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DISPENSA DI DIRITTO ECCLESIASTICO, Dispense di Diritto Ecclesiastico

Dispensa per FREQUENTANTI comprensiva di sbobine di ogni lezione dell'anno 2023/2024, con integrazione di capitoli del libro da fare per frequentanti--> voto: 30

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 23/05/2024

angelicaa13
angelicaa13 🇮🇹

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Scarica DISPENSA DI DIRITTO ECCLESIASTICO e più Dispense in PDF di Diritto Ecclesiastico solo su Docsity! Angelica Ricci Diritto ecclesiastico prof. A. Bettetini 2023/2024 LA COSTITUZIONE ITALIANA: LIBERTÀ RELIGIOSA E LAICITÀ DELLO STATO LA LIBERTÀ RELIGIOSA ISTITUZIONALE, LIBERTÀ RELIGIOSA INDIVIDUALE E LIBERTÀ RELIGIOSA COLLETTIVA Il diritto ecclesiastico NON è il diritto della Chiesa (che è il diritto canonico), ma è un diritto dello Stato o comunque di ordinamenti giuridici secolari laici nei riguardi del fenomeno religioso, inteso come diritto di libertà religiosa nei suoi vari profili e come rapporto tra l’uomo e la divinità. Ma perchè si chiama ecclesiastico? Perchè riguardava quel diritto dello stato che regolava i rapporti con la chiesa cattolica: si può quindi definire come il “diritto ecclesiastico dello Stato”. Attualmente il diritto ecclesiastico dello Stato non ha come unico interlocutore la Chiesa cattolica, sicuramente per motivi storici riguarda soprattutto la Chiesa cattolica ma non solo. Per comprendere il diritto ecclesiastico sono fondamentali due concetti: la libertà religiosa e la Costituzione. L'oggetto del diritto ecclesiastico è il diritto di libertà religiosa di cui all’Art 19 Cost nei suoi vari profili: ISTITUZIONALE, COLLETTIVO, INDIVIDUALE E ASSOCIATIVO (collettivo e associativo possono essere studiati assieme): ⛥ PROFILO ISTITUZIONALE: studia il rapporto dello Stato con le istituzioni religiose. C'è un rapporto equiordinato tra ordinamenti giuridici. La libertà religiosa istituzionale è tutelata da due articoli della nostra carta costituzionale. La prima libertà riconosciuta nel momento in cui l'Europa ha perso la sua unità politica è stata quella di religione, riassunta nel principio ora superato del cuius regio eius religio (i sudditi dovevano seguire la religione del sovrano, ma se si credeva in una diversa religione si poteva emigrare in altro Stato). Ma la libertà di religione viene tutelata attraverso molti altri articoli, come l’art. 3 (uguaglianza) o l’art. 21 (libertà di pensiero). La Corte Costituzionale ha enunciato il principio di laicità dello Stato per il bene dell'uomo e del Paese. La libertà religiosa istituzionale è tutelata dagli artt. 7 (rapporti tra Stato e Chiesa Cattolica) e 8 (rapporti tra Stato e confessioni diverse da quella cattolica) della Costituzione. Entrambi gli articoli sono caratterizzati da un principio di bilateralità, i rapporti sono gestiti da accordi tra Stato e le confessioni religiose. ⛥ PROFILO INDIVIDUALE: l'Art. 19 Cost. tutela la libertà di coscienza e religiosa dell’individuo, come singolo e nei gruppi informali, nelle sue differenti forme di libertà di “professare” una fede religiosa, dei “farne propaganda” e di “esercitarne in privato o in pubblico il culto”. ⛥ PROFILO COLLETTIVO (E ASSOCIATIVO): la libertà religiosa collettiva consiste nel diritto di professare e manifestare una fede religiosa anche in “forma associata” (Art 19) e il divieto di trattamenti discriminatorio degli enti ecclesiastici con fine di religione o di culto (Art 20).
 La variegata tutela della libertà religiosa comporta quindi la presenza di: 4 articoli che la riguardano esplicitamente (Art 7 sulle relazioni Stato-Chiesa cattolica; Art 8 sulle relazioni tra Stato e confessioni religiose, che tutela l’aspetto istituzionale di tale libertà; Art 19 sull’aspetto individuale della libertà religiosa; Art 20 sul divieto di limitazione legislative del carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto di un’associazione o un’istituzione) e 4 articoli che implicitamente ne richiamano la tutela (l’Art 2, l’Art 3, l’Art 117 che attribuisce potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di rapporti tra Stato e confessioni religiose e l’Art 21 sulla libertà di pensiero). Da ciò comprendiamo che è una libertà molto presente nel nostro ordinamento e risulta pienamente “vibrante”. LA LIBERTÀ RELIGIOSA ISTITUZIONALE: ART 7 COST 1 Angelica Ricci L’art 7 Cost regola in maniera specifica i rapporti fra Stato italiano e Chiesa cattolica, mentre l’art 8 cost, una volta ricordata l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose, ha ad oggetto e bene giuridico tutelato i rapporti del nostro ordinamento con le confessioni religiose diverse dalla cattolica. L’art 7 dispone che: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. Primo comma: Indipendenza e sovranità Il primo comma sembra è per così dire una norma statica, che prende atto del fatto che, nella medesima realtà territoriale insiste e convive una pluralità di ordinamenti giuridici (e non solo quello statuale), ognuno con il suo specifico ambito di competenze che attengono a diversi ambiti, quello religioso e quello politico. Inoltre sembra più programmatico che precettivo e ha un valore storico ed ermeneutico fondamentale, in quanto da esso rileviamo che lo stato italiano riconosce che la chiesa cattolica, oltre che INDIPENDENTE, è un ordinamento giuridico SOVRANO (superiorem non recognoscens). Lo Stato e la Chiesa sono degli ordinamenti giuridici indipendenti e sovrani, e come tali traggono da se stessi la propria autorità (potestas) e la propria legittimazione. Sul piano pratico, ne discendono la soggettività internazionale della Chiesa cattolica e la conseguente necessità dello stato di intrattenere relazioni e regolare i rapporti con essa ricorrendo a strumenti giuridici propri del diritto internazionale (relazioni diplomatiche, stipula di concordati ecc). Nel corso della storia però non sono stati adeguatamente definiti l’ambito spirituale e l’ambito politico: per effettuare questa distinzione bisogna risalire alle radici storiche del fenomeno religioso, cioè al CRISTIANESIMO: prima del cristianesimo non era chiara la distinzione tra potere politico e potere religioso, in quanto l’imperatore, titolare del potere politico, era allo stesso tempo sommo pontefice, titolare del potere religioso (cesaropapismo)—> vi era dunque un monismo, una coincidenza tra le due figure. La relativa distinzione avviene con il cristianesimo, che distingue la realtà spirituale dalla realtà politica, che si ravvisa in un brano del Vangelo, che recita: “date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio”. Alcuni ebrei chiedono a Cristo se fosse lecito pagare il tributo a Cesare. La domanda è insidiosa perché la risposta positiva avrebbe significato disconoscere l’autorità politica ebrea e accettare l’autorità politica romana. Gesù conoscendo la loro malizia chiese che gli fosse data una moneta e domandò chi vi fosse rappresentato. L’immagine era di Cesare, quindi Gesù rispose di dare a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio. Questa parole sorpresero molto gli ascoltatori, in quanto viene effettuata una distinzione molto chiara tra il mondo spirituale e quello politico: queste due realtà sono sì dipendenti, ma hanno dei punti di connessione. La legge di dio e la legge dell’uomo sono due leggi ottonome che non devono essere in contrasto tra di loro, ma nel caso di un contrasto deve prevalere la legge di Dio, che è inscritta nella coscienza della singola persona. Abbiamo quindi due leggi: di Dio e degli uomini, tra cui prevale la legge di Dio, e questo comporta che se l’autorità civile comanda qualcosa che è contraria al precetto religioso, nel caso di contrasto prevale quest’ultimo. Questo non significa disprezzo dell’autorità civile in quanto svolge una funzione essenziale, tuttavia l’obbedienza è dovuta nelle misure in cui il comando dell’autorità civile sia conforme al diritto divino. le due autorità devono sia obbedienza a Dio e alla legge divina. Altra forma di monismo era la TEOCRAZIA, secondo cui chi era a capo del potere spirituale era anche a capo del potere politico (es. nell’antico Israele, in cui i sommi sacerdoti esercitavano il potere politico sulla popolazione ebrea). Il documento che riafferma il dualismo cristiano e quindi la separazione tra potere temporale e spirituale è la LETTERA di papa GELASIO all’imperatore ANASTASIO del 404, fondamentale dal punto di vista dogmatico. Nel documento il papa afferma che le potestà che reggono questo mondo sono due: la sacra autorità dei vescovi e la potestà del re, delle quali tanto più grave è la responsabilità dei sacerdoti in quanto devono rendere conto anche dei re. Gelasio afferma che se nell’ordine delle cose pubbliche i vescovi riconoscono l’autorità data da Dio all’imperatore ed obbediscono alle sue leggi, anche l’autorità politica deve obbedire a coloro che sono incaricati di dispensare i sacri misteri. Questa idea di un dualismo cristiano era quindi ben presente nella comunità ecclesiale, anche se non manca di problemi in quanto quest’idea dualista molto spesso è stata travisata nel corso dei secoli assumendo la forma di un cesaropapismo o di un 2 Angelica Ricci Stato della città del Vaticano quale ente territoriale sovrano funzionale al suo organo di governo (la Santa Sede), ma afferma in modo esplicito "la sovranità della Santa sede internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua posizione e alle esigenze della sua missione nel mondo". POSIZIONI DEI CATTOLICI NELLE ELEZIONI E RAPPORTI CON I LIBERALI Nel 1909 il pontefice Pio X promosse la creazione dell’Unione Elettorale Cattolica Italiana, un’associazione con il compito di indirizzare i cattolici italiani impegnati in politica: furono eletti 21 deputati cattolici nelle liste dei liberali di Giolitti, ma la situazione mutò negli anni successivi in quanto nel 1912 fu approvata la riforma elettorale che introduceva il SUFFRAGIO UNIVERSALE MASCHILE, che non aumentò molto il numero degli elettori, che erano circa 3 milioni, in quanto si votava in base al censo (se ho i soldi posso essere eletto, altrimenti no). L’elettorato attivo era quindi molto ristretto. Con il suffragio universale TOTALE del 1946 si triplicò il numero degli elettori e il partito socialista riscuoteva numerosi consensi in quando molti elettori erano operai. Giolitti approvò la riforma perchè i socialisti appoggiarono gli operai durante la guerra e quindi il prezzo che Giolitti dovette pagare con i socialisti portò all’introduzione del suffragio universale. Giolitti quindi si rese conto della necessità di trovare consenso tra i moderati, principalmente tra i cattolici, che vantavano una grande presenza in Italia. cattolici e liberali stipularono un accordo, in base al quale i cattolici potevano partecipare alla vita politica ma come ELETTORI solamente se si impegnavano a votare o candidati cattolici o candidati liberali i quali sottoscrivevano un impegno in 7 punti (il Tettarum) con cui i candidati si impegnavano a difendere la scuola privata, il matrimonio come istituto indissolubile, l’istituzione religiosa in sè. Quindi, da un lato quindi i candidati dovevano sottoscrivere questo Tettarum, mentre i cattolici potevano votare solo quei soggetti che l’avevano sottoscritto. 228 dei 270 deputati vennero eletti grazie a elettori cattolici Quindi si verificò uno sviluppo dei rapporti tra potere politico e spirituale in quanto ufficialmente rimaneva il “non expedit” ma nella realtà era dispensato dal suffragio universale. IL PPC, RAPPORTI CON IL FASCISMO E LA STIPULA DEI PATTI Il “non expedit” verrà poi revocato da papa Benedetto XV nel 1919 dopo la prima guerra mondiale, e nello stesso periodo si darà vita a un partito di ispirazione cristiana: il partito popolare cattolico fu fondato da Luigi Sturzo, che nelle elezioni del 1919 ottenne il consenso elettorale. quindi, io cattolici ormai avevano una pluralità di partiti a cui votare: quello popolare e quello liberale nella misura in cui i candidati liberali si impegnavano a far proprio determinati valori cristiani. Il problemi iniziano quando dopo il 1922 il governo italiano fu affidato a Mussolini: alle elezioni il partito fascista ottiene la maggioranza assoluta e gli altri partiti vengono ridotti con le buone o con le cattive a un ruolo secondario. si giunse quindi a una vera e propria dittatura fascista. Mussolini si rese conto che avere un buon rapporto con la chiesa cattolica era un elemento necessario per il governo dell’Italia, in quanto la maggioranza degli italiani era cattolica, e assumere una posizione anticattolica (andando apertamente contro la Chiesa) avrebbe significato assumere una posizione antisociale. Mussolini dunque abbandonò ufficialmente la sua posizione anticattolica per essere più benevolo nei confronti della chiesa. nel 1926 iniziarono i primi rapporti diplomatici con la Santa Sede per poter giungere a un accordo che termina con la questione romana comportando una DEBELLATIO dello stato pontificio. Ricordiamo che dopo la conquista di Roma non si giunse mai a una pace con la Santa Sede e il governo italiano, ma si giunse a una DEBELLATIO, cioè una sconfitta bellica che non comporta nessuna pacificazione. Un eventuale accordo della chiesa con il governo le avrebbe permesso di condurre la sua missione spirituale in tutto il mondo, inoltre manteneva la sua autonomia da un lato, e dall’altro manteneva alcune prerogative dell’ordinamento internazionale come invio e ricevimento di ambasciatori (ruolo attivo e passivo). alla chiesa quindi conveniva stringere un accordo con lo stato italiano, accordo che non comportasse cedimenti eccessivi nei confronti dello stato italiano stesso. ci furono 3 anni di elaborazioni complesse e articolate fino a che nel 11/2/1929 si giunse alla stipula dei Patti Lateranensi (composti da un Trattato, un Concordato e una convenzione finanziaria), espressione della concordia tra lo stato italiano e la chiesa cattolica. il Trattato sostituiva il titolo I della legge delle guarentigie e il suo unto principale era la creazione dello STATO DELLA CITTÀ DEL VATICANO; invece attraverso la convenzione finanziaria lo stato 5 Angelica Ricci risarciva simbolicamente la chiesa cattolica dai danni subiti con la debellatio dello stato pontificio. La LEGGE 810/1929 ha reso esecutivo in Italia il Trattato e il Concordato fra la Santa Sede e l’Italia. in questo modo si giunse in maniera ufficiale a una risoluzione della c.d. questione romana. POLITICA CONCORDATARIA NEL XIX E XX SECOLO I Patti sono un esempio di una più ampia politica concordataria che ha segnato il XIX e XX secolo, tant’è che si parla di questo periodo storico con riferimento ai rapporti tra gli stati e la chiesa cattolica in Europa come periodo della coordinazione, o meglio sistema della coordinazione. siamo in Europa dopo la rivoluzione francese, che ha comportato una netta spaccatura tra la sfera politica e quella religiosa e l’affermazione di un sistema che prende il nome di SEPARATISMO, che in particolare in Francia è di contrapposizione/avversione: significa che lo Stato rivoluzionario francese percepisce la Chiesa e il fenomeno religioso come qualcosa da distruggere. questo fu dramma che segnò l’Europa nel periodo della conclusione del XVIII secolo e della rivoluzione francese. Superato questo dramma rivoluzionario si apre la stagione della coordinazione che segnerà tutto il XX secolo e si verificherà in forme diverse dei diversi paesi: il presupposto è che il potere politico e religioso sono INDIPENDENTI ed EQUIORDINATI, cioè l’uno non prevale sull’altro e viceversa, ma è indispensabile che entrambi scendano a patti partendo da una condizione di parità giuridica. i Concordati non nascono in questo periodo storico in quanto c’erano stati altri concordati come quello di Worms e altri di stampo giurisdizionalista, ma questi in realtà erano o modelli di risoluzione di specifiche controversie o modalità con cui lo stato controllava la chiesa. in questa fase storica invece ci troviamo davanti a uno strumento di pattuizione, cioè accordi su un piano di parità. Perchè la Chiesa e gli stati ricorrono a questo strumento concordatario? due punti di vista diversi: la CHIESA—> vede il Concordato come strumento di garanzia. dopo le vicende traumatiche della rivoluzione francese la chiesa era stata perseguitata, e quindi stipulare un concordato significa vedersi riconosciute e garantite le proprie libertà. gli STATI—> il motivo per cui gli stati decidono di stipulare Concordati VARIA rispetto al periodo storico a cui ci riferiamo, partendo dalla prima metà del XIX secolo e poi proseguendo per tutto il XX secolo - periodo dopo la caduta napoleonica: gli stati vedono nei concordati una delle tante occasioni con cui ristabilire un ordine che era stato rovesciato dalla rivoluzione francese, che era quello dell’ALLEANZA tra gli stati e la chiesa, che viene ricollocata al vertice insieme al sovrano della struttura sociale europea. - il 1900: si ha l’affermazione degli stati totalitari, che guardano a questo strumento come mezzo di consolidamento del proprio potere presso i ceti popolari. siccome la chiesa cattolica è un elemento fortemente identitario di un popolo, allora il regime realizza un accordo come strumento di consolidamento del proprio consenso: è questa specifica prospettiva in cui si inseriscono anche i Patti Lateranensi, stipulati sotto il regime fascista. POLITICA CONCORDATARIA TRA STATO-CHIESA-CONFESSIONI RELIGIOSE Dal punto di vista giuridico il sistema del Concordato, gli accordi e la coordinazione riguardano certamente il rapporto tra stati e chiesa ma anche i rapporti tra gli stati e le altre confessioni religiose in termini generali. noi abbiamo un ordinamento ancora basato sulla coordinazione con la chiesa cattolica, non esclusiva ma appunto che comprende anche le confessioni religiose (Art 7 e Art 8, nel quale si prevede lo strumento dell’INTESA che permette di realizzare lo stesso principio di coordinamento anche con gli altri enti religiosi). lo strumento del coordinamento riguarda storicamente sia la chiesa che le altre confessioni religiose con una differenza sostanziale di strumento giuridico: la Chiesa cattolica è l’unica confessione religiosa dotata di sovranità nazionale, e nei suoi confronti occorre utilizzare un peculiare strumento di coordinazione che non serve nei rapporti con le altre confessioni religiose (il Concordato). La chiesa cattolica, a seguito di tutte le sue vicende storiche diverse dalle altre confessioni, si trova ad oggi in una condizione giuridica tale a essere dotata di sovranità giuridica internazionale e questo è un dato innegabile, e grazie a ciò può regolare i rapporti con gli altri stati attraverso un strumento di valenza internazionale, il Concordato (che è proprio un Trattato internazionale). ogni volta che uno stato regola i suoi rapporti con altre confessioni religiose che non hanno sovranità nazionale devono usare strumenti come le INTESE e non i concordati. STRUTTURA DEI PATTI 6 Angelica Ricci I Patti comprendono: un Trattato (che ha valenza internazionale), un Concordato e una convenzione finanziaria. sono stati sottoscritti nell’11 febbraio 1929 in seguito a anni di trattative segrete e hanno posto fine alla questione romana che si era aperta nel 1870. in rappresentanza della Santa Sede c’era il cardinale di stato Pietro Gasparri, mentre in rappresentanza dello Stato italiano c’era Presidente del Consiglio dei Ministri, all’epoca Mussolini. quest’ultimo con la firma di questi accordi aveva un obiettivo ben preciso, cioè di utilizzare la chiesa cattolica e le sue strutture come strumento di consenso o di governo del territorio. viceversa la chiesa cattolica, di cui il pontefice era Achille Ratti (Pio XI), attraverso la firma dei patti vedeva un patto di alleanza ma finalizzato a garantirsi una libertà sia interna che internazionale di svolgere il proprio ministero, cioè il pontefice voleva uscire da questa situazione di reclusione e vedeva nei Patti la possibilità di riconquistare la propria libertà di azione sia nell’ambito nazionale che internazionale. Per quanto riguarda il contenuto dei tre documenti dei Patti: 1. il TRATTATO: ha una prospettiva internazionale in quanto dà vita al nuovo Stato, la Città del Vaticano, che è una piccola porzione territoriale all’interno di Roma che diventa uno stato indipendente sotto la sovranità esclusiva del romano pontefice, e vengono riconosciute tutte le prerogative internazionali del pontefice in quanto capo di stato come il diritto di legazione attiva e passiva, cioè il diritto di accreditare ambasciatori dello Stato della Chiesa (i nunzi apostolici) presso altri stati e ambasciatori di altri stati presso lo stato titolare del diritto. la chiesa cattolica è l’unica confessione religiosa che ha i suoi ambasciatori. questo diritto viene riaffermato e sancito nel trattato, in cui la chiesa dichiara il suo impegno a rimanere estranea alle contese tra i vari stati 2. la CONVENZIONE FINANZIARIA: si prevede un indennizzo economico non molto cospicuo alla Santa Sede per tutti i danni subiti, i territori e i beni espropriati a seguito della prese di Roma e delle debellatio dello stato pontificio. con la questione romana e le leggi eversive erano stati incamerati dallo stato italiano una serie di beni come il palazzo del Quirinale. 3. il CONCORDATO: è il documento più significativo dei 3 e disciplina la condizione giuridica della chiesa nel territorio italiano e la posizione generale dei cattolici nello stato italiano. viene introdotto il matrimonio concordatario, matrimonio con doppio valore canonico e civile, introdotti gli enti ecclesiastici, vengono affrontate tutte quelle materie “miste”, di comune interesse tra la chiesa e lo stato italiano. mentre il trattato e la convenzione finanziaria esauriscono i loro effetti dalla loro introduzione, il concordato invece verrà completamente riscritto nel 1984. Con la firma dei patti lateranensi è stata abrogata la legge delle guarentigie Art 7 Cost: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionaleLo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale” + Art 8 garantiscono la libertà religiosa istituzionale. il 7 regola in maniera specifica i rapporti tra lo stato italiano e la chiesa cattolica. il fatto che pare che ai costituenti abbiano voluto riservare una norma specifica alla chiesa cattolica non significa che si sia voluto accordare ala chiesa cattolica una particolare posizione di privilegio, ma i costituenti hanno preso atto che i rapporti con la confessione cattolica costituiscono un prisma, un particolare angolo il quale della disciplina delle istituzioni religiose nell’ordinamento italiano, anche per la chiesa cattolica non solo nell’ordinamento italiano ma anche nel mondo occidentale. la chiesa cattolica ha una particolare posizione anche nell’ambito della comunità internazionale. e infine, perchè il cattolicesimo è certamente il fenomeno confessionale socialmente più rilevante. NON privilegio ma la presa d’atto di tutti questi aspetti. ANALISI DELLA NORMA I. COMMA 1 II. “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. due aspetti importanti: lo stato italiano RICONOSCE che la chiesa cattolica nel proprio ordine è indipendente ma anche sovrana. con questa formula è sancita in tal modo la primarietà e l’originarietà dell’ordinamento giuridico della chiesa cattolica, ordinamento che è primario e originario non perchè queste caratteristiche derivano dal riconoscimento statale, ma in quanto è nato e sussiste oggi per forza propria, a prescindere dalla volontà e dall’intervento 7 Angelica Ricci - SECONDA: la corte può dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme contenute nei patti lateranensi ma a condizione che il parametro di legittimità che essa vorrà assumere al riferimento non siano le norme della carta costituzionale o le leggi costituzionali, ma i principi supremi dell’ordinamento costituzionale (la laicità dello Stato, la tutela giurisdizionale e l’inderogabile tutela dell’ordine pubblico) III. terzo comma: quante sono le possibilità di modificazione dei Patti? 2 1. modificazione con le legge ordinaria—> “le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”, possono quindi essere modificati con legge ordinaria SOLO se le modifiche sono accettare dalle due parti. 2. decisione unilaterale dello Stato—> nel caso di decisione unilaterale dello Stato occorre seguire un procedimento di revisione costituzionale (Art 138) LA LIBERTÀ RELIGIOSA ISTITUZIONALE (ART 8 COST) La norma l’Art 8 è suddiviso in 3 commi: il primo riguarda tutti le confessioni religiose, il secondo e il terzo quelle diverse dalla cattolica. I. PRIMO COMMA “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”. ma cosa si intende per confessioni religiose? quando il legislatore costituente hanno redatto l’Art 8.1 questo concetto era abbastanza chiaro, in quanto comprendeva delle confessioni diverse rispetto alla cattolica che in maniera politicamente poco corretta il legislatore con una legge chiamava “culti diversi rispetto al cattolico” o “culti di minoranza”, intendendo dei culti che da tempo avevano una loro istituzione in Italia (ortodossi, valdesi, luterani ecc). [a quel tempo non si parlava di musulmani: in un manuale del 1950 sul diritto ecclesiastico si diceva che aveva senso parlare di musulmani solo per poche persone viventi presso le ambasciate e i consolati. è evidente come la realtà sociologica del nostro paese è fortemente cambiata.] ora ci si chiede, alla luce dei flussi migratori e i cambiamenti sociali avvenuti in iItalia dal punto di vista religioso, cosa si intende per “confessioni religiose”, che è un concetto poco chiaro. abbiamo tante realtà istituzionalmente riconosciute e ben delineate come la comunità ebraica, le chiese valdesi o ortodosse o anglicane, ma allo stesso tempo altre realtà che non è chiaro se si tratti di comunità religiose o meno (i c.d. nuovi movimenti religiosi). possiamo distinguere tanti tipi di movimenti religiosi come: - quelli basati sulla Sacra scrittura che formano la maggioranza di quei movimenti che causano una grave preoccupazione pastorale in ambienti come quello americano - quelli che non derivano dal cristianesimo ma da altre religioni - quelli che hanno degli elementi sia propri del cristianesimo che di altre religioni e talvolta anche con ritorni a superstizioni tipiche del paganesimo - quelli di origine gnostica (salvezza attraverso la conoscenza). - quelli che offrono una via verso la salvezza attraverso la purificazione senza alcun rimando a una divinità. ci sono tanti concetti sociologici che rimandano a diverse confessioni religiose, ma ciò che fondamentale capire è il concetto giuridico e non sociologico. in realtà non c’è un concetto giuridico neanche della religione ma si danno per presunte delle conoscenze. nella Sentenza 195/1993 la Corte Costituzionale ha dettato alcuni PARAMETRI possibili per individuare un concetto giuridico di confessione religiosa: il problema concreto era la legittimità costituzionale e la possibile illegittimità costituzionale di una LEGGE REGIONALE abruzzese di FINANZIAMENTO all’EDILIZIA dei culti. questa legge prevedeva il finanziamento solamente alle confessioni religiose che avessero stipulato INTESE con lo stato italiano ai sensi dell’Art 8. la corte ha affermato che questa legge è incostituzionale nella parte in cui viene violato il principio di uguaglianza dell’Art 3 ma anche la libertà e uguaglianza giuridica dell’Art 8: infatti, negare un finanziamento solo perché una confessione religiosa non ha stipulato un’intesa con lo stato significa negare l’uguaglianza giuridica sancita a livello costituzionale dall’Art 8. chiarito questo principio di uguaglianza sostanziale, i giudici della Corte chiarirono che affinché un gruppo sociale possa godere dei finanziamenti deve essere REALMENTE una confessione religiosa—> 10 Angelica Ricci ma come si fa a capire se un gruppo sociale può considerarsi una confessione religiosa? considerando alcuni CRITERI indicativi non esaustivi delineati dagli stessi: • PRIMO (criterio tautologico): è confessione religiosa quel gruppo sociale che ha stipulato un’intesa con lo stato, ma allo stesso tempo lo stato non stipula un’intesa con un ente che NON SIA una confessione religiosa—> questione dubbia. ci potrebbero essere dei gruppi sociali che stipulano un’intesa con lo stato ma non sono confessioni religiose: il problema è comprendere se quell’ente o gruppo sociale che ha stipulato l’intesa è una confessione religiosa • SECONDO: che vi sia comunque un riconoscimento pubblico di quella confessione anche se non ha stipulato ancora l’intesa. si intende che lo stato deve riconoscere pubblicamente quell’ente come confessione religiosa attraverso un procedimento pubblico. criterio oggettivo. per riconoscimento pubblico si intende un riconoscimento di un gruppo sociale come con gli articoli della legge 2 e 3 della L. 1159/1929, la legge sui “culti ammessi nello stato”. quell’ente diviene persona giuridica con un d.P.R. e lo stato riconosce quell’ente come ente di culto ai sensi di questi articoli. l’ente che chiede il finanziamento deve aver avuto un riconoscimento pubblico come ente di culto ai sensi di questa legge. • TERZO: parametro dell’autoreferenzialità/autoqualificazione, cioè cosa dice la confessione religiosa DI SÈ STESSA. è un criterio delicato perchè affinchè la confessione sia tale il giudice o l’autorità amministrativa deve verificare gli statuti della confessione stessa, perchè se la confessione non si definisce essa stessa come religiosa automaticamente non possiamo definirla come religiosa. se un ente non vuole essere definito “di culto” non possiamo farlo noi, non possiamo cambiare la natura di un ente. questo criterio va inquadrato con l’effettività dell’attività svolta dall’ente stesso: l’ente che si qualifica come ente di culto deve essere sottoposto a un ACCERTAMENTO dell’autorità che verifica che l’ente stesso svolga un’attività effettivamente di culto. l’autoqualificazione quindi è un criterio importante ma non sufficiente in quando è integrato dall’accertamento dell’autorità. • QUARTO: è la comune considerazione, ossia come venga considerata quella determinata entità, se come confessione religiosa o no. la comune considerazione è quella che anche a livello sociale si ha di quell’ente. quali sono i criteri che qualificano l’attività dell’ente come attività di culto? spesso non è semplice definire che cosa sia la religione e cosa sia la confessione religiosa. Sentenza della Corte di Cassazione del 1997: “la mancanza nell’ordinamento del concetto di religione non è casuale ma ispirato alla complessità e alla polivalenza della nozione di essa e alla conseguenza della necessità di non limitare la libertà religiosa assicurata dalla normativa costituzionale”. il primo comma dell’Art 8 ricorda l’eguaglianza tra tutte le confessioni religiose, anche se non usa proprio il termine “eguale” perchè il legislatore parte dall’idea che le confessioni religiose non si considerano una uguale all’altra ma OGNUNA ha una sua SPECIFICA IDENTITÀ in senso sostanziale che l’Art 8 delinea come uguaglianza. vuol dire che da un lato non può essere riservato un trattamento identico l’una rispetto all’altra però le condizioni di partenza del loro rapporto con lo stato sono eguali per tutte. non ci può essere disparità di trattamento tra una confessione e l’altra, ma le basi di uguaglianza sono uguali per tutti. il fatto che una confessione abbia stipulato un’intesa NON significa che debba essere PREFERITA rispetto a un’altra confessione che non l’ha stipulata: tutte godono di intese di diritto. l’art 8.1 si riferisce anche a tutte le confessione religiose, anche quella cattolica. II. SECONDO COMMA “Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l'ordinamento giuridico italiano”. vediamo differenza tra i primi due commi: la chiesa cattolica è sempre stato un soggetto con presenza millenaria anche a livello internazionale e dotato di una sua sovranità generalmente riconosciuta in quanto gode di specifiche prerogative a livello nazionale e sovranazionale: è un ordinamento giuridico autonomo rispetto allo stato (Art 7.1 Cost). le altre confessioni invece non hanno una loro sovranità, non sono soggetti che hanno importanza sovranazionale ma sono organizzazioni socialmente organizzate con finalità di culto che non sono ordinamenti nè nazionali nè giuridici come la chiesa cattolica. hanno una propria regolamentazione normativa che però l’Art 8 delinea anche dal punto di vista tecnologico: parla di STATUTI, che sono un atto di normazione SECONDARIO e in quanto tale deve sottostare al principio di legittimità. le confessioni quindi si possono organizzare in statuti ma che non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. quindi anche le norme della chiesa cattolica non contrastano con l’ordinamento 11 Angelica Ricci italiano perchè sono due ordinamenti autonomi e distinti, mentre le altre confessioni che non sono ordinamenti sovrani si muovono all’interno dell’ordinamento giuridico dello stato con autonomia, e quindi devono rispettare questo principio. III. TERZO COMMA “I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze”. lo stato infine riconosce alle confessioni religiose la possibilità di avere dei rapporti con esso che sono regolati per legge obbligatoriamente con un’intesa, ma in realtà lo stato non è obbligato a farlo nè da una norma costituzionale nè dalla consuetudine: allora perchè lo fa? le motivazioni per cui si giunge a un sistema pattizio sono varie: • problema di UGUAGLIANZA nella legge—> motivo di imitazione costituzionale • problema di LEGISLAZIONE NEGOZIALE, una procedura tipica degli ordinamenti giuridici moderni rivolta a un gruppo sociale elaborata dallo stato in sintonia con quel gruppo sociale per non pervenire a una legislazione contraria agli interessi identitari dello stesso gruppo. ESEMPIO: in Italia è in continuo rinnovamento la disciplina del terzo settore, quegli enti che lavorano in attività di interesse generale e hanno uno statuto molto peculiare. non è stata realizzata unilateralmente da parte dello stato, ma solo dopo un lavoro di concertazione dello stato con altri enti che lavorano in ambiti come l’impresa sociale, ambito sanitario, educativo ecc. si negoziava il contenuto della legislazione negoziale, che non incide in quegli ambiti. lo stato ha tutto il diritto di emanare una legge unilaterale, tuttavia per rispettare l’identità di quella confessione religiosa e la sua libertà istituzionale, ha ritenuto opportuno che i rapporti con le confessioni venissero regolati da una legge che approvava un accordo tra lo stato e quel medesimo gruppo sociale definito come confessione. la norma sembra precettiva, cioè sembra IMPONGA alla confessioni religiose di stipulare intese con lo stato, ma in realtà la Sentenza 195/1993 (sul finanziamento all’edilizia dei culti) ricorda che non vi è nessun obbligo di stipulare intese per le confessioni e anche il diritto a essere trattati in maniera uguale per le confessioni che hanno stipulato un’intesa. Cosa si intende per intesa l’Art 8.3 è stato attuato tardi: la prima intesa è del 1984, 36 anni dopo la legge regionale abruzzese, stipulata con la Tavola Valdese. le intese NON SONO nè accordi di diritto internazionale a differenza dei Concordati (tutelati dalla cost con l’Art 7 ma anche 10 e 117 Cost. e come tali riconosciuti dall’ordinamento dello stato) nè atti interni dello stato perché le confessioni religiose hanno comunque una loro autonomia—> dunque possiamo dire che le intese sono atti NON INTERNI all’ordinamento italiano ma che sorgono in un ordinamento giuridico ESTERNO rispetto allo stato, che sorge ogniqualvolta la volontà dello stato e della confessione vengono ad accordarsi (c.d. ordinamento giuridico concordatario). le intese vengono approvate con una legge di approvazione, di cui l’intesa ne costituisce allo stesso tempo il presupposto di legittimità costituzionale ex Art 8 e il parametro di legittimità costituzionale: - presupposto: perché lo stato non può emanare un mondo unilaterale con legge che regoli i rapporti con un confessione (ciò sarebbe incostituzionale!) - parametro: perchè la legge di approvazione deve avere un contenuto che si discosta sostanzialmente della legge stessa. la legge di approvazione è leggermente diversa rispetto all’intesa, ossia non riporta alcune dichiarazioni unilaterali che i valdesi avevano riportato nell’intesa: dichiararono di rifiutare l’insegnamento religioso nelle scuole e questa dichiarazione fu riportata nell’accordo stesso come unilaterale. la legge di approvazione riporta l’accordo senza questa o altre dichiarazioni unilaterali. in questo caso si ha illegittimità costituzionale ma la prassi successiva, per evitare altri rischi di questo tipo, ha detto che le possibili dichiarazioni riportate dall’intesa debbano essere contenute tutte in un preambolo che NON forma parte integrante dell’intesa stessa. si parla di LEGGE DI APPROVAZIONE e non di esecuzione perchè “approvazione” sottolinea la non obbligatorietà, mentre “esecuzione” si riferisce ad atti che si applicano esternamente all’ordinamento giuridico. in questo caso abbiamo l’approvazione di un atto frutto di questa autonomia. si parla di legge di approvazione dell’intesa, che è fonte ATIPICA perchè c’è una riserva di legge: non può essere modificata unilateralmente dallo stato se non c’è un 12 Angelica Ricci fondamentale ribadita dalla Cassazione era che si parla di buon costume nel senso penalistico del termine, ossia la non contrarietà della manifestazione culturale all’onore e al pudore sessuale, tenendo presente che questi due concetti variano al variare della società. Situazioni che 20 anni fa erano considerate violazione di onore e pudore sessuale ora magari non lo sono (ex: Poligamia=reato anche previsto anche dal codice penale contro il buon costume; incesto= contrario al buon costume) , e invece altre situazioni che prima non erano considerate ora invece sono considerate violazioni di questo tipo. La non contrarietà all’onore e al pudore sessuale ha un trattamento giurisprudenziale particolare, nel senso che la giuri è unanime nel considerare in maniera forse paradossale e con un orientamento che Bettetini non condivide, che non è reato dichiarare un atteggiamento contrario al buon costume: ad ex se una confessione religiosa dicesse che il punto centrale dei loro riti è l’incesto o il matrimonio poligamico (i Mormoni), io posso liberamente predicare che per esercitare il mio culto devo praticare l’incesto. Il problema è che questo non è reato ma lo si trasforma nel momento cui dal penserò passo all’azione, cioè l’investo quanto tale viene praticato:in questo caso nel momento in cui il messaggio contrario al buon costume non si limita a rimanere nelle parole ma transita all’operatività, DIVENTA REATO. Negli anni però la Corte costituzionale è andata oltre questa accezione, solo penalistica è solo correlata alla sfera sessuale, ponendo il buon costume in relazione all'art 2 Cost e al "bene fondamentale" della dignità dell'uomo. Di tale linea interpretativa espansiva è doveroso tener conto anche con riferimento al contenuto dell'art 19 Cost, potendosi giudicare "contrari al buon costume" anche riti che, pur non intaccando la decenza e il pudore sessuale, risultano comunque lesivi della dignità umana e come tali sono avvertiti dall'intera collettività. Due profili di intervento della pubblica autorità nei confronti di chi esercita un culto mediante riti contrari al buon costume: • Questi interventi sono ammissibili solo quando vi sia l'effettivo e concreto compimento di un rito, non essendo sufficiente la predicazione o la promozione di pratiche che potenzialmente potrebbero incorrere nel limite di cui all'art 19 Cost • L'art 19 non legittima (a differenza dell'art 21 Cost) alcun genere di intervento preventivo che vieti il compimento di funzioni, cerimonie o pratiche religiose. Accanto a questo limite esplicito si ammette anche l'esistenza di alcuni limiti impliciti all'esercizio del diritto di libertà religiosa e delle facoltà che esso comporta, che possono derivare dalla ragionevole esigenza di tutelare in modo proporzionato altri diritti, interessi e valori di rango costituzionale (es: diritto alla vita, alla salute, il rispetto della legge penale, la libertà di manifestazione del pensiero ecc). Alcuni limiti: - ESERCIZIO DI ALTRI DIRITTI: da sempre la corte parla di necessità di bilanciare i diritti: libertà religiosa va bilanciata con libertà di pensiero; libertà di comunicazione o di pensiero con libertà della pubblica sicurezza. Tutti i vai diritti devono essere bilanciati tra di loro. diritto alla salute: alcune confessioni religiose come i testimoni di Geova rifiutano le trasfusioni di sangue mettendo a repentaglio il loro detto alla salute: ci si è chiesti se dal punto di vista costituzionale le parti possano rifiutare il loro diritto alla salute in nome della libertà religiosa—> la cassazione ha detto che se la persona è maggiorenne ha libertà di decidere, mentre se si tratta di un minore, nel caso di bilanciamento di diritti, ciò che prevale è la salute fisica del minore stesso. genitore non può privare i minore delle cure necessarie alla sua salute fisica anche se sono contrarie al suo credo religioso: l’autorità giudiziaria può obbligare il trattamento sanitario a favore della tutela fisica del minore. al maggiorenne invece non può essere imposta nessuna cura ancorché necessaria per la propria salvezza fisica. tutti i diritti, come in questo caso i diritto alla libertà religiosa, incontrano dei limiti (in questo caso: diritto alla salute contro diritto alla libertà religiosa) - LIMITI POSTI DAL DIRITTO PENALE: ci sono alcune norme del nostro codice penale che pongono in specifico rilievo la libertà religiosa, norme a tutela della libertà religiosa o a tutela delle confessioni religiose (anche se in realtà vedremo che non sono a tutela delle confessioni religiose in quanto tali ma a tutela della libertà religiosa del singolo) - PRINCIPI DI ORDINE PUBBLICO: in tutta la Costituzione non ricorre mai il termine “ordine pubblico” perchè, al momento della redazione del documento, ricordava troppo da vicino la legislazione nascita e al sua attuazione amministrativa. L’ordine pubblico in realtà esiste ed è uno dei principi costitutivi del nostro ordinamento, è ancora più a fondo e in cima rispetto alla gerarchia delle norme. L’ordine pubblico è un limite intrinseco alla libertà religiosa tanto che è un principio supremo dell’ordinamento. 15 Angelica Ricci È infine opportuno ricordare che l'art 19 riconosce, promuove e tutela non solo la libertà religiosa positiva, ma anche quella negativa, ovvero la libertà degli individui di NON CREDERE, di non aderire ad una confessione religiosa, di mostrare indifferenza verso l'ambito spirituale r di professarsi atei o agnostici. Tale libertà può essere esercitata in qualsiasi firme, individuale o associata, in privato o in pubblico, e può esprimersi anche mediante la propaganda della non credenza. Insomma, in ordine alla garanzia costituzionale della libertà religiosa individuale "credenti e non credenti si trovano esattamente sullo stesso piano" (sent. Corte cost 334/1996). Si lascia molta discrezionalità al giudice—> sentenza della Cassazione. Fattispecie: nella confessione religiosa dei RASTAFARIANI si presume che sia un atto di culto fumare l’hashish, perchè si ritiene che crescesse sulla tomba del re Salomone e quindi è un atto di culto fumarla e anche detenerne quantità superiore alla quantità prevista della legge. Un rastafariano era stato arrestato perchè deteneva quantità di erba superiore a quella normativamente prevista. La corte è intervenuta dicendo che il tribunale di merito aveva sbagliato e sentenza doveva essere annullata —> principio affamato: nel vantare la modica quantità, dovevano essere valutati non solo i parametri stabiliti precedentemente dal ministero ma anche la finalità per cui viene utilizzata tale quantità: nel caso concreto la finalità era di culto, che prevedeva un uso maggiore della quantità normativamente prevista. Il fattore religioso ha la sua specifica rilevanza in ragie dell’applicazione concreta delle norme del codice penale. LA LIBERTÀ RELIGIOSA COLLETTIVA: ART 20 COST Art 20 cost: “Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative, né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività” La norma tutela in maniera esplicita la libertà collettiva delle religioni, ossia la libertà degli enti esponenziali di confessioni e di altri enti religiosamente connotati di agire nel nostro ordinamento per perseguire le proprie finalità; nel contempo si è anche inteso porre un preciso limite alla possibile produzione di norme speciali peggiorative della condizione giuridica di tali enti, motivate solo dalla loro natura religiosa. Scopo dichiarato dai costituenti era di esplicitare l'incompatibilità tra il nuovo ordinamento repubblicano e leggi analoghe a quelle con cui si erano soppressi enti e incamerati beni della Chiesa cattolica. Si è sviluppato un certo dibattito dottrinale intorno al significato da attribuirsi alle singole espressioni di "carattere ecclesiastico", "fine di religione o di culto", "istituzione" e "associazione". Una doverosa lettura dell'art 20 in prospettiva pluralista impone di dilatare al massimo lo spettro soggettivo da esso garantito, fino a ricomprendervi qualsiasi ente che persegua un "fine di religione o di culto", a prescindere dal suo collegamento con un'organizzazione maggiore (confessione o chiesa), dal suo carattere o qualifica nell'ordinamento statale e dal tipo di modello organizzativo che lo contraddistingue (fondazione, associazione ecc ). Incontroversa è invece la natura dei provvedimenti VIETATI dall'art 20: oggetto del divieto costituzionale sono soltanto i provvedimenti di tipo restrittivo, limitativo o aggravanti, che colpiscano gli enti religiosi in maniera specifica e più sfavorevole rispetto a quanto previsto per i soggetti giuridici aventi fini diversi. La garanzia offerta dal divieto di provvedimenti discriminatori in peius copre qualunque ambito o settore di normazione, incluso quello "fiscale" e ogni aspetto o profilo della vita giuridica delle istituzioni e delle associazioni a carattere religioso. L'art 20 cost invece non preclude né un generale ed omogeneo assoggettamento a "limitazioni legislative" o "gravami fiscali" di tutte le associazioni o istituzioni, indipendentemente cioè dal fine che essere perseguono; né un eventuale trattamento di maggior favore degli enti a carattere ecclesiastico e con fine di religione o di culto che li avvantaggi rispetto a tutte le altre istituzioni o associazioni. Per essere legittimo tale trattamento di favore esige, tuttavia, il rigoroso rispetto di due condizioni: 1. La differenziazione di disciplina tra enti religiosi ed enti di diritto comune e deve rispondere a un criterio di RAGIONEVOLEZZA 2. Del regime di maggior favore devono potersi avvantaggiare in eguale misura tutti gli enti religiosi, senza che nessuna confessione si trovi in una posizione di privilegio rispetto alle alte (come impone il principio supremo dei laicità dello Stato). 16 Angelica Ricci La norma ci riporta il principio di uguaglianza sostanziale, affermando che l’ente religiosamente qualificato non può far sì che tale qualificazione dell’ente comporti un trattamento peggiorativo dell’ente stesso. i costituenti hanno redatto questo articolo in negativo per evitare che si potessero evitare situazioni come quelle che si verificarono nel 19esimo secolo come l’emanazione di leggi che avevano come oggetto l’espropriazione del patrimonio della chiesa per finanziare le guerre risorgimentali. Ci fu una legge che prevedeva che la persona giuridica non potesse godere di libertà contrattuale ma la sua attività negoziale era sottoposta al controllo dell’autorità governativa. gli unici acquisti sottratti al controllo dell’autorità governativa erano quelli a titolo oneroso di beni mobili: tutti gli altri acquisti di beni immobili a titolo oneroso o beni mobili e immobili a titolo gratuito erano sottoposti ad autorizzazioni governative. L’acquisto resta autorizzato dal prefetto. Questa legge è rimasta in vigore fino al 1997 quando sono state abrogati alcuni controlli dello stato sui diritti. lo stato sciolse la maggior parte degli enti religiosi incamerandone il relativo patrimonio—>furono emanate numerose leggi a riguardo. Un parrocchiano aveva donato a una chiesa una certa quantità di denaro e il rettore l’ha assunto: lo stato è intervenuto chiedendo la restituzione di questi beni perchè per quanto devoluta alla parrocchia l’ente proprietario aveva acquisito il dominio dominicale su quei beni. lo stato è quindi proprietario di chiese che sono state espropriate nel 19esimo secolo. la norma costituzionale voleva sottolineare la funzione storica, evitando che si verificassero casi di disuguaglianze come questa. si è discusso quando si è modificata la legge sul discorso delle persone giuridiche. Questo decreto presidenziale ha la forza di abrogare alcune norma del codice civile prevedendo una semplificazione del riconoscimento degli enti all’interno del registro delle persone giuridiche, ma escludendo da questo riconoscimento gli enti religiosi, provocando quindi una disparità di trattamento—> perchè gli enti di diritto comune possono essere riconosciuti come persone giuridiche mentre gli enti RELIGIOSI no? questa è una disuguaglianza che però trova una sua giustificazione formale: un regolamento presidenziale non ha la forza normativa sufficiente per abrogare una legge di rilevazione concordataria: non possono modificare unilateralmente un procedimento previsto dalla norma concordataria. vi è una disparità di trattamento giustificata dal fatto che il procedimento previsto per il riconoscimento per gli enti religiosi è previsto in via PATTIZIA che resiste passivamente all’abrogazione e alla deroga di una legge ordinaria. un regolamento non può quindi modificare questa legge. La norma quindi prevede il principi di uguaglianza sostanziale per TUTTI GLI ENTI delle confessioni religiose che si definiscono ecclesiastici: per gli enti di altre confessioni religiose che non si definiscano come “ecclesia” li definiamo come enti di ordine di religione o di culto. non ci può essere discriminazione nè ne riconoscimento civile dell’ente nè nella sua operatività e anche per quanto riguarda il trattamento fiscale dell’ente stesso. principio di uguaglianza sostanziale che riguarda gli enti religiosi. l’Art 20 quindi tutela la libertà collettiva la normativa degli enti religiosi ha diverse fonti: fonti concordate e dettate unilateralmente da parte dello stato. la principale fonte unilaterale in questo momento è la legge 1159/1929 per gli enti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica che non abbiano stipulato l’intesa. per tutte le altre il regime degli enti religiosamente qualificati è quello previsto da quella specifica intesa. lo stato inoltre ha dettato alcuni regolamenti di attuazione in maniera unilaterale delle leggi o di approvazione di intesa o del culto cattolico. per quanto riguarda il sistema di fonti esso è articolato: Art 20, nuovo concordato reso esecutivo con L. 121/1985 che a differenza di quello del non prevede una regolazione specifica degli enti religiosi ma solo una NORMA QUADRO, rinviando per la normazione specifica a un accordo specifico sugli enti religiosi da approvare anch’esso mediante legge. IL PRINCIPIO SUPREMO DI LAICITÀ DELLO STATO Alla luce delle norme costituzionali finora esaminate, appare chiaro che lo stato italiano NON È UNO STATO: - Confessionista, ossia con una religione ufficiale—> a ciò non osta solo il dettato costituzionale, che pone su un piano di uguaglianza sostanziale tutte le confessioni religiose e che tutela in eguale maniera la libertà religiosa di tutti, ma anche il n. 1 del Protocollo addizionale all'Accordo di modificazione del Concordato lateranense del 1984, che ha espressamente dichiarato non più in vigore il principio secondo cui la religione cattolica era la religione dello Stato. - Giurisdizionalista, ossia che rivendica un ruolo attivo di tutela e di controllo sugli interna corpora delle confessioni religiose. Infatti, pur riscontrandosi nell'ordinamento vigente istituti 17 Angelica Ricci la ratifica del protocollo che le ha approvate e la !!L. 20/5/1985 n. 222, che è detta Disposizioni sugli enti e i beni ecclesiastici e per il sostentamento del clero cattolico nel servizio delle diocesi. questa legge detta identiche norme rispetto alla legge 206/1985, ma differiscono formalmente solo per il fatto che la legge 222/1985 ha recepito nelle proprie formule le pochissime modificazioni delle parti contraenti avevano reputato di dover introdurre nelle disposizioni proposte dalla commissione paritetica: invece nella legge 206 queste disse devono essere coordinate con le notte di modifica collegate al protocollo di approvazione. la legge 222 è formalmente una legge ordinaria e unilaterale dello stato, ma per la sua entrata in vigore è stato previsto non solo una pubblicazione nella GU ma anche la sua pubblicazione negli acta apostolicae sedis ossia sugli atti ufficiali della chiesa. C’è una specialità di regime degli enti ecclesiastici, che ne differenzia la disciplina rispetto a un diritto comune delle persone giuridiche dettate dal codice civile. gli enti ecclesiastici sono riconosciuti come persone giuridiche aventi effetti civili nel rispetto delle loro caratteristiche originarie stabilite dalle norme del diritto canonico. non sono quindi applicabili agli enti ecclesiastici le norme dettate dal codice civile in tema di costituzione, struttura, amministrazione ed estinzione delle persone giuridiche private. resta esclusa la richiesta di requisiti ULTERIORI rispetto alla normativa che costituiscono oggetto di accettazione e valutazione ai fini del riconoscimento degli enti ecclesiastici nonché la richiesta di produzioni di documenti non attinenti ai requisiti medesimi. la specialità di regime copre non soltanto la struttura interna dell’ente e le sue tipiche attività di culto soggette all’autorità ecclesiastica ma anche le regole della sua amministrazione dettate dal diritto canonico, capacità negoziale dettata dai controlli canonici come anche riconosciuto dalla cassazione. Accanto alle fonti di derivazione bilaterale abbiamo anche fonti di diritto comune come normative e regolamenti, alcune volte in modo diretto o in via incidentale che riguardano la normativa sugli enti: il d.P.R. n. 33/1987 (modificato da un successivo d.P.R. del 1989)—>è importante perchè detta il regolamento di attuazione della L. 222/1985 d.P.R. 361/2000 sul riconoscimento della personalità giuridica agli enti privati d.lgs. 112 e 117 del 2017 che hanno riformato l’impresa sociale e introdotto nel nostro ordinamento il codice del terzo settore Abbiamo anche le NORME CANONICHE, alcune delle quali assumono una diretta rilevanza nell’ordine dello stato. ricordiamo: le delibere di una conferenza episcopale italiana n. 4, 6, 15, 20, 37, 38 della CEI adottate ed entrate in vigore DOPO la promulgazione del codice di diritto canonico del 1983 delibera n. 58 del testo unico in materia di sostentamento del credito delibera n. 57 della CEI relativa alla ripartizione e assegnazione delle norme derivanti dall’8x1000 !!istruzione in materia amministrativa della CEI del 30/5/2005 approvata dalla sua assemblea generale e promulgata a settembre del 2005 attraverso la pubblicazione del notiziario della CEI FORME DI RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI ECCLESIASTICI Ci sono diverse modalità di riconoscimento degli enti ecclesiastici: la modalità ORDINARIA è quella per decreto (c.d. riconoscimento per decreto), mentre ci sono anche delle forme PARTICOLARI di riconoscimento che sono: - riconoscimento per antico possesso di stato - riconoscimento per legge - riconoscimento abbreviato per determinate categorie di enti della chiesa cattolica MODALITÀ ORDINARIA PER DECRETO La disciplina di questa modalità si evince dal comminato disposto dai commi 1 e 2 dell’Art 7 dell’accordo di revisione concordataria e dagli artt 1-113 della L. 222/1985. oltre a queste, queste norme vanno integrate anche dalle norme di diritto comune a cui si fa rinvio. quali sono i requisiti che la P.A. dovrà accertare ai fini del conferimento della personalità giuridica civile dell’ente ecclesiastico (che costituisce la finalità del procedimento di riconoscimento)? alcuni sono 20 Angelica Ricci specifici per determinate categorie di enti, mentre altri sono generali e comuni a tutte le entità che si tratta di riconoscere, che sussistono per TUTTI GLI ENTI. essi sono 4: 1. l’erezione o approvazione da parte dell’autorità ecclesiastica 2. l’assenso dell’autorità ecclesiastica al riconoscimento civile 3. la sede dell’ente in Italia 4. il fine di religione o di culto! (i PRIMI DUE sono di ordine canonico, mentre gli ULTIMI DUE sono di natura civile) • PRIMO REQUISITO dall’Art 7 secondo comma dell’accordo di revisione e Art 1 L. 222. si evince che si richiede l’erezione o approvazione al riconoscimento della personalità giuridica civile da parte dell’autorità ecclesiastica. questo requisito prova un COLLEGAMENTO ORGANICO tra l’ente e l’autorità ecclesiastica, al fine di scongiurare il riconoscimento come ente ecclesiastico di un ente che di ecclesiale abbia ben poco. si può dunque dire che nel nostro d’ordinamento possono esserci enti riconosciuti che la chiesa stessa considera PROPRI, avendogli preliminarmente concesso la personalità giuridica canonica o un’altra forma di approvazione formale. possono essere riconosciuti SOLO quegli enti che la chiesa considera propri • SECONDO REQUISITO il comminato dell’Art 7.2 dell’accordo di revisione e dell’Art 3 L. 222/1985 stabilisce come secondo requisito per il riconoscimento civile dell’ente ecclesiastico che la domanda di riconoscimento deve essere introdotta dall’autorità ecclesiastica o con il suo assenso. l’atto di ASSENSO, che può essere allegato alla domanda di riconoscimento o posto in calce ad essa, esprime come per il primo requisito un COLLEGAMENTO ORGANICO dell’ente con l’ordinamento della chiesa cattolica (i primi due requisiti hanno la stessa ratio), collegamento che sussiste quando l’autorità ecclesiastica non si limita a dare il suo assenso al riconoscimento ma è essa stessa che promuove il procedimento amministrativo. questo consente all’autorità governativa prende conoscenza di quale sia l’autorità ecclesiastica che ha la giurisdizione sull’ente ecclesiastico DA RICONOSCERE e, l’autorità ecclesiastica riceve dall’autorità governativa un’esplicita conferma che l’ente che possiede i requisiti generali come anche quelli specifici. l’autorità ecclesiastica è la stessa che aveva legittimamente conferito la personalità canonica all’ente o quella da cui l’ente ecclesiastico dipende alla data della presentazione della domanda di riconoscimento, nel caso in cui all’erezione è intervenuta una causa che ha trasferito legittimamente l’ente o la sua sede sotto la giurisdizione di un’altra autorità ecclesiastica. il vescovo diocesano, nel rilasciare l’assenso, deve dichiarare all’autorità governativa la propria competenza per quanto riguarda la tutela e la vigilanza sull’ente ecclesiastico: per questo motivo, anche quando spetta alla santa sede dare un ulteriore assenso, non può mancare quello del vescovo se si tratta da enti che dipendono da lui, e ciò anche per determinare l’autorità competente ad attuare eventuali modifiche allo statuto dell’ente. • TERZO REQUISITO si è voluto ribadire il carattere di NAZIONALITÀ degli enti ecclesiastici ma la determinazione della sede serve anche per individuare l’autorità prefettizia competente a ricevere la domanda di riconoscimento dell’ente di cui all’Art 3 L. 222/1985 [la domanda di riconoscimento va consegnata al perfetto territorialmente competente o all’ufficio di governo]. per gli enti ecclesiastici CON SEDE ALL’ESTERO, se riconosciuti nello stato estero dove hanno la sede, a condizione di reciprocità, hanno in Italia lo status di PERSONA GIURIDICA ex Art 16 delle Preleggi: in tali ipotesi essi agiscono sul nostro territorio come persone giuridiche private straniere senza poteri e oneri dei enti ecclesiastici riconosciuti. l’Art 25 L. 218/1995 specifica che tali enti, disciplinati alla legge dello stato nel cui territorio è stato perfezionato il riconoscimento, sono soggetti alla legge italiana sue la sede dell’amministrazione o l’oggetto dell’attività principale siano in Italia • QUARTO REQUISITO è il requisito più importante tra i 4, e richiede che l’ente persegua un fine di religione o di culto, costitutivo o essenziale. l’ordinamento non enuncia solo un principio ma attribuisce a questa affermazione uno specifico CONTENUTO. DOMANDA ESAME: c’è una norma dell’ordinamento che ci dice quali sono i casi di religione o di culto?—> Art 16 della L. 222/1985, che si compone di due lettere, la lettera A (che elenca le attività di religione o di culto) e la lettera B (che elenca le attività diverse) 21 Angelica Ricci “Agli effetti delle leggi civili si considerano comunque: - a) attività di religione o di culto quelle dirette all'esercizio del culto e alla cura delle anime, alla formazione del clero e dei religiosi, a scopi missionari, alla catechesi, all'educazione cristiana; - b) attività diverse da quelle di religione o di culto quelle di assistenza e beneficenza, istruzione, educazione e cultura e, in ogni caso, le attività commerciali o a scopo di lucro” posso riconoscere un ente che si occupa in via essenziale costitutiva di opere dirette alla catechesi? SI perchè così lo dispone l’Art 16 nella lettera A. Da un lato la disciplina pattizia prevede che il fine di religione o di culto si presuma per alcune categorie di enti specificamente individuati: enti che fanno parte della costituzione gerarchica della chiesa (diocesi e parrocchie), istituti religiosi e seminari. differenza: per verificata l’appartenenza di un ente canonico a una di queste categorie il riconoscimento civile è un atto dovuto. Dall’altro essa prevede che per tutti gli altri soggetti per cui NON VI È PRESUNZIONE il fine di religione o di culto deve essere verificato di volta in volta in forza dell’Art 16 L. 222/1985. in base all’Art 1 di questa stessa legge gli enti approvati dall’autorità ecclesiastica possono essere riconosciuti come persone giuridiche: se la leggessimo male potremmo pensare che il riconoscimento statale abbia un carattere discrezionale, ma questa cosa è vera soltanto in parte perchè la valutazione della convenienza dell’ente che l’amministrazione ve fare nei confronti dell’interesse pubblico è assai limitata. considerando l’accordo, la determinazione iniziale che dà avvio al riconoscimento è rimessa esclusivamente alla chiesa. i criteri sono senz’altro oggettivi, e ciò permette un più agevole controllo di legittimità sostanziale in caso di rifiuto dell’amministrazione. in questo senso possiamo dire che il riconoscimento civile è un atto dovuto dallo stato a tutti gli antiche soddisfano i requisiti di cui all’Art 7.2 dell’accordo di revisione. la decisone dell’amministrazione appare vincolata per quanto concerna l verifica dei primi due requisiti, viceversa dispone di un certo margine di discrezionalità nel verificare gli ultimi due requisiti, dovendo valutare che l’attività che l’ente svolge effettivamente coincida con le attività elencate dall’Art 16 L. 222/1985 (principio di effettività). queste attività devono. essere costitutive ed essenziali nella configurazione teleologica dell’ente, anche se sono connesse a finalità di carattere caritativo previste dall’ordinamento canonico: il legislatore non esclude che l’ente possa svolgere anche attività DIVERSE da quelle religiose, anzi la legge lo prevede espressamente, a condizione che queste attività NON abbiano natura almeno qualitativamente prevalente rispetto a quelle indicate dall’Art 16 della legge ma siano connesse con quelle della lettera A e siano compatibili con l’attività dell’ente. l’attività diversa da quella religiosa NON DEVE PREVALERE rispetto a quella religiosa. l’ente ecclesiastico deve documentare in modo opportuno di soddisfare il quarto requisito, indicando i propri scopi nella domanda di riconoscimento; l’amministrazione invece può richiedere all’ente un’integrazione della documentazione o procedere a una specifica attività istruttoria Trattiamo gli enti della chiesa cattolica perché: • è più facile imbattersi in un ente della chiesa cattolica che di uno di un’altra confessione religiosa. • Anche perché regime delle altre confessioni è plasmato prendendo a modello il regime degli enti della chiesa cattolica
 I requisiti per il riconoscimento degli enti ecclesiastici Resta un altro requisito, quello del PATRIMONIO DELL’ENTE
 Perché tra i requisiti del riconoscimento dell’ente ecclesiastico legge 222 o 206 come art 7 dell’accordo di villa Madama non richiedano la sufficienza patrimoniale dell’ente stesso, che abbia patrimonio sufficiente al raggiungimento dello scopo, necessario invece per enti di diritto comune
 Patrimonio congruente con finalità dell'ente stesso, altrimenti non può essere riconosciuto
 Per gli enti della chiesa cattolica invece tale requisito non è necessario in linea generale, per alcune categorie è richiesto, non è necessario per un’unica motivazione:
 → motivazione di fondo, che si concretizza in una motivazione più tecnica
 Motivazione di fondo, finalità di un ente ecclesiastico è una finalità religiosa, e stato per principio di laicità ritiene di non essere competente a valutare se patrimonio è sufficiente per la finalità, oltre competenze dello stato stesso, stato si reputa non competente a giudicare se patrimonio sufficiente a una finalità di culto spirituale oltre le finalità proprie dello stato
 Inoltre questo non vuol dire che li stato abdichi da ogni controllo sulla congruenza patrimoniale 22 Angelica Ricci il caso del riconoscimento della personalità giuridica di diritto civile agli enti cattolici.
 La legge da un lato richiede il parere del consiglio di stato, dall’altro la legge 127/1987, tale parere non è più obbligatorio, si ripropone qualche dubbio
 Può questa legge abrogare una legge di derivazione concordataria come la 222/1985.
 Legge 127 Non può in realtà modificare la legge 222/1985, gode di resistenza passiva all’abrogazione pari a norme costituzionali e non può essere abrogata da norma della legge ordinaria. Teoricamente agli enti ecclesiastici rimane in vigore obbligatorietà del parere del consiglio di stato
 Anche in questo caso Santa Sede e stato italiano anche in questa sede hanno raggiunto un accordo in via diplomatica in base al quale sono giunti a stabilire che il parere del consiglio di stato non è più obbligatorio. Nonostante sia normativamente previsto nella realtà non è obbligatorio ma meramente facoltativo. Se la situazione è complessa le parti possono chiedere ausilio di un parere del consiglio di stato, ma ricorso facoltativo all’organo supremo di giustizia ministeriale
 Parere formalmente obbligatorio diventa parere facoltativo. Ovviamente non vincolante
 Ci si può discostare dal parere del consiglio di stato motivandolo La legge 13/1991 prevede un possibile passaggio di competenza, legge che ha modificato competenze del PR nel senso che numerosi atti di sua competenza sono trasferiti ai ministri proponenti, per enti ecclesiastici al ministro degli interni
 Per via diplomatica si sia deciso che parere del consiglio di stato è facoltativo, nei casi in cui si ritenga necessario, casi considerati complessi. Qualora il consiglio di stato emetta un parere negativo, e il ministro dell’interno intenda comunque discostarsi e concedere personalità giuridica deve trasmettere il procedimento alla presidenza del consiglio.
 Nel caso di parere negativo del consiglio di stato ma il ministro dell’interno vuole concedere comunque personalità giuridica civile all’ente canonico, il ministro dell’interno perde a sua volta competenza propria, e questa competenza viene acquisita ora dalla PRESIDENZA DEL CONSIGLIO. → Cambia organo competente, e diviene il presidente del consiglio
 La competenza che ordinariamente era prevista per il PR per emanare decreto, ora tale competenza transitata al ministro dell’interno, prima proponente ora decidente, c’è ipotesi in cui passa al presidente del consiglio, nel caso in cui il ministro dell’interno, richiesto parere del consiglio di stato intenda discostarsi dal parere espresso.
 In questo caso competenza è del presidente del consiglio dei ministri in quanto organo collegiale.
 Abbiamo anche questa ipotesi, modificazione competenze formalmente non visibile, norma di legge non modifica, tuttavia modifica che avviene con procedimento diplomatico, modifica delle competenze. Competenza a emanare atto ora è del ministro degli interni. Come avviene la procedura di riconoscimento? Domanda di riconoscimento è diretta al ministro dell’interno ed è presentata alla prefettura in cui l’ente ha sede, la quale legge e analizza la pratica inviandola poi al ministro. La prefettura in quanto organo periferico del ministro dell’interno.
 Alla domanda, richiesta dell’autorità ecclesiastica deve essere indicata denominazione ente, sede dell’ente, natura, fini, anche suo rappresentante, e alcuni documenti che attestino sussistenza di requisiti necessari al riconoscimento della persona giuridica, provvedimento canonico mediante cui è stato approvato o eretto ente nell’ordinamento della chiesa, statuti dell’ente da cui risultano le sue finalità (culto o religione, art 16 legge 222/1985), atto di assenso dell’autorità ecclesiastica a presentare riconoscimento dell’ente all’ordinamento civile, a meno che non sia stessa autorità ecclesiastica che presenta istanza di riconoscimento, in quel caso assenso si dà per implicito presupposto. Una volta presentata documentazione, il prefetto istruisce la pratica e la trasmette al ministro dell’interno Come si è detto, ci sono alcune categorie di enti per cui fine di culto o religione si considerava in un certo senso implicito all’ente stesso, si presumeva iuris et de iure il possesso di questo fine e non andava dimostrato per via documentale: enti che appartengono alla costituzione gerarchica della chiesa, istituti religiosi, e seminari. Per queste tre categorie di enti, che appartengono alla: • Costituzione gerarchica della chiesa (parrocchie diocesi), • Istituti religiosi (domenicani, salesiani, gesuiti) • e per i seminari (centri di formazione di futuri sacerdoti) qui il fine di culto o di religione si presume iuris et de iure, che un ente che fa parte della costituzione gerarchica della chiesa abbia un fine essenziale di questo genere e così via per le 25 Angelica Ricci altre due categorie. Per questi enti il fine di culto è presunto. 
 Una volta trasmessa la domanda al prefetto competente, con i documenti, trasmessa al ministro dell’interno, il ministro decide: 1. Fase di introduzione del procedimento 2. Comincia la fase istruttoria, 3. e una fase decisoria, competenza del PR passa al ministro dell’interno. 
 Ministro dell’interno che decide positivamente o negativamente. In ogni caso, sia in caso di risposta positiva o negativa, il decreto del ministro dell’interno è comunicato sia al rappresentante dell’ente, sia all’autorità ecclesiastica competente, che ha chiesto il riconoscimento dell’ente o della commissione. Decreto del ministro dell’interno può essere: DI RIGETTO = parti possono chiedere, ricorrere al ministro dell’interno DI ACCOGLIMENTO = l’ente stesso acquista dalla data di emanazione del decreto la qualifica di ente ecclesiastico civilmente riconosciuto. Ne implica la qualifica.
 Il rappresentante dell’ente ha poi l'onere di iscrivere nel registro delle persone giuridiche il decreto di riconoscimento della persona giuridica di diritto civile.
 Iscrizione che ha una FUNZIONE DICHIARATIVA, mentre per gli enti di diritto comune, iscrizione nel registro è costitutiva, ente acquista personalità giuridica con iscrizione nel registro, per gli enti della chiesa cattolica, o di confessione diversa, non è costitutiva, è costitutivo il decreto ministeriale, attributivo della personalità giuridica di diritto civile.
 Nel nostro non abbiamo iscrizione nel registro delle persone giuridiche costitutivo, ma meramente dichiarativo, pubblicitario, per rendere noto a terzi che l’ente è persona giuridica, e caratteristiche e qualità dell’ente col deposito.
 Dal momento del decreto ente acquista qualifica di ENTE ECCLESIASTICO CIVILMENTE RICONOSCIUTO.
 La personalità giuridica dell’ente si presume la continuità nel tempo dell’ente stesso, non a limite
 Ma ci sono casi in cui l'ente stesso può modificare la sua struttura o addirittura ente può essere revocato o soppresso.
 Per i cambiamenti, mutazioni dell’ente stesso, distinguere tra
 —> mutamento che non fa perdere uno dei requisiti sostanziali e costitutivi dell’ente prescritti per il riconoscimento: esempio mutamento di sede dell’ente, o di finalità dell’ente stesso (ma sempre rimanendo all’interno delle finalità di culto o di religione). Mutamento che non fa perdere uno dei requisiti per il riconoscimento nonostante siano mutamenti importanti, questi hanno rilevanza civile, acquistano effetti civili mediante riconoscimento con decreto del ministro dell’interno. Mutamento di sede dell’ente per avere effetti civili deve risultare da un decreto del ministro dell’interno, sempre iscritto nel registro delle persone civili. Serve decreto ministeriale di riconoscimento
 —> mutamento che fa perdere uno dei requisiti sostanziali e costitutivi dell’ente: mutamento che riguarda uno dei requisiti prescritti per il riconoscimento, sostanziali per il riconoscimento. Ad esempio ente ha natura semi unitaria, oppure ente per la finalità di culto o di religione diviene con finalità commerciale, o ente stesso ha finalità di culto e religione ma non più essenziale. Mutamento che faccia perdere uno dei requisiti necessari per il suo riconoscimento, il riconoscimento stesso può essere revocato mediante decreto del ministro dell'interno (legge prescrive ancora decreto PR) sentita autorità ecclesiastica, e in modo facoltativo udito parere del consiglio di stato. Se autorità amministrativa italiana verifichi venir meno di uno dei requisiti prescritti per riconoscimento dell’ente stesso, autorità amministrativa deve necessariamente sentire quella ecclesiastica, facoltativamente sentire parere consiglio di stato, se fattispecie particolarmente complessa, e poi emana un decreto con cui viene revocata personalità giuridica di diritto civile all’ente stesso. Venuto meno uno dei requisiti logico che venga revocata. Ente ecclesiastico è ente che ha DUPLICE NATURA: canonica e civile, e l’esistenza civile, il fatto di essere eretto a persona giuridica civile, ha come presupposto esistenza della persona giuridica canonica. Tuttavia può succedere il caso che ente venga meno nell’ordinamento canonico, ente che si estingue dall’ordinamento canonico, associazione di fedeli che si estingue, viene meno numero necessario per costituirla, o fondazione che estingue il suo patrimonio, o casi in cui autorità canonica sopprime ente canonico stesso, perché esso svolge attività con uno spirito non conforme alla dottrina della chiesa, o contrarie alla dottrina teologia della chiesa stessa. Ecco che appare venuto meno presupposto canonico, e ci si chiede se estinto ente nell’ordinamento 26 Angelica Ricci canonico, soppressa nell’ordinamento canonico, cosa succede per l’ente civile, ente ecclesiastico, il cui presupposto è tutto l’ente canonico stesso? In questi casi si ha una sorta di efficacia civile del provvedimento canonico, ossia nel caso di estinzione, soppressione nell’ordinamento canonico dell’ente canonico presupposto dell’ente civile, necessario che venga iscritto il provvedimento canonico dell’autorità canonica competente nel registro delle persone giuridiche civili Autorità ecclesiastica competente che ha soppresso ente o prende atto del venir meno dell’ente stesso trasmette al ministro dell’interno il provvedimento canonico, e il ministro dell’interno dispone iscrizione di questo provvedimento che provvede alla devoluzione del patrimonio dell’ente stesso. Quanto iscritto nel registro delle persone giuridiche è provvedimento dell’autorità canonica che sopprime l'ente o dichiara estinzione per una delle cause previste dal diritto canonico
 Nel caso di venir meno della personalità giuridica canonica dell’ente, non si ha un decreto del ministro dell’interno come nel caso di revoca della personalità ma si ha iscrizione nel registro delle persone giuridiche civili del provvedimento canonico. ISTITUTI PER IL SOSTENTAMENTO DEL CLERO Fra gli enti ecclesiastici eretti in persona giuridica civile, in particolar modo enti ecclesiastici eretti con procedimento abbreviato, avevamo: ISTITUTI PER SOSTENTAMENTO DEL CLERO 
 Disciplina di questi istituti:
 Questi istituti sono eretti a vari livelli, vi è un livello centrale (CEI ha eretto un istituto centrale per il sostentamento centrale) e ci sono poi istituti diocesani o interdiocesani = ogni diocesi, ogni circoscrizione territoriale della chiesa ha eretto un istituto, o diocesi più piccole si sono accordate per creare un istituto unico che serva le diverse diocesi che si sono accordate. Vi è un istituto centrale e vari istituti diocesani o interdiocesani di sostentamento del clero, come afferma la stessa qualifica o titolo dell’istituto, finalità è quella di REMUNERAZIONE dei sacerdoti che prestano servizio a favore delle diocesi, di un servizio effettuato dai sacerdoti
 Remunerazione come termine, e non retribuzione, PERCHÈ? riferimento all’Art 36 Cost.:‘’il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”. → Termine retribuzione, usato nella carta costituzionale e nelle leggi sul diritto del lavoro, indica sempre corrispettivo di un’attività lavorativa, subordinata o pari ordinata, ma sempre corrispettivo di un’attività lavorativa
 → Il sacerdote ha diritto a un suo compenso per l’attività e garantirgli un dignitoso sostentamento, secondo diritto canonico, sempre diritto di vivere, diritto alla remunerazione, ma attività del sacerdote non è in senso tecnico un’attività lavorativa nel senso tecnico del termine, ma è un servizio ministeriale e vocazionale, che implica deduzione faticosa piena, ma non è un lavoro, rapporto con sua attività non è un lavoro, svolge la sua missione, lavoro ministeriale di servizio, attività di servizio vocazionale, comporta anche diritto del sacerdote al suo sostentamento ma non instaura col suo superiore un rapporto di lavoro. Non ha diritto a una retribuzione, intesa come retribuzione equivalente in denaro dell’attività svolta dal lavoratore stesso. Egli ha un diritto alimentare in senso lato, ma non concreto lavorativo. La legge correttamente parla di remunerazione del sacerdote tenendo presente che il sostentamento di cui si parla, come diritto del sacerdote a carico degli istituti per il sostentamento del clero, è meramente eventuale, se sacerdote percepisce ad altro titolo redditi sufficienti per vivere in maniera degna, limite stabilito dalla CEI, il sacerdote non ha diritto ad una remunerazione, ma limitata alla qualità sufficiente per raggiungere il suo sostentamento. Se il sacerdote raggiunge già per altre determinazioni la quantità minima stabilita dalla conferenza episcopale non ha diritto alla remunerazione. Art 25 legge 222/1985 ‘’ogni istituto (di sostentamento del clero) provvede ad assicurare nella misura periodicamente determinata dalla CEI il congruo e dignitoso sostentamento del clero che svolge servizio in favore della diocesi salvo quanto previsto dall’art 51. I sacerdoti che svolgono tale servizio hanno diritto a ricevere la remunerazione per il proprio sostentamento nella misura indicata nel primo comma, da parte degli enti di cui agli art 33 e 34, primo comma, per quanto da ciascuno di essi dovuto’’
 Base 1200€ al mese, poi vi è un punteggio in base al quale questa base viene aumentata, se non ha casa propria, minimo viene aumentato, se ha a carico i suoi genitori minimo viene aumentato, ci sono dei criteri di rideterminazione.
 Remunerazione solo meramente eventuale = se raggiunge già per altre determinazioni la quota 27 Angelica Ricci stessa o, se esce dal circuito ecclesiale, rimanga di mano pubblica, ovvero un bene che si possa utilizzare per un’attività comune. Il diritto di prelazione SUSSISTE quando l’istituto centrale o quelli diocesani intendano alienare un bene immobile dal valore superiore a 774 mila €: in questo caso sussiste un diritto di prelazione a favore di ENTI PUBBLICI, che comporta che questi soggetti hanno diritto ex lege a concludere un negozio prima di altri soggetti. Il diritto di prelazione NON SUSSISTE quando: - L’acquirente sia un altro ente ecclesiastico - Quando ne sussiste uno precedente. La prelazione può essere ex lege o contrattuale. - Valore dell’immobile < 774 mila euro Quindi qualora il valore dell’immobile sia inferiore a 774 mila € ma l’ente ecclesiastico intenda alienarlo a un altro ente ecclesiastico o qualora vi sia un diritto di prelazione antecedente, il diritto di prelazione non sussiste, mentre in tutti gli altri casi sussiste per gli enti pubblici (in ordine: stato, comune, università, regioni, province): l’ente di sostentamento del clero sarà libero di alienare il bene a qualsiasi altro soggetto purché non siano modificate le condizioni di vendita comunicate agli enti pubblici titolati del diritto di prelazione. Quindi se non esiste un altro diritto di prelazione e non viene esercitato dagli enti a cui spetta questo diritto, l’istituto per il sostentamento del clero ha diritto ad alienare il bene a un qualsiasi altro soggetto alle medesime condizioni offerte ai soggetti che godevano del diritto di prelazione. Se non vengono rispettate le condizioni o l’ente aliena il bene senza il diritto di prelazione, la vendita ormai è iniziata e al legittimo acquirente non spetta nessuna azione, in quanto la vendita è considerata nulla e non c’è un diritto di acquistare il bene ma il bene rientra nella proprietà del venditore (cioè l’istituto per il sostentamento del clero). Un eventuale soggetto pretermesso non ha quindi NESSUN DIRITTO sul bene stesso. Mentre nel diritto comune, nel caso venga omesso il diritto di prelazione, il soggetto pretermesso ha un diritto di azione reale sul bene e subentra nel diritto di stipulare il contratto, nel diritto ecclesiastico il contratto è nullo e il bene rientra nella proprietà dell’ente per il sostentamento del clero lasciando il soggetto pretermesso senza alcun diritto. IL FINANZIAMENTO E IL REGIME TRIBUTARIO DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE I CANALI DI FINANZIAMENTO In occasione dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense si è realizzata «una riforma profonda e complessiva in materia di impegni finanziari dello Stato verso la Chiesa». Tale riforma, per un verso, ha inteso porre rimedio all'esaurirsi delle risorse economiche dei benefici ecclesiastici e al venir meno delle ragioni storiche che avevano sorretto il previgente sistema di supplementi di congrua; per l’altro, ha voluto introdurre forme moderne di finanziamento della Chiesa che, nel rispetto delle libertà costituzionali e del principio supremo di laicità dello Stato, agevolassero «la libera contribuzione dei cittadini per il perseguimento di finalità e il soddisfacimento di interessi religiosi». Con le norme per la disciplina della materia degli enti e beni ecclesiastici (1. n. 222 del 1985) si è così introdotto e reso operativo nel nostro Paese, dopo un opportuno periodo transitorio, un sistema di finanziamento della Chiesa cattolica strutturato su di un DOPPIO CANALE: da un lato, si è favorito l'apporto economico diretto dei cittadini-fedeli alle necessità del clero, consentendo loro di dedurre dal reddito imponibile le erogazioni liberali destinate a tali necessità; dall'altro, si è predisposto un meccanismo di sostegno finanziario volto a soddisfare specifiche esigenze della Chiesa, nel quale convergono le indicazioni dei cittadini ed l'intervento strumentale dell'erario che eroga alla Conferenza episcopale una quota del gettito fiscale (otto per mille). Negli anni successivi, questo doppio canale di finanziamento, in origine previsto per la sola Chiesa cattolica, è stato preso a modello per la definizione dei rapporti finanziari tra lo Stato e le altre confessioni religiose ed adottato, in taluni casi solo parzialmente, anche dalle intese stipulate ai sensi dell'art. 8, comma 3 Cost.; si può pertanto affermare che oggi tali confessioni religiose si trovano in una condizione di sostanziale parità con la Chiesa cattolica rispetto alla possibilità di accesso alle risorse pubbliche. 30 Angelica Ricci A queste due forme di finanziamento di derivazione pattizia, si sono poi aggiunte ulteriori forme di contribuzione pubblica diretta e indiretta (rinuncia al gettito fiscale) alle confessioni religiose: si tratta, per lo più, di finanziamenti unilateralmente previsti dallo Stato, dalle Regioni o dagli altri enti locali allo scopo di sostenere specifici settori di attività (l'edilizia di culto, le attività d'interesse generale come l'assistenza socio-sanitaria e l'istruzione, etc.) e che in genere hanno come destinatari platee di soggetti più ampie rispetto a quelle formate dai soli enti riconducibili alla Chiesa cattolica ed alle confessioni dotate di intesa o dall’insieme delle organizzazioni religiosamente connotate. L’OTTO PER MILLE DEL GETTITO IRPEF Il primo e più rilevante canale di finanziamento della Chiesa cattolica e delle confessioni religiose dotate d'intesa è certamente rappresentato dall'otto per mille, che poggia sull'idea di una convergenza tra libere indicazioni individuali dei cittadini e bilancio dello Stato. In base a quanto prevede l'art. 47.2 della L. n. 222 del 1985, a partire dal 1990 si è destinata “una quota pari all'otto per mille dell'imposta sul reddito delle persone fisiche, liquidata dagli uffici sulla base delle dichiarazioni annuali [...] in parte, a scopi di interesse sociale o di carattere umanitario a diretta gestione statale e, in parte, a scopi di carattere religioso a diretta gestione della Chiesa cattolica». L'otto per mille del gettito IRPEF, pertanto, è oggi ripartito tra lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre dodici confessioni religiose pattizie; si esclude invece che possano partecipare, sotto qualsiasi forma, a questa ripartizione le confessioni prive di intesa con lo Stato e riconosciute come “istituti dei culti» a norma della 1. n. 1159 del 1929. La distribuzione delle somme tra i soggetti che ne hanno diritto avviene «sulla base delle scelte espresse dai contribuenti in sede di dichiarazione annuale dei redditi»: così, ad esempio, se il 35% dei contribuenti dichiara di voler destinare l'otto per mille alla Chiesa cattolica, il 5% allo Stato, il 2% alla Tavola Valdese, etc., la quota corrispondente all'otto per mille del gettito IRPEF verrà assegnata per il 35% alla Chiesa cattolica, per il 5% allo Stato, per il 2% alla Chiesa valdese e così via. Le percentuali di riparto si determinano, insomma, mediante una votazione secondo il principio "una testa, un voto", che non comporta alcun aggravio per il contribuente che esprime la scelta rispetto all'imposta ordinaria che è tenuto a versare. Dal momento però che la manifestazione di volontà relativa alla destinazione dell'otto per mille non costituisce un obbligo dichiarativo per i cittadini, l'art. 47, comma 3 della 1. n. 222 del 1985 ha previsto che, nel caso in cui vi siano contribuenti che non esprimono alcuna opzione, la quota percentuale corrispondente ad essi venga ripartita in «proporzione alle scelte espresse». Così, ad esempio, se solo il 50% dei contribuenti si esprime in favore della Chiesa, dello Stato o di un'altra confessione religiosa, anche il restante 50% della quota dell'otto per mille viene ripartito tra i medesimi soggetti in proporzione eguale alle scelte espresse, andando ad accrescere la quota spettante a ciascuno dei beneficiari. Dal punto di vista delle confessioni religiose, quest'ultima previsione si è rivelata, alla prova dei fatti, essenziale al soddisfacimento delle loro necessità economiche: poiché ad oggi più della metà dei contribuenti non esprime alcuna opzione, se non si fosse previsto un simile meccanismo di riparto proporzionale della quota non assegnata, la gran parte dell'otto per mille sarebbe rimasta nell'esclusiva disponibilità dello Stato; le confessioni religiose ricevono infatti più dalla quota non espressa che da quella optata. È bene tuttavia precisare che due tra le confessioni religiose dotate di intesa, le Assemblee di Dio in Italia e la Chiesa apostolica in Italia, hanno scelto di sottrarsi a tale aspetto del sistema editare la propria partecipazione all'otto del mille alla sola quota corrispondente alle scelte espresse d contribuenti. L'erario corrisponde annualmente, entro il mese di giugno, alla Conferenza episcopale italiana e agli enti delle altre confessioni religiose che vi hanno diritto una somma calcolata "sulla base degli incassi in conto competenza relativi all'IRPEF, risultanti dal rendiconto generale dello Stato” e “delle dichiarazioni annuali relative al terzo periodo di imposta precedente” (ad es. nel 2022 vengono ripartite le somme relative al gettito IRPEF del 2019) Su tutti i soggetti che partecipano a tale sistema di finanziamento gravano inoltre precisi vincoli di destinazione delle somme ricevute: • STATO: Lo Stato dovrebbe destinare tali finanziamenti a «scopi di interesse sociale o di carattere umanitario», quali: “interventi straordinari per fame nel mondo, calamità naturali, assistenza ai rifugiati e ai minori stranieri non accompagnati, conservazione di beni culturali, e ristrutturazione, migliora- mento, messa in sicurezza, adeguamento antisismico ed 31 Angelica Ricci efficientamento energetico degli immobili di proprietà pubblica adibiti all'istruzione scolastica”. Tale vincolo legale di destinazione è stato tuttavia più volte violato, distraendo una parte consistente della quota dell'otto per mille di competenza statale dalle sue finalità legali per far fronte ad esigenze contingenti di spesa pubblica estranee agli scopi sopra ricordati. • CHIESA CATTOLICA: la legge n. 222 del 1985 le chiede, invece, di impiegare quanto ricevuto del gettito IRPEF per le tre seguenti finalità: “esigenze di culto della popolazione”, inclusa l'edilizia di culto; “sostentamento del clero”; “interventi caritativi a favore della collettività nazionale o di Paesi del terzo mondo”, cioè attività missionaria (art. 48). Ogni anno la C.E.I determina liberamente la ripartizione delle somme ricevute tra le tre finalità, trasferendo all'Istituto centrale per il sostenta- mento del clero la parte di risorse che sceglie di destinare a tale scopo. Anche le intese con le confessioni religiose diverse dalla cattolica che hanno aderito al sistema dell'otto per mille prevedono specifiche destinazioni delle quote di rispettiva competenza. In genere esse richiedono che le somme provenienti da tale sistema vengano utilizzate per «interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali in Italia e all'estero» variamente specificati, ai quali, in taluni casi, si aggiungono il «sostegno al culto», ivi compresa la «realizzazione e la manutenzione degli edifici di culto. In tutte le disposizioni pattizie, il vincolo legale di destinazione si accompagna ad un obbligo di rendicontazione. La Conferenza episcopale italiana deve, infatti, trasmettere annualmente al Ministero dell'Interno e diffondere, anche mediante pubblicazione sul suo organo ufficiale (Notiziario C.E.I.), un rendiconto relativo all'effettiva utilizzazione delle somme dell'otto per mille (art. 44, 1. n. 222 del 1985). Anche le altre confessioni religiose che beneficiano di una quota del gettito IRPEF sono tenute alla trasmissione al Ministero dell'Interno di un analogo rendiconto, nel quale deve risultare l'impiego delle risorse economiche per le differenti finalità consentite. Nella legge n. 222 del 1985 e nelle intese con le altre confessioni religiose si è prevista esplicitamente la possibilità di intervenire sul sistema di finanziamento fin qui descritto, aumentando o diminuendo l'importo della quota del gettito IRPEF destinato ad esso (ad es. passando, come si è proposto dall'otto al sei/quattro per mille), ovvero modificando posto coli di utilizzo delle somme, gli obblighi di rendicontazione e le modalità di erogazione dei fondi da parte dello Stato. Le determinazioni su tali interventi sono state rimesse - stante la derivazione pattizia delle norme che dovrebbero modificare - ad apposite commissioni bilaterali tra lo Stato e la Conferenza episcopale ovvero i rappresentanti delle altre confessioni religiose, da costituirsi con cadenza almeno triennale allo scopo di compiere una valutazione globale sul funzionamento del sistema di finanziamento (art. 49, 1. n. 222 del 1985). Si tratta di una previsione che si è rivelata scarsamente incisiva in termini di innovazione e di capacità di adeguamento del sistema dell'otto per mille, il quale è rimasto sostanzialmente immutato rispetto al momento dalla sua introduzione; questo immobilismo ha concorso a determinare un progressivo e significativo aumento dei flussi finanziari destinati alle confessioni religiose, che sono cresciuti con il crescere del gettito IRPEF e della c.d. pressione fiscale. Nonostante quest'ultimo dato quantitativo, la Corte Edu nella decisione del 2007 sul caso Spampinato contro Italia, ha riconosciuto la piena legittimità del sistema di finanziamento dell'otto per mille, in ragione del fatto che gli Stati godono di un ampio margine di discrezionalità nel definire l'assetto del sistema impositivo interno e i loro rapporti finanziari con le religioni: «non esiste - infatti - a livello europeo uno standard comune in materia di finanzia- mento delle chiese o culti» ma le modalità di tale finanziamento “sono strettamente legate alla storia ed alle tradizioni di ogni Paese”. LE EROGAZIONI LIBERALI DEDUCIBILI La seconda modalità di finanziamento delle confessioni religiose prevista dalla disciplina di derivazione pattizia è costituita dalla possibilità offerta dallo Stato ai singoli cittadini. fedeli di dedurre dal proprio reddito imponibile le erogazioni liberali effettuate dagli stessi in favore delle confessioni di appartenenza. Si tratta di una modalità di finanziamento mista, alla quale concorrono sia i privati, che vengono incentivati a fare offerte volontarie, sia l'erario statale, che contribuisce in termini di minori entrate derivanti dalla riduzione della base imponibile IRPEF. Con riferimento alla Chiesa cattolica, l'art. 46 della 1. n. 222 del 1985 ammette la deducibilità delle erogazioni liberali «fino all'importo di lire due milioni (oggi, di € 1.032,91)» e a condizione che esse siano effettuate <<a favore dell'Istituto centrale per il sostentamento del clero>> (10): le risorse economiche provenienti alla Chiesa da questa specifica forma di finanziamento sono, dunque, 32 Angelica Ricci • rispondano a un criterio di ragionevolezza, cioè legislatore può concedere un’esenzione o agevolazione (deroga al principio generale del dovere di contribuzione) solo se serva a tutelare o promuovere altri diritti, valori e libertà costituzionalmente rilevanti (es: ratio dell’esenzione IMU risiede nel promuovere l’esercizio della libertà religiosa del diritto all’edificio di culto). Se non c’è questa motivazione sottostante, l’esenzione è ILLEGITTIMA dal punto di vista costituzionale • rispetto del principio supremo di laicità dello stato, che impone al legislatore di non agevolare nessuna specifica confessione religiosa rispetto alle altre. Non esiste nel nostro ordinamento nessuna norma che conceda un’agevolazione o un’esenzione fiscale alla Chiesa cattolica perchè sarebbe incostituzionale. Così, l'esigenza di promuovere la libertà religiosa dei singoli e nelle formazioni sociali (art. 7; art 8; art. 19 Cost.), nonché l'impegno organizzato e senza scopo di lucro in attività di interesse generale (scuola, sanità, assistenza socio- sanitaria, tutela dei beni culturali, etc.) possono legittimare la concessione di benefici fiscali (anche) agli enti religiosi, senza distinzione di confessione di appartenenza o di credo di riferimento. Disciplina pattizia Art 7 acc. mod. conc. al comma 3 prevede una duplice equiparazione tra enti e stessa cosa si dice per attività di religione o di culto. gli enti eccl. come soggetti vanno trattati come gli enti che hanno fini di beneficenza e istruzione, e le attività di questi enti dal punto di vista tributario devono essere trattate come le attività di beneficienza o istruzione. Le attività diverse da quelle di religione o di culto (comma 4) sono soggette al regime tributario ordinario, previsto per le medesime. Prima SOGGETTO, poi ATTIVITÀ. Questo meccanismo si applica a chiesa cattolica, confessioni dotate di intesa e anche alle confessioni prive di intesa, perchè il regolamento 289/1930, attuativo della legge sui culti ammessi, prevede la stessa cosa. Nel valutare l’appartenenza di un ente ecclesiastico alla categoria di enti non commerciali il suo passaggio a un’altra categoria, la Cassazione ha confermato una norma che diceva che occorre fare una valutazione sull’attività non tanto sulla base di criteri meramente quantitativi (art 149 tuir), ma sulla base di un giudizio complessivo anche di natura qualitativa che tenga conto di più esercizi. esempio: se dobbiamo valutare un monastero di monaci che hanno un negozio di classici prodotti, se guardo i criteri quantitativi del TUIR capisco che devo guardare i ricavi del monastero: se provengono direttamente dal negozio allora il monastero esercita attività commerciale, altrimenti il contrario. Se però applicassi rigorosamente questi parametri, l’attività prevalente sulla base die ricavi risulterebbe quella del negozio. La cassazione ha detto quindi che questa valutazione non deve tenere conto solo di parametri quantitativi ma di valutazione complessiva che occupa più periodi—> non guarderò solo un anno di attività del negozio ma ricavo di 3 anni, e potrei quindi vedere che l’attività prevalente è quella di preghiera. Si deve tener conto della peculiarità strutturale e organizzativa del soggetto. Per quanto riguarda i singoli tributi—> IMU nasce come componente di un’imposta principale più ampia che però non è mai stata istituita. Questa imposta era sostitutiva dell’ICI e ha come presupposto il possesso di fabbricati, aree fabbricabili e terreni agricoli (vedi pag 38). 3 PRESUPPOSTI per il quarto tipo di esenzione: • Posseduti da enti non commerciali: esenzione è riconosciuta a immobili posseduti da QUALUNQUE ENTE NON COMMERCIALE, sia cattolici che non cattolici • Destinato ad attività meritevole: assistenziali (es: casa di riposo), sanitarie, ricreative, didattiche, di religione o di culto di cui all’art 16 lettera A della l. 222/1985 • Attività deve essere svolta con modalità non commerciali: l’attività deve essere svolta a titolo gratuito o a fronte del pagamento di un corrispettivo solo simbolico che non abbia correlazione con il servizio prestato. Esempio con attività sanitaria: un ente ecclesiastico che fondazione ha immobile in cui si svolge attività sanitaria, come ad esempio un ambulatorio (due requisiti ci sono). se svolge attività a pagamento l’attività diventa commerciale, e in questo caso l’immobile non potrà godere di esenzione. Per ogni singolo immobile bisogna quindi vedere se chi lo possiede è un ente commerciale o no, se è destinato ad una attività meritevole e se le modalità di questa attività siano non commerciali. Per gli enti ecclesiastici della Chiesa cattolica, l'art. 7, comma 3 dell'Accordo di modificazione del Concordato lateranense prevede una duplice equiparazione agli effetti tributari: gli stessi enti ecclesiastici sono equiparati agli enti aventi fine di beneficenza o istruzione; le attività di religione o di culto svolte dai medesimi (culto, cura delle anime, formazione del clero e dei religiosi, attività a scopi missionari, catechesi ed educazione cristiana) sono equiparate a quelle di beneficenza o 35 Angelica Ricci istruzione. Se ne ricava il principio generale secondo cui gli enti ecclesiastici cattolici possono accedere a tutti i benefici e sono soggetti a tutti gli oneri fiscali che hanno quale presupposto di applicazione: l'essere un ente con scopo di beneficenza o di istruzione (presupposto soggettivo); ovvero, lo svolgimento di un'attività di beneficenza o istruzione (presupposto oggettivo). In questo secondo caso, tuttavia, il regime derivante dall'equiparazione è circoscritto alle sole attività di di culto svolte dai medesimi. Infatti, per esplicita disposizione dello stesso articolo 7, le re attività diverse da quelle di religione o di culto, che gli enti ecclesiastici eventualmente svolgono, sono soggette, “nel rispetto della struttura e della finalità di tali enti”, al trattamento fiscale ordinario, cioè al regime tributario previsto per le medesime (comma 4); coerentemente con tale previsione, gli enti ecclesiastici che svolgono attività diverse devono anche tenere le scritture contabili specificatamente prescritte e osservare le relative norme tributarie. Ad esempio, l'ente ecclesiastico che svolge un'attività commerciale ai sensi dell'art. 55 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR) deve tenere le scritture contabili ed è assoggettato al trattamento tributario previsti per tale attività, senza poter accedere a peculiari benefici fiscali dipendenti dalla sua natura di ente ecclesiastico. Ancora, l'ente ecclesiastico che, sfruttando la possibilità offerta dagli artt. 4, comma 3 del d.lgs. n. 117 del 2017 e 1, comma 3 del d.lgs. n. 112 del 2017, costituisca un ramo del Terzo settore o d'impresa sociale è soggetto, per ciò che riguarda il trattamento tributario delle attività rientranti in tale ramo, a quanto prevedono, rispettivamente, il Titolo X del d.lgs. n. 117 del 2017 (artt. 79 ss.) e l'art. 18 del d.lgs. 112 del 2017; nuovamente, tra le condizioni poste dalla legge per l'accesso al regime del Terzo settore o d'impresa sociale vi è la tenuta di scritture contabili separate. Per ciò che riguarda la materia tributaria, le intese tra Lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica riproducono sostanzialmente le disposizioni contenute nell'Accordo di VillaMadama, in particolare per ciò che concerne il trattamento fiscale delle attività di di equiparate religione o di beneficenza o istruzione, e delle attività diverse, soggette al regime tributario previsto per le medesime. Si distingue, tuttavia, l'intesa con la Tavola Valdese, improntata ad uno spirito maggiormente "separatista": essa prevede, per un verso, che le attività di beneficenza e di istruzione degli enti valdesi e metodisti sono soggette alle leggi dello Stato concernenti le stesse attività; per l'altro, che i medesimi enti sono soggetti al regime tributario previsto dalle leggi dello Stato. Anche il r.d. 26 febbraio 1930, n. 289 recante le norme di esecuzione della Legge sui culti ammessi, prevede che “il fine di culto” degli enti riconosciuti sulla base della medesima legge, sia «a tutti gli effetti tributari, equiparato a quello di beneficienza e di istruzione». La gran parte degli enti ecclesiastici sono enti non commerciali, tuttavia non c’è nessuna norma che prevede un’appartenenza di diritto degli enti ecclesiastici alla categoria degli enti commerciali, quindi una presunzione del fatto che tutti gli enti ecclesiastici sono enti non commerciali. può capitare che questo non si realizzi. Di conseguenza bisogna applicare la regola generale, secondo cui l’appartenenza all’una o all’altra categoria dipende dall’attività esclusiva o principale, che svolgono—> esempio parrocchia che smette di svolgere attività istituzionale o la riduce e inizia a gestire B&B ricade soggettivamente nella seconda categoria di enti, cioè enti non societari di natura commerciale, perchè l’oggetto della sua attività ora è diventata commerciale. Inizialmente si pensava che la qualifica di ente ecclesiastico determinasse l’appartenenza di diritto alla categoria di enti non commerciali, principio smentito dalla ultima Cassazione!! Sotto il profilo della soggettività tributaria, l’ordinamento tributario prevede 3 categorie di soggetti: le società commerciali (art 73 t.u. imposte sui redditi); enti commerciali diversi dalle società commerciali; enti non commerciali. prime due categorie stesso trattamento tributario, terza ha un trattamento diverso. Le prime due categorie comprendono le società o gli enti diversi che hanno come caratteristica quella di svolgere in VIA ESCLUSIVA o PRINCIPALE un’attività commerciale, mentre nella terza categoria di cui all’art. 73, 1, lett. c) TUIR rientrano enti che NON SVOLGONO ATTIVITÀ COMMERCIALE IN VIA ESCLUSIVA O PRINCIPALE, quindi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, cattolici o appartenenti a confessioni dotate di intesa, e gli istituti dei culti ammessi Gli enti ecclesiastici si collocano nella terza categoria perchè la loro attività non produce reddito di impresa ma è di religione o di culto, cioè “non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciale” bensì di un'attività di religione o di culto (art 16 l. 222/1985 lettera A), che è fatta oggetto di accertamento in sede di riconoscimento civile. Tale condizione generale non può tuttavia intendersi nei termini di una presunzione assoluta perché, come ha ricordato anche la giurisprudenza di legittimità, non si riscontrano nel nostro ordinamento norme che attribuiscano ope legis agli enti ecclesiastici e di culto la qualifica di enti non commerciali; e, nemmeno, tale attribuzione può ricavarsi dalla loro 36 Angelica Ricci equiparazione agli enti aventi scopo di beneficenza o istruzione. Ciò comporta, nel concreto, che qualora venisse accertato che l'oggetto esclusivo o principale di un ente ecclesiastico o di culto coincide, sotto il profilo quali-quantitativo, con l'esercizio un'attività commerciale, l'ente medesimo perderebbe la qualifica di ente non commerciale divenendo un ente commerciale diverso dalle società (art. 73, comma 1, lett. TUIR). Rispetto a tale eventualità, sono tuttavia necessarie due precisazioni: • Anzitutto, l'accertamento sulla prevalenza dell'attività commerciale non può essere effettuato sulla base di un singolo periodo d'imposta e nemmeno assumendo a riferimento g indici quantitativi previsti dall'art. 149, comma 2 TUIR (30) l'applicazione dei quali agli enti ecclesiastici è espressamente esclusa dalla norma stessa (comma 4); occorre, viceversa, compiere un giudizio più complesso che consideri più periodo d'imposta e che tenga conto delle peculiari caratteristiche qualitative di tali enti. • In secondo luogo, è necessario avvertire che la perdita della qualifica tributaria di ente non commerciale non determina in automatico anche la perdita del riconoscimento civile come ente ecclesiastico o di culto, che prescinde dalle decisioni degli organismi accertatori dell'Amministrazione finanziaria e del giudice tributario. L'accertata prevalenza dell'attività commerciale potrà, semmai, rappresentare una legittima (e doverosa) causa per avviare un autonomo procedimento amministrativo finalizzato alla revoca del riconoscimento civile dell'ente, per la perdita del requisito del fine costitutivo ed essenziale di religione o di culto (per gli enti della Chiesa cattolica, si tratta del procedimento previsto dall'art. 19, comma 2 della 1. n. 222 del 1985). ESENZIONE ED AGEVOLAZIONI CON RIFERIMENTO A SINGOLI TRIBUTI Con riferimento, anzitutto, all'imposta sul reddito delle società e degli altri enti (IRES), gli enti ecclesiastici - in quanto enti non commerciali - sono soggetti alle disposizioni degli artt. 143 e segg. del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR); in particolare, la determinazione del loro reddito avviene in maniera atomistica (la base imponibile si determina, riconducendo i redditi conseguiti dall'ente alle singole categorie di reddito previste per le persone fisiche) e possono godere di una forfetizzazione del reddito derivante da eventuali attività d'impresa (art. 145 TUIR). Per ciò che concerne la categoria dei redditi fondiari, il TUIR non considera produttive di reddito, se non sono oggetto di locazione, «le unità immobiliari destinate esclusivamente all'esercizio del culto, compresi i monasteri di clausura, purché compatibile con le disposizioni degli articoli 8 e 19 della Costituzione e le loro pertinenze» (art. 36, comma 3 TUIR) (31). Ugualmente, non concorrono alla formazione del reddito degli enti ecclesiastici i redditi catastali dei loro immobili totalmente adibiti a sedi, aperte al pubblico, di musei, biblioteche, archivi, cineteche, emeroteche, nonché dei loro terreni, parchi e giardini che siano aperti al pubblico, o la cui conservazione sia riconosciuta di pubblico interesse dal Ministero dei beni e delle attività culturali, a condizione che dalla utilizzazione dell'immobile o del terreno non derivi ad essi alcun reddito. Nel TUIR vi sono poi altre disposizioni che trovano applicazione a specifiche tipologie di enti religiosi o a peculiari attività. Si consente agli istituti religiosi, alle loro province case civilmente riconosciuti che svolgono attività commerciale e dedurre, ai fini della determinazione del reddito di impresa, le spese relative all'opera prestata in via continuativa dai loro membri secondo i criteri dell'art. 26 della 1. n. 222 del 1985 (art. 144, comma 5). L'art. 148, comma 3 decommercializza ai fini IRES le attività delle associazioni religiose svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli associati o di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che fanno parte di un'unica organizzazione, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati. Analogamente, è considerata non commerciale l'organizzazione di viaggi e soggiorni turistici da parte di associazioni riconosciute dalle confessioni religiose con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, sempreché sia effettuata nei confronti degli associati (art. 148, comma 6). Al di là delle disposizioni ora richiamate, che riguardano la determinazione della base imponibile, la più significativa agevolazione relativa all'IRES di cui beneficiano gli enti ecclesiastici è senza dubbio quella prevista dall'art. 6, comma 1, lett. c) del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 601: essi, in ragione della loro equiparazione agli enti con fine di beneficenza o istruzione, godono della riduzione del 50% dell'aliquota dell’imposta. Tale beneficio è stato però interpretato in senso restrittivo da giurisprudenza e prassi, che ne hanno limitato l'applicazione ai soli redditi derivanti dallo svolgimento di attività di religione o di culto ovvero da attività diverse, anche commerciali, che siano immediatamente e diretta mente strumentali al perseguimento del fine di religione o di culto dell’ente. Si è così ritenuta non applicabile l'aliquota ridotta a tutti i redditi riferibili ad attività 37 Angelica Ricci legge, regolamento o statuto alla medesima struttura [...] religiosa» . Sono invece esenti dall'imposta di bollo: le copie, gli estratti e i certificati, dichiarazioni ed attestazioni di qualsiasi genere rilasciati dai ministri di culto nell'interesse di persone non abbienti e le domande dirette ad ottenere il rilascio dei medesimi; le quietanze relative ad oblazioni a scopo di beneficenza, e dunque anche agli scopi di religione o di culto ad esso equiparati, a condizione che sull'atto risulti tale scopo. Il Canone patrimoniale unico (CPU) di concessione, autorizzazione o esposizione pubblicitaria, entrato in vigore il 1° gennaio 2021, è istituito dai comuni, dalle province e dalle città metropolitane in sostituzione di previgenti tributi locali sulla pubblicità, sulle pubbliche affissioni e sui mezzi pubblicitari. Sono esentate dal pagamento di tale canone le occupazioni delle aree appartenenti al demanio o al patrimonio indisponi- bile degli enti pubblici e degli spazi soprastanti o sottostanti il suolo pubblico, «da enti religiosi per l'esercizio di culti ammessi nello Stato, finalità specifiche di assistenza, previdenza, sanità, educazione, cultura e ricerca scientifica»; è invece singoli regolamenti comunali prevedere è invece riduzioni del canone unico per pubblicità e pubbliche affissioni di contenuto religioso. Infine, uno speciale trattamento tributario è previsto per gli immobili immuni siti in territorio italiano e attribuiti in piena proprietà alla Santa Sede dagli artt. 13 e 14 del Trattato del Laterano, nonché per gli immobili di cui ai successivi artt. 15 e 16, i quali sono esenti da tributi ordinari e straordinari verso lo Stato e verso qualunque altro ente pubblico. Tale previsione riguarda senza dubbio il versamento delle imposte sui redditi e dell'IMU, mentre l'esenzione degli immo- bili in parola dalla Tassa sui rifiuti (TARI) è stata al centro di un vivace dibattito. Negli anni, infatti, svariate pronunce della Corte di Cassazione hanno affermato la debenza della TARI, lamentando la mancanza di una disposizione specificatamente attuativa della clausola «programmatica» di esenzione contenuta nei Patti lateranensi ed evidenziando la peculiare valenza di “corrispettivo per un servizio” che caratterizzerebbe il tributo. Oggi tuttavia tali obiezioni giurisprudenziali paiono superate, sia grazie alla Convenzione in materia fiscale stipulata tra la Santa Sede e lo Stato italiano nel 2015 - ove si precisa che gli immobili indicati dal Trattato del Laterano godono dell'esenzione da qualsivoglia tributo «senza necessità di ulteriori e specifiche disposizioni>> - sia per l'esplicito riconoscimento ai medesimi immobili dell'esenzione dalla TARI contenuto nell'art. 5, comma 2-bis del d.l. 21 ottobre 2021, n. 146. Sostentamento del clero, come si è venuto formando il patrimonio degli istituti per il sostentamento del clero. Concretamente come estinti gli antichi benefici, patrimonio dei benefici confluito nel patrimonio degli istituti diocesani per sostentamento clero che contribuiscono alla remunerazione dei sacerdoti
 Funzione di sostituto d’imposta, patrimonio immobiliare sottoposto a un controllo dell’autorità pubblica quando si intenda alienare bene, vincolo di prelazione a favore di alcuni enti pubblici Alcuni altri profili del PATRIMONIO ECCLESIASTICO 
 Alcune tematiche interessanti in prospettiva di diritto e di comprensione dell’attuale disciplina canonistica
 Col nuovo sistema, lo stato rinuncia a un intervento diretto nel sistema di remunerazione dei sacerdoti, perché precedentemente fino al concordato dell’84 lo stato aveva un ruolo attivo nel sostentamento del clero. Cos’è successo analiticamente nel sostentamento del clero prima 1984
 Esistevano i benefici, ma molti furono impoveriti, anche scomparsi, a seguito della legislazione eversiva prima del regno di Savoia, lo stato italiano incamera numerosi beni sciogliendo ordini religiosi, o incamerando beni ecclesiastici, impoverendo anche i benefici con la conseguenza che molti benefici o non erano più produttivi di reddito, o erano impoveriti tali da non produrre più reddito sufficiente per mantenimento dei sacerdoti
 Esisteva il beneficio ma era congruabile, necessario intervenire per permettere al sacerdote un diritto al sostentamento e lo stato una volta espropriati i beni ecclesiastici crea le premesse per un intervento pubblico, che presupponeva idea di un suo interesse specifico al mantenimento dei ministri di culto non economicamente sufficienti
 Regno di Sardegna si istituisce quella denominata CASSA ECCLESIASTICA, finalità era sostentamento dei ministri di culto non economicamente sufficienti 40 Angelica Ricci Successivamente, 1855, dopo le leggi eversive del 1866 e 1867 con i beni incamerati si costituì il FONDO PER IL CULTO, ente dello stato provvisto di personalità giuridica autonoma e succedeva diritti e obblighi della cassa ecclesiastica piemontese
 Finalità di mantenimento dei ministri di culto non economicamente sufficienti. Tra gli obblighi specifici del fondo per il culto:
 → liquidazione supplementi di congrua = se ufficio ecclesiastico beneficio che non produceva reddito sufficiente interveniva lo stato col supplemento di congrua, per permettere un dignitoso sostentamento al titolare di ufficio ecclesiastico che non godeva di sufficiente remunerazione. Lo stato interveniva col conferimento di un ASSEGNO, concessione di carattere personale, nel periodo in cui ufficio era vacante se ne sospendeva pagamento.
 Titolare ufficio parrocchiale veniva meno lo stato non pagava supplemento di congrua alla parrocchia in quanto tale per mantenimento parrocchia, sospendeva pagamento fino a nuovo titolare ufficio. Non spettava alla chiesa ma al titolare dell’ufficio ecclesiastico, che avesse ottenuto il PLACET dell’autorità civile. Le leggi eversive non solo scoppiarono asse ecclesiastico 1866-1867 guerre del regno d’Italia, risorgimentali, patrimonio della chiesa espropriato, ma non solo, anche imposero un controllo sulle nomine dei ministri di culto. Poteva essere titolare ufficio solo persona nominata da autorità ecclesiastica ottenesse placet autorità civile per esercitare ufficio, re d’Italia. PLACET REGIO. Le nomine ecclesiastico sottoposte controllo e autorizzazione autorità civile, GIURISDIZIONALISMO, POLITICA GIURISDIZIONALISTA 
 Non solo campo patrimoniale, anche personale di nomina degli uffici Genio italico spesso ha cercato anche di far valere libertà della chiesa, aggirando, accadeva spesso che vescovo nominava un solo parroco sottoposto al placet e tutte le altre chiese avevano vicari parrocchiali, agivano in nome e per conto dell’unico parroco della diocesi
 Non necessitavano autorizzazione Nominati dall’ufficio ecclesiastico persone anche senza autorizzazione, non rientrando nella fattispecie prevista dal legislatore Supplemento di congrua conferito dal fondo per il culto
 Era un vero e proprio ASSEGNO ALIMENTARE = concessione a titolo alimentare Con il concordato del 1929, art 30, stato italiano si impegnava a supplire alle carenze prodotte dai benefici ecclesiastici con assegni supplissero eventuale carenza del reddito del beneficio stesso
 Concordato del 29 mantenne impegno di remunerare sacerdoti, lo stato interveniva direttamente nella remunerazione dei sacerdoti, con supplemento di congrua, remunerando tutti sacerdoti che non godessero di beneficio o produceva reddito non sufficiente al dignitoso sostentamento Stato stabiliva entità
 Stato interveniva direttamente nella remunerazione sacerdoti, stipendiati da parte dello stato Creata UNIONE FORZOSA stato chiesa di ordine patrimoniale
 Competeva conferimento di questo assegno era FONDO PER IL CULTO Con codice di diritto canonico poi il sistema si modifica in quanto si ritenne opportuno modificare sistema beneficiale, abrogare modificare sistema benefici, per pervenire al sistema attualmente vigente
 Quanto successo col nuovo concordato, abrogato sistema beneficiale, 1983 codice, sostituendo un SISTEMA DI ISTITUTI PER SOSTENTAMENTO DEL CLERO Il fondo per il culto, prima ministero di giustizia, poi ministero interno, che provvedeva alla remunerazione sacerdoti, adesso tale remunerazione non spetta più allo stato, rinuncia a un intervento diretto, solo indirettamente
 Fondo per il culto è venuto meno, sciolto come ente, soppresso con la nuova normativa, adesso si sostituisce subentra un nuovo ente, ENTE FONDO EDIFICI DI CULTO, cambiata funzione 41 Angelica Ricci Non è più ente cui spetta mantenimento sacerdoti ma spetta essenzialmente la gestione delle chiese
 1800 lo stato ha espropriato numerose chiese, queste chiese circa 850, sono di proprietà dello stato. Lo stato, ministero interno col fondo edifici di culto, proprietario di 850 chiese
 Fenomeno strano poco conosciuto
 Maggior parte di queste chiese sono aperte al culto pubblico, non destinate a musei, cui chiesa cattolica esercita il suo culto, proprietario diverso dall’utilizzatore. Questo nuovo ente pubblico, ai sensi art 11 cc, ha una finalità principale che ai sensi art 58 della legge 222/1985 consiste nella conservazione, restauro, tutela e valorizzazione degli edifici di culto appartenenti al fondo stesso Fondo edifici di culto ha finalità di conservazione tutela
 Vi è una CONVENZIONE chiesa cattolica fondo edifici di culto per utilizzo per culto di queste chiese, spesso di enorme valore culturale artistico storico. Pregiatissime opere d’arte che appartengono allo stato e chiesa esercita culto. Fondo edifici di culto è proprietario stato
 Concordato del 1929 prevedesse che chiese in mano allo stato fossero restituite alla chiesa cattolica, norma che non ha avuto quasi attuazione
 Concordato attuale la ribadisce questa norma affermando che le chiese espropriate da tempo dallo stato devono essere restituite al legittimo proprietario originale, chiesa
 In questi anni dal 1929 ad oggi, ben poche sono state restituite, 25, 26 chiese su 850
 Questo perché stato giuridicamente ha manutenzione straordinaria, proprietario, onere della manutenzione straordinaria edificio, chiesa in quanto usufruisce ha onere di manutenzione ordinaria e spese relative culto
 Da un lato chiesa non ha interesse specifico a ritornare proprietaria, manutenzione straordinaria richiede costi altissimi, dall’altro lo stato ha anche vantaggio ad avere nel patrimonio beni di moltissimo valore Lo stato ha la manutenzione straordinaria e la chiesa quella ordinaria e relativa al culto Servono convenzioni che regolano rapporti. Il Fondo edifici di culto che gestisce queste chiese ha personalità giuridica attribuita dalla legge 222 ed è amministrato in quanto ente pubblico dalle norme che regolano le gestioni patrimoniali dello stato con modalità specifiche
 Dal diritto amministrativo, si tratta di un ente organo, organo dello stato con personalità giuridica autonoma, cui legale rappresentante è il ministro dell’interno, coadiuvato da un consiglio di amministrazione Fondo edifici culto ha CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE, parte dei membri indicati dalla conferenza episcopale italiana, per legge perché gestisce beni per il culto cattolico, quindi come forma di collaborazione tra stato e chiesa, e nel consiglio di amministrazione edifici di culto, risiedono tre dei 6 membri del consiglio di amministrazione sono designati dalla CEI C’è un DIRETTORE normalmente prefetto
 E un PRESIDENTE, normalmente persona competente sia a livello legislativo che storico dell’arte (ora direttore Uffizi)
 Consiglio di amministrazione, in realtà organo CONSULTIVO e chi decide è il ministro
 PARERE OBBLIGATORIO in quasi tutte le decisioni, ma pare non siano vincolanti Fondo edifici di culto non è unico ente pubblico titolare della proprietà di edifici di culto, altri enti pubblici proprietari di edifici di culto
 Esistono anche in luoghi dediti al culto che appartengono a enti territoriali (comuni soprattutto) sottoposti al regime del demanio pubblico ai sensi dell’art 822-824 cc. Attribuiti a loro con leggi eversive del secolo scorso, norma specifica prevedeva che il fondo per il culto poteva concedere ai comuni da un lato benefici annessi agli edifici al culto e anche stessi edifici
 Comuni interpretavano questa concessione come CESSIONE DI PROPRIETA’, alcuni come mera concessione d’uso, altri come proprietà. Alcuni ritenuti proprietari di quei beni per alcune chiese non è chiaro chi sia proprietario, se comune o fondo edifici di culto C’è una legge, legge 136/2001 “Disposizioni in materia di sviluppo, valorizzazione e utilizzo del patrimonio immobiliare dello stato e altre disposizioni in materia di luoghi di culto” 42 Angelica Ricci che dello stato Enti ecclesiastici per essere tali devono svolgere attività di culto e religione in modo essenziale, norma parla di attività costitutiva ed essenziale, ma non unica. L’ente può anche svolgere attività diversa da culto e religione, purché quella di culto o religione sia principale rispetto alle altre e può svolgere altre attività che come ricorda norma, art 7 legge 121, sottoposte al regime giuridico specifico previsto per quell’attività e non speciale previsto per gli enti ecclesiastici. Svolgere anche attività diverse sottoposte a regime giuridico specifico di quell’attività (attività istruzione e beneficenza, regime giuridico non è quello speciale degli enti ecclesiastici ma quello proprio dell’attività di istruzione) seguire certe norme stabilite dalla legge Ci si chiede se ente ecclesiastico possa anche esercitare ATTIVITA’ D'IMPRESA o COMMERCIALE
 Binomio compatibile, attività commerciale e attività di culto o religione se sia compatibile
 Legge non dice nulla, se prendiamo art 7 della legge 121 afferma che:
 ‘’attività diverse da quelle di culto o religione, svolte dagli enti ecclesiastici, sono soggette nel rispetto della struttura e finalità di tali enti, alle leggi dello stato concernenti tali attività e al regime tributario previsto per le medesime’’ Norma ci ricorda punto fondamentale, ente può svolgere altre attività nel rispetto della STRUTTURA RELIGIOSA dell’ente stesso
 Per attività di impresa e commerciali legge non dice nulla
 Intervenuta la cassazione, affermato che ente ecclesiastico può svolgere attività di impresa, imprenditoriale, nel rispetto della struttura e della finalità dell’ente ecclesiastico Cassazione affermato che rispettare struttura e finalità dell’ente ecclesiastico significa che l'ente può svolgere attività di impresa nel rispetto della sua struttura di ente ecclesiastico, significa che l’attività può condurre a un guadagno, lucro, però tale lucro deve essere OGGETTIVO e non soggettivo.
 Eventuale ricavo deve essere oggettivo Lucro soggettivo = quando eventuale ricavo viene diviso tra i soci
 Lucro oggettivo = si ha un ricavo, introiti superano uscite, tuttavia tale ricavo viene reinvestito nell’attività istituzionale dell’ente stesso, guadagno viene reimpiegato per finalità istituzionali dell’ente stesso, quindi di culto o di religione.
 Attività di impresa purché il lucro sia oggettivo Oppure può anche svolgere attività di impresa purché questa attività sia svolta con METODO ECONOMICO, in maniera tale i costi si equiparino ai guadagni, non vi sia lucro e nemmeno perdita. Costi equivalgono ai ricavi, equiparazione. L'ente ecclesiastico può svolgere attività commerciale: o se agisce come metodo economico, tendenziale equiparazione costi ricavi, o se agisce con ricavi ma se lucro oggettivo, reinvestito nell’attività istituzionale di culto dell’ente stesso, sennò contraddirebbe finalità religiose proprio dell’ente
 A queste condizioni ente può svolgere un’attività anche commerciale, se ci sono altri requisiti del cc per la natura dell’impresa Altro requisito ATTIVITA’ SEPARATA si tenga attività commerciale come attività separata rispetto a quella dell’ente ecclesiastico di culto o di religione
 Si chiede in generale per tutte le attività diverse da culto o religione, con diversi bilanci preventivi e consuntivi. Poi c’è una norma riguardo attività dell’ente, legge 121, suscita perplessità
 Legge 222 art 17 afferma che per gli acquisti degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti si applicano le disposizioni della legge civile relative alle persone giuridiche
 Parlando delle leggi eversive dell’asse ecclesiastico del 1800, leggi piemontesi prima del regno d’italia, riguardavano sia capacità giuridica degli enti religiosi, privando molti enti religiosi di personalità giuridica, sia capacità di agire degli enti conservati, con un controllo autorizzatorio sull'attività degli enti ecclesiastici (enti religiosi per acquistare o alienare un bene dovevano essere autorizzati dallo stato, non tutti i beni, per tutti i negozi che riguardavano beni immobili a titolo oneroso o gratuito, autorizzata dal governo)
 Ente ecclesiastico che riceveva eredità un bene immobile, serviva l'autorizzazione del governo. Stesso per alienazione immobile
 AUTORIZZAZIONE GOVERNATIVA necessaria
 Per i beni mobili, autorizzati solo acquisti di beni mobili a titolo gratuito, mentre a titolo oneroso 45 Angelica Ricci non dovevano essere autorizzati. Le uniche alienazioni che non dovevano essere autorizzate erano quelle di beni mobili a titolo oneroso. Questo sistema autorizzatorio, era vigente ancora quando fu redatto il concordato del 1984 e quindi legge su enti e beni ecclesiastici 222/1985 che prevede che per gli acquisti degli enti ecclesiastici si applicano disposizioni civili su persone giuridiche
 Autorizzazione acquisto persone giuridiche. Tuttavia art 13 della legge 127/1997 di semplificazione del procedimento amministrativo, ha abrogato tutte le disposizioni che prescrivono autorizzazioni per l’acquisto di immobili o per accettazioni donazioni, eredità, legati da parte di persone giuridiche
 Legge 127/1997 ha fatto venir meno con art 13 il SISTEMA AUTORIZZATORIO, sistema di controlli da parte dello stato. Se prima un ente ecclesiastico per acquisto aveva bisogno di autorizzazione governativa se si trattava di un bene immobile, ora tali autorizzazioni non più necessarie
 Ente ecclesiastico piena libertà di accettare eredità, donazione, legato senza autorizzazione
 Può acquistare o alienare bene immobile senza nessuna autorizzazione. Tutto il sistema autorizzatorio è venuto meno.
 Art 17 della legge 222 che prevede applicazione agli enti ecclesiastici del sistema autorizzatorio previsto per le persone giuridiche è norma vuota ormai, tale sistema autorizzatorio è venuto meno
 Art legge 127 ha abrogato tutte le disposizioni che prescrivono autorizzazioni per acquisto immobili ol accettazione donazioni, eredità legati da parte di persone giuridiche
 Venuto meno sistema di controlli da parte dello stato Quello che non è venuto meno, una sorta di controllo esiste ancora, forma di controllo non in senso tecnico, nel sistema degli istituti del sostentamento del clero, prelazione pubblica per acquisto beni immobili, ente ecclesiatìstico istituto sostentamento, se vuole alienare un bene immobile non può farlo liberamente deve prima offrirlo in acquisto a un ente pubblico → non è un controllo in senso stretto, ma sorta di supervisione su utilizzo beni immobili della chiesa Rimangono tuttavia vigenti i CONTROLLI DELLA CHIESA 
 Ente ecclesiastico centro di imputazione di effetti giuridici, tale per lo stato e per la chiesa
 Stato venuti meno controlli per l’attività negoziale ma per la chiesa no, esistono ancora controlli necessari sull’attività negoziale dell’ente stesso
 Se l’ente intende alienare un bene del suo patrimonio deve chiedere necessarie AUTORIZZAZIONI CANONICHE, del vescovo o della santa sede dipende dal valore dell’immobile
 Chiedere autorizzazione all’autorità ecclesiastica competente, se negozio concluso senza le prescritte autorizzazioni canoniche, per diritto canonico negozio nullo, come mai concluso, per il diritto dello stato, art 18 legge 222/1985,
 ‘’ai fini dell’invalidità o inefficacia di negozi giuridici posti in essere da enti ecclesiastici, non possono essere opposte a terzi che non ne fossero a conoscenza, le limitazioni dei poteri di rappresentanza o l’omissione di controlli canonici che non risultino dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche’’ Sostanza della norma: se io concludo un negozio con un ente ecclesiastico devo verificare che quell’ente abbia tutte autorizzazioni interne canoniche per concluderlo, e chi conclude negozio sia effettivamente legittimo rappresentante dell'ente, altrimenti per il diritto canonico è nullo, la legge 222 parla di invalidità o inefficacia del negozio, cassazione affermato che su tratta di un caso di ANNULLABILITA’, ma non di nullità, autorizzazione serve per integrare capacità di un soggetto. Alla mancanza di autorizzazione consegue un’annullabilità del negozio stesso, non una nullità Questo caso, se negozio manca requisiti di autorizzazione canonica, o concluso da chi non è legale rappresentante dell’ente stesso, NEGOZIO ANNULLABILE può essere impugnato. Chi ha diritto a impugnare annullabilità negozio stesso, relativa? Ha diritto a farla valere l’AUTROITTA’ ECCLESIASTICA, soggetto danneggiato dal negozio
 Essa ha diritto a far valere annullabilità del negozio stesso.
 Con un'azione costitutiva chiede sia fatta valere invalidità del negozio stesso 46 Angelica Ricci Verificare che abbia tutte le autorizzazioni canoniche necessarie: del vescovo o della santa sede in base al valore del bene oggetto del negozio.
 Vera ipotesi di RILEVANZA CIVILE DEI CONTROLLI CANONICI, diretto rilievo nello stato, ordinamento giuridico statale, se manca controllo canonico, atto della chiesa, negozio è annullabile Se parroco affitta un immobile di proprietà della parrocchia senza chiedere autorizzazione al vescovo, negozio annullabile. Mentre il parroco come comune cittadino può tranquillamente affittare immobile sua proprietà senza autorizzazione, ma se intende affittare immobile di proprietà della parrocchia in quanto ente ecclesiastico serve autorizzazione autorità ecclesiastica competente → Regola in più rispetto all’attività negoziale prevista per i comuni cittadini. Stesso discorso vale anche nel caso di ERRATA INDICAZIONE DEL RAPPRESENTANTE LEGALE
 Art 18 legge 222 pone un limite per aiutare il contraente, rilevanti i controlli canonici ma è anche vero che sono rilevanti solo quei controlli canonici facilmente conoscibili: che risultano o dal codice del diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche
 Per facilitare il commercio la norma di legge prevede che non tutti i controlli canonici sono civilmente rilevanti, ma solo quelli che risultano o dal codice di diritto canonico o dal registro delle persone giuridiche
 Quelli del codice di diritto canonico = solo quelli che riguardano persone giuridiche pubbliche della chiesa (diocesi, parrocchie, ordini religiosi)
 Per tutti altri enti che non sono persone giuridiche pubbliche della chiesa (associazione di fedeli, fondazione di culto...) si applicano controlli previsti dallo statuto dell’ente stesso, ma statuto deve essere conoscibile Necessità di depositare statuto dell’ente nel momento dell’iscrizione nel registro delle persone giuridiche
 Perché non sono rilevanti controlli canonici che non risultano dal codice canonico, per enti pubblici della chiesa, o dal registro delle persone giuridiche, soprattutto per gli enti privati che acquistano personalità giuridica anche civili Però solo questi controlli sono quelli rilevanti, se da qui non risultano non sono controlli rilevanti per lo stato e su quella base autorità ecclesiastica non può impugnarli, senza adeguato strumento di pubblicità
 Per facilitare il commercium, non rendere difficoltosa la conclusione di contratti di chi ente ecclesiastico non è Rilevanza civile dei controlli canonici, se stato non ha nessun controllo su enti ecclesiastici, legge 127 abrogato tutti controlli stato su acquisti e alienazione immobili, diverso per la rilevanza civile controlli canonici, in mancata osservanza del controllo canonico negozio annullabile a istanza del soggetto interessato, autorità ecclesiastica interessata. Per l’approfondimento delle tematiche del rapporto tra ENTI RELIGIOSI e TERZO SETTORE, attività dell’ente se ne parlerà in seguito. Ci soffermiamo su enti ecclesiastici della chiesa cattolica per due motivi
 → discorso quantitativo, enti ecclesiastici della chiesa cattolica sono la maggior parte quantitativamente parlando (più di 20 mila parrocchie in Italia)
 → disciplina degli enti e confessioni religiose diverse dalla cattolica ricalcata in buona parte su quella degli enti della chiesa cattolica DISCIPLINA DEL RICONOSCIMENTO DEGLI ENTI DI CONFESSIONI RELIGIOSE DIVERSE DALLA CATTOLICA Bisogna distinguere tra le confessioni che hanno stipulato un’intesa ai sensi dell’Art 8.3 Cost (approvata mediante legge) e quelli che non hanno stipulato l’intesa o l’hanno stipulata ma non è ancora stata approvata. —> ENTI DELLE CONFESSIONI RELIGIOSE CHE NON HANNO STIPULATO INTESE il regime è regolato dall’ L. 1159/1929, la c.d. legge sui culti ammessi, tutt’ora vigente che contempla alcune norme specifiche sul regime degli enti che intendano acquisire specialità giuridica nell’ordinamento giuridico italiano. Art 2 di questa legge: prevede che gli istituti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica (culti “diversi” dalla religione di strato) possono essere 47 Angelica Ricci culture ebraiche: “la repubblica italiana riconosce la personalità giuridica dell’unione italiana alle chiese cristiane avventiste del 7° giorno e dell’istituto avventista di cultura biblica”. B. Riconoscimento per antico possesso di stato—> enti della chiesa cattolica che dopo leggi eversiva avevano mantenuto personalità giuridica e non ne erano stati privati. Anche per gli enti di alcune confessioni religiose diverse cattolica con intese è previsto questo riconoscimento. Art 12 dell’intesa con i valdesi, dice esplicitamente per antico possesso di stato Intesa coi valdesi, riconosce per legge la personalità giuridica di alcuni enti valdesi con previsione di riconoscimento per legge e per antico possesso di stato, previsto quindi anche per gli enti di confessioni religiose diverse dalla cattolica che hanno stipulato intese. La repubblica italiana riconosce personalità giuridica degli enti della tavola valdese Tavola valdese, ente rappresentativo dei valdesi, e 15 concistori delle chiese valdesi, organismi governativi della chiesa valdese hanno personalità giuridica per antico possesso di stato. Intesa Approvata con legge 11/1984. Esempio dell'intesa comunità ebraica. Si prende atto che la comunità israelitica ha personalità giuridica per possesso di stato. Per enti e confessioni religiose diverse dalla cattolica stipulato intese con legge: possibile riconoscimento per legge, per antico possesso di stato e riconoscimento mediante decreto C. Riconoscimento mediante decreto—> requisiti presenti nelle intese che l’ente della confessione deve avere ai fini del riconoscimento: • sede in Italia • riconosciuto dall’autorità confessionale competente • si richiede che le finalità dell’ente, ai sensi della legge civile, siano sempre di religione o di culto, beneficienza o istruzione. Si considerano attività di religione e di culto quelle dirette alla formazione del clero, scopi missionari ecc: attività diverse rispetto a quelle di religione o di culto, beneficenza, istruzione e cultura e attività commercial e a scopo di lucro non permettono di acquistare personalità giuridica. Art 12 intesa con i valdesi, enti ecclesiastici aventi fini di culto istruzione e beneficenza, possono essere riconosciuti nella repubblica italiana, allegando documentazione sufficiente
 Valdesi per erezione ente ecclesiastico si richiedono questi fini, enti di beneficenza, istruzione per enti ecclesiastici esclusi sono invece fondamentali per riconoscimento ente valdese.
 Violazione principio di uguaglianza in un certo senso, ente valdese che svolge attività essenziale di culto, beneficenza o istruzione può essere riconosciuto come ente ecclesiastico a differenza del cattolico.
 Finalità necessarie per ente valdese, sono ostative per personalità giuridica di ente cattolico.
 Sorta di disuguaglianza non voluta dal legislatore, ma diverso trattamento che costituisce violazione dell’art 8 primo comma della costituzione in quanto la legge modifica le condizioni di partenza, favorendo enti della chiesa valdese rispetto alla cattolica 
 Altre confessioni religiose, come intesa con avventisti, prevede ancora come i cattolici che enti abbiano fine di culto o religione, recuperando binomio abbandonato per enti della chiesa valdese. 
 Eretti dal ministro dell’interno, procedura per intesa come quella prevista dalla chiesa cattolica, decreto presidente repubblica su parere consiglio di stato 
 Ora venuto meno decreto PR e obbligatorietà consiglio di stato Anche per enti che hanno intesa competenza del ministro dell’interno Mentre il parere del consiglio di stato meramente facoltativo Mentre per gli enti delle confessioni religiose senza intesa rimane competenza PR per prassi ministeriale, per quelli con intesa riconoscimento avviene mediante decreto ministro dell’interno su parere facoltativo del consiglio di stato. Poi l’ente una volta eretto in persona giuridica obbligo di iscriversi nel REGISTRO DELLE PERSONE GIURIDICHE, dove vanno iscritte anche tutte modifiche dell’ente stesso per acquisire efficacia civile Altro punto importante, quello che concerne la denominazione di questi enti, enti e confessioni religiose diverse dalla cattolica non sono in senso stretto tutti ENTI ECCLESIASTICI, non tutti assumono questa qualifica, ma solo alcune confessioni religiose che hanno stipulato INTESA denominano i propri corpi morali come ente ecclesiastico valdese, avventista... Questo perché? Perché anche dal punto di vista di storia delle religioni, non tutte confessioni religiose si considerano in senso stretto una chiesa, in senso tecnico
 50 Angelica Ricci Termine chiesa tradizionalmente si riferisce soprattutto alle confessioni religiose cristiane, con tradizione cristiana (cattolica, ortodossi, anglicani, valdesi...)
 Altre confessioni non sono cristiane (buddisti, in senso stretto non hanno nemmeno divinità trascendenti. ebrei...) Enti di queste confessioni religiose non si qualificano come ente ecclesiastico, ma solo come ente ebraico, o ente religioso ebraico
 DENOMINAZIONE DIVERSA, ma qualità è la medesima MODIFICAZIONE E ESTINZIONE DI QUESTI ENTI Come tutti enti anche cattolici, da un lato se ne presume durata nel tempo, PERPETUITA’ dell’ente stesso e può subire modificazioni o estinzione
 Per acquisire efficacia giuridica modifiche vanno trascritte nel registro della prefettura competente per territorio sennò non acquisiscono efficacia civile Dall’altro ente stesso può essere revocato o soppresso. Revocata personalità giuridica ente = quando ente perde requisiti essenziali dalla legge di approvazione dell’intesa in questo caso (sede in Italia, ma non sede in una regione determinata, non è modifica essenziale cambio di provincia, ma spostamento sede in un altro stato lo è)
 Non è modifica sostanziale per l’ente valdese che smetta attività di assistenza acquistando quella di beneficenza, ma se svolge attività alberghiera vengono meno requisiti riconoscimento ente stesso. Autorità governativa può revocare personalità giuridica dell’ente stesso, come ente ecclesiastico, ma ente può richiedere personalità giuridica diversa, come società commerciale, associazione di diritto comune...
 Ma ente non può più sussistere mancando di requisiti come ente ecclesiastico
 Viene meno personalità giuridica civile dell’ente stesso se ente viene meno nell’ordinamento valdese, luterano... Intesa con comunità ebraica → qualifica di ente abraico civilmente riconosciuto. Audizione obbligatoria dell’unione ebraica
 Estinzione degli enti ebraici civilmente riconosciuti efficacia civile, se ente viene meno nell’ordinamento ebraico ente viene meno allora autorità competente dell’ente trasmette alla prefettura il decreto di estinzione dell’ente che viene iscritto nel registro delle persone giuridiche e iscrizione ha efficacia costitutiva
 Si dà efficacia civile al provvedimento religioso, come enti della chiesa cattolica
 Abbiamo anche nel caso dell’estinzione o soppressione degli enti un procedimento analogo a quello degli enti della chiesa cattolica. Questo varia anche se parzialmente da intesa a intesa. Punti comuni sono gli stessi PROVVEDIMENTI INTERNI Tutte le intese prevedono un possibile controllo dello stato su attività degli enti stessi, venuto meno con legge 127/1997
 Possible rilevanza civile dei controlli interni? Enti che non hanno stipulato intesa legge 1159 non prevede possibile rilevanza civile dei controlli interni. Lo stesso si può dire per gli enti e confessioni religiose diverse dalla cattolica, controlli interni non hanno specifica rilevanza
 Anche nei valdesi, nessuna norma dà rilevanza civile ai provvedimenti interni
 Si prevede solo che per acquisto di beni immobili, eredità o legati si applicano le disposizioni delle leggi civile relative alle persone giuridiche, norme tutte derogate dall’art 13 della legge 127/1997 Non è data una rilevanza civile dei controlli canonici. Ultimo profilo, in tutte le intese approvate mediante legge, previsto che a regimi tributari attività dirette a religione e culto, equiparate a quelle di beneficenza e istruzione, tutti enti delle confessioni religiose diverse dalla cattolica possono svolgere anche attività diverse, però soggette alle leggi dello stato che riguardano queste attività e regime tributario previsto per le medesime 51 Angelica Ricci Anche enti diversi dalla cattolica possono svolgere attività diverse da quella di culto o religione (commerciali, scolastiche...) sottoposte in tutto alle leggi dello stato concernenti questa attività esulano dal regime specifico pattizio specifico per quell’attività e non a quello speciale pattiziamente previsto I BENI RELIGIOSI E DI INTERESSE RELIGIOSO Il precedente concordato del 1929 non conteneva norme che riguardassero la tutela dei beni culturali di interesse religioso, ma c’era solo una norma secondaria sull’uso delle catacombe. In base all’art 831 co. 1 c.c. “i beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardino”. Con il nuovo Concordato del 1984 si è compresa l’importanza di trovare un accordo fra stato e chiesa per la gestione dei beni culturali con esclusivo riferimento a quei beni culturali che abbiano un interesse religioso, infatti la nuova legge di revisione del Concordato (L. 121/1985) all’Art 12 dispone che: “La Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico”. Questa materia è di competenza dello STATO, che deve sentire la chiesa cattolica per le esigenze di culto legata ai beni stessi. importanza di trovare un accordo tra stai e chiesa per la gestione dei bei culturali, con esclusivo riferimento a quei beni che abbiano interesse religioso, che in Italia sono ancora la maggior parte. L’Art 117 Cost si occupa della legislazione dello stato e delle sue competenze, e al secondo comma si afferma che lo stato ha legislazione esclusiva in determinate materie, di cui l’ultima alla lettera s) è proprio la “tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali”. Quindi la materia dei beni culturali è di legislazione esclusiva dello stato. Abbiamo una materia che da un lato è di competenza esclusiva dello stato ma dall’altro si chiede l’autorizzazione della chiesa secondo dei principi costituzionali, in particolare modo ancora una volta viene ribadito nell’Art 12 della legge la locuzione “nel rispettivo ordine”. Bisogna distinguere tra i beni culturali di carattere religioso di PROPRIETÀ DELLA CHIESA (della Santa Sede, diocesi, parrocchia) e beni culturali di carattere religioso NON DI PROPRIETÀ DELLA CHIESA ma di PRIVATI (enti, enti pubblici ecc). Un bene di interesse religioso può essere tale per interesse religioso e destinato o meno al culto anche se non di proprietà ecclesiastica—> es: quasi 850 chiese di proprietà dello stato sono tutte chiese che costituiscono un bene culturale. Al contempo sono fatte salve le esigenze di culto, infatti il culto è gestito solamente dalla chiesa cattolica, o vi sono chiese del demanio dello stato e anche chiese di proprietà dei privati. Per tutelare questi beni, ferma restando la competenza esclusiva statale, ovvero che lo stato ha competenza a legiferare in materia di beni culturali e determinarne le caratteristiche affinché siano qualificati come tali, si è reso necessario aggiungere alcuni accordi cooperativi tra stato e chiesa in materia di enti e beni culturali. Questi accordi stabiliscono forme di collaborazione in materia di MUSEI, BIBLIOTECHE ed EDIFICI DI CULTO al fine di valorizzare i beni stessi. Il punto focale che il bene culturale non può essere sottratto completamente alla sua destinazione originale (es: se un quadro è destinato a una chiesa deve stare nella chiesa, invece se è destinato a un’edicola deve stare nell’edicola) nei limiti del possibile e di libero esercizio del culto. L’idea fondamentale di questi accordi è cercare di far sì che il bene culturale non sia estrapolato dal contesto di culto e devozione in cui è sorto, ma tale funzione possa continuare ad adempiere ferme restando altre esigenze. —> ESEMPIO 1: la Chiesa di Santa Lucia a Siracusa che è di proprietà del fondo edifici di culto, ha un quadro di Caravaggio di altissimo pregio che doveva essere ristrutturato: per fare ciò bisognava spostarlo dalla sede originale, e si è aperto dialogo tra il ministero di beni culturali, il fondo edifici di culto e la diocesi per il trasporto del quadro. La diocesi si opponeva, e dall’altro lato l’ente proprietario chiedeva urgentemente il trasferimento: alla fine si è giunti a un ACCORDO a cui erano CONTRARI i fedeli perchè venivano privati del loro quadro di Santa Lucia. Allora la decisione del ministero anche solo per il solo restauro è stata impugnata, senza nessun esito, e il quadro stato trasferito, ristrutturato e momentaneamente sostituto con una copia ad alta definizione del quadro stesso. Questo vuol dire che un’opera d’arte svolge la sua funzione se non viene decontestualizzata, e i fedeli si rendono conto di ciò e tutti gli eventuali spostamenti e 52 Angelica Ricci religiosa ai sensi dell’Art 9 CEDU che garantisce la libertà religiosa e i MEZZI adeguati per esprimerla. Il dispiegarsi del diritto all’edifico di culto nel nostro ordinamento deve aversi nel rispetto del principio supremo di laicità dello stato, e pertanto viene quindi in rilievo anche con riferimento ad altre norme costituzionali: Piano paritario in conformità dell’Art 3.2 Cost e 8 cost: occorre garantire agli appartenenti alle diverse confessioni e ai differenti gruppi religiosi condizioni di accesso agli edifici di culto non discriminatorie, in ragione dell’ “eguale libertà”, formale e sostanziale, riconosciuta da questi due articoli. L’art 3.2 cost esprime anche un’esigenza intimamente connessa la principio di laicità dello stato, che è qualificato dalla Corte Costituzionale come PRINCIPIO SUPREMO che implica non indifferenza dinnanzi alle religioni ma garanzia dello stato per la salvaguardia della libertà di religione in un regime di pluralismo confessionale e culturale. Si parla dunque non di laicità in negativo, cioè di mero astensionismo dello stato di fronte al fenomeno religioso, ma di laicità positiva, in cui è compito della repubblica garantire la libertà religiosa con interventi concreti da parte del legislatore statale o regionale che tengano conto delle esigenze religiose delle popolazioni e delle peculiarità dei territori. Poiché la peculiare laicità che secondo la corte costituzionale connota il nostro ordinamento non postula un indifferenza dello Stato dinanzi al fenomeno religioso bensì l'impegno costante a garantire "la massima espansione alla libertà religiosa di cui all'articolo 19 Cost esercitata in forma individuale e associata”, il riconoscimento del diritto alle edificio di culto esige dallo Stato medesimo interventi positivi e concreti volti per rispondere all'esigenze di culto della popolazione sul territorio. Il diritto all'edificio di culto involge poi anche altri diritti fondamentali tutelati dalla nostra carta costituzionale, quali l'articolo 17 (diritto di riunione), articolo 18 (diritto di associazione), articolo 21 (libertà di pensiero). Punto nevralgico di questo tema è quello di garantire alle diverse confessioni condizioni di accesso ai luoghi di culto non discriminatori, in ragioni delle quali libertà di cui all’Art 8 Cost nonché in virtù del principio di uguaglianza costituzionale e sostanziale di cui all’Art 3, a norma del quale non è sufficiente la mera parità di trattamento in senso formale ma si impone invece necessaria la rimozione sostanziale delle condizioni che concorrono al progresso materiale e morale della società. Altrettanto significativo è il collegamento di questo diritto con l’Art 2 Cost, in quanto si vede che l’EDIFICIO non è semplicemente considerato servente rispetto alle esigenze confessionali, ma è inteso come uno spazio fisico che consente di realizzare la vita comunitaria delle confessioni religiose ed esprimere la tendenza alla socializzazione che contraddistingue l’uomo e che trova tutela nel suddetto articolo. Caratteri del diritto a un luogo di culto Rispetto ad essi ci si è chiesti se questo diritto si configura come diritto INDIVIDUALE o come spettante alla CONFESSIONE RELIGIOSA. Il diritto a disporre di un edificio di culto è anche un diritto multidimensionale, nel senso che consente la realizzazione di una pretesa individuale del fedele ma si colloca in una dimensione necessariamente collettiva, spettando ai singoli in ragione di quelle che sono le loro esigenze diffuse—> due ragioni: • da una parte questo diritto è strumentale alla realizzazione al diritto del singolo fedele, perchè il momento comunitario è associativo ed è anche espressione della libertà del singolo, e perciò sede privilegiata dell’espressione della personalità del singolo • dall’altro lato si è rilevato che tale diritto si pone in una dimensione prettamente collettiva, spettando sì ai singoli ma in ragione di quelle che sono le loro esigenze diffuse. Si tratta quindi di un diritto individuale dei singoli che però sorge nell’ipotesi in cui assuma un rilievo collettivo, escludendosene la titolarità in capo alla confessione, la quale semmai può assumere la funzione di ente esponenziale degli interessi dei fedeli. ➪QUINDI: La disponibilità degli edifici di luoghi di culto da adibire alla celebrazioni di riti è un elemento necessario per assicurare effettivamente non solo al singolo ma anche alla comunità del vaticano il singolo esercizio del loro credo. Qual è l’oggetto di un luogo di culto? DUE VISIONI: 1. visione “a maglie larghe”—> questa visione è sostenuta da una parte della dottrina, secondo cui un logo di culto o un edificio di culto sarebbero tutte quelle posizioni o parti di esse intenzionalmente erette allo dopo di svolgervi attività religiose. IN questa accezione vi rientrerebbero dunque anche sale o altri locali che occasionalmente o temporaneamente vengono adibiti all’esercizio del culto anche pubblico 55 Angelica Ricci 2. visione “a maglie strette”—> questa viisone è sostenuta invece dalla giurisprudenza (soprattutto quella amministrativa), che distingue tra il luogo di culto in senso proprio da un qualsiasi luogo di preghiera generalmente inteso. Secondo tale accezione, affinchè si possa riscontrare un luogo di culto non è sufficiente che un certo luogo dia deputato all’esercizio della libertà costituzionale nè che tale esercizio sia svolto in modo individuale o occasionale, ma è necessario che il luogo di culto sia stabilmente devoluto all’esercito collettivo del culto attraverso un’apertura pubblica e senza limiti di partecipazione. Di seguito alcune sentenze dei TAR che esplicitano meglio il punto: • Sent.TAR Lombardia. 522/2013—> Sottolinea che sarebbero necessari due requisiti ai fini dell’identificazione di un luogo di culto: uno INTRINSECO, dato dalla presenza di determinati arredi sacri), l’altro ESTRINSECO, costituito dal voler accogliere tutti coloro che vogliono mostrarsi alle pratiche svolte in questi luoghi consentendole a tutti i fedeli. • Sent. TAR Lombardia 7050/2010—> Esclude che la sede di un’associazione destinata saltuariamente all’esercizio privato e riservato del culto anche da parte di una pluralità di persone possa essere qualificata come edifico di culto in senso proprio. LA DISCIPLINA SPECIALE DEGLI EDIFICI DI CULTO Nel nostro ordinamento gli edifici di culto hanno goduto e tuttora godono di particolari disposizioni che vengono a essere coerenti con la funzione propria di tali beni immobili in relazione all’effettivo esercizio del diritto di libertà religiosa. Queste norme si riscontrano anzitutto nelle leggi di derivazione pattizia e nella legge n. 1159/1929 sui culti ammessi. —> LEGGI DI DERIVAZIONE PATTIZIA: l'accordo di modificazione del 1984 riprende sostanzialmente la disciplina del concordato del 1929 limitando il potere della pubblica amministrazione in materia di atti ablativi reali che abbiano ad oggetto chiese ed altri edifici aperti al culto. L’Art 9 e l’Art 10 del Concordato del 1929 sono da prendere in considerazione: l’art 9 statuiva che gli edifici aperti al culto erano esentati da requisizioni e occupazioni, e inoltre specificava che l’occupazione con grave necessità era possibile regio accordo con l’ordinario del luogo salvo che si fossero opposte ragioni di assoluta urgenza. Inoltre statuiva infine che la forza pubblica non poteva entrare per l’esercizio della sue funzioni senza previo avviso all’autorità ecclesiastica negli edifici aperti al culto, se non in caso di urgenza. L’art 10 invece prevedeva il divieto di demolizione degli edifici aperti al culto, se no previo accordo con la competente autorità ecclesiastica. Da questo divieto si poteva trarre anche un altro aspetto, cioè che una chiesa aperta al culto non poteva essere sottoposta a espropriazione per pubblica utilità, se non previo accordo con l’ordinario della diocesi, il quale in caso avesse dato il suo assenso, avrebbe adottato i provvedimenti canonici di sconsacrazione. Con l’accordo di revisione del 1984 (Accordo di Villa Madama) la Repubblica italiana e la santa Sede hanno riconosciuto la possibilità di addivenire alla modificazione consensuale del Concordato: all’art 5 prevede che: a) gli edifici aperti al culto non possono essere requisiti, occupati, espropriati o demoliti se non per gravi ragioni e previo accordo con la competente autorità ecclesiastica; b) Salvo i casi di urgente necessità, la forza pubblica non potrà entrare, per l'esercizio delle sue funzioni, negli edifici aperti al culto, senza averne dato previo avviso l'autorità ecclesiastica; c) L'autorità civile terrà conto delle esigenze religiose delle popolazioni, fatte presenti dalla competente autorità ecclesiastica, per quanto concerne la costruzione di nuovi nuovi edifici di cultura cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali—> quest’ultima previsione determinerebbe una parziale compressione della discrezionalità amministrativa dell'autorità civile competente ad autorizzare la costruzione di nuovi edifici di culto cattolici e opere parrocchiali. Quest'ultima infatti, pur non risultando vincolata ad alcuna determinazione, risulterebbe condizionata all'esigenze religiose della popolazione e dovrebbe necessariamente tener conto del giudizio dell'autorità ecclesiastica in relazione ad esse. A proposito di quest’ultimo comma, nuovo rispetto alla precedente disciplina (art 9 e 10), si è affermato che esso non implica una rinuncia alla discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa statale, ma da rilievo alla circostanza che la costruzione dei nuovi edifici di culto cattolico sia subordinata alle esigenze religiose delle popolazioni riconoscendo all’autorità ecclesiastica la funzione di valutazione e prospettazione di tali esigenze, in un’ottica di riduzione dell’area di discrezionalità amministrativa dell’autorità civile. Si tratterebbe di un caso di discrezionalità mista, caratterizzata dalla presenza di un giudico tecnico afferente al merito 56 Angelica Ricci dell’azione che non impone all’autorità civile alcun obbligo di emanare il provvedimento. Questa è la disciplina pattizia relativa alla chiesa cattolica —> CONFESSIONI DIVERSE DALLA CATTOLICA DOTATE DI INTESA: nelle intese sono adottate norme analoghe a quelle appena viste per gli edifici cattolici, ad esempio il divieto di occupazione, requisizione, espropriazione, demolizione e ingresso della forza pubblica si ritrova nell’intesa con la chiesa avventista, evangelica luterana e con l’Unione delle comunità israelitiche italiane. Quest’ultima intesa ha però un quid pluris rispetto alle altre perchè prevede all’art 15 co. 1 un vincolo di destinazione degli edifici destinati all’esercizio pubblico del culto ebraico analogo a quello contenuto nel secondo comma dell’art 831 c.c. per gli edifici destinati al culto cattolico. —> CONFESSIONI DIVERSE DELLA CATTOLICA PRIVE DI INTESA (A-CATTOLICHE): La L. 1159/1929, fonte di questo tema, nulla dispone sugli edifici di culto ma si limita solo a dichiarare all’Art 1.2 che l’esercizio anche pubblico di tali culti è libero. Maggiori dettagli offre invece la disciplina del regio decreto attuativo della legge sui culti ammessi, n. 289/1929, che originariamente prevedeva all’art 1 e 2 che: • Art 1: prevedeva (e non prevede) che i fedeli di uno dei culti ammessi possono avere un proprio tempio o oratorio per l’esercizio pubblico dei culti, ma subordinandone l’apertura ad una autorizzazione del capo dello stato, rilasciata al termine di un procedimento discrezionale della P.A., la quale era chiamata a valutare se il tempio o l’oratorio fosse: necessario a soddisfare effettivi bisogni religiosi di importanti fedeli e dall’altro se fosse fornito di mezzi sufficienti per sostenere le spese di manutenzione. Dalla formulazione di questa norma si evince che non vi era un diritto soggettivo all’apertura di un luogo di culto da parte di queste confessioni, ma vi era un mero interesse legittimo non facilmente tutelabile, perchè non era facilmente probabile l’illegittimità di un eventuale rifiuto della P.A. per eccesso di potere. • Art 2: prevedeva che i fedeli diversi dal culto cattolico potessero riunirsi “senza una preventiva autorizzazione dell’autorità governativa solo se sussistevano due condizioni: che la riunione si tenesse in un edificio autorizzato a norma dell’Art 1 e che fosse presieduta o autorizzata da un ministro di culto la cui nomina fosse stata APPROVATA ai sensi della legge dei culti ammessi”. Mancando uno di questi due requisiti, la riunione era disciplinata dalle norme comuni delle pubbliche riunioni, che prevedevano che i promotori di una riunione in un luogo pubblico o aperto al pubblico ne dovessero dare avviso al questore almeno 3 giorni prima. Questo corpus normativo è stato tuttavia dichiarato illegittimo dalla corte cost con la sentenza 59/1958, questo perchè per la prima volta la Corte opera una distinzione molto chiara tra "libertà di esercizio dei culti a-cattolici come manifestazioni della fede religiosa” (art 19 cost) e “organizzazioni delle varie confessioni per quanto attiene ai loro rapporti con lo stato” (art 8 cost). Queste due esigenze, pur connesse, troverebbero il propio referente costituzione in due diverse disposizioni della costituzione, gli artt. 8 e 19. Stante tale distinzione la corte censura ogni interferenza tra i due piani, affermando che dalla scelta di una confessione religiosa di non regolare i propri rapporti con lo Stato mediante un'intesa ex art 8 comma 3 Cost (o dall’impossibilità di farlo) non possono derivare conseguenze pregiudizievoli per il libero esercizio della libertà religiosa da parte di coloro che vi aderiscono. La corte sottolinea che con l’art 19 il legislatore costituente ha inteso riconoscere la massima espansione della libertà religiosa, comprandovi si esercizio pubblico di culto che l’apertura di templi e oratori; l’art 8 invece assolve a una diversa funzione, quella di stabilire le modalità attraverso le quali ciascuna confessione può regolare la propria organizzazione interna e io propri rapporti con lo stato sulla base di intese. La corte quindi afferma che tra l’Art 19 e 8 Cost vi una differenza non solo di inderogabilità ma anche di ESTENSIONE: infatti la libertà religiosa viene intesa come un bene bisognoso della massima espansione possibile investendo tutte le manifestazioni nelle quali si manifesta l’espressione del sentimento religioso con il solo liste del buon costume. la possibilità di organizzarsi secondo i propri statuti e di manifestare intese con lo stato ha una portata più limitata, la quale attiene soltanto alle esigenze della confessione in sè senza toccare invece l’aspetto della libertà individuale collettiva di culto. Inoltre la corta sottolinea in questa sentenza che mente al liberà individuale o collettiva di culto ha una portata generale , imponendosi a tutti i consociati e ai pubblici poteri, e non è derogabile, la stipula di intese si colloca sul piano della mera facoltà e non dell’obbligo per la confessione religiosa. Questo significa che una determinata confessione religiosa potrà sempre scegliere di regolare o di non regolare i propri rapporti con lo stato, ma laddove per propria scelta voglia rinunciare a questa 57 Angelica Ricci Il combinato disposto degli artt. 2 e 11 della l. n. 222 del 1985 consente, infatti, il riconoscimento civile come enti “CHIESA” a quegli edifici che, oltre ad essere effettivamente destinati al culto e a collocarsi in Italia: - non sono annessi ad altro ente ecclesiastico ma siano stati “eretti” dall'autorità ecclesiastica come persone giuridiche canoniche (rettorie) o approvati in altre forme - sono aperti al pubblico culto - sono forniti dei mezzi sufficienti per la manutenzione e l'officiatura, come richiede la loro natura di enti essenzialmente fondazionali. È interessante notare come, ai fini del riconoscimento civile di un ente chiesa sia del tutto irrilevante la proprietà dell'edificio di culto e, dunque, un privato ben può essere proprietario di un edificio riconoscibile come ente ecclesiastico e non ne perde la proprietà ancorché questo venga effettivamente riconosciuto come tale. L’AMMINISTRAZIONE DEGLI EDIFICI DI CULTO: LE FABBRICERIE In genere le chiese sono amministrate da “colui che regge immediatamente la persona cui le stesse appartengono” (vescovo, parroco, rettore ecc) ovvero dalla persona fisica che ne è il proprietario. Non è così quando esiste una fabbriceria = enti di natura fondazionale il cui substrato è costituito da una massa patrimoniale (fabrica ecclesiae) destinata alla manutenzione e alla conservazione di una chiesa (si possono chiamare anche “opera”, “cappella” ecc a seconda delle ragioni storiche o geografiche). Di difficile inquadramento è la NATURA giuridica di tali enti, che non sono “ecclesiastici civilmente riconosciuti” e che intrecciano nelle loro finalità, struttura e azione, caratteri sia di soggetti di diritto privato che di diritto pubblico; d’altro canto la loro diversificata e peculiare genesi storica suggerisce l’opportunità di considerare ciascuna fabbriceria come un ente sui generis. L’amministrazione delle fabbricerie e la gestione dei loro patrimoni per il perseguimento del peculiare scopo che le contraddistingue è affidata ad un consiglio costituito da laici, da ecclesiastici o di composizione mista (consilium fabricae). Le fabbricerie si distinguono in maggiori o minori: • MAGGIORI—> gestiscono una chiesa cattedrale o in edificio di culto dichiarato di rilevante interesse storico o artistico. Il consiglio di amministrazione è composto da 7 membri nominati per un triennio, 2 dal vescovo diocesano e 5 dal Ministro dell’Interno, sentito lo stesso vescovo. Anche illo statuto è approvato con decreto ministeriale, sentito il vescovo. • MINORI—> è affidata loro una chiesa che non abbia queste caratteristiche. Il consiglio di amministrazione è composto dal parroco o dal rettore dal chiesa e dal altri 4 membri nominati per un triennio dal prefetto, d’intesa con il vescovo diocesano. Il loro regolamento è approvato dal vescovo. La disciplina degli enti in parola deve essere rivenuta negli artt 15 e 16 della legge 848/1929: tra i contenuti di questa disciplina due sono importanti: il principio di NON INGERENZA della fabbriceria nei servizi del culto, competendo ad essa esclusivamente le funzioni previste dall’art 73 dPR 33/1987; la VIGILANZA e TUTELA sulle fabbricerie affidata all’autorità prefettizia. Le fabbricerie si estinguono: • per soppressione • con decreto del Ministro dell’interno adottato d’intesa con il vescovo diocesano e udito il consiglio di stato, se l’ente non dispone più di beni da amministrare per il perseguimento del proprio scopo • quando sia priva di personalità giuridica: la fabbriceria cessa di esistere anche se la chiesa che amministra perde la personalità giuridica (estensione è accertata con decreto del ministro dell’interno) LA DESTINAZIONE AL CULTO PUBBLICO La qualificazione degli edifici finalizzata nel senso voluti dall’art 831 co.2 deve avvenire sul base di un disciplina derogatoria speciale; la verifica dei presupposti per l'applicazione della norma deve essere infatti necessariamente effettuata alla luce del codice di diritto canonico, essendo la deputatio ad cultum un atto proprio dell'autorità ecclesiastica. Nello specifico tale destinazione deve essere provata mediante un apposito documento, da redigere contestualmente alla dedicatio o benedictio e conservare nei modi indicati, documento che non ammette equipollenti. Pertanto in difetto del documento richiesto che deve avere il contenuto sopra illustrato non può ritenersi sussistente la dedicatio ad cultum publicum: edificio ancorché destinato, perfino 60 Angelica Ricci abitualmente, al culto, ma non benedetto o dedicato, non è luogo sacro dal punto di vista del diritto confessionale, è come tale non soggiace alla disciplina di cui all'articolo 831.2 c.c.. Già si diceva tuttavia che la sola benedizione o consacrazione canonica di un edificio, sebbene necessaria, non è sufficiente ai fini dell'applicazione della norma codiciale, poiché a questa deve necessariamente aggiungersi l'effettiva e regolare fruibilità dell'edificio da parte dei fedeli cattolici o comunque dei soggetti interessati allo svolgimento dell'attività cultuale. Lo impone sia quel principio di effettività che regola la materia dei corpi morali nell'ordinamento dello Stato, e lo esige anche la specifica ratio dell'articolo 831 comma due, norma con cui legislatore ha riconosciuto come meritevole di una specifica tutela il soddisfacimento dei bisogni culturali di quanti si avvalgono di una chiesa o di un altro edificio di culto cattolico e a garantito, anche per la sua rilevanza sociale, lo svolgimento della relativa attività all'interno del medesimo. Pertanto, gli interessati non devono provare innanzi al giudice civile solo la dedicazione o la benedizione, ma che l'edificio sia in actu destinato all'esercizio pubblico del culto, posto che i limiti al diritto di proprietà divengono effettivi nella misura in cui sia reale tale destinazione. L'atto religioso è il presupposto della destinazione al culto divino di un luogo e può costituire una presunzione della destinazione stessa, ma la prova sarà data dall'effettivo esercizio del culto pubblico conseguente ai suddetti atti. In forza della previsione dell'articolo 831.2, la DESTINAZIONE AL CULTO PUBBLICO diviene caratteristica intrinseca ed essenziale dell'edificio e ne accompagna e segna vicende giuridiche, non solo dal punto di vista del diritto della chiesa ma altresì da quello dello Stato. In particolare sorge su di esso un un vincolo legale di destinazione, che attribuisce all'autorità ecclesiastica un diritto reale di godimento sul medesimo e che, specularmente, costituisce un limite al diritto di chi è il proprietario. Concretamente, la previsione dell'articolo 831.2 c.c.: a) Sottrae l'edificio all'influenza delle vicende traslative: gli edifici destinati al culto pubblico possono essere alienati e acquistati, sequestrati o pignorati, senza che ciò incide alcun modo sulla persistenza della destinazione; b) Prescrive al proprietario di non impedire, limitare ad ostacolare in alcun modo l'autorità ecclesiastica, i chierici preposti all'officiatura e i fedeli in tutto ciò che risulti necessario o utile per l'esercizio del culto all'interno dell'edificio; si può dunque affermare che egli debba tenere, rispetto all'utilizzo dell'edificio, un comportamento non in contrasto con l'esigenze del culto. Quando tale contrasto però non sussista il diritto di proprietà torna ad espandersi consentendo al proprietario di usare l'edificio in tutti modi e per tutte le attività compatibili con la destinazione culturale; c) Impone l'obbligo di conservazione della destinazione, fino a quando non venga meno sulla base delle norme di diritto canonico. Tali conseguenze si estendono anche alle PERTINENZE degli edifici di culto, cioè a tutto ciò che è funzionalmente e subordinatamente vincolato adesso (sagrestia, battistero, campanile, eccetera)—> a conferma di ciò: - Art 818 c.c., secondo cui atti rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono, ove non diversamente disposto, anche le pertinenze - art 1 del d.lgs.. 649/1947, ove esplicitamente si afferma che "sono considerati edifici di culto i campanili, i locali annessi e quelli comunque pertinenti alle chiese purché adibiti ad uso di ministero pastorale, di ufficio, di abitazione delle ecclesiastici addetti al servizio delle chiese stesse”. Inoltre, occorre avvertire che se l'edificio di culto può essere pignorato conservando la sua destinazione, i beni mobili destinati al culto che si trovano in esso non lo possono essere, ancorché ne siano pertinenze, e dovrebbero seguire ai sensi dell'articolo 818 c.c., il regime del bene principale. Infatti, come eccezione prevista dalla stessa norma generale ora richiamata, l'articolo 514 n.1 c.p.c. prevede che siano assolutamente impignorabili “le cose mobili sacre e quelle che servono all'esercizio del culto”: per comprendere quali siano specificatamente questi beni ci si deve rivolgere all'ordinamento della chiesa, cioè lo Stato presuppone la qualifica di cosa sacra, o che serve all'esercizio del culto, quale elaborata dal diritto della chiesa. Per quanto concerne la legittimazione processuale all'azione per far valere l'effettiva destinazione dell'edificio al culto pubblico in sede petitoria e in sede possessoria, dobbiamo distinguere se: 61 Angelica Ricci • se HA personalità giuridica: in questo caso la legittimazione processuale è attribuita a norma dell'articolo 75 c.p.c. a coloro che, secondo la legge lo statuto dell'ente, hanno il potere di agire in suo nome nei confronti dei terzi (rettore o il suo legittimo superiore) • se NON HA personalità giuridica: in questo caso (art 72.3 c.p.c. + art 36.2 c.c.) l’edificio può stare in giudizio nella persona a cui, secondo statuto o accordo, ne è conferita la direzione e la presidenza. È il caso tipico della chiesa parrocchiale, che non può avere autonoma personalità giuridica civile in quanto annessa all'ente parrocchia e che è rappresentata dal parroco, amministratore unico e legale rappresentante della parrocchia stessa; è anche il caso della chiesa di proprietà di un soggetto distinto dalla comunità che celebra la liturgia che è rappresentata da colui cui è affidata la responsabilità pastorale della stessa comunità, sulla base di quanto stabilisce la convenzione per la concessione in uso dell'edificio stipulata con il proprietario. Le leggi sulla cessazione della destinazione al culto a cui fa riferimento alla normativa civilistica sono quelle previste dal diritto canonico: rinviare al diritto della chiesa non significa assumere un atteggiamento confessionista, ma significa al contrario riconoscere e attuare quel principio supremo di laicità dello Stato che, secondo la corte costituzionale, implica non indifferenza nei riguardi del fenomeno religioso, ma garanzia per la salvaguardia della libertà di religione del singolo come dei gruppi sociali, in un regime di pluralismo confessionale e culturale e di cooperazione fra ordinamenti. Questa interpretazione è confortata anche dall'articolo 15.1 della L. 101/1989 (approvazione dell’intesa con l’Unione delle Comunità ebraiche), ai sensi della quale “gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto ebraico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata con il consenso della Comunità competente o dell’Unione”. È solo il consenso dei competenti organi confessionali, emesso secondo le norme proprie delle comunità o dell'unione, che determina la cessazione al culto pubblico dell’edificio. Questo non vuol dire che non vi possa essere un atto che certifichi agli effetti civili la determinazione confessionale, in modo analogo alle norme sulla soppressione degli enti, in cui la soppressione e l'estinzione degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti acquista efficacia civile mediante l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche del provvedimento dell'autorità religiosa competente che sopprime l'ente o ne dichiara avvenuta l'estinzione: in tale ipotesi lo Stato considera efficace il contenuto dell'atto giuridico religioso presupponendolo. Infine l’art 53.2 della L. 222/1985, in forza della quale gli edifici di culto E le pertinenti opere parrocchiali costruiti con contributi regionali e comunali non possono essere sottratti alla loro destinazione, neppure perfetto di alienazione, se non sono decorsi vent'anni dall'erogazione del contributo. Tale vincolo, differente e speciale rispetto a quello dell'articolo 831 comma 2 c.c., è trascritto nei registri immobiliare può essere estinto prima del compimento del termine, d'intesa tra autorità ecclesiastica e autorità civile erogante, previa restituzione delle somme percepite a titolo di contributo in proporzione alla riduzione del termine, e con rivalutazione secondo l'indice ISTAT dei prezzi di consumo per le famiglie di operai e impiegati.gli atti e negozi di comportino una violazione del suddetto vincolo sono nulli. L’EDILIZIA DI CULTO NEL DIRITTO VIVENTE: COMPETENZE REGIONALI, FINANZIAMENTO E GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE Lo stato italiano non si limita a un’astratta e generica tutela del diritto a disporre di un edificio di culto riconosciuto dalla nostra costituzione, ma la sua azione è positivamente rivolta a rendere effettivo tale diritto e a rimuovere quegli ostacoli che possano impedirne la concreta affermazione. Rientra, dunque, tra i compiti dello Stato, a tutti i livelli territoriali, “provvedere che sia consentito a tutte le confessioni religiose di poter liberamente esplicare la loro attività (cultuale), anche individuando aree idonee ad accogliere i fedeli” e sostenendo finanziariamente la costruzione dei loro edifici di culto. In particolare, afferendo materialmente all'urbanistica e all'edilizia, la disciplina dell'edilizia di culto rientra, a norma dell’art 177 cost, nella materia di tra lo Stato e le regioni del «governo del territorio», come confermato dal d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 che include gli edifici di culto tra le opere pubbliche le cui funzioni sono conferite alle regioni. Nella costruzione dell’identità della persona, l’appartenenza religiosa gioca un ruolo cruciale che è riconosciuto in molti degli statuti regionali affermatisi dopo il 2001, cioè dopo la riforma del titolo V. Essi fanno riferimento al patrimonio religioso regionale, alla convivenza religiosa, alla laicità ecc sulla scorta dell’idea che il livello di governo locale possa essere, proprio per la sua prossimità ai 62 Angelica Ricci autorità civili che regolano gli impegni finanziari per la costruzione di edifici di culto cattolico e delle pertinenti opere parrocchiali» (art. 53, comma 1) e ad abrogare leggi previgenti che disponevano speciali finanziamenti per la costruzione di chiese ed edifici di culto (art. 74). Questo mancato esercizio del potere di coordinamento e di indirizzo in capo allo Stato, ha consentito un disomogeneo sviluppo della legislazione regionale in materia contraddistinto da livelli diversi di attuazione del diritto all'edificio di culto, e dunque del diritto di libertà religiosa, tra le diverse aree territoriali del Paese. Non solo, la mancata determinazione di unitari criteri e condizioni di riferimento ha lasciato ampio spazio all'approvazione di norme regionali di carattere discriminatorio che, a più riprese, hanno reso necessario l'intervento della Corte Costituzionale volto a ristabilire l'«eguale libertà» tra le confessioni religiose. Consideriamoli nel dettaglio. I giudici sono intervenuti—> la questione di legittimità cost dell’art 31 bis è stata ritenuta inammissibile ma la legittimità dell’art 31 ter è stata ritenuta fondata. Questa disciplina non sarebbe di per sè illegittima se rispettasse due condizioni: perseguire lo scopo del corretto insediamento comunale delle attrezzature religiose; che tenga conto della necessità di favorire l’apertura di luoghi di culto destinate alle diverse comunità religiose. La norma impugnata non risponde a nessuno di questi due requisiti in quanto essa, subordinando in modo assoluto l’installazione delle attrezzature religiose all’esistenza di un PAR, ostacola l’edificazione di luoghi di culto. Il fatto di riguardare indistintamente ed esclusivamente tutte le nuove attrezzature religiose, a prescindere dal loro carattere pubblico o privato + mentre gli edifici di culto sarebbero soggetti a questi vincoli, altre opere di urbanizzazione secondaria sfuggirebbero solo perchè non hanno carattere religioso. la consulta ritiene che la contestualità dell’approvazione del PAR fa sì ch elistanzia ???????? ASCOLTO è auspicabile un intervento del legislatore statale che determini i principi fondamentali della materia e determini condizioni di accesso??? Primo intervento: Il primo di questi interventi ha riguardato la legge della Regione Abruzzo n. 29/1998, che limitava l'erogazione di contributi regionali per la costruzione di edifici di culto esclusivamente a favore della Chiesa cattolica e delle confessioni religiose che avessero stipulato un'intesa con lo Stato ai sensi dell'art. 8, comma 3, Cost. Con la sentenza 195 del 1993!! (prima sentenza su questa materia!), la Corte Costituzionale, aver stabilito che l'intervento economico pubblico a sostegno dell'edilizia religiosa non si pone di per sé in contra sto con il principio supremo di laicità dello Stato, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della legge abruzzese: essa, infatti, limitando tale intervento economico a favore delle confessioni che avessero regolato i propri rapporti con lo Stato per via pattizia, operava un'ingiustificata discriminazione tra organizzazioni religiose in contrasto anche con il principio costituzionale di eguaglianza. L'«eguale libertà» riconosciuta dall'art. 8 Cost, a tutte le confessioni - sia quelle che hanno stipulato un'intesa sia quelle che non hanno voluto/potuto farlo - non ammette un simile trattamento differenziato in relazione al godimento di benefici che appaiono per loro natura strumentali all'esercizio del culto. I soli aspetti che è consentito alle regioni fare oggetto di apprezzamento discrezionale nell'assumere le determinazioni in ordine all'erogazione dei contributi sono quelli della consistenza e incidenza sociale della confessione religiosa richiedente il finanziamento sul territorio e dell'accettazione da parte della stessa delle condizioni e dei vincoli di destinazione. La corte si è poi soffermata sulla definizione di “confessione religiosa”, e dopo aver escluso la possibilità di ricorrere al semplice criterio dell’autoqualificazione, ha affermato che la natura di confessione deve essere accertata anche alla luce di altri criteri, come i precedenti riconoscimenti pubblici, lo statuto e la comune considerazione. Un volta stabilita la natura di confessione religiosa del soggetto che chiede l’intervento pubblico per la costruzione di un edifica di culto, l’unico aspetto che la regione può valutare in ordine all’erogazione del contributo è quello dell’incidenza sociale della confessione in un determinato luogo e quello dell’accettazione della confessione richiedente i vincoli di destinazione—> il fatto che vi sia o meno un intesa non cambia nulla. Nacque la necessità che altre regioni intervenissero a modificare le proprie leggi che fossero in contrasto con questa aspetti. Qualcuno ha sottolineato che la corte abbia peccato di presbiopia, non prevedendo gli effetti negativi dei limiti della sua decisione. La corte avrebbe potuto, in base alla L. 87/1953, stabilire l’estensione della legittima costituzionale anche ad altre leggi regionali. 65 Angelica Ricci Secondo intervento: Alcuni anni dopo un nuovo intervento della Corte Costituzionale ha confermato la medesima linea interpretativa in relazione alla legge della Regione Lombardia n. 20/1992, che, analogamente a quella abruzzese, limitava l'erogazione dei contributi regionali per la costruzione di edifici di culto alla Chiesa cattolica e alle confessioni dotate d'intesa con lo Stato. Infatti, con la sentenza n. 346 del 2002 che sancisce l'illegittimità costituzionale di tale legge regionale lombarda, viene ribadito lo stretto legame sussistente tra accesso ai finanzia menti pubblici per l'edilizia di culto ed esercizio della libertà religiosa e si afferma nuovamente che le intese «non sono e non possono essere una condizione imposta dai poteri pubblici alle confessioni per usufruire della libertà di organizzazione e di azione [...] né per usufruire di norme di favore riguardanti le confessioni religiose». La corte ha poi considerato priva di fondamento la tesi secondo cui sarebbe confessione religiosa solo quella che ha stipulato un’intesa—> confessione religiosa non è solo quella che ha stipulato un’intesa, perchè la possibilità di stipulare un’intesa non è nella disponibilità della confessione religiosa, non esistendo un diritto delle confessioni di stipulare un’intesa. Il governo gode di una certa discrezionalità nell’avvio delle trattative, ma allo stesso tempo non c’è un obbligo imposto per legge al governo affinchè negozi e concluda intesa con una confessione, e neanche un obbligo del parlamento di legiferare su intese stipulate. Se ciò è vero, è altrettanto vero che l’esistenza di un’intesa non può essere considerato come criterio oggettivo di qualificazione delle organizzazioni richiedenti come confessione religiosa. Non si potrebbe dunque argomentare che la distinzione fondata su requisito di intesa sia necessaria per stabilire qual soggetti possono essere qualificati come confessione religiosa. QUESTE DUE LEGGI REGIONALI SONO UGUALI, MA LA SECONDA DELLA LOMBARDIA AMPLIA I CONCETTI DI QUELLA ABRUZZESE. Terzo intervento: È poi necessario attendere il 2016 e la sentenza n. 63 per che la Consulta torni ad occuparsi di edilizia di culto. Al centro della pronuncia è sempre una legge della regione Lombardia n. 2/2015 che, intervenendo sugli artt. 70 e 72 della l.r. 11 marzo 2005, n. 12, mirava a limitare, se non ad impedire del tutto, l'edificazione sul territorio regionale dei luoghi di culto della religione islamica. In questo caso la Corte costituzionale si è pronunciata con una declaratoria di incostituzionalità (n. 63/2016) dell’art 70 comma 2 bis e 2 quater e dell’art 72 comma 4 lettera e) della legge lombarda 12/2005 come novellata dalla l. lombarda 2/2015 sia per violazione di parametri sostanziali della Carta (artt. 3, 8, 19) che per lesione del riparto di competenze legislative tra Stato e Regioni (art. 117, comma 2, lett. h). A oggi la questione è dibattuta perchè ci si chiede se alcune moschee a Milano creino problemi. Legame tra diritto alla libertà religiosa e diritto ad edificare luogo di culto—> bisogna impedire discriminazioni: la corte ha ribadito che “il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà religiosa ed è riconosciuto a tutte le confessioni religiose, a prescindere dalla stipula di un intesa; gli ostacoli posti alla regione nell’edificazione di un suo luogo di culto sono ostacoli alla stessa libertà religiosa, dei singoli ma anche dei gruppi”. Le argomentazioni di tale sentenza si fondano, ancora una volta, sullo stretto legame sussistente tra la possibilità di edificare luoghi di culto e l'esercizio del diritto di libertà religiosa nonché sulla censura di qualsiasi forma di discriminazione tra confessioni religiose in ragione della stipula di un'intesa: il libero esercizio del culto è un aspetto essenziale della libertà di religione e, pertanto, esso è riconosciuto a tutte le confessioni religiose in eguale misura; ancora, gli ostacoli normativi posti a talune organizzazioni religiose (nello specifico quelle prive d'intesa) nell'edificazione dei loro luoghi di culto sono, in realtà, ostacoli all'esercizio della libertà religiosa dei fedeli che vi appartengono. Sulla base di tale presupposto, la Corte ha giudicato illegittime, in particolare, le disposizioni contenute negli artt. 70 e 72 della l.r. n. 12 del 2005 che prevedevano: la necessità che le richieste per la costruzione di edifici di culto delle confessioni senza intesa fossero vagliate da un'apposita consulta regionale, mai istituita per l'inerzia del governo regionale; la possibilità di revoca della convenzione tra confessione religiosa e comune interessato, nel caso in cui il comune avesse verificato che nel luogo di culto si svolgevano attività diverse da quelle previste nella convenzione; l'obbligo, previsto per gli edifici di culto delle confessioni senza intesa, di dotarsi di attrezzature di videosorveglianza collegate con le forze dell'ordine (quest'ultima previsione, tra l'altro, ricadrebbe nella materia dell'ordine pubblico e della sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato E NON DELLE REGIONI!). Non sono state invece giudicate incostituzionali le norme della medesima legge regionale che consentono di indire un referendum tra la popolazione locale nell'ambito del procedimento di autorizzazione alla costruzione di un edificio di culto (art. 72, comma 4) e che prevedono la necessità che i nuovi edifici di culto siano 66 Angelica Ricci architettonicamente e dimensionalmente congrui alle caratteristiche del paesaggio lombardo (art. 72, comma 7, lett. g). La parziale pronuncia di incostituzionalità delle norme regionali non ha risolto le difficoltà per le comunità islamiche lombarde nell’ottenere i permessi di costruire nuove moschee, infatti rimane l’obbligo per i comuni di dotarsi di un piano di attrezzature religiose, un documento urbanistico di lunga e difficile elaborazione, la mancanza del quale ha reso inutili tutti i progetti già pronti e finanziati dalle diverse comunità islamiche da realizzarsi su terreni che prima della legge erano stati dichiarati idonei a raccogliere luoghi di culto islamici. Quarto intervento: Poco meno di due mesi dopo la pubblicazione della sentenza n. 63 del 2016, la Regione Veneto emanava la legge 12/2016, che introduceva nella 1. r. 23 aprile 2004, gli artt. 31-bis e 31-ter. Il primo attribuiva alla Regione e ai comuni del Veneto, ciascuno nell'esercizio delle rispettive competenze, il compito di individuare “i criteri e le modalità per la realizzazione di attrezzature di interesse comune per servizi religiosi da effettuarsi da parte degli enti istituzionalmente competenti in materia di culto della Chiesa Cattolica, delle confessioni religiose, i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'articolo 8 : terzo comma, della Costituzione, e delle altre confessioni religiose»; invece l'art. 31-ter prevedeva, tra l'altro, che colui che richiedeva il permesso di realizzare attrezzature di interesse comune per servizi religiosi dovesse sottoscrivere con il Comune interessato una convenzione urbanistica con- tenente un impegno fideiussorio, nella quale poteva «altresì, essere previsto l'impegno ad utilizzare la lingua italiana per tutte le attività svolte nell’a attrezzatura stessa, che non [fossero] strettamente connesse alle pratiche rituali di culto». LE INTESE NON SONO MAI UNA CONDIZIONE IMPOSTA DAI PUBBLICI POTERI ALLE CONFESSIONI RELIGIOSE PER PERMETTERGLI DI AVERE LIBERTÀ DI ORGANIZZAZIONE, perchè a prescindere dalla stipula di intese l’eguale libertà di azione e organizzazione è garantita dai primi due commi dell’art 8 cost e dall’art 19 (esercizio della libertà religiosa in forma associata). La sentenza costituzionale n. 67 del 2017 ha ritenuto l'art. 31-bis non in contrasto con le norme a presidio dell'uguaglianza e della libertà religiosa, in quanto tale disposizione “nel riconoscere alla Regione e ai Comuni il compito di individuare i criteri e le modalità per la realizzazione delle attrezzature religiose, prende in considerazione tutte le diverse possibili forme di confessione religiosa - la Chiesa Cattolica, le confessioni religiose i cui rapporti con lo Stato siano disciplinati ai sensi dell'art. 8, terzo comma, Cost., e le altre confessioni religiose - senza introdurre alcuna distinzione in ragione della circostanza che sia stata stipulata un'intesa con lo Stato”. Di diverso avviso è, invece, la Corte quanto al disposto dell'art. 31-ter e, in particolare, al «requisito della lingua italiana», che viene giudicato palesemente irragionevole e incongruo. Secondo la sentenza del 2017, infatti, una simile previsione eccede rispetto agli interessi che la Regione ha facoltà di regolare nell'ambito della sua competenza concorrente in materia di governo del territorio e introduce un obbligo “del tutto eccentrico” rispetto alle attribuzioni costituzionali delle competenze regionali operate dall’art 117. Nell’esercizio di tali competenze possono essere imposte delle limitazioni necessarie a garantire le finalità di governo del territorio, ma la consulta ritiene che “qualora lo scopo fosse quello affermato di favorire l’integrazione di tutti quelli appartenenti alla comunità, tale finalità non può legittimamente ritenersi una misura strettamente necessaria”. Il requisito della lingua italiana, poi, a fronte dell'importanza della lingua quale elemento di identità individuale e collettiva, veicolo di trasmissione di cultura ed espressione della dimensione relazionale della personalità umana, difetta di un rapporto chiaro e di stretta strumentalità e proporzionalità rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti. Secondo questa sentenza non si può escludere la possibilità che lo stato regoli in modo differenziato i rapporti con le confessioni religiose—> principio di uguaglianza sostanziale. Quinto intervento: Merita, infine, di essere richiamata la sentenza n. 254 del 2019 con cui il Giudice delle leggi è torriato nuovamente a valutare alcuni profili di legittimità costituzionale della legge della Regione Lombardia n. 12 del 2005, in particolare dell'art. 72, commi 1, 2 e 5. Tali commi prevedevano che: Comma 1: “le aree che accolgono attrezzature religiose o comunque le aree che sono destinate alle attrezzature stesse sono specificamente individuate in un apposito piano denominato piano delle attrezzature religiose (PAR), dove vengono dimensionate e disciplinate sulla base delle esigenze locali” Comma 2: “l’installazione di nuove attrezzature religiose presuppone il PAR, senza del quale non può essere installata nessuna nuova attrezzatura da parte delle confessioni religiose” 67 Angelica Ricci pastorali che si svolgono all'interno dell’immobile. Al FEC spetta invece l'onere della manutenzione STRAORDINARIA. A questo riguardo va rilevato che la progettazione e la realizzazione delle opere edilizie necessarie al raggiungimento dei propri fini istituzionali (conservazione, restauro e tutela degli edifici di sua proprietà) sono affidate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, fatte salve le necessarie competenze del Ministero per i beni e le attività culturali. Qualora cessi la destinazione dei locali suddetti per attività di culto, religiose o pastorali, l'ente ecclesiastico decade dalla concessione. Può tuttavia mantenere il possesso dei locali per il tramite di un ordinario rapporto di locazione, con le modalità previste dal d.P.R. 8 dicembre 2007, n. 276. I beni culturali di proprietà del Fondo edifici di culto, premessa la previa e necessaria osservanza delle norme di tutela, conservazione e valorizzazione previste dal Codice dei beni culturali, non possono essere utilizzati per fini diversi da quelli cui sono destinati senza l'autorizzazione del Ministero dell'Interno. L'autorizzazione può essere data, sentito il consiglio di amministrazione del FEC, quando ricorrano ragioni o circostanze di particolare rilevanza, nazionale o di internazionale, sotto il profilo culturale o artistico.l'inosservanza di tale divieto di utilizzazione di forme da parte di chi abbia in concessione il bene comporta la decadenza della concessione e l'obbligo di immediata restituzione del bene, salvo il risarcimento in favore del FEC dei danni eventualmente subiti dal bene stesso. I BENI CULTURALI DI INTERESSE RELIGIOSO L'art. 12 dell'Accordo di Villa Madama, dopo aver proclamato in modo programmatico che la Santa Sede e la Repubblica italiana, nel rispettivo ordine, collaborano per la tutela del patrimonio storico ed artistico, statuisce che, al fine di armonizzare l'applicazione della legge italiana con le esigenze di carattere religioso, gli organi competenti delle due Parti si sarebbero impegnati a concordare le opportune disposizioni per la salvaguardia, la valorizzazione e il godimento dei beni culturali d'interesse religioso appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche. Fermo restando che la tutela del patrimonio storico e artistico è di spettanza della Repubblica ai sensi degli artt. 9 e 117 Cost., si è stabilito non un trasferimento di competenze normative dalla legge dello Stato a una fonte diversa di origine pattizia, la quale avrebbe peraltro comportato la non ulteriore applicabilità della legge stessa, ma si sono volute delineare le modalità di un necessario coordinamento fra entità che, a titolo diverso, vantano competenze altrettanto diverse su un medesimo oggetto. II 13/9/1996 si è così giunti ad un PRIMO ACCORDO PATTIZIO in questa materia: un'intesa di natura procedimentale e regolamentare stipulata tra il Ministro per i beni culturali i e ambientali e il Presidente della Conferenza episcopale italiana; un accordo che non prevedeva concrete forme di cooperazione, ma le modalità attraverso cui si sarebbe potuto dar vita a tali forme per attuare le norme statali, con quella flessibilità che consentisse di tener conto delle esigenze di carattere religioso da soddisfare per il tramite di un corretto uso dei beni culturali. Tale intesa, anche in ragione dell'entrata in vigore del nuovo Codice dei beni culturali, è stata successivamente sostituita da una seconda intesa stipulata, sempre dai medesimi soggetti, il 26 gennaio 2005, e resa esecutiva nel nostro ordinamento con d.P.R. 4 febbraio 2005, n. 78. —> Art 1.1: Quest’ultimo accordo ha determinato che gli organi chiamati a collaborare siano, in sede centrale, il Ministro per i beni e le attività culturali o, secondo le rispettive competenze, i capi dei dipartimenti o i direttori generali del dicastero da lui designati, da una parte, e il Presidente della CEI o persone da lui delegate, dall'altra; in sede regionale i direttori regionali e i Presidenti delle Conferenze episcopali regionali o le persone eventualmente delegate dai Presidenti stessi; e, in sede locale, i Soprintendenti e i vescovi diocesani o le persone delegate dai vescovi —> Art 1.4: La collaborazione tra ordine religioso e ordine politico in materia di beni culturali sarà così attuata in varie forme. Sono previste apposite riunioni per informarsi reciprocamente delle iniziative che le parti intendono intraprendere, e per definire programmi e proposte annuali o pluriennali di interventi a favore dei detti beni, con la previsione dei connessi piani di spesa —> Art 2.3: Posto peraltro che l'inventariazione e la catalogazione dei beni culturali mobili e immobili di interesse religioso costituiscono il fondamento conoscitivo essenziale di ogni successivo intervento, la CEI collabora all'attività di catalogazione di tali beni curata dal Ministero; a sua volta il Ministero assicura, ove possibile, il sostegno all'attività di inventariazione promossa dalla CEI, e le Parti garantiscono il reciproco accesso alle relative banche dati. 70 Angelica Ricci Per l'attuazione delle forme di collaborazione previste, il Ministero e la CEI possono stipulare appositi e specifici accordi. —> Art 3: Al finanziamento degli interventi e delle iniziative è previsto che intervengano lo Stato, le istituzioni e gli enti ecclesiastici interessati e, eventualmente, i terzi. —> Art 4: Inoltre, nello svolgimento di tutte le attività menzionate è assicurata tra le parti la più ampia informazione. —> Art 5: È altresì previsto che le richieste di intervento per restauri, conservazione, autorizzazione, anche di beni appartenenti ad associazioni religiose, sono presentati dai vescovi diocesani territorialmente competenti ai Soprintendenti del luogo. Se responsabile dei beni culturali degli enti ecclesiastici è l'amministratore dell'ente che ne ha la disponibilità, cui competono la cura e la valorizzazione del patrimonio nel quadro dell'attività ordinaria della comunità alla quale egli è preposto, tuttavia, nella diocesi il compito di coordinare, disciplinare e promuovere quanto riguarda i beni culturali ecclesiastici spetta al vescovo stesso che, a tale scopo, si avvale della collaborazione della Commissione diocesana per l'arte sacra e i beni culturali, e di un apposito ufficio presso la curia diocesana. A questo ufficio è demandato il compito di verificare le richieste (di autorizzazione, di contributo, etc.) dei singoli enti ecclesiastici, di trasmetterle agli enti pubblici e di seguirle in tali sedi; esso, inoltre, mantiene costanti rapporti e collabora con gli enti pubblici e privati, con altri enti e associazioni, con gli artisti e i cultori dei beni culturali ecclesiastici in vista della tutela, della valorizzazione e della fruizione dei medesimi. Con l'unica disposizione di natura sostanziale e non procedurale dell'Intesa, si statuisce che, a norma dell'art. 9 del Codice dei beni culturali, i provvedimenti amministrativi concernenti i beni culturali appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche sono assunti dal competente organo del Ministero per i beni culturali, previa intesa, per quel che concerne le esigenze di culto, con l'ordinario diocesano competente per territorio, e sono comunicati ai titolari dei beni per il tramite dell'ordinario stesso. Come si può vedere, si tratta di moduli di concertazione e partecipativi ben noti al diritto amministrativo all'indomani dell'emanazione delle norme sull'ordinamento degli enti locali e sul procedimento amministrativo. Infine, allo scopo di verificare con continuità l'attuazione delle forme di collaborazione previste dall'accordo, di esaminare i problemi di comune interesse e di suggerire orientamenti per il migliore sviluppo della reciproca collaborazione fra le Parti, continua ad operare l'Osservatorio centrale per i beni culturali di interesse religioso di proprietà ecclesiastica già previsto nella precedente Intesa. Tale Osservatorio è composto, in modo PARITETICO, da rappresentanti del Ministero, individuati a livello di capi dei dipartimenti, e da rappresentanti della CEI ed è presieduto, congiuntamente, da un rappresentante del Ministero e da un vescovo, in rappresentanza della CEI; le sue riunioni sono convocate almeno una volta ogni semestre, nonché ogni volta che i presidenti lo ritengano opportuno. Alle riunioni possono essere invitati a partecipare rappresentanti di amministrazioni ed enti pubblici e di enti e istituzioni ecclesiastiche in relazione alle questioni poste all'ordine del giorno. IL REGIME GIURIDICO DEGLI ARCHIVI E DELLE BIBLIOTECHE L’art 12. 1 Acc. mod. conc. riporta il principio per cui “la conservazione e la consultazione degli archivi d'interesse storico e delle biblioteche dei medesimi enti e istituzioni saranno favorite e agevolate sulla base di intese tra i competenti organi delle due parti”. Il 18 aprile 2000 il Ministro per i beni e le attività culturali e il Presidente della Conferenza episcopale italiana hanno stipulato un'apposita Intesa per la conservazione e la consultazione degli archivi e delle biblioteche appartenenti ad enti e istituzioni ecclesiastiche (3"). Tale Intesa determina, innanzitutto, che cosa si deve intendere con l'espressione «archivi di interesse storico di proprietà di enti e istituzioni ecclesiastiche», ricomprendendo sotto tale espressione non solo gli archivi di notevole interesse storico di cui all'art. 36 del d.P.R. 30 settembre 1963, n. 1409, ma anche gli archivi e documenti appartenenti a enti e istituzioni ecclesiastiche in cui siano conservati documenti aventi data anteriore agli ultimi settant'anni. L'accordo in parola riporta (art. 1) tre principi generali, per l'attuazione dei quali si richiede un intervento comune dello Stato e della Chiesa, ovvero di uno dei due soggetti: a) il patrimonio documentario e archivistico di interesse storico appartenente ad enti e istituzioni ecclesiastiche “deve rimanere, per quanto possibile, nei luoghi di formazione o di attuale conservazione”; 71 Angelica Ricci b) il Ministero per i beni e le attività culturali e la CEI si sono trovati d'accordo sulla necessità di assicurare, secondo le rispettive competenze, ogni possibile intervento per garantire la tutela e la salvaguardia del patrimonio documentario e archivistico e delle rispettive sedi; c) in caso di necessità e, in particolare, nel caso di parrocchie e di diocesi soppresse, allo scopo di agevolarne la conservazione e la consultazione, gli archivi «vengono depositati presso l'archivio storico della diocesi competente per territorio». Va qui peraltro ricordato che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 101 e 112 del ricordato Codice dei beni culturali (come novellato dal d.lgs. 24 marzo 2006, n. 156), compete alla legislazione regionale disciplinare le funzioni e le attività di valorizzazione dei beni presenti negli istituti e nei luoghi della cultura non appartenenti allo Stato, come, appunto, le biblioteche e gli archivi ecclesiastici. L'art. 2 della suddetta intesa positivizza, quindi, alcuni interventi di competenza dell'autorità ecclesiastica, quali l'impegno alla conservazione degli archivi ecclesiastici di interesse storico e alla loro consultazione, nel rispetto delle disposizioni contenute nella normativa civile vigente; l'impegno a dotare gli archivi di tutto quanto, in concreto, ne consenta la consultazione (regolamento, orario di apertura, personale qualificato, inventari e strumenti di corredo aggiornati); l'impegno a promuovere l'inventariazione, la tutela e la salvaguardia del patrimonio archivistico e librario anche mediante l'adozione di dispositivi di vigilanza, custodia e sicurezza, oltre a control- lare il rispetto delle norme canoniche e civili in tema di divieto di alienazioni, trasferimento ed esportazione di beni culturali; l'impegno a destinare finanziamenti specifici a favore degli archivi storici diocesani nell'ambito delle risorse disponibili. Agli impegni di parte ecclesiale corrispondono quelli assunti dal Ministero. Specificamente (art. 3) l'autorità statale fornirà agli archivi ecclesiastici, per il tramite delle Soprintendenze archivistiche, collaborazione tecnica e contributi finanziari, per dotarli di attrezzature, inventari, restauri, mezzi di corredo, pubblicazioni, materiale informatico da destinare all'inventariazione, formazione del personale (che, come indi- cava la CEI sin dagli orientamenti sui beni culturali del 1992, costituisce uno dei più gravi problemi per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali ecclesiali). Nei suoi interventi il Ministero si impegna a dare priorità agli archivi diocesani, nonché agli archivi generalizi e provinciali di particolare rilevanza appartenenti agli istituti di vita consacrata e alle società di vita apostolica e, a determinate con- dizioni, fornisce sostegni anche agli altri archivi ecclesiastici. Ministero e CEI collaboreranno poi per l'inventariazione del patrimonio archivistico e documentario, adottando di comune impegno le iniziative maggiormente idonee a tal fine (art. 4). Norme analoghe riguardano poi le biblioteche, per le quali si è altresì determinato (art. 5) che, al fine di garantire l'uniformità dei formati di descrizione catalografica, la diffusione delle informazioni bibliografiche e l'erogazione dei servizi, anche mediante l'integrazione dei sistemi, il Ministero e la CEI concordano che - nel quadro dei processi di cooperazione tra biblioteche per quanto attiene all'informatizzazione - la rete italiana per le informazioni e i servizi bibliografici del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) costituisce il sistema di riferimento. La collaborazione tra autorità ecclesiastiche e autorità civili si realizza attraverso convenzioni, finalizzate alla conservazione, consultazione e valorizzazione del patrimonio biblio- grafico, mediante attività di inventariazione, catalogazione, censimento, anche promuovendo appositi progetti. Da parte sua, l'autorità ecclesiastica si impegna, oltre ad assicurare la conservazione e l'apertura alla consultazione delle biblioteche di enti e istituzioni ecclesiali, a trasmettere al Ministero un elenco, periodicamente aggiornato, delle biblioteche di particolare rilevanza esistenti nelle diocesi. Tale elenco è completato con l'indicazione delle biblioteche di particolare pregio appartenenti a istituti di vita consacrata e a società di vita apostolica che siano state segnalate alla CEI dai rispettivi superiori maggiori. L'autorità ecclesiastica competente si impegna altresì a dotare le biblioteche comprese nell'elenco di: un apposito regolamento (approvato dalla medesima sulla base di uno schema-tipo predisposto dalla CEI, che disciplina, tra l’altro, l'orario di apertura al pubblico); personale qualificato; inventari e di cataloghi aggiornati. Lo Stato, tramite l'Ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l'editoria, provvede alla costituzione di un gruppo permanente di lavoro, al quale partecipano due esperti dell'Istituto centrale per il catalogo unico delle biblioteche italiane per le informazioni bibliografiche, un esperto dell'istituto centrale per la patologia del libro, due rappresentanti dell'ufficio centrale per i beni librari, le istituzioni culturali e l'editoria, due rappresentanti del coordinamento degli assessori regionali alla cultura, tre rappresentanti della CEI, due rappresentanti dell'associazione bibliotecari ecclesiastici italiani, 72 Angelica Ricci dinnanzi al giudice dello stato, se non nei limiti in cui ciò sia richiesto dalla tutela dei diritti costituzionali dei cittadini italiani. Nel caso dei ministri di culto approvati con la legge dei culti ammessi, al qualifica di ministro di culto nell’ordinamento statele può ANCHE essere determinata per revoca del provvedimento di approvazione della nomina da parte del ministro degli interni. Lo stato riconosce particolari diritti e prevede specifichi obblighi e incompatibilità per chi riveste la qualifica di ministro di culto: a tal proposito bisogna analizzare lo STATUTO GIURIDICO DEI MINISTRI DI CULTO. In esso sono riconosciuti vari diritti, come l’esonero dal servizio militare (per i cattolici). disciplina pattizia: il diritto di ottenere, a richiesta delle confessioni della disciplina pattizia, di essere esonerati da servizio militare o civile sostitutivo (Art 4 Accordo di Villa Madama): analogo diritto è riconosciuto da alcune intese tra lo stato e altre confessioni religiose, come quelle stipulate con gli ortodossi con i buddhisti o gli minuisti, che a differenza di quanto abbiamo visto prima, non contemplano la possibilità di un esonero ma solo quella di essere assegnati, su loro richiesta e nel rispetto delle norme sull’obiezione di coscienza, al servizio civile. Altre intese invece prevedono solo che, nel caso in cui i rispettivi ministri siano chiamati a prestare servizio militare, ad essi deve essere consentito di svolgere anche il loro ministero di assistenza spirituale. l’abolizione del sevizio obbligatorio ha fatto perdere posizione questa cosa dei ministri di culto, tuttavia può ancora avere significato nel caso di mobilitazione generale (Ucraina, Israele): in questa particolare fattispecie si prevedono trattamenti differenti a seconda della confessione di appartenenza del ministro. i ministri cattolici, come quelli avventisti e nella chiesa apostolica in Italia, che siano assegnati alla cura d’anime (parroco, vescovo, pastore, rabbini) posso essere esonerati o assegnati al servizio civile. altri ministri sono assegnati a loro richiesta al servizio civile o ai servizi sanitari, altri ancora sono chiamati a esercitare il ministero religioso tra le truppe o assegnati tra i servizi sanitari. Altro aspetto che caratterizza questo statuto è il diritto al segreto d’ufficio. Questo peculiare diritto pè riconosciuto nell’ambito della normativa concordataria ma trova riscontro anche in alcune norme unilaterali dello stato. Partendo della normativa pattizia-concordataria, l’Art 4 dell’Accordo di Villa Madama dispone che gli ecclesiastici non sono tenuti a dare a magistrati o ad altra autorità informazioni su persone o materie di cui siano venuti a conoscenza per ragioni del loro ministero. nome analoghe si riscontrano anche in alcune intese ove ai misti di culto è riconosciuto idirito a mettere il segreto d’ufficio su quanto appreso nello svolgimento della propria funzione. per ciò che concerne l’affermazione del diritto al segreto d’ufficio da parte di norme unilaterali dello stato, si deve osservare che quest’affermazione ha l’effetto di estendere questa garanzia anche ai ministri di culto appartenenti a confessioni le cui intese non contengono disposizioni specifiche in materia o anche ai gruppi religiosi privi di intesa con lo stato. Tra le disposizioni unilaterali statali merita di esser citato l’Art 200 c.p.p. che prevede l’obbligo di deporre nel processo penale: i relazione a tale obbligo si statuisce che “i ministri di confessioni religiose i cui statuti non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano non possono essere obbligati a deporre su quanto essi hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria”. Al secondo comma la norma dispone che: “Il giudice, se ha motivo di dubitare che la dichiarazione resa da tali persone per esimersi dal deporre sia infondata, provvede agli accertamenti necessari. Se risulta infondata, ordina che il testimone deponga”—> ciò significa che la norma stessa NON PREVEDE un’incapacità o divieto assoluto per i ministri di culto a testimoniare, ma attribuisce loro un diritto di astenersi ovvero di fornire notizie incomplete senza incorrere in altri reati come il favoreggiamento o la falsa testimonianza quando ciò porrebbe loro di rivelare comportamento riconosciuto esclusivamente l’esercizio del loro ministero. Si è osservato che questa disposizione costituisce un elemento di differenziazione rispetto alla normativa di derivazione pattizia, che invece configura un diritto al segreto in termini assoluti. Quando da ciò deriverebbe obbligo di deporre, lo si riscontra anche inoltre norme del c.p.p. come l’art 256, che disciplina il dovere di esibizione: i ministri di culto devono consegnare immediatamente all’autorità giudiziaria atti e documenti nonché dati e informazioni e programmi informativi e ogni altra cosa esistente presso di essi per ragioni del loro ministero, salvo che dichiarino per iscritto che si tratti di segreto inerente ad esso. Anche in questo caso l’autorità giudiziaria, che ha motivo di dubitare della fondatezza dell’eccezione, se ritiene di non poter procedere senza acquisire quegli atti e documenti, provvede agli accertamenti del caso e eventualmente ne dispone il sequestro. 75 Angelica Ricci Altra norma che ci interessa: Art 271.2 c.p.p.. la norma vieta di utilizzare le intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei ministri di culto quando anche ad oggetto fatti conosciuti per ragioni del loro ministero, salvo che la norma abbia deposto sugli stessi fatti o li abbino inoltro modo divulgati [se raccolgo un fatto detto a lezione l’ho divulgato e non rientra più nelle ragioni del ministero]. Art 362 c.p.p.: afferma l’onere del PM di assumere informazioni da persone che possono riferire circostanze utili ai fini dell’indagine fatto salvo il rispetto dell’Art 200, che per ciò che riguarda i ministri di culto. Infine, ai ministri di culto che sono chiamati a deporre come testimoni in sede di civile, è riconosciuto un diritto di ASTENSIONE nei limit previsti dall’Art 200 c.p.p. in forma del rinvio a quest’ultima norma dall’Art 249 c.p.c.. Rispetto a tutte queste norme appena viste, bisogna fare due considerazioni: 1. Prima considerazione: riguarda la ratio che sta a fondamento di questo discorso. È evidente che il legislatore, garantendo il segreto, ha inteso tutelare la libertà religiosa che si affida al ministro di culto e insieme garantire al ministro di culto il libero esercizio delle sue funzioni ministeriali. 2. Seconda considerazione: riguarda l’oggetto e l’estensione della tutela, cioè i suoi confini, che sono individuati con il riferimento a ciò che il ministro di culto ha conosciuto per ragione del proprio ministero. Si tratta di un’espressione intesa in senso ampio: non è coperto da segreto solo ciò che viene appreso dal ministro di culto nel corso di determinati riti (particolari celebrazioni o incontri con i fedeli) ma ogni altra notizia di cui egli sia venuto a conoscenza nell’esercizio delle sue funzioni o relative alla sua qualifica [se ministro apprende una sto durante celebrazione pubblica ciò non è coperto da segreto]. la giuri ha tento di circoscrivere l’oggetto delle info coperte da segreto, affermando che esso assolve alla funzione di tutelare comportamenti o atti conosciuti dall’ecclesiastico con riferimento alla fede religiosa, e non anche all’attività sociale che fa parte di attività tipica svolta dal ministro. Esempio; un’attività di assistenza a soggetti deboli, pur rientrando nella generica missione dell’ecclesiastico, non rientra nell’esercizio diretto della fede religiosa. Non vi è dubbio, invece, sul fatto che non sono garantite dalle norme relative al segreto quelle informazioni apprese ai ministri in relazione ad eventi privati. Se da un lato esse il diritto al segreto d’ufficio, dall’altro avrà un corrispettivo, cioè i dovere al segreto d’ufficio: DOPPIA FACCIA—> è sia un diritto che un dovere. Al diritto si accompagna anche il dovere del ministro di non rivelare quelle notizie che, nell’esercizio delle sue funzioni, ha riconosciuto in via riservata o addirittura a tinto disegnato affidato loro da terzi (ad esempio il confessore che viola quanto appreso durante il sacramento della confessione è colpito con la scomunica). Non lo esime neanche essere stato autorizzato dal penitente. nell’ordinamento statale, l’Art 322 punisce, a querela della persona offesa, il minsero di culto che rivela senza giusta causa un segreto di cui ha avuto notizia pera ragione del proprio ministero o lo impieghi a proprio o altrui profitto. Che rilievo penalistico può avere la qualifica di ministro di culto? questa qualifica può avere rilievo nello stato dal punto di vista penale come aggravante o attenuante, oppure può rilevare nell’ambito della configurazione di autore come fattispecie autonoma di reato. Come AGGRAVANTE può avere rilievo ai sensi dell’Art 61 c.p., che prevede diversi numeri: ci interessano comma 1 al numero 9 e 10, che prevedono il ministro di culto sia come soggetto attivo che passivo di una determinata fattispecie di reato. —> Art 61 n. 9 considera come circostanza aggravante l’aver commesso il fatto “con abuso di poteri o con violazione di doveri relativi alla qualità di ministro di culto” (il ministro di culto qui è soggetto attivo di un fatto criminoso). —> Art 61 n.10 prevede un’altra circostanza aggravante, l’aver commesso il fatto contro una persona che rivesta la qualifica di ministro di culto (il ministro qui è soggetto passivo): la circostanza aggravante si applicherà all’autore del reato che subirà una pena aggravata. Nel codice penale troviamo altre norme in cui la qualifica del ministro di culto rilievo nell’ambito di configurazione di fattispecie autonome del reato: —> Art 403 che prevede un REATO AUTONOMO, di offesa ad una confessione religiosa mediante vilipendio ad un ministro di culto —> Art 405 che dispone che “impedisce o turba l’esercizio di funzioni o cerimonie, o pratiche religiose che si compiano con l’assistenza di un ministro di culto”. Nella rilevanza penale della 76 Angelica Ricci qualifica, quando è necessario esercitare l’azione penale nei confronti di un ministro della chiesa cattolica, è prevista una garanzia di informazione nei confronti delle autorità ecclesiastiche: l’autorità giudiziaria darà comunicazione all’autorità ecclesiastica di quei provvedimenti penali che siano promossi a carico di ecclesiastici. le disposizioni di attuazione del codice di procedura penale dispongono che l’opzione sarà inviata all’ordinario della diocesi a cui appartiene l’imputato. INCOMPATIBILITÀ ED INELEGGIBILITÀ DEL MINISTRO DI CULTO La legislazione dello stato prevede che in alcuni casi la qualifica de ministro di culto è incompatibile con l’esercizio di talune professioni, o in altri casi è causa di ineleggibilità. —> INCOMPATIBILITÀ: i ministri di culto non possono svolgere alcune professioni (notaio, avvocato) o alcune funzioni all’interno dello stato come quella del giudice popolare, giudice di pace, GOT, giudice ausiliare. —> INELEGGIBILITÀ: i ministri di culto non sono eleggibili alle cariche di sindaco, presidente di provincia e di regione, e di consigliere regionale. possono invece essere eletti alle due camere nazionali. se un ministro di culto esercita anche la cura d’anime come un parroco non possono essere eletti come consigliere comunale o provinciale. rilevanza civile dei provvedimenti disciplinari presi in ambiti confessionale: • Art 23 del Trattato Lateranense: norma riconosce piena efficacia giuridica anche a tutti gli effetti civili alle sentenze e ai provvedimenti emanati dall’autorità ecclesiastica, che siano comunicati alle autorità civili e che riguardino persone ecclesiastiche o religiose in materia spirituale o disciplinare. • protocollo addizionale all’accordo dell’84: statuisce che, senza alcun pregiudizio per l’ordinamento canonico, gli effetti civili di queste sentenze e provvedimenti vanno comunque intesi in armonia con i dirti costituzionalmente garantiti ai cittadini italiani. Queste due norme riconoscono da un lato piena efficacia a provvedimenti disciplinari dell’autorità ecclesiastica, e dunque si ricollegano a quella libertà di organizzazione della chiesa, ma dall’altro fanno riferimento a quell’incompetenza dello stato di ciò che attiene a tale ambito, con la conseguenza che al giudice non è consentito annullare un provvedimento con cui un vescovo muove un parroco, nè il giudice dello stato potrebbe reintegrarlo nel suo ufficio. L’insindacabilità di questi provvedimenti incontrano un LIMITE, quello dei diritti costituzionali garantiti a tutti i cittadini, anche quelli che svolgono funzioni di ministro di culto. al giudice italiano, pertanto, sarà consentito di pronunciarsi per tutelare tali diritti anche riconoscendo l’illegittimità di un provvedimento disciplinare dell’autorità ecclesiastica e ordinando il risarcimento del danno eventualmente cagionato al soggetto (esempio: il provvedimento di rimozione del parroco emanato senza il rispetto del diritto di difesa di cui all’Art 24 Cost può essere un caso che rientra in questa doppia faccia della medaglia). DIRITTO PENALE E FENOMENO RELIGIOSO Gli articoli 402-406 del Codice penale del 1930 punivano, nella loro formulazione originale, i «delitti contro la religione dello Stato e i culti ammessi», considerati non come delitti contro la libertà religiosa, bensì come offese arrecate al c.d. sentimento religioso. In questo sistema di tutela penale la religione cattolica, proprio per la sua natura di religione di Stato, si collocava in una posizione di indubbio favore rispetto agli altri culti. Si diceva che la religione cattolica era la religione di stato in quanto tale aveva diritto a una tutela maggiore rispetto alle confessioni religiose diverse da quella cattolica. Questo anche per quanto concerne la tutela penale: le norme a tutela del sentimento religioso prevedevano una sanzione maggiore se il reato era commesso nei confronti della religione cattolica e una minore se il reato era commesso nei confronti di una confessione religiosa diversa dalla cattolica. Alla luce dell’Art 8.1 Cost è evidente che il sistema penalistico non avrebbe resistito, in quanto prevedeva una disuguaglianza di trattamento non giustificata e non giustificabile. È intervenuta la corte costituzionale modificando alcune norme o dichiarandone l’illegittimità costituzionale: ad ex l’art 402 c.p. (vilipendio) prevedeva che chiunque pubblicamente vilipende la religione dello stato è punito con la reclusione fino a un anno—> la corte, con la sentenza 508/2000 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo articolo per violazione del principio di uguaglianza di tutte le confessioni religiose innanzi alla legge, e soprattutto perché poi ora è venuto meno il principio 77 Angelica Ricci —> art. 604-bis c.p. prevede: la reclusione fino ad un anno e sei mesi o la multa fino a 6.000 euro per chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di pro- vocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi prende parte, assiste o presta assistenza a organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, la reclusione da uno a sei anni per coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni o gruppi, la reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l'istigazione e l'incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull'apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l'umanità e dei crimini di guerra. —> art. 604-ter introduce, per i reati punibili con pena diversa da quella dell'ergastolo, l'aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero del fine di agevolare l'attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità, con un aumento di pena fino alla metà; le circostanze attenuanti, diverse da quella prevista dall'arti- colo 98 c.p., concorrenti con l'aggravante di cui sopra, non possono poi essere ritenute equivalenti o prevalenti rispetto alla medesima e le diminuzioni di pena si operano sulla quantità di pena risultante dall'aumento conseguente alla suddetta aggravante. Intesa con le comunità ebraiche: Queste disposizioni generali del Codice penale sui delitti contro l'uguaglianza incontrano una speciale conferma nell'intesa con le Comunità ebraiche ove esplicitamente si afferma che quanto previsto dall'art. 3 della 1. 13 ottobre 1975, n. 654 (oggi dall'art. 604-bis c.p.) «si intende riferito anche alle manifestazioni di intolleranza e pregiudizio religioso». Un altro ambito del diritto penale che intercetta, per così dire, il fenomeno religioso è quello dei reati religiosamente motivati o orientati. Questa specifica ipotesi ricorre ogniqualvolta il fedele, in adesione ad un precetto religioso che egli ritiene doveroso, pone in essere un comportamento che il nostro ordinamento giuridico considera penalmente rilevante; si ha, insomma, un esercizio della libertà religiosa ex art. 19 Cost. che realizza una fattispecie incriminatrice. Non di rado tali tipologie di reati si inseriscono nella problematica inerente all'integrazione culturale e ai fenomeni migratori. I soggetti che commettono reati religiosamente motivati si appellano, in genere, all'art. 51 c.p. sostenendo che il loro comportamento integra l'esercizio di un diritto previsto da una norma giuridica il diritto di libertà religiosa di cui all'art. 19 Cost. - e che, come tale, non è punibile; ancora, essi invocano la previsione di cui all'art. 62, comma 1 c.p., ossia l'attenuante comune dell'aver agito «per motivi di particolare valore morale o sociale», al fine di ottenere una diminuzione della pena edittale applicabile. Per lo più, l'applicazione di tali previsioni alla specifica ipotesi in parola non incontra il favore della dottrina e della giurisprudenza che considerano irrilevante l'incidenza del fattore religioso, tanto nell'an del riconoscimento della responsabilità penale, quanto nel quomodo della stessa, ovvero in punto di diminuzione del trattamento sanzionatorio da comminare all'autore del reato; i principi di obbligatorietà e di territorialità del diritto penale (artt. 3 e 6 c.p.) non consentirebbero, infatti, di tener conto di peculiari elementi religioso-culturali che motivano o orientano l'agire del singolo (approccio assimilazionista). A fronte di tale posizione maggioritaria, però, la stessa Corte di Cassazione in talune pronunce ha riconosciuto che la categoria dei reati religiosamente e, più in generale, culturalmente orientati «tutt'altro che uniforme nella casistica, [può] essere valutata dall'interprete solo sulle premesse dell'attento bilanciamento tra il diritto, pure inviolabile, del soggetto agente a non rinnegare le proprie tradizioni culturali, religiose, sociali, ed valori offesi o posti in pericolo dalla sua condotta». Vi sarebbe, dunque, un certo margine di apprezzamento rispetto ai singoli casi per attribuire rilevanza al fattore religioso-culturale quale causa di esclusione dell'imputabilità, di ignoranza inevitabile, scusabile ex art. 5 c.p., e di esclusione del dolo; più facilmente, esso potrebbe essere valorizzato dal giudice ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio e del riconoscimento di attenuanti generiche, comuni o speciali, ove configurabili. Una simile operazione dovrebbe effettuarsi, in ogni caso, nel rigoroso rispetto dei diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione, essendo inammissibile che il diritto dell'individuo di agire conformemente alle regole della propria religione si traduca nella negazione di diritti fondamentali configurati dall'ordinamento costituzionale e tutelati dalle norme penali violate. 80 Angelica Ricci Oscillante appare la posizione della giurisprudenza anche con riferimento a specifici reati. Ad esempio, nell'ambito delle relazioni famigliari, la Cassazione ha negato, in linea con una posizione giurisprudenziale consolidata, l'invocabilità della scriminante dell'esercizio di un diritto correlato alla religione di appartenenza e alla cultura del Paese di provenienza ad un cittadino straniero di religione islamica imputato di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e violazione degli obblighi di assistenza familiare; secondo il giudice di legittimità, infatti, è indispensabile “armonizzare i comportamenti individuali rispondenti alla varietà delle culture [e delle religioni] in base al principio unificatore della centralità della persona umana, quale denominatore minimo comune per l'instaurazione di una società civile” e multiculturale. A fronte di ciò, un'altra pronuncia della Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di un genitore di fede islamica condannato per il tentato omicidio della figlia aggravato dai futili motivi dell'aver agito perché la stessa intendeva sposare un giovane di differente fede religiosa, affermando, tra l'altro, che i motivi che hanno mosso l'imputato “non possono essere definiti futili, non potendosi definire né lieve né banale la spinta [religiosa] che ha mosso l'imputato ad agire”. Non più netta appare la linea giurisprudenziale in materia di consumo di sostanze stupefacenti per motivi religiosi: il consumo di tali sostanze nell'ambito delle pratiche di culto, meditative e di preghiera talvolta è stato considerato una possibile causa di giustificazione e talaltre no. Con riferimento, poi, alla fattispecie incriminatrice delle mutilazioni genitali femminili (art. 583-bis c.p.) - contraddistinta da un'evidente matrice religioso-culturale - la Cassazione, in una delle poche sentenze rinvenibili sul tema, ha ribadito il principio «secondo il quale eventuali giustificazioni fondate sulla circostanza che l'agente per la cultura mutuata dal proprio Paese d'origine sia portatore di diverse concezioni dei rapporti di famiglia non assumono rilievo, in quanto la difesa delle proprie tradizioni [anche religiose] deve considerarsi recessiva rispetto alla tutela di beni giuridici che costituiscono un diritto fondamentale dell'individuo ai sensi dell'art. 2 Cost.»; pertanto, la medesima Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna egiziana che era stata condannata per il delitto di cui all'art. 583-bis c.p. compiuto ai danni delle figlie minorenni. Oggetto di numerose e disomogenee pronunce di merito, amministrative e di legittimità è stato anche il tema del porto in luogo pubblico del kirpan (un pugnale rituale metaforicamente finalizzato per resistere al male) da parte di cittadini italiani e stranieri aderenti al Sikhismo. Ancora una volta, si pone qui un delicato problema di bilanciamento, specificatamente quello tra il diritto al porto di tale simbolo, quale esercizio della libertà religiosa di cui all'art. 19 Cost. da parte del fedele Sikh, e lo specifico divieto di portare armi da taglio «senza giustificato motivo», previsto dalla norma penale contenuta nell'art. 4, comma 2 della legge 18 aprile 1975, n. 110. La linea che ad oggi sembra prevalere è quella restrittiva che vede l'affermazione, senza eccezioni, del “principio per cui nessun credo religioso può legittimare il porto in luogo pubblico di armi o di oggetti atti ad offendere”. ALCUNE CONSIDERAZIONI Vediamo alcuni profili distinguendo tra rapporti di lavoro in cui il datore di lavoro è un ente comune e rapporti in cui il datore di lavoro è una confessione religiosa o un ente religiosamente qualificante: anche la legislazione distingue tra queste due ipotesi. IL legislatore ha dettato apposite norme che senza rinnovare all’assetto dato dalla nostra costituzione alla libertà religiosa ha l’effetto positivo di togliere ogni dubbio residuo riguardo l’illiceità un’eventuale discriminazione per motivi religiosi. È nullo ogni licenziamento per motivi religiosi, ossia il licenziamento del lavoratore per rappresaglia contro la fede religiosa è nullo indipendentemente dalla motivazione addotta. Ai sensi dell’Art 4 L. 604/1966 è nullo ogni licenziamento originato dalla fede religiosa del prestatore d’opera, indipendentemente dal motivazione addotta. Inoltre ricordiamo che nel caso di licenziamento motivato ideologicamente, il lavoratore ha diritto alla c.d. tutela reale: nel diritto del lavoro si parla di tutela reale o tutela obbligatoria, che obbliga il datore di lavoro alla reintegrazione del lavoratore con risarcimento del danno subito e con i pagamento di tutte le indennità non corrisposte dal licenziamento dichiarato nullo. La tutela obbligatoria invece è la tutela meramente risarcitoria: nel momento in cui il lavoratore viene reintegrato non ha diritto al risarcimento per il danno subito. La L. 604 prevede la mera tutela obbligatoria, tuttavia recentemente è intervenuto lo Statuto dei lavoratori che ha trasformato la tutela obbligatoria in tutela reale e quindi, nel caso di licenziamento non assistito da giusta causa o da giustificato motivo (ad esempio se si ha licenziamento ideologico nullo), l’imprenditore ha l’obbligo alla reintegra del lavoratore e non ha un obbligo meramente risarcitorio. Al lavoratore spetta la tutela reale prevista dall’Art 18 dello statuto dei lavoratori del 1970 così come modificato successivamente da altre versioni. 81 Angelica Ricci Diverso è il caso in cui il lavoratore presti servizio presso un ente confessionale: è diverso nel caso in cui un’organizzazione con un’esplicita impronta professionale (organizzazioni di tendenza (=organizzazioni in cui l’ideologia è parte costitutiva dell’ente stesso) richieda ai propri dipendenti l’appartenenza a una data confessione religiosa e preveda ad esempio che il suo abbandono possa comportare anche una risoluzione del contratto, ossia vi sono organizzazioni lavorativa che hanno una forte caratterizzazione ideale. Queste organizzazioni hanno diritto a introdurre il fattore religioso nei contratti dei rapporti di lavoro, cioè l’ideologia entra a far parte del contenuto del contratto (esempio: si può richiedere lo scioglimento del rapporti di lavoro se un soggetto appartiene ad una determinata con. religiosa). La direttiva europea sulla parità di trattamento in ambito lavorativo n. 78/2000 determina che gli stati membri possano avere una legislazione che contenga una differenza di trattamento tra lavoratori basata sulla religione o sulle convinzioni personali nel caso di attività professionali svolte presso la confessione religiosa, una chiesa o comunque un’organizzazione pubblica la cui etica è fondata sulla religione, una differenza di trattamento che non implica una discriminazione. Le organizzazioni posso effettuare delle differenze di assunzione e licenziamento in base al fattore religioso, proprio perchè è la religione che le caratterizza. Conseguentemente la normativa italiana di attuazione di questa direttiva (d.lgs. 216/2003) prevede che non costituiscano atti di discriminazione le differenze di trattamento tra lavoratori basate sulla professione di una determinata religione qualora il professare di questa religione si requisiti legittimo ed essenziale—> due esempi di applicazione della direttiva presi dalla Corte di Giustizia, ce portano a risultati opposti: • CASO DEL LICENZIAMENTO DI UN ORGANISTA della chiesa cattolica: i questo caso la Corte ha ritenuto che il licenziamento dell’organista dovuto a motivi etici e morali (perché conviveva con una persona in modo contrario a quanto previsto dalla confessione cattolica) è stato ritenuto illegittimo perchè i questo caso la funzione svolta dalla persona svolta all’interno ella confessione religiosa non era direttamente collegata con il messaggio ideale della confessione stessa, l’importante era che fosse u buon organista (che fosse praticante o meno poco importava). IN questo caso il licenziamento dovuto a motivi meramente ideologici venne dichiarato nullo con obbligo di reintegra del lavoratore stesso • CASO DELLA CHIESA DEI MORMONI: i Mormoni avevano un portavoce che era stato licenziamento perchè aveva abbandonato la loro religione. La corte quo ha stai vilito che il licenziamento è valido e legittimo perchè logicamente il portavoce ha una funzione rappresentativa della confessione stessa, in qualche modo si identifica e rappresenta la confusione stessa e ha rapporti di immedesimazione funzionale con il rapporto ideologico della confessione. La corte ha dichiarato la legittimità del licenziamento perchè in questo caso l’ideologia entra pienamente a far parte del contratto Da un lato è illegittimo il licenziamento intimato da un ente confessionale per fatti che riguardano la sua vita personale e che siano privi di uno specifico rapporto con il contenuto delle mansioni espletate, mentre logicamente è legittimi il licenziamento qualora i fatti su cui si basi il licenziamento stesso abbiano uno specifico rapporto con il contenuto delle mansioni espletate [esempio: non posso richiedere al cuoco di una scuola cattolica di essere cattolico ma al preside SI, perchè le mansioni espletate dai due soggetti sono diverse: la prima non ha riferimento al carattere ideologico della scuola, mentre la seconda si perchè viene considerato come un rappresentante della scuola stessa, ha un rapporto di immedesimazione funzionale con la scuola]. Esempio: c’è una norma del nuovo Concordato che riguarda i docenti delle università private, in particolare quelli della UCSC, che prevede che essi siano di ruolo e che possano insegnare in tutte le università private d’Italia. L’art 38 de Concordato del 1929 prevedeva che la nomina dei professori fosse subordinata al nullaosta della Santa Sede, “diretto ad assicurare che non vi sia alcunché da eccepire dal punto di vista morale e religioso”. Questa norma è stata ripresa anche dall’Art 10 dell’accordo di Villa Madama, che prevede che la nomina dei professori della UCSC è subordinata al gradimento sotto il profilo religioso della competente autorità ecclesiastica: affinchè quindi i docenti siano assunti non devono solo avere l’abilitazione a essere professore ordinario rilasciata dal Ministero dell’università ma anche il gradimento dell’autorità ecclesiastica competente, che attesta che il docente non ha nulla de eccepire sotto il profilo religioso. Questa norma potrebbe sembrare discriminatoria del principio di uguaglianza di cui all’Art 3 Cost basata sulla discriminazione, in quanto il mancato gradimento dell’autorità ecclesiastica implica la non stipulazione del rapporto di lavoro (ci sono casi di docenti in cui è stato revocato il gradimento durante l’insegnamento, arrivando allo scioglimento del rapporto di lavoro): sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale con la sent. 195/1972, escludendo che vi sia una discriminazione. Questa sentenza, richiamata anche dal nuovo concordato, ha affermato 82 Angelica Ricci legge matrimoniale: bisogna coordinare la vecchia normativa con il nuovo concordato (difficoltà per l’interprete). Il nostro ordinamento è un ordinamento a matrimonio civile facoltativo o a matrimonio religioso facoltativo. L’interprete quindi deve concordare una vecchia normativa con il Concordato. IL MATRIMONIO CONCORDATARIO: TEMI Con specifico riferimento all'ipotesi del matrimonio concordatario, vi sono da considerare tre distinti temi giuridici: il procedimento di trascrizione del matrimonio nei registri dello stato civile, mediante il quale un matrimonio celebrato “secondo le norme del diritto canonico” acquista efficacia nell'ordinamento dello Stato; la giurisdizione della Chiesa e / o dello Stato sul matrimonio concordatario; il procedimento di delibazione, che consente ad una sentenza dichiarativa della nullità di un matrimonio concordatario pronunciata da un tribunale ecclesiastico di acquisire efficacia civile. (1) IL PROCEDIMENTO DI TRASCRIZIONE Come avviene il riconoscimento degli effetti civili del matrimonio? Si ha rilevanza del matrimonio religioso quando l’atto canonico di matrimonio viene trascritto nei registri dello stato civile. L’atto che dona effetti civili al matrimonio canonico è la TRASCRIZIONE dell’atto stesso, un provvedimento amministrativo a conclusione di un procedimento amministrativo. L’art 8 comma 1 Acc. mod. conc. (L. 121/1985) afferma che: “sono riconosciuti gli effetti civili ai matrimoni contratti secondo le norme del diritto canonico a condizione che l’atto relativo sia trascritto nei registri dello stato civile”. Tale trascrizione non si realizza mediante il compimento di un unico atto, ma attraverso un iter procedimentale articolato in molteplici fasi che sono tra loro in un rapporto di necessaria connessione: la pubblicazione; il rilascio del nullaosta da parte dell'ufficiale dello stato civile; gli adempimenti da compiersi al momento della celebrazione del matrimonio; la redazione dell'atto matrimoniale; la trasmissione del medesimo atto all'ufficiale dello stato civile e la sua trascrizione nei registri dello stato civile. È bene evidenziare che quello della trascrizione è un procedimento distinto ed autonomo rispetto alla celebrazione religiosa del matrimonio; mentre quest'ultima è rimessa alle “norme dell’ordinamento canonico”, la trascrizione è regolata esclusivamente dalla legge dello stato, che prescrive per essa quegli stessi presupposti di validità previsti per la celebrazione del matrimonio civile: la trascrizione, in sostanza, può oggi aver luogo solo quando le parti stesse avrebbero potuto contrarre matrimonio civile. La pubblicazione e il nullaosta Il procedimento amministrativo inizia con la richiesta di pubblicazione, infatti è necessario che vengano data pubblicità al matrimonio ancora prima della sua celebrazione, in modo che le parti possano opporsi rilevando una causa di impedimento alla valida e lecita celebrazione del matrimonio. La celebrazione del matrimonio deve essere preceduta dalla pubblicazione fatta dall’ufficiale di stato civile. Le pubblicazioni sono regolate dal codice civile come dal decreto presidenziale 396/2000, che è un decreto di delegificazione. La pubblicazione costituisce una forma di pubblicità-notizia, in quanto assolve alla funzione di rendere pubblica la volontà concorde di due soggetti di contrarre tra loro un matrimonio canonico destinato a produrre effetti civili; in tal modo vengono accertate l'esattezza delle dichiarazioni rese dai bendi all'ufficiale dello stato civile e l'insussistenza di impedimenti alla trascrizione e si consente, a quanti ne abbiano interesse, di proporre opposizione alla medesima. La pubblicazione deve essere chiesta CONGIUNTAMENTE da entrambi i nubendi o da persona che ne abbia ricevuto dagli stessi personale incarico mediante procura speciale rilasciata nella forma della scrittura privata autenticata: deve essere diretta all’ufficiale dello stato civile del comune in cui uno degli sposi ha la residenza (art 94 c.c.) ed è fatta nel comune di residenza di entrambi gli sposi, se differenti. La pubblicazione deve essere anche sottoscritta dal parroco perchè deve rilevare agli atti che non si tratta di una richiesta di un matrimonio civile ma di un matrimonio religioso destinato a produrre effetti civili. Ricevuta la richiesta, l'ufficiale dello stato civile verifica l'esattezza delle dichiarazioni rese dai nubendi, anche acquisendo d'ufficio documenti utili a tale verifica, redige processo verbale dell'attività svolta e provvede ad effettuare la pubblicazione con atto separato all'albo telematico del Comune. L'atto di pubblicazione resta visibile sull'albo telematico per almeno otto giorni, ma il tribunale, su istanza dei nubendi, può autorizzare per gravi motivi la riduzione di tale termine, riduzione che dovrà essere annotata sull'atto stesso a cura dell'ufficiale dello stato civile; quando 85 Angelica Ricci sussistano gravissime cause (es. matrimonio celebrato da un collaboratore di giusti- zia) il tribunale può perfino autorizzare l'omissione della pubblicazione (art. 100 c.c.). L'ufficiale dello stato civile può rifiutarsi di procedere alla pubblicazione quando vi siano fondati motivi (ad es. la sussistenza di impedimenti alla trascrizione), che deve indicare in un apposito certificato da rilasciare alle parti e dei quali deve contestualmente informare anche il parroco della celebrazione. Il diniego di pubblicazione dell'ufficiale dello stato civile può essere impugnato innanzi al Tribunale che decide con rito camerale, sentito il pubblico ministero. Durante gli otto giorni di pubblicazione, i soggetti individuati dall'art. 102 c.c. - i genitori e, in mancanza loro, gli altri ascendenti, i collaterali entro il terzo grado, il tutore o il curatore, il precedente coniuge e, in taluni casi, anche i parenti di questo, il pubblico ministero - che siano a conoscenza di impedimenti, possono opporsi alla trascrizione con ricorso al Presidente del Tribunale del luogo dove è stata eseguita la pubblicazione. La pubblicazione avviene nella casa comunale e trascorsi 3 giorni dalla pubblicazione, l’ufficiale dello stato civile, qualora non gli sia stata rilasciata alcuna opposizione e non gli consti che nulla si oppone al matrimonio, rilascia il c.d. nullaosta, ovvero un certificato in cui si dichiara che non risulta l’esistenza di cause che si oppongano alla valida e lecita celebrazione del matrimonio valido agli effetti civili. Trascorsi 3 giorni dalla pubblicazione, quindi, l’ufficiali di stato civile rilascia un nullaosta. Non tutti soggetti sono legittimati a opporsi, mentre il PM si per ogni causa impeditiva della valida celebrazione dello stesso. Tale atto fa sorgere in capo ai nubendi un diritto soggettivo ad ottenere la trascrizione civile del loro matrimonio celebrato secondo le norme del diritto canonico, e l'obbligo dell'ufficiale dello stato civile di provvedervi, anche quando, successivamente al rilascio del nulla osta, sia venuto a conoscenza dell'esistenza di impedimenti non derogabili o non derogati alla trascrizione; in quest'ultima ipotesi è tuttavia suo specifico obbligo informare tempestivamente il Procuratore della Repubblica affinché provveda ad impugnare la trascrizione. Viceversa, il compimento della pubblicazione ed il rilascio del nulla osta non vincolano in nessun modo le parti a celebrare il matrimonio, o a celebrarlo entro un determinato periodo di tempo, poiché la loro concorde volontà matrimoniale, pubblicamente manifestata mediante tale adempimento, è liberamente revocabile o riformabile da ciascuno dei due o da entrambi fino al momento della celebrazione. La pubblicazione ha tuttavia un’efficacia limitata nel tempo e il matrimonio deve essere celebrato nei 180 giorni successivi al suo compimento, trascorsi i quali perde efficacia e andrà ripetuta. Qualora sia stata rilevata opposizione, l’ufficiale di stato NON può rilasciare il nullaosta e deve comunicare al parroco l’opposizione stessa. Il tribunale civile decide con decreto avente efficacia immediata. L’opposizione può esser presentata anche tardivamente ma prima della trascrizione stessa. Se non c’è stata opposizione, una volta rilasciato il nullaosta, o se le opposizioni sono state risolte positivamente, le parti possono celebrare il matrimonio: il nullaosta ha validità di 180 giorni. Ipotesi di intrascrivibilità del matrimonio 1. Quando gli sposi non rispondano ai requisiti civili circa l’età richiesta per la celebrazione, quindi non abbiano compiuto i 18 anni (tranne nel caso in cui siano autorizzati dal tribunale in presenza di gravi motivi dopo i 16 anni ai sensi dell'Art 84 c.c.) 2. Quando sussiste tra gli sposi un impedimento che la legge civile considera inderogabile. Il nostro codice civile prevede alcuni impedimenti alla valida celebrazione del matrimonio, cioè circostanza di fatto o di diritto che che ne impediscono la celebrazione. Questi impedimenti inderogabili sono previsti dalla L. 121/1985. anche l’Art 8 dell’accordo di Villa Madama prevede che non possono essere trascritti i matrimoni che prevedano adempimenti inderogabili da parte degli sposi. Alcuni impedimenti inderogabili sono l’interdizione giudiziale = infermità di mente), che si verifica se uno dei contraenti è interdetto per infermità di mente + se sussiste tra gli sposi un altro matrimonio valido civilmente + se uno dei nubendi è gravato dall’impedimento da delitto o da affinità in linea retta. Quest’ultimo impedimento è delineato dall’Art 88 c.c.—> omicidio volontario, consumato o tentato delitto dell’altrui coniuge (il coniuge dell’altrui coniuge o del proprio coniuge per sposare un’altra persona), effettuato direttamente o tramite una terza persona. Richiede che vi sia una sentenza di condanna passata in giudicato anteriore alla pubblicazione. In ossequio al principio di uguaglianza tra cittadini credenti e non credenti, dal quale discende la necessaria parità di requisiti tra coloro che scelgono di contrarre matrimonio (solo) civile e quelli che optano per il matrimonio concordata- rio, i casi di intrascrivibilità ora ricordati devono essere interpretati per relationem con gli impedimenti previsti dal Codice per il matrimonio civile, in modo tale che gli uni coincidano con gli altri. Questa esigenza di non discriminazione ha alcune 86 Angelica Ricci significative ricadute pratiche e comporta che: in nessun caso può essere trascritto il matrimonio canonico del minore di sedici anni, mentre può esserlo quello dell'infrasedicenne quando sia intervenuto il provvedimento di autorizzazione del tribunale a norma dell'art. 84 c.c.; costituisce ipotesi di intrascrivibilità la sola interdizione per infermità di mente, mentre non lo sono l’interdizione legale, l'inabilitazione e l'incapacità naturale (art. 85 c.c.); il riferimento concordatario alla sussistenza tra gli sposi di un altro matrimonio valido civilmente deve essere esteso a qualunque precedente vincolo civilmente valido tra i due nubendi, o tra uno dei nubendi e un terzo, sia esso un matrimonio o un'unione civile tra persone dello stesso sesso; l'impedimento da delitto fa esclusivo riferimento all'ipotesi di omicidio volontario, consumato o tentato, del coniuge dell'altro nubendo e richiede che vi sia una sentenza di condanna passata in giudicato anteriore alla pubblicazione (art. 88 c.c.); infine, la sussistenza di rapporti di parentela, affinità ed adozione tra i nubendi costituisce un impedimento alla trascrizione nei termini e con le possibilità di deroga previste dall'art. 87. c.c. Una sentenza della corte costituzionale (32/1971) aveva stabilito che non poteva essere trascritto il matrimonio contratto dall’infermo di mente. In presenza di questi impedimenti il matrimonio non può essere trascritto. La forma ordinaria può esser riconosciuta agli effetti civili, mentre il discorso è più complesso per le forme straordinarie, perchè non tutte possono dar luogo aut matrimonio canonico trascrivibile agli effetti civili. La celebrazione Nel corso del matrimonio devo essere osservate determinate finalità civili che sono richieste dalla legge concordataria e anche dalla L. 847/1929. Il matrimonio canonico ha diverse forme, una FORMA ORDINARIA e alcune FORME STRAORDINARIE di celebrazione. Il diritto concordatario considera essenzialmente la forma ordinaria di celebrazione, che riguarda la celebrazione a da parte del ministro di culto dinanzi a testimoni). —> FORMA ORDINARIA: il sacerdote deve dare lettura degli articoli del codice civile che riguardano i diritti e doveri dei coniugi, e redigerà in doppio originale (due duplici copie) l’atto di matrimonio nel quale potranno essere dichiarate le dichiarazioni dei coniugi consentite dalla legge. Il sacerdote che assiste al matrimonio come TESTIMONE di un sacramento in cui gli sposi sono i ministri redige l’atto di matrimonio, che è un atto pubblico anche se redatto da un privato, e come tale fa stato di quanto affermato fino a querela di falso. Il sacerdote che assiste assume quindi la funzione di pubblico ufficiale in quanto redattore di un atto pubblico. In questo atto, in cui sono contenute la data di celebrazione ecc possono anche essere consentite le dichiarazioni dei coniugi dalla legge, che sono essenzialmente 3: • Regime legale patrimoniale della famiglia (comunione dei beni, era si può optare anche per la separazione dei beni inserendo la relativa dichiarazione nell’atto di matrimonio) • Le parti possono optare, qualora uno dei coniugi sia straniero, per il regime patrimoniale previsto dall’ordinamento nazionale dello stato di provenienza di esso • Richiesta di legittimazione dei figli nati precedentemente al matrimonio Il parroco del luogo, una volta redatto l’atto di matrimonio, deve richiedere lui stesso al trascrizione del matrimonio all’ufficiale di stato civile non oltre i 5 giorni dalla celebrazione, il quale deve trascrivere l’atto entro 24 ore nel registro di stato civile (se sussistono delle condizioni) e ne dà notizia al parroco stesso. Questi non sono termini perentori, infatti nella prassi sono poco seguiti. La trascrizione ha effetti RETROATTIVI, e ciò comporta che l’atto di matrimonio trascritto produce effetti ex tunc dal momento della celebrazione del matrimonio anche se l’ufficiale civile abbia effettuato la trascrizione anche DOPO il termine previsto. L’ufficiale di stato civile trascrive l’atto quando verifica che sussistano tutte le condizioni per la trascrizione—> non tutti i matrimoni possono essere trascritti. —> FORME STRAORDINARIE: ad alcune possono essere riconosciuti gli effetti civili mentre ad altre no: • Matrimonio segreto—> tale matrimonio è privo di pubblicazione e viene redatto un atto di matrimonio conservato nell’archivio segreto della curia, e non può essere trascritto perchè non c’è la pubblicità (diverso discorso è la trascrizione tardiva). • Matrimonio innanzi ai soli testimoni (coram solis testibus)—> il diritto canonico prevede che in determinate circostanze un matrimonio possa essere celebrato solamente innanzi ai testimoni. È valido per la chiesa perchè causa efficiente di esso il CONSENSO degli sposi, il sacerdote è un mero teste qualificato. In questo caso non può essere trascritto perchè manca chi abbia la capacitò prevista dall’ordinamento di redigere un atto pubblico. Questo matrimonio è valido per la chiesa ma non per lo stato italiano 87 Angelica Ricci Il concordato del 1929 affermava che le cause concernenti le nullità del matrimonio sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici: significa che i processi che riguardavano la validità do un vincolo coniugale eran di competenza esclusiva della chiesa, su cui lo stato non poteva intervenire. i processi sulla validità o invalidità del matrimonio erano riservati in maniera esclusiva ai tribunali della chiesa, fermo restando che quelle sentenze, una volta emanate e divenute definite, potevano essere dichiarate efficaci nel nostro ordinamento, Lo stato quindi abdicava la sua giurisdizione in favore di quella della chiesa. Questa efficacia era automatica, nel senso che la richiesta di efficacia delle sentenze canoniche poteva o essere fatta su richiesta delle parti o di ufficio, ed erano competente dalla corte d’appello dello stato competente per territorio. Vi era un AUTOMATISMO. La situazione con il nuovo concordato del 1984 si è in parte modificata anche a luce di alcuni interventi della corte: la sostanza è che lo stato riconosce in linea di principio le sentenze canoniche sulla validità. tuttavia il procedimento di riconoscimento delle sentenze, da un lato non sarà più automatico, dall’altro non tutte le sentenze canoniche potranno essere riconosciute nel nostro ordinamento. Con il concordato del 1929 la chiesa aveva giurisdizione esclusiva sul matrimonio stesso, mentre nel nuovo concordato no si riporta più il principio della riserva di giurisdizione a favore della chiesa. qui non c’è nessun riferimento a una permanenza della giurisdizione della chiesa. Si pone un doppio problema: da un lato c’è mancanza di chiarezza, non è chiaro se ci sia o no riserva di giurisdizione. La cassazione e al corte costituzionale son giunte, sulla base dello stesso testo, a conclusioni opposte: la cassazione ha affermato che non c’è riserva, mentre la corte costituzionale si. Per quanto riguarda il primo problema, la Corte di Cassazione ha affermato con giurisprudenza costante che c’è una giurisprudenza concorrente. Lo Stato avrebbe la competenza per dichiarare l’invalidità del matrimonio canonico trascritto, non della trascrizione. Lo Stato avrebbe una giurisprudenza concorrente con la Chiesa da risolvere con il criterio della prevenzione. Tale criterio si fonda sul brocardo “electa una via non datur recursus ad altera”(= se la parte istante sceglie una via non si può fare ricorso all’altra), principio per cui la prima giurisdizione adita è quella competente. Le parti sono libere di scegliere una delle due giurisdizioni, tuttavia eletta una giurisdizione non si può portare avanti il procedimento davanti all’altra giurisdizione. Diversa è l’opinione della Corte costituzionale, secondo cui il Nuovo Concordato da un lato non afferma in maniera esplicita che vi è la giurisdizione esclusiva a favore della Chiesa, tuttavia tale riserva è qualcosa di intrinseco al sistema, nel senso che il matrimonio nasce nell’ordinamento canonico ed è logico che sia giudicato da quell’ordinamento in cui nasce: quindi il matrimonio sorto nel diritto canonico solo dal diritto canonico potrà essere dichiarato invalido. Dall’altro lato, la Corte afferma che se lo Stato italiano dichiarasse la validità o invalidità di un vincolo coniugale religioso, questo costituirebbe una violazione del principio supremo di laicità dello stato. Tale competenza è esclusivamente del tribunale religioso. È venuta meno la riserva di giurisdizione, che è sempre un eccezione dell’ordinamento. La corte in una sentenza afferma che non c’è nessuna concorrenza di giurisdizione (perchè lo Stato non ha giurisdizione) ma la competenza resta esclusiva della chiesa cattolica: al massimo c’è un RIPARTO DI GIURISDIZIONE. —> È più corretta la posizione della Corte costituzionale, perchè da un lato lo Stato NON HA e NON PUÒ AVERE giurisdizione sul matrimonio trascritto trattandosi di un atto meramente religioso, e dall’altro lato ci sarebbe violazione del principio di laicità dello stato. La Cassazione tuttavia non ha mai sconfessato il suo principio, ma finora non c’è ancora stato un giudice statale che abbia dichiarato l’invalidità di un matrimonio religioso. Vi è comunque una giurisdizione della Chiesa sul matrimonio canonico e la Chiesa esercita la sua giurisdizione. La Chiesa non riconosce le sentenze civili che dichiarano la nullità di un matrimonio canonico. Queste diverse posizioni non mettono in discussione il punto che le sentenze emesse da tribunali ecclesiastici possano avere effetti civili: con il nuovo concordato il riconoscimento soggiace a un’istanza di parte, cioè le parti devono richiedere il riconoscimento della sentenza canonica di unità matrimoniale. Se l’istanza è proposta da una sola parte, l’atto introduttorio del procedimento si chiama CITAZIONE, altrimenti se è proposta da entrambe le parti si parla di RICORSO. Se il procedimento è introdotto mediante citazione sarà contenzioso, altrimenti se è introdotto mediante ricorso sarà camerale di volontaria giurisdizione, cioè in camera di consiglio. In entrambi i casi il giudice deve verificare 90 Angelica Ricci (3) L’EFFICACIA CIVILE DELLE SENTENZE ECCLESIASTICHE DI NULLITÀ MATRIMONIALE Poichè l’ordinamento italiano, a certe condizioni, riconosce al matrimonio contratto “secondo le norme del diritto canonico” i medesimi effetti giuridici di un matrimonio civile, che ne è di tali effetti quando il giudice ecclesiastico dichiari la nullità del vincolo matrimoniale? L'accordo di modificazione prevede che l'efficacia civile di un matrimonio canonico trascritto non cessi in automatico quando venga accertata la sua nullità nell'ordinamento canonico, ma consente che ciò avvenga mediante un PROCEDIMENTO DI DELIBAZIONE che attribuisca efficacia civile alla decisione del giudice ecclesiastico. L’ordinamento italiano in certe condizioni riconosce efficacia civile alle pronunce del giudice ecclesiastico dichiarative della nullità del vincolo matrimoniale. Nel 1984 è stato previsto che l’efficacia civile di un matrimonio trascritto non cessa in automatico quando viene pronunciata la nullità del matrimonio canonico. La pronuncia del giudice ecclesiastico non è sufficiente in quanto tale per avere effetti civili. La delibazione è lo strumento usato per far avere efficacia civile alla decisione del giudice ecclesiastico (prima del 1984 c’era un automatismo, quantomeno di fatto. Il giudice ecclesiastico si pronunciava, c’era una sorta di passaggio nella Corte di Appello, che attribuiva automaticamente efficacia alle decisioni ecclesiastiche) Le fonti normative • ART. 8 CO. 2 ACCORDO DI MODIFICAZIONE DEL CONCORDATO: afferma che le pronunce di nullità del tribunale ecclesiastico munite di un decreto di esecutività sono dichiarate efficaci nella repubblica italiana su domanda delle parti o di una di esse con sentenza della Corte d’Appello competente. Questa norma contiene un rinvio materiale al contenuto di due artt. del codice di procedura civile, cioè gli artt. 796 e 797, che nel 1984 disciplinavano le modalità e le condizioni del riconoscimento in Italia delle sentenze straniere, sulla base di un parallelismo tra riconoscimento della sentenza dell’ordinamento canonico e riconoscimento della sentenza di altro ordinamento. La legge di riforma 218/1995 ha abrogato questi due articolo e ha introdotto un sistema di automatico riconoscimento delle sentenze straniere, senza necessità di ricorrere a un procedimento di delibazione. Tuttavia, questa riforma non si applica al riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche in Italia per due ragioni. Innanzitutto, una legge unilaterale dello Stato non può modificare l’accordo di modificazione concordataria (sovraordinato alla legge ordinaria) (ragione che attiene alla gerarchia delle fonti). Inoltre, la legge 218/1995 prevede che vengano rispettate le convenzioni internazionali in vigore per l’Italia, tra cui l’accordo di modificazione concordataria (ragione testuale). • ARTT. 796 – 797 C.P.C. • PROTOCOLLO ADDIZIONALE ALL’ACCORDO DI REVISIONE CONCORDATARIA, NUMERO 4 LETTERA B: l’accordo di revisione concordataria ha allegato un protocollo addizionale che introduce alcune specificazioni. Il numero 4 introduce accorgimenti sull’applicazione delle norme procedurali degli artt. 796 e 797 c.p.c. 
 Procedimento di delibazione Si deve partire dall’ATTO INTRODUTTIVO. La domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica deve essere proposta dalle parti o da una di esse. L’impulso procedimentale deve giungere da almeno uno dei coniugi. È escluso che soggetti diversi possano chiedere il riconoscimento di una sentenza ecclesiastica di nullità matrimoniale di cui non sono parte. L’unica ipotesi di deroga a questo principio è quella in cui si consente agli eredi di proseguire una procedura di delibazione già iniziata al momento della morte dei coniugi. Quando la domanda viene proposta congiuntamente, l’atto introduttivo è un ricorso congiunto. Quando la domanda viene proposta da un solo coniuge, ci si trova in presenza di un atto di citazione. Dal differente atto introduttivo dipenderà il RITO con cui si svolge il procedimento. Nel primo caso la decisione verrà assunta in Camera di Consiglio, nel secondo con il rito del contenzioso ordinario. Competente a decidere è la Corte d’Appello individuata sulla base del Comune dove è avvenuta la trascrizione del matrimonio dichiarato nullo. Non si guarda alla celebrazione, ma al luogo della trascrizione. È stata effettuata questa scelta perché si applica il principio generale di competenza che individua la competenza sulla base del luogo in cui la sentenza deve essere eseguita. Se la sentenza viene riconosciuta, la cessazione sarà la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Ci sarà bisogno di un’annotazione sul registro dello Stato civile in cui è stato trascritto il matrimonio. L’art. 8 afferma che possono essere riconosciute SOLO le sentenze munite del decreto di esecutività del superiore organo ecclesiastico di controllo (Tribunale della segnatura 91 Angelica Ricci apostolica). Il numero 4 afferma che la nullità deve essere divenuta esecutiva secondo il diritto canonico. Il requisito sostanziale è che la sentenza ecclesiastica di cui si richiede la delibazione (=riconoscimento nell’ordinamento dello stato) debba essere “divenuta esecutiva per il diritto canonico” e ciò va provato allegando in forma autentica alla sentenza il decreto della Segnatura apostolica che dichiara l’esecutività della sentenza. Se la sentenza non è corredata da tale decreto, essa non può essere delibata. Quando una sentenza ecclesiastica di nullità diventa esecutiva? tradizionalmente serviva la doppia conforme, il doppio grado di giudizio, due sentenze di nullità da due tribunali ecclesiastici. La seconda sentenza andava alla segnatura. Ciò è avvenuto fino al 2015, quando si è sancita la possibilità che diventi esecutiva anche la sentenza ecclesiastica che ha dichiarato per la prima volta la nullità del matrimonio (se dopo un tot di tempo dalla sentenza del primo grado non viene proposto appello). Effetti dell’accoglimento della domanda—> perdita della qualità o status civile di coniuge, perdita dei rispettivi diritti di successione ereditaria, perdita degli obblighi reciproci di cui agli artt. 143 ss. c.c. Molti di questi effetti sono i medesimi effetti che si producono nel nostro ordinamento con la sentenza di divorzio. Mentre il divorzio (cessazione degli effetti civili del matrimonio) opera ex nunc, la delibazione della sentenza di nullità opera ex tunc, decorrono con effetto retroattivo dal momento della celebrazione Accertamenti della Corte d’Appello La corte d’appello investita del giudizio di delibazione della sentenza ecclesiastica è chiamata ad accertare una serie di requisiti: 1. Competenza del giudice ecclesiastico a riconoscere la causa (e che si sia pronunciato su un matrimonio concordatario): innanzitutto bisogna verificare di trovarsi davanti a una sentenza ecclesiastica e non, ad esempio, a un provvedimento amministrativo canonico. Uno dei pochi casi di scioglimento del matrimonio canonico (scioglimento ≠ nullità), quello del matrimonio rato e non consumato, avviene con un provvedimento amministrativo che non può essere riconosciuto nell’ordinamento dello Stato. Inoltre, bisogna verificare che il tribunale ecclesiastico che ha emesso la sentenza fosse quello competente secondo le norme di diritto canonico. Inoltre, la sentenza deve riguardare un matrimonio concordatario. Ciò significa che non sono delibabili le sentenze di nullità di matrimoni canonici non trascritti. 2. Assicurazione alle parti del rispetto nel processo canonico di nullità matrimoniale del diritto di agire e di DIFESA (quale principio fondamentale nel nostro ordinamento) in maniera non difforme dai principi fondamentali del nostro ordinamento (ogni ordinamento ha le sue caratteristiche specifiche che lo differenziano). L’ordinamento di difesa nell’ordinamento canonico allo stesso modo ha delle caratteristiche che sono diverse da quelle formalizzate nel codice civile italiano, ma sostanzialmente omogenee per quanto rigida la tutela dei diretto fondamentali. Questa idea della tutela giurisdizionale come principio supremo del nostro ordinammo fu elaborata dalla corte costituzionale per valutare la legittimità di na norma di derivazione concordataria, l’Art 34 del Concordato (sent. 18/1982 Corte cost. , che ribadisce che il principio di tutela giurisdizionale è un principio supremo del nostro ordinamento) 3. Ricorso delle altre condizioni: non contrarietà e litispendenza: si richiede che la sentenza ecclesiastica non sia contraria ad altra sentenza pronunciata da un giudice italiano e non sia pendente davanti a un giudice italiano un giudizio per il medesimo oggetto tra le stesse parti. Sono condizioni richieste dalla legislazione italiana per la dichiarazione di efficacia delle sentenze straniere: la sentenza canonica è equiparata alla sentenza straniera. Qui si pone un PROBLEMA INTERPRETATIVO, perchè le condizioni di efficacia che deve verificare il giudice della corte d’Appello per la dichiarazione de efficacia delle sentenze straniere erano stabilite dagli artt 796 e 797 c.p.p. che però sono stati ABROGATI dalla L. 218/1995, e negli artt 64 e 65 stabilisce le nuove condizioni di efficacia di una sentenza straniera nel nostro ordinamento. Il problema però si pone nel momento in cui il protocollo addizionale all’Accordo di Villa Madama afferma che “con riferimento alla delibazione delle sentenze di nullità matrimoniale, ai fini dell’applicazione di quegli articoli del c.p.p. si dovrà tener conto della specificità dell’ordinario canonico da cui … che esso ha avuto origine”—> il nuovo concordato fa esplicito rinvio agli artt 796 e 797 affermando che, nel momento in cui si applicano, bisogna tener conto che l’ordinamento canonico ha alcune peculiarità rispetto a quello civile (es: la sentenza canonica non passa mai in giudicato). Si pone un problema di GERARCHIA DI FONTI, perchè una legge ordinaria non può derogare a una legge di derivazione concordataria. Qui abbiamo una legge ordinaria, L. 218/1995, che abroga gli artt 796 e 797 sostituendone il contenuto, che dal punto di vista 92 Angelica Ricci documento assolve alla duplice funzione di nulla osta alla celebrazione nella forma speciale del rito religioso e di abilitazione del celebrante quale sostituto dell'ufficiale dello stato civile. Il ministro di culto incaricato deve essere scelto, a pena di invalidità civile del matrimonio, tra coloro la cui nomina sia stata preventivamente notificata al Ministero dell'Interno e da esso approvata ai sensi dell'art. 3 della legge n. 1159 del 1929; la data del provvedimento di approvazione del ministro celebrante deve risultare dal nulla osta. Durante la celebrazione, il ministro di culto deve ricevere, «alla presenza di due testimoni idonei, la dichiarazione espressa di entrambi gli sposi, l'uno dopo l'altro, di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie» e deve dare lettura agli sposi degli articoli 143, 144 e 147 del Codice civile sui diritti e i doveri dei coniugi. Il medesimo ministro incaricato della celebrazione ha l'onere di redigere, <«immediatamente dopo» di essa ed in lingua italiana, l'atto di matrimonio, che deve presentare tutti gli elementi individuati dall'art. 10 della legge n. 1159 del 1929 e può eventualmente contenere anche: l'opzione per il regime della separazione dei beni (art. 162, comma 2 c.c.); la scelta della legge applicabile ai rapporti patrimoniali quando uno dei coniugi sia straniero (65); il riconoscimento dei figli (art. 254 c.c.). L'atto deve essere trasmesso in originale all'ufficiale dello stato civile <<non oltre cinque giorni dalla celebrazione», il quale lo trascriverà nei registri dello stato civile entro venti- quattr'ore dalla ricezione. Quanto ad eventuali profili patologici che possano riscontrarsi con riferimento al matrimonio celebrato nella forma consentita dalla Legge sui culti ammessi, occorre evidenziare, anzitutto, che il mancato rispetto dei termini previsti per la trascrizione e le irregolarità dell'atto di matrimonio possono essere sanati mediante l'ordinaria procedura giudiziale di rettificazione e regolarizzazione degli atti dello stato civile prevista dagli artt. 95 e ss. del d.P.R. n. 396 del 2000 In secondo luogo, non vi è dubbio che il matrimonio celebrato con tale forma possa essere impugnato sia per le cause di nullità o di annullamento del matrimonio civile previste dagli artt. 117 ss. c.c. sia per vizi propri della forma, quale, ad esempio, la mancata previa approvazione del ministro celebrante da parte del Ministero dell’interno. LEGGE 1159/1929 Prevedeva che la nomina del ministro di culto deve essere approvata dal ministro dell’interno, ferma restando libertà per le confessioni di nominare chi vogliono come ministro di culto, legge 1159 prevede che se si vuole attribuire effetto civile alla nomina del ministro di culto, ci vuole approvazione del ministro dell’interno. Se non è approvata, gli atti del ministro di culto hanno efficacia meramente interna, se approvata possono avere anche effetti civili Vale anche per matrimonio religioso acattolico a effetti civili. Regolato negli articoli 7 seguenti della legge 1159 del 1929. Prevedono disciplina simile alla trascrizione del matrimonio canonico, allora all’art 34 del concordato Art 7 prevede che matrimonio religioso, contratto con confessioni diverse dalla cattolica può assumere effetti civili dal momento della sua celebrazione quando siano osservate alcune formalità, stesse viste per matrimonio religioso cattolico -        Pubblicazioni civili, chi intende celebrare matrimonio religioso acattolico deve dichiararlo all’ufficiale di stato civile che sarebbe competente a celebrare matrimonio civile. Egli dopo aver accertato che nulla si oppone alla celebrazione secondo diritto civile, e adempiute tutte formalità richieste dal diritto civile, pubblicazioni civili, rilascia il nulla osta, autorizzazione scritta dov’è indicato anche ministro di culto autorizzato a celebrare il matrimonio. Anche data di autorizzazione ministro. Previamente alla celebrazione si deve fare richiesta di pubblicazione all’ufficiale di stato civile, effettua le pubblicazioni, effettuate le quali se non vi sono state opposizioni e non rileva impedimenti, rilascia autorizzazione alla celebrazione del matrimonio, con anche nome del ministro di culto autorizzato e data autorizzazione della nomina. Sulla base dell'autorizzazione, del nulla osta, dell’ufficiale di stato civile, il ministro di culto celebra il matrimonio, e perché matrimonio religioso possa avere effetti civili deve osservare alcune condizioni: -        Lettura articoli cc dei diritti e doveri dei coniugi (art 143-144-145 cc), data lettura di tali articoli deve ricevere consenso di entrambi gli sposi di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie. Ricevuto consenso, terminata celebrazione, il ministro di culto redige ATTO DI MATRIMONIO, mentre per matrimonio canonico si chiede doppio originale per atto, qui si chiede solo redazione di una copia sola, redatto nelle forme stabilite dall’art 64 del d.pr 396/2000, decreto presidenziale di delegificazione, abroga alcune norme del cc. Questo d.pr sulla semplificazione e revisione 95 Angelica Ricci dell’ordinamento dello stato civile, prevede alcune norme sulla compilazione degli atti di matrimonio Ministro di culto nel redigere atto di matrimonio deve seguire queste indicazioni, ministro di culto è un privato che esercita una funzione pubblica, redigendo un atto pubblico, piena prova di quanto in esso contenuto sino a querela di falso. Atto di matrimonio deve essere redatto da ufficiale di stato civile, è atto pubblico, ministro di culto considerato un pubblico ufficiale. Una volta compilato atto di matrimonio, atto stesso viene trasmesso all’ufficiale di stato civile in originale entro 5 giorni dalla celebrazione, e ufficiale di stato civile ricevuto atto matrimonio ne cura trascrizione nel registro dello stato civile, entro 24 ore dalla ricezione, stessi termini del matrimonio canonico. Anche nel caso del matrimonio acattolico i termini non sono perentori, ma ordinatori, ossia nel caso di inosservanza del termine, la trascrizione si dà comunque per valida e lecita Come sempre, il matrimonio una volta trascritto produce effetti dal momento della celebrazione, trascrizione con effetti retroattivi. Matrimonio religioso a effetti civili, confessioni religiose diverse cattolica, legge 1159, produce anch’esso effetti civili dal momento della celebrazione una volta trascritto Legge 1159 non prevede alcuna rilevanza della giurisdizione religiosa diversa dalla cattolica, solamente si prevede la rilevanza civile della forma religiosa, in dottrina si dubita anche che si possa parlare di matrimonio religioso di effetto civile, alcuni parlano di matrimonio civile speciale. Il regime giuridico previsto dalla legge 1159/1929 è simile a quello previsto per il MATRIMONIO ACATTOLICO; in particolar modo prevede che un matrimonio religioso acattolico può essere trascritto nei registri dello stato civile, assumendo effetti civili quando siano osservate alcune formalità: innanzitutto devono essere effettuate le pubblicazioni civili, dichiarando all’ufficiale dello stato civile che accerta che siano state adempiute tutte le formalità previste dal diritto civile; poi l’ufficiale di stato civile rilascia il nullaosta, in cui indica il nome del ministro di culto autorizzato a celebrare il matrimonio e la data in cui è stato autorizzato. Sulla base del nullaosta, il ministro di culto celebra il matrimonio secondo il rito proprio di quella confessione religiosa e affinchè possa acquisire effetti civili deve adempiere certe formalità, indicate nell’Art 9 L. 1159/1929: “Il ministro del culto, davanti al quale avviene la celebrazione, deve dare lettura agli sposi degli artt. 130, 131 e 132 del codice civile (Vedi gli artt. 143, 144 e 147 c.c. 1942) e ricevere, alla presenza di due testimoni idonei, la dichiarazione espressa di entrambi gli sposi, l'uno dopo l'altro, di volersi prendere rispettivamente in marito e moglie, osservata la disposizione dell'art. 95 del codice civile. L'atto di matrimonio dev'essere compilato immediatamente dopo la celebrazione, redatto in lingua italiana nelle forme stabilite dagli artt. 352 e 353 del codice civile per gli atti dello stato civile e deve contenere le indicazioni richieste nell'art. 10 della presente legge. L'atto, così compilato, sarà subito trasmesso in originale all'ufficiale dello stato civile e, in ogni caso, non oltre cinque giorni dalla celebrazione”. IL dPR 396/2000 sulla dempòificazioe prevede alcune norme sulla compilazione degli atti di matrimonio??? Il ministro di culto, nel redigere l’atto di matrimonio, deve redigere alcune indicazioni previste dall’Art 64 di questo dpr. Il ministro di culto è un privato che esercita una funzione pubblica, in quanto redige un atto pubblico che fa piena prova di quanto in esso contenuto sino a querela di falso. L’atto di matrimonio viene poi trasmesso entro 5 gg all’ufficiale di Stato civile perché venga trascritto entro 24 ore, e una volta trascritto assume effetti civili. ➪ QUINDI: la disciplina è analoga rispetto a quella del matrimonio canonico, e i termini non sono perentori ma ordinatori e la trascrizione ha effetto RETROATTIVO. Matrimonio celebrato davanti al ministro di una confessione dotata di intesa Ad eccezione di quelle con l'Unione Buddista Italiana e con l'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, tutte le altre (undici) intese ad oggi stipulate tra lo Stato e le confessioni diverse dalla cattolica contengono norme sulla celebrazione religiosa del matrimonio civile. La gran parte di queste presentano disposizioni presso- ché identiche e disegnano un procedimento analogo, che può essere così riassunto:) a) i nubendi devono manifestare all'ufficiale dello stato civile la loro intenzione di celebrare un matrimonio con rito religioso davanti al ministro di culto della confessione di appartenenza (che alcune intese prevedono debba essere cittadino italiano) é richiedere le pubblicazioni; b) l'ufficiale dello stato civile, effettuate le pubblicazioni ed accertato che non sussistano impedimenti civili alla celebrazione del matrimonio, rilascia il nulla osta ai nubendi; c) il nulla osta, oltre a precisare che la celebrazione nuziale avverrà davanti ad un ministro di culto e nel comune indicato dai nubendi, deve altresì attestare di aver dato lettura a questi 96 Angelica Ricci ultimi degli articoli del Codice civile sui diritti e doveri dei coniugi (le intese con le Comunità ebraiche e con la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni, su modello della disciplina concordataria e della 1. n. 1159 del 1929, rimettono invece tale onere di lettura al celebrante); d) subito dopo la celebrazione, il ministro di culto ha l'onere di redigere, in duplice originale ed in lingua italiana, l'atto di matrimonio, e trasmetterlo entro cinque giorni dalla celebrazione all'ufficiale dello stato civile, allegandovi il nulla osta; l'atto di matrimonio potrà contenere le già ricordate dichiarazioni di scelta del regime patrimoniale e di riconoscimento dei figli; e) l'ufficiale dello stato civile, verificata la formale regolarità dell'atto e l'autenticità del nulla osta, trascrive l'atto stesso entro le ventiquattr'ore dal ricevimento, dandone notizia al ministro di culto che glielo ha inviato. Nel caso in cui la trascrizione del matrimonio celebrato secondo il rito di una confessione pattizia non avvenga nei tempi prescritti dalle leggi di approvazione delle intese non è possibile ricorrere alla procedura della trascrizione tardiva, che rappresenta uno ius speciale del solo matrimonio concordatario. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che, qualora il ritardo sia dovuto a vizi o errori nel procedimento di mera trasmissione dell'atto matrimoniale, non siano venuti meno i requisiti per accedere all'unione matrimoniale e l'intenzione originaria degli sposi fosse quella di far conseguire effetti civili al loro matrimonio, sia ammissibile una trascrizione posticipata, cioè con effetti ex tunc. Infine, come per i matrimoni celebrati ai sensi della Legge sui culti ammessi, anche per quelli previsti dalle intese, la trascrizione oltre i termini è possibile (solo) ricorrendo al procedimento di rettifica previsto dagli artt. 95 e ss. d.P.R. n. 396 del 2000 ed il matrimonio può essere impugnato solo nei casi ed entro i limiti in cui lo consenta la legge civile. Può essere riconosciuto ad effetti civili anche matrimonio celebrato presso confessioni religiose diverse dalla cattolica che abbiano stipulato intese Qui non si applica il regime della legge 1159. Una confessione che abbia stipulato intesa approvata mediante legge, non è tenuto all'osservanza delle norme della legge 1159, ma quelle previste nella specifica intesa. Quasi tutte le intese prevedono anche normativa specifica in tema di matrimonio, non lo prevedono quelle intese (buddisti) per quelle confessioni che non prevedono nel loro regime confessionale istituto del matrimonio. Regime alla fine non molto differente da quello previsto dalla legge 1159/1929, differenza di maggior rilievo data dal fatto che nomina del ministro di culto non deve essere approvata dal ministro dell’interno, inoltre le intese prevedono una condizione specifica per ministro di culto, non richiesta dalla legge 1159, introdotta dalla prassi amministrativa, che ministro di culto sia italiano. Non lo richiede legge 1159, ma la prassi ministeriale nel fatto di approvare nomina ai soli ministri di culto che siano italiani. Norma simile vige anche per la chiesa cattolica, accordo di villa Madama, prevede che i ministri di culto della chiesa cattolica che assumono ufficio di parroco, devono essere italiani, con eccezione della diocesi di Roma. Succede che la norma prevede che non possono essere nominati parroci sacerdoti stranieri, vengono nominati vicari parrocchiali. Con questa prassi possono essere nominati nella sostanza parroci anche gli stranieri, soprattutto in luoghi in cui per carenza di sacerdoti di italiani.   Per la celebrazione del matrimonio non si discosta molto tra quelle che hanno stipulato intese e quelle per chiesa cattolica. Chi vuole celebrare matrimonio valido per religione cattolica a cui vogliono attribuire effetti civili, devono chiedere all’ufficiale di stato civile le pubblicazioni, accertato che non vi siano opposizioni e nulla osta alla celebrazione, autorizza alla celebrazione del matrimonio, rilascia in duplice copia il nulla osta. Celebrazione avviene come per la chiesa cattolica Lettura del ministro di culto degli articoli del cc e redazione dell’atto di matrimonio Per le confessioni religiose con intesa, si prevede che ministro di culto rediga un atto in duplice copia, entrambe le copie con valore di originale. Atto di matrimonio valore di atto pubblico, anche per religioni con intese ministro di culto esercita funzione di pubblico ufficiale. Entro 5 giorni dalla celebrazione ministro di culto trasmette all’ufficiale di stato civile, constatata regolarità dell’atto e l'autenticità del nulla osta procede alla trascrizione entro 24 ore, anche nel caso del matrimonio celebrato da confessione con intesa approvata mediante legge, termini sempre meramente ordinatori e non perentori. Tutte intese si premurano di osservare che matrimonio ad effetti civili dalla celebrazione anche se ufficiale abbia omesso di fare trascrizione entro termini previsti 97