sottoscritto; • atti soggetti a tassazione solo in caso d’uso: indicati nella seconda parte della tariffa Si ha caso d’uso quando l’atto è presentato all’ufficio del registro per la registrazione secondo la regola della relativa imposta. Questa seconda categoria comprende atti per lo più aventi una funzione documentale: conti, ricevute, corrispondenza, documenti, elenchi, disegni. Ad essi sono assimilati i titoli di credito provenienti dall’estero. 4. Atti esenti dal bollo Le ipotesi più significative di esenzione, per la tutela accordata a determinate materie, sono quelle degli • atti legislativi dello Stato e degli enti locali; • documenti elettorali; • atti del procedimento davanti alla Corte costituzionale; • tutti gli atti relativi all’accertamento ed alla riscossione di qualsiasi tributo • titoli azionari, quote sociali ed altri titoli negoziabili emessi in serie • atti relativi alle società di mutuo soccorso, cooperative e loro consorzi • testamenti e schede di testamenti più che esenti sembrano esclusi, in quanto soggetti ad imposta alternativa, le fatture e gli altri documenti relativi all’applicazione dell’IVA. 5. Unicità del foglio e pluralità di atti giuridico Anche se formulato con riguardo ad ipotesi specifiche vige il principio secondo il quale la tassazione è in funzione dell’atto giuridico e non del foglio come documento: sicché son consentiti più atti giuridici sullo stesso foglio, a condizione che siano corrisposte le relative tasse. La legge consente il pagamento di una sola tassa solo per certi atti che presentano una certa consequenzialità con altri atti (ad es. ratifica, accettazione, autenticazione, certificazione, etc.). 6. Soggetti passivi: esclusione dello Stato Nei rapporti con lo Stato l’imposta di bollo, quando è dovuta, è a carico dell’altra parte, nonostante patto contrario. L’obbligo del tributo incombe solidalmente a tutti i soggetti che partecipano od hanno interesse o che, in qualsiasi momento, accettano o fanno uso dell’atto. 7. Applicazione del bollo: i diversi modi di adempimento dell’obbligo da parte del contribuente Per l’applicazione del tributo da parte del contribuente occorre distinguere l’atto privatistico di acquisto della carta bollata o dei valori bollati dall’assolvimento dell’obbligo tributario in violazione del quale insorge il potere impositivo e sanzionatorio dell’amministrazione finanziaria. Questo obbligo può essere assolto: ▲ in modo ordinario, facendo uso della carta bollata, in modo che risulti rispettato un certo rapporto fra somma pagata e quantità della carta impiegata: non si può scrivere fuori dai margini e non si può eccedere il numero delle righe; in ogni caso non è consentito eccedere le 100 righe per foglio ▲ in modo straordinario: mediante apposizione di marche da bollo, visto per bollo e bollo a punzone; vale sempre il vincolo dei limiti quantitativi previsti per il modo ordinario ▲ in modo virtuale: mediante versamento, anche in conto corrente, all’ufficio del registro o ad altri uffici. Tale modo è consentito per ragioni di comodità pratica. Per la quantità dei fogli da assoggettare a bollo può essere consentito dall’amministrazione a determinati soggetti di presentare una dichiarazione preventiva della quantità di fogli da bollare e di versare l’imposta complessiva periodicamente (ogni trimestre) salvo conguaglio annuo sulla base di dichiarazione consuntiva. Il versamento diretto è ammesso anche in caso di irreperibilità dei valori bollati. Per certi atti, stabiliti dal Ministero delle Finanze, la tassa di bollo, in qualsiasi modo dovuta, può essere applicata mediante impronte apposte da macchine bollatrici, ad uso esclusivo di chi ne fa domanda e col divieto di cederne l’uso ad altri. La tassa è sempre la stessa, indipendentemente dal modo di pagarla. 8. Accertamento e riscossione da parte dell’ufficio Chiunque non corrisponde in tutto od in parte la tassa di bollo dovuta su atti, è soggetto al pagamento del tributo mediante regolarizzazione, oltre che alla sanzione amministrativa. La regolarizzazione consiste: a) nel pagamento dell’imposta nella misura vigente al momento dell’accertamento e della violazione; b) nell’annotazione sull’atto della sanzione riscossa. Il pagamento può avvenire o con l’annullamento delle marche od in modo virtuale. Le violazioni delle norme sul bollo sono constatate mediante processo verbale, che deve essere consegnato al contribuente. Se il contribuente si rifiuta di sottoscrivere il verbale o ne contesta il contenuto, l’atto tassabile viene sequestrato. L’amministrazione può procedere all’accertamento delle violazioni mediante atto che deve essere notificato entro 3 anni dal giorno in cui è stata commessa la violazione: l’intervenuta decadenza comporta che gli atti siano soggetti a bollo solo in caso d’uso. La riscossione coattiva della tassa e delle sanzioni inizia con la notificazione della cartella di pagamento contenente l’ordine dell’ufficio competente di pagare il tributo entro 60 giorni, pena gli atti esecutivi. Contro l’accertamento o l’ingiunzione è ammesso ricorso in via amministrativa all’ufficio regionale delle entrate, che decide con provvedimento motivato avverso il L’autonomia regionale non è piena in quanto le Regioni non possono modificare la base imponibile dell’imposta, ma solo modificare l’aliquota, le detrazioni e le deduzioni, nonché introdurre speciali agevolazioni. Inoltre, la dichiarazione annuale dell’IRAP non dovrà essere più presentata in forma unificata insieme alla dichiarazione dei redditi ma presentata direttamente alla regione di domicilio fiscale del soggetto passivo 2. Classificazione dell'imposta L’unica classificazione sicura dell’IRAP è quella d’imposta periodica: ad essa si applicheranno, ove la legge non disponga diversamente, tutte le regole relative a tale categoria. Più difficile è stabilire se l’IRAP sia un’imposta diretta o indiretta, essendo tale distinzione fondata sulla capacità contributiva del soggetto ed essendo l’IRAP un’imposta fondata su una capacità contributiva impersonale. 3. I soggetti passivi Data la natura reale dell’imposta, l’individuazione dei soggetti passivi è strettamente correlata all’esistenza del presupposto, nel senso che sono soggetti passivi tutti coloro che esercitano le attività produttive tassabili, così come definite dalla legge, e quindi: • le società di capitali e gli enti commerciali; • le società di persone commerciali ed i soggetti ad esse equiparati; • gli imprenditori individuali; • gli esercenti arti e professioni, sia in forma individuale che associata, purché dotati di una qualche organizzazione; • i produttori agricoli titolari di reddito agrario; • gli enti pubblici e privati non commerciali: • le società e gli enti non residenti. Sono esclusi per espressa disposizione di legge i fondi comuni di investimento, i fondi pensione ed i gruppi economici di interesse europeo (GEIE). Infine, sono comunque esclusi da IRAP i soggetti che integrano i limiti dimensionali e i requisiti per poter aderire al regime contabile dei cosiddetti contribuenti minimi. 4. La base imponibile I criteri di determinazione della base imponibile sono fortemente differenziati in funzione dei diversi soggetti passivi. L’art. 4 dispone che l’imposta si applica sul valore della produzione netta derivante dall’attività esercitata nel territorio della Regione. Non esiste però una nozione unitaria di valore della produzione netta, poiché tale nozione dipende strettamente dalla tipologia dell’attività esercitata. Sono quindi stabilite differenti regole per la determinazione della base imponibile per le attività commerciali, per le attività professionali e per le attività non commerciali. A. ATTIVITA COMMERCIALI Per le società di capitali e gli enti commerciali, soggetti passivi IRES, il valore della produzione netta ai fini IRAP viene determinata facendo riferimento esclusivamente ai dati di bilancio. Questa regola che corrisponde al principio di derivazione della base imponibile IRAP dai dati di bilancio discende dall’esigenza di semplificare la modalità di calcolo dell’imposta, separandola dai criteri di determinazione del reddito in materia di imposte sui redditi. Le regole generali sono contenute nell’art. 5 e 11 a. Per tutti i soggetti in contabilità ordinaria, anche se non tenuti per legge alla redazione del bilancio, la base di partenza è data dal conto economico, redatto secondo i criteri previsti dall’art. 2425 del codice civile; la base imponibile è costituita dalla differenza tra il valore della produzione ed i costi della produzione ad esclusione delle seguenti voci: • Costi per spese per il personale, voce B9 • Costi per le altre svalutazioni delle immobilizzazioni, voce B10 c) • Costi per svalutazioni di crediti compresi nell’attivo circolante, voce B10 d) • Costi per accantonamenti per rischi, voce B12 • Costi per altri accantonamenti, voce B13 b. Non vengono considerati i proventi ed i costi relativi alla gestione finanziaria (interessi passivi e attivi, proventi ed oneri finanziari), le rettifiche di valore dell’attività finanziaria (rivalutazioni e svalutazioni) e le vicende straordinarie dell’impresa (plusvalenze e minusvalenze derivanti da trasferimenti di aziende, sopravvenienze attive e passive a carattere straordinario), iscritti nei punti C, D ed E dello schema del conto economico c. Tutte le componenti positive e negative, indipendentemente dalla collocazione effettuata dal redattore del bilancio, devono essere considerate in ragione della loro classificazione nel conto economico secondo corretti principi contabili Inoltre, sono previste specifiche regole • Non sono ammessi in deduzione i costi relativi al personale ovunque iscritti nel conto economico; i costi per prestazioni di collaborazione coordinata; i compensi per prestazioni di lavoro assimilato a quello dipendente; gli utili spettanti agli associati in partecipazione che apportano lavoro • Non è ammessa in deduzione la quota degli interessi compresi nei canoni di leasing • Non sono ammesse in deduzione le perdite sui crediti Concorrono in ogni caso alla formazione della base imponibile IRAP: • I contributi erogati in forza di legge, salvo che siano connessi a costi indeducibili dalla base imponibile IRAP • Le plusvalenze/minusvalenze da alienazione di immobili patrimoniali • Ammortamento pari ad un diciottesimo del costo di acquisto di avviamento e marchi anche se non imputato a Conto Economico. Per le società in nome collettivo, in accomandita semplice e per le imprese individuali, la base imponibile è determinata dalla differenza tra l’ammontare dei ricavi e delle variazioni delle rimanenze finali di merci e di opere e l’ammontare dei costi delle materie prime, sussidiarie e di consumo, delle merci, dei servizi, dell’ammortamento e dei canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali. B. ESERCIZIO DI ARTI E PROFESSIONI L’art. 2 stabilisce che il presupposto dell’imposta è l’esercizio abituale di una attività “autonomamente organizzata” diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi. Da ciò deriva che gli esercenti arti e professioni non possono essere considerati soggetti passivi dell’IRAP se non sussiste il requisito fondamentale dell’autonoma organizzazione. Sulla scorta della giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Cassazione, tale requisito ricorre quando il contribuente:
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