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Dispensa di "Manuale di Diritto Amministrativo" di Marcello Clarich, Dispense di Diritto Amministrativo

La dispensa presenta la spiegazione di ogni capitolo del manuale (eccetto Cap. VI - Cap. XIII - Cap. XIV) inerente a diritto amministrativo I

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 25/05/2022

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Scarica Dispensa di "Manuale di Diritto Amministrativo" di Marcello Clarich e più Dispense in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! DIRITTO AMMINISTRATIVO Marcello Clarich PARTE PRIMA - IL DIRITTO AMMINISTRATIVO E LE SUE FONTI CAPITOLO II - LA FUNZIONE DI REGOLAZIONE E LE FONTI DEL DIRITTO Premessa Le pubbliche amministrazioni, prima ancora che soggetti regolatori, sono soggetti regolati e sottoposti a un corpo più o meno esteso di norme; emerge quindi una distinzione tra:  fonti SULL’amministrazione, sono le norme giuridiche che regolano il funzionamento dell'amministrazione e determinano chi (enti, organi), come e quando possa emettere atti amministrativi. Fonti sull'amministrazione sono soprattutto la Costituzione e la legge (senza legge non ci può essere un atto amministrativo), ma possono esserlo anche norme sublegislative come i regolamenti dell'esecutivo, ma solo se la legge a monte li prevede.  fonti DELL’amministrazione, sono quelle che derivano direttamente dall'amministrazione (enti, organi) e hanno natura normativa (regolamenti interni, circolari, piani, etc.), ma il più delle volte hanno natura concreta (atti/provvedimenti amministrativi). La Costituzione La Costituzione del 1948 è la fonte giuridica di rango più elevato ed è il parametro in base al quale la Corte Costituzionale esercita il sindacato sulle leggi e sugli atti aventi forza di legge. La Costituzione non definisce soltanto i diritti di libertà dei cittadini, ma delinea l’assetto generale dello Stato - Ordinamento individuando anche un’ampia serie di compiti dei quali lo Stato, e per esso la pubblica amministrazione, deve farsi carico nell’interesse della collettività come salute, istruzione scolastica e superiore, assistenza sociale.. La Costituzione non tratta, invece, in modo diffuso l’assetto della Pubblica Amministrazione, enunciando i principi essenziali in tema di organizzazione (imparzialità e buon andamento, nonché equilibrio di bilancio art. 97), di raccordi tra politica e amministrazione (art. 95), che pone il principio della strumentalità dell’amministrazione rispetto alla politica generale del governo e il principio della responsabilità politica dei ministri in relazione all’attività amministrativa, di assetto della giustizia amministrativa (artt. 103, 131, 125). Sul versante organizzativo, la Costituzione pone l’accento sul principio autonomistico (art. 5) sviluppato nell’articolazione ascendente dei livelli di governo a partire dai comuni fino allo Stato (art. 114) ed enuncia il principio di sussidiarietà (art. 118). Sul versante finanziario, pone il principio del pareggio di bilancio che impegna tutti livelli di governo ad osservare i vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea. La Costituzione contiene una disciplina compiuta delle fonti del diritto soprattutto di rango primario: la Riforma del Titolo V Parte II della Costituzione, ad opera della legge costituzionale 18 ottobre 2001 n. 3, ha ridefinito i rapporti tra le fonti statali e regionali sulla base dei seguenti principi: eque ordinanze tra competenze legislative statali e regionali, che devono essere esercitate nel rispetto della Costituzione; attribuzione alle regioni di una competenza legislativa generale residuale con indicazione tassativa delle materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva e concorrente dello Stato (art.117 cc 2 e 3). Fonti dell’Unione Europea In base all’art. 117 cc 1 Cost., le fonti dell’Unione Europea si pongono su un livello gerarchicamente più elevato rispetto alle fonti primarie, vigendo il principio secondo il quale, le norme nazionali contrastanti con il diritto europeo devono essere disapplicate: questo principio vale sia per i giudici nazionali, ai quali, nell’ambito di una controversia, spetta il compito di individuare la norma applicabile al caso concreto; sia per le pubbliche amministrazioni, quando esercitano un potere amministrativo ed emanano un provvedimento. Per la pubblica amministrazione, il vincolo derivante dal diritto europeo è addirittura più stringente di quello che discende dalla Costituzione: essa infatti non può disapplicare le leggi contrarie alla Costituzione, ne ha il potere attribuito ai giudici di sollevare in via incidentale alla Corte Costituzionale. Le fonti europee sono costituite, anzitutto, dai Trattati Istitutivi delle Comunità più volte modificati e integrati: da ultimo con i Trattati di Amsterdam del 1997, di Nizza del 2001 e di Lisbona del 2007: il Trattato di Lisbona, infatti, entrato in vigore a fine 2009, si compone di due testi: il Trattato sull’Unione Europea (TUE) e il Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE). I principi generali in essi contenuti, insieme a quelli della Corte di Giustizia, sono di diretta applicabilità negli ordinamenti nazionali. In aggiunta ai Trattati, vanno menzionate la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea e la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU). I Regolamenti, disciplinati dagli artt. 288 ss. TFUE, hanno portata generale e sono direttamente vincolanti per gli Stati membri e per i loro cittadini, non richiedono alcuna forma di recepimento da parte degli Stati membri e non possono essere derogati da questi ultimi; a differenza degli atti normativi nazionali, i regolamenti europei devono essere motivati ed inoltre, costituiscono un parametro diretto per sindacare la legittimità degli atti amministrativi. Le Direttive, emanate dal Consiglio e dalla Commissione, hanno per destinatari gli Stati che sono vincolati “per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi”; essi dunque non sono di regola immediatamente applicabili. In base ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità, le direttive 117 Cost. attribuisce alla sua competenza legislativa esclusiva; tale potere può essere delegato alle regioni. Il potere regolamentare del governo è richiamato nell’art. 87 Cost. che attribuisce al Presidente della Repubblica il potere di emanare i regolamenti. Si distinguono: o regolamenti statali: emanati dagli organi dello Stato, sono governativi (emanati dal governo), non governativi (emanati da autorità amministrative, come il prefetto) oppure ministeriali (emanati da singoli componenti del governo); o regolamenti non statali: emanati dagli enti territoriali, quali regioni, province o comuni; o regolamenti esterni: espressione del potere di supremazia che l’esecutivo dispone verso tutti i cittadini; o regolamenti interni: regolano l’organizzazione interna di un organo o di un ente; Una disciplina generale di rango primario è contenuta nell’art. 17 l. n. 400/1988, che individua cinque tipi di regolamenti governativi:  regolamenti esecutivi: pongono norme di dettaglio necessarie per l’applicazione concreta di una legge e non è necessario che la legge attribuisca di volta in volta al governo il potere di approvarli. Nelle materie coperte da riserva di legge assoluta sono ammessi soltanto i regolamenti di stretta esecuzione, che non operino alcuna integrazione o specificazione delle norme materiali poste a livello di fonte primaria. I regolamenti di questo tipo possono essere emanati per dare esecuzione ai regolamenti europei, e nei casi in cui la legge di delegazione europea lo autorizzi, anche a direttive;  regolamenti per l’attuazione e l’integrazione: possono essere emanati nelle materie non coperte da riserva di legge assoluta, nei casi in cui la legge si limita a individuare i principi generali della materia e autorizza espressamente il governo a porre la disciplina di dettaglio;  regolamenti indipendenti: intervengono nelle materie non soggette a riserva di legge, laddove manchi una disciplina di rango primario;  regolamenti di organizzazione: costituiscono in realtà una sottospecie di regolamenti esecutivi e di attuazione, disciplinando l’organizzazione e il funzionamento delle pubbliche amministrazioni secondo le disposizioni dettate dalla legge. Viene, inoltre, fatta distinzione riguardo l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri: 1) gli uffici di stretta collaborazione con i ministri e quelli di livello dirigenziale generale sono disciplinati con regolamenti di delegificazione 2) le unità dirigenziali di livello inferiore agli uffici dirigenziali generali sono, invece, disciplinati con decreti ministeriali aventi natura non regolamentare;  regolamenti delegati o autorizzati: sono previsti nelle materie non coperte da riserva assoluta di legge e attuano la cosiddetta “delegificazione”: sostituiscono, cioè la disciplina posta da una fonte primaria con una disciplina posta da una fonte secondaria e la loro entrata in vigore determina, infatti, l’abrogazione delle norme vigenti contenute in fonti di rango primario. Ma l’art. 17 cc 2 n. 400/1988 pone alcune condizioni: occorre una legge che autorizza il governo a emanare; la stessa legge deve contenere le norme generali regolatrici della materia ed essa deve altresì disporre l’abrogazione delle norme vigenti rinviando il prodursi dell’effetto abrogativo al momento dell’entrata in vigore del regolamento. I regolamenti fin qui menzionati sono attribuiti alla competenza del Consiglio dei Ministri.  regolamenti ministeriali e interministeriali sono previsti dall’art. 17 cc 3 nelle materie attribuite alla competenza di uno o più ministri e questi regolamenti possono essere emanati solo nei casi espressamente previsti dalla legge e sono gerarchicamente sotto ordinati ai regolamenti governativi; inoltre, essi devono essere comunicati prima della loro emanazione al Presidente del Consiglio dei ministri ai fini del coordinamento. In seguito alla legge costituzionale n. 3/2001 che ha limitato l’ambito dei regolamenti governativi e ministeriali alle materie che rientrano nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, molte leggi recenti tendono ad aggirare il divieto autorizzando l’emanazione di non meglio precisati decreti ministeriali non aventi valore regolamentare, che però contengono prescrizioni generali analoghe a quelle proprie dei regolamenti. Inoltre, in base al principio della preferenza della legge, i regolamenti sono suscettibili di disapplicazione da parte del giudice ordinario ed anche il giudice amministrativo può disapplicare una norma regolamentare in almeno due ipotesi: 1) quando il provvedimento impugnato viola un regolamento difforme dalla legge 2) quando il provvedimento impugnato è conforme a un regolamento che però contrasta con una legge; in entrambi i casi il giudice esercita il proprio sindacato valutando la legittimità del provvedimento direttamente rispetto alla norma primaria ed esso risulterà nella prima ipotesi legittimo e nella seconda ipotesi illegittimo. I Testi Unici e I Codici La produzione normativa negli anni ha acquisito ormai una dimensione patologica e l’inflazione legislativa e i disordini normativi sono dovuti anzitutto al cattivo funzionamento del Parlamento riconducibile a fattori collegati alla norma di governo, quali l’instabilità politica, la scarsa omogeneità e coesione delle maggioranze di governo e l’influenza degli interessi particolari. Lo stock di leggi amministrative vigenti, delle quali è incerto anche il numero, si presenta come un insieme frastagliato, stratificato nel tempo e poco stabile. A partire dagli anni ‘90 è cresciuta la consapevolezza della necessità di promuovere un riordino della legislazione almeno nelle materie più rilevanti; si è anzi cercato di istituzionalizzare questo tipo di attività prevedendo a cadenza annuale un disegno di legge per la semplificazione e il riassetto normativo da presentare al parlamento entro il 31 maggio. Lo strumento di riordino più tradizionale è costituito da Testi Unici che accorpano e razionalizzano in un unico corpo normativo le disposizioni legislative vigenti che disciplinano una determinata materia e si distinguono usualmente:  i testi unici innovativi , emanati sulla base di un’autorizzazione legislativa che stabilisce i criteri del riordino; essi sono fonti del diritto in senso proprio in quanto sono atti a innovare il diritto oggettivo e determinano l’abrogazione delle fonti legislative precedenti;  i testi di mera compilazione , meno frequenti nella prassi, sono emanati su iniziativa autonoma del governo e hanno soltanto la funzione pratica di unificare in un testo unico le varie disposizioni vigenti rendendo così più semplice il loro reperimento; Testi unici hanno interessato varie materie: enti locali, edilizia, espropriazione per pubblica utilità, rapporto di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, documentazione amministrativa, società a partecipazione pubblica ecc. Negli ultimi anni si è fatto ricorso soprattutto lo strumento del codice che si differenzia dal testo unico per essere concepito, oltre che per coordinare i testi normativi, anche per innovare in modo più esteso la disciplina e per essere incorporato in una fonte di rango primario, cioè in un decreto legislativo emanato sulla base di una legge di delega. I Codici hanno riordinato varie materie: contratti pubblici, Protezione civile, dati personali, beni culturali, ambiente, terzo settore ecc. Cenni alle Fonti Normative Regionali, degli Enti Locali e di Altri Enti Pubblici La Costituzione prevede tre fonti normative regionali:  lo statuto delle Regioni Ordinarie determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento e la sua approvazione avviene attraverso un procedimento aggravato che prevede una duplice approvazione a maggioranza assoluta da parte del Consiglio Regionale e può essere sottoposto a referendum popolare, mentre lo Statuto delle Regioni Speciali è approvato con legge costituzionale (art. 116).  le leggi regionali sono approvate dal Consiglio regionale e promulgate dal Presidente nelle materie attribuite dall’art. 117 Cost. alla competenza concorrente e residuale delle regioni. La giurisprudenza costituzionale ha peraltro ritenuto che anche nelle materie di competenza regionale lo Stato possa, entro certi limiti, legiferare: da un lato, infatti, alcune materie attribuite alla competenza legislativa esclusiva statale hanno natura trasversale e consentono dunque alle leggi statali di introdurre disposizioni che non possono essere derogati dalle regioni, mentre dall’altro, in base al principio di sussidiarietà verticale, dove una funzione richiede di essere esercitate in modo unitario a livello statale, anche la funzione legislativa viene per così dire attratta nell’ambito della competenza statale.  I regolamenti regionali: sono adottati dalla giunta regionale e possono essere emanati nelle materie attribuite alla competenza legislativa concorrente e residuale delle regioni. Le fonti normative di comuni, province e città metropolitane sono essenzialmente gli statuti e i Per quanto riguarda, invece, il piano regolatore generale, che costituisce lo strumento principale di governo del territorio da parte dei comuni, fu previsto in origine dalla legge urbanistica del 1942 ed è disciplinato oggi, insieme agli strumenti urbanistici, dalle leggi regionali che in questa materia hanno adottato talora soluzioni originali e innovative. Il piano regolatore suddivide anzitutto il territorio comunale in zone omogenee (cosiddetta zonizzazione) con l’indicazione per ciascuna di esse delle attività insediabili in base a criteri e parametri definiti in modo uniforme a livello nazionale: attività edificatoria a fini abitativi, industriale, agricola ecc. Il piano individua le aree destinate a edifici e infrastrutture pubbliche o a uso pubblico (cosiddetta localizzazione); se la localizzazione riguarda terreni di proprietà privata, essa determina un vincolo d’inedificabilità di durata quinquennale che decadde se nel frattempo non interviene l’espropriazione. Il piano regolatore è corredato dalle norme tecniche di attuazione che specificano le distanze, le altezze e le destinazioni d’uso degli edifici. Il piano viene adottato dal Comune e pubblicato per 30 giorni per consentire agli interessati di prenderne visione e di prestare osservazioni, viene poi sottoposta una nuova delibera del Consiglio Comunale che deve pronunciarsi sulle osservazioni presentate; il piano adottato è soggetto all’approvazione della regione e questa esercita un controllo che non è limitato alla mera legittimità. Le proposte di modifica sono comunicate al Comune, il quale con delibera del Consiglio Comunale può approvare controdeduzioni delle quali la regione tiene conto in sede di approvazione definitiva e la notizia ufficiale dell’approvazione del piano regolatore viene data nel Bollettino Ufficiale della regione. Occorre valutare caso per caso i contenuti del piano lo scopo di appurare se è solida in via immediata posizioni giuridiche dei singoli proprietari e pertanto sia necessario impugnarlo nel termine perentorio di 60 giorni oppure se abbia una valenza soltanto programmatorie che pertanto solo l’emanazione dei provvedimenti attuativi determini una lesione delle situazioni giuridiche soggettive tale da rendere necessaria la proposizione di un ricorso giurisdizionale. c) Le Ordinanze Contingibili e Urgenti Gli Stati devono dotarsi di strumenti per far fronte a situazioni di emergenza imprevedibili che possono mettere a rischio interessi fondamentali della comunità. A livello subcostituzionale, numerose disposizioni di legge attribuiscono all’autorità amministrativa il potere di emanare ordinanze contingibili e urgenti (nei settori dell’ordine pubblico, della sanità, dell’ambiente, della Protezione civile ecc.). Tra gli esempi più risalenti nel tempo, vi è anzitutto il potere del prefetto “nel caso di urgenza o per grave necessità pubblica di adottare i provvedimenti indispensabili per la tutela dell’ordine pubblico e della sicurezza pubblica”. Il sindaco, nella sua veste di ufficiale di governo, può adottare “provvedimenti contingibili e urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l’incolumità pubblica e la sicurezza urbana”; può adottarli anche in caso di emergenze sanitarie e di gene pubblica in ambito locale, non che per ragioni di sicurezza urbana, decoro, vivibilità e tranquillità: poteri analoghi sono attribuiti alle regioni e al Ministro della salute nel caso di situazioni che interessino territori e comunità più ampie. Un potere di ordinanza è previsto anche in materia di protezione civile, infatti, nel caso in cui si verifichino calamità naturali che richiedono interventi immediati con mezzi e poteri straordinari, il Consiglio dei Ministri può deliberare lo stato di emergenza fissandone la durata e l’estensione territoriale disponendo anche in ordine all’esercizio del potere di ordinanza: quest’ultimo è esercitato entro 30 giorni dal capo del dipartimento della Protezione civile nel rispetto dei limiti e dei criteri indicati nel decreto che dichiara lo stato di emergenza. Le leggi attribuite di questo tipo di poteri si limitano di solito a individuare l’autorità amministrativa competente ad adottarli. Le ordinanze non possono essere emanate in contrasto con i principi generali dell’ordinamento giuridico e con i principi fondamentali della Costituzione; inoltre, devono avere un’efficacia limitata nel tempo e devono essere motivate e adeguatamente pubblicizzate. Un limite interno è costituito dal principio di proporzionalità e pertanto il contenuto delle ordinanze deve essere calibrato in funzione dell’emergenza specifica che deve essere in concreto fronteggiata. d)Le Direttive e Gli Atti d’Indirizzo Affini agli atti di pianificazione sono le direttive amministrative: caratteristico di questo tipo di atti è il loro contenuto, esso non è costituito da prescrizioni puntuali e vincolanti in modo assoluto, ma è limitato all’indicazione dei fini e degli obiettivi da raggiungere, criteri per raggiungere i fini. Esse dunque attribuiscono ai loro destinatari spazi di valutazione e di decisione più o meno estesi in modo tale da poter tener conto in sede applicativa di tutte le circostanze del caso concreto. Le direttive generalmente si distinguono in rapporti intersoggettivi, ovvero un rapporto tra più soggetti di diritto (e per quanto riguarda il diritto amministrativo, tra più enti pubblici) e per rapporti interorganici, ovvero un rapporto tra più organi. Un esempio è il rapporto di direzione che intercorre tra ministro e dirigenti generali in base al principio della distinzione tra indirizzo politico - amministrativo e attività di gestione. Al ministro è preclusa ogni competenza gestionale amministrativa diretta e può soltanto formulare “direttive generali per l’attività amministrative per la gestione” ed esercitare un controllo ex post. I dirigenti generali sono titolari dei poteri di gestione e di emanazione degli atti e provvedimenti, curano l’attuazione delle direttive generali impartite dal ministro e a loro volta definiscono gli obiettivi che i dirigenti a loro sottoposti devono perseguire. e) Le Norme Interne e Le Circolari Le organizzazioni complesse, anche quelle private si dotano di regole interne volte a disciplinare il funzionamento e i raccordi tra le varie unità operative: così, per esempio le grandi imprese approvano regolamenti aziendali, manuali di procedura e altri atti organizzativi. All’interno dello Stato-ordinamento che identifica una comunità di individui (popolo) include tutte le manifestazioni organizzative, si colloca lo Stato- amministrazione, che costituisce uno degli ordinamenti derivati dell’ordinamento statuale. In base alla teoria della pluralità degli organi, ciò che avviene all’interno di ciascun ordinamento particolare, non ha sempre una rilevanza nell’ordinamento generale e sono ammesse anche norme derogatorie rispetto a quelle applicabili alla generalità dei consociati. Così, per esempio, gli impiegati pubblici godono di uno status particolare; in passato essi sottostavano a norme speciali che comportavano anche la limitazione di diritti fondamentali e l’imposizione di obblighi (fedeltà, decoro ecc.) Gli ordinamenti sezionali si fondano su alcuni elementi costitutivi:  la pluri soggettività, con la predeterminazione dei soggetti inseriti nell’ordinamento settoriale sulla base di atti di ammissione, di iscrizione o di attribuzione di status;  un’organizzazione interna stabile con distribuzione di ruoli e di competenze;  la presenza di norme interne emanate dagli organi preposti all’ordinamento speciale e rese effettive da un sistema di sanzioni anche se interne;  l’istituzione di organi di giustizia giustiziali (commissioni di disciplina, corti arbitrali sportive, ecc). Le norme interne possono assumere variamente la forma di regolamenti interni, d’istruzioni o di ordini di servizio, direttive generali ecc. La distinzione tra norme interne e norme esterne sia venuta così attenuando e a ciò ha contribuito anche la legge n. 241/1990 che aveva già introdotto un obbligo generalizzato di pubblicare, secondo le modalità previste per le singole amministrazioni, “le direttive, i programmi, le istruzioni, le circolari e ogni atto che dispone in generale sull’organizzazione, sulle funzioni, sugli obiettivi di una pubblica amministrazione ovvero nel quale si determina l’interpretazione di norme giuridiche o si dettano disposizioni per l’applicazione di esse”. In molti casi le norme interne sono pubblicate anche nella Gazzetta Ufficiale. In definitiva, gli obblighi di pubblicazione rendono conoscibili le norme interne al di là della cerchia facendo sorgere l’aspettativa che esse costituiranno una guida dell’azione amministrativa finalizzata all’adozione di atti che producono effetti diretti nei loro confronti. Infatti, se l’amministrazione emana un provvedimento amministrativo violando una norma interna, il giudice amministrativo può censurarlo sotto il profilo dell’eccesso di potere. Il mezzo principale di comunicazione delle norme interne è costituito dalle circolari, una comunicazione scritta che in un'organizzazione di un ente pubblico o privato, viene inviata ad una pluralità di destinatari per impartire ordini, dare disposizioni o trasmettere informazioni. I poteri amministrativi conferiscono agli apparati che ne assumono la titolarità una capacità giuridica speciale di diritto pubblico che si esprime nella possibilità di produrre, con una manifestazione di volontà unilaterale, effetti giuridici nella sfera dei destinatari. Il potere amministrativo pone il suo titolare in una posizione di sopra ordinazione rispetto al soggetto nella cui sfera giuridica ricadono gli effetti giuridici prodotti in seguito al suo esercizio. Occorre distinguere tra:  potere in astratto : la legge definisce gli elementi costitutivi di ciascun potere, quindi la legge definisce come può agire la pubblica amministrazione secondo la legge.  potere in concreto : ogni qualvolta si verifica una situazione di fatto conforme alla fattispecie tipizzata nella norma di conferimento del potere, l’amministrazione è legittimata a esercitare il potere e a provvedere così alla cura dell’interesse pubblico (mette in atto la legge). L’amministrazione è tenuta ad avviare un procedimento che si conclude con l’emanazione di un atto o un provvedimento idoneo a incidere nella sfera giuridica del soggetto destinatario e a disciplinare il rapporto con l’amministrazione. Emerge così un elemento dinamico del potere che dalla dimensione statica della norma si traduce in un atto concreto produttivo di effetti giuridici. L’atto e Il Provvedimento  Nell’ordinamento italiano manca una definizione legislativa di atto o provvedimento; la legge sul procedimento amministrativo tedesco, per esempio, lo definisce come “ogni provvedimento, decisione o altra misura autoritativa che emanata da un autorità amministrativa per regolare un caso singolo nel campo del diritto pubblico e che è volta a produrre un effetto giuridico diretto verso l’esterno”. All’art. 113 Cost. si stabilisce che “contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale”; la legge determina quali organi giurisdizionali abbiano il potere di “annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge”. Il giudice amministrativo può decidere “su i ricorsi per incompetenza, per eccesso di potere o per violazione di legge contro atti e provvedimenti di una autorità amministrativa che abbiano per oggetto un interesse di individui o di enti morali giuridici”. Questa disposizione processuale definiva così le condizioni minime per poter accedere alla tutela giurisdizionale amministrativa e doveva cioè trattarsi di un atto emanato da un’autorità amministrativa, ritenuto illegittimo, che fosse lesivo di una situazione giuridica soggettiva del privato. Come emerge dalle disposizioni costituzionali e legislative, i termini atto e provvedimento amministrativo vengono utilizzati come sinonimi. In sede dottrinale si è cercato di porre una distinzione tra atto amministrativo, secondo cui, l’atto, per riprendere una definizione classica include ogni “dichiarazione di volontà, di desiderio, di conoscenza, di giudizio, compiuta da un soggetto dell’amministrazione pubblica nell’esercizio di una potestà amministrativa e provvedimento amministrativo” e il provvedimento, che costituisce la sub categoria più importante degli atti amministrativi ed è definito come una manifestazione di volontà espressa dall’amministrazione titolare del potere all’esito di un procedimento e volta alla cura in concreto di un interesse pubblico e tesa a produrre in modo unilaterale effetti giuridici nei rapporti esterni con i soggetti destinatari del provvedimento medesimo. Il Procedimento  La l n. 241/1990 non fornisce una definizione di procedimento ma, per esempio, la legge tedesca lo definisce come “un’attività di un’autorità amministrativa avente rilevanza esterna che è rivolta all’accertamento delle condizioni, alla preparazione, all’emanazione di un atto amministrativo o alla conclusione di un contratto di diritto pubblico”. Il procedimento costituisce la modalità ordinaria di esercizio di tutte le funzioni pubbliche corrispondenti ai tre poteri dello Stato in considerazione dell’esigenza di accentuare la trasparenza e di garantire meglio la tutela dei soggetti interessati di fronte ad atti che sono espressione diretta dell’autorità dello Stato. La funzione legislativa assume la forma del procedimento legislativo, disciplinato dalla Costituzione e dai regolamenti parlamentari e finalizzato all’emanazione di atti con forza o valore di legge; La funzione giurisprudenziale assume quella del processo, improntato al principio del contraddittorio e disciplinato da vari Codici processuali, concludendosi con una sentenza dotata dell’autorità del giudicato; La funzione amministrativa si manifesta nel procedimento amministrativo che si conclude con un provvedimento dotato di autoritarietà e imperatività. Il Rapporto Giuridico Amministrativo La funzione di amministrazione attiva pone la pubblica amministrazione titolare di un potere in una situazione di tipo relazionale con i soggetti privati destinatari del provvedimento. I rapporti giuridici inter-privati vengono ricostruiti partendo dalla coppia diritto soggettivo-obbligo, dei quali sono titolari rispettivamente il soggetto attivo e passivo del rapporto. Secondo le definizioni tradizionali, il diritto soggettivo consiste in un potere di agire riconosciuto e garantito dall’ordinamento giuridico al soggetto, per soddisfare un proprio interesse (la proprietà); il diritto soggettivo include in sé una serie di facoltà che ne costituiscono l’estrinsecazione (godimento della cosa). Alla titolarità del diritto soggettivo corrisponde, in capo al soggetto passivo del rapporto giuridico, a seconda dei casi: un dovere generico negativo di astensione, cioè di non interferire o turbare l’esercizio del diritto (diritti assoluti come i diritti reali e della personalità) oppure un obbligo giuridico, cioè il dovere specifico positivo di porre in essere un determinato comportamento o attività (prestazione) a favore del titolare del diritto (diritti relativi come i diritti di credito) e ad esso corrisponde dal lato del soggetto attivo la pretesa, cioè il potere di esigere la prestazione. Viene individuata poi una situazione giuridica soggettiva attiva, la potestà, che a differenza di quanto accade per il diritto soggettivo, è attribuita al singolo soggetto per il soddisfacimento, anziché di un interesse proprio, di un interesse altrui; si tratta cioè di un potere-dovere, nel senso che il soggetto è tenuto a esercitarlo secondo criteri enunciati a pieno. Una particolare categoria di diritti soggettivi è costituita dal diritto potestativo che consiste nel potere attribuito a un soggetto di produrre nella sfera giuridica altrui un effetto giuridico con una propria manifestazione unilaterale di volontà. I casi più tipici di diritto potestativo nei rapporti interpretativi sono il diritto di prelazione, il diritto di recesso, il diritto di riscatto nella compravendita, la revoca del mandato, il diritto di richiedere la comunione forzosa di un muro di confine. Il diritto potestativo rappresenta una particolare tecnica o modalità di produzione degli effetti giuridici nei rapporti inter soggettivi che vale anche per il potere amministrativo. La produzione degli effetti giuridici segue usualmente lo schema norma - fatto - effetto giuridico. Il modo di operare di un siffatto schema può essere così delineato: la norma definisce in termini astratti gli elementi della fattispecie e l’effetto giuridico che ad esso si ricollega, ponendo direttamente essa stessa la disciplina degli interessi in conflitto in relazione a un determinato bene. È presente però anche un’altra tecnica di produzione degli effetti che segue lo schema norma - fatto – potere - effetto giuridico: questa sequenza si differenzia da quella sopra esaminata poiché viene meno l’automatismo nella produzione dell’effetto giuridico, infatti, il verificarsi di un fatto concreto conforme alla norma attribuita del potere determina in capo a un soggetto (il titolare del potere) la possibilità di produrre l’effetto giuridico individuato a livello di fattispecie normativa attraverso una propria dichiarazione di volontà. La Norma Attributiva del Potere Le norme che si riferiscono alla pubblica amministrazione sono di due tipi: norme d’azione, che disciplinano i rapporti interni della pubblica amministrazione, hanno come scopo assicurare che l’emanazione degli atti sia conforme a parametri predeterminati e seguono lo schema norma - fatto - potere - effetto (tipico dell’interesse legittimo) e norme di relazione, sono volte a regolare i rapporti intercorrenti tra pubblica amministrazione e i soggetti privati, definendo direttamente l’assetto degli interessi e dirimendo i conflitti insorgenti tra cittadino e pubblica amministrazione esegue un altro schema norma - fatto - effetto (tipico del diritto soggettivo). La norma d’azione segna i limiti interni al potere volti a guidare l’attività dell’amministrazione, mentre la norma di relazione segna i limiti esterni al potere tracciando i confini tra la sfera giuridica dei soggetti privati rispetto a quella dell’amministrazione. Ne derivano una serie di conseguenze: sul piano delle situazioni giuridiche soggettive, la distinzione tra interesse legittimo, correlato alla prima, e diritto soggettivo, correlato la seconda; sul piano delle qualificazioni giuridiche, l’applicazione delle categorie dell’illegittimità (annullabilità o nullità) agli atti che violano l’uno o l’altro tipo di norma; sul piano della giurisdizione, l’attribuzione delle controversie al giudice amministrativo o al giudice ordinario e la definizione dei rispettivi poteri (annullamento o disapplicazione). Mentre il giudice ordinario è chiamato ad accertare la conformità o meno del fatto rispetto alla norma di relazione, il giudice amministrativo è chiamato ad accertare la conformità, non solo del fatto, ma anche e soprattutto dell’atto rispetto alla norma d’azione. La norma attributiva del potere individua gli elementi caratterizzanti il particolare potere attribuito a un apparato pubblico: sono in grado di valutare da soli se in una certa attività o un certo comportamento sono ad esso consentiti. Emerge poi una differenza rispetto al diritto privato nel quale l’autonomia negoziale è espressione della libertà dei privati di provvedere alla cura dei propri interessi. Dove si mantenga nei limiti del lecito, le scelte dei privati non sono sottoposte a regole e principi particolari e basta cioè che il soggetto privato sia pienamente capace e che la sua volontà non sia affetta da vizi. Il fine concretamente perseguito dal soggetto privato è relegato alla sfera interna di quest’ultimo ed è insindacabile. Se la scelta operata è irragionevole, arbitraria o anche contrario i suoi veri interessi, ciò non inficia di per sé il negozio posto in essere i casi di abuso del diritto normativamente previsti sono limitati. L’amministrazione, titolare di un potere, ha invece un ambito di libertà più ristretto, in quanto la scelta tra una pluralità di soluzioni deve avvenire, non solo nel rispetto dei limiti “esterni” posti dalla norma di conferimento del potere dei principi generali dell’azione amministrativa, ma anche nel rispetto di un vincolo “interno” consistente nel dovere di perseguire il fine pubblico. Queste regole sono enunciate nell’art. 1 l n. 241/1990, secondo il quale l’attività amministrativa “persegue i fini determinati dalla legge” ed è retta, in particolare, dei criteri di “imparzialità, pubblicità e trasparenza”. Volendo porre una definizione di discrezionalità amministrativa, essa consiste nel margine di scelta che la norma rimette all’amministrazione, affinché essa possa individuare la soluzione migliore per curare nel caso concreto l’interesse pubblico. La scelta avviene attraverso una valutazione comparativa degli interessi pubblici e privati rilevanti nella fattispecie, acquisiti nel corso dell’istruttoria procedimentale. Tra di essi vi è anzitutto il cosiddetto interesse pubblico primario individuato dalla norma di conferimento del potere affidato alla cura dell’amministrazione titolare del potere. Compito di quest’ultima è massimizzare la realizzazione dell’interesse primario. Tuttavia poiché gli interessi non vivono isolati, l’interesse primario deve essere messo a confronto e valutato alla luce dei cosiddetti interessi secondari rilevanti e in alcuni casi essi sono individuati direttamente dalle norme che disciplinano il particolare tipo di procedimento, come, per esempio, quando la legge prescrive che debba essere acquisito il parere di un’amministrazione diversa da quella precedente. La discrezionalità amministrativa incide su quattro elementi logicamente distinti:  sull’an, cioè sul se esercitare il potere in una determinata situazione concreta ed emanare il provvedimento. Si pensi, per esempio, alla decisione se ordinare lo scioglimento di un assembramento di persone che mette a rischio l’ordine pubblico oppure se annullare d’ufficio un provvedimento illegittimo;  sul quid, cioè sul contenuto del provvedimento. Si pensi, per esempio, le condizioni apposte a un’autorizzazione ambientale volte a mitigare gli effetti negativi delle emissioni, imponendo prescrizioni specifiche; oppure all’indicazioni relative ai materiali e ai colori utilizzati per la ristrutturazione di un bene di interesse storico-artistico;  sul quomodo, cioè sulle modalità da seguire per l’adozione del provvedimento al di là delle sequenze di atti imposti dalla legge che disciplina lo specifico provvedimento. Si pensi, per esempio, la scelta di acquisire un parere facoltativo, oppure di procedere a una determinata indagine istruttoria, pur sempre nel rispetto del principio del divieto di aggravare il procedimento;  sul quando, cioè sul momento più opportuno per esercitare un potere d’ufficio avviando il procedimento e una volta aperto quest’ultimo, per emanare il provvedimento, pur tenendo conto dei termini massimi per la conclusione del procedimento. Occorre, inoltre, porre la distinzione tra discrezionalità in astratto, secondo cui nel corso del procedimento la discrezionalità può ridursi via via fino ad annullarsi del tutto e discrezionalità in concreto, che si verifica allorché la norma pre definisce in modo puntuale tutti gli elementi che caratterizzano il potere. Il merito amministrativo  il merito ha una dimensione essenzialmente negativa e residuale: esso si riferisce all’eventuale ambito di valutazione e di scelta spettante all’amministrazione che si pone al di là dei limiti coperti dell’area della legalità (cioè dei vincoli giuridici posti dalle norme ed ai principi dell’azione amministrativa). Rientrano di regola nel merito, per esempio, la valutazione espressa dalla commissione su un candidato che partecipa a un concorso pubblico, la decisione di chiudere al traffico veicolare una strada in occasione di una corsa ciclistica, la scelta se consentire l’istallazione di stabilimenti balneari su un tratto di spiaggia ecc. Il merito con altre attività dell’amministrazione da considerare essenzialmente libera: la scelta tra una pluralità di soluzioni tutte legittime può essere apprezzata cioè solo in termini di opportunità o in opportunità ed essa è insindacabile nell’ambito del giudizio di legittimità nel senso che il giudice non può sostituire le proprie valutazioni a quelle operate dall’amministrazione. La distinzione tra legittimità e merito rileva in più contesti: il primo è quello dei controlli amministrativi, i quali si articolano in controlli di legittimità (finalizzati eventualmente ad annullare gli atti amministrativi illegittimi) e di merito (finalizzati a modificare o sostituire l’atto oggetto del controllo). In secondo luogo, il codice del processo amministrativo contrappone la giurisdizione di legittimità, che è quella di cui è investito in via ordinaria il giudice amministrativo, alla giurisdizione “con cognizione estesa al merito”, nell’esercizio della quale “il giudice amministrativo può sostituirsi all’amministrazione”. Il giudice amministrativo può cioè rivalutare le scelte discrezionali dell’amministrazione e sostituire la propria valutazione; può, per esempio, modificare l’ammontare di una sanzione pecuniaria irrogata. In terzo luogo, i confini tra legittimità emerito rileva uno anche in materia di responsabilità amministrativa dei funzionari pubblici in relazione al cosiddetto danno erariale, cioè al danno provocato all’amministrazione stessa e che rientra nella giurisdizione della Corte dei conti. Le valutazioni tecniche (es. perito tecnico)  discrezionalità amministrativa va tenuta distinta dalle valutazioni tecniche. Quest’ultime si riferiscono ai casi in cui la norma attributiva del potere, nell’utilizzare i concetti giuridici indeterminati di tipo empirico, rinvia nozioni tecniche o scientifiche che in sede di applicazione alla fattispecie concreta presentano margini di opinabilità e spesso le valutazioni tecniche sono espresse da organi appositi chiamati a rendere loro giudizio nell’ambito del procedimento. L’art. 17 l. n. 241/1990 regola le modalità attraverso le quali il responsabile del procedimento procede ad acquisirle e i rimedi in caso di ritardi. Un esempio potrebbero essere i giudizi medici aventi per oggetto l’idoneità ad essere arruolati nelle forze militari o di polizia o la riconducibilità di una determinata malattia alla causa di servizio. A proposito delle valutazioni tecniche è ancora oggi frequente l’uso dell’espressione “discrezionalità tecniche”, che non è in realtà corretta proprio perché nella discrezionalità tecnica manca l’elemento volitivo che caratterizza invece, la discrezionalità in senso proprio, cioè quella amministrativa. Il Codice del processo amministrativo utilizza un linguaggio più moderno laddove richiama la nozione di “valutazioni che richiedono particolari competenze tecniche”. Valutazioni tecniche ed esercizio della discrezionalità amministrativa, proprio perché riguardano momenti logici diversi, possono coesistere in una stessa fattispecie. Al riguardo si usa talora l’espressione “discrezionalità mista”, che in realtà sarebbe preferibile evitare. Come esempi si possono ricordare l’accertamento del carattere epidemico di una malattia e la successiva scelta dei rimedi alternativi per contenere i rischi di propagazione; oppure la fattibilità tecnica di un progetto di opera pubblica proposto di proprio iniziativa da un soggetto privato (il cosiddetto promotore) da realizzare attraverso la tecnica della finanza di progetto e la valutazione di conformità dell’opera all’interesse pubblico. Le valutazioni tecniche vanno distinte anche dai meri accertamenti tecnici: essi riguardano fatti la cui esistenza o inesistenza è verificabile in modo univoco, sia pure con l’impiego di strumenti tecnici. A differenza delle valutazioni tecniche, i meri accertamenti tecnici possono essere sindacati in modo pieno dal giudice amministrativo nell’ambito del giudizio di legittimità. Diritto Soggettivo È la posizione giuridica di vantaggio che l’ordinamento giuridico conferisce ad un soggetto riconoscendogli determinate utilità in ordine ad un bene, nonché la tutela degli interessi inerenti al bene. Nelle controversie con la pubblica amministrazione chi è in possesso di un diritto soggettivo è tenuto ad agire al giudice ordinario, chi è in possesso di un interesse legittimo può ricorrere solo al giudice amministrativo. I diritti soggettivi perfetti sono quelli attribuiti al soggetto, il loro esercizio è libero e non condizionato da alcun intervento della pubblica amministrazione, mentre i diritti soggettivi condizionati sono quelli il cui esercizio è subordinato ad un provvedimento amministrativo permissivo sui quali la pubblica amministrazione può incidere comprimendoli o distinguendoli con un proprio provvedimento. Sostanzialmente il diritto soggettivo è la facoltà attribuita a una persona di godere di un bene, di un valore o di esigere una prestazione da una terza persona e quindi di intervenire o di far applicare una norma nei suoi e fondata sul “postulato di generale sovraordinazione della pubblica amministrazione”. L’impianto delineato è entrato in crisi in seguito all’emergere di una nuova sensibilità dall’ordinamento europeo e dalla l n. 241/1990. L’interprete deve muovere, sia dalla prospettiva dei poteri attribuiti allo Stato e agli apparati pubblici, sia dall’angolo di visuale dei diritti di libertà del cittadino e dall’esigenza di offrire una protezione più completa delle situazioni giuridiche soggettive. Si è sottolineato, per esempio, che la costituzione attribuisce ai diritti soggettivi e agli interessi legittimi una pari dignità che pertanto a entrambi l’ordinamento deve assicurare una tutela piena ed effettiva. La Corte ha posto una linea di confine della risarcibilità tutto all’interno dell’interesse legittimo in ragione della rilevabilità, nella situazione concreta, di una lesione a un bene della vita già ascrivibile in qualche modo alla sfera giuridica del soggetto privato titolare dell’interesse legittimo. Il bene della vita, correlato all’interesse legittimo, trova tutela anche attraverso l’azione di adempimento, introdotta dal codice del processo amministrativo che prevede anche l’azione di adempimento e il giudice può infatti condannare l’amministrazione, dove la pretesa risulti fondata a emanare il provvedimento richiesto del privato attribuendogli così il bene della vita al quale egli aspira (per esempio un’autorizzazione che consente di intraprendere un’attività economica). La Corte Costituzionale ha inteso l’azione risarcitoria non già come volta a tutelare un diritto soggettivo autonomo, bensì in funzione rimediare, cioè come tecnica di tutela dell’interesse legittimo che si affianca e integra la tecnica di tutela più tradizionale costituita dall’annullamento.se l’interesse legittimo incorpora anche una pretesa risarcitoria, esso ha necessariamente per oggetto un bene della vita suscettibile di essere leso da un provvedimento illegittimo. In definitiva, nella ricostruzione dell’interesse legittimo il baricentro si sposta così dal collegamento con l’interesse pubblico a quello con l’utilità finale o bene della vita che il soggetto titolare dell’interesse legittimo mira a conservare o ad acquisire. L’interesse legittimo adunque una connotazione sostanziale. Così, per esempio, la Corte di Cassazione ha sottolineato che l’interesse legittimo “va perdendo la sua tradizionale funzione meramente famulativa o ancillare rispetto all’interesse pubblico, per assumere un più marcato connotato sostanziale, coerentemente del resto con l’evoluzione della stessa nozione di interesse pubblico”. All’esito dell’evoluzione si può dunque affermare che la norma di conferimento del potere abbia il duplice scopo di tutelare l’interesse pubblico e di tutelare l’interesse del privato. L’interesse pubblico non assorbe quello privato, né quest’ultimo il primo. Nell’ambito di un rapporto di sovra sottordinazione i vincoli posti dalla norma attributiva del potere hanno una doppia funzione: per un verso, fungono da guida e vincolo per l’amministrazione della realizzazione dell’interesse pubblico, ponendo per esempio regole procedimentali che consentano un miglior coordinamento tra amministrazioni che curano gli interessi rilevanti; per altro verso, hanno una funzione di garanzia della situazione giuridica soggettiva del privato. Nella dinamica del rapporto giuridico amministrativo, da un lato, l’amministrazione titolare del potere cure in via primaria l’interesse pubblico; dall’altro, il titolare dell’interesse legittimo mira esclusivamente al proprio interesse individuale con libertà di scegliere le forme di tutela da attivare nel processo e prima ancora nell’ambito del procedimento amministrativo. In conclusione, volendo proporre una definizione sintetica, l’interesse legittimo è una situazione giuridica soggettiva, correlata al potere della pubblica amministrazione e tutelata in modo diretto dalla norma di conferimento del potere che attribuisce al suo titolare una serie di poteri e facoltà volti a influire sull’esercizio del potere medesimo allo scopo di conservare o acquisire un bene della vita. I poteri e le facoltà in questione si applicano principalmente all’interno del procedimento attraverso l’istituto della partecipazione e quest’ultima consente al privato di rappresentare il proprio punto di vista presentando memorie e documenti mediante l’accesso agli atti del procedimento. Questi poteri e facoltà tendono a riequilibrare in parte la posizione di soggezione nei confronti del titolare del potere e l’interesse legittimo acquista così una dimensione attiva. Ad essa corrispondono in capo all’amministrazione una serie di doveri comportamentali nella fase procedimentale nella fase decisionale che sono finalizzati anche alla tutela dell’interesse del soggetto privato. Questa categoria di diritti è strutturalmente analoga all’interesse legittimo, il quale, potrebbe essere ricondotta una figura particolare di diritto (di credito chiuso parentesi avente per oggetto una prestazione comportamento da parte dell’amministrazione a favore del soggetto privato. Gli Interessi Legittimi Oppositivi e Pretensivi Sotto il profilo funzionale gli interessi legittimi possono essere suddivisi in due categorie: interessi legittimi oppositivi (opposizione), correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide negativamente e che restringe la sfera giuridica del destinatario, sacrificando l’interesse di quest’ultimo; si pensi, per esempio, al potere di espropriazione, all’irrogazione di una sanzione amministrativa, all’imposizione di un vincolo d’inedificabilità e interessi legittimi pretensivi (autorizzazione, concessione), correlati a poteri amministrativi il cui esercizio determina la produzione di un effetto giuridico che incide positivamente e che amplia la sfera giuridica del destinatario, dando soddisfazione all’interesse di quest’ultimo; si pensi, per esempio, al potere di rilasciare una concessione per l’uso di un bene demaniale oppure un’autorizzazione per l’avvio di un’attività economica. Negli interessi legittimi oppositivi il rapporto giuridico amministrativo che si sviluppa nel procedimento ha una dinamica di contrapposizione, nel senso che il suo titolare cercherà di intraprendere tutte le iniziative volte a contrastare l’esercizio del potere che sacrifica un bene della vita. Il suo interesse a evitare che si determini una compressione della propria sfera giuridica e soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione, all’esito del procedimento, si astenga dall’emanare il provvedimento che produce l’effetto negativo. Al titolare dell’interesse legittimo oppositivo infatti interessa soltanto non veder sacrificata o compressa la propria sfera giuridica cioè a conservare il proprio bene della vita. Degli interessi legittimi pretensivi il rapporto giuridico amministrativo a una dinamica più collaborativa, nel senso che il titolare dell’interesse legittimo pretensivo cercherà di porre in essere tutte le attività volte a stimolare l’esercizio del potere a orientare la scelta dell’amministrazione in modo tale da poter conseguire il bene della vita. Il suo interesse a farsi che si determini un ampliamento della propria sfera giuridica e soddisfatto nel caso in cui l’amministrazione, all’esito del procedimento, emani il provvedimento che produce l’effetto positivo. I due tipi di dinamica si riflettono sia sulla struttura del procedimento sia su quella del processo amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi oppositivi, il procedimento si apre usualmente d’ufficio e la comunicazione di avvio del procedimento instaura il rapporto giuridico amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi, il procedimento si apre in seguito alla presentazione di un’istanza o domanda di parte che fa sorgere l’obbligo di procedere e di provvedere in capo all’amministrazione titolare del potere e che instaura il rapporto giuridico amministrativo. Nel caso degli interessi legittimi o positivi il bisogno di tutela è legato all’interesse alla conservazione del bene della vita. L’annullamento dell’atto impugnato con efficacia ex tunc soddisfa in modo specifico tale bisogno. Infatti il ricorrente viene reintegrato nella situazione in cui esso si trovava prima dell’emanazione del provvedimento; se dalla sentenza di annullamento deriva poi un effetto preclusivo pieno, tale cioè da impedire l’emanazione di un nuovo provvedimento sostitutivo di quello annullato produttivo dei medesimi effetti, l’interesse legittimo o positivo esce dalla vicenda procedimentale e processuale addirittura rafforzato. Anche la tutela risarcitoria, che può essere attivata per soddisfare i bisogni di tutela non coperti dalla tutela specifica di annullamento del provvedimento illegittimo e di adempimento, si atteggia diversamente con riferimento agli interessi legittimi oppositivi e agli interessi legittimi pretensivi. La sentenza di annullamento con efficacia retroattiva, pur eliminando l’atto i suoi effetti, non può porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno; per esempio, se dopo l’emanazione di un decreto di esproprio si è avuta l’esecuzione con l’apprensione materiale del terreno, una volta annullato il provvedimento, il proprietario deve essere risarcito del danno conseguente al mancato godimento del bene nel periodo intercorrente tra l’esecuzione del provvedimento espropriativo e la restituzione del bene medesimo. Con riferimento agli interessi legittimi pretensivi la tutela risarcitoria riguarda i danni conseguenti alla mancata o ritardata acquisizione del bene della vita nel caso in cui sia stato emanato un provvedimento di diniego o l’amministrazione sia rimasta inerte (per esempio, il mancato o ritardato avvio di un’attività commerciale sottoposta a un regime di autorizzazione). La sentenza accoglie l’azione di adempimento, condannando l’amministrazione a emanare il provvedimento richiesto, non riesce infatti a porre rimedio per il passato a questo particolare profilo di danno; per esempio, se per effetto di un diniego illegittimo di un’autorizzazione un’impresa non ha potuto intraprendere un’attività economica deve essere risarcito il mancato guadagno nel periodo intercorrente tra il diniego illegittimo e il rilascio del provvedimento favorevole. parvenza di provvedimento, privo dell’idoneità a produrre l’effetto tipico della sfera giuridica del destinatario. La situazione giuridica soggettiva di cui quest’ultimo è titolare resiste di fronte al potere e non subisce alcun affievolimento o degradazione, tramutandosi in un interesse legittimo. Dove invece il soggetto privato lamenta il cattivo esercizio del potere, senza però contestarne in radice l’esistenza, deducendo un vizio di legittimità del provvedimento, la situazione giuridica fatta valere nei confronti dell’amministrazione ha la consistenza di un interesse legittimo. In epoca più recente è in corso un ripensamento alla luce dell’art. 21 septies l n. 241/1990 che ha disciplinato in termini generali la categoria della nullità: essa elenca le ipotesi tassative di nullità tra le quali figura anche il difetto assoluto di attribuzione che coincide con la carenza di potere in astratto e di conseguenza la carenza di potere in concreto sarebbe inquadrabile nella categoria generale della violazione di legge e determinerebbe ormai soltanto l’annullabilità del provvedimento emanato. Ciò nonostante, i tre criteri seguiti dalla giurisprudenza per distinguere i diritti soggettivi degli interessi legittimi, non risolvono nella pratica tutti i problemi di qualificazione. Il Diritto di Accesso ai Documenti Amministrativi L’accesso ai documenti amministrativi consiste nel “diritto degli interessati di prendere visione e di estrarre copia di documenti amministrativi”: esso è incluso dalla l n. 241/1990 tra i livelli essenziali delle prestazioni ai quali fa riferimento l’art. 117 cc 2 lett. m) Cost. e rientra dunque nella competenza legislativa esclusiva dello Stato ed è inoltre definito come “il principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurare l’imparzialità e la trasparenza”. Si distingue anzitutto tra accesso procedimentale, il diritto di accesso rientra tra quelli attribuiti ai soggetti che partecipano a un determinato procedimento amministrativo in modo da consentire ad essi di tutelare meglio le loro ragioni avendo cognizione di tutti gli atti e documenti acquisiti al fascicolo e si instaura così un legame funzionale tra principio di trasparenza (accesso ai documenti) e diritto di partecipazione che ne esce così rafforzato (partecipazione informata) e accesso non procedimentale, il diritto di accesso può essere esercitato in via autonoma da chi ha interesse a esaminare documenti detenuti stabilmente da una pubblica amministrazione e adesso la l n. 241/1990 dedica l’intero Capo V. In entrambi le fattispecie, il diritto di accesso viene ricostruito secondo lo schema del diritto soggettivo ed in particolare con riguardo all’accesso non procedimentale, che sorge quando il soggetto richiedente l’accesso dimostri “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata è collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Sotto il profilo oggettivo, l’accesso non procedimentale è escluso in una serie tassativa di casi e cioè in relazione ai documenti coperti dal segreto di Stato a quelli relativi a procedimenti tributari o a procedimenti per l’adozione di atti amministrativi generali ai documenti contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale di terzi. Allorché siano presenti esigenze di tutela della riservatezza l’amministrazione deve dunque compiere una duplice operazione: 1) deve anzitutto comparare l’interesse all’accesso e il contrapposto interesse alla riservatezza di terzi (per esempio, l’interesse di un dipendente pubblico che vuole contestare la promozione di un altro dipendente e che a questo fine ritiene necessario acquisire copia del libretto di servizio di quest’ultimo che però potrebbe contenere dati riservati) e 2) deve inoltre valutare se l’accesso ha il carattere della necessità (da distinguersi dalla semplicità utilità poiché è prescritto che deve essere comunque “garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti la cui conoscenza sia necessaria per curare o difendere i propri interessi giuridici”). Il criterio della necessità è reso ancora più stringente nel caso in cui documenti contengano dati definiti come sensibili dal Codice dei dati personali e di quelli giudiziari perché l’accesso è consentito “solo nei limiti in cui sia strettamente indispensabile”. L’accoglimento dell’istanza di accesso sembra dunque subordinata a valutazioni dell’amministrazione che sembrano avere natura in qualche misura discrezionale. Il bilanciamento tra esigenze di pubblicità e tutela della riservatezza riguarda anche le informazioni che le pubbliche amministrazioni sono tenute a pubblicare sui siti istituzionali nei casi in cui si tratti di dati sensibili. Secondo le linee guida, sotto il profilo processuale, il diritto di accesso ai documenti amministrativi è incluso tra le materie devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e ciò costituisce un sintomo che in questa materia possono porsi questioni di diritto soggettivo e in presenza di questi dati normativi contrastanti, si comprende come mai la giurisprudenza sia stata incerta nel ricostruire la natura giuridica del diritto di accesso. Accanto a questa forma di accesso sono state aggiunte di recente altre fattispecie di accesso qualificabili, invece in termini di diritto soggettivo in senso proprio: anzitutto, in materia di tutela dell’ambiente, l’accesso alle informazioni consentito a chiunque ne faccia richiesta senza necessità di dichiarare un proprio interesse ed inoltre a livello di amministrazioni locali, i consiglieri comunali e provinciali hanno diritto a ottenere dagli uffici tutte le informazioni utili all’espletamento del mandato, tenuti però al segreto d’ufficio. Nel nostro ordinamento, la nuova disposizione trova giustificazione degli artt. 1, 2 e 118 Cost. che delinea un modello di cittadinanza attiva fondata sulla cooperazione spontanea dei cittadini con le istituzioni pubbliche mediante la partecipazione alle decisioni e alle azioni che riguardano la cura dei beni comuni. L’art. 5 del dlgs n. 33/2013 prevede due ipotesi: la prima ipotesi riguarda le informazioni e i dati che le amministrazioni hanno l’obbligo di pubblicare sui propri siti o con altre modalità e se questo adempimento non è stato effettuato, chiunque può richiedere l’accesso (accesso semplice); la seconda ipotesi tende a favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico (accesso generalizzato). Interessi di Fatto, Diffusi e Collettivi Le norme che disciplinano l’organizzazione e l’attività della pubblica amministrazione possono imporre all’amministrazione i doveri di comportamento, finalizzati alla tutela di interessi pubblici e ciò in modo irrelato, cioè senza che a tal doveri corrisponda alcuna situazione giuridica o altro tipo di pretesa giuridicamente tutelata in capo a soggetti esterni all’amministrazione. Ciò si verifica non soltanto nel caso delle norme interne ma anche nel caso di norme poste da fonti normative primarie o secondarie: si pensi, per esempio, alle norme che impongono all’amministrazione di adottare atti di pianificazione (urbanistici, del traffico, ambientali ecc.), di realizzare determinate opere infrastrutturali, di contenere livelli di spesa, di raggiungere determinati standard qualitativi nell’erogazione dei servizi ecc. La violazione di questi doveri rileva soltanto all’interno dell’organizzazione degli apparati pubblici e può dare origine a interventi di tipo propulsivo (come le diffide) o sostitutivo da parte di organi dotati di poteri di vigilanza, all’irrogazione di sanzioni nei confronti dei dirigenti e dei funzionari responsabili della violazione (finanziaria, divieto di assunzione di personale, ecc). I soggetti privati che possono trarre un beneficio o un pregiudizio indiretto da siffatte attività vantano un interesse di mero fatto a tutela del quale non è attivabile alcun rimedio di tipo giurisprudenziale. I portatori di un *interesse di mero fatto possono promuovere l’osservanza da parte delle amministrazioni di doveri, per esempio sollecitandole ad attivarsi con segnalazioni, petizioni o attraverso campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica o intraprendendo azioni di tipo politico. Emerge così la necessità di distinguere gli interessi di fatto dagli interessi legittimi e i criteri sono essenzialmente due: il criterio della differenziazione, perché possa configurarsi un interesse legittimo, occorre che la posizione in cui si trova il soggetto privato rispetto all’amministrazione gravata da un dovere di agire, sia in qualche modo differenziata rispetto a quella della generalità dei soggetti dell’ordinamento e può essere rilevante l’elemento fisico - spaziale della vicinanza che rende più concreto pregiudizio in capo a taluni soggetti; per esempio, il proprietario di un terreno che confina con il terreno al cui proprietario è stato rilasciato un permesso a costruire un edificio che impedirebbe una vista panoramica o determinerebbe un altro tipo di pregiudizio si trova in una posizione differenziata rispetto al proprietario di aree non contigue, poste magari a grande distanza e il criterio della qualificazione, secondo cui deve essere appurato se tale interesse rientra in qualche modo nel perimetro della tutela offerta dalle norme attributive del potere. Nella casistica giurisprudenziale i due criteri appaiono collegati nel senso che quando più differenziato in base a criteri materiali risulta un interesse, tanto più probabile che esso venga ritenuto anche oggetto di una tutela giuridica da parte dell’ordinamento e ciò anche senza che sia richiesta l’individuazione di una disposizione normativa specificamente finalizzata a proteggere l’interesse del soggetto privato. Gli *interessi diffusi sono stati definiti variamente come interessi non personalizzati, senza struttura, riferibili in modo indistinto alla generalità della collettività o a categorie più o meno ampie di soggetti (consumatori, utenti, risparmiatori, fruitori dell’ambiente ecc.). Il carattere diffuso dell’interesse deriva dalla caratteristica del bene materiale o immateriale adesso correlato che non è suscettibile di appropriazione e di godimento esclusivi (ambiente, paesaggio, patrimonio storico artistico ecc.); Europea agisce esclusivamente nei limiti delle competenze assegnate e che per contro, gli Stati membri sono titolari della generalità delle competenze residue. Inoltre, le competenze attribuite all’Unione Europea, non devono eccedere quelle necessarie per conseguire gli scopi dell’unione che non possono essere curati meglio dagli stati membri, né a livello centrale né a livello locale. È menzionato poi, nell’art. 5, anche il principio di proporzionalità, in base al quale il contenuto e la forma dell’azione dell’Unione non devono eccedere quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei Trattati. I Parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di proporzionalità con le modalità stabilite in un Protocollo allegato al trattato che prevede un coinvolgimento preventivo degli Stati membri nella fase preparatoria degli atti normativi europei. Nel diritto interno, l’art. 118 Cost., richiama i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza e prevede che la generalità delle funzioni si attribuita a livello di governo più vicino al cittadino e cioè il Comune. Solo le funzioni delle quali è necessario assicurare un esercizio unitario che supera la dimensione territoriale dei comuni possono essere attribuite ai livelli di governo più elevati e cioè alle province, alle città metropolitane, alle regioni e allo Stato. Le funzioni amministrative vanno allocate tra gli enti territoriali secondo il criterio della dimensione degli interessi e da qui l’espressione di “sussidiarietà verticale”. Oltre a richiamare il principio di sussidiarietà, la l n. 59/1997 definisce il principio di adeguatezza che attiene “all’idoneità organizzativa dell’amministrazione ricevente” e il principio di differenziazione, che mira tener conto “delle diverse caratteristiche, anche associative, demografiche, territoriali e strutturali degli enti riceventi”. Questi due principi mirano in particolare a salvaguardare le specificità di oltre 8000 comuni e sono volti anche a sollecitare l’attivazione di forme di collaborazione tra enti territoriali per l’esercizio in forma associata di talune funzioni. La l n. 59/1997 sono altresì i principi di efficienza e di economicità, di responsabilità e unicità dell’amministrazione, di omogeneità, di copertura finanziaria e patrimoniale dei costi per l’esercizio delle funzioni, di autonomia organizzativa e regolamentare. La Costituzione richiama anche la “sussidiarietà orizzontale”, che serve a definire i rapporti tra poteri pubblici e società civile; l’art. 118 cc 4 stabilisce che lo Stato e gli enti territoriali “favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli associati per lo svolgimento di attività di interesse generale sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa disposizione è il valore simbolico, da un lato, di escludere che i poteri pubblici detengono il monopolio della cura degli interessi della collettività e dall’altro, di valorizzare le forme di autorganizzazione della società civile. Anche il principio di proporzionalità è enunciato in varie disposizioni legislative europee recepite nel diritto nazionale come criterio per la disciplina delle funzioni e dei poteri. Esso è richiamato, per esempio, nella direttiva 2006/23/CE relativa al mercato interno dei servizi, recepita nel dlgs 26 marzo 2010 n. 59 ed infatti, la scelta del legislatore se istituire o mantenere un regime di autorizzazione preventiva piuttosto che di semplice comunicazione all’amministrazione dell’avvio di un’attività deve avvenire nel rispetto del principio di proporzionalità, valutando, come specifica la direttiva, se “l’obiettivo perseguito non può essere conseguito tramite una misura meno restrittiva”. I principi in questione, essendo rivolte al legislatore, sono soprattutto principi e criteri di policy da far valere nelle sedi politiche, più che principi giuridici che fondano pretese azionabili in sede giurisdizionale. I principi sull’attività  Secondo l’art. 1 l n. 241/1990 “l’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza nonché dei principi dell’ordinamento comunitario”. Tali criteri o principi, sebbene riferiti testualmente all’attività, possono valere in realtà anche per l’atto e il procedimento amministrativo. Poiché l’attività amministrativa riguarda in modo unitario il complesso delle operazioni, dei comportamenti degli atti posti in essere da un apparato amministrativo, anche l’applicazione dei criteri enunciati nell’art. 1 consente di formulare un giudizio globale sull’operato dell’amministrazione. Un giudizio verte, da un lato, sulla coerenza complessiva dell’attività rispetto alla “missione” affidata dal legislatore e sulla sua conformità alle norme giuridiche; dall’altro, sul buon andamento, cioè sui risultati più o meno positivi effettivamente conseguiti mediante l’uso efficiente delle risorse disponibili; a tal proposito, è stata di recente elaborata la nozione di “amministrazione di risultato” che si aggancia al principio tradizionale di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.: si tratta di una nozione dai contorni sfumati che, però, tende a mettere in luce come nell’attuale fase evolutiva dell’ordinamento sia cresciuta l’attenzione nei confronti dell’efficienza, dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa. Diventa invece recessiva l’impostazione tradizionale che considerava l’azione amministrativa principalmente nel prisma della legalità formale ed era incline a ritenere che il rispetto della legalità fosse di per sé garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione. Nel contesto di una riforma tesa a promuovere l’efficienza della pubblica amministrazione, il legislatore ha disciplinato il cosiddetto “ciclo delle performance” che si applica agli apparati amministrativi nel loro complesso: le fasi del ciclo delle performance sono principalmente le seguenti: la definizione di obiettivi – l’allocazione delle risorse - il monitoraggio in corso di esercizio - la misurazione e la valutazione della performance organizzativa dei singoli dipendenti - l’utilizzo dei sistemi premiati. La performance organizzativa si riferisce al grado di soddisfazione dei cittadini e degli utenti, all’efficienza nell’impiego delle risorse, alla quantità e qualità dei servizi erogati e adesso si collega poi la performance individuale dei dipendenti pubblici. Il Principio di efficienza mette in rapporto la quantità di risorse impiegate con il risultato dell’azione amministrativa e focalizza l’attenzione sull’uso ottimale dei fattori produttivi: è efficiente l’attività amministrativa che raggiunge un certo livello di performance utilizzando in maniera oculata le risorse disponibili e scegliendo tra le alternative possibili quella che produce il massimo dei risultati con il minor impiego di mezzi; si distingue tra efficienza tecnica (che attiene al modo in cui i fattori sono utilizzati nel processo produttivo) e efficienza allocativa. Il Principio di efficacia misura invece i risultati effettivamente ottenuti rispetto agli obiettivi prefissati in un piano o in un programma. I due principi operano in modo indipendente perché può darsi il caso di un livello elevato di efficienza, raggiunto però con un impiego in efficiente delle risorse e inversamente può anche darsi il caso di un’azione efficiente perché non dà luogo a sprechi, ma inefficace perché non raggiunge gli obiettivi prefissati. Il Principio di pubblicità e di trasparenza è enunciato a livello europeo ed infatti, il trattato sul funzionamento dell’Unione Europea precisa che “al fine di promuovere il buon governo e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’unione europea operano nel modo più trasparente possibile” e viene altresì stabilito che le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’unione europea si basano su “un’amministrazione europea aperta” ispirandosi al principio dell’open government in base al quale le determinazioni assunte devono essere rese possibili a chi vi ha interesse. Esso rileva principalmente in due ambiti: il primo ambito si riferisce all’organizzazione e all’attività della pubblica amministrazione è tenuta a mettere a disposizione della generalità degli interessi, con modalità di pubblicazione predeterminate da parte dell’amministrazione (Albi, bollettini, siti ecc.), un’ampia serie di informazioni; mentre il secondo ambito si riferisce al diritto di accesso ai documenti amministrativi che viene definito “principio generale dell’attività amministrativa al fine di favorire partecipazione e assicurare l’imparzialità e trasparenza”. Il diritto di accesso è stato ampliato con l’introduzione dell’accesso civico ed è stata anche prevista, sotto il profilo organizzativo, la nomina all’interno di ogni pubblica amministrazione di un responsabile per la trasparenza e quest’ultimo deve monitorare il rispetto degli obblighi di pubblicazione segnalando le inadempienze all’organo di indirizzo politico, all’organismo indipendente di valutazione e all’autorità nazionale anticorruzione. I principi sull’esercizio del potere discrezionale  I principi che presiedono all’esercizio del potere discrezionale sono essenzialmente:  il principio di imparzialità : è richiamato dall’art. 97 Cost. e dall’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, riferito all’esercizio della discrezionalità, esso consiste essenzialmente nel “divieto di favoritismi”: l’amministrazione non può essere influenzata nelle sue decisioni da interessi politici, da gruppi di pressione privati (lobby) o da singoli individui o imprese, favoriti per ragioni di amicizia o di parentela. Esso impone alle amministrazioni un vincolo giuridico che è assente nel caso dell’agire dei soggetti privati e questi ben possono orientare le proprie scelte avvantaggiando alcuni e svantaggiando altri, purché non vengano superati i limiti generali o speciali dell’autonomia negoziale (per esempio, in materia successoria con riguardo alla quota di legittima riservata ai familiari più stretti). Il principio di imparzialità può entrare in tensione con il principio della responsabilità politica delle amministrazioni volto a inserirle nel circuito politico amministrativo: i vertici delle pubbliche amministrazioni tempi dei procedimenti amministrativi costituisce uno degli indicatori della performance organizzativa e il rispetto del termine è un elemento di valutazione dell’operato dei responsabili degli uffici).  il principio di efficienza: prevede che l’amministrazione “non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”.  il principio di correttezza e buona fede: prevede che, entrambe le parti del rapporto giuridico amministrativo sono tenute al rispetto del principio in questione: da un lato, la pubblica amministrazione non deve disattendere gli affidamenti in colpevoli ingenerati nei privati; dall’altro lato, questi ultimi sono gravati da “oneri di diligenza e leale collaborazione verso l’amministrazione”, per esempio, il privato che partecipa al procedimento non deve trarre in inganno l’amministrazione, per esempio, omettendo informazioni rilevanti o producendo documentazione falsa. CAPITOLO IV - IL PROVVEDIMENTO Premessa Il provvedimento è l’atto con cui si conclude il procedimento amministrativo: esso è la manifestazione di volontà della pubblica amministrazione, tesa a produrre effetti giuridici in modo unilaterale nei confronti del soggetto destinatario. Partendo dall’esempio della realizzazione di un’infrastruttura pubblica, come una tratta ferroviaria o un’autostrada, l’acquisizione dei terreni potrebbe certamente avvenire tramite i contratti di compravendita; ma in mancanza del consenso dei proprietari, lo Stato ha a disposizione lo strumento coattivo dell’espropriazione per pubblica utilità. Espropriazione, autorizzazione, sanzione pecuniaria, piano regolatore, permesso a costruire ecc. costituiscono esempi di provvedimenti per mezzo dei quali l’autorità amministrativa provvede alla cura in concreto dell’interesse pubblico di cui essa è tenuta a farsi carico in base alla legge. Il provvedimento amministrativo costituisce una manifestazione dell’autorità dello Stato. Il Regime del Provvedimento a) La Tipicità Il principio di tipicità, che comporta all’autorità amministrativa il potere di emanare solo atti disciplinati dalla legge, si contrappone all’atipicità dei negozi giuridici privati, in base al quale l’autonomia negoziale consente alle parti di concludere contratti non appartenenti ai tipi disciplinati dallo stesso Codice Civile, purché siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. La pubblica amministrazione, al contrario, è tenuta a perseguire esclusivamente il fine stabilito dalla norma di conferimento del potere e poi a utilizzare soltanto lo strumento giuridico definito dalla stessa norma. Costituiscono un’attenuazione del principio di tipicità le ordinanze contingibili e urgenti che possono essere emanate nei casi e per i fini previsti dalla legge, ma che non sono tipizzate: la legge rimette infatti all’organo competente la determinazione del contenuto e degli effetti del provvedimento. Inoltre, il principio di tipicità esclude che si possano riconoscere in capo all’amministrazione poteri impliciti, cioè poteri non previsti dalla legge. b) L’Imperatività Si manifesta un secondo carattere del provvedimento amministrativo e cioè l’imperatività o l’autoritarietà, che consiste nel fatto che la pubblica amministrazione, titolare di un potere attribuito dalla legge, può imporre al soggetto privato destinatario del provvedimento, le proprie determinazioni operando una modifica nella sua sfera giuridica in modo unilaterale; così, ad esempio, l’atto conclusivo del procedimento di espropriazione produce lo stesso effetto traslativo del diritto di proprietà che potrebbe essere realizzato attraverso il contratto di compravendita. Secondo la giurisprudenza, l’imperatività non è nient’altro che una formula lessicale che esprime la particolare modalità di produzione degli effetti giuridici nei rapporti tra l’amministrazione, titolare del potere e il soggetto privato, titolare di un interesse legittimo ed infatti, il provvedimento è imperativo nel senso che ha l’attitudine a modificare la sfera giuridica del soggetto privato destinatario senza che sia necessario acquisire il suo consenso. L’efficacia del provvedimento non dipende dalla validità del medesimo, perché anche l’atto illegittimo è in grado di produrre gli effetti tipici al pari dell’atto valido. Tuttavia gli effetti possono essere rimossi con efficacia retroattiva, insieme al provvedimento viziato, in seguito a una sentenza di annullamento del giudice amministrativo oppure in seguito all’annullamento pronunciato dalla stessa amministrazione (per esempio, in sede di autotutela). L’imperatività emerge con più evidenza negli atti amministrativi che determinano effetti ablatori o comunque restrittivi della sfera giuridica del destinatario e la volontà eventualmente contraria del soggetto privato non preclude il prodursi dell’effetto giuridico. c) L’Esecutorietà e L’Efficacia Essa può essere definita come il potere dell’amministrazione di procedere all’esecuzione del provvedimento in caso di mancata cooperazione da parte del privato obbligato, senza doversi rivolgere preventivamente a un giudice allo scopo di ottenere l’esecuzione forzata. Nei rapporti inter privati, l’autotutela è emessa infatti solo in casi eccezionali e la regola generale è invece, che chi vuol far valere le proprie ragioni, deve rivolgersi al giudice civile che accerti l’inadempimento degli obblighi nascenti dal negozio, emani una sentenza di condanna e che disponga le misure necessarie per l’esecuzione della sentenza; la pubblica amministrazione ha invece la possibilità di portare a esecuzione i provvedimenti con propri uomini e mezzi: così, se il proprietario di un bene non coopera all’esecuzione del provvedimento di esproprio con la consegna materiale spontanea del bene, l’amministrazione può procedere direttamente ad apprendere il bene, se necessario, anche con l’uso della forza (ulteriore esempio di esecutorietà è l’ordine di abbattimento di un edificio abusivo). Mentre l’imperatività opera sul piano della produzione degli effetti giuridici, l’esecutorietà opera sulle attività materiali necessarie per conformare la realtà di fatto alla situazione di diritto così come modificata dal provvedimento. In definitiva l’esecutorietà del provvedimento dà luogo a un procedimento d’ufficio in contraddittorio con il soggetto privato. Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia con la comunicazione al destinatario e ha dunque natura di atto recettizio e sono peraltro esclusi dall’obbligo di comunicazione i provvedimenti aventi carattere cautelare urgente che sono sempre immediatamente efficaci. All’efficacia del provvedimento consegue la necessità che esso venga portato subito a esecuzione, a seconda dei casi, dalla stessa amministrazione che ha emanato l’atto e prima ancora dal destinatario del medesimo, laddove il provvedimento faccia sorgere in capo a quest’ultimo un obbligo di dare o di fare: si pensi, per esempio, all'abbattimento di una costruzione abusiva o al pagamento di una sanzione pecuniaria. d) L’Inoppugnabilità Essa si ha allorché decorrano i termini previsti per l’esperimento dei rimedi giurisdizionali innanzi al giudice amministrativo ed in particolare, l’azione di annullamento va proposta nel termine di decadenza di 60 giorni; l’azione di nullità è soggetta a un termine di 180 giorni e l’azione risarcitoria può essere proposta in via autonoma nel termine di 120 giorni. Nei rapporti di diritto privato, invece, la tutela giurisdizionale può essere attivata di regola entro i termini di prescrizione più lunghi (per esempio 5 anni per l’azione di annullamento di un contratto). L’inoppugnabilità non esclude peraltro che l’amministrazione possa rimettere in discussione il rapporto giuridico esercitando il potere di autotutela: l’istituto garantisce la stabilità del rapporto giuridico amministrativo solo sul versante delle possibili contestazioni da parte del soggetto privato. L’atto amministrativo può diventare inoppugnabile anche in seguito ad accettazione espressa da parte del destinatario che consiste in una dichiarazione espressa o tacita di assenso all’effetto prodotto dal provvedimento. Gli Elementi Strutturali dell’Atto Amministrativo Come per tutti gli atti giuridici, anche per il provvedimento amministrativo possono essere individuati alcuni elementi strutturali che consentono di identificarlo e di qualificarlo: L’ordine è un provvedimento che prescrive un comportamento specifico da adottare in una situazione determinata: nelle organizzazioni improntate al principio gerarchico (per esempio, l’esercito e le forze di polizia) esso è lo strumento in base al quale, il titolare dell’organo o dell’ufficio sovraordinato impone la propria volontà e guida l’attività dell’organo dell’ufficio sottordinato ed esso presuppone che l’ambito della competenza attribuito da quest’ultimo sia inclusa nell’ambito della competenza del primo. Gli ordini amministrativi sono previsti anche al di fuori dei rapporti inter organici e dunque riguardano i rapporti inter soggettivi tra l’amministrazione titolare del potere e i soggetti privati destinatari. L’effettività di questo genere di provvedimenti è rafforzata da una figura di reato (art. 51 c.p.) che punisce chiunque non osservi un provvedimento legalmente dato da un’autorità amministrativa per ragioni di sicurezza pubblica o di ordine pubblico; l’imposizione di obblighi comportamentali con atti che hanno contenuto prescrittivo ordinatorio è prevista da numerose leggi, specie nell’ambito di rapporti con l’autorità preposte alla vigilanza di categorie di imprese o a controlli su attività private. Troviamo poi la figura della Diffida, che consiste nell’ordine di cessare un determinato comportamento posto in essere in violazione di norme amministrative, anche con la fissazione di un termine per eliminare gli effetti dell’infrazione: la diffida può comportare, in caso di inottemperanza, l’applicazione di sanzioni di tipo amministrativo (per esempio, il potere attribuito all’autorità competente al controllo degli scarichi di acque inquinanti di ordinare al titolare che non rispetta le condizioni in essa contenute di cessare dal comportamento entro un termine determinato; in più, nel caso in cui si manifesti una situazione di pericolo per la salute pubblica e per l’ambiente, la medesima autorità può sospendere l’autorizzazione). In alcuni casi la diffida con conseguente irrogazione di una sanzione può essere preceduta da un invito informale a desistere dalla condotta illecita. Le SANZIONI AMMINISTRATIVE  sono volte a reprimere illeciti di tipo amministrativo e hanno dunque una funzione afflittiva e una valenza dissuasiva. Esse sono previste dalle leggi amministrative sia in caso di violazione dei precetti in esse contenuti, sia nel caso di violazione dei provvedimenti emanati sulla base di tali leggi e molti casi di sanzioni del primo tipo sono disciplinati, per esempio, nel Codice della strada che contiene una serie minuta di regolamenti comportamentali soggetti a un’ampia gamma di sanzioni pecuniarie e non pecuniarie definite e quantificate direttamente dalla legge. La legge n. 689/1981 detta una disciplina generale delle sanzioni amministrative, richiamando una serie di principi tipicamente penalisti: tra di essi il principio di legalità, in base al quale “nessuno può essere sottoposto a sanzioni amministrative se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione”. Le sanzioni amministrative sono riconducibili a più tipi:  le sanzioni pecuniarie, che fanno sorgere l’obbligo di pagare una determinata somma di denaro entro un minimo e un massimo stabilito dalla norma (per esempio, una multa). L’obbligazione pecuniaria grava a titolo di solidarietà in capo a soggetti diversi da colui che pone in essere il comportamento illecito (per esempio, l’ente del quale dipendente o rappresentante è autore dell’illecito) ed inoltre, l’obbligazione può essere estinta tramite il pagamento di una somma in misura ridotta entro 60 giorni dalla contestazione della violazione, cioè prima che abbia corso il procedimento in contraddittorio per l’accertamento dell’illecito;  le sanzioni interdittive, che incidono sull’attività posta in essere dal soggetto destinatario del provvedimento (per esempio, ritiro della patente, decadenza da una concessione ecc.).  le sanzioni disciplinari, che si applicano a soggetti che intrattengono una relazione particolare con le pubbliche amministrazioni e sono volte a colpire comportamenti posti in violazione di obblighi speciali collegati allo status particolare (per esempio, obblighi di doveri, codici deontologici ecc.) e consistono, a seconda della gravità dell’illecito, nell’ammonizione o censura, nella sospensione dal servizio o dall’albo per un periodo di tempo determinato, nella radiazione da un albo o nella destituzione. Una particolare forma di responsabilità amministrativa è prevista a carico delle imprese e degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato: essa sorge direttamente in capo all’ente per reati commessi nel suo interesse o a suo vantaggio dagli amministratori e dai dipendenti; tra questi reati figurano, per esempio, la truffa in danno allo Stato, la concussione o il riciclaggio di denaro sporco. La responsabilità amministrativa degli enti comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e interdittive come, per esempio, la sospensione e la revoca di autorizzazioni e licenze ecc. Viene poi fatta distinzione tra sanzioni in senso proprio, che hanno una valenza essenzialmente repressiva e punitiva del colpevole e sanzioni ripristinatorie, che hanno uno scopo principale ovvero quello di reintegrare l’interesse pubblico leso da un comportamento illecito (per esempio, in materia edilizia, nel caso di esecuzione di interventi in assenza o in totale difformità dal permesso a costruire, l’amministrazione comunale ingiunge al proprietario e al responsabile dell’abuso, la rimozione o la demolizione assegnando un termine e decorso inutilmente l’area è acquisita di diritto dal Comune). Le Attività Libere sottoposte a regime di comunicazione preventiva La Segnalazione Certificata d’Inizio Attività (SCIA) Nei casi in cui l’attività dei privati possa interferire o mettere a rischio un interesse della collettività, vengono utilizzate regole speciali volte a porre vincoli particolari: nel rispetto delle leggi amministrative è assicurato in un primo gruppo di casi attraverso un semplice regime di vigilanza, che può portare all’esercizio di poteri repressivi e sanzionatori nei casi in cui vengono accertate violazioni (si pensi, per esempio, al pedone o al ciclista che non rispettino le regole poste dal Codice della strada oppure un residente che deposita rifiuti domestici in luoghi non consentiti). Per agevolare i controlli effettuati dall’amministrazione la legge grava i privati di un obbligo di comunicare preventivamente a una pubblica amministrazione l’intenzione di intraprendere un’attività; così, per esempio, l’agricoltore che voglia vendere direttamente al dettaglio i propri prodotti deve darne comunicazione al Comune. Le fattispecie delle attività regolate e sottoposte a un regime di comunicazione preventiva sono disciplinate dall’art. 19 l n. 241/1990 e questo articolo prevede l’istituto della segnalazione certificata d’inizio attività (SCIA). La SCIA riconduce a una serie di attività per le quali in precedenza era previsto un regime di controllo preventivo ex ante sottoforma di “autorizzazione, licenza, concessione non costitutiva, permesso o nulla osta denominato” (DIA dichiarazione d’inizio attività), a un regime meno intrusivo di controllo successivo ex post, effettuato cioè dall’amministrazione una volta ricevuta la comunicazione di avvio dell’attività: essa quindi ha soltanto la funzione di consentire all’amministrazione di verificare se l’attività in questione è conforme alle norme amministrative. L’avvio dell’attività può essere contestuale alla presentazione della SCIA allo sportello unico indicato sul sito istituzionale di ciascuna amministrazione e il privato dovrà poi corredare la segnalazione con un’autocertificazione del possesso dei presupposti e dei requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività. In caso di dichiarazioni mendaci, scattano sanzioni amministrative e penali. In caso di “accertata carenza dei requisiti e dei presupposti” previsti dalla legge per lo svolgimento dell’attività amministrativa, l’amministrazione, nel termine perentorio di 60 giorni, emana un provvedimento motivato di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione dei suoi effetti e in alternativa, può invitare il privato a conformare l’attività alla normativa vigente entro un termine non inferiore a 30 giorni prescrivendo le misure necessarie. Anche dopo la scadenza del termine di 60 giorni per l’attività di controllo, l’amministrazione può esercitare poteri di vigilanza e prevenzione previsti da leggi vigenti e può persino attivare il potere interdittivo, dove sussistono i presupposti previsti dalla l n. 241/1990 per l’annullamento d’ufficio dei provvedimenti illegittimi che richiede una serie di apprezzamenti discrezionali e prevede poi un termine di 18 mesi nel caso di provvedimenti autorizzativi. Il campo di applicazione della SCIA è definito dall’art. 19 della l n. 241/1990 e ad esso pone un criterio generale in base al quale la SCIA sostituisce di diritto ogni atto di tipo autorizzativo “il cui rilascio dipende esclusivamente dall’accertamento di requisiti e presupposti richiesti dalla legge”. In presenza di discrezionalità non è concepibile che il soggetto privato possa farsi carico di una valutazione e ponderazione degli interessi in gioco e un secondo criterio è che deve trattarsi di atti autorizzativi per i quali non sia previsto alcun limite o altri strumenti di programmazione di settore; in questi casi occorre infatti individuare qualche parametro per selezionare gli aspiranti a svolgere l’attività e attivare di conseguenza un procedimento comparativo incompatibile con l’avvio della stessa sulla base di una semplice comunicazione. Sono poi previste alcune esclusioni, allorché entrino in gioco interessi pubblici particolarmente rilevanti (ambiente, difesa nazionale, pubblica sicurezza, giustizia ecc.). Un problema delicato è quello della tutela del terzo che affermi di subire una lesione della propria sfera giuridica per effetto dell’avvio dell’attività: infatti, categorie di soggetti o di beni possono essere iscritti in base a procedimenti tipizzati in relazione al possesso di determinati requisiti; 2) la messa a disposizione ai soggetti interessati dei dati in essi contenuti per mezzo di attestazioni e certificazioni che costituiscono la modalità tradizionale per dimostrare il possesso di presupposti e requisiti richiesti ai privati per poter svolgere molte attività. Vengono previste due modalità alternative alle certificazioni: da un lato, le pubbliche amministrazioni sono tenute a scambiarsi in ufficio le informazioni rilevanti senza gravare i soggetti privati dell’onere di ottenere il rilascio di certificati e dall’altro, in molti casi le certificazioni possono essere sostituite con l’autocertificazione, cioè tramite una dichiarazione formale assunta sotto propria responsabilità dal soggetto. Negli atti dichiarativi rientrano poi gli atti paritetici, si tratta di un atto unilaterale della pubblica amministrazione non autoritativo e non in grado di degradare i diritti (per esempio, se l’amministrazione nega un compenso o un’indennità spettante a un dipendente pubblico non privatizzato, la comunicazione formale dell’amministrazione non vale come provvedimento in senso proprio). Un’altra specie di atti dichiarativi è costituita dalle verbalizzazioni, che consistono nella “narrazione storico-giuridica” da parte di un ufficio pubblico di atti, fatti e operazioni avvenuti in sua presenza (per esempio, la polizia municipale nell’ambito dell’attività di vigilanza in materia edilizia, può recarsi in un cantiere e constatare in un processo verbale la difformità delle opere già realizzate rispetto al permesso a costruire oppure nell’ambito dell’attività di vigilanza sulle attività commerciali, constatare il mancato rispetto degli orari di apertura di un esercizio commerciale). Altre Classificazioni: Atti Collegiali, Atti Collettivi, Atti Plurimi, Atti di Alta amministrazione I provvedimenti amministrativi possono essere classificati in base ad ulteriori criteri: 1) Primo criterio è la provenienza soggettiva del provvedimento: accanto ai casi nei quali il provvedimento è emanato da un organo di tipo monocratico (un decreto del Ministero o un’ordinanza del sindaco di un comune), si pongono i casi nei quali il provvedimento è espressione della volontà di più organi o soggetti e ha dunque natura di atto complesso (esempio, il decreto interministeriale, espressione della volontà paritaria e convergente di più ministri oppure un decreto del Presidente della Repubblica che controfirma l’atto del ministro proponente). Si menzionano quindi gli ATTI COLLEGIALI, nei quali il provvedimento è emanato da un organo composto da una pluralità di componenti designati con vari criteri (elezione, nomina da parte di organi politici o in rappresentanza di enti pubblici o privati o di organizzazioni di categoria). Le delibere assunte dagli organi collegiali avvengono con modalità procedurali definite negli statuti o nei regolamenti dei singoli enti e amministrazioni. Anzitutto, la riunione del collegio viene convocata di regola dal Presidente e a ciascuno dei componenti è comunicato in anticipo l’ordine del giorno: prima di procedere alla discussione e all’assunzione della delibera va verificata la sussistenza del numero legale (quorum costitutivo) e la delibera è validamente assunta ove sia approvata dalla maggioranza dei presenti. 2) Secondo criterio è quello dei destinatari del provvedimento: esso consente di individuare la categoria degli atti amministrativi generali, i quali si rivolgono a classi omogenee più o meno ampie di soggetti. Dagli atti generali vanno tenuti distinti gli ATTI COLLETTIVI, che si indirizzano a categorie ristrette di soggetti considerati in modo unitario i quali però a differenza degli atti generali, sono già individuati singolarmente con precisione (ad esempio, lo scioglimento di un Consiglio comunale che produce effetti nei confronti dei singoli componenti dell’organo collegiale) e gli ATTI PLURIMI, che sono rivolti a una pluralità di soggetti, ma i loro effetti, sono scindibili in relazione a ciascun destinatario (per esempio, al decreto che è proprio una graduatoria dei vincitori di concorso oppure è un decreto che dispone nei confronti di una pluralità di proprietari l’espropriazione di una serie di terreni). 3) Terzo criterio prende in considerazione la natura della funzione esercitata e l’ampiezza della discrezionalità, in base ad esso è stata elaborata la categoria degli ATTI DI ALTA AMMINISTRAZIONE, distinta da quella degli atti politici non sottoposti al regime del provvedimento amministrativo. Altri atti del governo hanno invece una natura amministrativa caratterizzati da un’ampia discrezionalità: tra di essi rientrano i provvedimenti di nomina e revoca dei vertici militari o dei Ministeri o dei direttori generali delle aziende sanitarie locali, i decreti che autorizzano l’estradizione oppure il decreto di scioglimento e commissariamento di un comune o di un altro ente pubblico. L’Invalidità dell’Atto Amministrativo L’invalidità dell’atto amministrativo trova disciplina compiuta nella l n. 241/1990 in particolare all’art. 21 bis in seguito alle modifiche introdotte dall’art. 14 della l n. 15/2005 e nel Codice del processo amministrativo. Viene operata una distinzione tra norme che regolano una condotta, le quali impongono obblighi comportamentali o attribuiscono diritti e norme che conferiscono poteri, come per esempio quello di fare testamento, di contrarre un matrimonio o di porre in essere un contratto e regolano le procedure, i presupposti e i limiti all’esercizio di poteri privati o anche amministrativi volti alla produzione di effetti giuridici. I comportamenti che violano il primo tipo di norme sono qualificabili come illeciti e contro di essi l’ordinamento reagisce in vario modo (ad esempio con sanzioni penali, obbligo di risarcimento, ecc.); gli atti posti in essere in violazione delle norme del secondo tipo sono qualificabili come invalidi e contro di essi l’ordinamento reagisce disconoscendone gli effetti. L’atto amministrativo è invalido quando è difforme dalla norma che lo disciplina (invalidità) e in base alla gravità della violazione si configurano due concetti: A) l’inidoneità dell’atto a produrre effetti giuridici tipici, cioè a creare diritti ed obblighi (nullità) ed è disciplinata dall’art. 21 septies della l n. 241/1990; B) l’idoneità dell’atto a produrre effetti giuridici in via precaria, cioè fintanto che non intervenga un giudice o un altro organo che, accertati l’invalidità e rimuova con efficacia retroattiva gli effetti prodotti (annullabilità) ed è disciplinata dall’art. 21 octies della l n. 241/1990. L’invalidità può essere totale, la quale investe l’intero atto o parziale, lasciando inalterata la validità e l’efficacia della parte non affetta da vizio e quest’ultima si può avere nel caso di provvedimenti con effetti scindibili degli atti plurimi (per esempio, l’atto di nomina di una pluralità di vincitori di un concorso di un giudizio di idoneità: l’esclusione dalla graduatoria di un partecipante per assenza di requisiti non comporta la caducazione dell’intero atto di approvazione della medesima). L’invalidità di un provvedimento può essere propria o derivata, originaria o sopravvenuta. 1) Nel caso di invalidità propria assumono rilievo diretto i vizi dei quali è affetto l’atto e nel caso di invalidità derivata, l’invalidità dell’atto discende per propagazione dall’invalidità di un atto presupposto (per esempio, l’illegittimità di un bando di gara determina a valle l’invalidità dell’atto di aggiudicazione o di approvazione della graduatoria dei vincitori). La validità derivata può essere di due tipi: a effetto caducante, colpisce l’atto esecutivo come inevitabile conseguenza, automaticamente discendente dall’annullamento dell’atto e il collegamento tra i due atti è talmente forte e imprescindibile da rendere totalmente dipendente il successivo dal precedente (per esempio, l’invalidità della dichiarazione di pubblica utilità che determina il venir meno dell’efficacia del decreto di esproprio) e a effetto invalidante, quando l’atto affetto da invalidità derivata conserva i suoi effetti fintanto che non venga annullato. 2) Si parla poi di invalidità sopravvenuta dei provvedimenti amministrativi nei casi di legge retroattiva, di legge di interpretazione autentica e di dichiarazione di illegittimità costituzionale: nelle prime due ipotesi, la retroattività della nuova legge rende viziato il provvedimento emanato in base alla norma abrogata; nella terza ipotesi le sentenze rendono invalidi i provvedimenti assunti sulla base delle norme dichiarate illegittime e ai rapporti giuridici sorti anteriormente, a meno che non si tratti di rapporti esauriti e cioè di fattispecie ormai interamente realizzate. È stata poi elaborata la distinzione tra due tipi di comportamenti patologici dell’amministrazione: da un lato ci sono i meri comportamenti, assunti in violazione di una norma di relazione, cioè equiparabili a un comportamento posto in essere da un soggetto privato non conforme alle norme civilistiche (per esempio, a un incidente stradale provocato da un mezzo dell’amministrazione oppure al danno subito da un autoveicolo privato a causa della cattiva manutenzione di una strada pubblica); dall’altro ci sono i comportamenti nei quali il collegamento funzionale tra provvedimento invalido e attività materiale esecutiva posta in essere dall’amministrazione, integra una violazione della norma attributiva del potere e lede un interesse legittimo, facendo confluire l’intera fattispecie nell’ambito della giurisdizione del giudice amministrativo. L’Annullabilità L’eccesso di potere è il vizio di legittimità che può essere definito come la scorrettezza in una scelta discrezionale. L’eccesso di potere riguarda l’aspetto funzionale del potere e cioè la realizzazione in concreto dell’interesse pubblico affidato alla cura dell’amministrazione. La figura primogenita dell’eccesso di potere è lo sviamento di potere, ovvero quando la pubblica amministrazione usi un suo potere discrezionale per un fine diverso da quello per il quale il potere stesso le era stato conferito (ad esempio, il trasferimento di un impiegato in una sede disagiata come punizione, laddove per la punizione sono previste apposite sanzioni disciplinari). Le altre figure sintomatiche dell’eccesso di potere sono: 1) Errore o Travisamento dei fatti: ricorre quando la pubblica amministrazione abbia ritenuto esistente un fatto inesistente o viceversa, ovvero quando abbia dato ai fatti un significato erroneo, illogico o irrazionale (si pensi, per esempio, all’imposizione di un obbligo di bonifica ambientale di un terreno, nel quale invece si dimostra che non sono presenti sostanze inquinanti o comunque, che se non superano i valori massimi consentiti dalle norme vigenti). L’errore di fatto può emergere in sede processuale sia in seguito alla produzione di prove da parte del ricorrente sia in seguito all’esercizio dei poteri istruttori da parte del giudice amministrativo e quest’ultimo non incontra più alcun limite giuridico a un accertamento pieno di fatti autonomo rispetto a quello operato nel provvedimento impugnato. 2) Difetto d’istruttoria: nella fase istruttoria del procedimento l’amministrazione è tenuta ad accertare in modo completo i fatti, ad acquisire gli interessi rilevanti e ogni altro elemento utile per operare una scelta consapevole e ponderata. Ove questa attività svolta dal responsabile del procedimento manchi del tutto si effettuata in modo frettoloso, incompleto o poco approfondito, il provvedimento è viziato sotto il profilo dell’eccesso di potere per difetto di istruttoria e l’amministrazione, per esempio, non può prendere per buona la ricostruzione di fatti operata dalla parte privata intervenuta nel procedimento, ma deve condurre le opportune verifiche. A differenza dell’errore di fatto, nel caso del difetto di istruttoria non si può escludere che il quadro fattuale posto alla base del provvedimento risulti in effetti esistente e che dunque la scelta operata sia corretta, ma l’analisi del provvedimento e degli atti procedimentali lascia dubbi in proposito. Annullato l’atto è posto in essere una nuova istruttoria, questa volta in modo corretto, l’amministrazione ben potrebbe adottare un atto con il medesimo contenuto. 3) Difetto di motivazione: nella motivazione del provvedimento l’amministrazione deve dar conto in sede di decisione delle ragioni che sono alla base della scelta operata e per quanto sintetica, esso deve consentire una verifica del corretto esercizio del potere, cioè dell’iter logico seguito per pervenire alla determinazione contenuta nel provvedimento, traendo la fila degli elementi istruttori rilevanti e operando la ponderazione degli interessi. Il difetto di motivazione ha diverse sfaccettature: la motivazione può essere in primo luogo insufficiente, incompleta o generica, se da essa non traspare in modo percepibile l’iter logico seguito dall’amministrazione e non emergono le ragioni sottostanti la scelta operata (così, per esempio, per poter imporre un vincolo paesaggistico su un bene l’amministrazione deve illustrare perché esso abbia le caratteristiche che consentono l’applicazione del regime protettivo e non può limitarsi ad affermazioni generiche). Non esiste un criterio univoco per determinare se una motivazione sia sufficiente e si può, peraltro, ritenere che quanto più ampia è la discrezionalità dell’amministrazione, quanto più gravosi sono gli effetti del provvedimento nella sfera soggettiva dei destinatari, tanto più elevato è lo standard quantitativo e qualitativo imposto alla motivazione: per prassi, per esempio, i provvedimenti delle autorità indipendenti, che spesso hanno un impatto sui mercati regolati assai rilevante, sono emanati con una motivazione particolarmente ampia, talora con rinvio a documenti illustrativi degli aspetti tecnici e di mercato. La motivazione può essere inoltre illogica e contraddittoria, allorché essa contenga proposizioni o riferimenti a elementi incompatibili tra loro. Può essere infine perplessa o dubbiosa laddove non consenta di individuare con precisione il potere che l’amministrazione ha inteso esercitare. 4) Illogicità, irragionevolezza e contraddittorietà: emerge un vizio di eccesso di potere tutte le volte che il contenuto del provvedimento fa emergere i profili di illogicità o irragionevolezza, apprezzabili in modo oggettivo in base a canoni di esperienza; per esempio, un provvedimento di diffida a cessare e a porre rimedio a una violazione di una norma amministrativa non può assegnare al diffidato un termine così breve da non poter correlati alle mansioni che i vincitori saranno poi chiamati a svolgere. Può essere considerata come sottospecie dell’illogicità e irragionevolezza, la contraddittorietà interna o intrinseca al provvedimento: questo emerge se non vi è coerenza tra le premesse del provvedimento e le conclusioni tratte nel dispositivo; si pensi, a un piano regolatore che prevede la destinazione a servizi pubblici di un’aria in cui insistono attività industriali contraddicendo la relazione illustrativa che enuncia invece l’obiettivo di difendere incrementare le attività produttive (più in generale, tutti i passaggi dell’iter argomentativo seguito dall’amministrazione devono essere legati da un rapporto di conseguenzialità logica). La contraddittorietà può essere anche esterna o estrinseca al provvedimento, quando è rilevabile dal raffronto tra provvedimento impugnato e altri provvedimenti precedenti dell’amministrazione che riguardano lo stesso soggetto. 5) Disparità di trattamento: il principio di coerenza e il principio di eguaglianza impongono all’amministrazione di trattare in modo eguale casi eguali (per esempio, il caso in cui, dopo aver accertato la responsabilità di due impiegati, l’uno è assolto e l’altro è punito). Il vizio può emergere sia allorché i casi eguali siano trattati in modo diseguale, sia allorché i casi diseguali siano trattati in modo eguale; per stabilire in concreto se le situazioni da confrontare siano identiche va utilizzato il criterio della ragionevolezza e il vizio in questione emerge di frequente nei giudizi comparativi, nelle progressioni di carriera o nel riconoscimento di altri benefici ai dipendenti pubblici oppure nelle classificazioni dei terreni contenute nei piani regolatori fine di individuare nelle destinazioni d’uso. 6) Violazione di circolari e di norme interne: l’attività della pubblica amministrazione deve essere posta in essere non solo in conformità con le disposizioni contenute in leggi, regolamenti e in altre fonti normative, ma deve essere conforme anche alle norme interne contenute in circolari, direttive, ecc. che hanno come scopo quello di orientare l’esercizio della discrezionalità da parte dell’organo competente a emanare il provvedimento. I principi di coerenza e di rispetto dell’assetto organizzativo dell’amministrazione richiedono che l’organo titolare di un potere discrezionale tenga conto delle norme interne e se ciò non accade emerge un sito dell’eccesso di potere; per evitare di cadere in questo vizio il titolare del potere deve esplicitare nella motivazione le ragioni per le quali ha ritenuto di disattendere nel caso concreto le prescrizioni poste dalle norme interne. 7) Ingiustizia grave e manifesta: questa figura è rarissima, poiché in genere l’ingiustizia attiene piuttosto all’opportunità o alla convenienza dell’atto e quindi, più al merito, che non alla legittimità (una fattispecie di ingiustizia manifesta è stata ravvisata, ad esempio, nella dispensa dal servizio per scarso rendimento di un impiegato che aveva subito un grave infortunio in servizio). La Nullità L’art. 21 septies l n. 241/1990 individua anzitutto quattro ipotesi tassative di nullità: 1. la mancanza degli elementi essenziali: essa accomuna la nullità del provvedimento a quella del contratto; gli esempi che vengono talora fatti, come l’espropriazione di un edificio distrutto di un bene demaniale, costituiscono casi di scuola. 2. incompetenza assoluta (organi diversi rispetto alla norma attributiva del potere) 3. la violazione o elusione del giudicato: essa è un’ipotesi particolare che riprende sia gli orientamenti giurisprudenziali sia l’elusione del giudicato, allorché l’amministrazione, in sede di nuovo esercizio del potere, in seguito all’annullamento pronunciato dal giudice con sentenza passata in giudicato, emana un nuovo atto che si pone in contrasto con quest’ultima, allorché essa ponga un vincolo puntuale e non lascia l’amministrazione alcuno spazio di valutazione. Uno dei casi emblematici di questo filone giurisprudenziale riguarda un concorso pubblico: il giudice amministrativo aveva riconosciuto a un partecipante il diritto ottenere un certo punteggio più alto e aveva annullato pertanto il provvedimento dell’amministrazione, la quale Infatti, in alternativa all’annullamento d’ufficio è previsto che l’amministrazione possa procedere alla convalida del provvedimento illegittimo sempre in presenza di ragioni di interesse pubblico ed entro un termine ragionevole. Il potere in questione è espressione del principio generale della conservazione dei valori giuridici che permea il diritto amministrativo così come il diritto privato e che consiste nell’eliminazione del vizio del quale è affetto il provvedimento amministrativo; a differenza di quanto avviene nei rapporti inter privati, nei quali la convalida del negozio costituisce una facoltà del soggetto leso al quale spetta l’azione di annullamento, la convalida del provvedimento amministrativo è operata dalla stessa amministrazione cui è imputabile il vizio rilevato. La Sanatoria  è un istituto con il quale la pubblica amministrazione sana l’illegittimità di un atto amministrativo carente di requisiti essenziali, che avrebbe dovuto avere; i suddetti requisiti si inseriscono successivamente (ad esempio, una proposta o un accertamento tecnico intervenuti successivamente all’emanazione dell’atto). La Conferma e L’atto Confermativo  all’esito di un procedimento di riesame aperto su sollecitazione di un privato o anche d’ufficio, l’amministrazione può pervenire alla conclusione che il provvedimento, nonostante i dubbi iniziali, non è affetto da alcun vizio. In questi casi l’amministrazione emana un provvedimento di conferma. In giurisprudenza, si distingue tra conferma, che costituisce un provvedimento autonomo dal contenuto identico rispetto a quello oggetto di riesame e atto meramente confermativo, secondo cui l’amministrazione si limita a comunicare al privato, che chiede il riesame, che non vi sono motivi per riaprire il procedimento e procedere a una nuova valutazione. La Conversione  ai provvedimenti affetti da nullità e da annullabilità si ritiene generalmente applicabile la conversione sulla falsariga del modello civilistico. La Revoca  il potere di revoca è considerato come una manifestazione del potere di autotutela della pubblica amministrazione, attraverso il quale la pubblica amministrazione ritira un atto amministrativo: disciplinato dall’art. 21 quinquies della l n. 241/1990 (tra i casi più risalenti può essere ricordato quello delle concessioni di illuminazione a gas rilasciati a livello comunale, revocata in seguito alla possibilità di impiego di lampade elettriche). Il potere di revoca, che ha carattere discrezionale, è giustificato dall’esigenza di garantire nel tempo la conformità all’interesse pubblico dell’assetto giuridico derivante da un provvedimento amministrativo, esigenza che è ritenuta prevalente rispetto a quella di tutela degli affidamenti creati. Esso dà una connotazione di precarietà e instabilità rapporto giuridico amministrativo. Vengono distinte due fattispecie di revoca:  la revoca per sopravvenienza: ad essa sono riconducibili due ipotesi ovvero la revoca per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, che interviene allorché l’amministrazione opera una rivalutazione dell’assetto degli interessi alla luce di fattori ed esigenze sopravvenute, cioè non presenti al momento in cui l’atto è stato emanato (esempio, la destinazione di un tratto di spiaggia di uno spazio acqua e non più a balneazione) e la revoca per mutamento della situazione di fatto, non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento.  la revoca come espressione dello ius poenitendi, che riguarda l’ipotesi di nuova valutazione dell’interesse pubblico originario che si ha nei casi in cui l’amministrazione si rende conto di aver compiuto una ponderazione errata degli interessi nel momento in cui ha emanato il provvedimento e si tratta di un’ipotesi controversa, che legifica quasi un diritto all’arbitrio o al capriccio in contrasto con il principio del legittimo affidamento e di dubbia compatibilità con il diritto europeo. La revoca ha tipicamente per oggetto provvedimenti a efficacia durevole, come per esempio le concessioni di servizi pubblici, ma il cc 1 bis fa riferimento anche ad atti aventi efficacia istantanea nei casi in cui incidono sui rapporti negoziali e peraltro, si ritiene generalmente che non sono suscettibili di revoca i provvedimenti che hanno già prodotto gli effetti o siano stati interamente eseguiti (per esempio, per ragioni logico prima ancora che giuridiche non può essere revocato un ordine già interamente eseguito. L’art. 21 quarties prevede un obbligo generalizzato di indennizzo nei casi in cui la revoca “comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati” e questa previsione può costituire una remora all’esercizio indiscriminato di questo potere perché non fa gravare interamente sui soggetti privati le conseguenze economiche di un provvedimento emanato pur sempre in modo legittimo che ha creato un affidamento. I cc 1 bis e 1 ter dell’art. 21 quinquies pongono alcuni criteri per quantificare l’indennizzo in caso di revoca di atti che incidono su rapporti negoziali nell’obiettivo di ridurne l’importo e l’indennizzo è limitato al danno emergente, escludendo così il lucro cessante ed è suscettibile di un ulteriore riduzione anzitutto in relazione alla “conoscenza da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto oggetto di revoca all’interesse pubblico”; si tratta di una disposizione di dubbia opportunità perché presuppone che sia onere anche del soggetto privato operare una valutazione dell’interesse pubblico che invece spetta esclusivamente alla pubblica amministrazione. Le controversie relative alla quantificazione dell’indennizzo sono attribuite alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo e trattandosi di un atto discrezionale, la revoca richiede una motivazione, sotto il profilo procedimentale, infatti è un procedimento di secondo grado che si apre con la comunicazione di avvio e che è aperto alla partecipazione dei soggetti interessati. Si distingue la revoca sanzionatoria, la quale può essere disposta dall’amministrazione nel caso in cui il privato, destinatario di un provvedimento amministrativo favorevole (autorizzazioni, concessioni, ecc.) non rispetti le condizioni e limiti in esso previsti (per esempio, il ritiro di un porto d’armi in caso di abuso) oppure non intraprende l’attività oggetto del provvedimento entro il termine previsto e la revoca dal mero ritiro, il quale ha per oggetto atti amministrativi che non sono ancora efficaci. Può avvenire per ragioni di legittimità o anche di merito e non necessita di una valutazione specifica dell’interesse pubblico degli interessi dei destinatari del provvedimento e ciò proprio perché non ho ancora inciso in modo diretto su situazioni giuridiche soggettive di soggetti terzi (in questo senso esso è assimilabile alla revoca del testamento della proposta contrattuale). Il Recesso dai contratti  l’art. 21 sexies l n. 241/1990 disciplina il recesso unilaterale dei contratti della pubblica amministrazione prevedendo che esso “sia ammesso solo nei casi previsti dalla legge o dal contratto”: si tratta di una disposizione che riguarda l’attività negoziale di diritto privato della pubblica amministrazione che ribadisce che in questo ambito essa non gode di alcun privilegio. Tra le disposizioni legislative che disciplinano in modo specifico il recesso dai contratti via quella in tema di comunicazioni e certificazioni antimafia che lo prevede nei casi in cui emergano all’assunzione di informazioni da parte della pubblica amministrazione, tentativi di infiltrazione mafiosa ecc. CAPITOLO V - IL PROCEDIMENTO Nozione e Funzione del Procedimento Il procedimento amministrativo può essere definito come “una sequenza ordinata di atti finalizzata all’emanazione di un provvedimento amministrativo”. Il procedimento è anzitutto una nozione di teoria generale collegata alle modalità di produzione di un effetto giuridico ed esso si produce alcune volte, al verificarsi di un singolo accadimento (fatto giuridico semplice) e altre volte al verificarsi di una pluralità di accadimenti (fatti complessi): così come la conclusione di un contratto richiede una duplice manifestazione di volontà (proposta e accettazione), il compimento di un atto negoziale da parte di chi è sottoposto a regime di tutela richiede, oltre alla dichiarazione di volontà del tutore, il parere del giudice tutelare e l’autorizzazione del tribunale. Il procedimento amministrativo assolve a una pluralità di funzioni: 1) Consentire un controllo sull’esercizio del potere, soprattutto ad opera del giudice, attraverso una verifica del rispetto della sequenza degli atti e operazioni normativamente predefinite. 2) Far emergere e dar voce agli interessi incisi direttamente o indirettamente dal provvedimento e ciò sia nell’interesse dell’amministrazione, che può così colmare le asimmetrie informative che spesso sussistono nei rapporti con i soggetti privati, sia nell’interesse di questi ultimi che hanno la possibilità di rappresentare e difendere il proprio punto di vista: la partecipazione acquista così una dimensione collaborativa (questa dimensione è presente soprattutto nei procedimenti di tipo individuale e nei procedimenti di regolazione). 3) Contraddittorio (scritto e orale), che emerge soprattutto nei procedimenti di tipo individuale, nei quali la pubblica amministrazione esercita un potere che determina effetti restrittivi della sfera giuridica del destinatario e il rapporto giuridico si connota in termini di contrapposizione più che di collaborazione. Il contraddittorio connota un senso di giustizia nel procedimento e può assumere:  dimensione verticale: si ha tra l’amministrazione e il soggetto destinatario (provvedimenti sanzionatori, l’imposizione di vincoli, ecc.); Si è fatta distinzione tra obbligo di procedere, l’amministrazione competente è tenuta ad aprire il procedimento su istanza di parte o d’ufficio e a porre in essere le attività previste nella sequenza procedimentale e obbligo di provvedere, che pone in capo all'amministrazione il dovere di portarlo ad esecuzione attraverso l’emanazione di un provvedimento espresso. I due obblighi si deducono dall’art. 2 l n. 241/1990 ed infatti, da un lato il cc 1 fa riferimento all’ipotesi in cui il procedimento “consegua obbligatoriamente ad un’istanza” e a quella in cui esso “debba essere iniziato d’ufficio”; dall’altro, il medesimo comma pone il dovere di concludere il procedimento mediante l’adozione di un provvedimento espresso. Nei procedimenti su istanza di parte, l’atto d’iniziativa consiste in una domanda o in un’istanza formale presentata da un soggetto privato interessato al rilascio di un provvedimento favorevole all’amministrazione. Tuttavia non ogni istanza del privato fa sorgere l’obbligo di procedere ed infatti, quest’ultimo sorge solo in relazione a sequenze procedimentali tipiche, cioè in relazione ai procedimenti amministrativi disciplinati nelle leggi amministrative di settore: si pensi, per esempio, ai procedimenti autorizzativi previsti dalle leggi che regolano le attività economiche. Nei procedimenti d’ufficio, l’apertura del procedimento avviene su iniziativa della stessa amministrazione competente a emanare il provvedimento finale e i procedimenti d’ufficio riguardano perlopiù poteri il cui esercizio determina un effetto restrittivo nella sfera giuridica del soggetto privato destinatario (per esempio al procedimento espropriativo o a quello di erogazione di una sanzione). Nei procedimenti d’ufficio si pone il problema di individuare con precisione il momento in cui sorge l’obbligo di procedere ed infatti, in molte situazioni l’apertura formale del procedimento avviene all’esito di una serie di attività pre istruttorie, condotte sempre in ufficio dai cui esiti possono emergere situazioni di fatto che rendono necessario l’esercizio di un potere. L’amministrazione deve dare comunicazione dell’avvio del procedimento anzitutto al soggetto o ai soggetti destinatari diretti del provvedimento e cioè a coloro “nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti”. La comunicazione viene inviata anche a eventuali altri soggetti che per legge devono intervenire nel procedimento e a soggetti individuati o facilmente individuabili che possono subire un pregiudizio dal provvedimento, sempre che non sussistano ragioni particolari di impedimento. Nel procedimento d’ufficio, la comunicazione d’avvio del procedimento è funzionale a garantire il contraddittorio e l’omessa comunicazione rende annullabile il provvedimento finale, ma sono stati ristretti casi in cui ciò può avvenire. Tra le attività pre istruttorie vanno annoverate le ispezioni: il potere d’ispezione attribuito dalla legge ad autorità di vigilanza è esercitato nei confronti di soggetti privati allo scopo di verificare il rispetto delle normative di settore; l’ispezione consiste in una serie di operazioni di verifica effettuate presso un soggetto privato delle quali si dà atto in un verbale. L’ispezione può concludersi con la contestazione che l’attività è conforme alle norme oppure può far emergere fatti suscettibili di integrare una o più violazioni e solo in quest’ultimo caso, sorge in capo all’amministrazione l’obbligo di aprire un procedimento d’ufficio volto a contestare la violazione e che può concludersi con l’adozione di un provvedimento ordinatorio sanzionatorio. Le ispezioni possono essere condotte anche all’interno delle pubbliche amministrazioni e spesso la funzione è affidata ad appositi uffici. Altre attività pre istruttorie includono accessi a luoghi, richieste di documenti, assunzione di informazione, ecc. Lo svolgimento delle attività pre istruttorie e l’avvio dei procedimenti d’ufficio possono avvenire anche in seguito a denunce, istanze o esposti di soggetti privati e questi atti, tuttavia non fanno sorgere in modo automatico il dovere dell’amministrazione di riaprire il procedimento nei confronti del soggetto denunciato. Rientra infatti nella discrezionalità dell’amministrazione valutarne la serietà e la fondatezza; solo in rari casi si riconosce una pretesa giuridicamente qualificata in capo al soggetto privato a che l’amministrazione eserciti un potere d’ufficio nei confronti di un terzo: per esempio, in materia di tutela del consumatore, riferita in particolare alla pubblicità ingannevole e alle pratiche commerciali scorrette, i privati possono presentare all’autorità garante della concorrenza e del mercato un’istanza di intervento affinché essa eserciti i poteri inibitori. b)L’istruttoria L’istruttoria del procedimento ha lo scopo di accertare i fatti e di acquisire gli interessi rilevanti ai fini della decisione finale; i fatti da accertare riguardano i presupposti e i requisiti richiesti dalla norma di conferimento del potere, ovvero le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti che siano rilevanti per l’emanazione del provvedimento valutati dal responsabile del procedimento. Nella fase istruttoria l'organo competente (detto organo attivo) può acquisire il giudizio di un altro organo, di solito l’organo collegiale (detto organo consultivo), per decidere con cognizione di causa. L'atto con il quale viene manifestato tale giudizio è detto "parere", che può essere:  parere facoltativo: l'organo attivo non è tenuto a chiederlo, ma viene richiesto dove l’amministrazione procedente ritenga possa essere utile ai fini della decisione;  parere obbligatorio: l'organo attivo è tenuto a chiederlo, in quanto è previsto dalla legge in relazione a specifici procedimenti. L’omessa acquisizione rende illegittimo il provvedimento finale; l’amministrazione, competente a esprimere il parere, deve rilasciarlo entro un termine di 20 giorni e in caso di ritardo, l’amministrazione titolare può procedere indipendentemente dall’espressione del parere.  parere vincolante: l'organo attivo è tenuto a chiederlo, ma l’amministrazione che lo riceve, non può assumere una decisione difforme dal contenuto del parere, senza motivare le ragioni in relazione alle quali essa ritiene discostarsi e il solo potere che residua talora in capo all’amministrazione procedente è quello di rinunciare ad emanare l’atto finale. L’istruttoria è retta dal principio inquisitorio, secondo cui la pubblica amministrazione ha il potere/dovere di attivarsi per chiedere al soggetto privato tutte le informazioni necessarie per valutare adeguatamente l’istanza presentata; figura di spicco, infatti, è quella del responsabile del procedimento (art. 6 della l n. 241/1990) che accerta d’ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti necessari ed effettua di propria iniziativa le indagini necessarie, senza essere vincolato alle allegazioni dei soggetti privati e ciò perché l’esercizio dei poteri avviene per curare gli interessi pubblici. E ancora: autentica copie su esibizione dell’originale e senza obbligo di deposito dello stesso presso l’amministrazione procedente; acquisisce d’ufficio documentazione e certificati; accerta d’ufficio i fatti; indica o propone l’indizione della conferenza dei servizi ed effettua pubblicazioni, notificazioni e comunicazioni necessarie, rivolte ai cittadini che possono partecipare al procedimento. Infatti, nel procedimento amministrativo, l’amministrazione può compiere tutti gli accertamenti necessari con le modalità ritenute più idonee, menzionando tra gli atti istruttori ad esempio il rilascio di dichiarazioni, l’esperimento di accertamenti tecnici, le ispezioni ecc. Nella scelta dei mezzi istruttori l’amministrazione deve attenersi ai principi di efficienza (evitare sprechi) e di economicità (usare il minor dispendio di mezzi e strumenti), evitando di aggravare il procedimento aldilà di quanto necessario. L’art. 17 bis della l n. 241/1990 allo scopo di accelerare i tempi di conclusione dei procedimenti introdusse il meccanismo del silenzio - assenso tra amministrazioni, stabilendo termini stringenti per il rilascio di assenso, concernenti i nulla osta di amministrazioni statali. Attraverso il silenzio assenso, quindi, il privato ottiene implicitamente l’autorizzazione allo svolgimento della sua attività, senza subire i ritardi dell’azione amministrativa. Esso è disciplinato dall’art. 20 della l n. 241/1990, secondo cui “nei procedimenti a istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi, il silenzio dell’amministrazione competente equivale al provvedimento di accoglimento della domanda, senza necessità di ulteriori istanze o diffide, se la medesima amministrazione non comunica all’interessato, nel termine stabilito, il provvedimento di diniego”. Il silenzio assenso non scatta in modo automatico, ma una volta che siano trascorsi dei termini ben precisi stabiliti dalla legge, dove la Pubblica Amministrazione avrà a sua disposizione 30 giorni di tempo per rispondere a un’istanza e 90 giorni nel caso delle amministrazioni che si occupano di Tutela ambientale-paesaggistico territoriale; Beni Culturali e Salute dei cittadini. Come tutte le regole che si rispettino, anche quella sul silenzio assenso prevede alcune eccezioni. Si tratta dei casi: procedimento, ma di regola la durata massima non deve superare i 90 giorni. Se le amministrazioni non provvedono a porre una propria disciplina, si applica un termine generale residuale di 30 giorni. Il termine può essere sospeso per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di necessità di acquisire informazioni o certificazioni. Accanto ai termini relativi alla conclusione dei procedimenti individuati in base ai criteri dell’art. 2 l.n.241/1990, le leggi e i regolamenti che disciplinano i singoli procedimenti prevedono talora termini endoprocedimentali relativi ad adempimenti posti a carico dei soggetti privati o relativi ad atti attribuiti alla competenza di altre amministrazioni. I termini finali ed endoprocedimentali hanno di regola natura ordinatoria, perché la loro scadenza non fa venire meno il potere di provvedere. Solo nei casi in cui la legge qualifichi in modo espresso il termine come tassativo e a pena di decadenza il provvedimento tardivo è considerato viziato. Il mancato rispetto del termine di conclusione del procedimento può provocare conseguenze di vario tipo: può far sorgere una responsabilità di tipo disciplinare nei confronti del funzionario o una responsabilità di tipo dirigenziale nei confronti del vertice della struttura. Nei casi più patologici il ritardo può essere fonte di responsabilità penale (art.328 cod. pen.). Il mancato rispetto del termine può costituire anche motivo per l’esercizio del potere sostitutivo da parte del dirigente sovraordinato. In caso di ritardo, il privato può rivolgersi al titolare del potere sostitutivo che deve concludere il procedimento entro un termine pari alla metà di quello originariamente previsto attraverso le strutture competenti o nominando un commissario. Infine, entro il 30 Gennaio di ogni anno il titolare del potere sostitutivo comunica all’organo di governo i procedimenti nei quali non è stato rispettato il termine, ciò al fine di sensibilizzarlo e indurlo a intraprendere le iniziative necessarie per risolvere questo tipo di problema. C2) SILENZIO Può accadere che l’amministrazione non concluda il procedimento entro il termine previsto, ponendosi così il problema del silenzio della Pubblica Amministrazione. Fino ad anni recenti il regime ordinario del silenzio della pubblica amministrazione di fronte a istanze o domande, presentate da soggetti privati, è stato quello del silenzio-inadempimento (rifiuto): in questi casi l’inerzia mantenuta oltre il termine assume il significato giuridico di inadempimento dell’obbligo formale di provvedere, e cioè di concludere il procedimento con un provvedimento che sia di accoglimento o di rigetto dell’istanza. Nonostante l’inadempimento dell’obbligo nel termine previsto, l’amministrazione può emanare il provvedimento anche in ritardo, fermo restando l’eventuale risarcimento del danno cagionato al privato. Per risolvere il problema, la l.n.241/1990 prevede due regimi: il silenzio diniego, producendo un effetto giuridico negativo ex lege di diniego dell’istanza e il silenzio assenso, producendo un accoglimento d’istanza (in entrambi i casi viene definito come provvedimento tacito) (per esempio, nel caso del diritto di accesso ai documenti amministrativi “decorsi inutilmente 30 giorni dalla richiesta, questa si intende respinta”). Per ridurre le incertezze applicative, un lungo elenco di casi di silenzio- assenso è contenuto nel d.lgs. n. 222 del 25 novembre 2016 nel quale sono individuati anche i casi di SCIA. Il silenzio assenso ha valore provvedimentale, cioè determina due conseguenze: 1) il silenzio può essere oggetto di provvedimenti di autotutela sotto forma di revoca e di annullamento d’ufficio; 2) può essere impugnato innanzi al giudice amministrativo, per esempio da un soggetto terzo che vuol contrastare l’avvio dell’attività da parte del soggetto che ha presentato l’istanza. In definitiva, il silenzio assenso è una scorciatoia non risolutiva del problema del mancato rispetto dei termini che non giova né all’interesse del pubblico né all’interesse del privato. C3) ACCORDI Il provvedimento espresso costituisce l’esito normale e più frequente del procedimento amministrativo. Esiste, tuttavia, una modalità alternativa di conclusione del procedimento amministrativo: l’accordo integrativo (o sostitutivo) del provvedimento amministrativo, che permette di valutare e ponderare più interessi di regole, preferendo la composizione negoziata a quella imposta. Gli accordi pongono l’amministrazione su un piano più paritario rispetto al soggetto privato e riducono il rischio di possibili liti (per esempio, in materia di espropriazione la normativa prevede, in alternativa all’emanazione del provvedimento unilaterale, l’accordo di cessione volontaria del bene che garantisce al proprietario un corrispettivo di importo superiore all’indennità di esproprio). In base l.n.241/1990, l’accordo ha per oggetto il contenuto discrezionale del provvedimento ed è finalizzato a ricercare un miglior contemperamento tra l’interesse pubblico perseguito dall’amministrazione procedente e l’interesse del soggetto privato, spesso contrapposto al primo. I poteri vincolati, invece, non si prestano a essere oggetto di accordi in quanto in essi manca il presupposto per una negoziazione. L’accordo può essere promosso da un soggetto privato. L’amministrazione non è tuttavia obbligata a concludere accordi integrativi o sostitutivi con i privati e può sempre prediligere la via del provvedimento unilaterale non negoziato. Sotto il profilo formale, gli accordi devono essere stipulati per atto scritto, a pena di nullità, salvo che la legge disponga altrimenti e devono essere motivati. Gli accordi possono essere:  integrativi: servono solo a concordare il contenuto del provvedimento finale che viene emanato in attuazione dell’accordo e sul piano formale il provvedimento mantiene la sua configurazione di atto unilaterale produttivo di effetti.  sostitutivi: gli effetti giuridici si producono in via diretta con la conclusione dell’accordo, senza necessità di un atto formale di recepimento. Tuttavia, a garanzia dell’imparzialità e del buon andamento dell’azione amministrativa, gli accordi devono essere preceduti da una determinazione effettuata dall’organo competente per l’adozione del provvedimento, la quale autorizza e stabilisce i limiti della negoziazione. L’amministrazione può anche dopo la conclusione dell’accordo, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, recedere dall’accordo (liquidando gli eventuali danni subiti dal privato). 4. Fase Integrativa dell'Efficacia La fase integrativa dell'efficacia comprende gli eventuali atti e operazioni, successivi all'adozione dell'atto terminale, necessari affinché questo divenga efficace. Rientrano in questa fase, tra gli altri: la comunicazione o la pubblicazione dell'atto in varie forme, quando questo è recettizio, ossia quando la sua efficacia è condizionata alla conoscenza da parte del destinatario; i controlli preventivi nel corso dei quali un organo diverso da quello attivo (detto organo di controllo) verifica la conformità dell'atto all'ordinamento (controllo di legittimità) o la sua opportunità (controllo di merito); l'esito positivo di tale verifica è condizione necessaria affinché l'atto possa divenire efficace; l'esecuzione forzata del provvedimento, anche avvalendosi della forza pubblica, qualora uno o più privati non vi ottemperino Procedimenti semplici, complessi, collegati. Il Subprocedimento I procedimenti possono avere diversa struttura a seconda del loro oggetto e del numero della natura degli interessi pubblici e privati incisi e dunque della necessità di coinvolgere una pluralità di amministrazione:  procedimenti autorizzatori semplici , nei quali la sequenza procedimentale consiste soltanto in una domanda o in un’istruttoria limitata a poche verifiche documentali o in una decisione affidata a un’unica autorità;  procedimenti complessi , che richiedono accertamenti fattuali, momenti partecipativi, acquisizione di pareri o di valutazioni tecniche con il coinvolgimento anche nella fase decisionale di una molteplicità di amministrazioni statali, regionali e locali. I procedimenti a struttura complessa sono spesso articolati all’interno in sub procedimenti sequenziali, ciascuno avente un’unità funzionale autonoma e talvolta i sub procedimenti si concludono con atti suscettibili di incidere in via immediata su situazioni giuridiche soggettive e Nel caso di procedimento attribuito alla competenza di una sola amministrazione, la conferenza di servizi istruttoria serve a raccogliere in un unico contesto il confronto di tutti gli uffici interni interessati, gli elementi istruttori utili che saranno posti poi alla base della decisione finale adottata dall’organo competente a emanare il provvedimento finale. Nel caso di conferenza di servizi inter procedimentale la convocazione è operata di regola dall’amministrazione che cura l’interesse pubblico prevalente e anche questa conferenza funge da sede per confronto tra le amministrazioni preliminari all’assunzione da parte di queste ultime delle proprie determinazioni. 3) La conferenza di servizi decisoria è un modulo procedimentale volto a sostituire i singoli atti volitivi e valutativi delle amministrazioni competenti a emanare “intese, concerti, nullaosta o assensi comunque denominati” che devono essere acquisiti per legge da parte dell’amministrazione procedente e la conferenza è convocata dall’amministrazione procedente anche su richiesta del soggetto privato interessato, nei casi in cui la conferenza abbia per oggetto atti di tipo autorizzativo che condizionano l’avvio di un’attività. La conferenza di servizi si conclude con un verbale nel quale sono riportate le posizioni espresse da ciascuna amministrazione partecipante; sulla base del verbale che è ancora un atto a rilevanza interna non impugnabile, l’amministrazione procedente assume una determinazione motivata di conclusione del procedimento che “sostituisce a tutti gli effetti ogni autorizzazione, concessione, nullaosta o atto di assenso denominato di competenza delle amministrazioni partecipanti”. Essa non viene qualificata come organo collegiale competente a emanare una determinazione unitaria, ma ogni atto di assenso mantiene la propria autonomia quando hai imputazione all’amministrazione di riferimento. I lavori della conferenza di servizi decisoria sono disciplinati da una serie minuta di regole sulle modalità di convocazione e di svolgimento, sulla tempistica e sull’assunzione della decisione: di regola la conferenza si svolge in forma semplificata e non l’amministrazione procedente acquisisce entro termini stabiliti la determinazione motivata di competenza delle altre amministrazioni. La conferenza si conclude con una determinazione motivata e se gli atti di dissenso pervenuti non possono essere superati, la conferenza si chiude nei procedimenti a istanza di parte con il rigetto della domanda. Nel caso di determinazioni di particolare complessità, la conferenza di servizi è convocata in forma simultanea e con modalità sincrona, convocando cioè una riunione alla quale sono invitate tutte le amministrazioni interessate. Aspetti più rilevanti della disciplina della conferenza decisoria, che deve concludersi entro 45 giorni dalla data della riunione, sono due:  la partecipazione obbligatoria di tutte le amministrazioni invitate, i cui rappresentanti devono essere muniti dei poteri necessari per assumere determinazioni vincolanti. L’assenza alla conferenza dei servizi regolarmente convocata determina un effetto di silenzio assenso in relazione all’atto attribuito alla competenza dell’amministrazione non partecipante e può far sorgere però responsabilità di vario tipo e altre conseguenze negative a carico dei responsabili.  il dissenso manifestato da uno o più amministrazioni partecipanti alla conferenza di servizi e viene previsto il principio dell’unanimità dei consensi che è stato poi superato dati i suoi effetti paralizzanti atteso che ogni decisione ha un potere di veto. La regola ora vigente è che la determinazione finale motivata all’esito della conferenza di servizi adottata dall’amministrazione procedente è formulata sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle amministrazioni partecipanti e quest’ultima espressione va intesa in senso qualitativo, anziché in quello quantitativo di voto a maggioranza dei partecipanti e consente di superare il dissenso espresso da singole amministrazioni. In caso di approvazione unanime la determinazione è immediatamente efficace e l’efficacia della determinazione finale è invece sospesa nel caso in cui i rappresentanti di amministrazioni che curano interessi pubblici ritenuti di rango prioritario propongono un’opposizione al Presidente del Consiglio dei Ministri il quale convoca una riunione per cercare di trovare una soluzione condivisa; se il dissenso non è superato, la determinazione finale viene rimessa al Consiglio dei Ministri. Tipi di procedimento: a) L’espropriazione per pubblica utilità Il Testo Unico enuncia anzitutto il principio di legalità precisando che l’espropriazione “può essere disposta nei soli casi previsti dalla legge o dai regolamenti”. Il potere espropriativo è attribuito a tutte le amministrazioni (Stato, regioni, comuni) competenti a realizzare un’opera pubblica e il potere in questione è dunque un potere diffuso e accessorio. 1) Il vincolo preordinato all’esproprio instaura un raccordo tra l’attività di pianificazione del territorio e il procedimento espropriativo; il vincolo può essere posto all’esito delle procedure di pianificazione urbanistica ordinarie o speciali (per esempio una variante al piano urbanistico) o in seguito dell’approvazione di un progetto preliminare o definitivo in opera pubblica. La posizione del vincolo è circondata da alcune garanzie: è prevista infatti la partecipazione dei proprietari, ai quali deve essere inviato un avviso di avvio del procedimento con congruo anticipo, affinché si possano formulare nei 30 giorni successivi le proprie osservazioni; l’avviso deve essere comunicato personalmente agli interessati o allorché il numero dei destinatari sia superiore a 50, la comunicazione deve essere creata mediante avviso pubblico. Il vincolo ha durata di 5 anni ed entro questo termine deve intervenire la dichiarazione di pubblica utilità; esso costituisce un atto impugnabile innanzi al giudice amministrativo in quanto già produttivo di effetti giuridici nei confronti dei proprietari. 2) La dichiarazione di pubblica utilità costituiva in passato una fase fondamentale del procedimento di esproprio, essendo volta ad accertare la conformità dell’opera da realizzare all’interesse pubblico, così da giustificare il trasferimento coattivo del diritto di proprietà dei terreni sui quali è prevista la costruzione dell’opera. Molte leggi speciali hanno tuttavia riquotato questa fase ritenendola “assorbita” in altri atti: la dichiarazione di pubblica utilità a sua volta ha un’efficacia temporaneamente limitata e prima della scadenza del termine deve intervenire il decreto di esproprio. 3) Il decreto di esproprio determina il trasferimento del diritto di proprietà dal soggetto espropriato alla pubblica amministrazione e a questo effetto si aggiungono anche l’estinzione automatica dei diritti reali o personali gravanti sul bene espropriato, salvo quelli compatibili con i fini cui l’espropriazione è preordinata. In base al Testo Unico l’efficacia del provvedimento non è immediata, ma è subordinata a due condizioni sospensive: infatti, l’effetto traslativo si produce in seguito alla notifica e all’esecuzione del decreto che deve avvenire nel termine perentorio di 2 anni mediante l’immissione in possesso del beneficiario dell’esproprio. 4) Il decreto di esproprio deve indicare l’importo dell’identità che è quantificato all’esito di una fase in contraddittorio con gli interessati e infatti, non appena sia divenuta efficace la dichiarazione di pubblica utilità, il promotore della procedura espropriativa formula ai proprietari un’offerta; questi ultimi, assistiti eventualmente anche da propri tecnici di fiducia, possono indicare quale sia il valore da attribuire al bene ai fini della determinazione dell’indennità. Nei 30 giorni successivi i privati possono comunicare all’autorità espropriante una dichiarazione irrevocabile di assenso rispetto alla proposta e in questa ipotesi il beneficiario e il proprietario possono stipulare la cessione volontaria del bene con il pagamento immediato dell’indennità concordata; se il privato non accetta la proposta o decorrono 30 giorni dalla notifica dell’atto che determina l’indennità provvisoria, l’autorità competente emana il decreto di esproprio e deposita l’indennità provvisoria rifiutata presso la cassa depositi e prestiti. Da questo momento in poi il procedimento per la determinazione in via definitiva dell’indennità ha uno svolgimento autonomo, con un ulteriore fase di contraddittorio con il privato può nominare anche un tecnico di fiducia. Il procedimento prevede l’intervento di una commissione provinciale istituita presso l’ufficio tecnico erariale che procede alla determinazione definitiva dell’importo e a questo punto il proprietario, che intenda contestare quest’ultima, può avviare un procedimento innanzi alla Corte d’appello per ottenere una determinazione in via giudiziale dell’indennità; il giudizio deve essere instaurato entro 30 giorni dalla notifica del decreto di esproprio o della stima peritale. Il procedimento di esproprio è espressione di un potere tipicamente unilaterale e tuttavia l’ordinamento tende a favorire soluzioni consensuali attraverso l’istituto della cessione volontaria del bene; quest’ultima è configurata come un diritto soggettivo dell’espropriando nei confronti del beneficiario dell’espropriazione che può essere esercitato fino alla data in cui è eseguito il decreto di esproprio. I vantaggi per l’espropriando sono di tipo pecuniario, visto che il prezzo di cessione è commisurato all’indennità di esproprio con alcune maggiorazioni. La vicenda espropriativa può dar luogo al fenomeno dei procedimenti collegati in parallelo: una volta avviato il procedimento di espropriazione e più precisamente subito dopo che sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità e prima dell’emanazione del decreto di esproprio, l’amministrazione può avviare il procedimento di occupazione d’urgenza, al di conseguenza della sussistenza della pretesa creditoria dell’amministrazione del correlato obbligo al pagamento della somma di denaro in capo al trasgressore. Più in generale, le discipline di settori riguardanti le autorità indipendenti rafforzano il principio del contraddittorio (per esempio, per quanto riguarda la CONSOB, oltre ad essere ribadito il principio della distinzione tra funzioni istruttorie e funzioni decisorio, richiamano “i principi del contraddittorio, della conoscenza degli atti istruttori e delle verbalizzazione”); da questa disposizione la giurisprudenza ha dedotto che le garanzie del contraddittorio stabilite nei regolamenti attuativi delle norme primarie devono essere rafforzate rispetto alla soglia minima stabilita dalla l n. 241/1990 e di conseguenza la CONSOB ha modificato il proprio regolamento sull’applicazione delle sanzioni prevedendo che il soggetto, nei cui confronti è avviato il procedimento, possa solo esercitare il diritto di difesa nella fase istruttoria gestita dall’ufficio sanzioni amministrative, ma anche presentare, i procedimenti innanzi all’autorità garante della concorrenza. Norme speciali relative ai procedimenti sanzionatori di competenza dell’autorità garante della concorrenza del mercato prevedono che il procedimento sanzionatorio possa concludersi, anziché con l’accertamento dell’illecito e l’irrogazione della sanzione, con l’approvazione di impegni proposti dall’impresa alla quale è stato contestato l’illecito volti a porre rimedio alle distorsioni concorrenziali e in caso di mancanza ottemperanza il procedimento sanzionatorio può essere riaperto. Una specie di sanzione amministrativa è costituita dalle sanzioni disciplinari previste per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni, ma anche per altri soggetti sottoposti a regimi speciali e poteri di vigilanza attribuiti ad apparati pubblici (per esempio, i promotori finanziari vigilati dalla CONSOB oppure i professionisti iscritti ad albi o registri pubblici). In questo modo il dirigente di ufficio o, per le sanzioni più gravi, l’ufficio competente per i procedimenti disciplinari che vengono a conoscenza di comportamenti illeciti di un dipendente pubblico, devono contestare per iscritto la debito senza indugio e comunque non oltre 20 giorni; il dipendente è convocato con un preavviso di 10 giorni per esercitare il proprio diritto di difesa con l’eventuale assistenza di un procuratore o di un rappresentante di un’associazione, e può inoltre decidere di non presentarsi o limitarsi a inviare una memoria scritta. Il procedimento si conclude con l’archiviazione o con l’irrogazione di una sanzione entro 60 giorni dalla contestazione dell’addebito. c) Le autorizzazioni. Il permesso a costruire e la valutazione di impatto ambientale La direttiva 2006/23CE pone il principio secondo il quale, le procedure e le formalità per l’accesso a un’attività di servizi devono essere sufficientemente semplici. La commissione europea può anche stabilire formulari armonizzati a livello comunitario e gli Stati membri devono istituire sportelli unici presso il quale gli interessati possono espletare tutte le procedure, acquisire le informazioni e deve essere, inoltre, garantita la possibilità di effettuare gli adempimenti a distanza e per via elettronica. Le procedure e le formalità “devono essere chiare, rese pubbliche preventivamente e tali da garantire ai richiedenti che la loro domanda sarà trattata con obiettività e imparzialità”; non devono essere dissuasive e tali da complicare o ritardare indebitamente la prestazione del servizio e gli oneri per i richiedenti devono essere ragionevoli e commisurati ai costi delle procedure di autorizzazione. La domanda di autorizzazione deve essere trattata con la massima sollecitudine ed “entro un termine di risposta ragionevole prestabilito e reso pubblico preventivamente”; la mancata risposta entro il termine stabilito fa scattare il silenzio - assenso e solo in presenza di un motivo imperativo di interesse generale le leggi di settore possono escluderlo introducendo un regime del silenzio - inadempimento. Ogni domanda di autorizzazione deve essere riscontrata con una ricevuta inviata al richiedente e deve contenere informazioni relative al termine di conclusione del procedimento ai mezzi di ricorso esperibili, all’eventuale applicazione della regola del silenzio assenso. Se la domanda è incompleta, i richiedenti sono informati quanto prima della necessità di presentare ulteriori documenti. Le istanze, le segnalazioni e le comunicazioni devono essere protocollate e deve essere rilasciata una ricevuta anche in via telematica delle singole leggi amministrative che individuano regimi autorizzatori prevedono, a seconda della complessità della materia, sequenze procedimentali più o meno articolate. Il procedimento si apre con la presentazione allo sportello unico per l’edilizia del Comune di una domanda sottoscritta del proprietario e la domanda deve essere corredata da un’attestazione concernente il titolo di legittimazione, dagli elaborati progettuali, ad altra documentazione tecnica e nel caso in cui si tratti di un intervento di edilizia residenziale richiesta anche un’autocertificazione circa la conformità del progetto alle norme igienico sanitarie. Entro 30 giorni lo sportello unico comunica al richiedente il nominativo del responsabile del procedimento e quest’ultimo cura nell’istruttoria acquisendo i pareri interni degli uffici comunali, nonché altri pareri come quello dell’azienda sanitaria locale e dei vigili del fuoco; se sono richiesti altri atti di assenso cura di amministrazioni diverse, il responsabile del procedimento convoca una conferenza dei servizi. All’esito dell’istruttoria, entro 60 giorni dalla presentazione della domanda, il responsabile del procedimento, valuta la conformità del progetto alla normativa applicabile, formula una proposta al dirigente del servizio il quale nei successivi 15 giorni rilascia il permesso a costruire. Decorsi termini sopra menzionati “si intende formato il silenzio rifiuto”: l’interessato a questo punto proporre un ricorso in sede giurisdizionale in alternativa può richiedere, con un’istanza formale avente valore di diffida che il dirigente si pronunci entro 15 giorni. Decorso inutilmente anche questo termine, l’interessato può richiedere alla regione di esercitare il potere sostitutivo con la nomina di un commissario ad acta che provvede nel termine di 60 giorni. d) I procedimenti concorsuali Le pubbliche amministrazioni sono spesso enti erogatori di denaro e di altre utilità a favore di soggetti privati e peraltro in molti casi le risorse e i beni attribuibili hanno il carattere della scarsità: coloro che ambiscono ad acquisirli sono in numero superiore rispetto alle quantità disponibili (per esempio, l’assegnazione di alloggi di edilizia economica popolare, la concessione di uso esclusivo di un bene demaniale, l’attribuzione di bande di radio frequenze ecc.). Per l’accesso agli impieghi delle pubbliche amministrazioni e più in generale agli uffici pubblici vengono posti rispettivamente il principio di uguaglianza è il principio del concorso pubblico; la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno dispone che quando il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato a causa della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri “applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”. È poi previsto che la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere sono subordinate alla predeterminazione e alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti dei criteri e delle modalità con cui esse devono attenersi. e) L’accesso ai documenti amministrativi La richiesta di accesso va rivolta alla pubblica amministrazione e può riferirsi soltanto a documenti ben individuati, perché “il diritto di accesso non è uno strumento di controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” e già formati, perché” l’amministrazione non è tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste”. Il dpr n. 184/2006 distingue due modalità di accesso: formale, necessario nei casi in cui l’amministrazione riscontri l’esigenza di potenziali contro- interessati o quando siano dubbi sulla legittimazione del richiedente; la richiesta va presentata per iscritto, deve indicare gli estremi del documento e deve inoltre essere motivata sotto il profilo dell’interesse diretto, concreto e attuale connesso all’oggetto della richiesta e informale, si può avere quando non vi siano soggetti contro interessati per i quali si ponga un problema di riservatezza e la richiesta può essere anche verbale, esaminata immediatamente senza formalità, accolta senza l’adozione di un particolare atto ma mediante l’esibizione del documento o l’estrazione di copia. Il procedimento prevede anche una fase di contraddittorio con i soggetti contro-interessati e infatti, l’amministrazione è tenuta a dare comunicazione a questi ultimi della richiesta presentata con l’assegnazione di un termine di 10 giorni per l’eventuale presentazione di un’opposizione motivata. L’accesso è gratuito e consiste nell’esame dei documenti presso l’ufficio con la presenza, ove ritenuto necessario di personale addetto; l’accesso responsabili in solido e la responsabilità è esclusa solo per coloro che abbiano fatto verbalizzare il proprio dissenso. Affinché sorga la responsabilità occorre un nesso di occasionalità, necessaria tra l’attività illecita e le mansioni del dipendente, a questo fine occorre verificare se il comportamento colposo o doloso, sia comunque collegato a un interesse dell’amministrazione o se l’esercizio delle mansioni abbia determinato una situazione tale da agevolare e a rendere possibile il fatto illecito; in particolare, va stabilito se lo specifico comportamento dell’agente, pur costituendo un abuso volontario o addirittura un reato, si inserisca in un’attività complessiva rivolta al perseguimento dei fini istituzionali dell’ente (per esempio, sussiste il nesso di occasionalità necessaria nel caso di un militare di leva che aggredisce un commilitone nella camerata di una caserma per rivalità personali; non sussiste invece tale nesso nel caso di un carabiniere, in libera uscita, che in un locale pubblico conferisce un amico con l’arma in dotazione mentre per scherzo la maneggia incautamente). Il rapporto di immedesimazione organica tra dipendente e amministrazione può spezzarsi solo nei casi in cui il dipendente agisce per finalità personali ed egoistiche al di fuori delle proprie incombenze. Considerando il requisito della colpa, un aspetto particolare riguarda il rapporto tra colpa e discrezionalità: l’amministrazione nell’operare le scelte discrezionali è tenuta al rispetto del principio generale del neminem leadere (divieto di ledere un altrui diritto). Su questo tema interviene la distinzione tra scelta discrezionale dei mezzi più idonei per soddisfare gli interessi pubblici e realizzazione/messa in opera dei mezzi prescelti. Con riguardo a quest’ultima non sorge tanto un problema di sindacato sulla discrezionalità, quanto un problema di valutazione di un comportamento del dipendente che abbia attuato in modo difettoso con negligenza, imperizia imprudenza la scelta (il giudice, per esempio, non può censurare la scelta organizzativa del proprietario e gestore di una strada pubblica di non installare un semaforo a un incrocio, ma può invece sindacare se l’incidente è dovuto al malfunzionamento del semaforo per difetto di manutenzione). Quanto al requisito dell’ingiustizia del danno si riteneva potesse essere definito come danno ingiusto ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. solo il danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo, venendo così esclusa la risarcibilità dei danni causati da provvedimenti illegittimi lesivi di interessi legittimi (per esempio, l’occupazione di un terreno avvenuta in esecuzione di un provvedimento di espropriazione illegittimo e infatti il proprietario leso in un suo interesse legittimo può proporre un’azione di annullamento innanzi al giudice amministrativo; in caso di accoglimento del ricorso, la retroattività dell’annullamento del provvedimento ripristina e fa rispondere il diritto soggettivo in capo al proprietario privato e pertanto l’avvenuta occupazione del terreno diventa illecita cioè priva di titolo). La Risarcibilità del danno da lesione di interessi legittimi La sent. n. 500/1999 ha abbattuto la barriera della risarcibilità del danno da provvedimento illegittimo, dimostrandosi sensibile alle critiche della dottrina. La Corte ha però operato una nuova interpretazione della nozione di “danno ingiusto” ex art. 2043 cod. civ. e a questo fine ha innanzitutto qualificato questo articolo non più “come norma secondaria, volta a sanzionare una condotta vietata da altre norme primarie, bensì come norma volta ad apportare una riparazione del danno ingiustamente sofferto da un soggetto per effetto dell’attività altrui”. In base a questo criterio non tutti gli interessi legittimi sono risarcibili e occorre appurare se per effetto del provvedimento illegittimo risulti leso “l’interesse al bene della vita al quale l’interesse legittimo si correla”. 1) Interessi legittimi pretensivi e giudizio prognostico: nell'interesse legittimo pretensivo il soggetto mira a ottenere una posizione di vantaggio grazie a un'attività della Pubblica Amministrazione che incida in modo favorevole sulla sua situazione soggettiva. Nel caso degli interessi legittimi pretensivi, la lesione può derivare sia dal diniego illegittimo del provvedimento favorevole richiesto, sia dal ritardo ingiustificato nell'adozione di quest'ultimo. Occorre un giudizio prognostico da parte del giudice amministrativo che deve definire quale comportamento la pubblica amministrazione avrebbe dovuto adottare, cosi da dimostrare la fondatezza dell’istanza e stabilire se il pretendente fosse titolare di una mera aspettativa, e quindi non tutelabile, oppure di una situazione meritevole di disciplina. Il risarcimento è commisurato soltanto alla perdita di chance nei casi in cui non sia possibile accertare in termini di certezza assoluta, ma soltanto di probabilità, l'acquisizione o la conservazione del bene in capo al titolare dell'interesse legittimo ove il potere fosse stato esercitato in modo legittimo. 2) La sent. n. 500/1999 fornisce altri criteri per stabilire se un provvedimento illegittimo della pubblica amministrazione sia o meno riconducibile allo schema dell’art. 2043 cod. civ. In primo luogo, precisa che l’accertamento dell’illegittimità del provvedimento non integra in modo automatico il requisito della colpa ed è richiesta invece un’indagine ulteriore che verifichi se l’illegittimità riscontrata derivi dalla violazione delle regole di imparzialità, di correttezza e di buona amministrazione alle quali deve ispirarsi l’esercizio della funzione amministrativa e che si pongono come limiti esterni alla discrezionalità. Il giudice deve cioè valutare le ragioni che hanno determinato l’illegittimità. In secondo luogo, la colpa va riferita all’apparato nel suo complesso, andando a sindacare se vi è stata una disfunzione che ha determinato l’illegittimità, per esempio a causa di una cattiva organizzazione del personale, dei mezzi e delle risorse d’ufficio; sul requisito della colpa, la giurisprudenza ha cercato di semplificare l’onere probatorio in capo al danneggiato utilizzando a favore di quest’ultimo le presunzioni semplici di cui agli artt. 2727 e 2729 cod. civ., secondo i quali esse sono rimesse al prudente apprezzamento del giudice e devono essere gravi, precise e concordanti. In pratica, per assolvere al proprio onere probatorio, il danneggiato può invocare la stessa illegittimità come indice presuntivo della colpa, allegando anche altre circostanze idonee a dimostrare che si è trattato di un errore inescusabile. A questo punto, per superare la presunzione di colpa, spetta all’amministrazione produrre elementi indiziari che viceversa consentano di qualificare l’errore come scusabile e tra questi rientrano la novità assoluta o la formulazione incerta della norma applicata, i contrasti giurisprudenziali in ordine alla sua interpretazione, ecc. 3) La giurisprudenza amministrativa prevalente inquadra la responsabilità per danno da lesione di interessi legittimi all’interno degli schemi della responsabilità extracontrattuale (art. 2043 cod. civ). Si è osservato infatti che nelle vicende procedimentali conclusasi con l’emanazione di un provvedimento illegittimo, il privato danneggiato non può essere equiparato al “chiunque” o un semplice “passante”, con il quale il danneggiante non ha alcuna relazione preesistente, che è il contesto nel quale può sorgere tipicamente la responsabilità extracontrattuale. Viceversa il contatto procedimentale tra il privato e la pubblica amministrazione si presta essere inquadrato più propriamente nello schema del rapporto obbligatorio del contatto sociale qualificato e ciò perché si tratta di un rapporto che impone alle parti una serie precisa di obblighi comportamentali di correttezza e buona fede. 4) Un’ipotesi particolare di responsabilità si ha nei casi nei quali l’amministrazione non concluda il procedimento avviato entro il termine previsto ovvero il danno da ritardo. L’art. 2 bis stabilisce che le pubbliche amministrazioni sono tenute a risarcimento del danno ingiusto “in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento” fissato ai sensi dell’art. 2 l n. 241/1990; questa disposizione rafforza il principio della certezza del tempo dell’agire amministrativo che costituisce un bene della vita autonoma e suscettibile di risarcimento a prescindere dalla legittimità o dell’illegittimità del provvedimento emanato. Possono sussistere tre situazioni differenti: a) l'amministrazione abbia emanato nel termine un provvedimento di diniego illegittimo e annullato dal giudice amministrativo e che essa abbia poi rilasciato il provvedimento favorevole in esecuzione della sentenza. In questo caso il ritardo dell'avvio di attività è causato in modo diretto dal primo provvedimento di diniego e si tratta dunque di responsabilità da provvedimento illegittimo b) L’amministrazione abbia rilasciato il provvedimento favorevole in ritardo c) l’amministrazione abbia negato legittimamente il provvedimento richiesto, pur sempre in ritardo: in queste due ipotesi il danno da ritardo emerge allo stato puro, perché non è causato dal provvedimento che risulta legittimo, ma dal comportamento inerte dell’amministrazione. 5) La responsabilità contrattuale della pubblica amministrazione è disciplinata in base agli artt. 1218 ss. cod. civ.; vengono quindi citati, il principio di correttezza e buona fede deve informare il comportamento della pubblica amministrazione, oltre che del soggetto privato all’interno del procedimento amministrativo e anche l’annullamento in autotutela di un provvedimento favorevole al privato può far sorgere una responsabilità dell’amministrazione dove l’atto annullato abbia ingenerato nel soggetto privato un affidamento incolpevole. L’azione va proposta innanzi al giudice ordinario perché finalizzata a risarcire un diritto soggettivo, cioè il diritto all’integrità del patrimonio pregiudicata dall’impossibilità di continuare a godere del beneficio acquisito sulla base del provvedimento annullato. nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge. 2) ORGANO (ufficio) Per poter instaurare rapporti giuridici con soggetti esterni, le persone giuridiche si avvalgono di organi che possono essere definiti come centri di imputazione giuridica o di competenza: la persona fisica titolare dell’organo ha il potere di esprimere la volontà della persona giuridica imputando direttamente in capo a quest’ultimo all’atto gli effetti da esso prodotti; tra persona fisica e persona giuridica intercorre un rapporto di immedesimazione, nel senso che per mezzo della persona fisica preposta all’organo è la stessa persona giuridica che vuole e agisce. La persona giuridica è infatti un’entità puramente astratta e non può avere una volontà propria autonoma. Oltre che di organi, le persone giuridiche, si avvalgono per la propria attività di uffici o servizi, cioè di unità operative interne alle quali sono addette una o più persone fisiche; a differenza degli organi, gli uffici svolgono un’attività che ha rilevanza meramente interna e natura strumentale rispetto a quella degli organi in senso proprio (per esempio, nelle imprese private, all’ufficio contabilità, all’ufficio del personale, ecc.). Un modello di imputazione giuridica alternativo è la rappresentanza: il rappresentante, in base a una procura rilasciata dal rappresentato (rappresentanza volontaria) o per conferimento ex lege, ha il potere di porre in essere atti i cui effetti si producono direttamente nei confronti del rappresentato. Il modello della rappresentanza è concepito per i rapporti che coinvolgono persone fisiche, poiché presuppone una duplice volontà (quella del rappresentato che conferisce il potere al rappresentante quella di quest’ultimo che pone in essere l’atto). 3) PERSONA FISICA TITOLARE DELL’ORGANO Gli organi e gli uffici agiscono per mezzo di persone fisiche: alcune di esse poste in posizione apicale, ne assumono la titolarità, mentre altre, con varietà di qualifiche e di funzioni fanno parte del personale addetto che svolge attività di supporto al titolare dell’organo o dell’ufficio. Nel caso delle organizzazioni pubbliche, la proposizione o l’assegnazione di una persona fisica ad un organo o un ufficio richiede un atto formale: l’investitura, nel caso del titolare o l’assegnazione, negli altri casi. L’atto in questione è emanato talora dai vertici dell’apparato (per esempio, il conferimento di un incarico dirigenziale generale) o anche, a livelli meno elevati, dal dirigente dell’ufficio del personale. L’atto formale di investitura o di assegnazione instaura il rapporto di immedesimazione organica tra la persona fisica e l’organo o l’ufficio; la persona fisica viene così incardinata nell’organo o nell’ufficio e la sua attività è imputabile direttamente a questi ultimi e di conseguenza alla persona giuridica. Il rapporto di immedesimazione organica tra persona fisica, organo o ufficio e persona giuridica è un rapporto interno di tipo organizzatorio. Il rapporto di servizio è il presupposto affinché il dipendente possa essere poi assegnato a un ufficio e possa così instaurarsi un rapporto di immedesimazione organica e può darsi, tuttavia, che il rapporto di servizio sia sorto in seguito a una procedura o un atto di investitura annullati o dichiarati nulli: in questi casi si pone per le persone giuridiche pubbliche il problema di quale sia la sorte degli atti posti in essere dalla persona fisica titolare dell’organo. Questi ultimi almeno in astratto, dovrebbero essere ritenuti anch’essi invalidi, in quanto non riferibili all’amministrazione e per evitare gli inconvenienti di una siffatta eventualità è stata elaborata la figura del funzionario di fatto, cioè di colui che pur in assenza di un’investitura formale esercita di fatto funzioni pubbliche. Viene poi analizzata la struttura degli apparati pubblici e le relazioni che insorgono tra questi: A) Gli organi possono essere: organi esterni, sono gli strumenti attraverso i quali la persona giuridica opera nei rapporti con altri soggetti dell’ordinamento; organi interni (o uffici) svolgono attività giuridiche propedeutiche alla formazione della volontà dell’amministrazione formalizzati in un atto emanato da un organo esterno (per esempio, atti endoprocedimentali come un parere d’ufficio tecnico). B) Gli organi e gli uffici possono essere necessari (per esempio, gli organi individuati direttamente dalla legge come nel caso dei comuni, il sindaco, la giunta) o non necessari (per esempio, i Ministeri senza portafoglio, che possono essere istituiti all’atto della costituzione del governo su proposta del Presidente del Consiglio dei Ministri che delega a essi proprie funzioni), a seconda che la loro istituzione sia prevista come obbligatoria dalle norme che disciplinano l’organizzazione dell’ente. C) Gli organi possono essere monocratici, all’organo è preposta una sola persona fisica che ne assume la titolarità (per esempio, il Ministro, il sindaco, il Presidente di camera di commercio) oppure collegiali, ad esso è preposta una pluralità di persone fisiche che esprimono la volontà dell’apparato attraverso delibere assunte sulla base di regole. Le modalità previste per la nomina dei componenti dell’organo collegiale variano a seconda dei casi, per esempio, dove prevalga l’esigenza di assicurare la rappresentanza di una pluralità di interessi pubblici e privati, le norme individuano i soggetti che possono designare uno o più componenti (per esempio i Ministeri vigilanti che nominano uno o più componenti del Consiglio di amministrazione di un ente pubblico); in altri casi componenti sono scelti sulla base elettiva (per esempio, Consigli comunali). Anche la nomina dei titolari degli organi monocratici in alcuni casi è elettiva (sindaco, Presidente di camera di commercio, rettore di università); in altri casi è affidata a uno o più soggetti esterni. D) Gli organi e gli uffici, in base al tipo di funzioni, possono essere attivi, allorché emanano gli atti amministrativi correlati alle funzioni dell’ente o svolgono le attività materiali (vigili del fuoco, agenti forestali); consultivi, allorché esprimono pareri tecnici o giuridici (come quelli rilasciati dalla commissione edilizia di un comune); di controllo, erano un’attività di controllo e verifica (come le strutture preposte controlli di gestione). Le Amministrazioni Pubbliche Accanto alle amministrazioni di tipo tradizionale (Stato, regioni, enti territoriali) sono stati istituiti enti pubblici di vario tipo e soggetti formalmente privati, ma sottoposti in parte al regime pubblicistico. I principali regimi speciali da considerare sono principalmente quelli relativi al pubblico impiego, al procedimento amministrativo, ai contratti pubblici, alla finanza pubblica e al patto di stabilità: 1) Un primo insieme di norme speciali pubblicistiche è contenuto nel dlgs n. 165/2001 che pone nella disciplina generale l’organizzazione degli uffici pubblici e dei rapporti di lavoro. L’art. 1 cc 2 definisce l’ambito di applicazione delle norme attraverso un elenco tassativo di enti: le amministrazioni e le agenzie dello Stato, gli enti territoriali (regioni, province e comuni), una serie di enti pubblici normativamente citati (università, aziende ed enti del servizio sanitario nazionale, camere di commercio, ecc.) o comunque rientranti nella categoria generale degli enti pubblici non economici. 2) Un secondo insieme di norme pubblicistiche è costituito dalla disciplina del procedimento amministrativo e il suo campo di applicazione definito dagli artt. 1 e 19. In estrema sintesi l’art. 29 menziona le amministrazioni statali, gli enti pubblici nazionali, le regioni e gli enti locali ed inoltre, rende applicabili in modo inderogabile alcune disposizioni della legge genericamente a tutte le amministrazioni pubbliche; quest’ultima espressione resta in qualche misura indeterminata. 3) Un terzo insieme di norme pubblicistiche riguarda i contratti per l’acquisto di beni, servizi e lavori ed esse sono contenute, sulla scorta delle direttive europee, nel Codice dei contratti pubblici approvato con dlgs n. 50/2016. Il Codice pone una serie di definizioni riferite sia a tipologie di contratti sia di soggetti volta a individuare in modo specifico le parti del Codice e le procedure di volta in volta applicabili. 4) Un quarto insieme di regole speciali attiene al Patto di stabilità concordato in sede europea che impegna gli Stati aderenti a porsi obiettivi di pareggio di bilancio nel medio termine. A questo fine in Italia è stato approvato il Patto di stabilità interno che attribuisce al governo strumenti per vincolare al rispetto degli obiettivi di finanza pubblica anche le regioni e gli enti locali. Le pubbliche amministrazioni alle quali si applicano le norme sul controllo della spesa sono individuate dall’ISTAT. I criteri principali per individuare le amministrazioni pubbliche e per distinguerle dal settore delle imprese sono: deve trattarsi di enti che producono beni e servizi che non siano destinati alla vendita sul libero mercato; i beni e servizi devono essere invece messi a disposizione della collettività gratuitamente (o quasi); l’attività dell’ente deve essere finanziata in prevalenza a carico delle finanze pubbliche. L’elenco dell’ISTAT, formato sulla base di questi criteri, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale e aggiornato periodicamente, suddivide le amministrazioni pubbliche in tipologie: enti di regolazione dell’attività economica, agenzie, enti a struttura associativa, autorità amministrative indipendenti, enti produttori di servizi assistenziali, ricreativi e culturali, enti di ricerca, amministrazioni locali, ecc. Lo Stato intrattengono rapporti istituzionali diretti con lo Stato non mediati dalle regioni (per esempio, gli organi di governo e le funzioni fondamentali dei comuni sono disciplinati con la legge statale). Le regioni, invece, sono state introdotte nella Costituzione del 1948 e sono state istituite solo negli anni 60 del secolo scorso; i comuni, che avevano un legame diretto soprattutto con il Ministero dell’interno, continuano in molti casi a preferire un’interazione con lo Stato e a questo fine i comuni hanno dato origine all’associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI). Dal punto di vista del diritto amministrativo, gli enti locali e le regioni rilevano soprattutto perché costituiscono una particolare categoria di enti pubblici: si tratta in primo luogo di enti necessari, nel senso che essi sono istituiti obbligatoriamente in tutto il territorio nazionale; in secondo luogo, sono enti ad appartenenza necessaria, poiché ogni cittadino, in base al criterio della residenza, trova un riferimento stabile in ciascuno di essi e in terzo luogo, sono enti a competenza generale perché possono curare gli interessi della popolazione di riferimento con una certa libertà, in base agli indirizzi politici espressi dal corpo elettorale locale e agli indirizzi politico amministrativi dell’organo consiliare: hanno cioè il potere di individuare le proprie priorità nella ambito delle funzioni ad esso assegnate e di mettere in opera gli strumenti necessari per il raggiungimento dei propri fini. In quarto luogo, si tratta di enti inseriti integralmente nell’ordinamento amministrativo, poiché tutti i loro atti normativi (regolamenti) e non normativi sono sempre e necessariamente atti formalmente amministrativi. Sola eccezione è costituita dalle generali regionali per le quali vige il regime proprio degli atti legislativi I comuni sono oggi circa 8000 e le province circa un centinaio sono un ente intermedio tra i comuni e le regioni ed esse si riallacciano concettualmente alla riorganizzazione dello Stato francese in epoca rivoluzionaria ispirata al centralismo e all’istituzione dei dipartimenti con a capo i prefetti dipendenti direttamente dal governo centrale. Le province costituiscono un livello di governo che sembra destinato a essere superato nell’ambito di una riforma costituzionale non valida nel 2016 da una consultazione referendaria, essendo ritenuto oneroso e poco funzionale. La Costituzione definisce gli enti locali come enti autonomi, “nell’ambito dei principi fissati da leggi generali della Repubblica che ne determinano le funzioni”, cioè nei limiti stabiliti dallo Stato. Passando a trattare in modo più specifico: 1) Il Testo Unico vigente definisce il Comune come ente locale che rappresenta la comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo; il carattere di ente a finalità generali discende dal principio secondo il quale “spettano al Comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto ed utilizzazione del territorio dello sviluppo economico”. Le funzioni dei comuni sono conferite nelle varie materie con legge statale o con legge regionale e una peculiarità è che i comuni esercitano anche alcune funzioni propriamente statali (anagrafe, stato civile, servizi elettorali, leva militare, ecc.); in relazione ad esse al sindaco è attribuita la qualifica di ufficiale di governo. L’autonomia dei comuni si manifesta anzitutto nella potestà statuaria, riconosciuta anche dalla Costituzione e lo statuto, approvato dal Consiglio comunale a maggioranza qualificata, stabilisce le norme fondamentali dell’organizzazione dell’ente e in particolare specifica le attribuzioni degli organi, le forme di collaborazione tra comuni e province, la partecipazione popolare, l’accesso dei cittadini alle informazioni e ai procedimenti amministrativi; in aggiunta al contenuto vincolato lo statuto può avere un contenuto facoltativo è un contenuto eventuale. Ai comuni è riconosciuta anche un’ampia autonomia regolamentare nelle materie di propria competenza e in particolare per ciò che riguarda l’organizzazione e il funzionamento degli organi e degli uffici e per l’esercizio delle funzioni, sia pure nel rispetto dei requisiti minimi di uniformità definiti a seconda delle materie della legislazione statale o regionale. Tra le funzioni dei comuni rientrano i servizi della persona e alla comunità (anziani, tossicodipendenti, disabili, assistenza scolastica), la polizia locale, l’assetto e utilizzazione del territorio, le infrastrutture, i trasporti, lo sviluppo economico, i servizi pubblici locali. Il Consiglio comunale è composto da un numero variabile di consiglieri eletti con un sistema proporzionale ed è stato superato il modello assembleare che attribuiva all’organo elettivo molte competenze di amministrazione attiva trasformandolo in un organo prevalentemente di indirizzo e di controllo politico amministrativo con competenze tassative limitate a un elenco di atti fondamentali. Il sindaco è eletto direttamente dal corpo elettorale per non più di due mandati quinquennali ed è titolare della gran parte dei poteri comunali; e infatti organo responsabile dell’amministrazione comunale, rappresenta l’ente, nomina e revoca gli assessori che compongono la giunta, convoca e presiede quest’ultima, sovrintende al funzionamento dei servizi e degli uffici ecc. Accanto agli organi di governo, in tutti i comuni è istituita la figura del segretario comunale con compiti di collaborazione e di assistenza giuridico amministrativa in ordine alla conformità dell’azione amministrativa alle leggi, allo statuto e ai regolamenti; in particolare, il segretario sovrintende coordina i dirigenti, partecipa con funzioni consultive e di verbalizzazione alle sedute del Consiglio della giunta, esprime pareri, possono essere attribuite anche le funzioni di direttore generale, ove quest’ultima figura non sia istituita. Abbiamo poi la figura del direttore generale, il quale è previsto solo per comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti e nominato con delibera della giunta ed è assunto con contratto a tempo indeterminato al di fuori della pianta organica, funge da raccordo tra gli organi di governo dell’ente e della dirigenza. Egli attua gli indirizzi di quest’ultimi, sovrintende alla gestione del Comune perseguendo l’obiettivo di migliorare l’efficienza e l’efficacia; predispone il piano esecutivo di gestione dell’ente sulla base del bilancio annuale di previsione deliberato dal Consiglio comunale ecc. I dirigenti degli enti locali sono preposti agli uffici e ai servizi che sono responsabili della gestione amministrativa, finanziaria e tecnica con autonomi poteri di spesa, di organizzazione delle risorse umane, strumentali e di controllo e hanno competenza ad adottare tutti gli atti e i provvedimenti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno, esclusi quelli riservati ad altri organi; agli organi di governo del Comune spettano invece solo poteri di indirizzo di controllo politico amministrativo. I dirigenti sono nominati dal sindaco e assegnati ai vari incarichi secondo criteri di competenza e professionalità e possono essere revocati dall’incarico per inosservanza delle direttive del sindaco o in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi previsti dal piano esecutivo di gestione. Il sistema dei controlli sugli enti locali prevede anche un controllo sugli organi: i Consigli comunali possono essere sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministero dell’interno, in una serie di casi tassativi, per esempio in seguito al compimento di atti contrari alla Costituzione, per gravi e persistenti violazioni di legge, per gravi motivi di ordine pubblico, ecc. Per favorire la cooperazione tra comuni, il testo unico prevede le convocazioni aventi per oggetto l’esercizio coordinato di funzioni e servizi; i consorzi, gli istituti per l’esercito associato di funzioni e amministrati da un’assemblea rappresentativa degli enti sociali associati e da un Consiglio di amministrazione; le unioni di comuni per l’esercizio comune di una pluralità di funzioni: si tratta di strumenti, potenziati e resi obbligatori di norme recenti, volte a risolvere almeno in parte le disfunzioni derivanti dalla frammentazione eccessiva dei comuni. 2) Per quanto riguarda le province, essi sono titolari di funzioni amministrative limitate a pochi ambiti e svolgono soprattutto funzioni di programmazione; in particolare, le province esercitano le funzioni di pianificazione territoriale provinciale di coordinamento, nonché di tutela e di valorizzazione dell’ambiente, per gli aspetti di competenza; di pianificazione dei servizi di trasporto in ambito provinciale e di regolazione della circolazione nell’ambito delle strade provinciali ecc. Alle funzioni richiamate se ne aggiungono alcune più concrete di gestione: autorizzazione e controllo in materia di trasporto privato; costruzione e gestione delle strade provinciali; raccolte di elaborazione di dati; assistenza tecnico amministrativa agli enti locali, ecc. Gli organi di governo delle province sono costituiti dall’assemblea dei sindaci che ha poteri propositivi, consultivi e di controllo, dal Consiglio provinciale e dal Presidente della provincia. Il territorio delle province funge in molti casi anche da perimetro delle competenze esercitate dagli uffici periferici delle amministrazioni statali, per esempio, le prefetture e le questure, gli uffici provinciali del lavoro. Le articolazioni periferiche dei Ministeri attuano una forma di decentramento burocratico che fenomeno però concettualmente diverso dall’attuazione del principio autonomistico. Infine, le città metropolitane sono menzionate dalla Costituzione trovano una disciplina del Testo Unico degli enti locali ed esse assorbono le funzioni della provincia in aree caratterizzate dalla presenza dei comuni italiani più popolosi (comuni capoluogo) uniti a contiguità territoriale e non rapporti di stretta integrazione in ordine all’attività economica, ai servizi essenziali, ai caratteri ambientali e alle relazioni sociali e culturali. La loro istituzione è stata disposta in concreto in parallelo al processo di riforma delle province e sono organi delle città metropolitana il sindaco metropolitano, il Consiglio metropolitano che l’organo di indirizzo e di controllo e la conferenza