Scarica Dispensa linguistica generale - Gatti e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica Generale solo su Docsity! DISPENSA DI LINGUISTICA GENERALE Maria Cristina Gatti Una prima delimitazione dell’oggetto e del metodo della linguistica I problemi sollevati dalla lingua sono diversi, a seconda della prospettiva nella quale ci si colloca. La lingua può rappresentare un problema dal punto di vista della prassi, e in questa prospettiva costituisce un problema anzitutto per il politico. La società politica tende a dare ad una o più lingue il marchio dell’ufficialità rispetto ad altri idiomi che possono essere usati. Si può inoltre considerare la lingua dal punto di vista sociale. La lingua è uno strumento di comunicazione e costituisce quel tessuto che unisce gli individui nella società. L’interazione umana, infatti, è possibile soltanto perché c’è una lingua e quindi un codice comune ad un insieme di parlanti che così vengono a costituire una comunità linguistica. La lingua però ha un valore sociale perché non è soltanto strumento di unione ma anche di divisione, di individuazione. Parlare la stessa lingua è un modo per appartenere allo stesso gruppo, per costituire il “noi” che si oppone al “voi”, agli “altri”. La lingua è rilevante dal punto di vista economico. Fin dall’antichità, in epoche di intensi scambi economici, si sono affermante lingue internazionali di vario tipo per consentire le comunicazioni fra nazioni diverse. C’è un rapporto tra la stratificazione economica di una società e la sua stratificazione linguistica. Infine c’è un rapporto fra lingua e cultura, sia intesa in senso generale sia in relazione agli ambiti specifici in cui la cultura si suddistingue. La cultura può essere vista come un super-codice che ha tra i suoi sottosistemi, come perno del proprio funzionamento, la lingua naturale. La filosofia si regge su un linguaggio che offre al filosofo un sistema di categorie semantiche dalle quali egli non può prescindere e che non può dare per scontate se non rinunciando alla totale assenza di presupposti cui, in quanto filosofo, deve tendere. Esiste poi un rapporto fra lingua e ideologia. I paesi che mutano regime politico modificano anche la loro struttura semantica e spesso il loro frasario; insomma, il modo di affrontare la realtà con il linguaggio. Sempre più spesso l’ideologia si avvale di sofisticate manipolazioni del sistema linguistico: una versione più smaliziata e radicale della retorica. Il rapporto tra lingua e scienza viene posto in luce soprattutto nella nostra epoca, un rapporto tra linguaggio, metodo e oggetto di una determinata scienza. Per parlare di lingua da un punto di vista puramente linguistico dobbiamo dare una prima definizione della linguistica (o glottologia): è la scienza che si propone di spiegare come una lingua funziona. Vediamo quindi che sequenze di elementi fisici fonici (i suoni), grafici (i caratteri), gestuali ecc. sono portatrici di messaggi. Il messaggio supera la sfera puramente fisica, appartiene alla sfera dei significati. E’ proprio in questo fatto che molti pensatori hanno visto nella lingua il contrassegno della specie umana, l’unico elemento assolutamente indubitabile per distinguere l’umano dal non umano. Se il fatto linguistico essenziale è il rapporto tra sequenze di elementi fisici e messaggi, la lingua non può essere affrontata in senso storico, dobbiamo passare da un atteggiamento diacronico ad un atteggiamento sincronico, cioè di contemporaneità: dall’analisi di una successione nel tempo all’analisi di una compresenza in una data sezione temporale. 30 Solo ponendoci sul piano della sincronia possiamo capire il funzionamento del linguaggio. Quindi 1. La lingua deve essere studiata da un punto di vista strutturale, dove il concetto di struttura può essere accostato al vecchio concetto di “essenza”, che significa ciò che fa di una cosa quel che essa è. Dire “strutturale” equivale a dire “essenziale”. Affrontando lo studio della lingua, il nostro approccio sarà strutturale se fra gli aspetti peculiari che caratterizzano il fatto linguistico (dal punto di vista fonico, sintattico, semantico, politico, culturale, ecc.) faremo emergere solo quei caratteri e quelle proprietà che costituiscono la lingua in rapporto alla funzione essenziale, a ciò che di essenzialmente linguistico c’è nella lingua. 2. Spiegare come la lingua funzioni. “Spiegare” non significa chiarire un concetto in senso didattico (renderlo piano, accessibile) ma formulare delle ipotesi esplicite e coerenti, dalle quali tutti gli aspetti possano essere dedotti. Il concetto di spiegazione è legato ai concetti di ipotesi e di deduzione del dato dall’ipotesi secondo un modello ipotetico-deduttivo. Lo strutturalismo classico Cenno sulle origini della linguistica. La linguistica è una scienza nuova ma in realtà ha origini storiche remotissime. È necessario anzitutto distinguere due periodi: la nascita ufficiale della linguistica (il cosiddetto periodo scientifico) e la linguistica prescientifica, ossia il pensiero linguistico prima della acquisita consapevolezza della propria autonomia. Se consideriamo scienza un’attività autonoma, allora la scienza della lingua nasce ufficialmente nel 1816 con la pubblicazione del volume di Franz Bopp. Se però vogliamo chiamare linguistica ogni ricerca rigorosa, anche se parziale, sul fatto linguistico, allora si può dire che la linguistica è antica quanto l’uomo. Come tutte le altre scienze, in origine era fusa con la filosofia e se n’è staccata proprio attraverso il processo di specificazione che caratterizza l’evo moderno dal punto di vista culturale. La ricerca linguistica aveva raggiunto una notevole maturità scientifica già nell’antica India. Va ricordato il grammatico Pānini che in una sua grammatica dedicata al sancrito ha fornito un’analisi di questa lingua dal punto di vista fonetico, fonologico, morfologico e lessicale. La parentela del sancrito con le altre lingue europee (come le lingue germaniche, il latino e il greco), rese significativo il sancrito dal punto di vista della ricostruzione di una protolingua dalla quale derivano tutte le lingue indoeuropee. Altro filone che avrà un’importanza fondamentale nello sviluppo della teoria della lingua è quello greco-romano. Qui il pensiero linguistico si identifica profondamente con il pensiero filosofico e logico. Platone indica le due categorie fondamentali del nome e del verbo come costitutive dell’atto linguistico e contrappone due possibili spiegazioni del linguaggio: il linguaggio visto come una convenzione e il linguaggio posto per natura. Ad Aristotele dobbiamo una prima enumerazione delle parti del discorso: l’elemento, la sillaba, il nome, il verbo, l’articolo, il caso, l’enunciato, l’elemento è inteso come “il suono non divisibile, ma non uno qualsiasi, bensì quello dal quale nasce per sua natura un suono interpretabile. Spetta però soprattutto agli stoici il merito di aver elaborato una teoria grammaticale completa. 30 comune questa parte. Diventa chiaro che nella forma verbale da noi analizzata, sulla base del funzionamento della nostra memoria e della nostra locuzione, ritroviamo due parti che non appartengono alla singola parola, ma a insiemi di parole. Qualsiasi parola appare legata con le altre dai nessi dell’associazione per somiglianza. Esiste inoltre l’associazione per contiguità, dove contiguità o concatenazione può essere a livello fonetico (serie di suoni che si susseguono) a livello fonologico, sintattico e semantico. Osservazione. Vediamo come operano nella lingua queste due dimensioni: l’asse della similarità e l’asse della contiguità. Per esempio “Luigi beve molta birra” funziona perché è collocato all’intersezione dei due assi. Similarità: Luigi ha termini equivalenti (altri nomi) a cui si contrappone. Contiguità: i termini sono concatenati. Aver individuato questi due assi fondamentali sui quali si regge l’atto linguistico equivale ad aver posto i due concetti centrali dello strutturalismo. Tuttavia non siamo ancora di fronte ad un’esposizione ben organizzata delle proprie teorie, tale da potersi considerare una dottrina. La dottrina di Ferdinand De Saussure De Saussure si contrappone in modo netto alla linguistica diacronica con l’intento di considerare la lingua da un punto di vista funzionale, di capire come la lingua sia fatta e come opera. Per poter fare questo è necessario restare entro la sincronia, non è possibile né descriverla né fissarne le norme d’uso se non collocandosi in un certo stato. La distinzione fra l’asse della sincronia, o della simultaneità, e l’asse della diacronia, o delle successioni, è operante in numerose scienze, soprattutto in quelle che hanno a che fare con dei valori e la linguistica è una scienza che tipicamente opera con valori. La nozione di valore è abbastanza complessa: La prima cosa che colpisce quando si studiano i fatti di lingua è che per il soggetto parlante la loro successione nel tempo è inesistente: il parlante si trova dinanzi a uno stato. E così il linguista che vuol comprendere tale stato deve fare tabula rasa di tutto ciò che l’ha prodotto e ignorare la diacronia. Lo stesso è per la lingua: non è possibile né descriverla né fissarne le norme d’uso se non collocandosi in un certo stato. Per determinare la natura del linguaggio non si deve prescindere soltanto dalla diacronia, ma anche da tutti gli aspetti concomitanti (geografici, politici, culturali ecc.) con i quali la lingua è legata nella sua esistenza concreta. Saussure distingue di conseguenza una linguistica esterna e una interna. Entro quest’ultima il linguaggio si articola in due momenti complementari ma ben distinti: la langue, intesa come sistema di segni, e la parole, intesa come esecuzione o uso di questo sistema di segni nella comunicazione. La langue può essere studiata indipendentemente dalla parole. Così le lingue morte, che pur non sono parlate (non hanno quindi una parole), possono benissimo essere studiate nel loro meccanismo. Questa definizione funzionale di langue e parole tratta di due punti di vista nettamente distinti, così in rapporto alla langue e alla parole ci si può chiedere quale sia la funzione di ciascun momento della comunicazione, oppure quale dei due momenti sia legato alla società e quale all’individualità. Se ci poniamo di fronte alla lingua come sistema di segni che servono per la comunicazione di un certo gruppo di individui, troveremo che la langue è identica in tutti gli individui di quel gruppo, che è 30 caratterizzato per altro proprio dall’avere la stessa lingua, ossia dalla reciproca comprensione. Scopriremo ancora che la parole è più vicina all’individualità: i singoli parlanti sono gli esecutori della parole, sono coloro ai quali va fatta risalire la responsabilità dei discorsi. La lingua non è una funzione del soggetto parlante: è il prodotto che il soggetto registra passivamente La parole, al contrario, è un atto individuale di volontà è di intelligenza. Il segno è definito in modo apparentemente simile a quello tradizionale: Saussure distingue un signifiant (significante) e un signifié (significato). Il segno linguistico unisce non una cosa e un nome ma un concetto e un’immagine acustica. Quest’ultima non è il suono materiale ma la traccia psichica di questo suono, la rappresentazione che vi viene data dalla testimonianza dei nostri sensi. Il segno, sia sul piano del significato sia sul piano del significante, è un’entità interamente psichica. La psichicità non riguarda quindi soltanto il significato ma anche il significante. Diventa qui spontaneo il riferimento a Baudouin de Courtenay e al suo concetto di fonema: unità fonetica viva sul piano psichico. Ma notiamo come i concetti della dottrina saussuriana si presuppongano l’un l’altro strettamente formando un sistema: la sincronia presuppone l’enucleazione di langue e parole, la langue come sistema di segni vive di una continuità psichica mentre il segno è articolato in significante e significato, ambedue collocati a livello psichico. I caratteri fondamentali del segno linguistico sono: 1. l’arbitrarietà: non c’è nessuna ragione reale, oggettiva per cui il significato “casa” sai legato al suono [kaza], può essere legato al suono [domus], [haus] etc. a seconda delle lingue. Il nesso fra significante e significato è dunque arbitrario. Questa arbitrarietà potrebbe apparire un aspetto negativo, in quanto assenza di motivazioni; ha invece un’azione positiva sulla stabilità della lingua. La lingua è un’istituzione nel senso che ha dei tratti in comune con certe altre istituzioni di carattere sociale; tuttavia il rapporto segnico che lega il significante e il significato è arbitrario e ciò impedisce che la lingua e questo rapporto segnico diventino oggetto di discussione. Si può deliberare soltanto su nessi motivati; questo comporta che la lingua, pur evolvendosi e dando luogo talvolta a sistemi segnici diversi, non sia dipendente, in questa evoluzione, dalla volontà dell’uomo. 2. la linearità: il segno si presenta come lineare, quindi nella dimensione temporale. C’è un prima e un poi che nella lingua scritta si trasferisce nella successione. Secondo Saussure questa linearità è un fatto essenziale che caratterizza in profondità la natura del segno. Osservazione – La linearità del segno Nella linguistica attuale è sorto il problema se la linearità faccia parte solo del significante o anche del significato. Dal punto di vista del significato, il segno non sembra essere lineare. La linearità che si esprime in un determinato ordine della parole può diventare, in alcune lingue, lo strumento espressivo di determinati livelli del significato ( es. in inglese o francese la distinzione tra soggetto e oggetto è data dall’ordine delle parole, in tedesco è possibile un ristretto numero di ordini e ciascun ordine ha una precisa funzione espressiva). L’ordine delle parole è significativo, anche se in modo diverso, e nelle diverse lingue ha sempre la funzione di esprimere determinati momenti del significato. 30 Due nuovi concetti nel meccanismo della lingua sono: - l’entità: Saussure afferma che coincide nella lingua con il segno inteso come unione di significante e significato. L’entità, in quanto è delimitata nella catena fonica, è un’unità; - l’unità: è di natura funzionale e non va identificata con il segmento fonico isolato. L’unità che si costituisce non è un’unità materiale ma un’unità funzionale. L’unità linguistica è il senso in cui due segmenti fonici più o meno diversi sono una stessa cosa. Possiamo definire la langue come il repertorio delle unità linguistiche mentre la parole va considerata l’uso di queste unità, possibile grazie al riferimento continuo a un sistema che costituisce i valori. Un altro aspetto fondamentale del meccanismo della lingua è il sistema delle differenze su cui si fonda il valore linguistico. Nel sistema linguistico si può sostituire un elemento con un altro purché quest’ultimo non si confonda con un elemento già presente. L’identità delle entità e quindi delle unità linguistiche è costituita soltanto dalle loro differenze. Le unità linguistiche, cioè i segni esistono solo nel sistema, ossia esistono in quanto valori. Nel celebre capitolo sul “valore linguistico” Saussure colloca il segno nel sistema linguistico. Ciascun segno è costituito dal significante e dal significato i quali costituiscono un’entità linguistica solo se sono uniti; inoltre ogni segno è se stesso in quanto inserito nel sistema linguistico in cui funziona. Analizziamo il piano del significante. Ciascun elemento del significante (fonemi) è tale in quanto si oppone a tutti gli altri elementi. Dal punto di vista strutturale nel meccanismo della lingua non è importante che /b/ si pronunci [b], importa soltanto che si differenzi da tutti gli altri fonemi della lingua italiana (cfr. bere : pere). Ma questo vale, secondo Saussure, anche sul piano del significato: ciò che costituisce un certo significato è il non identificarsi con gli altri significati. Là dove l’italiano distingue “legna”, “legno”, “legname” e “bosco”, il francese ha soltanto “bois”. In altre parole, come non è linguistico il suono in sé, ma il modo in cui il suono è articolato, così non è pertinente il significato in sé, ma il modo in cui il significato è articolato. Ciò che costituisce un certo significato è il non essere gli altri significati. La saldatura di queste due articolazioni dà luogo al valore linguistico. Il valore linguistico nasce dal fatto che il segno è unione inscindibile di significante e significato e dal fatto che ciascun segno non è se stesso se non è visto nella solidarietà di tutto il sistema segnico; solidarietà che è garantita dal fatto che sui due piani ciascun segno è se stesso in quanto si oppone agli altri segni. Il valore di una parola nasce dalle differenze fra il suo significato e i significati delle altre parole. L’articolazione del significato è dunque determinata dall’articolazione del significante. Il segno non funziona isolatamente preso. In linea teorica è pensabile che ci sia un sistema con dei soli segni, ma non ci può essere per definizione un sistema con un solo segno. Questo perché la natura del segno è essenzialmente oppositiva; sia sul piano del significante sia sul piano del significato il segno è se stesso non per le qualità positive che possiede ma per il non essere gli altri segni, ossia per la sua forma e non per la sua sostanza. Nel significante non ha importanza la qualità positiva, ma la sua essenza negativa, il suo contrapporsi, la sua opposizione, il suo non essere gli altri significanti. La natura concreta, la sostanza, del significante non è rilevante dal punto di vista del 30 E’ stata usata la parola simbolo per designare il segno linguistico o meglio il significante. Ma il simbolo non è completamente arbitrario: non è vuoto, implica un rudimento di legame naturale tra il significante e il significato. Dobbiamo inoltre specificare che la parola arbitrarietà non deve dare l’idea che il significante dipenda dalla libera scelta del soggetto parlante; noi vogliamo dire che è immotivato, vale a dire arbitrario in rapporto al significato, col quale non ha nella realtà alcun aggancio naturale. Segnaliamo due obiezioni che potrebbero esser fatte a questo primo principio. - Ci si potrebbe basare sulle onomatopee per dire che la scelta del significante non è sempre arbitraria. Ma non sono mai elementi organici di un sistema linguistico. Il loro numero è d’altra parte assai meno grande di quanto si creda. - Le esclamazioni, molto vicine alle onomatopee, danno luogo a osservazioni analoghe. Per la maggior parte di esse si può negare che vi sia un legame necessario tra il significante e il significato. Riassumendo, le onomatopee e le esclamazioni sono d’importanza secondaria e la loro origine simbolica è in parte contestabile. 2. Secondo principio: la linearità Il significante, essendo di natura auditiva, si svolge soltanto nel tempo ed ha i caratteri che trae dal tempo: - rappresenta una estensione; - tale estensione è misurabile in una sola dimensione: è una linea. In opposizione ai significanti visivi (segnali marittimi etc.) che possono agire su più dimensioni, i significanti acustici non dispongono che della linea del tempo: i loro elementi si presentano l’uno dopo l’altro, formano una catena. Tale carattere appare immediatamente non appena li si rappresenti con la scrittura e si sostituisca la linea spaziale dei segni grafici alla successione nel tempo. In certi casi ciò non appare con evidenza. Se per esempio accento una sillaba, sembra che accumuli sullo stesso punto degli elementi significativi diversi. Ma è un’illusione: la sillaba e il suo accento non costituiscono che un atto fonatorio; non vi è dualità all’interno di questo atto ma soltanto opposizioni diverse con ciò che è accanto. La Scuola di Praga Praga nel periodo fra le due guerre svolse per più ragioni un ruolo culturale di rilievo: era un punto di collegamento tra la cultura slava e la cultura europea occidentale e un centro intellettuale molto attivo. La tesi di fondo dei linguisti praghesi è che nei fatti umani e nella lingua in particolare l’aspetto fondamentale è l’intenzione, la destinazione. Tale è il perno della concezione linguistica praghese, per la quale la domanda intorno alla causa lascia il posto alla domanda intorno al fine. Si parla in effetti della Scuola di Praga come di una scuola “funzionalista”, dove il concetto di funzione va inteso come “essere in funzione di..” ossia come finalità, si chiede a cosa serva questo fatto, verso quale fine sia destinato. Il Circolo di Praga fu fondato nel 1926 da Vilém Mathesius, un linguista praghese, intorno al quale si riunirono numerosi studiosi di origine orientale e occidentale. Importante il contributo del gruppo russo, formato da R. Jakobson,Trubeckoj e altri, che definirono la lingua come un tutto strutturato, quindi come un sistema di unità che si presuppongono vicendevolmente e sono organizzate sull’asse paradigmatico e 30 sull’asse sintagmatico, oltre che nell’attenzione a tutti i livelli della lingua: fonologico, morfologico e sintattico. Ai russi se deve anche la nozione di fonema. Il contributo della componente occidentale è anzitutto la dottrina di Ferdinand de Saussure, della quale conosciamo i capisaldi: la distinzione fra langue e parole, il rilievo dato alla forma in contrapposizione alla sostanza, in altre parole l’importanza data alla negatività delle grandezze linguistiche e al loro carattere puramente oppositivo. Queste tre componenti (praghese, russa ed occidentale) saranno sintetizzate anzitutto nell’opera di Trubeckoj, il quale applicherà questa sintesi alla fonologia. Osserviamo che l’importanza che la fonologia riveste nella scuola di Praga è tale che talvolta si parla dei praghesi come di fonologi, cioè come di studiosi che avrebbero curato esclusivamente la fonologia. È più corretto parlare di funzionalisti perché, se la fonologia ebbe un’importanza preminente, gli altri campi non furono affatto trascurati. Per Trubeckoj la lingua, in quanto prodotto dell’attività umana, deve essere analizzata in rapporto alla sua funzione che è di espressione o di comunicazione. È definita come “un sistema di mezzi d’espressione appropriati a uno scopo”. La prospettiva fondamentale è quella sincronica ma l’evoluzione non può essere trascurata. Per quanto riguarda l’analisi del suono si sottolinea la preminenza funzionale dell’aspetto acustico su quello articolatorio. La descrizione del suono dal punto di vista fisico non ci dà l’aspetto essenziale del suono linguistico; le immagini acustiche soggettive (le rappresentazioni) possono essere considerate elementi di un sistema linguistico “soltanto quando svolgono in questo sistema una funzione di differenziazione dei significati”. Solo in questo caso si parla di fonemi. Essenziale è l’individuazione dei rapporti del fonema con gli altri fonemi del sistema. Il fonema deve essere caratterizzato dal punto di vista sintagmatico con la determinazione: - delle combinazioni ammesse rispetto a quelle teoricamente possibili; - dell’ordine dei fonemi in ciascuna combinazione; - dell’estensione delle combinazioni stesse. Attigua alla fonologia è la morfonologia, che studia l’uso morfologico delle differenze fonologiche. Il morfofonema è “un’immagine complessa di due o più fonemi che possono sostituirsi reciprocamente, secondo le condizioni della struttura morfologica, all’interno di uno stesso morfema”. Sopra la fonologia, l’analisi linguistica si sviluppa in due aspetti distinti: il sistema di denominazione e il sistema di procedimenti sintagmatici. Il sistema di denominazione permette di articolare tutta la realtà. Fondamento della denominazione è la parola, necessariamente presente in tutte le lingue anche se diversamente strutturata: a seconda delle lingue può prevalere la derivazione, la composizione o la combinazione fissa . I procedimenti sintagmatici riguardano i raggruppamenti di parole non fissi. L’atto sintagmatico fondamentale, che è insieme l’atto creatore della frase, è la predicazione. Il rapporto del soggetto grammaticale con il tema – inteso come ciò di cui si dice – da una parte e del predicato grammaticale con il rema (o enunciazione) – inteso come ciò che si dice del tema – dall’altra parte, è diverso nelle diverse lingue. I praghesi non concepiscono la lingua come astrattamente unitaria, in base alle funzioni esistono più linguaggi nella stessa lingua. Si distingue innanzitutto un linguaggio interiore e uno esteriore. Questo è un caso particolare poiché le forme linguistiche sono usate più spesso per pensare che per parlare. Le manifestazioni linguistiche possono caratterizzarsi per la prevalenza dell’aspetto intellettuale o 30 dell’aspetto affettivo. Il linguaggio intellettuale ha una destinazione soprattutto sociale mentre il linguaggio emotivo può essere rivolto sia all’uditore per suscitare in lui determinate emozioni quanto destinato ad essere uno sfogo dell’emozione. Il linguaggio orientato socialmente ha una funzione comunicativa o una funzione poetica a seconda che sia diretto verso la realtà o verso il segno stesso. La funzione comunicativa può essere pratica quando il linguaggio è “di situazione” o teorica quando tende a formare un tutto il più possibile chiuso, ad essere completo e preciso, usando parole-termini e frasi-giudizi (linguaggio formale). Ogni linguaggio ha il proprio sistema di convenzioni e non si deve identificare il linguaggio intellettuale con la langue e quello emotivo con la parole. Per Trubeckoj la struttura linguistica non può essere oggetto di introspezione: si tratta di un fatto psichico, ma non tutto ciò che è nella coscienza e nella psiche può essere oggetto di osservazione diretta mediante introspezione. Osservazione – Primo accostamento al problema della posizione ontologica delle lingue La lingua è certo un tipo di conoscenza, ma proprio il modo in cui essa funziona ci costringe a introdurre nel concetto di conoscenza delle distinzioni essenziali. Si dovrà distinguere fra una conoscenza di cui noi siamo immediatamente consapevoli e una conoscenza che certo noi possediamo, ma di cui non abbiamo consapevolezza. La natura della struttura linguistica è affine al tipo di conoscenza che tutti abbiamo di questo principio. Lo studio della struttura linguistica non è una problema puramente fenomenologico, non si tratta semplicemente di cogliere una realtà che ci si dà direttamente. Possiamo giungere a questa realtà solo attraverso procedimenti di mediazione. In altri termini, la conoscenza della struttura linguistica passa attraverso i consueti procedimenti delle scienze empirico-deduttive: solo confrontando le ipotesi con i dati, cioè attraverso l’esperimento, possiamo ricostruire la struttura linguistica. Il primo passo verso una metodologia della linguistica è la prova di commutazione con cui si verifica la pertinenza. Vediamo di cosa si tratta. Nella Scuola di Praga, e in Trubeckoj in particolare, si sintetizza il contributo occidentale (saussuriano) con il contributo praghese e il contributo orientale. Trubeckoj tiene conto del magistero saussuriano: nella lingua contano soltanto le differenze, ossia non gli aspetti positivi ma il differenziarsi e il contrapporsi di questi aspetti. Si parte dalle opposizione foniche, cioè le svariate differenze dei suoni che intervengono nei testi dei parlanti. Ma entro le opposizioni foniche andranno riconosciute come costitutive della struttura linguistica soltanto alcune di queste opposizioni, quelle fonologiche, cioè quelle opposizioni che non si lasciano ridurre a semplici differenze foniche (fisiche) ma intervengono nel meccanismo della lingua svolgendo una funzione distintiva o diacritica. La prova di commutazione consiste nel vedere se si danno delle coppie oppositive (nelle quali cioè compaia una certa differenza fonica) e di controllare se la presenza di questa differenza fonica comporti una differenziazione sul piano dei contenuti. In molte lingue l’opposizione fra sonora e sorda nelle occlusive labiali non serve per distinguere dei significati. In italiano invece si tratta di un’opposizione fonologica e non semplicemente fonica: bere - pere. Definendo fonema l’estremo di un’opposizione fonologica, possiamo concludere che in italiano /p/ e /b/ sono fonemi. Si distinguono 30 - Jakobson fa presente che noi possiamo rispondere alla domanda sul significato di un’espressione solo mediante un’altra espressione. Jakobson introduce il concetto di traduzione, intesa come interpretazione. Si parla di tre tipi di traduzione: - endolinguistica > la parafrasi; - interlinguistica > la traduzione comunemente intesa; - intersemiotica > il trasferimento di un messaggio da un codice semiotico ad un altro. Linguistica e poetica Il linguaggio deve essere studiato in tutta la varietà delle sue funzioni. Prima di considerare la funzione poetica dobbiamo considerare il suo posto fra le altre funzioni del linguaggio. Vediamo in primo luogo quali sono i fattori costitutivi di ogni processi linguistico, di ogni atto di comunicazione verbale. I fattori insopprimibili della comunicazione verbale sono mittente, destinatario, contesto, messaggio, contatto, codice ( vedi schema di Jakobson) e ciascuno di questi fattori dà origine a una funzione linguistica diversa. Sebbene distinguiamo sei aspetti fondamentali del linguaggio, difficilmente potremo trovare messaggi verbali che assolvano soltanto una funzione. La diversità dei messaggi non si fonda sul monopolio dell’una o dell’altra funzione ma sul diverso ordine gerarchico fra di esse. La struttura verbale di un messaggio dipende prima di tutto dalla funzione predominante. La funzione espressiva o emotiva, che si concentra sul mittente, mira ad un’espressione diretta dell’atteggiamento del soggetto riguardo a quello di cui si parla. Tende a suscitare l’impressione di una emozione determinata, vera o finta che sia. Lo strato puramente emotivo nella lingua è rappresentato dalle interiezioni. L’orientamento verso il destinatario, cioè la funzione conativa, trova la sua espressione grammaticale più pura nel vocativo e nell’imperativo, che, dal punto di vista sintattico, morfologico e spesso anche fonematico, si staccano dalle altre categorie nominali e verbali. Il modello tradizionale del linguaggio era limitato alla funzione emotiva, conativa e referenziale ed ai tre vertici di questo modello corrispondenti: alla prima persona (il mittente), alla seconda persona (il destinatario) e alla “terza persona” propriamente detta (qualcuno o qualcosa di cui si parla). Vi sono messaggi che servono essenzialmente a stabilire, prolungare o interrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona, ad attirare l’attenzione dell’interlocutore o ad assicurarsi la sua continuità. Questa accentuazione del contatto (la funzione fatica) può dare luogo ad uno scambio sovrabbondante di formule stereotipate, a interi dialoghi il cui unico scopo è di prolungare la comunicazione. La logica moderna ha introdotto una distinzione fra due livelli di linguaggio: il “linguaggio-oggetto”, che parla degli oggetti e il “metalinguaggio” che parla del linguaggio stesso. Ma il metalinguaggio non è soltanto uno strumento scientifico necessario utilizzato dal logici e dai linguisti, svolge anche una funzione importante nel linguaggio di tutti i giorni. Ogni volta che il mittente e/o il destinatario devono verificare se essi utilizzano lo stesso codice, il discorso è centrato sul codice, che svolge una funzione metalinguistica o di chiosa. ( Cosa vuoi dire? Capisci cosa voglio dire?) 30 La messa a punto rispetto al messaggio in quanto tale, cioè l’accento posto sul messaggio per se stesso, costituisce la funzione poetica del linguaggio. L’analisi del verso è di stretta competenza della poetica, e quest’ultima può essere definita come quella parte della linguistica che tratta della funzione poetica nelle sue relazioni con le altre funzioni del linguaggio. La poetica si occupa della funzione poetica non solo in poesia, dove questa funzione predomina sulle altre funzioni del linguaggio, ma anche all’infuori della poesie, quando qualche altra funzione si sovrappone alla funzione poetica. Secondo quale criterio linguistico si riconosce la funzione poetica? Ricordiamo i due processi linguistici fondamentali di costruzione del comportamento linguistico: selezione e combinazione; si scelgono le parole e si combinano nella catena parlata. La selezione è operata sulla base dell’equivalenza e similarità, la combinazione sulla base della contiguità. La funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dal piano dell’asse della selezione all’asse della combinazione. Il ritmo delle sequenze è un procedimento che al di fuori della funzione poetica non trova applicazione nel linguaggio. Opposizioni foniche e opposizioni fonologiche Nell’analisi fonologica interessano quei tratti che, distinguendo un fono da un altro, distinguono anche un fonema da un altro. ES la parola mare si può pronunciare con r vibrante o r uvulare: i due foni si distinguono, si oppongono. Si tratta di un’opposizione fonica e non fonologica. Per individuare un’opposizione fonologica bisogna verificarne la pertinenza, la funzione entro il sistema. Con la prova di commutazione posso vedere se un’opposizione fonica è un’opposizione fonologica. Es l’opposizione b/p è anche fonologica perché se in bere sostituisco b con p ottengo un’altra parola. Se alla commutazione dei due estremi di un’opposizione fonica corrisponde una commutazione di parole, l’opposizione fonica è anche fonologica, ossia l’opposizione ha funzione distintiva entro il sistema. I fonemi. Gli estremi di un’opposizione fonologica sono unità fonologiche, che possono essere complesse o semplici. (In pena e lena l’opposizione fonologica è semplice p/l, pena e lana costituiscono un’opposizione complessa pe/la scomponibili in unità minori). Le unità fonologiche semplici sono chiamate fonemi. Un fonema è sempre rilevato all’interno di una opposizione fonologica. Due parole che differiscono solo per un fonema nella stessa sede costituiscono una coppia minima. Si individua prima l’opposizione fonologica come opposizione fonica pertinente poi il fonema come estremo di una opposizione fonologica. Un fonema di una lingua può essere diverso dal fonema di un’altra lingua. Sono le opposizioni fonologiche che individuano i fonemi e il sistema delle opposizioni è stabilito entro la singola lingua. Varianti libere e varianti di posizione. Torniamo all’es della parola mare che può essere pronunciato con r vibrante o r uvulare, due foni che realizzano stesso fonema senza che il sistema delle opposizioni fonologiche risulti modificato. I tratti vibrante e uvulare non sono fonologicamente pertinenti. Si dirà che r uvulare è variante libera di r vibrante. E’ una variante perché è una realizzazione non standard, libera perché la sostituzione è sempre possibile. Si può dire, in tali casi, che la realizzazione dipende dalle circostanze in cui vivono i parlanti, non dalla lingua. 30 Le varianti legate sono invece imposte dalla lingua come casa e chiesa dove le occlusive (postpalatale e mediopalatale) realizzano un’opposizione fonica e non fonologica imposta dal contesto fonetico. Si parla anche di variante combinatoria. Fonemi e allofoni. Il fonema è solo sostanza fonica, non si identifica il fonema col fono. il contenuto fonologico di un fonema è una somma di tratti distintivi che si realizzano nella sostanza fonica ma si individuano in riferimento ad un piano diverso da quello della sostanza fonica, per questo più foni possono realizzare diversi fonemi. Il fonema si configura come un prototipo che si realizza in una classe di foni, è ideale e le sue realizzazioni sono deviazioni dal modello. I fattori di deviazione sono diversi: i singoli dialetti, le koinai dialettali e degli italiani regionali, le diversità socio-culturali e generazionali. Il modello, l’ideale, è l’invariante. Tutte le realizzazioni fra loro diverse sono le varianti, chiamate anche allofoni. Sono come le interpretazioni del fonema, quelle interpretazioni che diventano realizzazioni standard sono le varianti fondamentali. Classificazione delle opposizioni. Possiamo classificare le opposizioni in base al rapporto fra gli estremi. Le opposizioni fonologiche i cui estremi si caratterizzano per la presenza o l’assenza di un tratto distintivo sono chiamate opposizioni privative (es sonorità/sordità, questa considerata come assenza di sonorità). Se gli estremi della coppia oppositiva si distinguono per il grado di presenza di un tratto, si hanno opposizioni graduali (es apertura delle vocali). Le opposizioni che non sono né privative né graduali sono chiamate equivalenti. Vediamo ora quali rapporti intercorrono tra le diverse opposizioni. Dobbiamo considerare gli estremi non solo per il tratto o i tratti distintivi ma anche per il contenuto fonologico comune ad entrambi, ossia la base di comparazione. Es b e p sono entrambi occlusive bilabiali, che sono i due tratti che costituiscono la base di comparazione che non è presente in alcuna altra opposizione fonologica in italiano, cioè non vi sono altri fonemi occlusivi bilabiali. Quindi possiamo dire che un’opposizione fonologica che non condivide la base di comparazione con alcun’altra opposizione fonologica è chiamata bilaterale mentre un’opposizione fonologica che condivide la base di comparazione con altre opposizioni fonologiche è chiamata multilaterale (es b/d hanno base di comparazione data dai tratti occlusivo e sonoro che in italiano compare anche in altre opposizioni d/g, b/g). Una coppia oppositiva che presenta un rapporto identico a quello di altre coppie oppositive costituisce un’opposizione proporzionale. E’ isolata se nessuna altra coppia oppositiva presenta la medesima relazione reciproca. Se consideriamo la forza distintiva, le opposizioni possono essere costanti oppure neutralizzabili. Es in tedesco i due estremi della coppia d/t in posizione finale vengono realizzati dal medesimo fono t: l’opposizione d/t viene neutralizzata. T è arcifonema. Un’opposizione come b/p che è in relazione privativa, bilaterale e proporzionale è chiamata coppia correlativa. Una serie di coppie correlative i cui estremi si oppongono per lo stesso tratto costituisce una correlazione. Il tratto che, per la sua presenza oppure assenza, caratterizza gli estremi delle coppie correlative è detto marca di correlazione. Nel nostro caso è la sonorità. Il nucleo del sistema fonologico di una lingua è dunque fondato su correlazioni. Lo strutturalismo americano 30 distanza fra queste due concezioni sembra incolmabile, invece si tratta di un percorso lungo ma continuo. La prima grammatica generativa trasformazionale: la prima formulazione della teoria di Chomsky è affidata a due opere fondamentali: Logical Structure of Linguistic Theory, Syntactic Structures. Innanzitutto egli dichiara di voler utilizzare un metodo formale, una teoria formalizzata per analizzare la forma linguistica, dove per formalizzazione si intende l’esplicitazione di tutti i passaggi del discorso e l’evidenziazione delle connessioni logiche della teoria. Egli afferma che la teoria linguistica ha due grandi suddivisioni: la sintassi e la semantica. La sintassi è lo studio della forma linguistica e determina gli enunciati grammaticali di qualsiasi lingua, evidenziando la loro struttura formale. E’ questa la nuova concezione di forma linguistica: non si tratta più di mostrare come un enunciato possa essere scomposto e ricondotto ai suoi costituenti poi riuniti in classi, ma di dare una teoria che da pochi elementi esplicativi permetta di generare una lingua intesa come insieme di sequenza grammaticali (enunciati) Il fatto che si riconducano infinite strutture linguistiche ai pochi principi per un verso risponde a esigenze linguistiche, cioè al modo in cui la lingua realmente funziona, per un altro verso risponde a un principio della generalità al quale le scienze contemporanee si ispirano. È utile tenere distinti i dati dai fatti, i dati del linguista sono costruiti a partire da un insieme di osservazioni sulla forma e sull’uso delle espressioni. I fatti della struttura linguistica che egli spera di scoprire vanno ben oltre queste osservazioni. Una nozione fondamentale sulla quale Chomsky costruirà la propria teoria è quella di “grammaticale”. Ciò che è grammaticale non è semplicemente ciò che non sgrammatica. Grammaticale significa che il parlante nativo ha in sé una intuizione della forma linguistica, ossia della grammaticalità. La grammatica dipende da questa intuizione della forma posseduta dal parlante nativo e rappresenta un modello di quella conoscenza che il parlante possiede e che gli consente, in primo luogo, di costruire tutti i suoi enunciati e in secondo luogo di riconoscere gli enunciati costruiti bene contrapponendoli agli enunciati costruiti male, di contrapporre gli enunciati grammaticali a quelli non grammaticali. Alcune precisazioni sul concetto di grammaticalità: La grammaticalità è legata all’intuizione della forma posseduta dal parlante. La teoria deve tuttavia esplicitare questa intuizione facendo corrispondere ad essa procedimenti formali che consentano di decidere se una sequenza è o non è grammaticale. Chomsky nota che la teoria deve partire in ogni caso dagli enunciati osservati e fissare la struttura degli enunciati grammaticali (fra gli osservati), ponendo così i limiti della grammaticalità in generale. La struttura è fissata ponendo delle categorie (classi di parole reciprocamente restituibili) al posto delle parole. Tale sostituzione permette di ottenere le forme di enunciati che posso essere specificate in base al numero di categorie. Facendo riferimento al grado di specificità delle categorie utilizzate Chomsky ritiene di spiegare il problema dei diversi gradi di non grammaticalità senza ricorrere a criteri di probabilità statistica degli enunciati. La finalità della grammatica quindi è quella di generare tutti e soli gli enunciati grammaticali di una lingua e di spiegarli a livello sintattico. 30 Un modo per costruire una grammatica potrebbe essere quello di elencare tutte e sole le frasi o gli enunciati grammaticali di una lingua. Questa elencazione però non è possibile poiché gli enunciati di una lingua sono infiniti e sarebbe di scarso valore poiché la grammatica deve generare gli enunciati. La grammatica si propone di spiegare gli enunciati, ossia si propone di ridurre la molteplicità degli enunciati ad un numero ridotto di principi costitutivi. Esiste una distinzione tra generare e produrre, parliamo infatti di grammatiche generative e non produttive. La produzione degli enunciati non spetta alla grammatica ma al parlante. La grammatica può soltanto specificare la struttura degli enunciati, ossia generare gli enunciati dando in qualche modo una definizione che rende l’insieme degli enunciati un insieme deducibile, tale cioè che diventi possibile stabilire se una qualsiasi sequenza appartenga o no all’insieme stesso, sia o non sia grammaticale. Questo equivale a dire che la grammatica si propone di spiegare il fondamento di quella intuizione della forma linguistica che rappresenta il correlato necessario della grammaticalità. Avendo stabilito che la grammatica deve generare tutte e sole le frasi grammaticali di una lingua, procede all’analisi delle grammatiche appartenenti alla tradizione scientifica. La prima grammatica è la Grammatica a stati finiti, che si fonda sui “processi markoviani”. La grammatica a strati finiti è una grammatica elaborata entro la teoria dell’informazione. L’assunzione di base è che un elemento, quanto più è frequente in un certo contesto, tanto meno è informativo. Per Chomsky non risulta accettabile la tesi che la struttura della lingua si possa indagare ricorrendo alla statistica e ritiene insufficienti i processi markoviani. Tali processi richiamano una macchina che può trovarsi in un numero finito di stati diversi e produce un simbolo (una parola) nel passare dall'uno all'altro stato. Questa macchina quindi genera gli enunciati nel senso che approva o disapprova la comparsa di un certo simbolo dopo un certo altro dando valore 1 o valore 0 alla comparsa di un simbolo dopo un certo altro. Chomsky per evidenziare l’insufficienza della grammatica a stati finiti costruisce tre lingue in miniatura L1, L2 ed L3. Una qualsiasi lingua è definita da due elementi: dal suo alfabeto, e dall’insieme degli enunciati corretti di questa lingua. L1 è costituita da due elementi dell’alfabeto a e b, la sua grammatica stabilisce che sono sequenze di L1 tutte quelle sequenze in cui n occorrenze di a sono seguite da n occorrenze di b L2 ha sempre due elementi a e b ma le sue espressioni saranno combinazioni arbitrarie di a e di b L3 ha i due elementi a e b ed è costituita da sequenze in cui il primo membro di sinistra è identico al primo membro di destra abbabb baabaa Queste lingue non possono essere considerate delle lingue a stati finiti perché solo quando si è raggiunto uno stato di macchina, si hanno le regole per lo stato di macchina successivo, cioè esiste una legge della contiguità del rapporto, per cui ciascun elemento è determinato solo in rapporto all’elemento immediatamente precedente. La contiguità in questi casi non è rispettata. Il secondo modello analizzato da Chomsky è la Grammatica a struttura sintagmatica per cui la descrizione linguistica a livello sintattico avviene in termini di analisi in costituenti (analisi logica). A Chomsky non sfugge la vicinanza tra l’analisi per costituenti immediati e l’analisi logica: Es “Luigi beve il latte”. 30 - analisi grammaticale >Luigi = nome; beve = verbo; il = articolo; latte = nome; - analisi logica >Luigi = soggetto; beve = predicato verbale; il latte = complemento oggetto. Le informazioni date nelle due analisi si possono rappresentare in un albero etichettato (i nodi sono datati di simboli) E SN SV N Verbo SN Art N Luigi beve il latte Si tratta di un’analisi per costituenti immediati, di tipo logico-grammaticale analoga a quella da sempre praticata nelle scuole. Seguendo Chomsky scopriremo i punti deboli della grammatica tradizionale. La grammatica per costituenti immediati, in quanto analisi, non può essere considerata una grammatica generativa, dobbiamo riformularla come una grammatica generativa, perciò non si dovrà più procedere dall’enunciato alle categorie, ma passare dalle categorie, cioè dalle regole della grammatica, all’enunciato concreto. Infatti la grammatica generativa si oppone a tutta la grammatica tradizionale per essere sintetica e non analitica, per proporsi la costruzione delle strutture di certi livelli degli enunciati e non per proporsi la scomposizione degli enunciati stessi nelle loro parti costituenti e l’individuazione dei rapporti che legano queste parti fra loro. Come si procede? Partendo da un simbolo iniziale E e usando formule di istruzione, regole di riscrittura (in cui la freccia indica che il simbolo che la precede va sviluppato nei simboli che la seguono) potremo avere la seguente grammatica: E→ SN + SV; SN → Art + N;SV → Verbo +SN; Art → il, un; N → uomo,bambino; Verbo → legge, mangia…, partendo dal simbolo iniziale a applicando le formule di istruzione dobbiamo ottenere tutti e soli gli enunciati grammaticali di una lingua. Occorre tener presente tre principi (limitazioni) nell’applicazione di queste regole: il simbolo E deve comparire una sola volta; si può scrivere uno e un solo simbolo alla volta; non si può ricorre alla storia derivazionale. [Con queste limitazioni possiamo dar luogo alla derivazione di un enunciato Enunciato SN+ SV Art+N+SV Art+N+V+SN Il+N+V+SN Il+bambino+V+SN Il+bambino+mangia+SN Il+bambino+mangia+art+N Il+bambino+mangia+il+N 30 passivo a Luigi mangia le pere, avrò Le pere è mangiato da Luigi: prima si deve applicare la trasformazione obbligatoria che lega numero, persona e genere del verbo al SN). Chomsky per quanto riguarda la semantica contrappone sensatezza e grammaticalità. Una frase può non essere sensata ma grammaticale, perché l’ordine delle parole è ammesso dalla lingua, oppure può non essere entrambi. Il concetto di grammaticalità senza il ricorso alla sensatezza impone il problema del significato. Chomsky afferma che l’intuizione della forma linguistica può essere molto utile a colui che studia grammatica, anche se proprio lo studio della forma linguistica dovrà poi sostituire questa intuizione vaga, incerta con definizioni precise, esplicite, formali poiché lo scopo principale della teoria grammaticale consiste nel sostituire l’intuizione con un approccio rigoroso e oggettivo. L’intuizione del significato non può servire nello studio della grammatica perché si tratta solo di un’intuizione. Chomsky non esclude che si possa studiare il significato, esclude soltanto che esso possa servire per costruire una grammatica, cioè che sia pertinente a livello grammaticale. 30 Le considerazioni su cui Chomsky fonda la sua tesi sono: i. due enunciati sono fonemicamente distinti se e sole se differiscono in significato; ii. i morfemi sono gli elementi minimi dotati di significato; iii. le frasi grammaticali sono quelle che posseggono significanza semantica; iv. la relazione grammaticale soggetto-verbo corrisponde al “significato strutturale” generale attore azione; v. la relazione grammaticale verbo-soggetto corrisponde al significato strutturale azione-scopo o azione-oggetto dell’azione; vi. una frase attiva e la corrispondente passiva sono sinonime. Con la critica a questa ultima affermazione Chomsky porrà le basi per il superamento del suo primo modello. Se rifiutiamo il criterio di significato, i rapporti tra i vari tipi di enunciato sono in termini puramente formali. Se ai formalismi non sottostà una qualche dimensione d’identità semantica non c’è alcuna ragione di ricorre ad essi. Nel caso del passivo non si deve affermare che attivo e passivo hanno lo stesso significato, ma hanno una certa identità semantica, ossia c’è fra essi un’identità semantica parziale. Chomsky non nega “l’esistenza di corrispondenze tra la struttura e gli elementi scoperti dall’analisi grammaticale formale e specifiche funzioni semantiche” ma il fatto che le corrispondenze siano così imprecise suggerisce che il significato sarebbe una base relativamente inutile per la descrizione grammaticale. Lo studio del significato è possibile ma deve partire dal meccanismo del linguaggio e dai suoi mezzi formali già fissati autonomamente. In realtà il riferimento al significato è non solo utile ma necessario per costruire la grammatica. Concludendo l’esposizione di questa prima grammatica chomskiana dobbiamo distinguere due aspetti di essa: 1. un aspetto è costituito dallo sfondo generale della teoria chomskiana: la funzione dell’operazione trasformativa che mostra lo stacco tra una struttura soggiacente e una superficiale; il concetto di lingua come insieme di enunciati, la nozione di grammaticalità, il concetto di generazione connesso al concetto di calcolo ricorsivo e con il concetto di valutazione (verifica) della grammatica. 2. altre affermazioni relative alle soluzioni date da Chomsky risentono dell’ambiente in cui l’autore si è formato. Le obiezioni mosse al significato, il sospetto verso la ricerca stessa sul significato, impongo a Chomsky le posizioni sopra illustrate, per altro provvisorie e non indifferenti nemmeno per l’apparato formale costituito. Superamento della prima grammatica trasformazionale. Nell’evoluzione della grammatica di Chomsky resta l’ostacolo del significato. Chomsky ha prospettato una grammatica che generi tutte e sole le sequenze grammaticali di una lingua, in altri termini che renda conto del modo in cui la lingua funziona. Quindi deve costruire un congegno astratto che partendo da elementi primitivi, permetta la costruzione di tutti gli enunciati possibili ammessi. Sono ammessi o enunciati grammaticali o enunciati grammaticali e sensati. Si parla di grammatica in due sensi: 1. la grammatica è un congegno astratto costruito dal linguista; 2. la grammatica è una conoscenza insita nel parlante stesso, è quella sorta di calcolo collocato nella mente del parlante che gli consente di produrre degli enunciati grammaticali. Quindi si devono giustificare non solo le conoscenze sintattiche del parlante, ma anche quelle semantiche. 30 L’operazione della trasformazione esclude una proiezione diretta delle categorie sintagmatiche profonde nelle categorie superficiali della lingua, allora significa che dobbiamo riconoscere una componente mentale profonda, al di là delle manifestazioni esterne. Chomsky rivaluta la tradizione razionalista, la cosiddetta linguistica cartesiana, in particolare alcuni capisaldi: la creatività del linguaggio, ossia il fatto che il parlante è in grado di produrre enunciati sempre nuovi, l’appartenenza esclusiva del linguaggio all’essere umano, l’innatismo. La complessità dei compiti che la scuola chomskiana si è assunta impone delle modifiche radicali alla prima grammatica trasformazionale. Si rende necessario elaborare un insieme di regole che la completino dando ragione del componente semantico. Recupero della dimensione semantica. Due studiosi vicini a Chomsky, Katz e Fodor, osservano che i tempi di apprendimento del linguaggio per il bambino sarebbero lunghissimi se l’apprendimento avvenisse per meccanismi ripetitivi ( quindi considerano inadeguato il modello che spiega il linguaggio in termini di stati finiti). Il bambino riesce a proiettare la sua esperienza di un numero finito di enunciati, anche non grammaticalmente corretti, in un insieme infinito di enunciati possibili. Questa capacità si riscontra a livello sintattico e a livello semantico. Come si spiega? Noi non conosciamo tutto il lessico, ma solo una parte limitata; possediamo tuttavia delle regole per cui siamo in grado di usare tutti gli elementi del lessico, non solo quelli di cui disponiamo. Anzi, gli eventuali incrementi lessicali non modificano quel nucleo di regole semantiche che ci consentono l’uso del lessico. Questo nucleo di regole è abbastanza limitato ed è permanente. Ritorniamo alla distinzione tra langue e parole: l’attività del parlante ha due aspetti: un aspetto cognitivo che riguarda le regole che il parlante possiede e che gli consente la generazione degli enunciati e l’altro aspetto esecutivo. Del primo aspetto si parla di competenza, abilità o capacità mentre per il secondo si parla di uso o di esecuzione. Quindi competenza ed esecuzioni sono i due poli dell’attività linguistica; la teoria linguistica deve rendere conto non tanto dell’esecuzione, ma della competenza. La competenza a livello grammaticale, consente di generare enunciati grammaticali, di distinguere quindi enunciati grammaticali da non grammaticali. La competenza semantica deve rendere ragione della capacità del parlante di stabilire se un enunciato è semanticamente ambiguo o anomalo, di fissare i diversi valori da esso assunti partendo dai significati dei costituenti. Si tratta quindi di costruire una teoria semantica che dia le regole di proiezione a livello semantico, cioè la capacità di costruire un’infinità di enunciati partendo da un numero limitato, non a livello sintattico ma a livello semantico. Non tutta l’informazione di cui il parlante si avvale nell’interpretazione degli enunciati può essere inclusa nella teoria semantica. Ne resta fuori tutta l’informazione tratta dal contesto non linguistico, cioè socio-storico. Per la costruzione di una teoria è necessario fissare un sistema di categorie e di regole coerente ed univoco che organizzi questo complesso d’informazioni dando luogo a una teoria semantica. Le componenti fondamentali di tale teoria sono due: il lessico e le regole di proiezione. Il lessico è caratterizzato dalla struttura della voce lessicale. In essa compaio tre tipi di informazione: l’indicatore grammaticale: indica la parte del discorso, cioè la categoria grammaticale cui la parola appartiene ( sostantivo, verbo etc) 30 Come si può stabilire se una certa struttura profonda è davvero la struttura profonda del nostro enunciato e, data una struttura profonda, come si può stabilire che un certo enunciato è l’enunciato che viene derivato da quella struttura profonda? Chomsky confessa che non esiste nessun criterio esplicito formalizzabile per ricostruire, dato un enunciato, la struttura profonda ad esso propria. C’è un riferimento, pur non formale, al significato; ossia se una struttura profonda ha significato identico a quel certo enunciato superficiale, essa è la sua struttura profonda. In altri termini la struttura profonda è una formulazione di un enunciato tale che rispetti determinati requisiti formali, cioè si avvalga di determinati simboli sviluppati in un certo modo. In sintesi: la struttura superficiale è in stretto rapporto con la rappresentazione fonetica della frase, la struttura profonda è responsabile dell’interpretazione semantica; il passaggio da una struttura all’altra avviene mediante le regole di trasformazione. Nasce così l’immagine di una grammatica articolata in 3 parti: un componente sintattico, un componente semantico e un componente fonologico. Il componente sintattico, che è quello più importante e anche l’unico a essere creativo, consta di un sottocomponente di base che genera le strutture profonde e di un sottocomponente trasformazionale che le converte in strutture superficiali; le trasformazioni non possono recare alcuna modificazione al significato. Gli altri due componenti, quello semantico e quello fonologico, hanno una funzione meramente interpretativa: il primo attribuisce un’interpretazione semantica alle strutture profonde; il secondo assegna una rappresentazione fonetica alle strutture superficiali. Il modello Senso ⬄ Testo di I.A. Mel’čuk Si sviluppa tra la fine degli anni 60 e gli inizi degli anni 70 dalle ricerche di più studiosi – Mel’čuk, Žolkovskij, Apresjan ed altri – ma il ruolo svolto da Mel’čuk è stato preponderante a tal punto che la teoria è spesso legata al suo nome. Mel’čuk è un linguista segnalatosi fra l’altro per un approfondita preparazione nel campo della matematica, favorendo lo sviluppo della linguistica matematica, la quale, qualora voglia darsi un rigore metodologico, non può prescindere dal ricorso allo strumento matematico, in modo conforme al processo di matematizzazione avvenuto nelle varie scienze. Tra i fattori che ne hanno favorito la nascita troviamo l’esigenza di assurgere allo status di scienza esatta. Una teoria qualsiasi, per poter risponder a criteri di scientificità, si dovrà contraddistinguere per coerenza logica, univocità ed esplicitezza, requisiti tipici di una teoria formale, ossia essenzialmente matematica. Accanto a questo primo fattore, interno, all’origine della linguistica matematica troviamo un secondo fatto, questa volta esterno. È la richiesta di nuova applicazioni che aprono per 30 la linguistica nuovi compiti e nuovi problemi, la cui soluzione rende inevitabile il ricorso a metodi formali. A partire dagli inizi degli anni 60 la linguistica sovietica ha sviluppato una serie di modelli, diversi sia per l’apparato matematico in essi utilizzato che per l’estensione dell’oggetto sottoposto ad indagine. La teoria dei modelli linguistici Senso ⬄ Testo, associato a Mel’čuk rappresenta la sintesi più matura di anni di ricerche. Attratti soprattutto dai problemi di natura semantica implicati dalla pratica della traduzione meccanica, questi ricercatori da subito orientarono i loro sforzi principalmente alla formazione dei significati. Ciò li portò alla formulazione di una serie di proposte teoriche nuove. La teoria Senso ⬄ Testo è stata presentata dai suo autori nel corso di una serie di pubblicazioni, le quali segnano nel contempo le tappe della sua evoluzione. La sua storia può essere articolata sostanzialmente in due fasi: una anteriore e una posteriore al 1977. Il Circolo Semantico di Mosca: La teoria Senso ⬄ Testo venne presentata per la prima volta nel 1965 in un breve articolo pubblicato su una rivista. In questa primissima fase non si parla ancora né di modello né di teoria Senso ⬄ Testo ma nel nuovo approccio si trova già delineato l’impianto generale di quella che sarà la futura teoria dei modelli linguistici Senso ⬄ Testo. In questi articoli vengono prese le distanze dal metodo tradizionale orientato alla grammatica, che si incentra prevalentemente nell’analisi sintattica del testo in lingua 1 per l’individuazione immediata del lessico corrispondente in lingua 2, processo ostacolato dai casi di omonimia. Žolkovskij e Mel’čuk propongono di concentrare gli sforzi sulla costruzione di un algoritmo di sintesi in grado di dare tutte le varianti traduttive, a partire a una rappresentazione del significato estratto dal testo o dai testi iniziali, che sostengono una traduzione che passi “attraverso il senso” ossia di tipo semantico. Nel 1967 a Žolkovskij e Mel’čuk si unì Apresjan e sorse così il nucleo originario del Circolo Semantico di Mosca, il quale arriverà a riunire fino a venti studiosi. Tuttavia la teoria ha sempre incontrato opposizioni nel mondo accademico per ragioni innanzitutto teoriche, cioè il suo orientamento semantico, nonché per le posizioni assunte in campo politico dai suoi autori. Solo nel 1974 fu pubblicata la prima parte dell’opera. Il secondo volume non verrà mai pubblicato in URSS. L’emigrazione di Mel’čuk nel 1977 ha portato ad una scissione del Circolo Semantico di Mosca in due gruppi: quello moscovita, il più cospicuo, dove si è continuato a lavorare sul modello Senso⬄ Testo, e quello che risiede in America settentrionale, costituito sostanzialmente da Mel’čuk e dalla moglie mentre Žolkovskij ha rivolto le sue indagini per lo più allo sviluppo di una teoria interpretativa del testo letterario. Molto importante per la storia della teoria Senso n Testo è stata la pubblicazione nel 1984 del primo dei quattro volumi preannunciati del Vocabolario interpretativo- combinatorio. Componente centrale del modello mel’čukiano, questo Vocabolario consente tuttavia un uso autonomo. Si contraddistingue per la notevole originalità della sua struttura lessicografica: le voci lessicali contengono una descrizione sistematica delle proprietà combinatorie dei lessemi. Per quanto riguarda l’aspetto semantico, il semantismo dei lessemi viene decampo in unità elementari e descritto mediante una variante lessicografica. 30 Una concezione neofunzionalista della lingua. La teoria Senso⬄Testo prende le mosse da un postulato di fondo, cioè la funzione comunicativa del linguaggio naturale. Mel’čuk fa riferimento esplicitamente a Jakobson e al modello dei 6 componenti della comunicazione. Grazie al fatto che mittente e destinatario posseggono lo stesso codice, il destinatario può estrarre dai segnali fisici ricevuti l’informazione che il mittente intendeva trasmettergli. Dei sei componenti della situazione della comunicazione Mel’čuk prende in considerazione il messaggio, i segnali fisici e il codice che egli chiama rispettivamente sensi, testi e corrispondenza fra sensi e testi. Pertanto la lingua è definita come una corrispondenza, in senso matematico, fra l’insieme infinito dei significati e l’insieme infinito di tutte le loro espressioni, ossia come un meccanismo di tipo logico che pone in corrispondenza testi e sensi e viceversa. Mel’čuk costituisce il suo modello con la concezione della lingua quale strumento comunicativo (concezione comunicativo-funzionale), propria del magistero jakobsoniano e della scuola di Praga in genere. Questo modello ha come oggetto il “possesso della lingua” il quale consiste sostanzialmente nel controllo degli strumenti sinonimici, ossia nella capacità di costruire, dato un pensiero, tutti gli enunciati sinonimici che lo possono realizzare a livello linguistico (capacità di sintesi o locuzione) nonché di estrarre, dato un enunciato, i significati di cui esso è portatore (capacità di analisi o comprensione). Il testo non può essere fatto coincidere con il continuum fonico, cioè la successione ininterrotta dei segnali acustici, ma di testo si potrà parlare solo dopo che la sequenza fonica sia stata “quantizzata” in unità discrete, ossia dopo che abbia ricevuto una trascrizione fonetica. Il senso, che è ancora più lontano dal livello dell’osservazione, sarà un costrutto. Perché se ne possa parlare bisognerà registrarlo, mediante un’apposita lingua formale, in una trascrizione semantica. Per la rappresentazione dei sensi occorre elaborare un linguaggio apposito, di cui nel modello viene proposta una delle varianti possibili. La nozione di senso occupa una posizione centrale nel modello. Per poterlo definire Mel’čuk introduce il concetto di equivalenza semantica o sinonimia, in relazione con l’intuizione linguistica dei parlanti che hanno la capacità di cogliere l’identità di senso di enunciati diversi tra loro e di costruire testi equivalenti. Chiamando trasformazione sinonimica il passaggio da uno dei testi equivalenti all’altro, il senso potrà allora essere definito come l’invariante di tutte le trasformazioni sinonimiche, ossia ciò che vi è in comune fra testi equivalenti. Esaminiamo alcune caratteristiche fondamentali del modello: è un modello in quanto simula il funzionamento del meccanismo sotteso all’attività linguistica, senza pretendere di rappresentare i processi reali che avvengono a livello neurofisiologico nella mente dei parlanti. Il requisito principale del modello consiste nel suo carattere traduttivo e non generativo. Se la lingua è uno strumento di comunicazione, il processo che si instaura quando il parlante deve dare espressione ad un proprio pensiero non è di tipo generativo. Nel modello del nostro autore, a differenza di quello chomskiano che genera strutture linguistiche dotate di senso quasi casualmente, il senso è assunto come dato, è un apporto esterno al meccanismo linguistico. Questo modello non si occupa dell’analisi interna del significato, ma solo della sua espressione corretta dal punto di vista linguistico, anche quando il senso è insensato o contraddittorio. 30