Scarica DISPENSA COMPLETA MACROECONOMIA Professore Delli Gatti 2022-2023 e più Dispense in PDF di Macroeconomia solo su Docsity! Macroeconomia la macroeconomia è lo studio delle grandezze riferite al sistema economico nel suo complesso, ossia dei grandi aggregati, tra i quali assume un ruolo chiave il PIL. L'evoluzione nel tempo del PIL si configura come ciclo economico (nel "breve periodo", alcuni anni) e come crescita economica (nel "lungo periodo", secoli). In macroeconomia ci si astrae dalle decisioni individuali si sposta il focus all’aggregazione delle imprese. Il PIL è quasi universalmente assunto come indicatore sintetico dello "stato di salute" del sistema economico . Il PIL è anche l’indicatore aggregato che misura l’andamento del comportamento reale dell’economia. Capitolo 1-La contabilità nazionale: La contabilità nazionale è l'insieme delle rilevazioni contabili-statistiche relative al sistema economico considerato nel suo complesso che fornisce la base per lo sviluppo dei modelli macroeconomici e per l'indagine empirica: È uno schema contabile della relazione tra le grandezze aggregate. Per beni in macroeconomia si distingue tra beni intermedi e beni finali. Le misurazioni si rilevano con cadenza annuale, durante questo periodo si effettuano processi produttivi che necessitano di fattori della produzione come beni e lavoro, se alla fine dell’anno quei beni vengono usati sono chiamati intermedi. I beni intermedi sono beni prodotti in un arco temporale (anno) e completamente riutilizzati in produzione nello stesso periodo. Tutti gli altri beni che non sono usati in quell’anno sono beni finali. I beni finali sono i beni prodotti in un certo arco temporale e non riutilizzati in produzione nello stesso periodo, destinati quindi ad impieghi finali. Un bene finale può essere di consumo (automobile, farina) di investimento/capitali/strumentali (macchinari o attrezzature come torni, furgoni ecc). Alle volte certi beni possono essere sia intermedi che finali a seconda della loro natura come la farina o un’automobile(se lo usa la famiglia è un bene di consumo ma se lo compra l’impresa è un bene di investimento). I. Per consumo intenderemo la spesa complessiva delle famiglie (in beni di consumo). II. Per investimento intenderemo la spesa complessiva delle imprese (in beni di investimento). In macro si astrae dalla funzione economica del singolo per considerare la classe o settore istituzionale ovvero gruppi o classi di individui caratterizzati da una funzione rilevante dal punto di vista macroeconomica. Tra i settori istituzionali troviamo poi il settore pubblico e Il resto del mondo (contesto internazionale) ovvero l’insieme di tutti i soggetti che risiedono all’estero. 1) Le imprese producono beni utilizzando come input beni intermedi e fattori di produzione primari (che insieme costituiscono una tecnologia). I fattori di produzione primari sono il lavoro cioè l’attività umana impiegata in produzione( è un fattore omogeneo con cioè sempre le stesse caratteristiche), capitale ovvero l’insieme di beni capitali installati in un’impresa e usati in produzione, il capitale è composto di di beni prodotto e costituisce uno stock di beni di investimento e le risorse naturali come la terra o le risorse minerarie. 2) Le famiglie offrono lavoro alle imprese che lo domandano. Ciò ha un significato opposto a quello che tradizionalmente viene pensato ma in macro e in microeconomia il meccanismo vede le famiglie come coloro che offrono lavoro. Le imprese producono e facendo ciò generano un fatturato(vendita dei beni) e dal fatturato, tolti i costi di produzione, otteniamo i profitti. I profitti poi vengono in parte reinvestiti per accrescere la propria ricchezza e in altra misura una parte viene redistribuita come dividendi tra i soci: quindi una parte dei profitti torna alle famiglie. Per semplificare si ipotizza che tutti i profitti vengano distribuiti come dividendi e prendono il nome di redditi da capitale-impresa (alle famiglie affluisce tutto il reddito prodotto nell’economia). Le famiglie ricevono una remunerazione per il lavoro corrisposto e questo compenso si chiama salario. Con il salario le famiglie comprano beni di consumo, la parte del reddito che non viene spesa in beni di consumo si chiama risparmio. L’investimento a livello macroeconomico è la spesa delle imprese per beni di investimento/ beni capitale che sono concretamente tangibili. 3) Il settore pubblico(come il governo) a livello macroeconomico fa tre cose: 1 preleva le imposte cioè esegue un atto di imperio grazie alla sovranità che esso esercita. Le imposte 1 generano un gettito che viene complessivamente chiamato gettito tributario(somma gettiti singoli). Inoltre lo stato 2 effettua spesa pubblica ed 3 effettua trasferimenti(sussidi come le pensioni). Per spesa pubblica/consumi collettivi si intende la spesa sostenuta per garantire dei servizi che la collettività non acquista sul mercato( sanità, sicurezza, difesa…). I trasferimenti dal settore pubblico al settore provato sono ad esempio i sussidi di disoccupazione/reddito di cittadinanza o le pensioni. Le tasse sono fondi sottratti al settore privato per essere destinati al settore pubblico, solitamente le tasse coprono il 40% della spesa pubblica. Nei trasferimenti vi è pure la voce degli interessi sui titoli del debito infatti la somma dei titoli di stato di tutti i tipi (bot, btt btw..) costituisce il debito pubblico ovvero il debito dello stato verso i detentori dei titoli di stato, nel momento in cui un bot o un btp crea un guadagno quel guadagno/interesse è un trasferimento. Dal punto di vista istituzionale poi dentro al settore pubblico rientra oltre che il governo anche la banca centrale: nel caso italiano (prima dell’unione monetaria del 1999) il settore pubblico decideva quante imposte prelevare quanta spesa pubblica effettuare e quanti trasferimenti fare, dopodiché la banca centrale italiana fa la politica monetaria. Quindi il governo effettua la politica fiscale agendo sulle tre azioni citate sopra e la banca centrale opera sulla politica monetaria. 4) Resto del mondo è un agente collettivo costituito dall’insieme di tutti i soggetti che risiedono all’estero, cioè tutti i paesi con relazioni economiche con uno stato: ad esempio nel caso italiano consideriamo la Francia e la GB con cui l’Italia effettua relazioni di export e di import (energia elettrica, turismo, afflussi di capitali con l’acqusto di bot stranieri) IL Prodotto Interno Lordo(PIL) rappresenta una misura sintetica dell’attività produttiva del sistema economico nel suo complesso. Del PIL si possono dare tre definizioni equivalenti che conducono al medesimo risultato: 1)il PIL è il valore (misurato in unità di conto come l’euro) di tutti i beni e servizi finali prodotti in un certo paese, in un certo periodo, tipicamente in un anno. I paesi che condividono l’euro sono 19, i paesi dell’eurozona sono in Europa ma non sempre vale il contrario. Il PIL indica il reddito generato in un periodo in un paese a livello aggregato, per misurare la produzione complessiva si moltiplicano i prezzi x la quantità. Il PIL è quindi la differenza tra il valore della produzione lorda complessiva (beni intermedi e finali) e il valore dei soli beni intermedi: PIL=valore produzione lorda-valore beni intermedi. Non si usa direttamente il valore della produzione lorda perché altrimenti la produzione aggregata verrebbe sovrastimata per effetto del doppio conteggio dei valori intermedi. Supponendo che ci sia un economia molto semplice in cui si produce un unico bene di consumo l’automobile, per produrre questo bene serve una filiera produttiva al cui inizio si produce carbone per un ammontare pari a 2 e si produce ferro per un ammontare pari a 3, questo ferro viene prodotto e venduto ad un acciaieria che ha un altoforno che gli permette di produrre acciaio, pagando le materie prime 5 produce acciaio per un valore totale di 6 che vende all'impresa automobilistica, l'impresa ora usa l'acciaio per produrre l'automobile che ha un valore di uscita pari a 8, il concessionario che ha comprato l’automobile dall’industria automobilistica, espone l’auto con un prezzo di vendita al consumatore pari a 9. La produzione nel nostro esempio è data da 2+3+6+8+9=28. Nello stadio dell’acciaieria, quando il carbone e il ferro vengono elaborati per produrre acciaio, nel valore finale dell’acciaio che l’azienda ha prodotto e venduto è già incorporato il valore del carbone e del ferro usati, l’acciaieria aggiunge al precedente valore delle materie prime un ammontare pari a +1. Andando oltre nell’impresa il bene intermedio è l’acciaio con valore pari a 6 a cui l’impresa aggiunge un valore pari a +2 nel produrre l’auro. Il concessionario ha valore intermedio pari a 8 e il valore finale di acquisto del cliente è pari a 9. Quindi se io non sottraggo ad ogni stadio di produzione il valore dei beni intermedi allora sovrastimo il valore complessivo di produzione. 2) Il PIL è la somma dei valori aggiunti di tutti i beni e servizi finali di un certo paese, questa somma coincide con il valore finale del bene. 2 2. La famiglia ora ha un reddito che può utilizzare per comprare beni e servizi: Fissati i prezzi, Ct (c-consumption) indica la spesa in beni di consumo, tuttavia le famiglie possono anche risparmiare, in questo caso la differenza tra il reddito e la spesa in beni di consumo rappresenta il risparmio (s-saving). 3. Ci sono poi imprese che acquistano beni capitali da altre imprese che li vendono, così un’impresa può acquistare una macchina, pagandola con i beni di investimento: questo flusso è tutto interno al settore delle imprese. Il PIL può qui essere composto in due modi differenti: • Poiché esistono due tipi di impiego finale, quello per consumo e quello per investimento, il PIL è pari alla somma della spesa effettiva per beni di consumo e di investimento: Yt = Ct + It (spesa in beni finali) Sto guardando la composizione del PIL dal lato di coloro che esprimono la domanda di beni e servizi. • Dall’altro lato guardo il PIL come reddito complessivo che affluisce alle famiglie ovvero Yt, ma il reddito Yt è usato in parte per consumare e in parte per risparmiare, quindi Yt=Ct+St Uguagliando ottengo It = St cioè che gli investimenti sono uguali ai risparmi. (Conclusione ovvia) Gli investimenti (It) però sono la spesa in beni capitali da parte delle imprese: le imprese a livello aggregato decidono sugli investimenti, mentre il livello di risparmio decide dalle famiglie, come fanno questi due valori a coincidere? Per rispondere è utile soffermarsi sul sistema finanziario posto a metà strada tra le famiglie e le imprese. I risparmi delle famiglie possono essere impiegati nell’acquisto di azioni, di titoli (non i bot perchè non ho considerato il settore pubblico) 4ecc comunque i risparmi prima o poi finiscono all’interno del sistema finanziario. Il sistema finanziario è l'insieme dei canali che "mettono in contatto” operatori in surplus finanziario ed operatori in deficit finanziario. Il sistema finanziario quindi si incarica di trasferire il surplus finanziario delle famiglie (risparmio) alle imprese perché queste possano colmare il loro deficit finanziario (investimento). Questo passaggio avviene con due tipi di canali: I. canali diretti, ossia i mercati dei titoli emessi dalle imprese come il mercato azionario o obbligazionario, ecc. II. Canali indiretti, in cui le famiglie non entrano in contatto diretto con le imprese e i fondi trasferiti alle imprese passano attraverso l’intermediario finanziario. Ad esempio, le famiglie acquistano quote di un fondo di investimento che utilizza le risorse per acquistare titoli emessi dalle imprese. O ancora le famiglie aprono depositi presso le banche che raccolgono così risorse finanziarie da utilizzare per effettuare prestiti alle imprese. Apparentemente, mediante il sistema finanziario abbiamo risposto al quesito sull’identità tra risparmi ed investimenti: i risparmi delle prime servono a finanziare gli investimenti delle seconde. In realtà la quantità di risparmio non è esattamente uguale alla capacità di investimento delle imprese: certi potrebbero non affidarsi alle banche o agli intermediari quindi la storia è solo parzialmente vera. Ciò che rende gli investimenti uguali al risparmio è chiamato “investimento non desiderato in scorte”: - Z è la domanda o spesa aggregata che è fatta del consumo delle famiglie e degli investimenti delle imprese Z = I + C - Y è la produzione complessiva delle imprese. Questi due valori potrebbero essere diversi da z in quanto si potrebbe produrre più di z. Caso 1: Y>Z Y = 70(beni di consumo) + 30(beni di investimento) = 100 in totale il PIL è 100. Z = 65(consumo) + 30(investimento) = 95 è la spesa in beni di consumo delle famiglie. Quando Y>Z l’origine della discrepanza è data dal fatto che si stanno consumando meno beni di quelli prodotti. La differenza tra i bei prodotti e quelli domandati (eccedenze) è un investimento dell’impresa in beni finali: la differenza tra 70 - 65 = 5 è l’investimento non desiderato in scorte di prodotti finiti. È come se l’impresa vendesse le eccedenze a se stessa invece che alle famiglie. 5 Chiamiamo l’investimento non desiderato in scorte di prodotti finiti “delta ∆” (∆=5). Y= Z+∆ dove Y è il Il PIL aggregato, Z è la domanda=> Y=Z+∆=> 100=95+5 , Il reddito pari a 100 finisce alle famiglie, quindi Y(reddito) continua ad essere composto come consumo e risparmio ovvero Y=C+S => 100=65+35 => Y=Z+∆ , Y=C+S => Y=Z+∆=C+I => C+I+∆=C+S => S=I+∆= 30+5 = 35. Questo è ciò che realmente accade: i risparmi delle famiglie (35) sono sempre esattamente uguali agli investimenti complessivi che hanno una componente programmata dalle imprese(I) e una non pianificata ovvero ∆. Caso 2 Y=Z: Supponiamo che ∆=0, in questo caso Y=Z e S=I, solo se non ci sono investimenti indesiderati in scorte, abbiamo l’equilibrio sul mercato dei beni: la domanda complessiva=offerta complessiva. s=I+∆ sempre ma se ∆ è positivo abbiamo un investimento non desiderato in scorte mentre se è negativo abbiamo un disinvestimento non desiderato in scorte. Sono quando ∆=0 siamo in equilibrio:L’eccesso di produzione si manifesta quindi cime investimento non desiderato in scorte. Nel breve periodo potrei avere S=I+∆= 30+5 = 35. Ma prima o poi nel lungo periodo arriverò ad S=I. Consideriamo ora un caso più realistico: sempre un’economia chiusa ma questa volta insieme alle famiglie e alle imprese esiste anche il settore pubblico: Le famiglie erogano ore di lavoro alle imprese, Le imprese pagano i salari. C’e la vendita di beni di consumo dalle imprese alle famiglie, che pagano con beni di consumo. Poi troviamo la spesa in beni di investimento tra imprese e altre imprese che resta sempre interna al settore. Poi le imprese vendendo beni di consumo e di investimento fanno fatturato, da cui togliendo i costi ottengo i profitti. I profitti vengono poi distribuiti alle famiglie come dividendi e interessi. Quando arriva il reddito alle famiglie, esso è soggetto all’attività del settore pubblico: è un reddito imponibile su cui possono essere applicate le tasse. Il settore pubblico da un lato toglie alle famiglie e dall’altro redistribuisce sottoforma di trasferimenti. Dopo che il settore pubblico ha effettuato l’attività di tassazione ed erogazione di trasferimenti, le famiglie sono in grado di usare il reddito che rimane loro consumare o risparmiare. Il reddito rimanente alle famiglie sarebbe Y-imposte+trasferimenti ad es 100-40+20. Il risparmio è ciò che resta dopo che il reddito disponibile è stato in parte usato per beni di consumo. Il settore pubblico tassa, eroga trasferimenti ed effettua spesa pubblica: Quindi esso chiede beni alle imprese ad esempio un flusso di materiale bellico ecc, cioè domanda che il settore pubblico domanda alle imprese per poi sfruttare i beni a favore della collettività, la spesa in beni pubblici passa dal settore pubblico alle imprese: • Le imposte(TA/entrate del settore pubblico)sono un prelievo sul reddito delle famiglie dal settore pubblico a cui non corrisponde una contropartita diretta di beni o servizi. • I trasferimenti (TR) sono erogazioni del settore pubblico alle famiglie(pensioni, sussidi, interessi sul debito ecc) • I consumi pubblici (Cg) sono i consumi che il settore pubblico rende possibile grazie alla spesa. • Gli investimenti pubblici (Ig) sono gli investimenti in opere pubbliche. • La spesa pubblica(G) è la somma di consumi e investimenti pubblici: G=Cg+Ig La spesa pubblica si configura come l’insieme degli impieghi finali originati dal settore pubblico, assumendo che il livello dei prezzi sia uniforme tra le componenti della spesa, possiamo affermare che il reddito(PIL)sia uguale alla somma dei consumi complessivi, degli investimenti complessivi e della spesa pubblica: Y=C+I+G. Il saldofinanziario del settore pubblico coincide con la differenza tra le entrate e le uscite ovvero alla somma tra trasferimenti e spesa pubblica. Questo saldo può essere positivo, negativo o nullo. Yd=Y-Ta-Tr=c+Sn: il reddito disponibile (Yd) delle famiglie dopo l’intervento ridistribuivo dello stato è dato dalla modificazione del reddito in seguito a tasse e trasferimenti. Dato che vale anche Y=C+I+G, eguagliando ottengo C+I+G=c+Sn+Ta-Tr. Da qui ricavo Sn=I+G+Tr-Ta ciò ci dice che quello che le famiglie vogliono risparmiare è uguale a ciò che le imprese hanno deciso di spendere in beni di investimento + qualcos’altro: 6 G+Tr ha a che fare con il settore pubblico e sono le “uscite di bilancio del settore pubblico”. Se le uscite > entrate sono in deficit. Il sistema finanziario serve a trasmettere risparmi alle imprese (dei soldi finiscono in depositi in conti correnti che le banche usano per finanziare le imprese, si acquistano obbligazioni o azioni societarie,…) in maniera indiretta. Con il settore pubblico, Il fabbisogno finanziario che esso ha, cioè l'ammontare delle spese complessive che non è coperto dalle tasse, (le uscite meno le tasse) è una buco che va colmato perché se non lo colmo io non sono in grado di spendere dato che non sono in grado di recuperare altre risorse finanziarie come settore pubblico. Se ho un deficit cioè un fabbisogno finanziario e quindi necessito di entrate, emetto titoli di stato aggiuntivi per un ammontare pari al deficit, questi venendo acquistati delle famiglie andrebbero a finanziare direttamente il settore pubblico.: una parte del risparmio delle famiglie finisce sul mercato dei titoli di stato che mette in contatto le famiglie con il settore pubblico. Il deficit è un concetto di flusso per periodo mentre il debito è un concetto di stock per un periodo. Prima o poi si dovrà superare il finanziamento del deficit e bilanciare nuovamente le entrate e le uscite: ciò avviene quando si arriva ad un livello insostenibile di deficit. In Italia agli inizi degli anni 90, in corrispondenza di una crisi finanziaria internazionale, il presidente del consiglio era giuliano amato che decise di fare una grande manovra di consolidamento fiscale, riuscendoci solo parzialmente. Relativamente al settore pubblico assume rilevanza il bilancio pubblico (BS) calcolato come BS=entrate-uscite=Ta-(Tr+G): se Ta>Tr+G allora BS>0 e sono in surplus o avanzo. se Ta<Tr+G allora BS<0 e avremo un deficit o disavanzo del settore pubblico. l’ammontare del deficit corrisponde al valore assoluto della differenza tra entrate e uscite, quindi: G+Tr-Ta=fabbisogno finanziario del settore pubblico (financing gap). L’aggiustamento del deficit ovvero un consolidamento fiscale si ha quando rivuole chiudere la forbice, ovvero si aumentano le imposte e si riducono le spese in trasferimenti(manovra amato). Ciò si differenzia dal consolidamento fiscale in cui la forbice si allarga. Con il settore pubblico la domanda aggregata (Z) è Z=C+I+G. Le altre attività del settore pubblico mutano la domanda aggregata in maniera indiretta: l’aumento delle tasse riduce i consumi, l’aumento dei trasferimenti incrementa i consumi: tasse e trasferimenti influiscono sulla componente C della domanda aggregata. Il PIL (Y): e Z>Y allora C+I+G<Y-C dove Y-C è la parte di reddito che non viene consumata quindi il risparmio (lordo): I+G<S in questo caso abbiamo un eccesso di produzione rispetto alla domanda. Se abbiamo un eccesso di offerta avremo investimenti indesiderati in scorte cioè prodotti finali che restano in magazzino e l’uguaglianza diventerebbe ∆+I+G<S. Se Z>Y allora C+I+G>Y quindi I+G>Y-C=S allora avremo un investimento indesiderato in scorte? E avrò che. I+G+∆=S Quando Z=Y S=I+G e ∆=0. Capitolo 2: Croce Keynesiana o modello reddito-spesa Prima di Keynes si ragionava con la legge di Say un economista francese dell’800 che formulò una legge per la quale “ogni offerta crea la propria domanda”. L’implicazione è che non si può verificare una situazione di sotto-utilizzazione persistente delle risorse produttive, in primo luogo del lavoro: Se la legge fosse vera qualunque ammontare di prodotto potrebbe essere assorbito dal mercato e pertanto scomparirebbe la disoccupazione. Dopo la grande depressione (1929-1933) si aprì un dibattito tra economisti sulle cause che l’hanno generata: i disoccupati erano il 25% della popolazione e mancavano gli strumenti per spiegare questo fenomeno. La depressione rappresentò un contro esempio alla teoria di Say, prese così spazio la teoria di j.Mainard Keynes contenuta nel suo libro “la Teoria generale dell'occupazione, dell’interesse e della moneta”, pubblicata nel 1936, in cui elabora la sua teoria della determinazione dell’Output secondo la quale “ogni domanda crea la propria offerta", ovvero gli sbocchi di mercato sono limitati. Si apre così la strada alla possibilità di disoccupazione. Ciò si verifica quando il livello dell'attività produttiva non è sufficiente ad assorbire tutta la forza lavoro disponibile. 7 Il meccanismo di aggiustamento: Per dato livello della spesa autonoma e della propensione al consumo, l'equilibrio sul mercato dei beni esiste. Per verificare se sia stabile o instabile, occorre interrogarsi sul meccanismo di aggiustamento fuori dall'equilibrio. Ipotizziamo che sul mercato viga il seguente meccanismo di aggiustamento: se nel periodo corrente si verifica un eccesso di domanda, ossia Z>Y, le imprese produrranno di più nel periodo futuro, se si verifica un eccesso di offerta cioè se Z>Y le imprese produrranno di meno: Yt-1 - Yt = Zt - Yt . Il meccanismo implica che la produzione di domani sia uguale alla domanda di oggi: Yt+1 = Zt. Il meccanismo di aggiustamento si mette in moto ogni volta che la domanda di beni è diversa dall’offerta. Con questo meccanismo di aggiustamento, l'equilibrio sul mercato dei beni è stabile? Supponiamo che inizialmente le imprese decidano di produrre un reddito pari Y0 < Y*. La domanda aggregata generata dal reddito Y0 è Z0 pari alla somma della spesa pianificata da famiglie e imprese. Confrontando l'ordinata di A con l'ordinata di A’ si deduce che Z0 = Ä + cY0 > Yo. L'eccesso di domanda si manifesta sotto forma di un disinvestimento involontario in scorte di prodotti finiti ∆0 cosi definito: Yo - Z0 = ∆0 = Yo - (À barrato + cYo) = sY0 - À < 0. Da cui ricaviamo che che il risparmio è inferiore all'investimento deciso dalle imprese: So = - C˜ + sYo < I˜. Ovviamente So = I˜ + ∆0 ossia il risparmio è uguale all’investimento complessivo, pari alla somma dell'investimento programmato dalle imprese e del disinvestimento involontario in scorte. Il disinvestimento involontario segnala agli imprenditori che hanno commesso un errore di previsione, Allora essi rivedranno le loro previsioni di domanda verso l'alto. Le previsioni di domanda nel periodo 1 sono uguali alla domanda espressa nel periodo 0. Pertanto le imprese produrranno di più Y1=Z0. Nel periodo 1, il reddito è Y1, la domanda aggregata generata dal reddito Y1 è Z1. Anche nel periodo 1 si manifesta quindi un eccesso della domanda Z1=A˜+ cY1 > Y1. Le imprese osserveranno un nuovo disinvestimento involontario in scorte. L’aumento del prodotto si traduce infatti in reddito aggiuntivo, il quale genera un aumento della domanda di beni di consumo. Si osservi, però, che l'eccesso di domanda si è ridotto: Z1 - Y1 < Zo - Yo. Man mano che il reddito prodotto aumenta, l'eccesso di domanda di beni si riduce perché la domanda aggregata cresce meno che proporzionalmente rispetto al reddito. Ciò è dovuto alla "legge psicologica fondamentale del consumo": le famiglie destinano al consumo solo una parte (c < 1) dell'incremento di reddito: nel periodo 2 si manifesterà un nuovo eccesso di domanda, inferiore a quello osservato in 1. l'eccesso di domanda iniziale mette in moto un processo di incrementi successivi della produzione che si fermerà soltanto in corrispondenza dell'equilibrio (punto E). Quando il mercato dei beni è in equilibrio, Zt = Yt di modo che Yt+1= Y, ossia il prodotto è stazionario, quando Y=Y* non c’è né investimento né disinvestimeno involontario in scorte. Supponiamo ora che inizialmente il reddito sia maggiore del reddito di equilibrio:Y > Y*, In questo caso, sul mercato dei beni si verifica un eccesso di offerta che si manifesta come un investimento involontario in scorte. Ci si rende così conto che questo disequilibrio mette in moto un processo di decrementi successivi della produzione che si fermerà in corrispondenza dell’equilibrio. => L'equilibrio, quindi, è stabile: il meccanismo di aggiustamento basato su variazioni delle quantità prodotte, conduce "gradualmente" all'equilibrio stesso. La stabilità dell'equilibrio dipende, dall'ipotesi: 0 < c < 1. È grazie a questa ipotesi che, man mano che il reddito aumenta, l'eccesso di domanda si riduce. Risparmio ed investimenti la condizione di equilibrio è Z=Y ma data la definizione Z= C+I otteniamo che S=I cioè che il risparmio coincide con gli investimenti. Si può ora formulare un modello di reddito spesa: La funzione del risparmio ci dice che S=Y-C= -C˜ + sY Ovvero che il risparmio è funzione crescente del reddito: L'intercetta è negativa e pari, in valore assoluto, al consumo autonomo. La pendenza è la propensione al risparmio. Poi gli 10 investimenti sono, per ipotesi, esogeni. Quindi sostituendo I=I˜ nella equazione S=Y-C=-C˜+sY ottiene che -C˜+sY=I˜ in cui la soluzione è il reddito di equilibrio Y* = (1/s) (C˜+ I˜). Il paradosso della parsimonia “se ciascuno e tutti gli individui tentano di accrescere il proprio risparmio aumentando la propensione al risparmio, a livello aggregato questo sforzo viene vanificato e il risparmio aggregato non muta.” Dopo la variazione dell'esogena, infatti, il vecchio punto di equilibrio diventa un punto di disequilibrio. Pertanto solo se il sistema converge dal vecchio al nuovo equilibrio, il confronto tra il vecchio e il nuovo punto di equilibrio è sensato. Supponiamo che la propensione al risparmio sia so. La funzione del risparmio è quindi la retta S’(s0) e l’equilibrio si trova nel punto A. Un aumento della propensione al risparmio da s0 a s1 comporta una rotazione verso l'alto della funzione del risparmio: La nuova funzione del risparmio, indicata con (si), interseca la retta che rappresenta gli investimenti nel punto B. Il reddito di equilibrio è diminuito: Al vecchio livello di reddito, l'aumento della propensione al risparmio comporta un eccesso dei risparmi, ossia un eccesso di offerta aggregata di beni, che induce le imprese a ridurre la produzione. La variazione negativa del reddito ha compensato la variazione positiva della propensione al risparmio di modo che il risparmio complessivo non è variato ed il tentativo delle famiglie di accrescere il risparmio risulta frustrato. Quanto più “parsimoniosi’ diventano gli individui, tanto minore risulta il reddito senza che il risparmio aggregato possa mutare. Famiglie, imprese e settore pubblico. Modifichiamo ora le ipotesi di fondo per tener conto del settore pubblico e introdurre la politica fiscale (o di bilancio). Il modello reddito-spesa, pertanto, dev'essere riformulato e la la domanda aggregata diviene Z = C+ I + G. (1) La spesa programmata in beni di consumo sarà una funzione crescente del reddito disponibile, che a sua volta è influenzato da tasse e trasferimenti. La funzione di consumo è C= C˜ + cYd (2) Dove Yd è il reddito disponibile Yd = Y -Ta + Tr. (3) supponiamo che imposte e trasferimenti siano esogeni: Ta=Tã (4) e Tr=T˜r. (5) Sostituendo la 4 e la 5 nella 3 si ottiene(6) Sostituendo la (6) nella 2 ottengo: (7) La 7 differisce dall’equazione qui riportata solo per il termine c(Tr-Ta) che rappresenta Il consumo sulle componenti fiscali del reddito disponibile. Per quanto riguarda le altre componenti della domanda aggregata ossia investimenti e spesa pubblica supponiamo che siano esogeni (quindi barrati): I=I˜ (8) G=G˜ (9) Sostituendo la 9, 8, e la 7 nella 1 ottengo la funzione della domanda aggregata in economia chiusa in presenza del settore pubblico: (10) (11) A’ barrato indica la spesa o la domanda autonoma in presenza di settore pubblico. 11 Si ha equilibrio sul mercato dei beni quandol il reddito prodotto è uguale alla domanda aggregata. La condizione di equilibrio, quindi, è: Z=Y (12) La 10 e la 12 sono le equazioni base del reddito spesa con settore pubblico, sostituendo la prima nella seconda otteniamo (13): Z*=Y* dove Y* è l'ascissa del punto di intersezione E tra la retta che rappresenta la domanda aggregata e la retta Z=Y, Y*è sempre il prodotto della domanda autonoma (A') e del moltiplicatore Keynesiano (alpha), ma in questo caso la domanda autonoma comprende le componenti fiscali del consumo. (14), Il risparmio in presenza di settore pubblico è definito come SN = Yd - C. In equilibrio quindi: (15) il risparmio netto deve essere uguale alla somma degli investimenti programmati e del deficit pubblico. Per trovare l’occupazione sostituisco la 13 nella N=Y/n e ottengo: Supponendo che l'occupazione quando il mercato dei beni è in equilibrio sia inferiore all'offerta complessiva di lavoro. Pertanto si genererebbe disoccupazione involontaria pari a U* = N - N* La politica fiscale: Il settore pubblico può influenzare le condizioni dell'economia mediante una manovra (di politica) fiscale o di bilancio. Una manovra fiscale espansiva si può incentrare su: 1) un aumento della spesa pubblica, 2) un aumento dei trasferimenti, 3) una diminuzione delle imposte. Mediante una manovra espansiva il settore pubblico contribuisce ad alimentare la domanda aggregata e quindi fa aumentare il reddito (di equilibrio). Simmetricamente una manovra restrittiva riduce la domanda aggregata e il reddito. Caso 1_manovra espansiva-aumento di spesa pubblica: Go è il livello iniziale (pre-manovra) della spesa pubblica, poi si passa a G1. L’aumento della spesa pubblica comporta un aumento della spesa autonoma da => __ __ Quindi ∆A’=∆G: la spesa autonoma aumenta esattamente nella stessa misura in cui au- menta la spesa pubblica. _ _ A seguito della manovra il reddito di equilibrio aumenta da Yo = alpha * A’0 a Y1 = alpha* A’1. Pertanto: Oppure La variazione del reddito è il prodotto del moltiplicatore alpha per la variazione della spesa pubblica. Quindi la variazione del reddito di equilibrio è un multiplo della variazione della spesa pubblica:’aumento di spesa pubblica provoca un aumento più che proporzionale del prodotto di equilibrio: “Alpha” ci dice di quanto varia il reddito di equilibrio data una certa variazione della spesa, quindi è il moltiplicatore della spesa pubblica che misura l'effetto sul prodotto di equilibrio di una variazione della domanda autonoma. Se la domanda autonoma aumentasse di un valore pari a ∆A’ barrato, allora aumenterebbe per un valore equivalente anche il reddito delle famiglie che operano nelle imprese che producono beni di consumo. Tali famiglie consumano una parte del reddito aggiuntivo, Il consumo aggiuntivo sarà c(c ∆A’ barrato)=di c^2*∆A’ barrato. il processo si ripete in round successivi: l’incremento di reddito associato ad un incremento di spesa autonoma pari a ∆A' barrato sarà: 12 Il bilancio dello stato è BS= TA -(TR + G) ma G1>G0, ∆G0>0 => Bs1= TA -(TR + G1) ∆Bs= Bs1- Bs0 = - (G1 - G0 )= - ∆G Imposte endogene: Consideriamo ora una variante più realistica del modello in cui il gettito tributario è endogeno e proporzionale al reddito aggregato. Quindi TA=tY. Dove “t” è un coefficiente compreso tra 0<t<1 che rappresenta la “pressione tributaria” ossia il rapporto tra gettito e reddito aggregato è come se fosse un’aliquota media di imposta oppure può essere vista come la media ponderata delle varie aliquote d’imposta. Il gettito tributario è proporzionale al PIL e “t” è circa 0.4 quando si ragiona in aggregato. Perciò ora il reddito disponibile è Yd=Y-tY+Tr barrato= Sostituendo poi nell’equazione del consumo ovvero C = C¯+cYd, otteniamo: Ora definiamo c(1-t) come la“propensione marginale al consumo sul reddito disponibile”: dato un incremento del reddito pari a 1 unità, dopo il prelievo delle imposte, resta un reddito incrementale disponibile pari a 1 - t, di cui la famiglia consuma una frazione c. Sapendo che Z=C+I+G, sostituisco il valore di C, di I e di G per ottenere -> Dove A’¯ indica la domanda autonoma. La funzione di domanda aggregata si rappresenta con una retta sul piano (V, Z) con intercetta A’ barrato e pendenza c(1 - t). Sostituendo nella condizione di equilibrio Z=I otteniamo cioè ⍺’ è è il moltiplicatore Keynesiano nel nuovo contesto, pari alla propensione a non spendere il reddito incrementale in beni di consumo. Si verifica immediatamente che ⍺' < ⍺. Pertanto, in presenza di imposte endogene, il moltiplicatore è più piccolo che in presenza di imposte esogene. la propensione marginale a non consumare sul reddito disponibile dipende positivamente dalla pressione tributaria, pertanto il moltiplicatore è decrescente nella pressione tributaria. Il saldo del bilancio dello Stato è: (1) Il saldo di bilancio, che era esogeno nel modello precedente, è ora crescente nel reddito. Al crescere del reddito data l'aliquota d'imposta, cresce il gettito tributario. Dalla formula (1) capiamo che il saldo dello stato è in pareggio quando il reddito è ad un livello Y´` tale per cui TR¯ + G¯- tY´`=0 Quando il mercato è in equilibrio, il saldo del bilancio pubblico può assumere un valore qualunque (surplus, deficit o pareggio). Ipotizziamo ora l’ipotesi di un aumento di spesa pubblica da G0 a G1:
Y0= ⍺’A’o¯ => A’o¯= C¯+cTR¯ + I¯ + G0 Y1= ⍺’A’1¯ => A’1¯= C¯+cTR¯ + I¯ + G1 =>∆Y = Y1-Y0 = ⍺’*∆G¯ Dove ⍺’ è il moltiplicatore della spesa pubblica in presenza di gettito endogeno, si nota che il moltiplicatore della spesa pubblica sia più piccolo in presenza di gettito endogeno cioè ⍺’< ⍺, per spiegare quest’affermazione vediamo gli effetti di un aumento della spesa pubblica: L’impatto di un’aumento della spesa pubblica pari a ∆G¯ provoca un aumento del valore aggiunto delle imprese che producono beni di consumo pari a ∆G¯, contemporaneamente aumenta di ∆G¯ anche il reddito delle famiglie operanti in queste imprese. Le famiglie dovranno pagare le tasse sul reddito aggiuntivo per un ammontare pari a t∆G¯. Pertanto il reddito addizionale disponibile per consumi e risparmio sarà: (1-t)∆G¯ e Il consumo aggiuntivo è c(1-t)∆G¯. =>il reddito delle famiglie operanti in queste imprese aumenta nella stessa misura del consumo aggiuntivo. 15 Ora il processo si ripete: le famiglie pagano le imposte sul reddito addizionale così che il consumo addizionale sia [c(1-t)]*[c(1-t)]*∆G¯, cioè il reddito delle famiglie operanti nel settore dei beni aumenta di [c(1-t)]^2 * ∆G¯ e Il processo si ripete in round successivi. L’incremento di reddito associato ad un incremento di spesa pubblica è :———————————————————————> Si dimostra che il contenuto della parentesi graffa è pari ad ⍺’. Il moltiplicatore cattura l’effetto complessivo di tutti i round successivi di aumento della domanda e del reddito innescati dall’aumento di spesa pubblica: con pressione tributaria endogena, ad ogni round, l’impatto propulsivo sulla domanda dovuto all’incremento del reddito viene mitigato dal fatto che le famiglie devono pagare le imposte perciò ⍺’< ⍺. L’aumento di spesa pubblica impatto anche sul saldo del bilancio dello stato: ∆BS= t*∆Y-∆G¯=(t⍺’-1)*∆G¯ da cui ricavo che =>questa espressione è negativa ma minore di uno in valore assoluto. un aumento di spesa pubblica riduce il saldo del bilancio dello stato ma in valore assoluto questo peggioramento è meno che proporzionale all’aumento di spesa pubblica. Un aumento di spesa pubblica, ha un effetto d’impatto negativo sul saldo dello stato che rappresenta le uscite ma ha anche un effetto positivo sull’aumento delle entrate. Ipotizziamo ora il caso di una riduzione dell’aliquota d’imposta. Supponiamo che l’aliquota iniziale sia t0 quindi avremo: Z=A’¯+c(1-t0)Y e il reddito di equilibrio iniziale è Y0= ⍺’0*A’¯ con ⍺’0*=1/[1-c(1-t0)] Se il governo taglia l’aliquota da t0 a t1, si avrà un più alto livello del reddito di equilibrio: Y1= ⍺’1*A’¯ con ⍺’1=1/[1-c(1-t1)] L’impatto positivo di una diminuzione dell’aliquota sul reddito è dovuto ad un aumento del moltiplicatore ⍺’1> ⍺’0 =>∆Y=∆⍺’A’¯ con ∆⍺’= ⍺’1- ⍺’0. L’effetto sul bilancio dello stato è negativo ma provoca un effetto indiretto positivo per l’aumento del gettito tributario prodotto dall’aumento del reddito. Capitolo 3-modello IS-LM: modello IS-LM “monetary targeting”: la banca centrale sceglie come variabile di politica monetaria la quantità monetaria da immettere e il tasso di interesse è endogeno e la quantità di moneta è esogena. Vi è poi il modello “interest rate setting” (capitolo 4) che è usato in questo momento, oggi la politica monetaria ha come variabile endogena la quantità di moneta. Il modello reddito spesa è rudimentale. Nella teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta, Keynes si occupò anche di mercato del lavoro e della moneta e analizzò le reazioni tra i diversi mercati. Dopo la sua pubblicazione, l’economista Hicks cercò di tradurre in equazioni il pensiero Keynesiano e formulò il modello IS-LM. Il modello IS-LM è un modello a prezzi fissi, sul mercato del lavoro abbiamo occupati e disoccupati, e la domanda di lavoro che proviene dalle imprese è quella che produce l’equilibrio macroeconomico, fino adesso (nel modello reddito spesa) l’equilibrio sul mercato dei beni e su quello macroeconomico coincidevano. Ora vogliamo studiare gli effetti di politica monetaria e introduciamo il mercato della moneta: c’è equilibrio macroeconomico quando c’è equilibrio simultaneo sul mercato della moneta e su quello dei beni. Nel mercato del beni: Abbiamo una variante del modello reddito spesa. (1) Z=C+I+G (2) C= C˜+cTR˜+ c(1+t)*Y (3) G=G˜ (4) I=I˜-b*i dove b>0, i=tasso di interesse (nominale):più alto è il tasso minore sarà la spesa in beni di investimento. Il tasso di interesse nominale è quello scritto sui contratti, il tasso di interesse reale è la differenza tra quello nominale e l’inflazione ma nel 16 nostro modello l’inflazione è nulla dato che ipotizziamo che i prezzi siano fissi. Sostituiamo ora la 2, 3 e 4 nella 1 cioè Z=C+I+G e ottengo: (5) Z=C˜+ cTR˜ + c(1-t)*Y + I˜- bi + G˜ A’ ˜= C˜+cTR˜+I˜+G˜ =>(6) Z= A¯’+c(1-t)Y-bi la domanda aggregata è funzione crescente del reddito e funzione decrescente del tasso di interesse. La condizione di equilibrio sul mercato dei beni è (7) Z=Y Sostituisco ora la 6 nella 7 e ottengo Y= ⍺’(A’¯-bi) con ⍺’=1/1-c(1-t) =>(8) tasso di interesse i = (A’¯/b)-(Y/⍺’b) equazione retta IS La retta is è il luogo dei punti sul piano che rappresentano combinazioni del tasso si interesse e livello del reddito di equilibrio per il mercato dei beni -> Perché la retta IS è inclinata negativamente? Quindi perché il reddito di equilibrio per il mercato dei beni aumenta al diminuire del tasso di interesse? Dato un livello qualsiasi del tasso di interesse i0, la spesa in beni di investimento corrispondente si calcola con la funzione I=I¯-bi. z(i0) è la domanda aggregata quando il tasso di interesse è i0: Z(i0)=A’¯+cY-bi0. Il reddito di equilibrio è Y0=⍺’(A’¯ -bi0) cioè l’ascissa di A Mentre la sua ordinata è Z(Y0, i0)= A’¯ +cY0-bi0=Y0 Supponiamo ora che il tasso diminuisca da i0 a i1: Gli investimenti aumenteranno da io a i1 e la retta di domanda aggregata traslerà verso l’alto diventando Z(i1). Al reddito Y0, a seguito dell’aumento degli investimenti, si genererà domanda aggregata Z(Y0,i1)= A’¯+cY0-bi (ordinata punto D) ovviamente Z (Y0, i1) > Y0. L'eccesso di domanda si manifesterà come un disinvestimento involontario in scorte e la produzione aumenterà fino a raggiungere il reddito di equilibrio Y1= ⍺’(A’¯1 - bi1) cioè l’ascissa di B. la retta IS deve essere inclinata negativamente perché partendo da una posizione di equilibrio, al diminuire del tasso di interesse aumentano gli investimenti e si genera pertanto un eccesso di domanda che fa aumentare il reddito di equilibrio. In disequilibrio il punto D (del grafico sotto) è caratterizzato da (Y0, i1) che sono le coordinate del punto D (del grafico sopra): D è quindi caratterizzato da un eccesso di domanda ed è associata ad esso una tendenza ad aumentare la produzione(tendenza aumento prodotto evidenziata dalla freccia verso est). Il punto C ha come ordinata la domanda aggregata Z(Y1, i0)= A’¯+cY1-bi0: in C c’è un eccesso dell’offerta aggregata(reddito)sulla domanda aggregata: Z(Y1, i0)<Y1, l’eccesso di offerta si manifesta con un investimento involontario in scorte e la produzione diminuirà. C nel grafico di sotto è indicato da (Y1, i0) che sono le coordinate di C del grafico sopra in cui il punto è caratterizzato dall’eccesso di offerta(freccia orizzontale verso ovest). => i punti che si trovano "al di sopra" della IS come il punto C sono caratterizzati da un eccesso di offerta mentre i punti che si trovano "al di sotto" della IS, come il punto D, sono caratterizzati da un eccesso di domanda. Nel modello IS-LM, quindi, cosi come nel modello reddito-spesa, il meccanismo di aggiustamento sul mercato dei beni è imperniato sulle variazioni del prodotto e si mette in moto ogni volta che la domanda di beni è diversa dalla produzione corrente. Mercato della moneta: La moneta è ciò che la moneta fa, è tutto ciò che serve da mezzo di pagamento o da intermediario degli scambi (definizione funzionale). Uno strumento monetario è una banconota/moneta metallica che serve per acquistare dei servizi banconota+moneta metallica= circolante Moneta=circolante+depositi in conto corrente (fiat money ovvero senza moneta intrinseca) 17 => Da cui semplificando i termini ottengo: Ora con la conversione scrivo: Sostituendo questa espressione nell'equazione della IS o in quella della LM ed effettuando le opportune manipolazioni algebriche, giungiamo alla seguente conclusione: Sostituendo Y* nella IS o nella LM ottengo i*. In queste equazioni beta e gamma sono dei polinomi di parametri . Queste due ultime espressioni costituiscono la forma ridotta del modello IS-LM. Graficamente, l'equilibrio macroeconomico è rappresentato dal punto E = (Y*, i*) di intersezione tra la retta IS e la retta LM. La domanda di moneta è uguale per costruzione all'offerta: M. • l'offerta aggregata è uguale alla domanda aggregata (Z= Y), ossia i piani delle imprese per quanto riguarda la produzione sono compatibili con i piani di spesa delle famiglie per beni di consumo, delle imprese per beni di investimento e del settore pubblico. In altri termini il reddito non consumato è uguale alla somma di investimenti e spesa pubblica: S = I+G; • le famiglie sono in una situazione di "equilibrio di portafoglio" nel senso che la moneta immessa nel sistema dalla banca centrale è esattamente pari al fabbisogno di liquidità delle famiglie. Il reddito di equilibrio per i mercati dei beni e della moneta non è necessariamente tale da garantire la piena occupazione. Se si verifica Y* < Y come supporremo, nel sistema permarrà disoccupazione involontaria. Politica fiscale nel modello: La retta IS ha un’intercetta che dipende da A’¯ la quale contiene dei parametri come la spesa pubblica (G¯), i trasferimenti (TR¯) e l’aliquota media di imposta (t) che fa variare la pendenza della retta. Queste sono le tre variabili di politica fiscale, esse variando modificano la posizione della IS. Nel modello supponiamo che il reddito di equilibrio macroeconomico sia inferiore al reddito di pieno impiego, quindi non c’è equilibrio sul mercato del lavoro e c’è disoccupazione. Partiamo dal caso di un aumento della spesa pubblica. Inizialmente la spesa pubblica è G0 poi si arriva a G1: G1>G0. (Y¯¯ è il reddito di pieno impiego)‰ Partendo dall’equazione Y*=𝛃Ā’+𝛄M¯ e sostituendo i valori della situazione iniziale ottengo: Y0=𝛃Ā’0+𝛄M¯ dove Ā’0 è la domanda autonoma prima che aumenti la spesa pubblica ovvero Ā’0= C¯+cTR¯¯+Ī+G0. Il reddito dopo l’aumento di spesa pubblica diventa: Y*=𝛃Ā’1+𝛄M¯ dove Ā’1=C¯+cTR¯¯+Ī+G1. ∆Ā’=Ā’1-Ā’0=G1-G0= ∆G La variazione del reddito ∆Y= Y1-Y0 = 𝛃(Ā’1-Ā’0)= 𝛃∆Ā’= 𝛃∆G. Il moltiplicatore della spesa pubblica IS-LM è 𝛃=∆Y/∆G. Questo moltiplicatore nel modello reddito spesa era 𝛂’. 20 Si osserva che 𝛃<𝛂’ infatti se 𝛂’ =5, 𝛃=3 e ∆G=10 allora la variazione del reddito sarebbe: ∆Y=5*10=50 nel modello reddito spesa ∆Y=3*10=30 nel modello IS-LM =>l’effetto espansivo sul reddito di una certa variazione della spesa pubblica è molto maggiore nel modello reddito spesa che non nel modello IS-LM. Questo risultato non è però ovvio quindi per spiegare il concetto dietro a questa conclusione usiamo un grafico: Aumentando la spesa pubblica la IS cambia intercetta spostandosi parallelamente verso l’alto: IS(G1). Abbiamo ora un nuovo punto di equilibrio “B”, qui il reddito è aumentato ma è aumentato anche il tasso di interesse. Tramite il modello IS-LM abbiamo visto che aumentando G, Ā’ aumenta e quindi Y* aumenta=> aumenta anche i*. L’aumento di I* e il moltiplicatore più piccolo che nel modello reddito spesa sono collegate: Quando il settore pubblico aumenta la spesa pubblica la vecchia IS(G0) scompare e il punto “A” che era di equilibrio macroeconomico ora non lo è più. Ora “A” si trova al di sotto della nuova IS(G1), i punti sotto alla IS sono caratterizzati da uno squilibrio in particolare da un eccesso di domanda sul mercato dei beni. L’eccesso di domanda non stupisce perché essendo aumentata la spesa aggregata dell’economia, a fare la spesa aggiuntiva è stato il settore pubblico quindi essendoci un incremento di spesa e domanda nel punto A avremo eccesso di domanda sulla produzione => disinvestimento involontario in scorte, le imprese aumenteranno la produzione. L’incremento della produzione sposta il sistema sulla punta della freccia blu. In quel punto siamo sotto alla IS e alla LM quindi anche il mercato della moneta entra in disequilibro perché si verifica un eccesso di domanda: aumentando il reddito, aumentano le transazioni da finanziare con moneta e quindi aumenta la domanda di moneta a scopo transazionale. Quando c’è un eccesso di domanda di moneta, tutti hanno meno moneta di quanta ne vorrebbero, allora si liquidano i titoli per ottenere moneta, ma se tutti vendono i titoli il loro prezzo diminuisce: dato che c’è una relazione inversa tra il prezzo dei titoli e il loro tasso di interesse, allora il tasso aumenterà(la freccia blu prima va in orizzontale e poi sale➝↑). Questo fenomeno è chiamato effetto di retroazione monetaria: Se G↑=> Y↑ => Md↑ pertanto avremo Md>M¯ (eccesso di domanda di moneta sull’offerta che è rimasta invariata)=> Bs>Bd (eccesso di offerta di titoli rispetto alla domanda). L’eccesso di domanda sul mercato della moneta induce a creare un eccesso di offerta sul mercato dei titoli. => I↑ Questa catena è determinata dall’aumento di spesa pubblica. Quando I↑ allora sul mercato dei beni la spesa in investimenti delle imprese si riduce(costo del credito aumenta). Sul mercato della moneta fa aumentare il costo opportunità di tenere moneta in portafoglio quindi le famiglie ridurranno la domanda di moneta ed aumenteranno l’acquisto di titoli quindi se I↑=>Md↓. Questo processo continua fino a che non si raggiunge il punto di equilibrio B. Sul mercato dei beni la spesa pubblica ha avuto un impatto positivo sul reddito, poi l’effetto di retroazione monetaria fa aumentare il tasso di interesse: Quindi indirettamente si penalizzano gli investimenti dei privati.Questa penalizzazione sul modello reddito spesa non era presente dato che non era considerato il tasso di interesse. Se il livello degli investimenti si riduce, il PIL si comprime (effetto indiretto negativo Y↓). La catena dell’effetto di retroazione monetaria produce quindi due effetti, quello diretto (Y↑) e quello indiretto (Y↓), quale prevale? Il primo quindi Y↑, ciò si vede anche dal punto B del grafico. => 𝛃 < 𝛂’ per l’effetto di spiazzamento (crowding-out):l’immissione di nuova spesa pubblica respinge e limita la spesa privata. Quando il reddito aumenta (Y↑) abbiamo un aumento della domanda di moneta a scopo transativo e una diminuzione della domanda di moneta a scopo speculativo (Md↓) perché I↑. 21 =>i due effetti si compensano perfettamente perché si rimane sulla stessa LM. Nella transizione dal vecchio al nuovo equilibrio succedono molti avvenimenti: Se confronto A con B non è cambiata la domanda aggregata ma è variata la sua composizione interna. Un conto è avere 1000= 1200-200 rispetto che 1000=1300-300. Studiamo ora l’effetto di un aumento dei trasferimenti da Tr0 a Tr1: Y0=𝛃Ā’0+𝛄M¯ dove Ā’0=C¯+cTR¯¯0+Ī+G¯ Y1=𝛃Ā’1+𝛄M¯ dove Ā’1=C¯+cTR¯¯1+Ī+G¯ ∆Y=Y1-Y0=𝛃*c(TR1-TR0) dove c(TR1-TR0) è la variazione della spesa autonoma c𝛃 è il moltiplicatore dei trasferimenti => ∆Y=𝛃*∆Ā’ Con i trasferimenti, la IS si sposta in alto ma in misura inferiore rispetto che al caso in cui aumenta la spesa pubblica, a causa della presenza di “c”. Se do 10 alle imprese è un conto ma se do 10 alle famiglie, esse consumeranno solo 8. Il meccanismo che porta da “A” a “B” è simile a quello di prima: In A sono in equilibrio sul mercato della moneta ma non su quello dei beni, c’è un decumulo involontario in scorte, le imprese producono di più, entra in disequilibrio il mercato della moneta perché aumenta in modo transativo la moneta, le persone vendono titoli per ottenere moneta, facendo ridurre i prezzi dei titoli e ammetando il tasso di interesse. Nel modello IS-LM esiste anche la banca centrale quindi ora studieremo l’aumento della quantità di moneta: ( helicopter drop). M1>M0 Y0=𝛃Ā’+𝛄M0 Y1=𝛃Ā’+𝛄M1 ∆Y= Y1-Y0= 𝛄(M1-M0)=> ∆Y=𝛄∆M =>𝛄=∆Y/∆M 𝛄 è il moltiplicatore della politica monetaria nell’ipotesi di monetary targeting. Se M aumenta la LM trasla verso il basso, nel punto B il reddito è aumentato e il tasso di interesse è diminuito: Dei due effetti che impattano sul tasso di interesse prevale quello su M e non quello su Y. La LM(M0) quando aumenta la quantità di moneta scompare e “A” diventa solo il punto di partenza per una traiettoria che tende al nuovo equilibrio. Sul mercato monetario ora troviamo un punto al di sopra di LM e quindi in A c’èmeccesso di offerta, ora le persone si trovano con troppa liquidità quindi iniziano a comprare dei titoli per disfarsi della liquidità superflua: a questo punto il prezzo aumenta e il tasso di interesse diminuisce. M↑=> Ms > Md (eccesso offerta rispetto alla domanda di moneta ) e Bd > Bs Pertanto i↑. Si scende quindi da A verso il basso, appena i scende ci troviamo sotto la IS, dove i punti sono caratterizzati da un eccesso di domanda. Più scende il tasso maggiore sarà la domanda aggregata e a seguito dei disinvestimenti involontari in scorte le imprese produrranno di più e si arriva a “B”. Questo appena descritto è il meccanismo di trasmissione della politica monetaria in monetary targeting, che si basa sull’effetto liquidità secondo cui la banca centrale immetterebbe più liquidità innescando un meccanismi di aggiustamento sui mercati finché non si ristabilisce un nuovo equilibrio. 22 25 26 iL odono È NeGNUO
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31 32 Con questa ipotesi, le esportazioni in termini nominali in moneta nazionale coincideranno con quelle a prezzi costanti e saranno indicate con X mentre le importazioni, sempre in termini nominali e in moneta nazionale saranno rappresentate da Q/ε. Inoltre il tasso di cambio reale coinciderà con il tasso di cambio nominale: ε = E di modo che variazioni del tasso di cambio nominale genereranno cambiamenti della competitività di prezzo. Un aumento del cambio nominale, dati i livelli dei prezzi interni ed internazionali, comporta una diminuzione della competitività di prezzo (e viceversa), quindi le esportazioni nette peggiorano. Facciamo ora uno step ulteriore: Fino a questo momento importazioni ed esportazioni sono state una funzione che dipendeva solamente dal tasso di cambio nominale E cioè X = X(E) - mentre Q = Q(E) + => NX = X - Q, Ora però il modello va complicato: le esportazioni e le importazioni dipendono, nella realtà, sia dalla competitività di prezzo delle merci sia dal livello dell’attività economica misurata (PIL) nel paese di riferimento rispetto che nel resto del mondo: • Se il PIL americano aumenta anche il reddito delle famiglie americane aumenta quindi il consumo statunitense aumenta. Però dato che gli americani consumano sia beni domestici che esteri allora aumentando il consumo aumentano sia i beni americani che i beni europei/esteri=> le esportazioni europee aumentano. • Se il PIL dell’eurozona aumenta, le famiglie europee avrebbero più reddito di cui una parte andrebbe destinata al consumo di beni esteri, quindi americani => aumentano le importazioni. Ecco che abbiamo aggiunto un primo elemento alla funzione delle esportazioni/importazioni: X=X(E-, Yw+, ) Q=Q(E+, Y+) NX= X(E-,Yw+ )- Q(E+, Y+) => NX= 𝑓 (E-, Yw+, Y-) - Tra le esportazioni nette(NX) e il tasso di cambio reale esiste una relazione negativa: se il tasso di cambio aumenta c’è perdita di competitività (apprezzamento cambio nominale), allora le esportazioni si riducono, le importazioni aumentano e le esportazioni nette si riducono. - Per Yw la relazione è positiva perché se aumenta il reddito americano aumentano le esportazioni europee verso gli stati uniti. - Per il reddito nazionale Y la relazione è negativa. La funzione delle esportazioni può anche diventare lineare =>NX = qYw - xE - qY con x>0, q>0. Per ipotesi supponiamo che anche Yw sia esogeno cioè Yw barrato quindi il reddito del resto del mondo è dato, Indicheremo q*Yw come X esogeno cioè X barrato (X¯), quest’ipotesi ha senso quando si considera un’economia piccola rispetto al resto del mondo (Italia vs USA). Teoria delle esportazioni nette: Dalla teoria delle esportazioni nette costruirò il modello macroeconomico di economia aperta. In economia aperta va definito il “regime di cambio” che possono essere di due tipologie: -cambi flessibili: quando il tasso di cambio nominale è endogeno E —> massima flessibilità del tasso di cambio, che è quindi libero di muoversi: il prezzo della valuta estera sul mercato dei cambi può variare liberamente e oscillare. -cambi fissi: quando il tasso di cambio nominale è esogeno Ē —> massima rigidità del tasso di cambio, che è quindi mantenuto fisso dalle autorità monetarie come la banca centrale: il prezzo della valuta estera sul mercato dei cambi può variare liberamente e oscillare. (Bretton Woods e serpente monetario con bande di oscillazione). Si distingue poi tra monetary targeting e interest rate setting, quindi si delineano 4 scenari. 35 Cambi flessibili con Monetary Targeting: Studiamo ora un modello di ISLM in economia aperta che prende il nome di Mundell-Fleming. Ci sono 3 mercati: 1) Beni 2) Moneta 3) Cambi (mercato forex) <—> legato alla bilancia dei pagamenti Sul mercato dei beni troviamo: Z = C + I + G + NX dove NX sono le esportazioni nette. Esempio: in “C” entra la macchina della Fiat venuta alla famiglia italiana, in “I” entra la Fiat venduta ad un’impresa europea e in “X” entra la domanda che deriva da un soggetto estero. Noi abbiamo però NX ovvero X-Q quindi le esportazioni europee sono una componente negativa della domanda aggregata europea. Per spiegare il concetto ipotizziamo che un italiano compri un’auto americana come la Ford: quindi rivolge la sua domanda ad un produttore estero, non contribuendo al PIL italiano ma a quello americano: nella misura in cui gli europei importano dall’America sottraggono domanda aggregata dai produttori europei. Ora definiamo i consumi, gli investimenti, la spesa pubblica e NX come segue: Ora pongo Z = Y (6) Dato che E può assumere diversi livelli, ne scelgo uno solo in maniera arbitraria: mercato della moneta: M=kY-hi i=k/h Y- 1/h M (LM) 36 Il mercato dei cambi è il mercato su cui si cambia valuta estera con valuta nazionale, gli esiti di questo mercato dipendono dalla bilancia dei pagamenti, infatti il saldo della bilancia dei pagamenti BP è dato dalla somma del saldo delle esportazioni nette + saldo movimenti di capitale BP = NX + MC Le esportazioni sono una fonte di offerta di dollari e una fonte di domanda di euro perché ogni volta che offro dollari ricevo euro. Le importazioni sono la situazione simmetrica, infatti, i residenti di un paese chiedono sul mercato dei cambi i dollari che pagano in euro. Il saldo dei movimenti di capitale MC è la differenza tra gli afflussi di capitale AC e i deflussi DC: MC = AC - DC Gli afflussi di capitale sono fondi che entrano nell’economia domestica a fronte di transazioni finanziarie, gli afflussi si verificano ad esempio quando un’impresa europea vende obbligazioni a residenti esteri. Questi capitali in afflusso, che sono dollari, generano sul mercato dei cambi un offerta di dollari contro euro (come nelle esportazioni) I deflussi di capitali si verificano quando dei soggetti europei comprano azioni di società estere, per far ciò si domandano dollari sul mercato dei cambi (come le importazioni) Se la domanda di dollari = offerta di dollari allora BP=0 e sono in equilibrio sul mercato dei cambi. NX=X¯- xE-qY Solo le transazioni commerciali hanno impatto sul valore aggiunto, quindi nel mercato dei cambi devo definire MC: • Supponiamo un’impresa che emette obbligazioni e le vende in parte sul mercato domestico e in parte all’estero, queste obbligazioni hanno un tasso di interesse sul mercato domestico che si chiama i. • Dall’altro lato le imprese americane emettono obbligazioni che vendono in parte ai cittadini americani e in parte agli stranieri che per loro sono gli europei, con un tasso di interesse “iw” • => Le famiglie che devono decidere quali obbligazioni comprare, basano la loro scelta sul rapporto tra il tasso di interesse domestico e quello estero. Se il tasso interno fosse uguale a quello estero i titoli emessi in Europa o all’estero sarebbero perfetti sostituti. Se i > iw i titoli europei sono più remunerati di quelli americani quindi avremo un afflusso di capitali => il saldo dei movimenti di capitale sarà positivo. MC > 0 Se i < iw il saldo dei movimenti di capitale sarà negativo MC < 0. Per stabilire il saldo dei movimenti di capitale serve quindi lo spread tra i se iw. MC=𝑓 (i-iw). Uncovered interest parity ovvero la parità scoperta dei tassi di interesse: Abbiamo un investitore finanziario americano che nel periodo t deve decidere se comprare titoli di stato americani (government bond) con iw=4% oppure se comprare BOT europei il cui tasso di interesse è il 6%. Secondo quanto visto prima avremmo un afflusso massiccio di dollari in Europa, in realtà ciò non avviene perchè il modello reale è più complesso. Infatti se io investo in t=0 1 $ in GB, al periodo t+1 riceverò (1+iw) $ cioè 1.04$ Ora prendo un dollaro e devo trasformarlo in euro, infatti solo così potrò investire nel mercato Europeo, supponiamo che il tasso di cambio sia Et=1.5 $ x 1€, ovvero et= 2/3 € x1$ quindi 1$=2/3€ = 0,67€ Ora investo questi 0,67€ in BOT Nel periodo t+1 riceverò così 0.67€ * 1.06 = 0.71€ A questo punto devo riconvertire il valore che ho trovato e portarlo in dollari ma per convertire il valore necessito del tasso di cambio in t+1. Qui sorge il problema: io conosco solo il tasso di cambio nel periodo attuale, cioè al momento in cui investo e non posso prevedere quanto sarà il mio tasso di cambio nel periodo futuro. Devo perciò formare delle aspettative: Il tasso di cambio atteso in t+1 è 37 Il saldo della bilancia dei pagamenti è crescente del tasso di interesse e decrescente nel reddito e nel tasso di cambio, dati il reddito mondiale, tasso internazionale e di cambio futuro atteso. Quando aumenta il tasso di cambio corrente E, NX diminuisce e MC diminuisce perché il tasso 𝑖 𝐼𝑃 aumenta.
Il mercato dei cambi è in equilibrio quando la bilancia dei pagamenti è in pareggio: BP = 0 Questa esprime una relazione lineare tra il reddito Y, il tasso di interesse 𝑖 e il tasso di cambio E che vale in equilibrio per il mercato dei cambi.
Esplicitando il tasso di interesse possiamo scriverla: Per rappresentarla utilizziamo le curve di livello BB.
prendiamo un tasso di cambio E0 e la retta BB(E0) che ha pendenza q/θ e ha intercetta pari a ———> Per ogni livello del tasso di cambio, la retta BB è il luogo dei punti sul piano (Y,𝑖) che rappresentano combinazioni di tasso di interesse e livello del reddito di equilibrio per il mercato dei cambi. Le rette più spostate verso l’alto sono caratterizzate da un più alto livello del tasso di cambio. I punti sulla BB sono punti di pareggio della bilancia dei pagamenti, in ciascun punto della BB il saldo della bilancia commerciale ha lo stesso valore assoluto ma segno opposto rispetto al saldo dei movimenti di capitale: NX = - MC. Soltanto nel punto A il pareggio della bilancia dei pagamenti scaturisce dal pareggio sia della bilancia commerciale che dei movimenti di capitale. In A infatti 𝑖 0 = (1 + 𝑖 W / E¯¯ )𝐸 0 − 1 è pari al tasso di interesse IP di modo che MC = 0. Inoltre, poiché A si trova lungo BB, NX = 0. Il pareggio della bilancia commerciale si verifica quando NX = 0 → X - xE - qY = 0. L’ascissa di A è quindi Y 0=(𝑋 − 𝑥𝐸 0 )/𝑞. Tutti i punti lungo la BB compresi tra l'intercetta e il punto A, sono caratterizzati da un saldo positivo di bilancia commerciale e un saldo negativo dei movimenti di capitale. Tutti i punti lungo la BB a destra di A sono invece caratterizzati da un saldo negativo di bilancia commerciale e positivo dei movimenti di capitale. I punti che si trovano al di sopra della retta BB, come B, sono caratterizzati da un avanzo della bilancia dei pagamenti e dunque da un eccesso di offerta di valuta estera (eccesso di domanda di valuta domestica): Quindi nel punto B abbiamo iB > iA 0 perciò i titoli domestici diventano più convenienti quindi si vendono i titoli stranieri e si comprano quelli domestici andando ad apprezzare il tasso di cambio: questo procedimento continua finché il rendimento non cala e non torna al livello Y’. -Se il tasso di cambio si apprezza cambia anche il reddito perché le esportazioni diminuiscono dato che il prezzo relativo nazionale per un consumatore estero è meno conveniente. -Poiché la valuta nazionale si è apprezzata diventano più convenienti l importazioni. -C’è meno export ma più import=>I movimenti di capitale e i movimenti nei mercati reali portano nuovamente il sistema in equilibrio. Al contrario i punti al di sotto della BB, come C, sono caratterizzati da un disavanzo della bilancia dei pagamenti e quindi da un eccesso di domanda di valuta estera. 40 Le banche centrali usano le riserve di valuta per acquistare / vendere valuta straniera soddisfare i bisogni di pagamento necessari a riequilibrare la bilancia dei pagamenti: Se abbiamo domanda netta di valuta straniera perché le importazioni sono superiori alle esportazioni quindi dobbiamo conferire valuta domestica in valuta straniera: se il tasso di cambio è fisso questa eccessiva domanda di valuta deve essere in qualche modo assorbita e ciò viene fatto dalla banca centrale che con le sue riserve di valuta estera fa fronte alle domande di credito di valuta estera: quando c’è crisi valutaria paesi in queste situazioni fanno affidamento al bilancio della banca centrale per assorbire Cosa succede se θ cambia? 2 casi limite
• θ = 0 la bilancia dei pagamenti non si modifica per cambiamenti nei tassi di interesse relativi: c’è il perfetto controllo dei movimenti di capitale, gli stranieri non possono comprare titoli domestici e gli agenti domestici non possono comprare titoli stranieri, quindi se ci sono differenziali di tassi di interesse non succede niente perché non c’è un mercato in cui i titoli possono essere scambiati, non c’è una domanda di valuta per l’acquisto di titoli. La retta BB sarebbe verticale.
• θ = ∞ siamo nel caso di perfetta mobilità di capitale, cioè non esistono frizioni di alcun tipo e un cambiamento anche infinitesimale nel differenziale del tasso di interesse porta a spostare completamente gli investimenti tra il mercato domestico e straniero.
La retta sarebbe una retta parallela all’asse delle Y, cioè orizzontale. • Nei casi intermedi la BB ha un’inclinazione positiva tale per cui ad aumenti del tasso di interesse ci sono flussi di capitale che non sono perfetti. L’equazione della BB si riduce alla IP: Se prendiamo un tasso più alto otterremo una nuova IP, parallela alla precedente e spostata verso l’alto. nel caso in cui il tasso di cambio corrente è uguale al tasso futuro atteso E = E ̄ , la IP avrà equazione 𝑖 = 𝑖w. In questo caso non ci si attende né un apprezzamento né un deprezzamento. Tutti i punti al di sopra della IP sono caratterizzati da un surplus della bilancia dei pagamenti. Con perfetta mobilità di capitale il saldo della bilancia dei pagamenti è: 𝑖 − 𝑖 𝐼𝑃 . Quando c’è IP il saldo dei movimenti di capitale è finito ma non necessariamente nullo. Partendo dal punto A notiamo che solo in questo punto la bilancia sia la bilancia commerciale che il saldo dei movimenti di capitale sono nulli. Nel punto B la bilancia commerciale è in avanzo perché il reddito è inferiore all’ascissa di A e dunque le importazioni sono minori che in A. Poiché in B la bilancia dei pagamenti è in pareggio. allora il saldo dei movimenti di capitale deve essere negativo. In C, essendo la bilancia commerciale in deficit il saldo dei movimenti di capitale deve essere positivo. Ci interessano questi casi limite, perché noi viviamo in mezzo, cioè in sistemi economici in cui c’è mobilità di capitali e delle frizioni, ad es: ci sono costi di transazione legati all’acquisto di titoli stranieri, un costo di transazione comporta che se il differenziale di rendimento atteso è > al costo di transazione c’è un bilanciamento dei portafogli, se è < non c’è bilanciamento dei portafogli, cioè gli agenti non scambino immediatamente titoli domestici per stranieri per piccoli differenziali di rendimento. (Aggiungi soluzione modello con monetary targeting) 41 Un caso speciale: 𝑖 = 𝑖 𝑊 graficamente l’equilibrio appare così ↵ Caso1) variazione di spesa pubblica => shock fiscale: Un incremento della spesa pubblica non provoca variazione del reddito di equilibrio, provoca un aumento del tasso di cambio di equilibrio: L’equilibrio iniziale è nel punto A. Il livello del reddito in equilibrio è Y0 e la IS originaria è parametrizzata al livello G0 di spesa pubblica ed E0 di tasso di cambio. Immaginiamo che la spesa pubblica aumenti da G0 a G1: la IS subisce una traslazione verso l’alto, la nuova IS(G1;E0) interseca la LM nel nuovo punto di equilibrio B. Confrontando il nuovo e il vecchio punto di equilibrio notiamo che sia il reddito che il tasso di interesse sono aumentati. In B il saldo della bilancia commerciale è peggiorato, perché il reddito è aumentato facendo aumentare le importazioni. Se l’economia considerata avesse solo relazioni commerciali con il Resto del Mondo, la bilancia dei pagamenti andrebbe in deficit e ci sarebbe un deprezzamento del cambio. Ma in questo modello l’economia ha anche relazioni finanziarie con l’estero. Il fatto che il tasso di interesse sia salito sopra al tasso internazionale, genera un afflusso di capitali. Il miglioramento del saldo dei movimenti di capitale più che compensa il peggioramento del saldo della bilancia commerciale e induce un surplus della bilancia dei pagamenti: 42 pegging, una politica monetaria espansiva si manifesta come taglio del tasso obiettivo, stimola gli investimenti e crea un deprezzamento del cambio, con un effetto di stimolo anche sulla domanda estera. Ne discende una spinta sul PIL. Gli effetti sono simili nel caso di una politica monetaria espansiva in monetary targeting, che si manifesta come aumento della quantità di moneta. Nel caso generale si riduce il tasso di interesse e si genera un deprezzamento (il primo effetto è assente nel caso speciale). MODELLO IS-LM-IP IN CAMBI FISSI
Consideriamo ora i cambi fissi il tasso di cambio è fissato a un livello target Ê dall’autorità. L’equilibrio sul mercato dei beni si rappresenta con la IS parametrizzata a Ê: 𝑌 = β(𝐴 ̄ − 𝑏𝑖 − 𝑥Ê). L’offerta di moneta è endogena pertanto si ha equilibrio sul mercato della moneta quando: 𝑀 = 𝑘𝑌 − h𝑖. Supponendo che il tasso di cambio sia fisso, il tasso di interesse di IP coincide con il tasso estero: 𝑖 𝐼𝑃 = 𝑖 𝑊 → l'equazione di IP diventa 𝑖 = 𝑖 𝑊 .
Per calcolare l’equilibrio si risolve il sistema in maniera ricorsiva, si determina prima il tasso di interesse interno, che non può essere uguale al tasso internazionale. Quindi si determina il reddito sostituendo il tasso di interesse di equilibrio nella IS: 𝑌 *= β(𝐴 ̄ − 𝑏𝑖 𝑊 − 𝑥Ê) Infine si determina l’offerta di moneta di equilibrio sostituendo il tasso di interesse e il reddito: 𝑀 *= 𝑘β(𝐴 ̄ − 𝑥Ê) − (𝑘β𝑏 + h)𝑖 𝑊 . Graficamente: rappresentiamo per prima la IP, poi la IS e all’intersezione delle due leggiamo il livello di reddito di equilibrio. Scegliamo la LM che taglia la IS lungo la IP, che sarà parametrizzata alla quantità di moneta in equilibrio M*. L’equilibrio è rappresentato dal punto F=(Y*,𝑖 𝑊 ) di intersezione tra la retta LM, la IS e la IP. Caso1) Cambi fissi, aumento spesa pubblica => shock fiscale Un aumento di spesa pubblica si traduce in un aumento di uguale ammontare della spesa autonoma => un aumento della spesa autonoma ha effetti sul reddito di equilibrio. Il parametro β è il moltiplicatore della spesa pubblica in economia aperta e cambi fissi. Un aumento della spesa pubblica causa indirettamente un aumento della domanda di moneta dal momento che induce un aumento del reddito. Graficamente: Il punto di equilibrio iniziale è A, il livello di reddito di equilibrio è Y0 e la IS originaria è parametrizzata al livello G0 di
spesa pubblica. La IS subisce una traslazione verso l’alto.
La nuova IS(G1) interseca la LM originaria LM(M0), nel nuovo punto
di equilibrio B. In B sono aumentati sia il reddito che il tasso di interesse. Visto che il tasso di interesse si trova al di sopra del tasso internazionale si verifica un massiccio afflusso di capitali che induce un surplus nella bilancia dei pagamenti. Ne deriva una tendenza all’apprezzamento del tasso di cambio. Per mantenere fisso il tasso di cambio al livello prestabilito la banca centrale deve intervenire sul mercato dei cambi in acquisto di valuta estera e cede in cambio moneta nazionale. L’offerta di moneta aumenta da M0 a M1 e man mano che aumenta la LM si sposta verso il basso fino a intersecare la nuova IS lungo la IP nel punto C. Durante questo processo il tasso di interesse torna al livello originario. Non essendo variato il livello di tasso di interesse, né quello del tasso di cambio, non c’è spiazzamento. La domanda estera netta diminuisce per effetto dell’incremento del reddito. 45 Caso2) Cambi fissi, aumento quantità di moneta => shock monetario Consideriamo un aumento della quantità di moneta.
L'equilibrio iniziale è nel punto A, la LM originaria è parametrizzata
al livello M0. Supponiamo che la banca centrale attui una manovra
di politica monetaria volta ad accrescere la quantità di moneta
attraverso i canali interni di creazione di moneta.
La moneta aumenta da M0 a M1, la LM subisce una traslazione
verso il basso. La nuova LM è parametrizzata a M1, interseca la IS
nel nuovo punto di equilibrio B. Confrontando A con B notiamo che il tasso di interesse è diminuito mentre il reddito è aumentato.Poiché il tasso di interesse è sceso sotto al tasso internazionale si verifica un massiccio deflusso di capitali e la bilancia dei pagamenti registra un deficit. Deriva un deprezzamento del tasso di cambio che, per essere evitato, obbliga la banca centrale a intervenire sul mercato dei cambi vendendo valuta straniera e ritirando moneta attraverso il canale estero. La quantità di moneta diminuisce da M1 aM0. Man mano che la moneta diminuisce la LM si sposta verso l’alto fino a coincidere con la LM originaria. Durante questo processo il tasso di interesse aumenta e il reddito diminuisce. Alla fine del processo tutte le grandezze sono tornate nella posizione iniziale. Il tentativo della banca centrale di modificare l'offerta di moneta attraverso i canali interni risulta frustrato dall'impegno che la stessa ha preso di mantenere fisso il tasso di cambio.
Con questo esercizio di statica comparata abbiamo trovato conferma che in economia aperta e cambi fissi la quantità di moneta non può essere decisa discrezionalmente ed essere esogena al modello, essa deve essere trattata come una variabile endogena. ________________________________________________________________________________ Mercato del lavoro nel caso neoclassico Nel modello Keynesiano sul mercato del lavoro si presentano le famiglie che offrono un ammontare fisso di lavoro N ̄, che corrisponde all’offerta complessiva di lavoro e le imprese che hanno dei requisiti di occupazione, cioè per ogni livello di output che vogliono produrre, attraverso la funzione di produzione, derivano quanto lavoro è necessario alla produzione stessa e date le loro decisioni di produzione domandano sul mercato del lavoro tanto lavoro quanto è necessario per produrre quella quantità. Le quantità sono quelle di equilibrio macroeconomico, quindi una volta determinato quel livello di output, sul mercato del lavoro si determinerà una domanda di lavoro che è proporzionale a Y*, Inoltre si considera un salario reale dato. Nei modelli Keynesiani ipotizziamo che il livello di occupazione corrispondente all’equilibrio macroeconomico, cioè livello di output di equilibrio per il mercato dei beni e della moneta, sia inferiore rispetto al reddito di pieno impiego, il che implica che ci sia disoccupazione involontaria e persistente.
Questo modello Keynesiano è opposto al modello neoclassico, nel quale c’è assenza di qualsiasi tipo di frizione. Qui l’offerta di lavoro è data (N ̄) e la domanda di lavoro si ricava dalla condizione di primo ordine per la massimizzazione del profitto (max Π = 𝑃𝑌 − 𝑊𝑁), ossia dall'eguaglianza tra salario reale e produttività marginale del lavoro. Supponendo che la tecnologia sia rappresentata dalla funzione di produzione 𝑌 = radice𝑁, sostituendo ricaviamo la condizione di primo ordine (CPO): 46 La condizione di primo ordine dal punto di vista economico ci dice che si massimizza il profitto quando la produttività marginale del lavoro è uguale al salario reale.
Stiamo prendendo in considerazione un mercato del lavoro in cui i sindacati e le associazioni imprenditoriali sono assenti di modo che il salario nominale è determinato dall’intersezione tra domanda e offerta di lavoro. è rappresentata dalla curva decrescente sul piano (N, W/P). M. 2𝑁 Graficamente:
Rappresento la produttività marginale del lavoro, come una curva inclinata negativamente. L’impresa conosce la propria tecnologia e visto che è price taker prende come dati il livello dei prezzi e di salario, si calcola il salario reale Wo/Po e sceglie per questi in modo ottimale la quantità di lavoro: No rappresenta la domanda di lavoro associata al salario reale Wo/Po. Se prendo un salario reale maggiore: W1 > Wo e un livello dei prezzi maggiore: P1 > Po, il rapporto sarebbe W1/P1 > Wo/Po, dovrebbe rimassimizzare i profitti, questo implica che devo ridurre la domanda di lavoro, cioè la quantità ottimale di lavoro impiegato. La funzione di produttività marginale del lavoro (curva inclinata negativamente), rappresenta anche la domanda di lavoro (ottimale) per ogni livello del salario reale. Aggiungiamo al grafico l’offerta di lavoro N ̄, questa si rappresenta come una retta verticale solo perché abbiamo supposto che ciascun individuo che offre lavoro, offre tutta la quantità di lavoro che ha, indipendentemente dal salario, dunque non c’è sensibilità al salario reale dell’offerta di lavoro. L’equilibrio sul mercato del lavoro è rappresentato dal punto e di intersezione tra domanda e offerta di lavoro. Nella posizione di equilibrio, tutti coloro che vogliono lavorare al salario reale corrente trovano lavoro (non c’è disoccupazione involontaria), piena occupazione. L’ascissa di E è N ̄, mentre l’ordinata è il salario reale di piena occupazione che indicheremo con w* Quando il salario nominale e il livello dei prezzi sono flessibili, il salario reale converge sempre al livello di piena occupazione. Supponiamo che Wo/P1 > w cioè che il salario reale (rapporto tra salario nominale Wo e P1), sia superiore al salario di piena occupazione: In questo caso, come si vede dalla figura, ci sarà un eccesso di offerta di lavoro, pari al livello dei disoccupati: Uo = N ̄ - No.
Cosa succede se si crea un eccesso di offerta di lavoro in un mercato senza frizioni? - I disoccupati, pur di ottenere un posto di lavoro, si renderanno disponibili a lavorare a un salario nominale inferiore al salario nominale corrente Wo. - Gli occupati accetteranno un salario nominale inferiore pur di mantenere il posto di lavoro. Si metterà quindi in moto un processo di progressiva riduzione del salario nominale (e reale), evidenziato dalla freccia, che si arresterà solo quando il nuovo salario reale sarà uguale a quello di pieno impiego: W1/P1 = w*. Man mano che il salario nominale scende, infatti, la domanda di lavoro aumenta e l'eccesso di offerta si riduce. Simmetricamente, quando il salario reale corrente è inferiore al salario reale di piena occupazione, si ha un eccesso di domanda di lavoro che attiva un processo di aumento del salario nominale (e reale).
Tale processo si conclude solo quando il salario reale corrente eguaglia quello di piena occupazione. 47 Sostituendo e risolvendo per 𝑢 otteniamo il tasso di disoccupazione naturale Secondo la definizione di Friedman [1968], il tasso naturale di disoccupazione, è “quel livello di disoccupazione che risulterebbe dal sistema di equazioni dell’equilibrio Walrasiano, se in esse venissero inserite le caratteristiche strutturali effettive del mercato del lavoro e dei beni, comprese le imperfezioni del mercato". Nella figura abbiamo rappresentato l’equilibrio naturale del mercato del lavoro (punto En) mettendolo a confronto con quello di concorrenza perfetta (punto E). Quando il mercato del lavoro è in equilibrio naturale esiste disoccupazione involontaria dovuta alle frizioni (ossia allontanamenti dal benchmark di concorrenza perfetta) rilevanti per il mercato del lavoro. Nell'equilibrio naturale il salario reale è più basso di quello di piena occupazione in concorrenza perfetta e il tasso di disoccupazione è più alto. Possiamo rappresentare (in modo del tutto equivalente) l'equilibrio naturale anche sul piano (Y, W/P). Data la funzione di produzione lineare il tasso di disoccupazione é 𝑢 = 1 −Y/Y¯ . Dall'espressione precedente, è chiaro che quanto più alto è Y, relativamente a Y ̄, tanto più basso il tasso di disoccupazione e tanto più alto il salario reale richiesto dai sindacati. Possiamo riscrivere la WS come segue: Quando l'occupazione e la produzione sono pari a zero (e il tasso di disoccupazione è 1), il salario reale contrattato è pari al salario minimo. Man mano che il reddito aumenta, il tasso di disoccupazione scende, aumenta il potere contrattuale dei sindacati e il salario richiesto sale. Quando l'output si avvicina al PIL di pieno impiego, il tasso di disoccupazione si avvicina a zero e il salario richiesto tende ad infinito. La WS quindi si può rappresentare come una curva crescente sul piano (Y, W/P). La PS è rappresentata da una retta orizzontale sullo stesso piano. Ci sarà equilibrio naturale sul mercato del lavoro quando vale la condizione Sostituendo Otteniamo che PIL naturale (livello di PIL quando il tasso di disoccupazione è al suo livello naturale). Nel prosieguo indicheremo il PIL naturale anche con l’espressione PIL potenziale:è una funzione del PIL di piena occupazione.
Nella figura abbiamo rappresentato l'equilibrio naturale del mercato del lavoro (punto En) mettendolo a confronto con quello di concorrenza perfetta (punto E) sul piano (Y,W/P ). Se aumenta il salario minimo o i sussidi di disoccupazione abbiamo effetti di aumento del tasso di disoccupazione e una diminuzione del PIL potenziale. Aggiungi figura pagina 207 50 Capitolo 7: In questo capitolo costruiremo un modello macroeconomico chiamato IS-MP-PC che incorpora l’equilibrio naturale presentato nel capitolo precedente. Questo modello consente di determinare il reddito corrente e, mediante il confronto con il PIL potenziale, l’output gap. Quest’ultimo determina l’evoluzione nel tempo del tasso di inflazione. In questo modello troviamo la IS e la MP inserite in un contesto di prezzi flessibili: - La IS è una relazione di equilibrio per il mercato dei beni tra tasso di interesse reale e reddito. - La MP è la una regola di politica monetaria che consiste in un obiettivo di tasso di interesse reale per la banca centrale. - La PC si costruirà dalla curva di Philips ossia dalla relazione tra il tasso di inflazione salariale e il tasso di disoccupazione scoperta da Philips. Nel 1958, A.W. Phillips dimostrò l'esistenza di una relazione empirica decrescente tra tasso di disoccupazione e tasso di variazione percentuale dei salari nominali nel Regno Unito nel periodo 1861-1957. Tale relazione divenne nota come curva di Phillips, la quale può essere vista come un meccanismo di aggiustamento del salario nominale. La curva originariamente scoperta era non lineare ma noi per semplificazione considereremo una variante lineare. (1) Dove ∆W/W è il tasso di variazione percentuale del salario nominale o tasso di inflazione salariale. “ω¯" è un parametro positivo, “u” Tasso di disoccupazione, “un” tasso di disoccupazione naturale. Supponiamo che l'impresa produca mediante una funzione di produzione Y = nN dove n è la produttività del lavoro. Supponiamo che le imprese siano "poche" e che siano price maker. Come abbiamo visto nel Capitolo 6, la regola di fissazione del prezzo dà luogo al salario reale "offerto" dalle imprese ai lavoratori. Poiché la tecnologia è lineare, la scheda di Price Setting (PS) ha equazione:(2) Quando il mercato del lavoro è in equilibrio naturale, il PIL è al suo livello potenziale, l'occupazione è al suo livello naturale e il tasso di disoccupazione è pari al tasso naturale di disoccupazione. Secondo l'interpretazione della curva di Phillips, nell'equilibrio naturale il salario nominale non aumenta né diminuisce. Questo scenario è rappresentato dal punto En. - Se il mercato del lavoro è "lasco" (loose) abbiamo eccesso di offerta di lavoro: Nel punto A Il tasso di disoccupazione corrente u è u>un, pertanto il salario nominale diminuisce, infatti la curva di Phillips associa al tasso di disoccupazione uo il tasso di variazione percentuale del salario nominale (∆W /W)0 < 0. - se il mercato del lavoro è "teso" (tight), ossia se u < Un si ha sovraoccupazione ossia l’occupazione è superiore al livello naturale e il salario nominale aumenta: punto B. 51 Siccome il salario reale è costante (2), il livello dei prezzi è proporzionale al livello del salario nominale. Pertanto il tasso di variazione percentuale del livello dei prezzi deve essere uguale al tasso di variazione percentuale del salario nominale. Dimostriamo quanto appena detto: P = (1+𝝁)CLUP = (1+𝝁)*W/𝜼 = [(1+𝝁)/𝜼 ]* W Se W aumenta allora anche P aumenta della stessa misura: ∆P/P = ∆W/W Se - W0=10, (1+𝝁)/𝜼=3 allora P0=3*10=30 - W1=11, (1+𝝁)/𝜼=3 allora P1=3*11=33 => ∆W/W= (11-10)/10= 10% e ∆P/P= (33-30)/10= 10% D’ora in poi indicheremo con π il rapporto ∆P/P (anche ∆W/W=π) quindi ricaviamo che la curva di Philips diventa: π = -ω¯ (u - un) - Se il tasso di disoccupazione effettivo coincide con quello naturale, il tasso di inflazione è zero (livello prezzi costante): Punto En. - Se il tasso di disoccupazione è inferiore al tasso naturale, l'occupazione corrente è superiore all'occupazione naturale, il mercato del lavoro è "teso", il salario nominale aumenta e le imprese trasferiscono gli incrementi del salario nominale sul livello dei prezzi: punto B. Per questo l'ordinata di B è un tasso di inflazione positivo. - Se il tasso di disoccupazione è superiore al tasso naturale. Quando il livello dei prezzi diminuisce, ossia quando il tasso di variazione dei prezzi è negativo, siamo in presenza di deflazione: Punto A. La curva di Phillips con i π descrive un trade-off tra inflazione e disoccupazione perché, partendo da un livello del tasso di disoccupazione, come il tasso naturale, se le autorità vogliono ridurre il la disoccupazione devono accettare un aumento dell’inflazione, muovendosi verso B. Se, trovandosi in un punto come B, volessero ridurre l’inflazione, dovrebbero accettare un aumento della disoccupazione muovendosi verso En: ecco perché in origine la curva di Phillips era considerata un menu di politica economica a disposizione dei policy maker. La critica di Milton Friedman: Negli anni '60, si sviluppò un dibattito sulla natura e sulle implicazioni del trade-off tra inflazione e disoccupazione rappresentato dalla curva di Phillips. Nel corso del dibattito, Milton Friedman elaborò i principi fondamentali del monetarismo, un filone di letteratura macroeconomica che si contrappone alla sintesi neoclassica - Keynesiana. Friedman iniziò criticando la curva di Phillips perché riteneva che la curva di Phillips incorporasse un'ipotesi di illusione monetaria da parte dei lavoratori: Il tasso di crescita dei salari nominali, nella formulazione originaria della curva di Phillips, dipendeva solo dalla differenza tra tasso effettivo e naturale di disoccupazione. L’incremento dei prezzi non esercita alcun ruolo nella determinazione dei salari nominali: quindi i lavoratori soffrono di illusione monetaria perché non tengono conto, nel contrattare gli aumenti dei salari nominali, della perdita attesa di potere d'acquisto dovuta all'aumento dei prezzi. L’equazione iniziale della curva di Philips cioè l’equazione (1) ci dice che il tasso di variazione percentuale del salario nominale riflette esclusivamente la differenza tra il tasso di disoccupazione effettivo e quello naturale, ossia le condizioni del mercato del lavoro. Ipotizziamo di avere u0=2%, un=5%, ω=1 => allora il salario nominale aumenta del 3%: - se l’inflazione fosse zero allora i salari reali aumenterebbero del 3% - Se l’inflazione fosse 1% allora i salari reali aumenterebbero solo del 2% - se l’inflazione fosse 4% allora i salari reali diminuirebbero del 1% Queste considerazioni risultano assenti nella formulazione originaria della curva di Phillips, nella quale i lavoratori ignorano completamente il tasso di crescita dei prezzi nelle contrattazioni salariali e soffrono pertanto di illusione monetaria. L'ipotesi di illusione monetaria non si adatta alla realtà delle economie moderne in cui i lavoratori tengono conto, sia delle condizioni del mercato del lavoro che dell'inflazione attesa. Quanto più alto sarà il tasso di inflazione atteso, tanto maggiore sarà l’incremento salariale chiesto dai lavoratori. Miglioriamo quindi l’originale curva di Philips per giungere al modello migliorato da Friedman: 52 Disegnando questa relazione, si nota che: • In B il tasso di disoccupazione coincide con il tasso naturale (𝑢 = 𝑢 n), il tasso di inflazione corrente è uguale al tasso di inflazione del periodo precedente ossia l’inflazione è costante nel tempo π t = π t-1: ci si trova in una situazione di stato stazionario per il il tasso di inflazione quindi le aspettative sono corrette infatti π = π t = π t-1. Ciò significa che quando c’è equilibrio naturale sul mercato del lavoro, le aspettative sono realizzate e il tasso di inflazione è costante nel tempo. • In B’ il tasso di disoccupazione corrente è inferiore al tasso naturale, infatti il tasso di inflazione corrente è superiore a quello del periodo precedente (π t >π t-1) e pertanto gli operatori hanno commesso un errore di previsione sottovalutando l’inflazione. • In B’’ il tasso di disoccupazione è superiore al tasso naturale, infatti il tasso di inflazione corrente è inferiore a quello del periodo precedente (π t < π t-1) e gli operatori hanno commesso un errore di previsione sopravvalutando l’inflazione. Abbiamo visto che in B l’inflazione corrente è uguale a quella passata quindi il tasso di inflazione è stazionario in B. Questo non comporta però che i prezzi tra i due periodi siano rimasti inalterati e cioè costanti. Al contrario infatti la relazione π t = π t-1 indica che tra i due periodi è rimasto costante il tasso di crescita dei prezzi: Se π t-1 = 0,03 = 3% allora deduciamo che nel 2021, rispetto all’anno precedente 2020, il prezzo è aumentato del 3% ovvero P t-1 = P t-2 (1+0,03) Considerando ora il periodo corrente con π sempre al 3% deduciamo che nel 2022 rispetto al 2021 i prezzi sono aumentati del 3% quindi P t = P t-1 (1+0,03) = P t-2 (1+0,03)^2 . Consideriamo ora il seguente caso: Siamo ora nel 2022. Nell’anno passato (2021) cioè “t-1” l’inflazione era π t-1= 0,03 (3%) quindi la curva di Philips per il 2022 sarà basata sull’inflazione del 2021 e avrà equazione π t = π 2021 - ω¯(𝑢t= 𝑢n) cioè graficamente è la retta nera. Se nel 2022 il tasso di disoccupazione fosse u1< un allora il tasso di inflazione del 2022 sarà maggiore al 3%: la retta di Philips del 2023 avrà un’inflazione pari a πt=π2022 - ω¯(𝑢t- 𝑢n) rossa 55 Trasformiamo ora la curva di Philips aumentata con le aspettative statiche da una retta sul piano (u, π) dato π t-1 in una relazione del tutto equivalente sul piano (Y, π) dato π t-1 che indicheremo con la sigla PC (Philips curve): π t = π t-1 -ω¯ (𝑢t -𝑢n) dove: 𝑢t = ( N¯ - Nt ) / N¯ cioè popolazione attiva-forza lavoro occupata 𝑢𝑢n = ( N¯ - Nn ) / N¯ cioè popolazione attiva - livello occupazione che si realizza nell’equilibrio naturale ossia quando il tasso di occupazione è quello naturale. Sostituendo ricavo che Notiamo poi che da Y= 𝜼N ovvero dalla funzione di produzione ricaviamo N=1/𝜼 Y quindi: Nt = 1/𝜼 Yt Nn = 1/𝜼 Yn N¯ = 1/𝜼 Y¯ ottengo che: Ovvero 𝑢t - 𝑢n = ( Yn - Yt ) / Y¯. Sostituendo nella curva di Philips trovo che: => Curva di Philips aumentata con aspettative statiche su (π, Y) 56 - Nel grafico in alto a sinistra abbiamo la curva di Phillips aumentata con le aspettative statiche. Trattiamo il tasso di inflazione passato come un dato e supiniamo che esso sia positivo. - In basso a sinistra abbiamo la relazione decrescente che lega l'occupazione al tasso di disoccupazione. Dalla definizione di tasso di disoccupazione discende infatti la seguente relazione: N= (1 - u)N¯. - In basso a destra abbiamo la funzione inversa della funzione di produzione, ossia la funzione di fabbisogno di lavoro: N=Y/n. - in alto a destra, pertanto, si ottiene la retta PC. Vediamo ora come ricavarla. Quando il mercato del lavoro è nella posizione di equilibrio naturale, il PIL è al suo livello potenziale, l'occupazione è al livello naturale e il tasso di disoccupazione è pari al tasso naturale. In questo caso il tasso di inflazione corrente è uguale a quello passato (stato stazionario). Poiché abbiamo ipotizzato che il tasso di inflazione passato sia positivo, anche il tasso di inflazione corrente, nella posizione di equilibrio naturale, sarà positivo: πt = πt-1= π0 > O. Questo scenario è rappresentato dai punti En nella figura. Dato un punto come B sulla curva di Phillips, caratterizzato da un tasso di disoccupazione più basso del tasso di disoccupazione naturale, usando la relazione tra N, u e la funzione di produzione (grafici in basso) otteniamo un punto (che indichiamo sempre con B) sul piano (Y, π). Questo punto è caratterizzato da un output gap positivo e quindi da un tasso di inflazione corrente maggiore di quello passato: π1 >πo. In B quindi gli individui stanno compiendo un errore di previsione: l'inflazione attesa (pari all'inflazione passata) è minore dell'inflazione effettiva. Immaginiamo ora di prendere un altro punto sulla curva di Phillips, caratterizzato da un tasso di disoccupazione più alto del tasso naturale.A questo nuovo punto corrisponderebbe un livello di occupazione e di produzione inferiore a quello naturale. Otterremmo un nuovo punto sul piano (Y,π) caratterizzato da un output gap negativo e da un tasso di inflazione corrente minore di quello passato: Anche qui gli individui avrebbero fatto un errore di previsione: l'inflazione attesa è superiore all'inflazione effettiva. Supponendo di fare questo esercizio per tutti i punti della curva di Phillips, otteniamo una relazione crescente sul piano (Y, π) per un dato livello dell'inflazione passata πt-1. Possiamo quindi concepire la curva di Phillips come una scheda AS dinamica che si configura come una relazione crescente tra il tasso di inflazione e l'output. La variabile indipendente della AS dinamica è l'output ma la variabile dipendente è la variazione percentuale dei prezzi (l'inflazione) mentre nella AS statica la variabile dipendente è il livello dei prezzi. Inoltre, la PC è parametrizzata all'inflazione passata. 57 Sotto quali condizioni Y*=Yn? Sappiamo che Y*= 𝛼’(Ā’- b*r) dove r è il tasso di interesse reale che garantisce che il reddito di equilibrio macroeconomico sia uguale al reddito potenziale.
L’equilibrio naturale a prezzi costanti: Supponiamo che l'economia si trovi in una situazione di equilibrio naturale a prezzi costanti. Per caratterizzare questo equilibrio macroeconomico procediamo in due passi:
1. Definizione di tasso di interesse naturale: Il tasso di interesse naturale “ in ” è quel tasso d'interesse reale che genera un livello di domanda aggregata esattamente uguale al PIL naturale. Per definizione, quindi, dato il reddito naturale Yn il tasso di interesse naturale si ottiene risolvendo rispetto ad 𝑟 la seguente equazione: 𝑌 n = 𝛼'(𝐴 ̄' − 𝑏𝑟). => [7.16] Supponiamo che la banca centrale fissi il tasso di interesse reale al suo livello naturale. In questo caso la MP è: 𝑟 = 𝑟 𝑛 [7.17] Quando la banca centrale fissa il tasso obiettivo al livello naturale, per costruzione il PIL di equilibrio per i mercati dei beni e della moneta è pari al PIL naturale Yn. Ciò implica, secondo la generica PC, che il tasso di inflazione sia costante nel tempo: π t = π t-1.
2. Supponiamo che l'inflazione passata sia nulla: π 𝑡−1 = 0. Per ipotesi la PC nel periodo 0 ha quindi equazione π = 𝑤(𝑌 − 𝑌 𝑛 ). Poiché nella posizione di equilibrio naturale l'inflazione è stazionaria avremo: π *= π t-1 = 0. Ciò significa che in questo specifico stato stazionario il livello dei prezzi è costante. Se il sistema rimane per sempre in questa posizione, periodo dopo periodo l'equilibrio si riprodurrà con il PIL al livello potenziale e i prezzi stabili. Il tasso di interesse nominale, pertanto, coincide col tasso reale naturale. Effetti di uno shock da domanda Nella figura l'equilibrio naturale iniziale è rappresentato dai punti A. Data la spesa pubblica Go, e quindi la spesa autonoma A’o, la banca centrale fissa il tasso di interesse reale al livello naturale, che indichiamo con 𝑟0 , definito come segue: Di conseguenza, per costruzione il reddito determinato dal lato della domanda è Yo = Y (Go, ro) = Yn e l'inflazione è nulla, π0= 0 (si veda il punto A nel grafico in basso a sinistra della stessa figura). Il tasso di interesse nominale coincide col tasso reale naturale (si veda il punto A sulla retta a 45 gradi, che rappresenta la EF' in assenza di inflazione, nel grafico in alto a destra). Consideriamo gli effetti di uno shock da domanda, che potrebbe discendere, ad esempio, da una manovra di politica fiscale: Supponiamo che inizialmente l'economia si trovi in una posizione di equilibrio naturale con inflazione nulla (il punto A nel grafico in alto a sinistra).
Supponiamo ora che la spesa pubblica aumenti da Go a G1. Ricordiamo che
∆𝐴 ̄' = 𝐴 ̄' 1 − 𝐴 ̄' 0 = 𝐺 1 − 𝐺 0 = ∆𝐺 ̄. Perciò Il reddito di equilibrio aumenterà: diventando Y1 > Yn. Dalla forma ridotta del modello IS-MP-PC per il reddito, equazione [7.13], ricaviamo la conclusione che: ∆𝑌 *= 𝛼'∆𝐺 ̄ [7.18]
60 Poiché la condizione iniziale è un equilibrio naturale (a prezzi costanti), la variazione dell'output coincide con l'output gap, che pertanto diventa positivo. Si noti che il moltiplicatore della spesa pubblica coincide con quello del modello reddito-spesa. Questa conclusione discende banalmente dall'ipotesi di costanza del tasso di interesse. Dalla forma ridotta per l'inflazione, equazione [7.14], inferiamo π 1 −π 0 =π 1 − 0 = 𝑤 𝛼’ (𝐺1 −𝐺0) => ∆π *= 𝑤∆𝑌 *= 𝑤α'∆𝐺 ̄ [7.19] Poiché output gap diventa positivo, l'inflazione diventa anch'essa positiva. Notiamo che l'inflazione nel periodo 1 (dopo lo shock fiscale) coincide con la variazione dell'inflazione tra il periodo 0 e il periodo 1 poiché l'inflazione nel periodo 0 era, per ipotesi, nulla.
Infine, dalla forma ridotta per il tasso di interesse nominale, equazione [7.15], ricaviamo la seguente conclusione: 𝑖 1 − 𝑟 0 = 𝑤α'(𝐺1 − 𝐺0) ovvero ∆𝑖 *= ∆π *= 𝑤α'∆𝐺 ̄ [7.20] La [7.20] ci dice che la banca centrale deve aumentare il tasso di interesse nominale nella stessa misura dell'inflazione affinché il tasso di interesse reale rimanga costante.
Dalle equazioni precedenti ricaviamo la conclusione che, nel breve periodo, ossia data l'inflazione passata, un incremento della spesa pubblica provoca i seguenti effetti: (i) il reddito aumenta e l'output gap diventa positivo; (ii) si determina una variazione positiva del tasso di inflazione; (iii) la banca centrale è obbligata a seguire la dinamica dell'inflazione con stessa variazione del tasso d'interesse nominale se vuole mantenere costante il tasso di interesse reale. Dalla [7.19] ricaviamo la conclusione che la variazione dell'inflazione è costante (e pari a 𝑤α'∆𝐺 ̄). Ciò significa anche che gli individui commettono un errore di previsione positivo costante: sottostimano sistematicamente l'inflazione effettiva e sempre nella stessa misura. Infatti, gli individui si aspettano un tasso di inflazione nel periodo corrente - diciamo t- pari all'inflazione effettiva del periodo precedente (t-1). Ma l'inflazione in t è sempre maggiore dell'inflazione in t-1 e la differenza tra le due è costante.
Queste conclusioni sono illustrate nella Figura 7.6. Nel grafico in alto a sinistra la retta IS trasla verso l'alto. Si determina un nuovo equilibrio nel punto di intersezione B tra la nuova IS e la MP iniziale. Il reddito dopo lo shock è 𝑌 1 = 𝑌(𝐺 1 , 𝑟 0 ) > 𝑌 𝑛 e quindi la retta AD si sposta a destra nel grafico in basso a sinistra. Si determina un nuovo equilibrio nel punto di intersezione B tra la nuova AD e la retta PC iniziale. Infine, nel grafico in alto a destra la retta EF trasla verso destra di un ammontare pari all'inflazione. Si determina quindi un nuovo tasso di interesse nominale, ascissa del punto B lungo la nuova EF. Ma la storia non finisce qui: In questo modello teniamo conto del fatto che il tempo passa e gli individui rivedono le loro aspettative di inflazione. Supponiamo di trovarci nel periodo 1. Un osservatore il cui tempo presente è il periodo 1 si rende conto di aver commesso un errore di previsione perché si attendeva, per il periodo 1, un'inflazione pari all'inflazione passata (πe=π = 0) ma osserva π = 𝑤α'∆𝐺 ̄ > 0. Questo osservatore rivedrà verso l'alto le sue aspettative e si attenderà per Il periodo 2 il tasso di inflazione πe2= π1 = 𝑤α'∆𝐺 ̄. La PC quindi trasla verso l'alto tra il periodo 1 e il periodo 2 per effetto della revisione delle aspettative di inflazione. La PC del periodo 2 ha equazione π = π1 + 𝑤(Y − Yn). Nel periodo 2, però, il reddito continua ad essere Y1. Di conseguenza l'inflazione effettiva nel periodo 2 sarà pari a: π2 = π1 + 𝑤(𝑌 − 𝑌 𝑛 ) = 𝑤α'∆𝐺 ̄+𝑤α'∆𝐺 ̄= 2𝑤α'∆𝐺 ̄ Il tempo continua a passare, Supponiamo di trovarci nel periodo 3. L'inflazione passata è π 2 = 2𝑤α'∆𝐺 ̄. La PC quindi trasla verso l'alto tra il periodo 2 e il periodo 3. La PC del periodo 3 ha equazione π = π 2 + 𝑤(𝑌 − 𝑌 𝑛 ) mentre il reddito continua ad essere 𝑌 1 . 61 Di conseguenza l'inflazione nel periodo 3 sarà: π 3 = π 2 + 𝑤(𝑌 1 − 𝑌 𝑛 ) = 3𝑤α'∆𝐺 ̄ È del tutto ovvio che nei periodi successivi la storia si ripeta. => Lo shock fiscale espansivo mette in moto un processo cumulativo di aumento sistematico dell'inflazione a un ritmo costante (proporzionale all'output gap) che va avanti all’infinito. Man mano che l'inflazione aumenta, deve aumentare nella stessa misura il tasso di interesse nominale per mantenere costante il tasso di interesse reale al livello iniziale. Quanto al reddito, esso rimane ancorato al livello raggiunto dopo lo shock. Questa dinamica è illustrata nel grafico in basso a sinistra della Figura 7.6 in cui la PC continua a traslare verso l'alto per effetto della variazione dell'inflazione nel tempo (rappresentiamo solo tre tra gli infiniti punti di equilibrio tra AD e PC, indicati con B, Ce D). Il tasso di interesse nominale si aggiusta di conseguenza (si vedano i punti B, C e D lungo le EF associate ai diversi tassi di inflazione nel grafico in alto a destra della stessa figura). Lo shock fiscale dà vita a una spirale inflazionistica che conduce prima o poi a tassi di inflazione altissimi (iperinflazione). Può la banca centrale accettare un contesto macroeconomico che genera iperinflazione? Se così non fosse, cosa dovrebbe fare per interrompere la spirale inflazionistica? Se l’obiettivo della banca centrale fosse la stabilizzazione dell’inflazione, essa dovrebbe riportare l’economia all’equilibrio naturale. Per fare ciò la banca centrale deve portare il tasso d’interesse reale al livello del nuovo e più alto tasso naturale dopo l’aumento della spesa pubblica, ossia: Supponiamo che, nell’anno T = 3, la banca centrale accresca il tasso d’interesse reale da r0 a r1. Nel grafico in alto a sinistra la retta MP trasla verso l’alto. Si determina un nuovo equilibrio nel punto di intersezione E tra la IS dopo l’aumento della spesa pubblica e la nuova MP.
Il reddito diminuisce fino a 𝑌 𝑛 e quindi la retta di domanda aggregata si sposta a sinistra nel grafico inferiore della figura, tornando nella posizione iniziale, ossia al livello del reddito naturale. Infatti, per costruzione: 𝑌 𝑇 = 𝑌(𝐺 1 , 𝑟 1 ) = 𝑌(𝐺 0 , 𝑟 0 ) = 𝑌 𝑛 . Il punto E di intersezione tra la nuova domanda aggregata e la PC di equazione
π = π 3 + 𝑤(𝑌 − 𝑌 𝑛 ) nel grafico in basso a sinistra rappresenta il nuovo stato stazionario. Nei periodi successivi a T= 3, poiché l'economia è entrata in un nuovo stato stazionario, l'inflazione rimarrà pari a π 3 = 3𝑤α'∆𝐺 ̄. Infine, nel grafico in alto a destra la retta EF smette di spostarsi: da T= 3 in poi il tasso di interesse nominale sarà: 𝑖' 3 = 𝑟 1 + π 3 = 𝑟 1 + 3𝑤α'∆𝐺 ̄. Con un ragionamento simmetrico a quello condotto finora si giunge facilmente alla conclusione che una contrazione della spesa autonoma (ad esempio una riduzione di spesa pubblica, oppure una riduzione della componente autonoma dei consumi o degli investimenti) genera una spirale deflazionistica. La combinazione di collasso della domanda e spirale deflazionistica ha caratterizzato la Grande Depressione del 1929-1933 e si è manifestata (in forma decisamente più blanda) anche nella stagnazione-recessione con deflazione degli anni '90 in Giappone e nel corso della Grande Recessione del 2008-2009 negli USA e nell'Eurozona. Si tratta quindi di un pericolo reale che le economie di mercato corrono. La banca centrale può arrestare la dinamica deflazionistica riducendo il tasso di interesse reale obiettivo in misura appropriata. Ma c'è un limite alla capacità della banca centrale di eliminare la deflazione, che è costituito dallo Zero Lower Bound, ossia dalla soglia minima (zero) del tasso di interesse nominale. 62